Paradigmi Eniclopedici

Transcript

Paradigmi Eniclopedici
Paradigmi enciclopedici
Giorgio Stabile
Forma chiusa
Dal puzzle al lego
Il lemmario
Il concetto di ‘sapere’ come totalità configurata è stato per secoli il punto di riferimento
e insieme il modo vincolante di concepire l’enciclopedia come totalità piena, e quindi
conclusa da un limite, definita a priori. Da questo punto di vista la storia del sapere,
dell’episteme, si può individuare e valutare attraverso il succedersi del canone della
forma ‘enciclopedia’, cogliendo un punto fondamentale di questa storia nella rottura del
canone antico con l’emergere di un concetto di forma di sapere dai caratteri nettamente
diversi: non chiusa ma aperta, non organica ma modulare, a struttura combinatoria e ad
assetto variabile. Due concezioni diverse che si sono storicamente succedute e che tuttora si oppongono intorno alle connessioni tra discipline, al loro statuto, alla natura
dei dati e dei rapporti che intercorrono tra di essi. Su queste due forme inutilmente si consulterà la pur abbondante letteratura, specie italiana, sulle claves universales, sugli ‘alberi delle scienze’ (arbores scientiarum), sugli enciclopedismi e sulle mappe del sapere fra Seicento e Settecento, sugli ideali enciclopedici in Età moderna, dove tutto
scorre sul filo della parafrasi degli autori e delle teorie, e dove talvolta, come ammonisce
Cartesio nella seconda delle Regulae ad directionem ingenii, tralasciando di ragionare sulle nozioni semplici ci si ingegna a rendere confuse quelle già complesse. Eppure
sono proprio due nozioni semplici (forma chiusa, forma aperta) alle quali sopra alludo,
i due caratteri distintivi capaci di conferire di colpo senso e ordine alla congerie della
letteratura enciclopedica tra Medioevo ed Età moderna, in quanto segnano il passaggio,
nel corso del XVII secolo, dalla forma enciclopedica antica e rinascimentale a quella
moderna tipicamente settecentesca.
Forma chiusa
Figura combinatoria.
Da Raimondo Lullo,
Ars brevis, in Opera, Argentinae 1617
Per rappresentarsi concretamente il concetto di enciclopedia a ‘forma chiusa’ basta
pensare a una piccola anfora di terracotta lasciata cadere in terra perché si rompa in decine di frammenti, cioè in un numero assai elevato di ‘pezzi’. La non identità di ogni
pezzo rispetto a tutti gli altri apre la possibilità di una paziente ma certa ricomposizione dai frammenti alla totalità, dalle parti al tutto, dal caos alla forma. Non diverso è il caso dell’antico concetto di enciclopedia e di sapere come frantumazione originaria di discipline e nozioni di cui si era certi che potesse essere ricomposta la totalità,
senza eccedenze o manchevolezze.
Il sapere può essere ricomposto proprio perché è dominato dall’armonia di una forma
che conferisce ai frantumi una disposizione a ricongiungersi e a comunicare in modo
automaticamente predestinato, dalla singola loro struttura. A rendere più chiara la natura di questo originario canone di sapere e di enciclopedia basta tornare ad alcune
definizioni classiche. Tipica quella di Vitruvio: «encyclios enim disciplina uti corpus
unum ex his membris est composita». La forma ‘enciclopedia’ è dunque soggetta al canone antropometrico di corpo o di organismo animale, lo stesso canone usato da
Policleto, e non in quanto ‘estetico’, ma in quanto invece regola metrica, mensura o
modus, delle arti, delle tecniche e dell’architettura, oltre che della medicina.
