POLINOMIO MINIMO E FORMA CANONICA DI JORDAN 1. Il

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POLINOMIO MINIMO E FORMA CANONICA DI JORDAN 1. Il
POLINOMIO MINIMO E FORMA CANONICA DI JORDAN
1. Il polinomio minimo.
Sia V uno spazio vettoriale di dimensione finita n sul campo K. Lo spazio vettoriale
End V degli endomorfismi di V ha dimensione n2 . Ne deriva che, dato un endomorfismo
T di V , al più n2 tra le potenze I, T, T 2 , . . . , T k , . . . di T sono linearmente indipendenti.
Dunque esiste un intero positivo k ≤ n2 , e k + 1 scalari a0 , a1 , . . . , ak , con ak 6= 0, tali che
a0 I + a1 T + · · · + ak T k = 0. Posto p(x) = ak xk + · · · + a1 x + a0 , il polinomio p(x) ∈ K[x] ha
grado k e ”annulla” T , ovvero p(T ) = ak T k + · · · + a1 T + a0 I = 0 in End V .
Osservazione. Al prodotto pq di due polinomi corrisponde la
degli
Pcomposizione
P endomorfii
smi: (pq)(T ) = p(T ) ◦ q(T ) = q(T ) ◦ p(T ). Infatti, se p(x) = i ai x e q(x) = j bj xj , allora
‘
 P
€P
P
P
j
i
b
T
.
(pq)(x) = i,j ai bj xi+j , da cui (pq)(T ) = i,j ai bj T i+j =
◦
T
a
j j
i i
Proposizione 1.1. L’insieme IT = {p ∈ K[x] : p(T ) = 0} costituito dai polinomi che
annullano T è un ideale di K[x] contenente elementi non nulli.
Dimostrazione. Se p1 , p2 ∈ IT , allora (p1 + p2 )(T ) = p1 (T ) + p2 (T ) = 0 + 0 = 0. Se q ∈ K[x]
e p ∈ IT , allora (pq)(T ) = p(T ) ◦ q(T ) = 0. Inoltre abbiamo visto sopra che IT contiene un
polinomio di grado positivo k ≤ n2 .
L’ideale IT contiene un unico polinomio monico (cioè con coefficiente direttivo uguale a
1) di grado minimo tra gli elementi di IT . Infatti, se due polinomi monici avessero grado
minimo, e quindi uguale grado, la loro differenza sarebbe un polinomio in IT di grado minore.
Definizione. Il polinomio minimo di un endomorfismo T è l’unico polinomio monico µT di
grado minimo in IT .
Se A ∈ Mn (K) è una matrice quadrata, denoteremo con µA il polinomio minimo dell’endomorfismo LA di Kn associato ad A.
Proposizione 1.2. I polinomi che annullano T sono i multipli di µT .
Dimostrazione. Sia p1 ∈ IT . Dividiamo p1 per µT :
p1 = qµT + r,
con gr(r) < gr(µT )
Dunque 0 = p1 (T ) = q(T )µT (T ) + r(T ) = r(T ). Se fosse r 6= 0, dividendo r per il suo
coefficiente direttivo si avrebbe un polinomio monico in IT di grado minore del grado di µT .
Quindi deve essere r = 0 e p1 = qµT .
Mostriamo ora che la conoscenza del polinomio minimo consente di determinare lo spettro
di T .
Proposizione 1.3. sp(T ) = {λ ∈ K : µT (λ) = 0}.
Dimostrazione. (1) se λ ∈ sp(T ), esiste v 6= 0 tale che T (v) = λv. Ne deriva che T 2 (v) = λ2 v
e in generale T k (v) = λk v e quindi p(T )(v) = p(λ)v per ogni polinomio p. In particolare,
0 = µT (T )(v) = µT (λ)v, da cui µT (λ) = 0.
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(2) sia µT (λ) = 0 e sia p(x) = µT (x)/(x − λ) ∈ K[x]. Se T − λI fosse invertibile, da
(T − λI) ◦ p(T ) = µT (T ) = 0 si otterrebbe p(T ) = 0, in contrasto con la minimalità del grado
di µT tra gli elementi di IT . Quindi T − λI non è invertibile e λ è un autovalore.
Abbiamo visto in precedenza che il grado del polinomio minimo non può superare n2 .
Questo risultato può essere migliorato mediante un procedimento che fornisce anche una
tecnica efficiente per il calcolo di µT .
