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scheda tecnica
durata: 141 minuti
nazionalità: Stati Uniti
anno: 2008
regia: CLINT EASTWOOD
sceneggiatura: J. MICHAEL STRACZYNSKI
produzione: IMAGINE ENTERTAINMENT, MALPASO PRODUCTIONS
fotografia: JAVIER AGUIRRESAROBE
montaggio: JOEL COX, GARY ROACH
scenografia: JAMES MURAKAMI
costumi: DEBORAH HOPPER
interpreti: ANGELINA JOLIE (CHRISTINE COLLINS), JHON MALKOVICH (REVERENDO
BRIEGLEB), JEFFREY DONOVAN (CAPITANO JONES), COLM FEORE (CAPO DELLA
POLIZIA), AMY RYAN (CAROL DEXTER), JASON BUTLER HARNER (GORDON
NORTHCOTT)
la parola ai protagonisti
Alcuni anni fa, lo sceneggiatore J. Michael Straczynski, ex giornalista del Los Angeles
Times, del The Herald Examiner e del Time e autore di numerose altre pubblicazioni, si
imbatté nella straordinaria storia di una donna della classe operaia che aveva messo in
ginocchio l'apparato politico di un'intera città. La bravura di un reporter sta nella bontà e
nell'affidabilità delle sue fonti e Straczynski capì di avere una traccia nel momento stesso
in cui ricevette la telefonata di un vecchio contatto. "Un giorno, ricevetti una telefonata da
una vecchia conoscenza che avevo in Municipio", ricorda lo sceneggiatore. "Mi disse di
avere per le mani qualcosa che avrei dovuto vedere prima che finisse nell'inceneritore.
Così, mi catapultai al palazzo comunale e vidi la copia dei verbali del caso Collins. Iniziai a
leggere la deposizione e pensai, 'Non può essere successo veramente. Deve esserci un
errore'. In ogni modo, la vicenda mi colpì profondamente e decisi di andare fino in fondo
prima che i verbali venissero dati alle fiamme". Nel 1928, Los Angeles era stretta nella
morsa di un sistema politico dispotico, guidato dal Sindaco George E. Cryer e imposto dal
Capo della Polizia James E. "Due fucili" Davis (spesso fotografato in atteggiamento da
pistolero con tanto di armi addosso) e il suo squadrone di pistoleri autorizzati che
terrorizzavano la città. L'intera struttura iniziò a sfaldarsi nel momento stesso in cui
Christine Collins –madre single di un quartiere popolare di Los Angeles –denunciò la
scomparsa del figlio di nove anni. Seguirono mesi di infruttuose ricerche durante le quali la
polizia non fu in grado di produrre alcun risultato al di là di tanta pubblicità negativa e delle
insistenti richieste dell'opinione pubblica affinché venissero trovati indizi per scorprire
l'identità del rapitore. Un giorno, a DeKalb, in Illinois, fu ritrovato un bambino che asseriva
di essere Walter. Christine Collins—e tutte le persone coinvolte nelle ricerche—
attendevano col fiato sospeso. Furono scambiate lettere e foto e le autorità si convinsero
di avere finalmente risolto il caso. Christine racimolò il denaro necessario per riportare il
figlio a casa e la LAPD pianificò il ricongiungimento tra la madre trepidante e il figlio
scomparso organizzando un evento di grande impatto, con tanto di foto pubblicata sui
giornali. Sperando di porre un freno all'esame a cui venivano costantemente sottoposti per
via degli insuccessi legati a questo e a molti altri casi—e ansiosi di risolvere il caso per
soffocare gli scandali legati ai tanti casi di corruzione locale—i funzionari del dipartimento
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pensarono che il ricongiungimento tra madre e figlio potesse servire a riaffrancare
pubblicamente le alte cariche della LAPD. L'unico problema era che il bambino che venne
riportato a Christine non era suo figlio. Più Straczynski scavava nei dettagli di quella
storia, più sentiva l'impulso di conoscerne i risvolti. Studiò il caso per quasi un anno,
analizzando la complessa trafila di eventi che avevano caratterizzato i sette anni di ricerca
della Collins. Ciò che scoprì sembrava persino più allarmante dell'imbroglio messo in piedi
da Hutchens. I polverosi incartamenti del caso Collins nascondevano un caso parallelo,
quello del depravato Gordon Northcott, un "predatore" di bambini (che in un primo
momento ammise e poi negò di avere ucciso il bambino tuttora scomparso) e
dell'inesorabile potere e assurda violenza delle autorità di Los Angeles. Lo sceneggiatore
venne a conoscenza anche della figura di Gustav A. Briegleb, il ministro presbiteriano che
aveva aiutato la Collins nelle sue ricerche. Spina nel fianco dell'intero establishment,
l'attivista presbiteriano rappresentava una voce autorevole che, con i suoi programmi
radiofonici e i potenti sermoni, sfidava gli ascoltatori a non chiudere gli occhi di fronte alla
corruzione della polizia cittadina. Briegleb aveva collaborato con la Collins e con il suo
avvocato per evitare che la storia venisse insabbiata e per rendere pubblico il disumano
trattamento che le era stato riservato durante il periodo di internamento nell'ospedale
psichiatrico. La loro collaborazione aveva portato all'espulsione di tutti i funzionari di alto
grado, gettando luce sul grado di corruzione della polizia di Los Angeles.
