universita` degli studi di roma tor vergata facolta` di lettere e filosofia
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UNIVERSITA’ DEGLI STUDI DI ROMA TOR VERGATA FACOLTA’ DI LETTERE E FILOSOFIA CORSO DI LAUREA IN BENI CULTURALI PER OPERATORI DEL TURISMO (ex D.M. 509/99) TESI DI LAUREA IN Letteratura di viaggio TITOLO Dino Azzalin: viaggiatore, poeta, editore Relatore: Chiar.mo Prof. Fabio Pierangeli Laureando: Ilaria Marchetti UNIVERSITA’ DEGLI STUDI DI ROMA TOR VERGATA FACOLTA’ DI LETTERE E FILOSOFIA Anno Accademico 2011/2012 Alla mia famiglia che mi ha portata fin qui, a te, che mi sei sempre accanto e mi dai la forza. Alla disponibilità e ai consigli del professor Fabio Pierangeli e del Dottor Dino Azzalin, che mi hanno seguito passo dopo passo nella realizzazione del mio lavoro. Soprattutto a te, Papà, che da lassù mi proteggi e oggi sarai orgoglioso di me. 3 INDICE Introduzione……………………………………………………………6 CAPITOLO PRIMO Evoluzione del tema del viaggio in letteratura…………………………6 L’idea moderna di viaggio: il pellegrinaggio……………… …………….14 Il secolo d’oro dei viaggi: il Grand Tour…………………………………..22 La nascita del turismo moderno e la letteratura di viaggio……………25 Il Novecento dei viaggi……………………………………………......30 CAPITOLO SECONDO Dino Azzalin editore…………………………………………………..45 La NEM e Guido Morselli: il genio segreto…………………………..47 Il problema religioso: Unde malum?.................................................77 L’opera “profetica” di Guido Morselli: Dissipatio HG……………….87 Guido Morselli e la sua Varese: la figura ambientalista del nostro autore……………………………………………………….93 CAPITOLO TERZO: Dino Azzalin viaggiatore Viaggi…………………………………………………………………..97 Diari d’Africa tra progetti e aiuti umanitari………………………….107 A.P.A Associazione Amici per l’Africa……………………………….112 4 Luci d’Africa………………………………………………………….114 Conclusioni…………………………………………………………...119 Appendice…………………………………………………………….122 Bibliografia…………………………………………………………..130 5 INTRODUZIONE La mia tesi nasce dalla passione per i viaggi, per i libri di viaggio e per tutto ciò che descrive e racconta l’Africa. Partendo da qui ho preso in esame la figura del medico, scrittore, editore, Dino Azzalin, soprattutto per quanto riguarda il suo impegno nel sociale, con l’Associazione Amici Per l’Africa1. Azzalin è un medico-chirurgo odontoiatra, ma anche scrittore e poeta, e quello che mi interessa particolarmente sono i suoi diari di viaggio in Africa. L' Associazione da lui fondata, con altri colleghi sparsi per l'Italia, si occupa di cure sanitarie del cavo orale, nelle zone più bisognose di questo grande continente, mettendo a disposizione la propria esperienza di professionista in quei territori dimenticati e lontani. Questo lavoro nasce anche dalla personale esperienza di viaggio in Kenya a Nairobi. Un viaggio, il mio, non solo di piacere, ma anche di conoscenza di una terra che conserva varie sfumature. Qui si può trovare la città moderna, che non si differenzia dalle nostre metropoli, con il traffico, i grandi centri commerciali, le marche di prodotti italiane. Forse partendo per un continente, considerato da tutti parte del terzo mondo, non ci si aspetti di trovare una città molto simile a quella lasciata da qualche ora. Basta però allontanarsi di poco dal centro di Nairobi per trovare l’essenza dell’Africa, quella che viene mostrata nei film, nei documentari. Una cultura, per fortuna, totalmente diversa dalla nostra. Per strada ogni persona che incontri ti saluta, e non solo perché sei bianco, perché sei ad un'altra latitudine del cuore, e sorridere è più semplice. 6 Visitando la natura immensa d’Africa ho scoperto delle sensazioni nuove, il contatto diretto con la natura, la viva emozione di essere circondata da qualcosa di veramente grande, molto più grande di me, quel panorama infinito, fatto di alberi probabilmente tutti uguali, ma così distanti, in un orizzonte a perdita d'occhio, che da noi ahimè si è perso. Un’immagine indelebile nella mente. Trovarsi d’un tratto a contatto con i più grandi animali della terra, con la base della catena alimentare, la sopravvivenza, il cambio repentino di clima al calar del sole, è stato per me una vera e propria illuminazione. Tutte percezioni che a distanza di tempo sono rimaste impresse nella memoria e ancora sentite sulla pelle. Quel famoso “mal d’Africa” che ritrovo narrato in molti dei libri che ho letto per preparare questa tesi e che ho preferito proprio per questo motivo, è forse la grande nostalgia della Madre Terra, perché anche chi è stato in Africa una sola volta, non può dimenticare l'origine dell'Uomo. Ma soprattutto mi ha permesso di conoscere quella parte di mondo da noi dimenticata, quei villaggi abitati da chi non ha niente per vivere e che spesso ha bisogno del nostro aiuto per sopravvivere. Forse quando si vede tutto questo ci si rende conto di quello che ci si aspettava da questo continente, perché si sa che purtroppo quello che più si conosce dell’Africa è la povertà. Poi all’improvviso ti ritrovi circondato da bambini che non hanno nulla, eppure il loro sorriso non smette di splendere nella loro vita buia. Ed è proprio questo che ti rimane dell’Africa, il sorriso di chi non avendo molto, non pretende niente di più ed è felice giorno dopo giorno. Nel primo capitolo affronterò l’evoluzione del tema del viaggio in letteratura, dal passato fino ai nostri giorni; il viaggio come metafora della vita, il viaggio di purificazione di Dante, il Medioevo con i romanzi 7 cavallereschi, soprattutto con il viaggio in Italia: il Settecento del Grand Tour con i giovani dell’aristocrazia inglese che raggiungono la nostra penisola per motivi culturali, descrivendone gli avvenimenti nei loro diari. Fino al Novecento, con i grandi scrittori che raccontano le loro esperienze nei reportages di viaggio, e ci permettono di conoscere attraverso le loro parole nuove località, sapori e odori di lidi a noi sconosciuti. Nel secondo capitolo la mia attenzione si concentra sull’attività di editore di Dino Azzalin, con la sua casa editrice Nuova Editrice Magenta, (NEM) e le iniziative per il centenario della nascita di un autore a volte sottovalutato come Guido Morselli. La casa editrice esordì con un suo libro inedito Una missione fortunata nel 1999 e per festeggiare i dieci anni di attività nel 2009 ha proposto la ristampa di una sua opera Realismo e fantasia, unica edita dall'autore nel 1947. Nel capitolo verrà approfondita la personalità di Morselli, con la sua opera realizzata poco prima del suicidio Dissipatio HG e con altri approfondimenti a lui dedicati. Infine nel terzo capitolo mi concentrerò sulla personalità e le attività di Dino Azzalin scrittore e soprattutto della sua associazione che si occupa di molti progetti soprattutto in Africa. Prenderò spunto dalle sue poesie e dai suoi racconti di viaggio. EVOLUZIONE DEL TEMA DEL VIAGGIO IN LETTERATURA. 8 Il viaggio come avventura, desiderio di fuga da una realtà spesso indesiderata o come reportage di un inviato. Vi sono molte motivazioni che ci inducono a ricostruire un viaggio attraverso parole, pensieri, emozioni vissute. Aumentano i libri che presentano come centrale questo tema. Alcuni sono capaci di trasmettere odori, sensazioni ed emozioni del viaggio ad ogni nuova pagina. I sentieri si costruiscono viaggiando Franza Kafka Forme diverse di viaggio si susseguono nella storia, ed ogni tipo di viaggio rispecchia i problemi, i desideri, le paure degli uomini e dell’epoca in cui essi vivono. Il motivo del viaggio e del viaggiatore è al centro di molta letteratura moderna e contemporanea. Viaggi personalmente compiuti e raccontati; viaggi inventati; viaggi e viaggiatori mitici. Il tema del viaggio è universalmente conosciuto, ed è significativo che venga considerato in modo metaforico, in particolar modo per quel che riguarda la vita umana: la vita come cammino, pellegrinaggio o passaggio, il concetto della morte come “trapasso”, “ultimo viaggio”. Attraverso la metafora del viaggio si intende rappresentare le trasformazioni della vita. Il viaggio è un tema che accompagna l’uomo da sempre, con l’evolversi delle società sono cambiate anche le tipologie di spostamento. Si è passati infatti dal nomadismo delle prime comunità, per necessità di sopravvivenza, al viaggio di cultura delle popolazioni sedentarie, il 9 viaggio di piacere, fino al viaggio virtuale dei nostri giorni con la nascita di Internet. Si può viaggiare per sfuggire da qualcosa, per sottrarsi a pressioni esterne, o a insoddisfazioni interiori. Poi ci rendiamo conto che la differenza non la fa il punto di arrivo, ma il fatto stesso di viaggiare, di cambiare vita, di fare qualcosa per gli altri. Allontanarsi dal proprio habitat e sfuggire a regole che forse ormai ci vanno strette. “La penna corre spinta dallo stesso piacere che ti fa correre le strade” (Italo Calvino, Il cavaliere inesistente) In questo modo si apre il libro di Pino Fasano Letteratura e viaggio2 dove troviamo spiegato il rapporto tra il viaggio e la letteratura, e alcuni testi dove troviamo il viaggio come elemento principale. Fasano afferma che il viaggiatore e lo scrittore nascono insieme. “Il viaggiatore è colui che costituisce, spostandosi, una distanza.” Egli si allontana dalla dimora abituale. E la scrittura rappresenta il modo migliore per raccontare il proprio viaggio, per far viaggiare i lettori durante il racconto. Viaggiare può voler dire allontanarsi dalla realtà quotidiana, straniarsi. Allo stesso modo il procedimento di scrittura è un atto di spaesamento, di allontanamento dall’abituale. 10 Il viaggio, in quanto esperienza del diverso, può essere conosciuto solo attraverso la sua presentazione letteraria; e solo il viaggiatore può raccontare l’esperienza del viaggio, che può essere attestata solo da chi l’ha vissuta in prima persona. Il tema del viaggio ha ispirato molti autori nella descrizione di luoghi, a volte immaginari, a volte realmente visitati. Da un lato il mondo visitato, dall’altro il protagonista, le suggestioni, i ricordi suscitati dal viaggio. In letteratura abbiamo un’opera che riassume i simboli legati al viaggio: l’Odissea di Omero. Il viaggio di Ulisse è il ritorno dalla guerra di Troia a la sua nativa Itaca. Il viaggio in mare è ricorrente in letteratura, come metafora della vita, il viaggio come la vita piena di ostacoli. Nella figura di Ulisse resiste il nesso viaggiatore poeta nonostante il viaggio abbia assunto nel corso della storia significati diversi. In passato il viaggio veniva considerato una punizione degli dei a cui l’uomo doveva sottostare al dolore e sofferenza, mentre nell’epoca moderna il viaggio viene considerato come la massima espressione della libertà umana, come processo di autoaffermazione, desiderio di conoscenza. Odisseo è contemporaneamente il primo viaggiatore e il primo narratore di viaggi. Gli scrittori-viaggiatori, raccontano la loro esperienza con arte, utilizzando molti espedienti retorici; ed è proprio per questo che ciò che narra Ulisse non viene considerato falso. Ulisse attraversa le epoche, poiché viene considerato spesso come punto di osservazione tra il passato e la modernità del presente. Nella figura di Ulisse resiste il nesso viaggiatore poeta nonostante il viaggio abbia assunto nel corso della storia significati diversi. Il viaggio di Dante nella Divina Commedia è un'altra tipologia molto importante dell’argomento che ha gettato le basi della nostra letteratura, 11 un tragitto di purificazione dei peccati legato in maniera forte alla vita, per raggiungere il Paradiso. Nelle opere letterarie3 il viaggio si presenta in una nuova forma, non solo spostamento attraverso luoghi reali o immaginari, ma metafora del cammino dell’anima, viaggio interno all’uomo. Nel mondo medievale troviamo altri tipi di viaggio, i temi cavallereschi, la figura dell’eroe in continuo viaggio, che supera ostacoli, per ottenere un ruolo importante a corte. Al tema delle avventure del cavaliere si lega quello amoroso: citiamo re Artù e i Cavalieri della tavola Rotonda, con la storia d’amore di Lancillotto fedele al re che si innamora di Ginevra, la regina. Nell’ambiente laico invece nasce una nuova figura di viaggiatore; quella del mercante, come nel “Milione” di Marco Polo. Con l’evoluzione del viaggio nei secoli, ma soprattutto con l’evoluzione delle motivazioni che spingevano a viaggiare, cambiano anche i resoconti di viaggio, i diari che diventano vere e proprie opere di letteratura. Si passa da racconti inventati, da viaggi dell’anima, come nella Divina Commedia, a racconti di viaggio in cui lo scrittore viaggia solo con la sua mente. Viaggi realmente vissuti o immaginati, ma che sicuramente sono racconto, letteratura. Se il viaggio ha bisogno di essere narrato, la letteratura si serve del viaggio, la più elementare rappresentazione del tempo e dello spazio, dalle grandi scoperte geografiche, alla rapidità del progresso tecnologico dei mezzi di trasporto. La letteratura si occupa anche degli eroi di viaggio, con le storie di Ulisse ed Enea. Italo Calvino descriveva l’archetipo di tutte le storie con il viaggio di formazione, l’immagine dell’attraversamento di un bosco intricato e 12 pieno di pericoli: i protagonisti devono