Proposizione 1.4. Il grado di µT è sempre minore o uguale alla dimensione di V .
Per la dimostrazione, usiamo il seguente risultato.
Lemma 1.5. Sia W un sottospazio T -invariante di V , cioè tale che T (W ) ⊂ W . Sia
V = W ⊕ U e siano P1 e P2 le proiezioni di V su W e U . Siano T1 = T|W ∈ End W e
T2 = P2 ◦ T|U ∈ End U . Allora, per ogni polinomio p(x), si ha P2 ◦ p(T ) = p(T2 ) su U .
Dimostrazione. Essendo Im T ◦ P1 ⊂ W , si ha P2 ◦ T ◦ P1 = 0 e quindi P2 ◦ T = P2 ◦ T ◦ I =
P2 ◦ T ◦ (P1 + P2 ) = P2 ◦ T ◦ P2 . Ne deriva, per induzione su h, che (P2 ◦ T )h = P2 ◦ T h per
h−1
ogni h ≥ 1: se (P2 ◦ T )h−1 = P2 ◦ T h−1 , allora (P2 ◦ T )h = (PP
) = P2 ◦ T h .
2 ◦ T ) ◦ (P2 ◦ T
h
Da questa uguaglianza si ottiene, per ogni polinomio p(x) = h ah x ,
p(T2 ) =
X
h
ah (P2 ◦ T )h =
X
h
ah (P2 ◦ T h ) = P2 ◦
X
h
ah T h = P2 ◦ p(T )
su U .
Dimostrazione della Proposizione 1.4. Procediamo per induzione su n = dim V . Per n = 1
si ha T = aI e quindi µT (x) = x − a ha grado 1. Sia ora n > 1 e supponiamo vero il risultato
per spazi di dimensione minore di n. Sia v 6= 0 un vettore di V e sia d il più piccolo intero
positivo tale che gli elementi v, T (v), T 2 (v),. . . ,T d (v) siano linearmente dipendenti. Dunque
d ≤ n ed esiste un polinomio monico µT,v di grado d tale che µT,v (T )(v) = 0.
Sia W = Ker µT,v (T ). Si osservi che v, T (v), . . . , T d−1 (v) ∈ W e quindi k = dim W ≥ d.
Si danno ora due casi:
1) k = n, cioè W = V . In tal caso µT = µT,v poiché µT,v ∈ IT e quindi ha grado
d ≥ gr(µT ), ma per la scelta di d è anche d ≤ gr(µT ) e quindi i due polinomi (monici)
coincidono. In particolare, se il grado di µT,v è n si ricade in questo caso.
2) k < n. W è un sottospazio T -invariante. Sia V = W ⊕ U . L’endomorfismo di U
T2 = P2 ◦ T|U ha polinomio minimo µT2 che ha grado, per l’ipotesi induttiva, non superiore
a dim U = n − k. Per il Lemma 1.5 si ha P2 ◦ µT2 (T ) = µT2 (T2 ) = 0 su U , e quindi
µT2 (T )(u) ∈ W per ogni u ∈ U .
Per ogni elemento w + u ∈ V , con w ∈ W e u ∈ U , si ha
µT,v (T ) ◦ µT2 (T )(w + u) = µT2 (T )(µT,v (T )(w)) + µT,v (T )(µT2 (T )(u)) = 0
poiché w ∈ Ker µT,v (T ) e µT2 (T )(u) ∈ W .
Dunque µT,v · µT2 ∈ IT , da cui gr(µT ) ≤ gr(µT,v ) + gr(µT2 ) ≤ k + (n − k) = n.
Osservazione 1. In effetti, il polinomio minimo di T è il prodotto di µT,v e µT2 , come deriva
dalle considerazioni seguenti:
(i) ripetendo il ragionamento fatto nel caso (1), con W al posto di V , si ottiene che µT,v
è il polinomio minimo µT1 di T1 . Ma µT annulla T1 e quindi µT = µT,v · p con p ∈ K[x];
(ii) µT,v (T )◦p(T ) = µT (T ) = 0 ⇒ Im p(T ) ⊂ W ⇒ per il Lemma 1.5 p(T2 ) = P2 ◦p(T ) =
0. Dunque p annulla T2 e p = µT2 · q con q ∈ K[x];
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(iii) se fosse gr(q) > 0, µT = µT,v µT2 q avrebbe grado maggiore del grado di µT,v µT2 ∈ IT .
Ma questo non può essere e dunque è q = 1 e µT = µT,v µT2 .
Osservazione 2. La matrice rappresentativa di T rispetto a una base di V ottenuta completando una base di W ha forma a blocchi triangolare alta
’
“
A B
O C
con A ∈ Mk (K) matrice rappresentativa di T1 , C ∈ Mn−k (K) matrice rappresentativa di T2
e O matrice nulla di ordine (n − k) × k. Dunque µT = µT,v · µC e µC può essere a sua volta
calcolato riapplicando il procedimento descritto.


