Revisione della disciplina nazionale della concorrenza nel quadro

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Revisione della disciplina nazionale della concorrenza nel quadro
Revisione della disciplina nazionale
della concorrenza nel quadro
della modernizzazione
del diritto antitrust comunitario
5 luglio 2006
Note e Studi n.82
Assonime – Revisione della disciplina nazionale della concorrenza
Note e Studi n.82
1. INTRODUZIONE
Il regolamento (CE) del Consiglio n. 1/2003 ha modernizzato le regole di applicazione
degli articoli 81 e 82 del Trattato in materia di intese e abuso di posizione dominante.
Uno dei principali obiettivi della riforma è rendere più efficiente l’applicazione
decentrata delle disposizioni comunitarie di concorrenza da parte delle autorità
nazionali competenti e dei giudici nazionali.
Il regolamento (CE) n. 1/2003 è applicabile dal 1° maggio 2004. Negli altri Stati membri
è stata tempestivamente effettuata una revisione della normativa nazionale per
allinearla agli sviluppi del quadro comunitario. In Italia, dopo due anni di inerzia sul
piano normativo, con il recente decreto legge 4 luglio 2006, n. 223 del Governo recante
disposizioni urgenti per il rilancio economico e sociale è stato compiuto un importante
passo in direzione dell’adeguamento della disciplina nazionale al diritto comunitario. In
particolare, sono state introdotte nella legge 10 ottobre 1990, n. 287 disposizioni in
materia di misure cautelari, decisioni con impegni e programmi di clemenza che
accrescono i poteri dell’Autorità garante della concorrenza e del mercato.
Nel presente appunto sono presentati osservazioni e suggerimenti su alcuni ulteriori
aggiustamenti da apportare alla disciplina nazionale a tutela della concorrenza, con
riferimento sia a temi oggetto del decreto legge sia a questioni che non sono state
ancora toccate dall’intervento del Governo. La legge n. 287/1990 è generalmente
riconosciuta come una buona legge, le modifiche necessarie sono poche. L’obiettivo è
continuare ad assicurare la funzionalità e la coerenza delle disposizioni nazionali a
tutela della concorrenza nel quadro del diritto comunitario, all’interno di un sistema di
adeguate garanzie per i soggetti interessati dai procedimenti.
Nell’occasione della revisione della normativa antitrust nazionale sarebbe opportuno
adeguare la nozione di concentrazione contenuta nella legge n. 287/1990 a quella
prevista dal regolamento (CE) del Consiglio n. 139/2004 e introdurre alcune
semplificazioni, con particolare riferimento alle operazioni di concentrazione soggette
all’obbligo di notifica ai sensi dell’articolo 16 della legge n. 287/1990, in una prospettiva
di riduzione degli oneri amministrativi per le imprese.
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2. POTERI DECISIONALI DELL’AUTORITÀ E DISCIPLINA DELLE PROCEDURE
2.1 Misure cautelari
L’articolo 5 del regolamento (CE) n. 1/2003 prevede che le autorità nazionali di
concorrenza, al fine di applicare gli articoli 81 e 82 del Trattato, possano disporre
misure cautelari.
L’articolo 35 dello stesso regolamento attribuisce a ciascuno Stato membro il potere di
designare “l’autorità o le autorità responsabili dell’applicazione degli articoli 81 e 82 del
Trattato” e specifica che “tra le autorità designate possono figurare le giurisdizioni
nazionali”. E’ così lasciata agli Stati membri la scelta circa l’assetto istituzionale più
appropriato. Anche la definizione delle procedure è demandata ai singoli Stati.
In alcuni ordinamenti il potere di adottare le misure cautelari in applicazione degli
articoli 81 e 82 è stato attribuito all’autorità amministrativa preposta alla tutela della
concorrenza; in altri è stato previsto che l’autorità amministrativa possa richiedere
l’adozione delle misure cautelari all’autorità giudiziaria e spetti a quest’ultima la
decisione al riguardo. In tale secondo scenario, ai sensi dell’articolo 35 del
regolamento (CE) n. 1/2003 l’autorità giudiziaria è stata designata quale responsabile
per l’adozione delle misure cautelari in applicazione degli articoli 81 e 82 del Trattato.