superare le avversità, sotto forma di nemici armati, belve e incantesimi, per ritrovare la giusta via smarrita (un po’ come Dante) e arrivare alla meta del loro viaggio. Il viaggio di formazione così concepito resta lo schema di tutte le storie umane, dal quale trarranno ispirazione i grandi romanzi in cui una personalità morale si realizza, muovendosi in una natura o in una società spietate. “Il narratore di storie è sempre appena tornato da un lungo viaggio, durante il quale ha conosciuto le meraviglie e il terrore. […] 4ma il viaggio non ha consentito sempre al viaggiatore di essere protagonista dell’avventura; spesso si è dovuto accontentare di ascoltarne le peripezie per bocca altrui”(Fernando Savater). Infatti lo scrittore può viaggiare realmente, oppure ascoltare da fermo racconti di luoghi lontani. Il viaggio, i diari di viaggio, offrono la tela per la tessitura di grandi capolavori. Può accadere inoltre che la letteratura stessa permetta di viaggiare mentalmente, quando si è costretti in una situazione di prigionia. Negli anni cambiano quindi anche i resoconti di viaggio, di cui abbiamo diverse tipologie. Un esempio è rappresentato dal reportage. Dall’inglese, to report, si tratta di un genere letterario in cui l’autore illustra luoghi visitati, persone, emozioni e sensazioni. Tutto questo ha radici lontane. È genere antichissimo, utilizzato in forma meno elaborata anche negli annali greci e latini, narrazione di eventi anno dopo anno. Le cronache più note e numerose appartengono al Medioevo, incluse all’interno del giornale, dove assumono grande importanza per il pubblico. Proprio dalla scoperta dell’America non avremo più la cronaca degli avvenimenti di una città o di una battaglia, ma il resoconto delle 13 spedizioni militari, dei viaggi dei marinai e dei missionari del «nuovo mondo». Saranno queste le cronache dei conquistadores, che creeranno un’enorme produzione di testi, diari, lettere, che racconteranno le epoche dal 1492 fino agli inizi del secolo XIX. Si tratta di una «letteratura di verità» tra cui emergono testi come il Diario di Cristoforo Colombo e anche le Leggi delle Indie. • L’idea moderna di viaggio: il pellegrinaggio. Non c’è strada che porti alla felicità: la felicità è la strada (Buddha) Abbiamo a disposizione il materiale più variegato per descrivere l’evoluzione del viaggio. Delle sue motivazioni, soprattutto del viaggio in Italia si può far conto sui testi di viaggiatori famosi provenienti da paesi diversi appartenenti a varie epoche. Si possono compiere studi sul Grand Tour, il “grande giro”, che aveva come meta prediletta l’Italia; acquerelli e disegni di pittori topografici che hanno soggiornato in Italia; mappe, incisioni e souvenir. 14 Il viaggiatore straniero che percorre l’Italia dalla fine del XVI a tutto il XIX secolo è un pellegrino laico che apre nuove vie del sapere e che si propone tramite di nuove conoscenze, può essere uno studente, un filosofo, mercante o diplomatico. Così come non esistono stato o nazione europea in cui i giovani delle più influenti famiglie non siano inviati in Italia ad acquisire il tocco finale del processo educativo. In effetti il viaggio evolve soprattutto dal punto di vista delle motivazioni che spingono a compierlo, oltre ovviamente per i mezzi di trasporto e tutto ciò che riguarda l’organizzazione propria del viaggio. Si passa da viaggi essenzialmente religiosi, pellegrinaggi verso le mete importanti per la religiosità, per espiare i propri peccati; passando poi per il secolo d’oro del turismo con il Grand tour ed i suoi giovani aristocratici che raggiungono la nostra penisola, acquistando pian piano motivazioni più vaste, legate sempre alla cultura, come la visita delle più importanti città d’arte; fino ad arrivare alla nascita del vero e proprio turismo di massa con motivazioni disparate, prima fra tutte l’evasione dal quotidiano, svago e relax. Da qui, raggiunta la massima conoscenza dei luoghi che ci circondano, le motivazioni degli uomini di cultura del Novecento saranno disparate, il ritrovare se stessi in luoghi lontani, esotici, la conoscenza degli stessi da un punto di vista diverso, non come semplice descrizione, ma come vissuto degli stessi autori, una visione “da dentro” di luoghi per noi culturalmente così distanti, un mondo lontano, ma questo verrà approfondito in seguito. A qualsiasi titolo si sia messo in cammino, il viaggiatore ha sempre suscitato fascino e ammirazione. È stato inizialmente riconosciuto come individuo impegnato nel viaggio iniziatico e nella sfida all’ignoto. In seguito ha assunto le forme del cristiano raggiungendo stazioni rituali 15 in cerca del sacro Graal. Ancora in seguito la narrativa si è plasmata sui suoi viaggi perigliosi, con le sequenze del romanzo greco d’avventure, nell’epos medievale. Un’intera tradizione letteraria risulta permeata dall’idea del viaggio come metafora dell’esistenza: dai pellegrini cristiani, ai viaggi di Gulliver di J.Swift, o l’Ulisse ironico creato da J.Joyce. Concentriamoci innanzitutto sulla tipologia di viaggio che ha aperto all’idea moderna del viaggiare: il pellegrinaggio5. Possiamo innanzitutto affermare che i luoghi famosi nei giorni nostri per essere mete spirituali erano raggiunti inizialmente da popolazioni nomadi che effettuavano un lungo cammino per raggiungere queste località teatro in seguito di banchetti. Tutto questo si può ricondurre all’antica Grecia, dove abbiamo testimonianze antichissime di spostamenti verso luoghi a loro sacri, raggiunti per interrogare oracoli, vedi come esempio l’oracolo di Apollo a Delfi, oppure altari importanti per richiedere grazia agli dei e guarigioni, come l’altare di Zeus a Dodona. Non prenderemo in considerazione il pellegrinaggio come viaggio senza ritorno verso luoghi sacri, meta di chi voleva concludere la vita terrena, ma il tipo che vede la sua fortuna durante il Medioevo, caratterizzato da destinazioni come la Terra Santa, come evento episodico, che si svolge in un lasso temporale circoscritto, per quanto lungo e pericoloso possa rivelarsi. Si tratta di un periodo in cui si sentiva forte il rapporto con il soprannaturale, e la vita terrena era considerata un riflesso di quella spirituale. La natura era molto diversa, e il viaggio si presentava come un’impresa perigliosa in luoghi non addomesticati dall’uomo. L’Europa presentava molte foreste considerate il luogo di forze oscure, le tenebre, 16 tutto era considerato simbolico. Il pellegrinaggio cristiano vede tre mete molto importanti: Gerusalemme, luogo fondamentale anche per ebrei e musulmani, Roma come luogo del martirio dei santi Pietro e Paolo e Santiago de Compostela che ospita la tomba di San Giacomo Maggiore. Le strade per Gerusalemme cominciarono quindi ad affollarsi di pellegrini, viandanti e aristocratici, tutti mossi da motivazioni di penitenza. Ma con l’inizio delle crociate, questi pellegrinaggi diminuirono e soprattutto ebbero motivazioni molto diverse, di saccheggio e di guerra. Roma, un altro luogo importante per la cristianità, era meta di pellegrinaggio soprattutto per i martiri che vennero qui sepolti e per le numerose chiese e catacombe che presentava. Poi diventando il centro della cristianità mondiale furono istituite feste e ricorrenze che accoglievano pellegrini da ogni parte della Terra. Inizialmente era meta infatti di pellegrini dalle regioni limitrofe, poi cominciarono ad arrivare da ogni parte del mondo, soprattutto dopo l’istituzione dell’Anno Santo dal 1300. Infine Santiago, meta di pellegrinaggio per la presenza della tomba del primo apostolo Giacomo, importante anche per le lotte contro i musulmani. Dopo il Medioevo, l’uomo decide di ridimensionare il pellegrinaggio, comincia a non credere più ai poteri taumaturgici. Il dominio sulla natura, le rivoluzioni tecnologiche, cominciano a cambiare il senso di questi viaggi, che si frammentano in itinerari minore, di pochi giorni. La chiesa si adegua ai cambiamenti, ma il pellegrinaggio deve mantenere il suo motivo religioso. Ai lunghi viaggi di purificazione, si sostituiscono itinerari brevi, verso i più famosi santuari d’Europa. 17 Segni distintivi del pellegrino sono gli emblemi dei luoghi visitati: la conchiglia del mare di Galizia per i reduci del cammino di Santiago, le palme per chi torna dalla Terra Santa, croci, placche metalliche. Esiste inoltre un’iconografia dei santi protettori dei pellegrini e dei viaggiatori in genere. I santi che di frequente ricorrono negli affreschi o nelle pale d’altare di molte regioni italiane sono San Rocco, il santo pellegrino del XIII secolo, riuscito a scampare alla peste, san Giacomo di Compostela, san Martino e san Cristoforo. San Cristoforo avendo traghettato Cristo bambino oltre il fiume, assume il ruolo di protettore dei viandanti soprattutto impegnati nei guadi fluviali o passi montani rischiosi. Grazie al pellegrinaggio abbiamo la nascita dei primi libri di via6, rudimentali guide che tracciano i percorsi attraverso i paesi europei e che hanno come poli di riferimento: Venezia come porto d’imbarco verso l’Oriente, e Roma. Queste guide contengono elenchi approssimativi di agglomerati urbani, locande, città, passi montani e gaudi fluviali e imbarchi con tutte le relative distanze. Saranno importanti perché per la prima volta tracciano buona parte di quello che sarà l’itinerario maggiormente percorso nel corso del viaggio in Italia dal XVI secolo alla nascita del turismo. Questi itineraria saranno i precursori dei libri di via dei mercanti, caratterizzati da meticolosi rendiconti di distanze percorse e spese sostenute, di cambi di denaro e permute, che costituiscono un prezioso settore di ricerca storiografica. Il viaggiatore moderno sicuramente si differenzia dal pellegrino, soprattutto per le motivazioni al viaggio. È rappresentato da chi scende in Italia non più per il beneficio dell’anima, bensì per curare la 18 malinconia, autentico mal du siècle. Quando le finalità del viaggiatore moderno non siano terapeutiche, queste sono volte all’assorbimento di quanto possa essere utile alla propria formazione culturale, alla propria persona. E tutto ciò si ottiene osservando meticolosamente ciò che s’incontra, sgranando gli occhi della curiosità, “colui che viaggia con gli occhi di Ulisse sceglie una delle strade eccellenti della sapienza terrena”. Queste nuove motivazione permettono il nascere di diari di viaggio più articolati, che vengono considerati i propugnatori dei libri di viaggio. Questi sono il frutto di uno spirito nuovo, i viaggiatori e mercanti mostrano interesse nei confronti della topografia e dell’assetto urbano dei centri che visita, degli usi e costumi, dell’arte e della scienza. Lettere e diari di viaggiatori stranieri servono da riscontro e da completamento per i ritratti che di se stessa ha tracciato questa società. La schiera di viaggiatori stranieri che percorrono la penisola e ne scoprono gli angoli più riposti, ne cantano le bellezze, ne osservano con dedizione e interesse gli usi e i costumi, le antichità, le opere d’arte, tessono un quadro ricco e composito della realtà storica italiana, grazie anche agli artisti al loro seguito, pittori topografi che tracciano il disegno delle mete incontrate. Affinché i viaggiatori per diletto e gli artisti al loro seguito riescano a tracciarci descrizioni e immagini nuove, bisogna che il viaggio acquisisca nuovi scopi e si proponga come fine il sapere, la curiosità individuale, l’osservazione e lo studio delle differenze delle genti e dei luoghi. “Il viaggiare7 per i giovani fa parte dell’educazione, per gli adulti dell’esperienza. Chi va in un paese straniero senza una qualche 19 conoscenza della lingua, vada prima a scuola e non in viaggio. Approvo in pieno che i giovani viaggino sotto la guida di un tutore o di un domestico serio, purché questi sappia la lingua del paese e vi sia già stato, così che possa indicare loro quali cose siano da vedere nei paesi in cui viaggiano, quali persone debbano conoscere, quali studi o quale cultura il nuovo possa offrire, altrimenti questi andranno con gli occhi bendati e avranno ben poco da osservare.” Con queste parole di Francis Bacon possiamo introdurre la nuova tipologia di viaggio dei secoli XVI e XVII, un tipo di viaggio ispirato da motivazioni pedagogiche. La firma della pace di Cateau-Cambresis tra Francia, Spagna e Inghilterra nel 1559 inaugura un equilibrio europeo che sarebbe durato fino alla guerra dei Trent’anni, favorendo una continua migrazione intellettuale verso l’Italia. Il nuovo viaggiatore valica le Alpi non più per inseguire la gloria delle armi, né per sfidare l’ignoto. Il nuovo viandante è soprattutto un giovane accompagnato da un tutore, che spesso è l’effettivo creatore delle memorie di viaggio, e, a seconda del censo familiare, da una serie di servitori. Questo tipo di giovani viaggiatori sono da distinguere dai giovani stranieri che vengono a studiare nelle università italiane, loro si spostano, seguendo un itinerario preciso tra le città più importanti dal punto di vista culturale, seguendo un preciso itinerario che inizia e termina nella stessa città. Loro perseguono specifiche conoscenze topografiche del paese ospitante, dei suoi costumi, della sua lingua. La finalità di questi spostamenti è l’arricchimento della propria cultura e la conclusione della propria formazione. L’idea del viaggio che si diffonde presso l’aristocrazia europea nell’ultimo scorcio del XVI secolo, è un’idea nata dalla curiosità 20 intellettuale della nuova scienza che osserva i fenomeni naturali e quelli creati dall’uomo, facendo oggetto di estasiata contemplazione le antichità classiche. L’Italia che si dischiude al viaggiatore moderno è la terra della grande tradizione antiquaria, il più variegato museo di forme politiche. Nasce un nuovo termine che sostituisce travel o journey, ed è quello di tour, cioè di giro dei paesi continentali, soprattutto dell’Italia, come detto in precedenza, con la stessa città come punto di partenza e di ritorno. Dopo il XVI secolo, né la guerra civile inglese, né gli sconvolgimenti in atto in Italia, non riusciranno ad arrestare questa pratica al viaggio. Grazie a viaggi dei giovani aristocratici e borghesi, ma soprattutto scrittori e artisti di ogni età, che avranno il ruolo di tutori, attratti dall’Italia, si devono le prime relazioni di viaggio nella penisola italiana e le prime guide. Nel 1591 esce a Londra lo Itinerary Written by Fynes Moryson.. Containing His ten Yeers Trauell8, che costituisce un vero e proprio prototipo di guida di viaggio e che conferisce una fisionomia funzionale, basata sull’esperienza diretta. Nasce così un nuovo genere di letteratura che gli inglesi definiscono travel literature e corrisponde alla concezione laica del viaggio. Alla base vi deve essere una nuova concezione del viaggiare, il viaggio di formazione, d’istruzione e di diletto, che percorre le vie del continente per raggiungere la propria realizzazione effettiva oltre i valichi alpini, in Italia. 