Galeno affermava che «Crisippo ritiene che il bello non consista nella simmetria degli elementi (stoicheia) ma in quella delle membra (moria)» (De Placitis Hippocratis
24
Dossier
Dimensioni della memoria
et Platonis, V 3), dove è da notare che ‘elemento’ indica un singolo pezzo di una serie che può intervenire a costituire momentanei aggregati combinatori (come le lettere
dell’alfabeto rispetto alle parole) ma non stabili congiunzioni, mentre morion o membrum indicano una parte in quanto porzione, esprimono cioè il più alto statuto di ‘parte dotata di una propria e singola forma’ destinata a integrarsi in modo strettamente
funzionale alla ragione per la quale ha sortito quella data forma. È porzione per il fatto che, se mancasse, denunzierebbe l’esatto punto in cui e per cui il tutto non sarebbe
tutto, mentre la mancanza o l’aggiunta di un singolo elemento di un aggregato non
denunzia mai la completezza o l’incompletezza di un tutto. Infatti l’essere membro
o, nel senso anatomico, organo, implica, come il frammento rispetto all’anfora, che la
totalità, la forma organica, deve essere pensata preliminarmente integra per poter ricollocare il membro al suo esatto posto.
Nella sua impressionante precisione culturale e linguistica, Dante aveva affermato che
le scienze sono ‘tutte membra di sapienza’ e dunque, se le discipline costituiscono
delle membra, devono essere pensate come un insieme di organi differenziati ma
complementari. Complementari perché, una volta che le loro differenze si scoprono essere reciproche giunture, esse si ricongiungono come reciproci nessi e, una
volta connesse, si traducono in una compages omnium disciplinarum, in una totalità continua e compatta, che subordina a sé tutte le discipline, e le fascia, senza soluzioni di continuità, con una superficie compiuta e conclusa in sé stessa. È l’immagine del cerchio e del globus intellectualis tipico di tutta la tradizione delle arti
memorative e dell’enciclopedismo da Lullo a Leibniz, il cui albero delle scienze veniva costantemente rappresentato chiuso all’interno di un cerchio. Un modo, questo, di rappresentare chiaramente derivato dalla concezione cosmica, secondo cui
tutto il mondo è chiuso dal globo estremo dell’ultima sfera, e poiché le discipline
non sono che parti di sapere in rapporto biunivoco con le corrispondenti parti del
mondo, a un mondo finito devono anche corrispondere discipline e saperi a carattere finito. Tutte le concezioni di enciclopedia fondate sull’idea che il sapere può
esaurirsi nella sua totalità presuppongono l’esistenza di un mondo chiuso e di una
conseguente preesistente ‘forma enciclopedia’ a struttura chiusa e, perciò, al suo interno gerarchica, con rigorosi e prefissati rapporti di subalternazione e, soprattutto
di separazione e contiguità tra le discipline.
Dal puzzle al lego
Analogamente all’esempio dell’anfora infranta, mi è solito esemplificare questo antico concetto di enciclopedia e di sapere chiusi con il gioco del puzzle, contrapponendo a esso, per proporre l’opposto concetto moderno di enciclopedia e di sapere
aperto, il gioco del lego. Sono due notissimi giochi combinatori che, come spesso
accade ai giochi, intercettano e interpretano categorie semplici e perciò persistenti e
profonde del pensiero.
Nel puzzle, così come nel vecchio concetto di ‘enciclopedia del sapere’, la cornice
a struttura chiusa, il disegno e i confini reciproci sono precedenti e preordinati ai pezzi, cioè ai dati, anzi sono una condizione della loro collocabilità e comprensione.
Ogni pezzo ha il suo posto prefissato e ogni posto ha il suo pezzo prefissato; il sapere e il corpo delle discipline sono considerati avere una loro forma organica originaria che può essere ricomposta, perché ogni dato è concepito come membro e ogni
disciplina come organo di una primitiva forma differenziata e conclusa del sapere.