Christine Collins morì nel 1935 senza sapere cosa fosse realmente accaduto a suo figlio.
Straczynski riassume così la grande eredità che ci ha lasciato: "La cosa realmente
importante è la volontà di Christine di scoprire cosa accadde a suo figlio, di non mollare, a
dispetto delle cattiverie che le furono scagliate contro. Continuò a cercare la verità sulla
scomparsa di suo figlio. Una tenacità, quella di andare a fondo alle cose, che avrebbe
distrutto chiunque, ma non lei, che non smise mai di lottare. Tutto questo fece eco negli
uffici del sistema legale statale. E io voglio riconoscerle il merito". Afferma Straczynski
riguardo alla sceneggiatura: "Il mio obiettivo è semplice: rendere omaggio a Christine
Collins e a ciò che fece. Il mio compito è raccontare la sua storia nel modo più onesto
possibile rendendo omaggio alla sua battaglia, raccontando il suo percorso di fede e di
conoscenza per arrivare alla verità sulla scomparsa del figlio. Una sua semplice domanda:
'Dov'è mio figlio?' aveva messo in ginocchio l'intera struttura della città". Per rendere la
storia ancora più veritiera, lo sceneggiatore decise di aggiungere alcune citazioni estratte
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sceneggiatura del film.
La scioccante vicenda "basata su fatti realmente accaduti" attirò l'attenzione dei produttori
Brian Grazer e Ron Howard, "E' entusiasmante scrivere una sceneggiatura basata su fatti
realmente accaduti", osserva Grazer. "La storia di Changeling mi piacque molto da subito.
La cultura che si nascondeva dietro a quella terribile vicenda mi affascinava e, allo stesso
tempo mi inorridiva. In ogni modo, ne ero attratto. Inoltre, il fatto che si trattasse di eventi
realmente accaduti conferiva un forte carico emotivo alla storia". Consapevoli della
predilezione del regista/produttore Clint Eastwood per i film basati su fatti reali, Grazer e
Howard decisero di contattarlo e di parlargli del soggetto. "Me lo portai appresso durante
un viaggio a Berlino", ricorda Eastwood. "Lo lessi durante il volo di ritorno e mi piacque
molto. Così, appena rientrai, chiamai Brian e Ron e dissi loro, 'Sì, lo farò!'. E loro mi
risposero, 'Angelina Jolie ha letto il soggetto e le è piaciuto molto. Vorrebbe fare parte del
film', e io risposi, 'Sarebbe perfetta. Mi piace molto. Fu così che andò: fu tutto molto
semplice e diretto". Come molti altri, anche Rob Lorenz, socio produttore di Eastwood da
lungo tempo, era rimasto sbigottito leggendo il soggetto di Straczynski. "Ero arrivato a
pagina 15 ma dovetti tornare indietro: non riuscivo a credere che fosse tutto frutto di una
storia vera; mi sembrava impossibile", afferma Lorenz. "Joe [Straczynski] aveva fatto un
lavoro straordinario. Ogni 15 o 20 pagine, aveva incollato al soggetto la fotocopia di un
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ritaglio di giornale, tanto per ricordarti che era tutto vero. Il mio stupore non era dovuto al
solo fatto che ciò che leggevo fosse frutto di una storia vera ma anche che non avessi mai
sentito parlare di quella storia e che nessuno sembrasse esserne al corrente".