Il recente provvedimento normativo presentato dal Governo attribuisce all’Autorità
garante della concorrenza e del mercato il potere di adottare misure cautelari, fissando
opportunamente una disciplina uniforme per l’applicazione degli articoli 81 e 82 del
Trattato e degli articoli 2 e 3 della legge n. 287/1990 e prevedendo sanzioni in caso di
inottemperanza.
L’esercizio diretto dei poteri cautelari da parte dell’autorità amministrativa è stato quindi
preferito rispetto al modello alternativo che attribuisce all’Autorità la facoltà di richiedere
al giudice l’adozione entro un breve termine delle misure cautelari a tutela
dell’interesse pubblico.
Occorre ora definire adeguate garanzie procedurali al fine di assicurare i diritti di difesa
delle parti prima dell’adozione di decisioni che possono avere un impatto molto incisivo
sull’attività d’impresa.
Nella recente decisione con cui ha imposto per la prima volta misure cautelari1
l’Autorità ha fissato autonomamente le garanzie procedurali nel provvedimento di avvio
dell’istruttoria. Tale soluzione caso per caso non può costituire il modello a regime.
1
Provvedimento n. 14338, caso A 364 Merck-Principi attivi, Bollettino n. 23/2005.
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Non sembra, d’altro canto, che la disciplina delle procedure per l’adozione delle misure
cautelari riguardi solo questioni inerenti “l’organizzazione e il funzionamento”
dell’Autorità, per le quali la legge n. 287/1990 affida alla stessa Autorità la definizione
della disciplina.
L’intervento normativo sulle misure cautelari deve quindi essere completato integrando
le nuove disposizioni con regole di carattere procedurale.
2.2 Decisioni con impegni
Tra le tipologie di decisioni che le autorità nazionali di concorrenza possono adottare,
ai sensi dell’articolo 5 del regolamento (CE) n. 1/2003, in applicazione degli articoli 81
e 82 del Trattato vi sono le decisioni con impegni.
Il modello è fornito dall’articolo 9 del regolamento (CE) n. 1/2003. Questa disposizione
prevede che, nei casi in cui la Commissione intenda adottare una decisione volta a far
cessare l’infrazione, se le imprese interessate propongono impegni in grado di
rispondere alle preoccupazioni concorrenziali la Commissione possa rendere tali
impegni obbligatori per le imprese tramite decisione. La decisione ex articolo 9 giunge
alla conclusione che l’intervento volto a far cessare l’infrazione non è più giustificato.
Le decisioni con impegni sono ormai utilizzate con grande frequenza dalla
Commissione europea e possono contribuire in misura importante a una rapida
conclusione dei procedimenti.
Il recente provvedimento del Governo sancisce il potere dell’Autorità garante della
concorrenza e del mercato di adottare decisioni con impegni nell’applicazione sia degli
articoli 81 e 82 del Trattato, sia degli articoli 2 e 3 della legge n. 287/1990. Nel
contempo, è attribuito all’Autorità il potere di irrogare sanzioni nel caso in cui le imprese
non ottemperino agli impegni assunti.
Opportunamente il testo della disposizione chiarisce che, come avviene a livello
comunitario, la presentazione degli impegni al fine di ottenere una decisione che renda
questi ultimi obbligatori è possibile anche in una fase avanzata del procedimento (“fino
alla decisione ….che accerta la violazione”).
2.3 Orientamenti alle imprese
Il Presidente dell’Autorità garante della concorrenza e del mercato ha in più occasioni
sottolineato l’importanza di mantenere un dialogo tra imprese e Autorità anche nel
contesto della modernizzazione. Laddove vi siano reali incertezze sulla valutazione che
verrebbe data dall’Autorità garante, non può essere precluso alle imprese rivolgersi a
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quest’ultima per ottenere indicazioni su come ottemperare alla normativa. La funzione
di orientamento delle imprese è strettamente inerente alla natura amministrativa
dell’attività dell’Autorità.