Al caos amorfo dell’accumulo dei pezzi o tasselli di un puzzle soggiace comunque
un canone ordinatore, vale a dire la forma preesistente nascosta e da ricostruire attraverso le perfette giunzioni, i nessi cioè e le combinazioni, due a due, dei vari pezzi. Secondo il concetto, tuttora vigente nella nozione intuitiva anche se obsoleta di
sapere enciclopedico, di ricostruzione induttiva di un enorme puzzle partendo da pochi pezzi, il sistema delle discipline rappresenterebbe una proiezione isomorfa della
intera mappa del sapere, intesa a sua volta come proiezione della distribuzione delle conoscenze provenienti dalle preordinate e distinte regioni della realtà. Ogni singola disciplina occuperebbe come propria una di queste regioni avendo l’esclusivo
dominio delle conoscenze relative a quella regione.
Dossier
Dimensioni della memoria
25
Un sistema dunque delle conoscenze con limitati gradi di libertà e con legami forti
e definitivi di subordinazione reciproca. Il che, tradotto in termini di enciclopedia
generale delle conoscenze o di summa unificata delle informazioni, equivale a dire
che saremmo autorizzati a disegnare in anticipo la mappa delle discipline, dei dati
e dei moduli elementari d’informazione con vincoli forti e definitivi di subordinazione reciproca.
È appunto questo l’ideale che ha dominato la fase preilluminista dell’enciclopedia, in
cui il concetto di ‘cosmo finito’ importava il concetto di ‘sapere finito’ e il relativo sogno di una sua totale sistemazione e di un suo definitivo possesso. Il sogno, conseguente, di radunare tutto il sapere e la convinzione di poter costruire – peraltro in età di
ridotta produzione libraria – una biblioteca ‘completa’, tutt’altro che babelica, ma addirittura precostituita topograficamente in tutte le diverse sezioni del sapere.
È contro questa ossificazione per archetipi delle giunture e dei contenuti del sapere
che risponde una seconda, più moderna, concezione della enciclopedia come mathesis universalis avviata da Cartesio nelle Regulae e formulata nel Discours de la méthode. Concezione che, fatta realtà dagli enciclopedisti del Settecento, era mutuata, diversamente che dalle tecniche della retorica o degli alberi delle scienze, dall’analisi
dei geometri e fondata sull’idea che sulla totalità delle scienze, e indipendentemente dai loro specifici contenuti, si estende, alla maniera delle matematiche, una rete di
relazioni, in forma aperta, tendenzialmente indefinita e a struttura modulare, con nessi di complementarità e di coordinazione. Una rete di relazioni applicabile a tutte le forme di sapere, perché attiene al metodo del congiungere le parti semplici ed elementari del sapere e non al sistema del precluderle preventivamente in una forma e poi
suddividere gerarchicamente entro di essa le singole porzioni destinate a ciascuna
scienza o disciplina. È il metodo della semplificazione e della riduzione analitica della totalità, di ogni totalità, alle sue parti elementari per poi ricomporle in modo libero
e combinatorio, ma in modo tale che non sono i contenuti delle discipline a suggerire le reciproche relazioni, ma la flessibilità e pluralità delle relazioni a consentire di
configurare liberamente, volta a volta, diversi rapporti tra dati del sapere. Ogni dato,
inoltre, può mutare valore a seconda dell’assoluto a cui viene rapportato.
Ma il vero cambiamento sta nello spostamento dell’organizzazione delle scienze dalla forma alla formula. L’arte della memoria faceva ampio uso delle immagini, delle figure, come vere e proprie forme da rappresentarsi nella mente per ricordare i contenuti. Il ‘ricordare a memoria’ era essenzialmente un mantenere a mente ciascun contenuto di ciascuna scienza. Il concetto cartesiano di ‘serie’ e il corrispondente concetto di ‘nozione semplice’, di ‘dato elementare’ d’informazione, spostano il compito della memoria dal ricordare contenuti al ricordare relazioni tra contenuti.
Il sapere, come la realtà, non è una circolarità chiusa, né gerarchica, e tantomeno configurabile in anticipo. Non c’è rapporto biunivoco tra discipline e distinte regioni delle conoscenze e del reale. Il reale è un’entità indefinita su medesime porzioni nelle
quali le discipline insistono, disegnando liberamente – cioè interpretando liberamente – regioni di conoscenze a livelli differenziati di complessità o di gioco combinatorio dei dati, e da diversi punti di vista.