Entusiasti del soggetto dove "la verità è più assurda della finzione" –come sosteneva
Eastwood –Lorenz e Eastwood concordarono con il team della Imagine Entertainment di
realizzare un film basato sugli incredibili fatti di quella vicenda, a condizione che Angelina
Jolie, vincitrice di un Oscar, accettasse di interpretare il ruolo della madre operaia che
aveva trasformato il ritrovamento del figlio nella sua missione di vita. "Angelina è unica",
afferma Eastwood della "sua" Christine Collins. "Mi ricorda le attrici degli anni '40, l'epoca
d'oro del cinema, come Katharine Hepburn, Ingrid Bergman, Bette Davis, Susan Hayward
e le altre. Erano tutte così particolari, avevano una presenza straordinaria. Angelina è una
grandissima interprete". Howard e Grazer erano molto soddisfatti. Afferma Grazer,
"Comprai il soggetto di Changeling e, come fanno tutti i produttori, stesi un elenco dei
migliori registi del mondo" afferma Grazer. "Si comincia con un sogno e si fa di tutto per
esaudirlo. Anch'io avevo un sogno e l'ho esaudito grazie a Clint Eastwood; inoltre, è stato
straordinario vedere Angelina Jolie recitare in quel ruolo. E' semplicemente perfetta. Ha
una grande forza emotiva, è intelligente ed è sempre presente a se stessa". Malgrado la
storia fosse interessante e la squadra di produzione di altissimo livello, la Jolie era
inizialmente restia a vestire i panni di una madre alla quale era stato rapito il figlio. Un fatto
comprensibile se si considera che l'attrice aveva appena concluso le riprese di Un cuore
grande, il film sulla vera storia del rapimento e dell'esecuzione del giornalista Daniel Pearl,
dove interpretava il ruolo di Mariane Pearl. In ogni modo, aveva deciso di saperne di più e
aveva accettato di leggere il soggetto. A farle cambiare idea era stato proprio Straczynski
e il suo modo di interpretare la storia. "E' una storia straordinaria", ammette la Jolie. "Non
riuscivo a smettere di leggerla. Ogni volta che Christine si riprendeva da una batosta
pensavo, 'Brava, ce l'ha fatta'. Christine è il genere di donna che si impara lentamente ad
ammirare ma non riuscivo lo stesso ad accettare alcuni aspetti di quel ruolo. Non volevo
fare un film sul rapimento di un bambino; credo che accada qualcosa di forte quando certi
argomenti entrano a far parte della tua vita, del tuo ambiente e dei tuoi pensieri. Alla fine, è
stata proprio la sua grande forza di volontà a farmi decidere per il si. Sono molto
affezionata a questa storia, proprio perché denuncia la corruzione dei politici al potere. E'
comunque una storia molto attuale, visto che la corruzione rappresenta ancora un grande
problema".
"In Changeling ho messo da parte il mio istinto materno, quasi 'animalesco', per arrivare
a quello che il personaggio richiedeva: un dolore più composto, più in sintonia con la
mentalità delle donne di quell'epoca". ha dichiarato Angelina Jolie in un'intervista
Changeling "E' una storia veramente assurda", racconta l'attrice. "Quando ho preso in
mano il copione su cui erano riportati anche gli atti processuali, attraverso i quali veniva
documentato dettagliatamente il caso, sono rimasta senza parole. Una cosa a mio avviso
da perderci la testa", continua. "Mi dicevo: ma non è possibile per essere vero. E io, di
fronte a una simile tragedia, a una forza sovrumana di prevaricazione, avrei reagito in
modo del tutto diverso". "Avrei urlato a squarciagola, fatto scene isteriche, preso a schiaffi
le autorità, sarei impazzita veramente di fronte a questa atrocita'", spiega Angelina. "Non
come la protagonista che viene chiusa in manicomio e mantiene la propria lucidità". La
soluzione, svela la Jolie, l'ha trovata pensando alla madre: "Louise Collins, la donna che
interpreto nel film, caratterialmente assomiglia molto a mia mamma (l'attrice Marcheline
Bertrand scomparsa nel 2007, ndr). Ho recitato quasi per renderle omaggio", confida. "Mi
sono ispirata a lei, al suo modo di pensare, di agire. Era una donna molto gentile, pacata,
piena di garbo e non si sarebbe lasciata andare all'isterismo come me".
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recensioni
Roberto Escobar –il Sole 24 ore
Speranza: su questa parola si chiude Changeling (Usa, 2008, 141'). Per quasi due ore e mezza
Clint Eastwood e lo sceneggiatore J. Michael Straczynski raccontano la «storia vera» –così si
legge nei titoli di testa –del rapimento del piccolo Walter Collins (Gattlin Griffith), avvenuto a Los
Angeles nel marzo del 1928. E non ce ne sono molte di ragioni, per aver fiducia in quel che accade
attorno a Christine (Angelina Jolie), la madre di Walter. Eppure, quando il film finisce –siamo
ormai nel 1935 – la donna sorride, e pronuncia quella parola inattesa: speranza.