Sinora per i casi di rilievo meramente nazionale è stato mantenuto il sistema di
autorizzazione delle intese (articolo 4 della legge n. 287/1990). Resta aperta la
questione di come rispondere all’esigenza di un trasparente dialogo con le imprese
anche nei casi rientranti nell’ambito di applicazione del diritto antitrust comunitario, che
costituiscono ormai la maggioranza di quelli trattati dall’Autorità. Occorre una
riflessione sugli strumenti utilizzabili a questo fine.
In base ai principi comunitari, a prescindere dalla modernizzazione, non è configurabile
un “diritto” delle imprese a ottenere una valutazione della compatibilità di un’intesa o di
un comportamento con il diritto antitrust: la Commissione europea, e così le autorità
degli Stati membri, sono libere di scegliere le proprie priorità di intervento al fine di
svolgere efficacemente il compito di tutelare la concorrenza2.
Tuttavia, il dovere di aiutare le imprese a ottemperare alla normativa discende
direttamente dai principi di buona amministrazione dai quali la Commissione e le
autorità, compatibilmente con i propri oneri di lavoro, non possono prescindere.
A livello comunitario, nei casi problematici che presentino un sufficiente interesse la
Commissione europea si è impegnata a fornire alle imprese lettere di orientamento e a
pubblicarle a beneficio di tutti i potenziali interessati3. Inoltre, i funzionari della
Direzione generale concorrenza normalmente sono disponibili a chiarire in via
informale gli interrogativi posti in buona fede dalle imprese.
In vari Stati membri le autorità di concorrenza si sono espressamente impegnate a
svolgere un’azione di informal advice riguardo a singoli casi. Nel Regno Unito l’Office
of Fair Trading si è spinto oltre, dichiarando la propria disponibilità ad adottare
orientamenti in forma scritta, sul modello delle guidance letters della Commissione
europea, in quei casi che sollevino questioni nuove o irrisolte sull’applicazione degli
articoli 81 e 82 o della legge antitrust nazionale4.
L’attività di guida al rispetto della legge che le autorità di concorrenza svolgono in
generale in base ai principi di buona amministrazione trova in alcuni Stati uno specifico
richiamo a livello normativo5. In Italia le autorità amministrative indipendenti svolgono
normalmente tale attività in assenza di una specifica previsione di legge. Fa eccezione
2
Tribunale di Primo Grado delle Comunità europee, Automec II.
Comunicazione della Commissione sull’orientamento informale per questioni nuove relative agli articoli
81 e 82 del Trattato sollevate da casi individuali (lettere di orientamento) (2004/C 101/6).
4
Office of Fair Trading, Modernization – Competition Law Guideline, dicembre 2004.
5
Cfr. in particolare Regno Unito, Svezia e Norvegia.
3
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il caso del Garante per la protezione dei dati personali, al quale la legge attribuisce il
compito di “curare la conoscenza tra il pubblico della disciplina rilevante in materia di
trattamento dei dati personali” (articolo 154, comma 1, lettera h, del decreto legislativo
n. 196/2003). Per l’Autorità garante della concorrenza e del mercato un richiamo
normativo all’attività di informazione e orientamento volta ad assicurare l’efficace
applicazione degli articoli 81 e 82 del Trattato e delle disposizioni nazionali a tutela
della concorrenza, se ritenuto utile, potrebbe essere inserito nell’articolo 10 della legge
n. 287/1990.
La soluzione più auspicabile, per i casi rientranti nell’ambito di applicazione degli
articoli 81 e 82, appare quella adottata nel Regno Unito: si tratterebbe di affiancare ai
chiarimenti informali da parte dei funzionari dell’Autorità lo strumento delle lettere di
orientamento per le questioni che presentino un maggiore interesse.
Va approfondito se sia necessario o opportuno uno specifico intervento normativo che
definisca i limiti e il valore delle lettere di orientamento dell’Autorità o se sia sufficiente,
come sembra, una comunicazione di quest’ultima6.