21 Alcuni nomi di spessore letterario sono Philip Sidney, Thomas Hoby, Michel de Montaigne, Francois Rabelais, a costoro dobbiamo al diffusione dell’idea del viaggio in Italia presso i ceti dominanti dei loro paesi. La letteratura di viaggio si colloca nel corso del XVI e del XVII secolo e si fa riferimento innanzitutto a quelle testimonianze che si collocano a metà strada tra tradizionale scrittura memorialistica e il genere nascente della letteratura di viaggio vera e propria. Un esempio può essere il The travels and Life of Sir Thomas Hoby, written by Himself 1547-1564, nel quale troviamo descrizioni topografiche dell’Italia alternate a notizie storiche e informazioni politiche. Bisogna considerare inoltre le relazioni in forma di guida, antenate dei Baedeker e manuale e vademecum dei viaggiatori che danno consigli a coloro che si accingono a partire per l’Italia. Per ultime abbiamo le relazioni di viaggio vere e proprie, a metà via fra la guida, il saggio di costume e la narrazione descrittiva. Il Seicento vede quindi la nascita e lo sviluppo di quella che definiamo “letteratura di viaggio”, che ci permette di ottenere informazioni e descrizioni per la lettura del passato di vari paesi. • Il secolo d’oro dei viaggi: il Grand Tour9 Ricapitoliamo innanzitutto le nuove motivazioni che nel Seicento spingono il viaggiatore borghese e aristocratico a spostarsi: la curiosità, un termine che nulla esclude dal proprio campo di indagine, raccolta di rarità artistiche o naturali, osservazione di fenomeni inconsueti della natura, usi e costumi di popoli. 22 Il viaggiatore seicentesco è sempre un filosofo sperimentale. Questa sarà l’eredità lasciata al secolo successivo: il Settecento. In questo nuovo secolo il viaggio si trasforma da travaglio a piacere, amore per la cultura e l’arte. Modifica radicalmente la concezione che l’uomo ha di se, quindi cambiano le mete e le motivazione del viaggio. Si cominciano ad effettuare viaggi prima considerati tabù per la Chiesa, i luoghi prima fondamentali per lo spirito perderanno importanza, ma il loro significato sarà sempre lo stesso. Viaggio che in questo secolo viene compreso nel fenomeno denominato Grand Tour. È questa un’espressione che sembra aver fatto la sua comparsa nel 1670 con la guida al viaggio italiano di Richard Lassels, The Voyage of Italy10. Designa in breve il giro e la visita di vari paesi europei con partenza e arrivo nella medesima città. Si tratta di un fenomeno inizialmente legato all’aristocrazia, soprattutto inglese, poi estesosi alla borghesi, agli scrittori e agli artisti. La meta principale di questi tour era l’Italia, che vedeva l’arrivo di numerosi rampolli inglesi, accompagnati da tutori, che facevano loro da guida, indirizzandoli verso lo studio e l’osservazione attenta della realtà. Le motivazioni di questi viaggi erano soprattutto di completamento della propria formazione culturale. I maestri consigliavano sempre la redazione di uno o più diari di viaggio da parte dei giovani viaggiatori, molto spesso erano gli stessi maestri a scriverli. Lo studio di questi diari ha permesso, tramite l’analisi dei dati raccolti una volta in patria, l’ampliamento della conoscenza di questi paesi. Con il passare del tempo non sono più solo i giovani a compiere questi lunghi viaggi di conoscenza, il fenomeno coinvolge un numero sempre maggiore di aristocratici, facoltosi borghesi, i quali viaggiano in proprio 23 o inviano i figli in Italia. Al loro seguito troviamo schiere di personaggi ed inservienti, dal medico, al cuoco, al pittore di paesaggi. Questo fenomeno non coinvolge solo gli aristocratici, infatti non è raro trovare anche chi viaggia solo con un cambio; un esempio è offerto da un personaggio molto importante, Goethe, come importanti sono stati i suoi diari di viaggio. Il Settecento assiste al sorgere anche di un altro importante fenomeno, cioè la numerosa presenza delle donne in viaggio; loro che solitamente sono chiuse tra le mura domestiche, possono finalmente evadere e scoprire il mondo; e saranno proprio loro le maggiori redattrici di libri di viaggio: si può citare come esempio Madame Du Bocage, Lady Mary Wortley Montagu, Hester Lynch Piozzi11 Il viaggio in Italia è sempre importante, ma acquista maggior interesse quello continentale, in Europa: Parigi, Londra, Vienna. Le mete diventano le più disparate, si cominciano ad effettuare anche viaggi oltreoceano. I travel books che compaiono a ritmo serrato nelle librerie di tutta Europa recano titolo che descrivono di per sé itinerari continentali. Si genera il fenomeno dello spostamento sempre più a sud d’Italia, oltre la piana di Paestum, si conoscono altro luoghi, mossi da nuovi interessi: indagare la Sicilia, i cammini di Puglia. Talchè la comparsa della Italienische Reise di Goethe, nel 1816, sancisce il tramonto del giro continentale in favore di una diretta scoperta artistica, antiquaria, topografica e antropologica dell’Italia, di nuove terre e nuovi itinerari. I disagi che caratterizzavano i pionieri del Grand Tour lasciano il posto alla ricerca di sempre maggiori comodità soprattutto dal punto di vista dei mezzi di trasporto. Gli aristocratici vorranno sempre di più unire 24 alla volontà di beneficiare degli aspetti terapeutici del viaggio, senza modificare le proprie abitudini. Il viaggio acquista nuove finalità, non solo culturali o di conoscenze artistiche, ma anche di benessere, questo porterà poi alla nascita del cosiddetto turismo di massa. • La nascita del turismo moderno e la letteratura di viaggio. Con la rivoluzione industriale, ci troviamo di fronte a cambiamenti importanti nella vita dell’uomo, riguardanti anche il settore del turismo. La conquista di migliori condizioni di lavoro per gli operai, con la lotta delle classi sociali, quindi di maggior tempo libero e migliori condizioni economiche, permette anche alle classi meno agiate di concedersi dei momenti di svago e di vacanza. Soprattutto cambiano le motivazioni al viaggio, in quanto il lavoro operaio causando stress e stanchezza, determina la voglia soprattutto di evadere dal quotidiano, di allontanarsi dal luogo abituale di lavoro, per concedersi momenti di svago e relax lontano dalla propria abitazione. A questo contribuiscono inoltre migliorie nel settore dei trasporti, che permettono spostamenti molto più comodi. In questo clima rinnovato si inserisce l’attività di Thomas Cook, il creatore dei moderni viaggi organizzati e soprattutto della prima agenzia viaggi. Cook per caso organizzò il primo viaggio, facendo parte di una lega antialcool, organizza un viaggio per questa corporazione, in treno fino al luogo di destinazione, e ritorno. L’esperimento ha luogo nel 1841; da questo momento nasceranno i primi viaggi organizzati, all’Esposizione Universale di Parigi e soprattutto anche in Italia, dopo l’Unione. 25 Dopo aver analizzato l’evoluzione dei motivi e delle varie tipologie di viaggio nel corso dei secoli, che danno vita alle prime rudimentali guide turistiche e grazie ai diari e racconti, a quella che può essere definita una prima tipologia di letteratura di viaggio, bisogna concentrarsi in modo particolare sull’evoluzione di questa nuova tipologia letteraria, con le sue varie sfumature. La relazione di viaggio si trova in sintonia con il romanzo moderno, il nuovo volto della narrativa che si realizza nell’Inghilterra di Defoe, Swift, Fielding, Richardson. Alle relazioni strettamente personali, episodiche, i diari intimi degli accompagnatori dei grandi viaggiatori, dei filosofi, il Settecento riconosce anche dignità letteraria a questa nuova tipologia con finalità formative, definita dagli inglesi novel. La letteratura di viaggio si presenta come genere letterario che suscita grande interesse, saranno proprio i libri di viaggio i più adatti per trarre diletto. Un esempio dell’interesse per il viaggio in Italia sarà dato dalle fortunatissime Remarks on Several Parts of Italy12, del 1705, che inaugura la nuova fisionomia del travel account, come viaggio nella culla della tradizione classica, quale si presenta il nostro paese, e ne impongono il modello per quasi mezzo secolo. Addison si addentrerà in modo particolare nei luoghi della tradizione classica, e a ogni cambiamento di località, sia che si parli del Rubicone, dei Campi Flegrei, mutano le sue citazioni erudite e le guide per l’occasione, quali Orazio,Virgilio. 26 L’importanza della prospettiva di Addison è proprio nell’essere guida di un’Italia antiquaria, di un museo di forme classiche, luogo di sublimi vedute e scenari incantati. A questa prospettiva, che sarà anche quella di altri viaggiatori, tra cui Goethe, si ispirano anche pittori affascinati dall’Italia delle rovine, acquerellisti topografici e illustratori di guide che riscostruiscono i percorsi del viaggio italiano privilegiando le vie consolari, le ville di imperatori e poeti. Le Remarks di Addison fissano un nuovo canone per i libri di viaggio, in quanto si distinguono dalle relazioni seicentesche ispirate dall’elencazione enciclopedica dei dati e delle osservazioni. Un esempio della nuova struttura data alla letteratura di viaggio nel Settecento, si può ritrovare in Samuel Johnson e James Boswell. Nel 1756 Boswell dà vita a un volume intitolato An account of Corsica. The journal of a tour to that Island, and a memoir of Pacal Paoli13. Questo volume è diviso, nella prima parte troviamo la storia della Corsica, nella seconda un vero e proprio viaggio attraverso l’isola. La novità introdotta da questo libro sta proprio nella contrapposizione tra la storia derivata dallo studio dei libri, e il diario di viaggio, tratto dalla vera e proprio esperienza sul luogo. Nel Settecento la letteratura di viaggio si separa nettamente dalla narrazione romanzesca. Solo separando la realtà oggettiva dalle impressioni soggettive, il relatore può essere sicuro di aver dato elementi derivati dalla realtà, da un viaggio realmente compiuto. Un libro di viaggi costituisce uno dei prodotti letterari più attraenti e istruttivi. Vi troviamo un’unione di utile e dilettevole, diverte e cattura l’attenzione senza ricorrere alla finzione romanzesca, e riesce 27 a dare varie informazioni pratiche e suggerimenti morali molto utili al viaggiatore. Si tratta di un genere letterario che permette inoltre la conoscenza tra paesi lontani, apre il viaggiatore a nuove conoscenze sociali, abbattendo qualsiasi tipo di pregiudizio nei confronti di usi e costumi diversi dai propri. Molto importante per permettere al narratore di evitare la ricaduta nel romanzo, è riuscire ad eliminare ogni autobiografismo possibile. Certo si tratta di un elemento molto importante quella di presentarsi come viaggiatore, proprio per far capire la realtà del viaggio compiuto, ma l’autore dovrà dimenticare se stesso e far parlare le città e i luoghi visitati. Anche se il Settecento, questo secolo d’oro dei viaggi, darà vita a cambiamenti nella redazione dei libri di viaggio, rinnovamenti che avvengono in scrittori come Sterne e Goethe14. Un cambiamento importante sarà quello che vede il reinserimento nei racconti di viaggio, del sentimento dell’uomo, delle avversità da lui incontrate nel viaggio. Questo si può osservare soprattutto con la numerosa presenza di diari di viaggio femminili; le donne sono le grandi protagoniste della letteratura settecentesca di viaggio, e hanno una grande freschezza narrativa e più libertà nell’esprimere i propri giudizi e le proprie sensazioni di fronte a nuovi luoghi conosciuti per la prima volta. Il ruolo di innovatore di questo genere letterario spetta al Sentimental Journey through France and Italy di Laurence Sterne del 176815. La sua maggiore caratteristica è quella di allontanarsi dal genere di guida che descrive semplicemente i luoghi di viaggio, ma riesce ad esprimere 28 anche i vari stati umorali del viaggiatore protagonista. Questo fa emergere un nuovo genere di travel book nel quale l’accento cade sulla sensibilità di chi viaggia, sulla sua capacità di reagire di fronte al vasto panorama di paesi e persone che il viaggio offre. Il protagonista non si limita ad osservare gli usi e costumi del mondo circostante, ma ad investirli del proprio umore e dei propri stati d’animo. Il viaggiatore sentimentale prende in considerazione i momenti più particolari del viaggio, le scenette occasionali, gli aneddoti che vengono riportati nei suoi racconti. Nella struttura del libro, l’inconsueto, il fugace prendono il posto delle rubriche classiche e aprono la strada un rapporto nuovo con i luoghi e le genti che spetterà al viaggiatore sviluppare. Il viaggiatore romantico assume il duplice ruolo di narratore e protagonista del viaggio. Per questo egli inserirà nel proprio racconto degli ostacoli nel corso dell’itinerario, come briganti e riempie il viaggio di divieti da rimuovere, enigmi da risolvere, soglie pericolose da varcare. La dimensione avventurosa assume un ruolo importante in questi racconti; gli incidenti, gli accadimenti del viaggio quotidiano balzano in primo piano. Questa tipologia di racconto si differenzia totalmente dal manuale d’uso inteso per il viaggio effettivo, strutturato in rubriche fisse, con descrizioni di località, itinerari, poste. L’Ottocento assiste alla rarefazione e poi alla scomparsa dei gloriosi vademecum, come raccolte di pratici rudimenti sullo svolgimento del viaggio, sui pericoli della strada. 