A 78 anni, Eastwood ha alle spalle una lunga carriera d'attore, iniziata nel 1955 e profondamente
segnata dal lavoro con Sergio Leone e con Don Siegel, i suoi maestri. Poi, nel 1971, passa
(anche) dietro la macchina da presa. Per anni, d'altra parte,pesa sul suo cinema un pregiudizio
legato soprattutto a quel Dirty Harry che in Italia è conosciuto come Ispettore Callaghan, "nato"
proprio nel 1971 con un bel film di Siegel ( Ispettore Callaghan: il caso Scorpio è tuo). Sembrava
ad alcuni, dunque, che personaggio e regista coincidessero, e che fossero entrambi "maneschi".
Inutilmente, film dopo film, Eastwood dava prova di un mestiere sempre più raffinato, e anche di
averla, una sua poetica nient'affatto muscolare. Non serve a convincere i suoi critici ostinati che
nel 1992 giri Gli spietati, grande western colmo di tristezza e di orrore per la violenza che percorre
la società e l'immaginario degli Usa. Neppure serve che, l'anno dopo, con Un mondo perfetto > la
tenerezza e l'amore per la vita vincano sulla violenza e sulla passione per la morte. Occorre
dunque aspettare fino a I ponti di Madison County (1995) perché lo stereotipo del "macho" si incrini
davvero. E poi, da Mystic River (2003) e Million Dollar Baby (2004) a Flags of our Fathers e Lettere
da Iwo Jima (entrambi del 2006), quel pregiudizio sembra confutato una volta per sempre.
Soprattutto, sembra confermato quello che i suoi estimatori da tempo vanno sostenendo:
Eastwood è un grande narratore per immagini, e i suoi film hanno la potenza quieta e immediata
del cinema classico.Così è, appunto, Changeling: potente, quieto, immediato. Lo è anche perché
tiene le emozioni ben dentro la pulizia di un racconto che mai cede alla tentazione dell'effetto
drammatico. Non è urlato il dolore di Christine, e non sono urlati gli orrori scoperti dall'agente
Lester Ybarra (Michael Kelly) nella fattoria di Gordon Northcott ( Jason Butler Harner, bravissimo a
tenere il suo personaggio in bilico tra follia e perfidia).Ma non per questo li si soffre meno, in
platea. Al contrario, le emozioni traggono forza dal contrasto con la compostezza e la semplicità
della narrazione, quasi che proprio la sua "trasparenza" le rendesse più nostre. Dietro questa
trasparenza, ancora, si intravede e si sente un punto di vista morale e umano netto, appassionato.
In un certo senso, lo sguardo di Christine potrebbe essere quello stesso di Eastwood. Potrebbe
essere sua la tenacia con cui la donna si oppone al capitano J.J. Jones (Jeffrey Donovan), e alla
sua decisione di "restituirle" non suo figlio, ma una sorta di sosia, ritrovato per caso in un bar
perduto da qualche parte in California. E potrebbe essere ancora suo il coraggio di Christine di
fronte alla prepotenza e alla persecuzione con cui Jones tenta di fiaccarne la resistenza.La Los
Angeles di Changeling è come quella di L. A.Confidential (1997).Come nel bel film di Curtis
Hanson, la città è controllata e dominata da una polizia corrotta e criminale, alleata con la politica.
In un certo senso, a parte il reverendo Gustav Briegleb (John Malkovich) e la sua radio, quella di
Christine è la sola voce dissonante,la sola che –nel tentativo di riavere suo figlio –si opponga alla
prepotenza diventata potere. Questo probabilmente affascina Eastwood, nella storia vera di 80
anni fa: questa solitudine che diventa eroica.Nel suo scontro con la polizia –verrebbe da dire, con
l'istituzione che si fa padrona degli individui –, la donna somiglia al Frank Morris che lo stesso
Eastwood interpretò in Fuga da Alcatraz (Siegel, 1979). Entrambi sono eroi dell'individualità, in
questo profondamente americani. Christine, appunto, è tanto americana da essere per Eastwood
una sorta di risarcimento, dopo Flags of our Fathers e la sua distruzione impietosa del mito e anzi
proprio della menzogna costruita attorno alla bandiera issata a Iwo Jima. Ed è questo, forse, il
senso della speranza su cui si chiude Changeling: nonostante il potere, nonostante la sua
prepotenza, il futuro può ancora essere di Christine Collins, e del suo coraggio.