0 −1 −2 −1
3
0
1 .
Esempio 1. Sia T = LA ∈ End R4 , con A =  1
1
1
2
1
1  0 2
2
 
 
0
1
−4
Scelto v =  0 , si ha Av =  1 , A2 v =  4  = 4Av − 4v. Dunque µA,v (x) =
1
0
4
0
1

4
0 −1
2 −1
0
0
0
x2 −4x+4 = (x−2)2 . Sia W = Ker(A−2I4 )2 = Ker  00
0
0
0 . W ha dimensione
0
1 −2
1
T
3,
con
base
{v,
Av,
0)
(0,
2,
1,
}
B di R4 aggiungendo
che
può
essere
completata
a
una
base


 
0 −4 −4 −1
0
4
2
0  e quindi µ (x) = µ (x) · (x − 1) =
 1 . Si ottiene MB (T ) =  1
A,v
A
0
0
2
1
0
0
0
0
1
0
(x − 2)2 (x − 1).
2. Polinomio minimo e diagonalizzabilità.
Definizione. Diremo che un endomorfismo T di V ha tutti gli autovalori in K se il suo
polinomio caratteristico pT ha esattamente n = dim V radici, contate con la loro molteplicità,
Qh
cioè se esistono elementi distinti λ1 , . . . , λh in K tali che pT (x) = i=1 (λi − x)mi , con mi
molteplicità algebrica di λi .
Equivalentemente, per la Proposizione 1.3, T ha tutti gli autovalori in K quando si può
Qh
scrivere µT (x) = i=1 (x − λi )di in K[x]. Gli esponenti di sono detti indici degli autovalori
λi .
Teorema 2.1. Sia T ∈ End V un endomorfismo con tutti gli autovalori in K. Siano
Qh
λ1 , . . . , λh gli autovalori distinti di T . Supponiamo che p(x) = i=1 (x − λi )αi annulli T .
Lh
Allora V = i=1 Ker(T − λi I)αi .
Dimostrazione. Procediamo per induzione su n = dim V . Se n = 1 si ha h = 1 e dim Ker(T −
λ1 I) = 1 e quindi V = Ker(T − λ1 I)α1 .
Sia ora n > 1 e supponiamo il teorema vero per spazi di dimensione minore di n. Poniamo
N = T − λ1 I e mostriamo che si ha la decomposizione
V = Ker N α1 ⊕ Im N α1
Qh
Sia w = N α1 (v) ∈ Ker N α1 ∩ Im N α1 e sia q(x) = i=2 (x − λi )αi . Allora q(T )(w) =
q(T )(N α1 (v)) = p(T )(v) = 0. Se fosse w =
6 0, essendo N α1 (w) = 0, esisterebbe k ≥ 1 tale
che N k (w) = 0 e u = N k−1 (w) 6= 0, cioè u sarebbe autovettore di T relativo a λ1 . Allora
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q(λ1 )u = q(T )(u) = N k−1 ◦ q(T )(w) = 0. Ne deriverebbe q(λ1 ) = 0, ma λ1 non è radice di q.
Quindi deve essere w = 0. Dal teorema della dimensione segue la somma diretta.
Siano ora W = Ker N α1 , U = Im N α1 . W e U sono sottospazi T -invarianti, con dim U < n.
T1 = T|W ha solo l’autovalore λ1 , poiché (x − λ1 )α1 annulla T1 e quindi è un multiplo di µT1 .
T2 = T|U ∈ End U e il conto fatto sopra mostra che q(T2 ) = 0 su U . Per l’ipotesi induttiva
Lh
si ha U = i=2 Ker(T2 − λi I)αi . Per concludere basta ora mostrare che Ker(T2 − λi I)αi =