Infine, è noto che nell’applicazione degli articoli 81 e 82 del Trattato l’Autorità non può
adottare decisioni di autorizzazione o di attestazione negativa, che sono incompatibili
con il regolamento (CE) n. 1/2003; nei casi in cui ritenga l’intesa non in contrasto con il
diritto della concorrenza l’Autorità può tuttavia, a prescindere dall’origine dell’intervento
(fattispecie denunciata da terzi, resa nota dalle imprese interessate o scoperta in altro
modo), adottare una decisione di non luogo a provvedere, espressamente prevista
dall’ultimo capoverso dell’articolo 5 del regolamento (CE) n. 1/2003. Resta pertanto
possibile, in linea di principio, adottare decisioni di non luogo a provvedere anche per
intese notificate dalle imprese.
Per le intese che non rientrano nell’ambito di applicazione dell’articolo 81 del Trattato vi
è una maggiore libertà di scelta circa il modello da seguire. Negli altri Stati membri in
generale il sistema nazionale è stato allineato a quello comunitario, adottando un
regime di eccezione legale. In linea di principio non vi sono ostacoli giuridici al
mantenimento nell’ordinamento italiano del sistema di autorizzazione basato
sull’articolo 4 della legge n. 287/1990.
Se in futuro venisse eliminata la possibilità di adottare decisioni di autorizzazione ex
articolo 4 della legge n. 287/1990, andrebbe valutato se mantenere in capo all’Autorità
garante il potere di emanare block exemptions nei casi, di rilevanza meramente locale,
non rientranti nell’ambito di applicazione dell’articolo 81 del Trattato. Nel Regno Unito,
6
L’Autorità ha già adottato “comunicazioni” con valenza generale. Ricordiamo, in particolare, quella sugli
adempimenti relativi alle operazioni ai sensi dell’articolo 8 della legge n. 287/1990 e quella sui contatti
prenotifica nelle operazioni di concentrazione, che per materia appare molto simile a quanto qui di
interesse.
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ad esempio, questa possibilità è stata mantenuta ed è stata utilizzata nel settore del
trasporto pubblico.
3. SEMPLIFICAZIONE DEL SISTEMA DELLE NOTIFICHE E NOZIONE DI CONCENTRAZIONE
3.1 Soglie di fatturato per la notifica delle concentrazioni
Una delle spinte fondamentali al processo di modernizzazione è stata l’esigenza di
concentrare le risorse della Commissione europea sulla repressione delle infrazioni più
gravi, piuttosto che sull’esame delle notifiche.
Nella stessa prospettiva si pone l’esigenza di rivedere l’articolo 16 della legge italiana
che continua a prevedere un obbligo di notifica delle operazioni di concentrazione a
prescindere dal fatturato dell’acquisita, purché l’acquirente e l’acquisita raggiungano
complessivamente una determinata soglia di fatturato sul territorio italiano. Oggi una
grande impresa deve notificare qualsiasi acquisizione, anche se il fatturato
dell’acquisita è di modesta entità o addirittura nullo. In un sistema di antitrust
modernizzato questa scelta normativa italiana andrebbe rivista, introducendo nella
prima ipotesi di cui all’articolo 16, comma 1, una soglia minima di fatturato dell’impresa
acquisita al di sotto della quale non sorge l’obbligo di notifica.
3.2 Imprese comuni
La formulazione dell’articolo 5 della legge n. 287/1990 sulla nozione di concentrazione
è modellata sul vecchio regolamento (CEE) n. 4064/89 che, riguardo alle imprese
comuni, distingueva tra imprese comuni cooperative e imprese comuni concentrative.
Già con le prime modifiche del regolamento concentrazioni, introdotte nel 1997, la
disciplina comunitaria delle imprese comuni è cambiata: essa considera
concentrazione la costituzione di un’impresa comune che esercita stabilmente tutte le
funzioni di un’entità economica autonoma (cfr. l’attuale articolo 3, paragrafo 4, del
regolamento (CE) n. 139/2004). Appare opportuno adeguare la nozione di
concentrazione contenuta nella legge n. 287/1990 a quella della disciplina comunitaria.