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Lietta Tornabuoni –la Stampa
Un bel film drammatico solido, bene ideato e bene ambientato, in cui Clint Eastwood esalta quelle
che considera le autentiche virtù americane e Angelina Jolie non sa fare granché ma trasforma la
sua espressività elementare in un elemento di fascino. Si racconta una storia vera, un episodio di
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telefoniste, denuncia la scomparsa del suo bambino di nove anni. La polizia non arriva a trovarlo,
sembra: ma dopo cinque mesi le presenta un ragazzino, con gran clamore propagandistico. Lei
non lo riconosce. Non è suo figlio. Nella confusione promozionale, sul momento lo prende con sé,
ma non può accettarlo. Oltre la sua certezza, esistono pure dati obiettivi: il ragazzino è alto sette
centimetri meno di suo figlio, diversamente da suo figlio è circonciso. La polizia non vuole essere
smentita né veder trasformato il suo successo pubblicitario in un errore. Diffama la giovane madre:
ecco una che rifiuta il figlio bambino per fare la vita libera. La chiudono in un ospedale per malati
mentali, con tutti i relativi maltrattamenti: ma la donna ha amici e sostenitori, un combattivo
predicatore, un grande avvocato, la gente solidale, e debbono rilasciarla. Lei insiste: quel
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di cronaca, particolarmente terrificante, porta quasi a una soluzione della questione: viene
arrestato un rapitore e massacratore di bambini, e il piccolo sostituito potrebbe essere tra le sue
vittime. Nella realtà la conclusione fu più incerta, ma il fatto sicuro rimane che la giovane donna
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a.E’unodiquei casi strazianti in cui una persona senza potere viene a
trovarsi in balìa delle istituzioni onnipotenti: il film loda il coraggio, la resistenza, la volontà di non
piegarsi, la forza della ragione della giovane donna e dei suoi sostenitori, accusa le sopraffazioni e
le malvagità della polizia e dei suoi complici. Se il caso è orribile, è tenace la speranza di
sopravvivere alla prepotenza.
Paolo Mereghetti - Il Corriere della Sera
Clint Eastwood torna in concorso per la quinta volta sulla Croisette con il ritratto a tutto tondo di
una donna sola e determinata, convinta che «le liti non bisogna mai iniziarle ma sempre finirle».
Anche se ci si trova a litigare con la polizia di Los Angeles. The Exchange (Lo scambio) è tratto da
una storia vera (che a sentire lo sceneggiatore J. Michael Straczynski rispetta con molta fedeltà)
ed è ambientato nella Los Angeles della depressione: il 10 marzo 1928, tornando a casa dal lavoro
Christine Collins (Angelina Jolie) non trova più suo figlio Walter. Disperso? Rapito? L' impegno
della polizia sembra molto più superficiale dell' angoscia della madre, almeno fino a quando, due
mesi dopo, il capitano Jones (Jeffrey Eore) si presenta con lo «scomparso». Che però la madre
non riconosce. Ed è adesso che comincia il vero dramma, perché la polizia (accusata da molti di
essere corrotta e inefficiente) non vuole ammettere il proprio errore e di fronte alle proteste della
donna - sola e senza marito - arriva a farla internare come squilibrata. Non è la prima volta che
una donna è l' eroina di un film di Eastwood. È la prima dove il personaggio femminile non abbia
lati oscuri, sia in qualche modo così «monocorde»: rispettosa, pudica ma anche determinata,
incrollabile, senza neanche quelle astuzie un po' maligne che i momenti di scontro di solito fanno
nascere. No, neppure in manicomio Christine riesce a cambiare il suo carattere, di testarda
assertrice della propria verità. È la forza del personaggio e della prova di Angelina Jolie (che non
diresti mai la stessa interprete di Lara Croft o di Mrs. Smith) ma forse è il lato debole del film che
ogni tanto rischia di diventare solo una specie di «crociata» contro l' incompetenza e l' arroganza
della polizia. Il film e l' odissea della protagonista hanno una svolta con la scoperta della macabra
verità sui massacri di bambini che un maniaco (Jason Butler Harner) compiva nella sua fattoria,
grazie alla confessione del cuginetto che aveva costretto a diventare suo complice, ma anche qui
la sceneggiatura finisce per sottolineare maggiormente la determinazione dell' eroina che l'
assurda follia di un Male che non risparmia neanche i bambini (la grandezza di Mystic River
nasceva proprio da qui, dalla perdita d' innocenza di un ragazzo...). Eastwood racconta tutto con l'
occhio di chi sembra rassegnato alla sconfitta, alla corruzione, al dolore ma senza che questa
coscienza diventi strumento per scavarne nelle «cause» o per trovarne delle «ragioni». La cupezza
ma anche la lucidità di film come Mystic River e Million Dollar Baby lasciavano nello spettatore
molta più inquietudine e incertezze. The Exchange ci lascia la conferma dell' abilità di Eastwood
come regista e come narratore, ma in fondo lo sapevamo già.
Fabio Ferzetti –il Messaggero
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Una donna sola, un figlio che scompare, l'America dura e dimenticata della Grande Depressione.