Ker(T − λi I)αi per ogni i > 1. Sia M = (T − λi I)αi , i > 1. M è invertibile su W e W
e U sono M -invarianti. Se v = w + u ∈ Ker M , con w ∈ W e u ∈ U , si ha 0 = M (v) =
M (w) + M (u), da cui, essendo la somma diretta, M (w) = M (u) = 0. Quindi w = 0 e
v ∈ Ker M|U = Ker(T2 − λi I)αi . Dunque Ker(T2 − λi I)αi = Ker(T − λi I)αi .
Definizione. v ∈ V è un autovettore generalizzato di T , con autovalore λ, se v 6= 0 e
(T − λI)m (v) = 0 per un intero positivo m.
Corollario 2.2 (teorema spettrale). Sia T un endomorfismo di V con tutti gli autovalori
in K. Allora ogni vettore di V si può scrivere come somma di autovettori o autovettori
Lh
Qh
generalizzati di T . Se µT (x) = i=1 (x − λi )di , si ha V = i=1 Ker(T − λi I)di .
Corollario 2.3. T è diagonalizzabile se e solo se T ha tutti gli autovalori in K e µT non ha
radici multiple.
Dimostrazione. µT non ha radici multiple ⇔ di = 1 per ogni i ⇔ V è somma diretta degli
autospazi Ker(T − λi I).
Corollario 2.4. T è diagonalizzabile se e solo se T ha tutti gli autovalori in K e il polinomio
Qh
caratteristico ridotto rT (x) = i=1 (x − λi ) annulla T . In tal caso, rT è il polinomio minimo
di T .
Dimostrazione. Se T è diagonalizzabile, per il Corollario 2.3 si ha µT = rT e quindi rT (T ) =
Lh
0. Viceversa, se rT (T ) = 0, per il teorema si ha V =
i=1 Ker(T − λi I) e quindi T è
diagonalizzabile.
Un polinomio p ∈ K[x] non ha radici multiple se e solo se il massimo comune divisore
MCD(p, p0 ) di p e della sua derivata p0 non ha radici in K (vedi la Proposizione 14C.7 in [A]).
Se K = C, per il Teorema Fondamentale dell’Algebra ogni endomorfismo T ha tutti gli
autovalori nel campo. Il polinomio MCD(µT , µT0 ) può essere calcolato utilizzando l’algoritmo
euclideo (vedi [A]§11C.2), e risulta privo di radici se e solo se è la costante 1.
Se K = R, oltre a stabilire se MCD(µT , µT0 ) = 1, bisogna assicurarsi che le radici di
µT siano tutte reali. Per questo si può applicare il Teorema di Sturm, che non richiede
la conoscenza degli autovalori. Sia p0 , . . . , ps ∈ K[x] la sequenza standard associata a un
polinomio p(x), definita nel modo seguente:
p0 = p, p1 = p0 , p2 = −r1 con r1 resto della divisione p0 = p1 q1 + r1 (gr(r1 ) < gr(p1 )),
p3 = −r2 , con p1 = p2 q2 + r2 (gr(r2 ) < gr(p2 )), e cosı̀ via fino a trovare ps−1 = ps qs con
resto rs = 0.
Il polinomio p ∈ R[x] ha h = gr(p) radici reali e distinte se e solo se s = h e i polinomi
