INDIVIDUO E CASO RINALDO RINALDI Università degli Studi di

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INDIVIDUO E CASO RINALDO RINALDI Università degli Studi di
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CONTRIBUTI
MISFITS: INDIVIDUO E CASO
RINALDO RINALDI
Università degli Studi di Parma
1.
I protagonisti di Guido Morselli, come il Marcel di Proust, sono tutti
degli spostati o meglio (per usare il più preciso termine inglese che
ha ispirato un bel film di John Huston con sceneggiatura di Arthur
Miller) dei misfits: pezzi di scarto, che non possono entrare nel gioco perché
[...] muniti di contorni irregolari, inadatti alla nicchia preparata per loro nel
gigantesco puzzle sociale dell’esistenza. Non pensiamo solo all’ipocondriaco
e “fobantropo”1 Io di Dissipatio H. G., o all’ipocondriaco giornalista di Un
dramma borghese. Pensiamo anche al distaccato e ironico colonnello von
Allmen di Contro-passato prossimo. Un’ipotesi retrospettiva, una sorta di
Everyman che dà una spinta alla storia rimanendo fuori dalla storia
(“Désenchantement, ecco il termine”)2. Pensiamo a Re Umberto I del
Divertimento 1889, dissociato dalla propria figura ufficiale o dal suo
“mestiere” di sovrano e trascinato dal desiderio mai completamente esaudito
di “cambiare mondo”3. Il punto estremo è toccato dal protagonista
dell’abbozzato romanzo Uonna, non tanto un androgino quando “un
individuo assolutamente privo di caratteri sessuali, sia primari che secondari:
non ha organi genitali interni od esterni [...]. Non ha nemmeno desideri
sessuali, complessi edipici, rimossi”4. L’ambivalenza non è insomma positiva
ma puramente negativa, un’assenza di tratti che ‘sposta’ il personaggio in una
sorta di limbo, lo sospende dalle normali attività dell’esistenza, lo fa esistere
come non-esistente. Già il protagonista di Dissipatio H. G., del resto,
marcava la sua eccezione (la sua solitudine fisica e metafisica) con il
travestimento:
Mi infilerò il collant, un (superfluo) reggicalze a roselline celesti, e le mie
gigantesche mutandine di pizzo.
Da qualche giorno uso dessous da donna, scelti al Grande Emporio.
La mia pinguedine, che è aumentata, non si adatta male a questi accessori
inusuali, anche se le masse muscolari gonfiano pericolosamente il nylon
delle calze. La sera spogliandomi non ho turbamenti, né fisici né psichici,
quelle gambe pelose e poderose sono soltanto claunesche, sotto il velo
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nero. [...] Nessun autoerotismo, comunque; in me la sessualità non mi è
mai parsa deviante, e da un pezzo, ora, langue, come deve.
Se mai, imito il grande attore giapponese Omagàta, il quale interpretava
unicamente ruoli di donna, in vesti da donna5.
La suggestione giapponese, proveniente dal grande saggio nipponico di
Roland Barthes L’Empire des signes6, dà rilievo appunto allo straniamento,
alla separazione fra ruolo ed essenza, fra la maschera e il volto. Ma la più
perfetta incarnazione del misfit morselliano è forse quella di Umberto I che
viaggia per la prima volta in incognito e per “divertimento”, in Svizzera:
Stavolta qualche cosa di nuovo. Un incognito che non sarebbe stato una
burla. Trasformarsi in un signor X, Y o Z: rinascere, quindi, o cambiare
mondo. All’estero per giunta, dove ciò poteva non essere illusorio, e
durare7.