Ciò richiede di eliminare il comma 3 dell’articolo 5 e di modificare il comma 1, lettera c)
precisando che si ha un’operazione di concentrazione quando due o più imprese
procedono, attraverso la costituzione di una nuova società, alla costituzione di
un’impresa comune che esercita stabilmente tutte le funzioni di un’entità economica
autonoma. Verrà in tal modo consentita, per fattispecie che ancora vengono valutate in
base alla normativa nazionale come intese, una verifica preventiva di compatibilità nei
tempi rapidi previsti dalla disciplina delle concentrazioni.
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Se si deciderà di procedere in tal senso, si potrebbe inserire dopo l’articolo 6 sul divieto
delle operazioni di concentrazione un articolo 6-bis dedicato alla valutazione
concorrenziale delle imprese comuni che determinano il coordinamento concorrenziale
di imprese indipendenti, modellato sull’articolo 2, paragrafi 4 e 5, del regolamento (CE)
n. 139/2004.
3.3 Operazioni che non costituiscono concentrazione
Ai sensi dell’articolo 1, comma 4, della legge n. 287/1990 l’interpretazione delle norme
contenute nel titolo I della medesima legge va effettuata in base ai principi comunitari
in materia di disciplina della concorrenza. Ciò riguarda anche la nozione di
concentrazione.
Tenuto conto dei costi delle notifiche, sembra comunque opportuno accrescere la
certezza del quadro normativo introducendo nel testo della legge nazionale alcune
precisazioni in linea con il regolamento comunitario sulle concentrazioni.
In particolare, andrebbe specificato che si ha concentrazione quando si produce una
“modifica duratura” del controllo (articolo 3, paragrafo 1 del regolamento (CE) n.
139/2004). Nella stessa prospettiva, andrebbe chiarito che non si ha concentrazione
nel caso dell’acquisizione del controllo da parte di una società di partecipazione
finanziaria purché i diritti di voto siano esercitati unicamente per salvaguardare il valore
degli investimenti e non per determinare il comportamento concorrenziale delle
imprese (articolo 3, paragrafo 5, del regolamento (CE) n. 139/2004).
3.4 Contribuzioni a carico delle imprese
Con la legge finanziaria 2006 è stato introdotto nell’articolo 10 della legge n. 287/1990
il comma 7- bis che istituisce un meccanismo di finanziamento a carico del mercato
per il controllo delle concentrazioni tra imprese. La disposizione prevede che l’Autorità,
“ai fini della copertura dei costi relativi al controllo delle operazioni di concentrazione,
determina annualmente le contribuzioni dovute dalle imprese tenute all’obbligo di
comunicazione ai sensi dell’articolo 16, comma 1. A tal fine l’Autorità adotta criteri di
parametrazione dei contributi commisurati ai costi complessivi relativi all’attività di
controllo delle concentrazioni, tenuto conto della rilevanza economica dell’operazione
sulla base del valore della transazione interessate e comunque in misura non superiore
all’1,2 per cento del valore stesso, stabilendo soglie minime e massime della
contribuzione”.
Il 28 dicembre 2005 l’Autorità ha adottato un provvedimento con cui ha dato attuazione
al nuovo comma 7-bis dell’articolo 10. I parametri quantitativi fissati dall’Autorità
saranno rivisti annualmente.
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Dalla prima esperienza applicativa risulta che quasi sempre le operazioni comportano il
pagamento della contribuzione nella misura massima di 50.000 euro. L’onere per le
imprese sembra eccessivo.
Va inoltre osservato che il riferimento al valore della transazione contenuto nel comma
7-bis ha portato l’Autorità a commisurare le contribuzioni prescindendo completamente
dal fatturato realizzato dall’impresa in Italia. Un valore molto elevato può dipendere
dall’attività dell’impresa in altre aree geografiche. In base all’articolo 6 della legge n.