della sequenza standard hanno coefficienti direttivi tutti dello stesso segno (vedi il Corollario
14C.12 in [A]). Si noti che, a meno del segno, i pi sono i resti nell’algoritmo euclideo per
il calcolo del polinomio MCD(p, p0 ) e quindi ps coincide con MCD(p, p0 ) a meno di una
costante moltiplicativa. In particolare, se si ha s = h allora gr(ps ) = 0 poiché i gradi nella
sequenza decrescono. Il Corollario 2.3 diventa il seguente criterio per la diagonalizzabilità
senza conoscere gli autovalori.
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Corollario 2.5. Sia K = C. T è diagonalizzabile se e solo se il polinomio ps della sequenza
standard di µT è una costante, cioè MCD(µT , µT0 ) = 1.
Sia K = R. T è diagonalizzabile se e solo se la sequenza standard di µT ha gr(µT ) + 1
termini, con coefficienti direttivi tutti positivi.
’
“
1
1
−2
Esempio 2. Sia T = LA , con A =
1 −2
1 .
1
0 −2
Il polinomio minimo di A è µA (x) = x3 + 6x2 + 10x + 3. La sequenza standard di µA è
5
4x 11
+ , p3 (x) =
3
3
16
0
Dunque MCD(µA , µA ) = 1 e A è diagonalizzabile su C. I coefficienti direttivi sono tutti
positivi e quindi A è diagonalizzabile anche su R.
p0 (x) = x3 + 6x2 + 10x + 3,
p1 (x) = 3x2 + 12x + 10,
p2 (x) =
Su un campo K contenente i numeri razionali, il polinomio caratteristico ridotto rT è il
polinomio (−1)n pT / MCD(pT , p0T ). Dunque il Corollario 2.4 fornisce un criterio di diagonalizzabilità a partire dal polinomio caratteristico, senza conoscere gli autovalori.
Corollario 2.6. Sia K = C. T è diagonalizzabile se e solo se rT (T ) = 0.
Sia K = R. T è diagonalizzabile se e solo se rT (T ) = 0 e la sequenza standard di rT
(oppure di pT ) ha gr(rT ) + 1 termini, con coefficienti direttivi tutti dello stesso segno.
Dimostrazione. Sia K = R e h = gr(rT ). La sequenza standard p0 , . . . , ps di pT ha s + 1 ≤
h + 1 termini, poiché se fosse s > h si avrebbe gr(ps ) ≤ n − s < n − h = gr(MCD(pT , p0T )) =
gr(ps ). Per il Corollario 14C.12 in [A], che vale anche per polinomi con radici multiple, pT
ha h radici reali se e solo se s = h e i coefficienti direttivi di p0 , . . . , ps hanno tutti lo stesso
segno.
3. Forma canonica di Jordan.
Sia T un endomorfismo di V con tutti gli autovalori in K. Per il teorema spettrale
(Corollario 2.2) V è somma diretta degli h sottospazi T -invarianti Vi = Ker(T − λi I)di (gli
autospazi generalizzati). La matrice rappresentativa di T rispetto a una base di V ottenuta
unendo basi degli spazi Vi ha forma diagonale a blocchi