Sì, dimenticata: anche se l'abbiamo vista mille volte Clint Eastwood, che in quell'America è
cresciuto, teme che oggi in realtà se ne sappia ben poco. Dunque la ricrea nel suo stile classico e
contenuto, anche per smorzare i toni di una storia (vera) che in altre mani sarebbe stata
insostenibile.
Tre atti, dunque. Nella prima parte di The Exchange Christine Collins, madre single ante litteram,
funzionaria di una compagnia telefonica di Los Angeles quando il lavoro femminile era agli albori
(una sorvegliata, efficacissima Angelina Jolie), vede sparire nel nulla il suo unico figlio di dieci anni.
La polizia minimizza ("aspettiamo almeno 24 ore, vedrà che torna"); poi, mesi dopo, le riconsegna
il figlio in pompa magna con tanto di conferenza stampa alla stazione. Christine capisce al primo
sguardo che quel bambino non è suo figlio, ma la polizia insiste, lei è sconvolta, lui è
traumatizzato, certo che è un po' diverso e poi non sa dove andare, insomma se lo prenda e non
rompa le scatole. Così quando, dopo aver tentato invano di convincersi (è pur sempre una donna
degli anni 20), Christine torna alla carica, il capo della polizia la ammanetta e la spedisce in
manicomio.
Secondo atto: l'orrore. Christine scopre di non essere sola. In quella fossa dei serpenti ci sono
altre donne scomode, "curate" a suon di pillole e elettrochoc. Fuori invece il reverendo Briegleb (un
curioso John Malkovich), che tuona in chiesa e alla radio contro gli sbirri corrotti di L.A., scopre il
suo caso e la salva. Sferrando un primo duro colpo alla polizia, inciampata nel frattempo in un
ragazzino che confessa in lacrime di aver aiutato un maniaco a uccidere e seppellire almeno venti
bambini in una fattoria (e stavolta si può capire che non lo credano subito...).
Terzo atto: la giustizia (forse). Christine continua a sperare (la storia resta aperta fino all'ultimo
fotogramma), ma partecipa a due processi. Contro la polizia, con l'intera città al suo fianco; e
contro il maniaco. Stavolta però è sola perché il folle la coinvolge in un gioco morboso di
pseudorivelazioni che si protrae fino al giorno dell'impiccagione, ripresa da Eastwood con un secco
verismo che contrasta un poco con i toni di questa vicenda così paradossale, atroce e piena di
risvolti che a tratti si stenta un poco a seguirla. Anche perché a ogni svolta del racconto Eastwood
apre nuove piste. Offrendo tra le righe perfino uno scorcio non banale della nascente società dello
spettacolo (sono gli anni in cui il cinema diventa sonoro) e delle sue patologie (nel finale Christine
scommette sull'Oscar a Accadde una notte, mentre il piccolo impostore deciso a farsi passare per
suo figlio confessa di averlo fatto per veder girare i film di Tom Mix...). Quasi un capitolo di quella
controstoria dell'America che Eastwood va scrivendo anno dopo anno con i suoi film. Sia che
racconti la grande storia (Flags of Our Fathers, Lettere da Iwo Jima) o che illumini le vite di
personaggi ai margini come in Mystic River, in Million Dollar Baby e ora in The Exchange.
Boris Sollazzo –Liberazione
Clint Eastwood non reciterà più. Un annuncio che qualche giorno fa ci aveva un po' rattristato, ma
Changeling ci consola: il nuovo film da regista del cowboy (inspiegabilmente a secco a Cannes
2008, antiamericanismo snob?) è l'ennesima perla di una seconda carriera in cui si fa fatica a
trovare un film brutto o solo sbagliato. Da quando, infatti, è passato dietro la macchina da presa,
Eastwood non ha sbagliato un colpo, più preciso ed efficace del suo fascistissimo ispettore
Callaghan. Avendo imparato il cinema dai migliori, ha saputo costruire una squadra di artisti quasi
imbattibile, dal figlio musicista a sceneggiatori di grande talento, dall'Oscar Paul Haggis J. Michael
Straczynsky, che ha scovato negli archivi del Los Angeles Times questa storia. Racconti epici e
mai retorici, toni e temi fortemente impegnati - il diritto alla morte, la guerra, i crimini contro
l'infanzia - è morale e politico nel senso più nobile del termine. E con Changeling siamo dalle parti
di Un mondo perfetto e di Mystic River , e, come spesso gli accade, il cineasta ha pescato una
storia incredibile ma vera. Christine Collins (Angelina Jolie) è una capo centralinista nella Los
Angeles del 1928. Una donna che lavora in quegli anni e in un posto di responsabilità è già atipico,
se si aggiunge che è anche una ragazza madre e vive sola con il figlioletto di cinque anni si
capisce che elemento di rottura fosse nella società di allora. Il piccolo è già maturo e quando la
mamma lavora, rimane a casa da solo: un giorno, però, Christine non lo trova più. E' stato rapito.