287/1990, invece, l’esame dell’operazione di concentrazione da parte dell’Autorità (e
quindi anche l’impegno richiesto alla struttura per l’analisi del caso) è limitato
all’impatto della stessa sulla concorrenza nel territorio nazionale.
Data questa potenziale discrasia tra valore della transazione e rilevanza
dell’operazione per l’attività istituzionale dell’Autorità, sembra opportuno rivedere il
criterio previsto dall’articolo 10, comma 7-bis; si potrebbe ad esempio sostituire il
riferimento al valore della transazione con un riferimento al fatturato dell’acquisita sul
territorio nazionale.
3.5 Fatturato degli istituti bancari e finanziari
Nell’articolo 16, comma 2, della legge n. 287/1990 il calcolo del fatturato degli istituti
bancari e finanziari ai fini della notifica delle concentrazioni si basa sul criterio
originariamente contenuto nel regolamento (CE) n. 4064/1989: il fatturato è
considerato pari al valore di un decimo del totale dell'attivo dello stato patrimoniale,
esclusi i conti d'ordine. In pratica, si tratta dell’applicazione di un tasso di interesse
fittizio del dieci per cento al totale dell’attivo.
A partire dal 1997 a livello comunitario tale criterio è stato modificato. Il fatturato degli
enti creditizi e degli altri istituti finanziari è calcolato come somma di un insieme
predeterminato di voci di provento definite nella direttiva 86/635/CEE del Consiglio
(modificata da ultimo dalla direttiva 2003/51/CE). Si tratta in particolare di interessi e
proventi assimilati, proventi su titoli, proventi per commissioni, profitti da operazioni
finanziarie e altri proventi di gestione. Sembra opportuno semplificare il quadro
normativo modificando anche l’articolo 16, comma 2, della legge n. 287/1990 nella
medesima direzione.
3.6 Articolo 19, comma 12, della legge per la tutela del risparmio
Riguardo alle previsioni in materia di acquisizioni nel settore bancario introdotte
dall’articolo 19, comma 12, della legge n. 262/2005, sarebbe utile un intervento
normativo volto a chiarire che il doppio vaglio dell’Autorità garante e della Banca d’Italia
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è richiesto solo per le operazioni di concentrazione già soggette a notifica ai sensi
dell’articolo 16 della legge n. 287/1990 che sono al tempo stesso oggetto di
autorizzazione ai sensi del Testo unico bancario per i profili attinenti la sana e prudente
gestione.
4. ALTRE QUESTIONI
4.1 Separazione tra funzioni istruttorie e funzioni decisorie
In relazione agli incisivi e crescenti poteri decisionali e sanzionatori dell’Autorità
garante della concorrenza e del mercato sarebbe opportuno richiamare espressamente
nella legge n. 287/1990 il principio della separazione tra funzioni istruttorie e funzioni
decisorie, che è alla base di un sistema di adeguate garanzie per i soggetti coinvolti
nei procedimenti. Il principio di separazione ha un ruolo non meramente formale, bensì
sostanziale e va quindi pienamente valorizzato. Esso potrebbe essere specificato
nell’articolo 10 della legge n. 287/1990, ferma restando l’autonomia dell’Autorità
garante di deliberare le norme concernenti la propria organizzazione e il proprio
funzionamento.
Un intervento in tal senso sarebbe in linea con le recenti modifiche normative che
hanno sancito il principio della separazione tra funzioni istruttorie e funzioni decisorie
per i procedimenti sanzionatori della Banca d’Italia, della Consob, dell’Isvap e della
Covip (articolo 24 della legge n. 262/2005).
Va ricordato che in ambito europeo alcuni Stati membri hanno attuato il principio in
modo molto netto attribuendo la funzione decisoria o sanzionatoria a un organo
giudiziario distinto dall’Autorità amministrativa incaricata della funzione istruttoria.