A1 O · · · O
. 
..

.
O
.. 
A= .

..
 ..
. O 
O · · · O Ah
Qh
con Ai matrice rappresentativa di Ti = T|Vi . Si osservi che pT = det(A − λIn ) = i=1 pTi
e Ti ha solo l’autovalore λi , poiché (x − λi )di annulla Ti . Dunque pTi (x) = (λi − x)dim Vi e
Qh
pT (x) = i=1 (λi − x)dim Vi . Ne deriva che dim Vi = mi , la molteplicità algebrica di λi .
Nel seguito studieremo l’azione degli endomorfismi Ti . Mostreremo che essa è completamente determinata dalle dimensioni dei sottospazi Ker(T − λi I)m , m = 1, 2, . . . , di . Premettiamo alcune definizioni.
Definizione. Il blocco di Jordan di ordine

λ
0
.
.
Jk (λ) = 
.
0
0
k relativo a λ ∈ K è la matrice k × k

1 0 ··· 0
λ 1 ··· 0
. ..
.
..

.
. .. 
..
λ 1
0 ···
0
···
0
λ
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POLINOMIO MINIMO E FORMA CANONICA DI JORDAN
Una base B di V è una base di Jordan per T se la matrice rappresentativa MB (T ) ha forma
diagonale a blocchi, con blocchi di Jordan Jk (λ) lungo la diagonale principale. La matrice
MB (T ) è detta forma canonica di Jordan di T .
La forma canonica di Jordan di una matrice A ∈ Mn (K) è la forma canonica di Jordan
dell’endomorfismo LA di Kn associato ad A.
Teorema 3.1. Sia T un endomorfismo di V con tutti gli autovalori in K. Allora:
1) esiste una base di Jordan per T ;
2) a meno dell’ordine dei blocchi di Jordan lungo la diagonale, esiste un’unica forma canonica di Jordan di T . Precisamente, se λ1 , . . . , λh sono gli autovalori distinti di T , il numero
di blocchi Jk (λi ) è uguale a
sk+1 (λi ) + sk−1 (λi ) − 2sk (λi ),
con sk (λi ) = rg((T − λi I)k )
Per la dimostrazione, usiamo il seguente risultato.
Lemma 3.2. Sia S un endomorfismo di un sottospazio W di V , tale che S d = 0 (S nilpotente). Allora esiste una base di Jordan per S. Il numero di blocchi di Jordan di ordine k è
uguale a 2 dim Ker S k − dim Ker S k+1 − dim Ker S k−1 .
Dimostrazione. Sia Nj = Ker S j . Si ha Nj−1 ⊂ Nj poiché S j−1 (v) = 0 ⇒ S j (v) = 0.
Mostriamo innanzitutto che, dato un insieme di vettori linearmente indipendenti Bj =
{v1 , . . . , vl } (j > 1) tale che Nj = Span(Bj ) ⊕ Nj−1 , l’insieme S(Bj ) = {S(v1 ), . . . , S(vl )} è
contenuto in Nj−1 \ Nj−2 ed è linearmente indipendente:
P
S j−1 (S(vi )) P
S j−2 (S(vi )) = S j−1 (vi ) 6= 0. Inoltre, se i ai S(vi ) = 0,
= S j (vi ) = 0, mentre P
allora S j−1 ( i ai vi ) = 0, e quindi i ai vi ∈ Span(Bj ) ∩ Nj−1 = {0}, da cui ai = 0 per ogni
i.
Sia ora Bd una base di uno spazio complementare di Nd−1 in Nd = W . Per quanto