In tal senso questo diverso modo di concepire il rapporto tra le discipline e la natura
dei dati e delle informazioni assomiglia al gioco del lego. Una struttura modulare, in cui
ogni elemento, ogni dato, ogni unità d’informazione è come un modulo-mattone. Ma
un mattone non è un frammento nel senso che prima abbiamo indicato. Proprio in ragione della sua perfetta identità con tutti gli altri elementi del sistema, esso è un elemento amorfo, non contiene in sé alcuna proprietà di struttura e di forma che ne preordini o privilegi il rapporto con un altro specifico e individuo elemento del sistema.
Il lemmario
Tale fu l’evoluzione della forma enciclopedia da quella delle trattazioni sistematiche
a quella nella forma dictionnaire. Ed è la formula che appunto fu scelta dagli enciclopedisti del Settecento. Una forma lego, appunto, in cui ogni mattone era rappresentato dall’unità d’informazione data nella voce disposta alfabeticamente: l’alfabeto diviene la nuova forma combinatoria, l’encyclopédie diviene dictionnaire raisonné.
26
Dossier
Dimensioni della memoria
Rodolfo Agricola, Della inventione dialettica,
Venezia, Giovanni Barletto, 1567
L’ordine puramente posizionale e sequenziale dell’alfabeto consente, senza limiti
teorici, di aggiungere, modificare o eliminare voci senza dover riconfigurare ogni
volta la disposizione dell’intero sistema, la forma lego. A questo vantaggio dinamico della combinatoria automatica dei moduli corrisponde lo svantaggio di perdere la
visione statica d’insieme, cioè la distribuzione fissa e sistematica del sapere, che vorrebbe ricondotto ogni modulo alla propria disciplina e ogni disciplina riportata al proprio posto entro il sistema enciclopedico. Svantaggio solo apparente, perché l’ordinamento alfabetico del sapere nacque appunto dalla consapevolezza che non esisteva, o non esisteva più, il concetto di enciclopedia come sistema statico, concluso e
gerarchico delle conoscenze.
Diderot, nella voce dedicata appunto a encyclopédie, ricordava il ‘concatenamento
delle conoscenze’, ma non più nella forma della totalità conclusa, ma in quella della serie alfabetica. Egli testimonia, per di più, una modernissima percezione delle
scienze. Le scienze non sono membra organizzate di una forma predisposta a priori del sapere, esse corrispondono a ‘infiniti punti di vista’ di una realtà che non si lascia suddividere come i sistemi a forma chiusa pretendevano.
L’unica verità è che centro, non predestinato ma di fatto, di questi punti di vista è
l’uomo e solo per questo l’Encyclopédie ha scelto nel Prospectus di distribuire il sapere secondo l’ordine contingente delle tre facoltà umane: memoria, ragione e immaginazione. Coscienza profonda e desolata sottostante a questa scelta è che l’ordine delle scienze non è ordine fondato nella natura, è invece una combinatoria della
raison, è la forma lego che combina assieme conoscenze prelevate dal mondo e raggruppate secondo insiemi destinati a variare e a riconfigurarsi di continuo.
Con il tempo, tuttavia, la mappa delle conoscenze e del reale che ne risulta non è più
un territorio piano a due dimensioni distribuito in regioni distinte e giustapposte. Con
il Novecento si è venuti sempre più a riconoscere che il sapere, le discipline, l’enciDossier
Dimensioni della memoria
27
clopedia non costituiscono un piano esteso ma una stratigrafia a più livelli, scanditi
da fattori di scala posti in ordine decrescente. Ordine decrescente ma non gerarchico, perché qualsiasi livello può essere scelto come punto di vista privilegiato sull’intero insieme delle conoscenze. Mutando il punto di vista mutano i legami e la gerarchia dei legami, cioè l’ordine di rapporti tra le conoscenze. Il sapere da bidimensionale
diviene, quantomeno, tridimensionale. Una conoscenza, un modulo elementare di
informazione, e dunque una voce, diviene il nodo di una rete di vastità incontrollabile. In quanto nodo di una rete ancora aperta, ogni dato, ogni voce non ha alcun significato di per sé ma lo assume a seconda del legame che intrattiene con altri nodi
o moduli. È ovvio che al variare dei legami variano i significati e i rapporti di reciproca priorità. Il sistema così configurato si connota per un assetto dei dati sempre
più ricco di valori logici e relazionali assegnati agli insiemi e sempre più povero di
contenuto semantico assegnato ai singoli.