L'inetta polizia di LA, già umiliata dai criminali impuniti che scorazzano nelle sue strade, si mette
alla ricerca del bambino e dopo cinque mesi lo trova. Peccato che sia un altro e questa madre,
beffata per la seconda volta dal destino, non rinuncia, dopo il primo shock, a combattere la sua
battaglia, a cercare il figlio. Chi lo conosce, dal medico personale alla maestra, la sostiene, ma
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l'opinione pubblica e la polizia stessa, bisognosa di un successo da mettere in bacheca, nega
l'evidenza. Noi siamo spettatori partecipi e commossi di questo angoscioso e kafkiano percorso in
cui il sistema non esita a schiacciare il singolo, fino alle estreme conseguenze. Eastwood ci porta
ottant'anni indietro, in una metafora reale del presente. Gettandoci nella disperazione e nella
speranza: il potere costituito arrogante e prepotente in tempi di grande Depressione (non solo
economica) ricorda Bush e il post 2001, le angherie subite da questa madre coraggio, la caccia
alle streghe (vedi il manicomio), quasi una Guantanamo ante litteram. Ci mostra, però, anche un
mondo in cui la ribellione popolare, l'indignazione pubblica (qui il veicolo è un pastore presbiteriano
populista, un ottimo e irriconoscibile John Malkovich), la consapevolezza e la solidarietà degli umili
poteva riscattare anche le peggiori ingiustizie. La regia è come sempre perfetta ed essenziale,
Angelina Jolie si scopre grande attrice in una parte difficilissima. Opera morale e politica, pervasa
di un femminismo di sostanza, capolavoro che in tre atti (la tragedia pubblica, l'orrore privato, la
parziale e dolorosissima catarsi su entrambi i piani) racconta una storia straordinaria, insostenibile
per qualunque altro regista. Giù il cappello, a larghe tese ovviamente, e onore al grande Clint.
Mariuccia Ciotta - il Manifesto
«Noi faremo delle strade di Los Angeles il nostro tribunale permanente e abbatteremo gli assassini
sul campo. Non voglio che mi consegnino vivo nessuno di questi uomini, li voglio morti, e punirò
ognuno dei miei che mostrerà la minima pietà per quei criminali». A parlare non è Dirty Harry nel
film di Clint Eastwood The Changeling, ma il capo della polizia James «Two Guns» Davis, che
comandava la Lapd (L.A. Police Department) nel 1928, agli ordini del sindaco-sceriffo George E.
Cryer. Storia vera, poliziotti e politici veri. Ed è «la verità la virtù più importante del pianeta» dice il
regista, che ha prodotto e composto le musiche del più dark dei suoi film, più di Million Dollar Baby
(Oscar 2004). Le lettere da Iwo Jima questa volta portano il timbro di Los Angeles. La «mezzanotte
nel giardino del bene e del male» richiama lo spirito di Christine Collins (Angelina Jolie) che alla
vigilia della Depressione fu al centro di un caso che sconvolse la città e che rimase sepolto tra le
polvere dell'archivio del Los Angeles Times, prima che arrivasse nelle mani di Eastwood.
La maschera bianca di Angelina Jolie, bocca come un segnale rosso sangue è stagliata nella
penombra. Il suo sguardo cambierà dall'epoca delle presidenze Coolidge e Hoover, i liberisti del
«laissez faire» che scatenarono i più forti contro tutte le Christine Collins, fino all'attualità
dell'America di oggi. Lavorava in un call-center degli anni Venti la donna che tornando a casa non
trovò più il figlio Walter di 9 anni. Scomparso, rapito. Dopo pochi mesi la polizia le riconsegnò un
bambino che diceva di essere Walter, ma non lo era. Da qui Eastwood riprende i fili di Mystic
River, dal giorno del Columbus Day per scatenare tutta la sua potenza di fuoco sulla «perdita
dell'innocenza» di un paese alla ricerca di qualcuno che si ribelli. Mai il cineasta di San Francisco,
che il 31 maggio compie 78 anni, è andato così dritto al cuore, mai la sua radiografia dell'America
è stata così spietata. Il corpo leggero di Christine Collins si muove nel labirinto degli orrori, che
nessun Ellroy saprà descrivere, una polisinfonia di generi che passano uno nell'altro senza cesure,
dal dramma familiare allo splatter, dal poliziesco, al thriller al cinema politico a quello manicomiale
in un percorso ipnotico che evoca ogni gioiello hollywoodiano, passato e futuro. Il bambino,
dunque, non è Walter, ma il poliziotto J.J. Jones violentemente insiste, accusa Christine di essere
una folle madre snaturata e la fa rinchiudere in un ospedale psichiatrico senza autorizzazione e
senza processo, in applicazione del «Codice 12», che permetteva di internare le persone «difficili».