Se infatti l’incognito è “libertà”, intesa hegelianamente come “ventaglio dei
possibili”8 che si aprono davanti all’Io ritrovato nella propria autenticità:
Lui era solo, vivaddio, in mezzo a quella gente che di lui non sapeva
niente. Senza accompagnatori né custodi, senza commissari di polizia mal
camuffati da borghesi [...]. Per lui non esisteva altro che quella sua privata
felicità;
esso è anche lo stigma della separazione che ribadisce il ‘non essere’ del
soggetto, privo del suo ruolo convenzionale e impossibilitato ad assumerne
un altro, come già accadeva al Mattia Pascal pirandelliano. La libertà di
Umberto I è infatti provvisoria, fragile, illusoria, continuamente interrotta
dalle ingerenze del mondo esterno; ad ogni istante si capovolge in imbarazzo,
sospetto, minaccia d’infelicità, poiché anche in questo caso la “pienezza della
vita”9 è ostacolata dalla “sofferenza” e dal “male”, che consistono appunto
“nell’inappagamento di un bisogno, nell’incapacità di svolgere una
funzione”10. L’incognito, allora, coincide in fondo con la solitudine
originaria, con quell’“egoismo del sentimento”11 che Morselli descrive in un
suo “Capitolo breve sul suicidio”:
[...] ci sono momenti in cui il dolore incombe sovrano, ed esclude da noi
tutto quando non sia il sentimento della nostra angoscia, di quell’angoscia
che è, riconosciamolo, soprattutto solitudine. Ci si sente soli col dolore,
che ci impedisce persino la visione, nonché la considerazione, di altri
esseri, per quanto legati a noi. E perché un uomo normale, sano di corpo e
di mente, si dica “non posso più vivere” occorre appunto che in lui si dia
quel dolore, con quell’intensità, con quella sciagurata sua facoltà di far
tacere ogni speranza e ogni fede12.
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Al problema del male inteso come una sorta di “anti-io”, “urto contro
un’estranea forza operante a nostro danno”13, Morselli dedica gran parte del
saggio filosofico Fede e critica, scritto negli anni Cinquanta e uscito
postumo. A livello narrativo, invece, il tema produce una figura ricorrente di
probabile origine dannunziana, ma articolata come un ossessivo fantasma
personale: quella del labirinto dove il soggetto si smarrisce, come i soldati
francesi “sulle alture intorno a Modane”14 in Contro-passato prossimo.
Un’ipotesi retrospettiva, o Umberto I nel “sottobosco irto e compatto”15 in
Divertimento 1889, o il padre nel parco dell’ospedale durante la grande
sequenza onirica che sigilla Un dramma borghese, o l’uomo superstite in
Dissipatio H.G. col suo “lungo, lento vagare”16 fra le strade di un mondo
ormai deserto17. È nel labirinto che il misfit morselliano trova il suo spazio
elettivo, la sua solitudine materializzata nella figura di uno specchio, come
Ilaria che nel racconto lungo Incontro col comunista si smarrisce
disperatamente nella stazione centrale di Milano:
Davanti ai cancelli chiusi una folla: impossibile aprirsi il varco. Mi rivolto
a un ferroviere; è proibito ai borghesi avvicinarsi al treno. Provo dalla
parte del buffet, ed è tutto chiuso e sorvegliato anche là. Ritorno indietro
attraversando di nuovo la saletta del buffet18.
2. Morselli ha sempre diffidato della psicoanalisi e l’ha sottoposta in più
occasioni ad una corrosiva ironia: basta pensare alla clamorosa parodia
affidata al romanzo satirico Roma senza Papa. Cronache romane di fine
secolo ventesimo, dove il personaggio caricaturale di don Rusticucci incarna
una variante teologica e insieme futuristica del determinismo psicoanalitico 19.
Nel Diario ci sono belle pagine dedicate alla necessità di un rafforzamento
dell’Io e ad una “psicologia del conscio”20. Umberto I, in Divertimento 1889,
non si permette se non eccezionalmente una confessione o un’auto-analisi:
Riflettere su se stesso, indagarsi, indagare? Si riconosceva manie e
debolezze: fisime di questo genere no. Lui, si lasciava vivere21.
E il protagonista di Dissipatio H.G., addirittura, non possiede inconscio:
[...] devo dire che la mia vita psichica è povera. Anche nel senso della
semplicità, della elementarità. Si presta alla ragioneria: le frustrazioni
inconsce e i pathos viscerali, i mali oscuri che connoterebbero l’uomo
moderno, io, devo confessarlo, non me li trovo22.
La solitudine e lo straniamento, infatti, non trovano mai scampo sul
versante dell’interiorità; i personaggi si cristallizzano sempre all’esterno,
come figure dolorose tutte d’un pezzo, blocchi di angoscia non analizzabili.