visto sopra S(Bd ) è un insieme indipendente, che può essere completato a una base Bd−1
di uno spazio complementare di Nd−2 in Nd−1 . Si ha dunque Nd−1 = Span(Bd−1 ) ⊕ Nd−2 .
Analogamente, l’insieme S(Bd−1 ) può essere completato per ottenere un insieme indipendente
Bd−2 tale che Nd−2 = Span(Bd−2 ) ⊕ Nd−3 , e cosı̀ via fino a ottenere l’insieme B0 = Bd ∪
Bd−1 ∪ · · · ∪ B1 . L’ultimo insieme B1 è una base di N1 = Ker S. Ogni insieme Bk contiene
dim Nk − dim Nk−1 elementi e quindi il numero di elementi in B 0 è uguale a
(dim Nd − dim Nd−1 ) + · · · + (dim N2 − dim N1 ) + dim N1 = dim Nd = dim W
Ne deriva che B 0 è una base di W , poiché
W = Nd = Span(Bd ) ⊕ Span(Bd−1 ) ⊕ · · · ⊕ Span(B1 ) = Span(B 0 )
Mostriamo ora che, riordinando gli elementi di B 0 , si ottiene una base di Jordan B per
S. Per ogni elemento v ∈ Bk , si ha S(v) ∈ Bk−1 , S 2 (v) ∈ Bk−2 , . . . , S k−1 (v) ∈ B1 . Rispetto
alla base {S k−1 (v), . . . , S(v), v} la restrizione di S allo spazio Span(S k−1 (v), . . . , S(v), v) ha
matrice rappresentativa il blocco di Jordan Jk (0), poichè S k (v) = 0. Se B è ottenuta unendo
insiemi disgiunti {S k−1 (v), . . . , S(v), v}, con v ∈ B 0 , la matrice MB (S) ha blocchi Jk (0) lungo
la diagonale, cioè è in forma di Jordan. Il numero di blocchi Jk (0) è uguale al numero di
elementi di Bk che non sono della forma S(w), con w ∈ Bk+1 , cioè
(dim Nk − dim Nk−1 ) − (dim Nk+1 − dim Nk ) = 2 dim Nk − dim Nk+1 − dim Nk−1
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Dimostrazione del Teorema 3.1. Per i = 1, . . . , h, sia Si = (T − λi I)|Vi = Ti − λi I. Essendo
Sidi = 0, il Lemma 3.2 fornisce una base di Jordan B (i) per Si , con blocchi Jk (0) lungo la
diagonale. Dunque MB(i) (Ti ) = MB(i) (Si + λi I) = MB(i) (Si ) + λi Imi è in forma di Jordan,
con blocchi Jk (λi ) lungo la diagonale.
Si osservi ora che il Ker Sik = Ker(Ti − λi I)k coincide con il Ker(T − λi I)k , poiché ogni
autovettore generalizzato di T relativo a λi sta in Vi . Per il Lemma 3.2, il numero di blocchi
Jk (λi ) è uguale a
2 dim(Ker(T − λi I)k ) − dim(Ker(T − λi I)k+1 ) − dim(Ker(T − λi I)k−1 )
= 2(n − rg((T − λi I)k )) − (n − rg((T − λi I)k+1 )) − (n − rg((T − λi I)k−1 ))
= sk+1 (λi ) + sk−1 (λi ) − 2sk (λi )
Unendo le basi B (1) , . . . , B(h) si ottiene una base di Jordan B per T , poiché B contiene
P
i dim Vi = dim V generatori di V e la matrice di T rispetto a B ha la forma diagonale a
blocchi


O
MB(1) (T1 )


..