29 Infine, a partire dalla metà dell’Ottocento, avremo lo sviluppo del saggio topografico che prenderà il posto della narrazione romanzesca del viaggio. Una saggistica che si struttura secondo la scansione topografica del viaggio in Italia, che raccoglie pagine diaristiche e insieme impressioni e di analisi antropologiche su città e paesi diversi. La letteratura si arricchisce inoltre di illustrazioni di luoghi relativamente marginali nella tradizione letteraria di viaggio. Uno dei meriti della letteratura di viaggio è quello di permetterci di riscoprire il nostro paese attraverso una prospettiva suggeritaci da altre civiltà letterarie, da altri occhi, da altre culture visive. Se questo genere letterario dimostra che il viaggio si trasforma in esperienza effettiva e condivisibile nel momento della scrittura, per il viaggiatore il viaggio acquista senso solo se il suo svolgimento si intreccia con la scrittura, propria o altrui. • Il Novecento dei viaggi. Il vero viaggio di scoperta non consiste nel cercare nuove terre ma nell’avere nuovi occhi (Proust) 30 Forse Proust con questa frase voleva dire che viaggiare consente di acquisire conoscenze ed adottare nuove prospettive sul mondo. Ma solo se si è davvero aperti all’altro ed al diverso, si può giungere ad una vera conoscenza del luogo visitato e di se stessi. Probabilmente è proprio questo ciò che differenzia, a mio parere, i secoli passati, dal Novecento, questo nuovo spirito che spinge i viaggiatori novecenteschi a recarsi nei paesi più lontani e sconosciuti, guardandoli con nuovi occhi, non più attraverso luoghi comuni, ma col desiderio di conoscenza, e in molti casi di voglia di aiutare chi ha più bisogno di noi. Il rapporto tra viaggio e letteratura unisce due attività diverse: una è quella fisica propria del viaggio, che comporta uno spostamento nello spazio, il viaggiatore si muove e un’altra attività che compie è quella del ricordare quello che vede, del confronto con il quotidiano, per analogie e differenze. Infatti proprio la letteratura che si presenta come attività mentale, si basa su un’esperienza fisica, quella del ricordare. Da Omero a Virgilio, Dante e Manzoni, la letteratura possiede molti libri che narrano viaggi. Le avventure di Ulisse, il viaggio della vita di Dante, o gli spostamenti di Renzo dopo essersi separato da Lucia, tutto questo è viaggio. Certo è vero che non si tratta di veri e propri racconti di viaggio, cioè la letteratura di viaggio propriamente detta si differenzia per il suo concentrarsi sul racconto di viaggio, però possiamo notare che tutto ciò che è letteratura, anche molto importante, ha alla sua base o nelle sue parti, un racconto di viaggio o degli spostamenti. Il viaggio diviene letteratura o comincia ad essere considerato letteratura, nel momento in cui viene scritto, non durante il viaggio per i vari disagi che si possono 31 incontrare, ma una volta tornati a casa sulla base dei propri appunti e ricordi. Si basa quindi prima sull’esperienza vissuta sul campo e quindi conoscenza e poi la scrittura. Quindi si tratta di una letteratura di realtà. Proprio per questo al termine letteratura se ne può affiancare un altro; quello di prosa di viaggio, che sposta l’interesse da una pagina d’autore, a una pagina in cui troviamo il racconto di fatti, oggetti e situazioni. Questi vengono riferiti nel racconto: proprio da questo termine, che in inglese è to report, nasce il genere letterario del reportage, tipico soprattutto di testate giornalistiche che inviano i propri collaboratori proprio per creare questi racconti con tutti i dettagli della loro esperienza. Il libro di viaggio ha delle sue caratteristiche particolari; innanzitutto ciò che colpisce l’attenzione e viene descritto è il paesaggio. Il paesaggio incontrato viene descritto sia dal punto di vista estetico che per quanto riguarda il clima. Dopo l’interesse geografico viene quello antropologico, rivolto agli usi e costumi degli individui, ai loro caratteri, soprattutto per analogie e differenze con i propri modi di vivere. Anche il mezzo di trasporto acquista importanza in un libro di viaggio, può essere marginale, in quanto utilizzato solamente come spostamento, oppure può divenire il centro del racconto. Non sono infatti mancati casi in cui autori si siano concentrati proprio su questi mezzi, soprattutto in quelli attratti dal comico, utilizzando proprio degli episodi particolari accaduti su questi mezzi per concentrare il racconto. L’evoluzione del viaggio in turismo cambia ovviamente anche lo scrivere di viaggio. Viaggi organizzati, in cui si hanno tutte le comodità possibili, dove l’elemento avventura non è più presente come prima, 32 creano relazioni ben diverse da quelle precedenti molto spontanee e basate sull’esperienza. Ciò che cambia nel viaggio non è solo l’organizzazione, ma anche la curiosità che spingeva a compierlo, e il modo in cui svolgerlo: una cosa è viaggiare in delegazione, un’altra è fare l’inviato di guerra e trarre da queste esperienza delle considerazioni sullo stato delle cose che saranno poi riferite in scrittura. Si inverte anche il rapporto con le guide, che adesso traggono informazioni che vengono considerate originale, ma che un tempo le prendevano proprio dalle relazioni di viaggio, per il loro costituirsi. Anche i mezzi di comunicazione di massa cambiano il rapporto con i libri di viaggio, gli fanno perdere il loro significato originale. La descrizione di luoghi attraverso pagine e pagine di libri, perde quel senso di immaginazione, proprio a causa ad esempio della televisione che immediatamente attraverso le immagini ti fa vedere tutto ciò che si immagina attraverso le pagine di un libro. Proprio come nei film preceduti dai romanzi, ci si perde in pagine e pagine di descrizioni, per riassumerle in un'unica scena di un film. Il Novecento italiano vede molti scrittori di libri di viaggio. Una personalità eccellente è quella di Alberto Moravia16. L’importanza delle sue esperienze di viaggio si può trovare in sette libri e alla raccolta di moltissimi suoi articolati, riuniti tutti in alcuni volumi, tra cui possiamo nominare A quale tribù appartieni, Lettere dal Sahara, Passeggiate africane. Molti sono stati i suoi viaggi, in India con Pasolini, ma quelli che più interessano l’argomento della mia tesi sono proprio quelli in Africa. Quando Moravia comincia a scrivere libri di viaggio ha davanti gli anni 20, ma saranno gli anni Trenta a vedere 33 l’affermazione del genere della letteratura di viaggio, il viaggio infatti diverrà parte integrante dell’esperienza. Saranno anni in cui si avrà la concentrazione dei libri sull’America, che vede la ripresa dopo il crollo di Wall Street del 1929. Anni in cui la Cina viene considerato un continente misterioso, il paese lontano per eccellenza. Gli scrittori di viaggio possono essere di vario tipo: quelli che già sanno tutto del posto in cui vanno, prima di vederlo, quindi vanno a verificare se era esatto ciò che già sapevano; quelli che non sanno niente da prima, con uno sguardo per loro nuovo ma pieno in realtà di luoghi comuni; ed infine coloro che sanno, ma vogliono rimuovere tutto, per vedere con uno sguardo nuovo. Ed è proprio questo che faranno i viaggiatori del Novecento, ed è soprattutto questo quello che ho provato io nel mio viaggio in Africa, una realtà conosciuta attraverso gli occhi dei media, una realtà che pensavi di conoscere, ma una volta lì ti accorgi che i tuoi occhi vedono qualcosa di nuovo, mai visto prima. Il viaggio è terreno di metafore, è molto simbolico, ma sia esso reale o figurato, comporta sempre un’esperienza di vita in chi lo compie. Può essere viaggio spirituale, mentale, per estraniarsi dalla realtà da parte di chi è costretto a letto da malattie, o può essere viaggio fisico di chi vuole fuggire dalla realtà quotidiana, di chi vuole inoltre fuggire dal turismo di massa. Certo è vero che non tutti quando si muovono viaggiano, c’è chi resta comunque legato con la mente alla sua terra d’origine, ma chi farà il contrario, e riuscirà a penetrare veramente nella località raggiunta, potrà vedersi aprire molti orizzonti. Molti scrittori ci dimostrano che non sono indispensabili lunghe distanze per compiere un viaggio, ma basta guardare con occhi nuovi 34 anche località molto vicine a noi, per vivere un’esperienza nuova e interessante. Tre grandi autori del Novecento, Alberto Moravia, Elsa Morante e Pier Paolo Pasolini17, compiono insieme un viaggio in India. Al loro ritorno Moravia e Pasolini metteranno la loro esperienza per iscritto, invece Elsa Morante non lo farà, ma indubbiamente l’esperienza ha lasciato in lei qualcosa di importante, lo si potrà vedere nel suo interesse per le filosofie orientali. In questa sede prenderò in considerazione soprattutto Alberto Moravia, per i suoi numerosi viaggi in Africa e soprattutto per le sue raccolte di articoli che raccontano questi viaggi. Pasolini18 è colpito soprattutto dal suo freddo calcolo e impassibilità. Infatti del loro viaggio in India colpisce proprio il suo racconto sulla minaccia di alcuni banditi, Moravia19 si era già documentato, perché afferma di non voler viaggiare con gli occhi del turista ignorante, altrimenti si potrebbe rivelare una delusione, ma nonostante la sua preoccupazione non lo dimostrerà mai, anzi mostrerà indifferenza. Proprio perché il distacco gli permette un’analisi lucida di tutto ciò che colpisce la sua curiosità. La sua voglia di viaggiare emerge già dall’infanzia, un’infanzia piena di difficoltà20. Deve infatti affrontare la malattia, si ammala da piccolo di tubercolosi che lo costringe a letto per molto tempo. Poi verso i sedici anni viene trasferito in un sanatorio e lui ci racconta questo suo primo viaggio, ci rende partecipi della vergogna provata per le sue condizioni. La costrizione fisica porterà a questa sensibilità d’artista, proprio perché “la durezza della vita crea delle vie per fuggirla”21. 35 Quando guarisce infatti comincia a viaggiare, molto probabilmente per recuperare il tempo perso a causa della malattia. Descriverà ciò che vede, le sue impressioni, quello che pensa nel momento in cui vede. Si tratta di un Moravia che coglie occasioni, accetta inviti, per evadere dalla società da cui proviene, verso cui prova fastidio e noia. È proprio la noia che lo spinge nei suoi viaggi. Riusciva a guardare il mondo con occhi diversi, amava la terra, puntava gli occhi su un nuovo paesaggio e lo contemplava, riusciva a coglierne la ragione interna, la sua anima. Ed è proprio con questi occhi che si riesce a vivere un viaggio indimenticabile che ti rimane dentro, proprio quello che ho provato io in Africa e che mi ha lasciato questa passione. Moravia però riusciva a viaggiare anche da fermo22, senza spostamenti, ogni giorno scriveva, ogni giorno nella sua mente viaggiava, per lui scrivere e viaggiare è vivere e tutti i suoi personaggi agiscono e si muovono. Comincia poi a vent’anni a collaborare con giornali, scrive articoli su Londra, New York. Il viaggio caratterizza la sua vita, dà l’impressione di aver viaggiato ovunque. Certamente gli anni 30 per lui sono molto difficili, al potere vi è il fascismo e lui è contrario. Ancora una volta sceglie il viaggio per fuggire alla dittatura, il viaggio come rifiuto a questa costrizione, come ricerca della libertà, cosa che faranno molti scrittori del Novecento che si rifugeranno in Oriente alla ricerca di una nuova libertà e di paesi ancora poco conosciuti. Moravia sceglie la Cina, per andar via, lontano dall’Italia. Pechino è una città meravigliosa e soprattutto misteriosa, infatti il fascino per il viaggio consiste proprio nell’incontro con l’ignoto. 