La gente amava gli happy-end e la Lapd che dal '28 ad oggi non ha cambiato reputazione,
pessima, voleva incassare il successo del bimbo ritrovato. Esecuzioni di notte contro i muri di Los
Angeles, prigionieri mitragliati stile Al Capone, cadaveri buttati nei canali, Clint ci dà un quadro
d'insieme di chi ha scritto sulla divisa «Proteggere e servire». L'età dell'oro di Hollywood si sgretola
come negli Spietati l'epopea del West. Tram rossi percorrono surreali la città degli angeli da
Pasadena a Santa Monica, dall'estremo nord all'oceano, prima dello smantellamento del servizio
pubblico. Eastwood li ricorda quand'era bambino e il padre, girovago della Depressione, lavorava a
una pompa di benzina. Tram elettrici che portano Christine Collins dalla vita normale al lettino
dell'elettroshock, brutalizzata, umiliata, drogata perché ha osato contraddire la polizia. Quel figlio
non è suo, continua a ripetere. E The Changeling va verso il Samuel Fuller di Shock Corridor e il
gelo mortale dei trattamenti psichiatrici di Titicut Follies di Wiseman. Tutto in un film, ghiacciata
apocalisse, sulla forma morale dei resistenti alle ingiustizie, come il pastore presbiteriano Gustav
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A. Briegleb (John Malkovich) militante del pulpito, che aiuta Christine e dalla sua stazione radio
rivela gli abusi della Lapd. L'enigma della scomparsa del piccolo nasconde un capitolo horror,
l'abuso sui bambini, e Clint ci fa assistere a una carneficina fuori campo con il serial-killer Gordon
Stewart Northcott (Jason Butler Harner), che fa a pezzi con l'accetta le vittime dei suoi sequestri.
Una fattoria in mezzo al nulla e l'indicibile sacrificio umano, compiuto con l'aiuto di un ragazzino
forzato a uccidere, che poi confesserà tutto. Ecco, il condannato ideale da mandare a morte, il
pedofilo assassino. E ancora Eastwood ci accompagna in un altro girone dell'inferno, sotto la
forca, dove in diretta il pervertito macellaio sarà impiccato. «True crime», il vero crimine che ci
riguarda. Insieme ai famigliari dei bambini uccisi, assistiamo agli ultimi istanti dell'uomo
incappucciato che canta Silent Night, una canzone di Natale. Struggente, intollerabile sequenza
per «ritrovare una certa pace interiore», se siete a favore della pena capitale. «Di quale pace
parlate? - si chiede Eastwood - Dopo uno spettacolo simile, quale tranquillità sperate di ritrovare?
È per questo che ho voluto filmare questa scena con il più grande realismo, il rumore del collo che
si spezza quando il corpo oscilla nel vuoto, i piedi che si agitano al momento dell'agonia... è
insopportabile da vedere, ed è questo l'effetto che cercavo». Nella realtà, Northcott fu condannato
all'ergastolo. Walter non fu mai ritrovato, ma la madre cercò ancora e la parola «speranza» è
l'ultima pronunciata da Angelina Jolie. Christine Collins aveva insegnato al figlio a essere gentile
con gli altri, e Walter probabilmente fu ucciso dal maniaco perché tornò indietro a salvare un
compagno di fuga. E lei, che pensava di lottare solo per il suo bambino, si ritrovò a combattere per
l'abolizione del «Codice 12», per la condanna del capo della polizia e per la caduta del sindaco.
Dopo verrà Franklin Delano Roosevelt, un «new deal». Un manifesto poetico-politico, cinema
classico e futuribile, visione di quel che non vediamo. Illuminato magnificamente di ombre da Tom
Stern, direttore della fotografia di quasi tutto Eastwood, il film è stato finanziato dall'Universal e, tra
gli altri, da Ron Howard, assente invece la Warner Bros, che accoglie da sempre gli Studios della
Malpaso. The Changeling non ha vinto la Palma d'oro 2008 (sarebbe stata la prima volta di Clint)
ed è stato recensito tiepidamente perché privo, dicono, dell'ambiguità eastwoodiana. Eppure la
luce accecante del film è più inquietante di ogni ombra.
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