Leggi la testimonianza di monsignor Aldo Del Monte sulla ritirata di

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Leggi la testimonianza di monsignor Aldo Del Monte sulla ritirata di
Una struggente testimonianza di monsignor Aldo Del Monte (1915-2005), che ripercorre i
momenti della ritirata di Russia nel 1942 insieme a don Carlo Gnocchi.
Scoprii il volto della storia, quasi come una folgorazione, il 19 dicembre 1942, a Kantamirowka,
nell'ansa del Don, quando il fuoco della guerra oramai sembrava lambire con le sue fiamme tutto il
mondo. Già da qualche mese convivevo con gli uomini, negli orrori della guerra; e a ogni sparo, a
ogni scontro di fuoco, avevo già avvertito che quelle scintille di morte erano irradiazioni
dell'inimicus homo. Tempestoso e misterioso duello! Vinceva ancora in quella voragine la
manifestazione divina della vita, o in quell'apparente silenzio di Dio le forze diaboliche avevano
preso il sopravvento e aperte le cateratte del male e della morte?
Già da alcuni mesi l'imperversare di quella notte logorava il mio spirito. Ma fu proprio in quel 19
dicembre 1942 che la sorte mi condusse a vedere coi miei occhi tutta la nudità dell'uomo.
Erano arrivati in città i carri armati russi; i reparti tedeschi, ungheresi, rumeni e italiani, oramai
in gran disordine, fuggivano nella steppa, senza idee e senza equipaggiamento, braccati dai
partigiani, dalla fame e dalle notti glaciali, a 43 gradi sotto zero. Correvano voci che l'unica zona
franca fosse quella presidiata dagli Alpini, intorno a Rostov.
Dio mio! Credevo impossibile vedere un uomo così umiliato, come mi apparve alle 11 di quel 19
dicembre, quando, annunciati da una bufera di grida di terrore, i primi fuggiaschi, a piedi, con
slitte, con piccole o grosse carrette militari, comparirono sul fragile ponte di pietra che
congiungeva la città con la steppa. I più, malvestiti, assiderati dal freddo, zoppicanti per le ferite,
esausti per la stanchezza o la fame, erano a piedi, e guardavano con occhi pungenti - senza cessare
di camminare - le slitte e gli autocarri, che a pazza velocità zigzagavano tra quella folla di uomini ma erano ancora uomini quelli? - travolgendoli senza misericordia, pur di fuggire.
E proprio sul quel piccolo ponte di pietra che ho visto il giudizio di Dio: e lungo tutte le piste,
fino a Srebeniko dove - dopo tre mesi - in quel tragico ed epico febbraio 1943 la divisione
Tridentina, spezzando l'accerchiamento russo, riuscì ad aprire una porta di speranza verso ovest. I
piccoli resti di quell'armata della disfatta, umiliata e decimata dall'inclemenza del clima,
ritrovavano il sorriso; ma ai bordi di quelle fatidiche piste, abbandonavano oltre centomila gavette
di ghiaccio.
La prima vittima di quella folle carreggiata fu un cappellano. Guardava il cielo. Sul bianco della
neve il suo sangue aveva delineato i contorni del suo corpo; e sembrava vivo solo per la croce che
portava sul petto, simbolo di un'altra Passione. D'attorno, c'erano altri corpi appiccicati sulla neve
gelata; perché chi possedeva un mezzo motorizzato - chissà di quale provenienza! - faceva il
diavolo a sette, fra quella gente inerme. Non erano guidati da uomini ma dalla furia. Spettacolo di
sottoumanità, ma fatale per quel clima culturale! Dove sommando l'ateismo di Stalin a quello di
Hitler, per Dio non c'era più posto nella storia. E se è lui la sorgente di quel fiume di umanità che
allieta l'universo, là, nell'ansa del Don, di quell'acqua non scorreva più nemmeno una goccia.
«Signore, pietà», gridavo dentro di me! «È questo l'uomo che hai creato per la tua gloria?».