4.2 Competenze dei giudici nazionali nell’applicazione delle disposizioni antitrust
nelle controversie tra privati
Attualmente vi è una ingiustificata divisione di competenze tra i giudici tenuti ad
applicare gli articoli 81 e 82 del Trattato (tribunali ordinari e, per gli ambiti di
competenza, giudici di pace) e i giudici che si pronunciano in base alla legge antitrust
nazionale sulle azioni di nullità e di risarcimento del danno nonché sui ricorsi intesi a
ottenere provvedimenti d’urgenza (articolo 33, comma 2, della legge n. 287/1990). Da
ultimo, i procedimenti giudiziari in materia di illeciti antitrust nazionali e comunitari
“afferenti all’esercizio dei diritti di proprietà industriale” sono stati attribuiti alla
competenza delle sezioni dei tribunali specializzate in materia di proprietà intellettuale
e industriale (articolo 134 del Codice della proprietà industriale).
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Tale frammentazione delle competenze pone numerosi problemi pratici e va superata.
Nella revisione dell’assetto attuale bisogna tenere conto dell’importanza della
specializzazione nel private enforcement del diritto antitrust nazionale e comunitario.
Come rilevato nell’allegato al Libro verde della Commissione europea sulle azioni di
risarcimento del danno per violazione delle norme antitrust comunitarie7 (par. 255) ,
“While some countries have tried to increase the expertise by according first instance
jurisdiction in damages claims to higher courts than normal or by limiting the number of
competent courts to hear competition-based damages actions, other countries rely on
their general rules governing all kind of claims, Clearly the civil judges in the latter
Member States are unlikely to acquire as much experience and expertise as judges in
countries where some kind of centralising action has been taken. Specialist courts or
specialist panels for competition cases might be useful in fostering a culture of
expertise of the judges involved and could play a positive role in promoting efficient
enforcement of competition law”.
In Italia la soluzione che appare preferibile per razionalizzare il sistema delle
competenze è l’attribuzione alle sezioni specializzate della competenza ad applicare
sia gli articoli 81 e 82 del Trattato, sia le disposizioni in materia di intese e abusi della
legge n. 287/1990. Vi sono varie giustificazioni per una tale scelta. Anzitutto, sembra
che le sezioni specializzate stiano operando in modo efficace. Inoltre, la prospettiva
dello sviluppo della private litigation auspicata a livello comunitario non si basa
esclusivamente su azioni successive ad interventi dell’autorità amministrativa
competente (c.d. follow-on actions). Al giudice spetterà quindi un’importante funzione
di natura istruttoria in materia di raccolta delle prove e accertamento dei fatti, che
appare più consona a un giudice di primo grado che alla corte d’appello.
Va ricordato che le sezioni specializzate per la materia della proprietà industriale
attualmente seguono il rito societario, ma vi è un diffuso consenso sull’opportunità di
tornare in tempi rapidi al rito ordinario.
Per altro verso, occorre evitare di estendere acriticamente alla tutela della concorrenza
le disposizioni con cui è stata recepita la direttiva sull’enforcement dei diritti di proprietà
intellettuale.
Tra gli Stati membri che hanno già compiuto una scelta in direzione della
specializzazione dei giudici che applicano le disposizioni antitrust nelle controversie tra
privati vi sono la Francia (décret 2005-1756) e la Spagna.
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COM(2005)672.
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4.3 Legal privilege
Nel nostro ordinamento esistono limiti all’utilizzo da parte dell’Autorità di concorrenza
della documentazione prodotta dai legali esterni delle imprese (c.d. legal privilege)
mentre non esiste alcun limite all’utilizzo dei documenti prodotti dai legali interni.
Tenuto conto dell’accresciuta importanza dell’auto-valutazione dei comportamenti da
parte delle imprese connessa al passaggio al sistema di eccezione legale, appare
opportuno avviare nelle appropriate sedi istituzionali una riflessione sugli strumenti per
assicurare una maggiore tutela dei pareri prodotti dai legali interni di impresa. Esistono
importanti esempi in tal senso negli ordinamenti degli altri principali Stati membri.
In considerazione dei tempi probabilmente non brevi che saranno necessari per
l’approfondimento di questo punto, appare opportuno affrontare il tema del legal
privilege al di fuori dei lavori di revisione della legge n. 287/1990.
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