36 Nel frattempo conosce Elsa Morante che sposerà nel 1941. Torna in Italia, ma si recherà subito in Grecia, proprio per la sua insofferenza, la noia e soprattutto l’orrenda situazione in Italia. Tornato in Italia, al momento della discesa dei tedeschi, decide di spostarsi al Sud, verso Napoli già liberata dagli alleati. Parte insieme ad Elsa Morante, proprio perché è tra i ricercati dovrà nascondersi con la moglie in una capanna in un paesino prima di Napoli, dove non è riuscito ad arrivare, e lì rimarrà nove mesi. Da quest’esperienza di vita molto importante nascerà un altro bel racconto: La Ciociara. Superato questo difficile periodo saranno molti i suoi viaggi del dopoguerra, scoprirà l’Africa con la moglie, racconterà le stragi in URSS e la povertà del popolo russo. Ma i suoi viaggi avranno un sapore diverso quando, nel 1962 alla fine del suo matrimonio con Elsa Morante, inizia una nuova vita con Dacia Maraini. Quell’Africa da lui tanto amata, ha un nuovo sapore con la nuova compagna, riscopre la sensazione di sogno, abbandono e libertà insita nel viaggio. L’Africa ispira una sensazione di preistorico, selvaggio, è il luogo della purezza, dei sentimenti primari, soprattutto della natura meravigliosa che ti lascia quella sensazione di sogno, di tranquillità. Un mondo dove puoi completamente allontanarti dai problemi quotidiani, dove tutto ciò che ti circonda è la natura, una natura che si può vivere completamente in cui ci si può immergere. Dai suoi viaggi in Africa nasceranno numerosi suoi articoli per il Corriere della Sera, che verranno poi raccolti nei volumi A quale tribù appartieni 1972, Lettere dal Sahara 1981 e Passeggiate Africane 1987. L’attenzione all’ambiente sarà un punto fermo nella sua scrittura, soprattutto per portarne a conoscenza la società, per farla riflettere. Per 37 questo dopo la strage atomica, sarà per lui fondamentale un viaggio ad Hiroshima, un viaggio nella memoria. Questo lo porterà a candidarsi membro del Parlamento Europeo per cercare di combattere questi crimini. Non riuscirà però ad ottenere i risultati sperati. Tornerà quindi all’amata e misteriosa Africa, nel fiume Zaire in Congo, a bordo di un postale. I motivi sono molti, ma soprattutto per non fare del turismo organizzato, sua fondamentale caratteristica che lo accompagna da sempre, per non incontrarsi con i turisti che introducono in questi luoghi un elemento di banalità consumistica. Il suo risalire questo fiume vuol dire per lui penetrare profondamente nell’intimità del luogo23. Un altro autore che ci lascia scritte le sue esperienze di viaggio è Dino Campana con i suoi Canti Orfici24, il viaggio considerato nel suo insieme sia come spostamento fisico, sia come metafora del passaggio dal buoi delle tenebre alla luce. I Canti Orfici uscirono nel 1914 presso una tipografia di paese. Trovarono pochi lettori alcuni distratti. I distratti furono Papini e Soffici. Furono loro a divulgare esempi preziosi di quel libro. Campana è stato una meteora, è passato come una cometa, disse Cecchi. Non è entrato nella storia, ma direttamente nella leggenda. Sono entrati nella storia invece i canti. La terza edizione dei Canti Orfici del 1941, rivista e corretta da Falqui, segnò l’apice di quella strana fortuna toccata tutta a un libro e poco o niente all’autore. Essi sono, fra l’altro, un libro di viaggio, dove il viaggio è assunto come metafora, ma anche come dato di fatto della biografia e come metodo di rappresentazione. Esso diviene allegoria di vita. Non solo il viaggio dalla notte al giorno, ma anche una 38 sorta di itinerario dantesco scritto in giro per il mondo. Dall’inferno al paradiso, dalle tenebre alla luce. A vent’anni non poteva stare più da nessuna parte; oltre alle città italiane visitò la Francia, il Belgio, l’Argentina. Pellegrinaggi e viaggi per il mondo in cerca di qualcosa. Campana è lo scrittore di un solo libro, non tanto perché di fatto in vita sua uscirono solo i Canti Orfici, ma perché tutte le carte ritrovate e pubblicate nel tempo, gravitano attorno a quel libro. Al libro unico si accompagnava un disegno ben preciso e studiato. Unire alla parola la musica, il movimento, la pittura, con aggiunta del colore. La poesia che si piega a diversi ritmi, a diverse velocità. Pittura, musica, drammaturgia, letteratura sono queste le arti sorelle da far convergere nel progetto. Nell’opera c’è un movimento quasi teatrale, un’ambientazione scenografica e pittorica. Dino Campana non usava il colore come gli altri poeti d’allora: costruisce un impasto verbale da cui si evince che non si tratta di poesia o prosetta colorata, ma di letteratura ossessionata da colore. Il colore qui cessa il suo compito storico, smette i panni di chi si presta a raggiungere un fine decorativo, non è più un mezzo per ottenere un effetto: è un fine. È il FINE. E lo stesso si deve intendere per la musica e il dramma. Campana non fa letteratura con presenza di un colore, di un tono, di un movimento, bensì usa la poesia come fosse musica, come fosse colore. Campana collocava ricordi nel paesaggio. Nei paesaggi e nei luoghi: da Marradi angusta e tedescofoba a Faenza luogo di avventure, di facili amori e di dolore, dalla grigia Bologna degli anni universitari alla Firenze immagine della musica, città in cui si specchiano i fasti d’altri tempi, il Rinascimento e il Barocco, ma anche città falsa, vecchia, cicisbea con l’Arno visto come un fiume infernale. Infine sta Genova. La città più amata, luogo di partenze e miseri ritorni. 39 Genova è la poesia che chiude il libro, anche perché lo riassume nel suo tessuto accogliendone diverse immagini e atmosfere25. La poesia di Campana oltre ad essere una poesia che ha al centro l’esperienza del viaggio, della vita, e che tenta un progetto europeo musicale e colorito, è una poesia nutrita anche di evidenti e molteplici rapporti intertestuali. Va inscritto nel novero dei decadenti, ma quello che preme ricordare è la presenza di influenze di Baudelaire, per il torbido clima e non proprio innocente dei notturni campaniani. Ma in quei versi Campana sente anche la voce dei poeti nostrani. Quasi unanimemente alla lettura dei Canti Orfici molti pensarono al Carducci , forse per il gusto architettonico del paesaggio e delle città italiane, per certe movenze ritmico- musicali. D’Annunzio e Pascoli sembrano due presenze più forti nell’opera campaniana. D’Annunzio anche per il suo guato estetico, per certo sensualismo, ma vi sono anche sue dirette citazioni nei Canti Orfici. Pascoli è forse la figura più presente. Nel Taccuinetto faentino il poeta aveva progettato una storia quasi dantesca che procedesse dal buio infernale alla luce mediterraneo-paradisiaca. Lo stesso iniziale titolo Il più lungo giorno dava l’idea di un cammino. Era un titolo ossimorico, come i Malavoglia. Si nota che il giorno è davvero poco presente e che invece il clima crepuscolare e notturno è onnipresente in Campana. Ma ciò che più conta è che il primitivo disegno di scrivere una storia che partisse dalle tenebre per sbucare nella luce di Genova franò o cambiò di segno man mano che il poeta viveva e scriveva. Con l’andare della vita s’accorse che la luce non l’avrebbe mai trovata. Porta avanti e indietro per il mondo e sulla carta il suo progetto poetico e deve accorgersi che luce non ne avrebbe trovata nemmeno a Genova. Ecco che i suoi ritorni sono sempre miseri. Ruggero Jacobbi26: 40 “Nulla di ciò che Campana pronuncia nel suo vagabondare per le città notturne corrisponde ad una nozione banale di vita e di morte, tutto è rimesso all’ipotesi di una scoperta maggiore, di un punto nel quale si possa ravvisare la presenza della verità. “ unire i contrari per creare l’arte: visività visionaria ovvero la capacità tutta sua di inserire una visione nell’attimo in cui guarda. Con questa sua attitudine il poeta insegue la luce rintracciandola visivamente in una finestra illuminata che poi si spegne, nella luna e nelle stelle che poi si perdono nel buio notturno. Tutta questa intensità luminescente si rivela di breve durata, si rivela PER UN MERAVIGLIOSO ATTIMO. Di qui il nuovo titolo, con la parola canto che gli giunge dalla prossima tradizione leopardiana e pascoliana e l’aggettivo orfico sentito come estremamente moderno. La continua lotta tra il rosso e il bianco indica questo svolgimento di cose. Il rosso è il colore della disarmonia, del caos, del sangue, della dannazione notturna. Il bianco è il suo contrario, la ricerca dell’armonia, della bellezza, dell’uomo nuovo. Riprendendo l’argomento su cui maggiormente mi concentro nella mia tesi, si il viaggio, ma soprattutto in Africa, ci sono due autori moderni fondamentali per capire il cambiamento nelle motivazioni che spingono a raggiungere questo mondo per noi così lontano, e soprattutto si può notare in loro il cambiamento di visione di queste popolazioni, allontanandosi dai luoghi comuni e creando una visione dall’interno che ci permette di immedesimarci con loro in questo mondo. Il primo su cui vorrei concentrarmi è Gianni Celati. La sua visione dell’Africa è molto simile a quella di Moravia a mio parere, perché riesce a vivere completamente questa esperienza e ci descrive quel mondo dall’interno, un mondo da lui vissuto con occhi diversi e non 41 del turista consumista. Con il suo documentario Passar la vita a Dioll Kadd27, Celati vive un villaggio del Senegal, e ci restituisce la visione della quotidianità, aspetti della vita di un popolo, con i suoi riti, le sue abitudini. Un villaggio completamente vissuto da Celati che ci permette di vedere l’Africa da un altro punto di vista e non solo come ci viene presentata quotidianamente. È vera la povertà che noi conosciamo di quei luoghi, ma la loro forza di sopravvivenza e la loro voglia di vivere non ci viene mai presentata, e questa viene alla luce proprio in questo documentario. Ci colpisce il suo rapporto complice e dolce con gli abitanti, l’unione di culture così diverse. Ci mostra i cortili cosi simili alle nostre campagne, poi ci racconta della poligamia, elemento invece totalmente assente nella nostra comunità. Ciò che ci colpisce di più è che Celati ci permette di osservare l’anima del villaggio, di entrare completamente nella loro vita, conoscendone la cultura, il sorriso, la voglia di vivere, nonostante la povertà e le difficoltà forse insuperabili. Ci emozioniamo partecipando ai loro riti, culture, riusciamo a cogliere attraverso il libro, ma soprattutto attraverso il documentario, ogni aspetto della vita di un villaggio per noi così lontano. Affettuoso e complice, lo sguardo di Celati ci restituisce l’allegria e la pace, la felicità delle feste femminili, la forza del mondo femminile, un mondo che sulle proprie spalle porta avanti un intero villaggio, lo sciamare dei bambini, che amano e apprezzano quello che hanno. Tutto ciò col sorriso, un sorriso che ho trovato anche io durante la mia esperienza in Kenya. Un sorriso che ti porti nel cuore. Soprattutto Celati ci mostra la sopravvivenza di questo villaggio di duecento anime. C’è 42 la percezione di un tempo diverso, quasi fermo, vivendo giorno per giorno, facendo “passare” la vita. “Qui nessuno guarda l’orologio, a parte il fatto che pochi ne possiedono uno. Non so come chiamare quest’altra specie di tempo, tempo più elastico, legato ai modi del sentire: è il tempo delle abitudini mentali e dei movimenti collettivi nella vita quotidiana28 Il suo sguardo umile ci racconta ogni immagine di quelle terre, ogni piccolo particolare di una vita così lontana dalla nostra. Paolo Rumiz29 non ci descrive un’esperienza di viaggio, ma un altro aspetto riguardante l’Africa: l’organizzazione degli aiuti di questi paesi poveri, in modo particolare l’attività dell’associazione Medici per l’Africa Cuamm30. Ogni giorno i media ci mostrano spot riguardanti le attività di queste associazioni, ci suggeriscono modalità di aiuto per quei paesi, proprio come l’Africa, ne hanno veramente bisogno. Tutti noi penso ci chiediamo sempre cosa si celi dietro quelle associazioni, quale tipo di attività svolgono per aiutare queste popolazioni. Paolo Rumiz ci restituisce infatti una descrizione vissuta interamente all’interno di questo tipo di associazione. Medici con l’Africa del Cuamm. è la prima organizzazione non governativa (ong) in campo sanitario riconosciuta in Italia. Si spende per il rispetto del diritto umano fondamentale alla salute e per rendere l’accesso ai servizi sanitari disponibile a tutti, anche ai gruppi di popolazione che vivono nelle aree più isolate e marginali. E' nata nel 1950 con lo scopo di formare medici per i paesi in via di sviluppo con il nome Cuamm (Collegio universitario aspiranti e medici missionari), negli anni ha scelto di operare particolarmente nel continente africano, 43 da cui il nome Medici con l’Africa. Oggi è presente in 7 paesi dell'Africa a sud del Sahara, in Angola, Etiopia, Mozambico, Sud Sudan, Tanzania, Uganda e Sierra Leone, dove 80 operatori nel corso del 2011 sono stati impegnati in 37 progetti di cooperazione principali e un centinaio di micro-realizzazioni di supporto. L’incontro con Paolo Rumiz fa nascere questo libro. Lui si innamora del progetto e osserva donne e uomini in azione, ci racconta di coppie, e intere famiglie che si trasferiscono in Africa per aiutare paesi distrutti dalla guerra, da pandemie, e da malattie che per noi sono comuni come un banale raffreddore o una colite che invece in Africa porta alla morte di milioni di bambini innocenti. Uomini e donne che lasciano la loro casa, la loro famiglia, che in un certo modo si sentono molto più africani, lì nascono i loro figli, lì corrono appena arriva una chiamata di Don Luigi. Questo libro colpisce chi come me è stato in Africa e non ha vissuto solo il lato turistico, paesaggistico, naturale, ma ha visto da vicino le condizioni estreme di vita, di bambini che hanno sempre il sorriso, un sorriso dolce così pieno di voglia di vivere. Troviamo nel libro di Paolo Rumiz le sensazioni provate dai volontari, il loro vissuto, il “Mal d’Africa”, la loro generosità, ciò che ha lasciato loro dentro l’Africa, l’Africa dei colori, degli odori, delle sensazioni profonde. Questo racconta una coppia di medici: “in Kenya abbiamo incontrato un mondo di contrasti inauditi. La polvere della siccità e il fango delle grandi piogge. L’odore rancido della povertà e la magnificenza dei colori. La miseria senza fondo e il sorriso della gente . La fame dei bambini denutriti e gli alberi carichi di frutta31. 