E da quella bolgia infernale partiva un immateriale dardo di fuoco, che mi feriva l'anima, assai
più profondamente di quanto le bombe a mano e le schegge di mortaio, di lì a poco, avrebbero
colpito il mio corpo. Mi prese un pauroso sgomento spirituale. Le lacrime mi impedivano di
guardare a quel macello; ma nel mio interno ci fu la tempesta: la storia aggrediva la mia fede. Mio
Dio, mio Dio, chi mi soccorrerà?
Raggiunsi don Carlo
mio padre spirituale
E c'era chi mi poteva soccorrere. Per una pista desueta, con un viaggio rocambolesco, raggiunsi
don Gnocchi, cappellano di quel presidio alpino. Chi non conosce don Gnocchi? Lui pure aveva già
visto la nudità dell'uomo. Ed essendo da tempo quasi un mio padre spirituale, appena mi scorse,
mi venne incontro come un fratello, partecipe come me alla Passione di Cristo.
«Oh, don Aldo, conosco già tutto di te. Mi chiedi un conforto che già è scomparso anche dentro
di me. Anch'io, qui, ora, ho sotto gli occhi questo scempio di umanità... Ho visto due uomini
battersi a sangue per un pezzo di pane! Di più. Una notte, a 53 gradi sotto zero, un alpino ha
sparato a un suo compagno per rubargli 25 centimetri di terra battuta nell'isba, per sottrarsi alla
morte per assideramento. Allora, per non sentirmi abbruttito anch'io, in quel clima da foresta
vergine, sono scappato da quel rifugio sconsacrato e ho passato la notte all'addiaccio».
«Capisco, don Carlo! Oh, come capisco! Ma se hai avuto la forza di passare quella notte,
esposto alle folate gelide degli Urali, hai certamente la grazia di aiutare anche me, esposto a
raffiche infernali».
«Don Aldo, solo il Signore ci può confortare. Preghiamo insieme. Poi, se ho tempo, posso farti
una mia confidenza».
Recitammo insieme un Pater, Ave, Gloria. Poi, lui era già preso dall'assillo di raggiungere il suo
reparto. Ma lo trattenni.
«Don Carlo, e la confidenza?».
«Ma sì – consentì -. È un pensiero nato nel mio cuore in quella notte di desolazione, ricordi
l'inizio della Prima lettera di Giovanni?».
«Sì. Fu oggetto di una mia esercitazione in Sacra Scrittura col professor De Ambrogi: “Quello
che abbiamo visto, quello che abbiamo udito, quello che abbiamo toccato con queste stesse
mani…, la vita che si è manifestata a noi”».
«Esatto, penso proprio a quei primi versetti. Che cosa soffri? Pensi forse che il Signore ci abbia
voluto castigare nel farci testimoni di questo sfacelo? Di questi orrori disumanizzanti? L'ho temuto
anch'io. Ma da quella notte non più. Quella notte, che per me fu un'agonia, scrisse dentro di me
degli altri versetti. Quello che abbiamo visto, quello che abbiamo udito, quello che abbiamo toccato con mano e provato nella stessa nostra carne è questo: negando Dio, siamo sopraffatti dalla
manifestazione della morte e da ogni forma di disumanità. Don Aldo, questo è un mistero di
grazia! Il Signore ci ha creduto degni di provare queste avventure. E ora chi più di te e di me può
predicare l'umanità di Dio?».
Un ultimo affrettato abbraccio! Un arrivederci.
«Magari in cielo!» mi grida don Carlo alle spalle. Perche oramai correvamo tutti e due a
riprendere il nostro ministero in quella bottega della morte. Il mio autista sprizzava scintille per il
nervosismo: «Ma non sapete che siamo in zona ad alto rischio di guerra?».
Non gli risposi, perché nel cuore mi si era levato un grido, che mi sembrava il pianto
dell'universo:
«O Sol Oriens!».
Era una delle Grandi antifone della novena di Natale. Con questa invocazione io andavo
ruminando la parola che, da pochi minuti, la fede di don Carlo aveva calato nel mio mondo
interiore. E, concentrato com'ero, preso dall'atmosfera del Natale imminente, quasi senza
accorgermene pregavo: «O Sol Oriens, o Sol Oriens!». C'era di fatto, su tutto quell'agghiacciante
scenario di morte, una sembianza di sole, tanto opaco da far venire il magone, perché avevamo
bisogno di luce.
Aldo Del Monte