Davvero esemplare in questo senso è il protagonista del romanzo-saggio Il
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Comunista, Ferranini, che ripetutamente traduce la crisi dell’ideologia in una
sorta di pessimismo esistenziale attingendo alla filosofia di Hannah Arendt:
Il pericolo che ci incombe è il pericolo di essere soffocati dentro il nostro
io, dalla realtà che ci circonda, o ci assedia. Il rischio di non potere venire
fuori dal nostro nocciolo di sostanza viva e cosciente, chiuso da ogni parte
dalla ostilità (inerte o attiva) delle cose che gravano su di esso
opponendosi al suo esplicarsi. […] dover resistere ogni giorno alla
malattia e all’invecchiamento, al disfacimento organico, e cioè sempre
alla volontà ostile della natura23.
Si comprende allora perché il punto di partenza e d’arrivo dei labirinti
morselliani sia sempre l’individuo, il soggetto considerato come limite
insieme naturale ed espressivo, soglia non superabile verso un al-di-qua
psicologico o un al-di-là sociale (quella “socialidarietà”24 vagamente
buberiana che Morselli ipotizza, ma che è sempre frustrata a livello teorico e
narrativo):
Sono sempre stato un nominalista: la società non esiste, ciò che esiste
sono i gruppi, anzi l’individuo tout court.
La sola realtà di cui l’uomo debba tener conto è quella che egli stesso crea
come individuo25.
L’individuo morselliano è un dato a priori da cui possono derivare soltanto
conclusioni estreme, come la negazione della sessualità e della riproduzione
biologica (nell’abbozzo di Uonna):
C’era bisogno della sessualità, questo dualismo al cui confronto il
binomio capitale-lavoro diventa poco più di un gioco di parole?
Risponderei: no. Il fenomeno della riproduzione non è più complesso o
più importante della conservazione dell’individuo; la quale si svolge
nell’ambito della sfera individuale, del singolo individuo. [...] È
artificioso e in fondo inspiegabile che gli organismi singoli non abbiano
in sé l’occorrente per riprodursi e debbano accoppiarsi a due a due. Ma
questo artificio può e deve essere soppresso26.
Oppure la liquidazione della storia universale, proiettata e per così dire
concentrata tutta nell’Io, con vertiginoso e soffocante restringimento (la
scomparsa degli umani in Dissipatio H.G. è la figura più perfetta di questo
“solipsismo”):
Richiamo l’immagine antica (ma è mia, e me la sono inventata qualche
giorno fa) della piramide, anzi le due piramidi, opposte e congiunte per la
base. Dall’ominide capostipite ai miliardi di uomini viventi nell’èra
16
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ultima. E da questi miliardi di uomini al successore, restringendosi di
colpo la seconda piramide in me, successore e erede, unico esemplare
sopravvissuto27.
L’individuo morselliano, perfettamente chiuso a sollecitazioni interne o
esterne (“non c’è un singolo scopo, nemmeno uno, in niente, né fuori né
dentro di noi”)28, non diventa mai un punto di partenza narrativo: le vicende
di questi romanzi non nascono dalle iniziative o dalle idee di un personaggio,
ma quasi sempre dalla situazione, subìta con distacco e indifferenza anche se
accolta fino alle ultime conseguenze. Si pensi all’azione di Contro-passato
prossimo. Un’ipotesi retrospettiva, dove l’intera storia europea a partire dalla
Grande Guerra si modifica radicalmente (per “ipotesi retrospettiva”)29, a
partire da una galleria fra Tirolo e Valtellina scoperta – ma senza
rivendicarne la responsabilità individuale – dal protagonista:
Il fatto lo colpì all’improvviso [...] e così ovvio e vistoso, da parergli
impossibile che nessuno ci avesse badato. Quest’impressione gli rimase
per anni, e il colonnello Schwanthaler [...] suo amico e confidente, non fu
capace di fargli rivendicare il merito dell’idea. Una situazione, Walter
ribatteva, non è un’idea. È nelle cose e nei luoghi, non nella testa di
qualcuno30.
La “situazione”, a ben guardare, non è altro che l’accettazione del caso cioè
della schiacciante superiorità di “cose” e “luoghi” su un soggetto privo di
iniziativa e di senso, inesorabilmente legato al suo ruolo di misfit. Morselli, in
Contro-passato prossimo. Un’ipotesi retrospettiva e nella recensione a un
noto volume di Jacques Monod, suggerisce che “l’individuo, con la sua
immaginazione e la sua decisione”31 possa scavalcare la tradizionale
contrapposizione fra Necessità e Caso, rendendo “ammissibile il ‘miracolo’
dell’azione diretta a uno scopo”32. L’ipotesi tuttavia, come nel caso della
“socialidarietà”, è puntualmente contraddetta dalle pagine diaristiche e
narrative dello scrittore, fino ad assumere il tono malinconico di un wishful
thinking. Tutti gli ‘spostati’ di Morselli, infatti, non hanno il potere di
realizzare alcun miracolo e continuano a percorrere disperatamente i labirinti
del caso:
[...] un caso, voglio ammetterlo, “qualificato”, cioè non privo di certe
accortezze e di certe regolarità [...] ma che rivela troppo bene [...] la sua
disordinata fortuità, la sua inconsapevolezza, la mancanza di un fine e di
un piano33.