44 1. Dino Azzalin narratore-editore Dino Azzalin1 è lo scrittore sul quale ho deciso di concentrarmi per approfondire l’argomento Africa, attraverso la lettura e l’analisi dei suoi libri, soprattutto i suoi diari di viaggio in questo vasto e affascinante continente. Parlare dell’Africa, studiarla sui libri, e viverla, sono cose completamente diverse. Per mia immensa fortuna l’ho vissuta, in Kenya, proprio come Dino Azzalin, e come lui non ho conosciuto solo l’aspetto turistico di questo paese, ma ho toccato con mano anche momenti di dolore a cui non ci si può sottrarre. Grazie alla lettura dei diari di Dino Azzalin, al suo impegno in quei luoghi per quei popoli, mi sono immersa di nuovo nelle emozioni di questo continente, nei suoi odori, nelle abitudini, nel vissuto della gente. La Nuova Editrice Magenta viene fondata nel 1999 per iniziativa di Dino Azzalin e Angelo Maugeri, essa raccoglie, nel nome e negli intenti editoriali, l’eredità della gloriosa casa editrice varesina Editrice Magenta. L’esordio è: Una missione fortunata e altri racconti, inedito di Guido Morselli. È proprio lo stesso Dino Azzalin a raccontarci in un articolo2 la sua esperienza con la vecchia e la nuova editrice magenta. Qui ci narra come è venuto a conoscenza dell’esistenza di questa casa editrice, quando negli anni 70 lavorava in radio con Mauro Maconi, e insieme si occupavano di un programma dedicato ai libri, dal titolo: “Il fantasma, il monaco, la scimmia” da una poesia di Mao Tze Dong. 45 In quel periodo sentirono parlare di molti scrittori che si rivolgono a questa casa editrice, e decisero di andare a cercarla, così scoprirono che si trattava di una cartolibreria, di cui era titolare Bruno Conti. L’Editrice Magenta era nata negli anni Cinquanta: magenta non era il colore di copertina dei libri, ma semplicemente il nome della via dove, con l’aiuto di una sorella, Bruno Conti gestiva la cartolibreria Magenta. Lo conobbero proprio per cercare un libricino piccolo, bianco, con una fascetta rossa in basso, dal titolo Linea Lombarda. Fu difficile per loro trovarlo sepolto nella più totale confusione di libri e prodotti di cancelleria. Si trovarono di fronte un tipo stravagante, un professore in pensione, che li trattenne per ore ad ascoltare la sua vita. Si dimenticarono addirittura il motivo della loro visita alla casa editrice. Naturalmente uscirono senza la loro raccolta di poeti, ma da quel momento cominciò l’interesse di Azzalin per quello strano professore, tanto da portarlo a frequentare spesso quel posto. L’Editrice Magenta pubblicò libri importanti ma anche tanta critica letteraria. Purtroppo gradualmente i rapporti tra Conti e Anceschi si deteriorano fino ad arrivare ad una rottura. Furono tanti i momenti da superare, la sua morte, quella della sorella di Conti, seguita poi da Anceschi e anche dal suo amico Mauro qualche anno più tardi. Un giorno Azzalin passò di lì e vide la nuova gestione della vecchia editrice: i nuovi proprietari stavano buttando tutto. Non avevano sicuramente idea del tesoro che si celava in quella vecchia cartolibreria, per questo Azzalin chiese e riuscì a comperare tutti quei libri preziosi, e riunendo tutto, di lì a qualche anno creò con amici la Nuova Editrice Magenta. L’importanza della Magenta per Azzalin, consisteva proprio nella rottura col passato, tramite l’innovazione del linguaggio poetico. Così decise 46 di partecipare alla ripresa delle pubblicazioni della Magenta, di cui erediterà il testimone. 2. La NEM e Guido Morselli: il genio segreto La storia della Vecchia e Nuova Magenta, e quindi quella di Azzalin, si intreccia spesso con le vicende editoriali di Guido Morselli. Il primo libro pubblicato è proprio di Morselli “Una missione fortunata e altri racconti”(1999). In occasione del decennale della NEM si decide, come festeggiamento, di pubblicare la ristampa di un saggio introvabile di Morselli: “Realismo e fantasia”. E’ proprio Dino Azzalin a raccontare in un articolo3 come è venuto a conoscenza di Morselli, quando lavorando a Radio Varese, gli era stato dato da recensire per una trsmissione “Dissipatio HG” e lui rimase subito colpito da qualcosa di innovativo e, dopo aver scoperto tutta la produzione di Morselli, si appassionò. Oltre ad essere un validissimo autore, Azzalin scoprirà una nuova possibilità, quella dell’editore. Un’iniziativa importante quella della Nuova Magenta: far rivivere dopo 65 anni, il libro introvabile, Realismo e fantasia, pubblicato nel 1947 dai Fratelli Bocca di Milano e mai più ristampato. La casa editrice con questa operazione editoriale volle rilanciare lo scrittore. Evento testimoniato da testate giornalistiche 4 importanti a cui hanno partecipato vari critici e la studiosa di Morselli, Valentina Fortichiari. È un libro di pensiero, di filosofia, in forma di Dialoghi, conversazioni fra due amici nel corso di una estate, in una dimora sullo sfondo di un lago, quello di Varese. Sereno e il personaggio che dice Io, sono due facce dello stesso Morselli, illuminate di una luce che diverrà dopo la sua morte emblema e icona dello scrittore inedito. 47 Guido Morselli nasce a Bologna il 15 agosto 1912, secondogenito di una famiglia agiata della buona borghesia bolognese. Il padre Giovanni è dirigente d'impresa nel ramo farmaceutico, la madre Olga Vincenzi è figlia di uno dei più noti avvocati della città. Nel 1914 la famiglia si trasferisce a Milano. Fino all'età di dieci anni la vita di Guido scorre abbastanza tranquilla ma nel 1922 la madre si ammala seriamente di febbre spagnola e viene ricoverata per un lungo periodo. Guido soffre per questa forzata lontananza ed anche per le frequenti assenze del padre, dovute a motivi di lavoro, e quando la mamma muore nel 1924 la perdita lo segna profondamente. Il padre è sempre assente, e senza il collante familiare della mamma i rapporti tra i due continuano a deteriorarsi sia caratterialmente sia affettivamente. Guido è poco socievole, irrequieto, non molto amante della scuola, ma sorretto da un'intelligenza precoce; allo studio preferisce letture personali. Superato svogliatamente l'esame di maturità nel 1931 da privatista dopo essere stato bocciato nel 1930, per compiacere il padre autoritario si iscrive alla facoltà di giurisprudenza dell'Università Statale di Milano e comincia a scrivere, senza pubblicarli, i primi brevi saggi a carattere giornalistico. Subito dopo la laurea nel 1935, parte per il servizio militare e frequenta la scuola ufficiali degli alpini. Successivamente soggiornerà lungamente all'estero, scrivendo reportage giornalistici e racconti che rimarranno inediti. Il padre cerca, in maniera autoritaria, di indicargli una strada e lo fa assumere alla Caffaro come promotore pubblicitario: l'esperienza lavorativa si concluderà dopo un solo anno portando ad un peggioramento dei rapporti con il padre. Dopo la morte dell'amata sorella Luisa nel 1938, a soli ventisette anni, Guido ottiene dal padre un vitalizio che gli permette di dedicarsi alle attività che da sempre 48 predilige: la lettura, lo studio e la scrittura. Continua a cimentarsi in brevi saggi e inizia la stesura di un diario, abitudine che lo accompagnerà per tutta la vita. È autore di romanzi e saggi che sono stati pubblicati solo a partire dal 1974 (ossia dopo la morte), a causa dello sfavore delle case editrici, che non seppero correttamente valutarne l'importanza. Proprio i costanti rifiuti degli editori furono alla base del gesto suicida con cui Morselli, il 31 luglio 1973 nella sua residenza a Varese, pose fine alla propria esistenza. Nella casina di Santa Trinita 5 che fu sua, oggi si trova un museo dedicato alla sua opera. Morselli è l’emblema dello scrittore incompreso, rifiutato dagli editori, che viene considerato solo dopo la morte. Giornalista, saggista e romanziere, non ha trovato in vita case editrici che credessero in lui, proprio il successo conseguito successivamente al suo suicidio, non si spiega il motivo che lo ha portato al gesto estremo6 e che non ha permesso di trovare pubblico e sostegno. Sono diverse le iniziative dedicate a questo scrittore a Varese, città a cui era legato e si è adoperato, ad alcune delle quali partecipa anche la Nuova Magenta. Ad esempio è stato istituito un premio letterario7, sostenuto dalla Provincia di Varese, grazie all’iniziativa degli eredi Morselli e di Silvio Raffo8. A pubblicare i volumi vincitori è stata proprio la Nuova Editrice Magenta di Dino Azzalin. Un premio organizzato per ricordare questo scrittore, ma anche per sostenere la cultura. Molte sue opere furono pubblicate solo dopo la sua morte, fu l’erede testamentaria Maria Bruna Bassi, una sua cara amica, a far pubblicare numerosi romanzi che Morselli aveva scritto nella sua vita dedita in massima parte allo studio e alla scrittura. 49 Un articolo9 ci presenta un’altra iniziativa, una mostra dedicata a Guido Morselli, organizzata nel Liceo Classico Ernesto Cairoli dall’Associazione Varese Europa in collaborazione con il Comune di Varese. Un’esposizione di pannelli, manoscritti, video, per cercare di riscoprire, o meglio scoprire, uno scrittore che si è adoperato molto per quella terra alla quale era molto legato. Questo era uno degli aspetti sconosciuti di questo artista incompreso, un ambientalista e attento difensore del paesaggio. Anche in questo evento troviamo al partecipazione della NEM che si occupa della cura del catalogo della mostra. Il premio a Morselli si pone accanto a quello dedicato a Piero Chiara, (un altro importante scrittore di Varese) ; due personalità distinte, nati a un anno di distanza eppure così diversi, soprattutto con due destini diversi, visto il successo di uno e la triste rinuncia alla vita dell’altro. Piero Chiara definiva Morselli scontroso, visto che si chiudeva nel suo podere di Santa Trinita piuttosto che frequentare i suoi colleghi di penna. Il tempo ha restituito a entrambi la giusta dimensione professionale e umana, rivelando lo spessore di due scrittori e intellettuali, dotati di una cultura non certo di superficie. Nascondevano, dietro l’apparente alterigia, una comune timidezza, e l’imbarazzo e la solitudine di chi non può fare a meno di dare in pasto la propria anima al lettore, misurandosi a vicenda con la paura di scoprire che l’altro fosse in grado di far meglio e prima. Entrambi divennero e sono rimasti grandi, Piero Chiara lo divenne già in vita e Morselli purtroppo dopo la morte. Uniti anche dall’amore dichiarato per la loro terra varesina. L’ammirazione di Guido Morselli per il collega si può trovare anche nella raccolta delle sue lettere curata da Linda Terziroli grazie alla Nuova Editrice Magenta, 50 Lettere ritrovate10, la quale contiene tra l’altro cartoline di complimenti inviate al collega Piero Chiara11. Piero Chiara è ricordato da un premio letterario, voluto dal comune di Varese ventuno anni fa, retto dall’associazione Amici di Piero Chiara e sostenuto dal comune di Varese. Guido Morselli è un personaggio difficile da capire, a cento anni dalla sua nascita, ricorrenza nel 2012, e quest’anno, a quarant’anni dalla sua morte, molto si deve ancora scoprire sulle sue opere, gli appunti conservati, e le opere inedite, tutto rimasto in eredità alla sua grande amica di sempre Maria Bruna Bassi. Molto facile anche considerare un solo motivo del suo suicidio, quello del rifiuto editoriale. Infatti sono molti quelli che commentano così la sua fine, l’ennesimo rifiuto con il suo ultimo lavoro Dissipatio HG, considerato il suo “capolavoro”, e