Spesso discipline diverse parlano di cose identiche senza saperlo. Del resto questo è
un portato della flessibilità del sistema lego delle conoscenze. In quanto nodo di una
rete ancora aperta, ogni modulo d’informazione non ha infatti significato di per sé
ma lo assume a seconda del legame, o valenza, che intrattiene con altri nodi o moduli. E qui si chiarisce meglio la differenza tra dato e informazione. Un dato è un nodo collegabile a un numero n di altri nodi e, a seconda del nodo cui si collega, diviene informazione, cioè relazione tra dati. È nel variare dei collegamenti che variano
la configurazione delle discipline e l’ordine di priorità tra le varie conoscenze. La
struttura delle conoscenze si perde dunque in una dimensione indefinita nel rispettivo spazio di competenza e nella forma reticolare delle connessioni.
Avviene qui uno spostamento che il neokantismo aveva già da molto tempo individuato
nello slittamento tra sostanza e funzione avvenuto nel pensiero moderno. I dati, le
informazioni non hanno sostanza propria ma la assumono quando intrattengono rapporti funzionali. E proprio questi rapporti funzionali tra dati obbligano a collocare le
discipline non nel centro immoto delle conoscenze acquisite, ma ai loro confini, dove si operano fenomeni di scambio. La serie storica dei dati e delle informazioni può
assumere simultaneamente significati diversi a seconda del piano di lettura.
Questa matrice, estesa ad infinitum al campo delle discipline, vuol semplicemente
significare che è l’incrocio dei dati a creare informazione ed è il variare dell’informazione a creare discipline. Queste ultime, in fondo, non sono che la concrezione di
metodi di prelievo dei dati, di strategie di ricerca, di protocolli spesso derivati con
geniale elasticità e capacità combinatoria da discipline per nulla prossime o di immediata competenza.
Sostanzialmente, il canone della forma enciclopedia sta perdendo senso ove voglia
essere assegnato come forma a priori. Lo scenario possibile è una rete a più dimensioni in cui ogni nodo apre a una serie connessa di nodi in uno spazio talmente indefinito e senza senso, che solo forti modelli di strategia, combinazioni lego sempre
nuove e flessibili, salveranno dalla monotonia del rumore e del trash.
Bibliografia
L’articolo è una rielaborazione di un più ampio
saggio apparso su «Critica del testo»,
che ringraziamo.
MAMINANI Maurizio, La mappa del sapere. La
classificazione delle scienze nella Cyclopaedia
di E. Chambers, Milano, Franco Angeli, 1983.
ROSSI Paolo, Clavis universalis. Arti della memoria e logica combinatoria da Lullo a Leibniz,
Bologna, il Mulino, 2000.
SERRAI Alfredo, Le classificazioni. Idee e materiali per una teoria e per una storia, Firenze,
Olschki, 1977.
28
Dossier
Dimensioni della memoria
TEGA Walter, Arbor scientiarum. Enciclopedie e
sistemi in Francia da Diderot a Comte, Bologna,
il Mulino, 1984.
L’unità del sapere e l’ideale enciclopedico nel
pensiero moderno, a cura di Walter Tega, Bologna, il Mulino, 1983.
VASOLI Cesare, L’enciclopedismo del Seicento,
Napoli, Bibliopolis, 1978.