__________
NOTE
1
Cfr. G. Morselli, Dissipatio H.G., Milano: Aldephi, 1997, p. 45.
17
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2
Cfr. Id., Contro-passato prossimo. Un’ipotesi retrospettiva, Milano:
Adelphi, 1983, p. 258.
3
Cfr. Id., Divertimento 1889, Milano: Adelphi, 1995, pp. 34-35.
4
Cfr. E. Borsa, “Il femminile, la femminilità”, in Guido Morselli: i percorsi
sommersi. Immagini, manoscritti, documenti, a cura di E. Borsa e S.
D’Arienzo, Novara: Interlinea, 1998, p. 75.
5
G. Morselli, Dissipatio H. G., cit., pp. 140-41.
6
Si veda R. Rinaldi, “I romanzi a una dimensione di Guido Morselli”, in Id.,
Un violino è sospeso in aria. Generi di prosa e altro, Milano: Unicopli,
2005, pp. 226-28.
7
G. Morselli, Divertimento 1889, cit., p. 35.
8
Cfr. ivi, p. 76.
9
Cfr. Id., “La felicità non è un lusso”, in Id., La felicità non è un lusso, a
cura di V. Fortichiari, Milano: Adelphi, 1994, p. 97.
10
Cfr. ivi, p. 94.
11
Cfr. Id., Proust o del sentimento, a cura di M. Piazza, Note al testo di M.
Francioni, Torino: Ananke, 2007 [1a ed. 1943], p. 200.
12
Id., “Capitolo breve sul suicidio”, Id., La felicità non è un lusso, cit., p.
125.
13
Cfr. Id., Fede e critica, Milano: Adelphi, 1977, p. 158 e p. 32.
14
Cfr. Id., Contro-passato prossimo. Un’ipotesi retrospettiva, cit., pp.
132-33.
15
Cfr. Id., Divertimento 1889, cit., p. 66.
16
Cfr. Id., Dissipatio H.G., cit., p. 48.
17
Sul tema si veda R. Rinaldi, “I romanzi a una dimensione di Guido
Morselli”, cit., pp. 225-30.
18
G. Morselli, Incontro col comunista, Milano: Adelphi, 1980, p. 126.
19
Si veda anche l’attacco alla “psicologia” in Id., Dissipatio H.G., cit., p. 68;
e il sorriso scettico sulla “oniromanzia” di Karl Abraham nel finale di Id.,
Contro-passato prossimo. Un’ipotesi retrospettiva, cit., pp. 259-61.
20
Cfr. Id., Diario, Prefazione di G. Pontiggia. Testo e note a cura di V.
Fortichiari, Milano: Adelphi, 1988, pp. 352-58.
21
Id., Divertimento 1889, cit., p. 81.
22
Id., Dissipatio H.G., cit., p. 19.
23
Id., Il Comunista, Milano: Adelphi, 1976, pp. 261-62.
24
Cfr. Id., Diario, cit., p. 351; Id., La felicità non è un lusso, cit., pp. 10809; Id., Dissipatio H.G., cit., p. 147 (qui da un punto di vista disilluso e
davvero postumo).
25
Ivi, p. 97.
26
Id., Uonna, citato in E. Borsa, “Il femminile, la femminilità”, cit., p. 75.
27
G. Morselli, Dissipatio H.G., cit., p. 115 e sopra cfr. ivi, p. 52.
28
Cfr. Id., Il Comunista, cit., p. 309.
29
Cfr. Id., Contro-passato prossimo. Un’ipotesi retrospettiva, cit., p. 119.
30
Ivi, p. 13.
18
MISFITS: INDIVIDUO E CASO
31
Cfr. ivi, p. 177.
Cfr. Id., “Il caso e la necessità”, in Id., La felicità non è un lusso, cit., p.
145.
33
Id., Diario, cit., p. 181.
32
19