la fine della sua vita. Forse non è così, forse bisognerebbe andare oltre, capire tutto quello che l’ha potuto portare a togliersi la vita. Forse i vari fallimenti ottenuti, oppure tutto quello che ha passato nella vita, la morte della madre quando era piccolo, (che lui rivedrà nella figura della Madonna), il suo isolamento nella casina rosa di Santa Trinita, che si può forse riscontrare in quella di Dissipatio, per allontanarsi da una società che lo soffoca, che non lo prende in considerazione come dovrebbe. La sua ricerca continua di un senso, tutto interiore, soprattutto per quanto riguarda la sua spiritualità, messa in crisi dagli eventi, ma che aveva una gran voglia di ritrovare. Nessuna realizzazione per lui, senza quella famiglia che può dare appoggio; forse tutte queste ragioni l’hanno spinto a lasciare questo mondo in maniera diversa. Ebbe un’infanzia travagliata Morselli12; la madre fu colpita dalla spagnola e non guarì mai del tutto, morì che lui aveva 12 anni. Aveva 51 un immenso bisogno dell’affetto materno e questo traspare ovunque, soprattutto in quel suo anelito alla fede, sentito fino all’ultimo. Anche il periodo della scuola rappresentava una limitazione alla libertà. Ebbe molti amori, intensi o meno, ma segnati dal bisogno profondo di dare e ricevere amore. Amava la compagnia, le persone comuni, prendeva tutto quello che c’era di buono dalle persone che incontrava, assimilava ogni informazione, per lui era importate comunicare, ma non amava il turismo di massa, per ragioni etiche e morali. Ciò fu una conseguenza del suo esilio in Calabria. Fu proprio la guerra a cui dovette partecipare a provocare questo esilio. L’incontro con Maria Bruna Bassi avvenne in circostanze un po’ strane, infatti le sue bambine la chiamarono alla finestra per vedere quell’uomo che si trovava in atteggiamenti affettuosi con una ragazza. Era proprio lui: Guido Morselli. Fra il 1930 e il 1935 frequenta e si laurea in Giurisprudenza all’Università Statale di Milano. L’ambiente universitario fa scaturire la sua passione per la scrittura e soprattutto le sue capacità. In questi anni le sue pubblicazioni sono soprattutto articoli giornalistici e un racconto di guerra. Dopo gli studi intraprende un particolare Grand Tour, viaggiando tra Inghilterra, Francia, Germania e Scandinavia, lo scopo era quello di perfezionare la sua conoscenza delle lingue. Durante questi suoi soggiorni all’estero, si era cimentato in reportages come Vecchia Francoforte, Aria di Copenhagen13. Questo ci permette di capire quanto sia variegato il mondo di Guido Morselli, spaziando dai racconti, alle lettere, ai reportages, trattando argomenti di storia, di cultura, mostrando un autore attratto da tutto quello che lo circonda. 52 Nel 1940 inizia la sua sofferta esperienza di guerra, viene inviato prima in Sardegna, comincia così a delinearsi un suo Diario14, contenente citazioni e le prime tracce delle sue opere. Fu poi chiamato alle armi in Calabria dove rimase tre anni, lontano da tutti, dalla sua famiglia. Poi decise di lasciare l’esercito e si trasferì a Catanzaro dove cercò di vivere in vari modi. Intanto continuava a scrivere: lì cominciò Realismo e fantasia15. Riesce soprattutto a pubblicare il suo saggio di “Proust o del sentimento16”, presso Garzanti. Fu proprio durante il soggiorno in Calabria che capì cos’era la nostalgia, dalla sua famiglia, la lontananza dalla persona amata, il profumo che gli ricordava la sua casa. Ricordava tutto anche il medico suo grande amico che compare nel romanzo Dissipatio HG17. L'esordio col suo saggio su Proust sembra aprire per Morselli, nelle sue stesse speranze, l'avvio di una carriera di scrittore promettente e destinata a consolidarsi. Purtroppo il suo destino di insuccessi editoriali continuerà a perseguitarlo fino alla fine, e farà solo in tempo a vedere le stampe del saggio successivo, "Realismo e fantasia", nel 1947. Da qui in poi rimarrà inascoltato, fatta eccezione per pochissimi conoscenti e i lettori delle case editrici, inesorabilmente ostili alla pubblicazione. Terminate le attività belliche riesce a risalire lo stivale fino a Varese con mezzi di fortuna. Gli ultimi mesi della guerra vive ospite di un'anziana signora, segnato da ristrettezze economiche rigidissime, tanto che è costretto a vendere quasi ogni cosa di sua proprietà e riesce a ricavare delle minime entrate economiche dando lezioni private. Non si arrende mai a cedere i suoi libri, riesce a spedirli comunque a casa. A Varese riordina e lavora a "Uomini e amori", scrive anche racconti brevi. Comincia a ideare e si prepara a scrivere il romanzo breve "Incontro 53 col comunista". Nel frattempo, alla decisione della famiglia di ritornare a Milano, dove avevano vissuto prima dello scoppio del conflitto, egli decide di non spostarsi e rimanere a vivere da solo. Inizia poi una felice collaborazione con alcuni giornali tra cui “La Prealpina” di Varese, dove pubblica recensioni letterarie, proposte culturali. Il padre gli dona un podere a Gavirate dove fa costruire una casina immersa nel verde, la sua amata casina rosa. Si fa prepotente in lui un conflitto interiore in materia religiosa e comincerà a stendere una trilogia su questo argomento che verrà approfondito in seguito e ne darà testimonianza anche la sua amica Maria Bruna Bassi, ma completerà solo uno dei testi previsti, Fede e critica. Intanto aveva lasciato Gavirate e la famosa casina rosa di Santa Trinita che tanto aveva amato, ma che non lo ricambiava spesso. Infatti quel periodo fu pieno di difficoltà, furono tanti i motivi che lo spinsero ad allontanarsi dalla sua amata casa, primo fra tutti: la casa invasa dai molesti rumori di alcuni ghiri. La lasciò definitivamente per il chiasso di alcuni motocrossisti18. Quel signore straniero, che si faceva chiamare Sereno, viveva completamente alienato dalla civiltà, come di chi delle cose del mondo non volesse più occuparsi. Continuò a scrivere e questo gli procurava gioia, una gioia contrapposta al dramma ogni volta che terminava un testo e cominciava il calvario degli editori, il dramma dei numerosi rifiuti. Morselli amava tanto la vita, e seppe goderla, annotava tutto, si interessava a tutto e il mondo circostante era per lui fonte d’ispirazione per le sue numerose opere. Un giorno trovò nella cassetta della posta due 54 copie della sua ultima fatica, restituite dagli editori. L’ennesimo rifiuto; e la sera stessa smise di soffrire. Guido Morselli, uno scrittore definito “genio segreto”, incompreso ai più. Un autore postumo, visti i vari racconti pubblicati dopo la sua morte “voluta”, questo suo gesto eclatante è stato sminuito, dandogli come semplice motivazione quella della sua insofferenza al rifiuto editoriale, ma sicuramente nessuno ha capito che probabilmente non era solamente quello il motivo. Il suicidio non c’entra niente con il valore dell’opera, i motivi di un tale gesto vanno ricercati anche e soprattutto altrove. Probabilmente non venne pubblicato in vita perché si tratta di un autore molto difficile, dalla scrittura complicata, o probabilmente si presentava come un autore “scomodo” che affrontava argomenti importanti, che non venivano presentati come voleva in quel momento il gusto popolare. Nel 2012 abbiamo avuto una ricorrenza, quella dei cento anni dalla nascita di Morselli, il 15 agosto del 1912, e siamo a quaranta anni dalla morte, e molto ancora si deve scoprire delle sue opere, dei suoi appunti, di tutto quello che lui studiava, molto ancora nelle mani degli eredi, e molto conservato nei luoghi in cui c’è tutta la sua eredità. Studiava ed osservava tutto, leggeva articoli di giornale, molti libri, sottolineava quello che più gli interessava, appuntava i suoi pensieri, perché lui studiava a fondo quello che leggeva, non trascurava nulla e questo si può capire da un aneddoto: fu proprio lui a suggerire a suo fratello Mario, al quale concesse una volta la possibilità di aprire il suo armadio delle meraviglie con tutti i suoi libri, di non leggere superficialmente, ma di capire a fondo ciò che si legge, se necessario leggerlo altre migliaia di volte, di fare ricerche continue su tutto quello che non si conosceva, e probabilmente è quello a cui si è dedicato durante la sua vita; la 55 conoscenza oltre ovviamente alla scrittura. Tutti i suoi appunti, libri, articoli sono conservati nella Biblioteca Civica di Varese dove li ha lasciati in eredità. I libri sono stati da Morselli amati, sottolineati, postillati. Alcuni presentano una dedica speciale e una data, come la dedicata di Marinetti, il fondatore del futurismo, a suo padre. Vi è inoltre una cospicua presenza di annotazioni, soprattutto negli indici, come se non bastasse e dovesse essere arricchito dalla sua opinione. Tutti questi libri comprensivi delle sue annotazioni sono riuniti nel Fondo Morselli. Le fonti di Morselli sono numerose, come ad esempio riviste e giornali, il National Geographic, citato nel Diario, le cui copie, annotate e ricche di inserti, sono conservate nel Fondo Morselli di Varese. Le tematiche ricorrenti nei vari articoli raccolti riguardano la religiosità, tema delicato per Morselli che verrà approfondito in uno specifico capitolo, l’avanzata del comunismo, l’interesse medico, anche per quanto riguarda gli stupefacenti, infatti vi costruirà una bellissima sceneggiatura E’ successo a Linzago Brianza19, in questa sceneggiatura per un film Morselli affronta l’argomento della nevrosi da sostante stupefacenti, della scelta dell’amore di due donne, Vanda e Raffaella (la presenza di due donne che chiedono amore e una scelta è presente anche ne Il Redentore) l’impossibilità di realizzare i propri desideri anche con l’impegno. Il trenino di latta sarà l’immagine che fa da sfondo a tutto il racconto, e tutto diciamo gira intorno a questo concetto. Walter impiegato nelle ferrovie come addetto agli scambi, in una piccola stazione, a Linzago. Il suo sogno è quello di partecipare al concorso per aiuto macchinista, 56 intanto , fin da bambino, colleziona trenini. Morselli ci parla della periferia milanese, della durezza della vita, la violenza, l’ombra delle droghe che arriveranno a rendere tragico il destino di questo giovane che aveva un sogno, animato da sentimenti positivi, e all’inizio da una fede sincera. L’altra protagonista di questa sceneggiatura è Vanda, la prescelta di Walter, probabilmente perché è più debole e questo si capisce da subito, vista la sua dipendenza dai farmaci, all’inizio favorita proprio dal padrone della fabbrica che riforniva le sue operaie. Walter sceglierà lei, ricevendo dalla donna non amore, ma almeno gratitudine, inizialmente. Quel passaggio a livello divide e sarà sempre il simbolo della divisione tra il mondo di Vanda e quello di Walter e la sua passione per i treni. Quel treno sarà anche il destino dello stesso Walter. Vanda detta le regole di questo matrimonio, fatto di libertà per lei, del rifiuto di avere figli e che sarà sempre segnato dalla sua dipendenza dai farmaci, quello che porterà alla tragica fine del marito sognatore. Quel trenino di latta mostrato a Vanda, sarà anche lui simbolo del loro futuro, e contribuirà ai vizi di Vanda. Il decadimento fisico e mentale della ragazza è inevitabile e la porterà a cadere nelle maglie della malavita per procurarsi quelle pillole. Intanto Walter resta vittima di un incidete sui binari, diventa zoppo e deve così rinunciare al suo sogno e rivedere i suoi desideri ed adeguarsi così alla sua nuova situazione. I suoi segni legati al famoso trenino di latta si infrangono. Dovrà così diventare sagrestano dell’ospedale dove si trovava in cura dopo l’incidente. Sposa Vanda e ne accetta le conseguenze e soprattutto la sua instabilità, fino a quando il dolore lo sovrasta e fa crollare anche la sua fede. Morselli ci dà una descrizione in questa sceneggiatura della periferia popolare, personaggi 57 della campagna che vengono tentati dalla città, regno del vizio. Quel trenino non rappresenta più il sogno, ormai infranto di Walter, ma servirà adesso a Vanda per dare atto ai suoi vizi, uno dei quali è quello delle scommesse calcistiche. Lo userà per scommettere, il trenino verrà fatto camminare e a seconda del segno dove si fermerà, 1X2, Vanda deciderà la sua puntata. Ha ceduto al vizio, la ragazza, è disonesta, è sempre più tentata dalla città, diventerà sempre più superficiale. Soprattutto si considera una vittima di questo sistema. È figlia della società del consumo, (un argomento che ha sempre interessato Morselli, visto che decide di ritirarsi nella casina rosa a Gavirate, proprio per sfuggire alla società dei consumi, quella società che lo ha escluso, che lo ha portato alla sua fine, possiamo quindi vedere in questa sceneggiatura, il pensiero dello stesso Guido Morselli verso questo tipo di società?) ; si rivolge verso la città Milano, dove verrà accompagnata da Vincenzo per cercare le sue pillole. Walter non ne può più, si sacrifica e affronta una dura crisi religiosa (altro tema legato all’autore, visto i suoi continui dubbi sulla religione), e più Walter si sacrifica e più la moglie lo deride e si rivolge a una vita superficiale, priva di valori. Il divario tra i due sia accentua quando Vanda rimane