.
O
MB(h) (Th )
Esempio 3. Sia T = LA l’endomorfismo dell’esempio 1. Gli autovalori di T sono le radici
λ1 = 1, λ2 = 2 di µT (x) = (x − 1)(x − 2)2 . Gli autospazi generalizzati sono
V1 = Ker(T − I) = Ker(A − I4 ) e V2 = Ker(T − 2I)2 = Ker(A − 2I4 )2
Calcolando i ranghi si ottiene s0 (1) = 4, s1 (1) = rg(A − I4 ) = 3 = s2 (1) e s0 (2) = 4, s1 (2) =
rg(A − 2I4 ) = 2, s2 (2) = rg(A − 2I4 )2 = 1 = s3 (2). Quindi la forma canonica di Jordan di
T contiene un unico blocco 1 × 1 con l’autovalore 1 e due blocchi con l’autovalore 2, uno di
ordine 1 e uno di ordine 2:


1
2


2 1
0 2
Se poi si vuole anche determinare una base di Jordan per T , bisogna trovare basi opportune di
V1 e V2 . V1 = Ker(A−I4 ) = Span((1, 0, 0, −1)T ). Gli spazi Ker(A−2I4 ) e V2 = Ker(A−2I4 )2
hanno basi rispettivamente

    
 


0
0 
0 
 −2
 1
 0  ,  2  ,  −1 
 2  ,  −1 
e
1
0 
1
0 

 0
0
0
0
1
1
 
1
Scegliamo v =  0  ∈ Ker(A − 2I4 )2 \ Ker(A − 2I4 ) e consideriamo l’immagine (A − 2I4 )v =
0
0


−2
 1 . Aggiungendo il primo vettore della base di Ker(A − 2I4 ) si ottiene una nuova base
1
1
B1 = {(−2, 1, 1, 1)T , (−2, 2, 1, 0)T } di Ker(A − 2I4 ). Dunque

  
 
 
1
1 
−2
−2

0
1
2







, 0
B=
,
0 ,
0 
1
1

−1
0
0
1
8
POLINOMIO MINIMO E FORMA CANONICA DI JORDAN
è una base di Jordan per A (e per T ):



1 −2 −2 1
1
2
1 0  , si ha M (T ) = P −1 AP =  0
se P =  00
B
1
1 0
0
−1
0
1 0
0

0 0 0
2 0 0
0 2 1
0 0 2
Corollario 3.3. Siano A e B due matrici in Mn (K) con tutti gli autovalori in K. A e B
sono simili se e solo se sp(A) = sp(B) = {λ1 , . . . , λh } e rg((A − λi In )k ) = rg((B − λi In )k )
per ogni i = 1, . . . , h e per ogni k = 1, . . . , di .
Dimostrazione. Se A e B sono simili, con Q−1 AQ = B, A e B hanno lo stesso polinomio
caratteristico e quindi lo stesso spettro. Q−1 (A−λi In )k Q = (Q−1 (A−λi In )Q)k = (B−λi In )k
per ogni autovalore λi e quindi i ranghi coincidono.
Viceversa, sotto le ipotesi della proposizione, per il Teorema 3.1 gli endomorfismi LA e
LB hanno la stessa forma canonica di Jordan J. Quindi A e B sono entrambe simili a J e
dunque simili tra di loro.
Proposizione 3.4. Siano A e B due matrici reali n × n. A e B sono simili se e solo se
sono simili come matrici complesse.
Dimostrazione. Sia Q−1 AQ = B, con Q ∈ Gln (C), Q = Q1 + iQ2 , Q1 , Q2 ∈ Mn (R). Da
A(Q1 + iQ2 ) = (Q1 + iQ2 )B, confrontando le parti reali e immaginarie si ottiene AQ1 = Q1 B
e AQ2 = Q2 B. Il polinomio p(x) = det(Q1 + xQ2 ) è un polinomio non nullo in C[x], poiché
p(i) = det Q 6= 0. Per x reale p può essere considerato come un elemento non nullo di R[x].
Sia x0 ∈ R tale p(x0 ) 6= 0. Allora P = Q1 + x0 Q2 ∈ Gln (R) e AP = Q1 B + x0 Q2 B = P B,
cioè P −1 AP = B.
Bibliografia
[A] M. Abate, Geometria, McGraw-Hill Italia, Milano, 1996.
A.Perotti
Dipartimento di Matematica Universita di Milano