incinta, e Walter spera che finalmente questo la potrà far uscire dalla dipendenza dei farmaci. Purtroppo non sarà così. Walter cercherà ancora di aiutarla. Si vede in questo momento una bella trovata scenica di Morselli: Walter è come fuori campo e vede così che tutto coloro che lo circondato non lo aiuteranno in nessun modo, dovrà nuovamente cavarsela da solo. Così decide di provare un ultimo tentativo, porterà la moglie a vedere il figlio del suo capo; la moglie aveva lo stesso suo tipo di dipendenza e avendo partorito due gemelli, uno purtroppo muore e l’altro è una specie di mostro. Probabilmente di 58 fronte a quello scenario Vanda avrebbe potuto rendersi conto delle gravi conseguenze derivanti dalla sua dipendenza e così smettere finalmente, ma non fu così. Tutto questo porterà al tragico finale; il riorno a quei binari che dividevano i due coniugi, il ritorno di Walter all’inizio, a quel suo sogno mai realizzato; Walter si dirige verso il suo treno, lo aspetto, ma non sulla banchina, verso i binari, quel treno si avvicina sempre più: l’impatto sarà inevitabile. Così finisce tutto. I sogni negati e mai raggiunti nonostante l’impegno e la buona volontà. Lo stesso destino dell’autore, personaggi pieni di buona volontà, bersagliati dal destino, ingiustamente. Come possiamo notare uno dei protagonisti di questa sceneggiatura è un personaggio femminile, come molti ce ne saranno nei numerosi raccontini di Guido Morselli, mai presi in considerazione. Poi ci penserà Dino Azzalin che, una volta rilevata la vecchia Editrice Magenta dando vita alla nuova casa editrice, decide di partire con questi 15 racconti inediti di Guido Morselli. La sorpresa maggiore fu proprio il fatto di trovarsi davanti molti personaggi femminili; decisero così di dare un titolo che potesse essere beneaugurante per l’inizio di una attività editoriale: Una missione fortunata20. Ritratti di donne trattati con capacità di identificazione; figure femminili perlopiù vincenti, in grado di catturare l’attenzione per la loro carica passionale, per le loro scelte esistenziali, le astuzie o le loro segrete gelosie. “Una missione fortunata” è certamente il racconto ben riuscito; una sorta di spaccato storico che rivelava una delle vene narrative all’autore più congeniali: l’attualizzazione della storia, cui corrisponde l’attenzione alla scottante attualità politica. Valentina Fortichiari, la più importante studiosa dello scrittore, ne scrisse la prefazione. Nella forma 59 breve del racconto Morselli non ottenne quell’armonia, quella perfezione dei suoi romanzi migliori del periodo tardo, forse perché in poche pagine non riusciva ad esprimere tutto quello che avrebbe voluto. Alla storia e alla politica fanno riferimento dei racconti che ricordano Contro-passato prossimo o Il comunista, racconti dedicati a storie di coppie, a temi sociali. Fa parte di Una Missione Fortunata, un racconto che presenta una quadro sociale Fantasia con moralità21: in una città di provincia una catena di misteriosi delitti si trasforma in una catena di violenza incontrollabile, una lotta di tutti contro tutti. Morselli parla qui di una violenta conflittualità insita nei rapporti umani, anche qui si delinea una sorta di pessimismo sociale. Abbiamo poi il racconto La Voce22, dove troviamo Giuseppe Pinelli e Luigi Calabresi, protagonisti di una pagina della storia repubblicana italiana, che si incontrano nell’aldilà e ripercorrono la loro drammatica vicenda. L’argomento si rivela sempre più ampio, di tipo esistenziale. Troviamo nuovamente un tema importante per Morselli, l’Unde Malum, da dove viene il male al quale l’uomo non si rassegna, per il quale l’uomo non è accusato di essere il colpevole. Proprio la realtà esterna e la sofferenza che incombe e ti comprime, fino a portarti alla distruzione poi, d’un tratto, quel giorno, ho sentito una voce. Più forte delle vostre, più forte dei miei pensieri. E la voce diceva: “Basta, Pinelli, hai sofferto a basta. Hai il permesso di andartene. Sono io che ti chiamo”. Ho guardato la finestra, ho pensato: siamo al terzo piano, è così facile» .«Dunque suicidio, quello che ho sempre sostenuto». «Suicidio, non so. È suicidio quando uno non ha più fiato? non ha più nervi? È la vita che si ritira. E quella voce non era la mia, quella voce che mi chiamava». «Beh, te l’ho già detto, a me è 60 successo lo stesso. Ero stanco anch’io, dopo due anni23» Una compatta serie di racconti raccolti in questo libro ha come protagonisti personaggi femminili, storie di donne alla ricerca di una autenticità smarrita. Soprattutto donne che ricercano la loro indipendenza, argomento che ha creato molto interesse nel Nostro scrittore, visti gli sviluppi del periodo della ricerca di questa condizione da parte delle donne del tempo. Troviamo temi di morale quotidiana, i rapporti tra gli individui, soprattutto i rapporti con l’uomo, in cui la prospettiva è quella dell’impossibilità del raggiungimento della vera felicità. Donne che cercano le attenzioni in qualsiasi modo, in Ho dirottato sul guard-rail, oppure la difesa di quello che è considerato proprio, anche se in qualche modo si cercava di allontanare le responsabilità, come Estate in Germania, dove una donna minacciata dalla possibilità di perdere il suo uomo a cui aveva sempre lasciato libertà, non lascia trasparire la sua preoccupazione, ma in qualche modo difende il suo “territorio” come farebbe qualsiasi donna come noi. Alla fine la protagonista è ben consapevole che nella vita occorre compromettere, patteggiare24. Morselli dedica alcune fra le sue pagine più acute proprio al rapporto fra uomo e donna come un aspetto rivelatore della fenomenologia sociale e antropologica tipica di una data epoca. Primo esempio può essere Ilaria Delange, la protagonista di L’Incontro con il Comunista25; donna colta e scrittrice benestante, appartenente al mondo borghese, quarantenne che decide di lasciarsi andare all’amore che la porta ad abbandonare la sua buona condizione e a raggiungere la libertà, diventando l’amante di Gildo Montobbio, un comunista. Lui, commilitone del figlio, emblema della durezza e della richiesta di pietà, è rimasto ferito dalla guerra, 61 quindi malato; la malattia sarà uno degli elementi presi sempre in considerazione da Morselli nella sua ricerca di risolvere il suo enigma di sempre: quell’Unde Malum che lo appassiona, da dove viene il Male? Lo introduce il nostro Dio imperscrutabile? E se è così, perché lo introduce? La malattia rappresenta un correlativo-oggettivo di questo male, così come lo è la guerra26. Ilaria capirà poi che sarà proprio lei a poter risolvere le pene di Gildo, inizialmente solo come assistente, ma pian piano crescerà in lei il sentimento dell’amore. Rinuncerà così alla sua buona condizione per esplorare la libertà. Inizialmente il suo Diario sarà proprio la descrizione di questo periodo di convalescenza. Il loro rapporto presenta completamente la subordinazione di lei alla sua autorevolezza. Questa vedova di quarant’anni si trova di nuovo davanti l’amore. Un altro elemento importante per il Nostro scrittore che possiamo ritrovare in questo racconto, è il suo bisogno di amore materno, di cui sente la mancanza fin da bambino con la prematura scomparsa della madre. Infatti anche la figura di Gildo è di un orfano che ha raggiunto questa condizione molto presto, come Morselli, a soli tredici. Il protagonista troverà in Ilaria, quella figura materna che gli è mancata27. Morselli si confronta in questa storia, con il problema della società corrotta, a lui molto caro, della contrapposizione tra borghesia e comunismo, due mondi così distanti, ma che alla fine si riveleranno molto simili, entrambi molto vili. Lo possiamo notare nel testo teatrale L’amante di Ilaria28; qui il figlio di lei, Roberto, affascinato dalla figura di Gildo (non sapeva però che se la intendeva con la madre), si avvicina al comunismo, e vedrà allontanarsi l’amore della sua vita, proprio per questa contrapposizione 62 della borghesia-comunismo; infatti la famiglia di lei, borghese, decide di farla allontanare per forza. Roberto vedrà anche il tradimento da parte di Gildo, comunista convinto, che si farà affascinare dal benessere, che sembra così lontano dal loro mondo, invece cede egli stesso alla bella vita. In fondo questi due mondi sembrano non essere così lontani, l’egoismo e la voglia di affermazione, accomuna tutti. Nel finale di L’Incontro con il comunista possiamo notare come il male, l’egoismo vince su tutto, anche sull’amore: è sopraffatto sempre dal tradimento. Ilaria verrà infatti tradita da Gildo, lo raggiungerà in stazione, chiamato per tornare al fronte ad aiutare i compagni clandestini, per un ultimo saluto, ma lui non voleva; proprio perché la sorpresa per Ilaria sarà quella di trovare l’uomo, per il quale lei ha rinunciato a tutto, in compagnia di un’altra donna, in un dolce abbraccio che lei purtroppo non aveva ricevuto. Per il romanzo è stata scelta la conclusione più amara; c’è sempre il tradimento, la fragilità, il male e l’egoismo sono sempre più forti di un grande amore iniziale che porta la nostra protagonista a rinunciare a tutto. Un’altra delle protagoniste femminili del mondo morselliano è Mimmina, che possiamo trovare nel romanzo Un dramma borghese29. Si tratta di un romanzo dove è possibile rintracciare molto di quello che riguarda da vicino il Nostro scrittore Guido Morselli, che non possiamo definire autobiografico, ma vi troviamo un intreccio tra realtà e fantasia, dove molte vicende sono prese da esperienze vissute. Infatti il romanzo si concentra intorno a due temi fondamentali per Morselli, il suicidio e l’incesto. Mimmina si presenta come una ragazza fragile, sicuramente bisognosa d’affetto, colpita dalla morte della madre, probabilmente suicida, e da un padre che non ha mai saputo prendersi le sue 63 responsabilità lasciandola in un istituto. Come possiamo notare il tema della morte di una madre è molto spesso presente nei suoi romanzi, vista l’esperienza purtroppo vissuta in prima persona. I due decidono di rincontrarsi e provare a vivere insieme, Mimmina cercare di risvegliare il bisogno d’affetto e il sentimento nel padre, che probabilmente aveva accantonato dopo la morte della moglie, forse proprio perché la ragazza ne aveva bisogno. Lo farà però nel modo sbagliato, o almeno in maniera esagerata, visto che tutto questo sfocerà in una passione oltre i limiti da parte della figli nei confronti del padre. Un Dramma Borghese soprattutto nel momento in cui il padre guarda dalla serratura la figlia masturbarsi. Un gesto che fa capire la sessualità della figlia accentuata, forse poco controllata. Un immagine che ad ognuno di noi crea un certo ribrezzo. Il rischio dell’incesto, uno dei perni del romanzo, ma sarà solamente sfiorato. O almeno solamente con la figlia, infatti vedremo questo padre, che comunque commetterà qualcosa di poco corretto, qualcosa che per la società e che moralmente si presenta come scandaloso, infatti rivolgerà le sue attenzioni proprio alla piccola amica della figlia, Teresa, forse perché meno fisicamente sviluppata rispetto alla figlia, ma comunque una bambina30. Un intreccio un po’ strano, l’adolescente sognatrice che si innamora del padre della sua migliore amica, forse è la cosa minore, ma la che tutto questo si trasformi in realtà è molto diverso, e soprattutto la stessa figlia che ha gli stessi sentimenti del padre. Nel romanzo verrà affrontato un altro tema caro a Morselli, presente in numerose sue opere, soprattutto nell’ultima, quella si può dire premonitrice, Dissipatio HG, un tema che lo riguarderà da molto vicino e che segnerà la fine della sua vita, il suicidio31. 64 Questo bisogno di inserire sempre questa tematica, ci può far capire che lo scrittore era da sempre intenzionato ad usarlo come soluzione, oppure cercava semplicemente di approfondire questo tema, di capire se è proprio la vita, con il male che porta (altro tema centrale quello del male), a spingerci a trovare questo tipo di soluzione, che quindi viene accettata come possibile modalità per risolvere i propri problemi? Anche se dalla religione non verrà mai accettata. In Un dramma borghese, il suicidio è presente ovunque, nel bambino che muore nel lago, probabilmente sucida, nella madre di Mimmina, che non si sa come sia morta, probabilmente suicida anche lei, nei continui tonfi nei navigli. Soprattutto in Mimmina stessa che sarà proprio ricoverata per questo, per un colpo di pistola, si tratta probabilmente anche questo di suicidio. Il padre si perderà nella nebbia, per le strade, in cerca della clinica che lo porterà da sua figlia, si erano riavvicinati per stare insieme, ma in fondo la solitudine è sempre presente. La fine del romanzo presenta un altro tema molto presente nei romanzi di Morselli, quello dell’attesa 32. L’attesa molto spesso di un medico, in questo caso si attende un chirurgo per capire quale sarà la fine di Mimmina, un collegamento può essere fatto con Dissipatio HG, dove il protagonista attende un altro medico importante nella sua vita Karpinski. La fine, quella dell’esistenza in Dissipatio, quella della vita, forse in Un dramma borghese. Qui non si sa se ci sarà la fine, ben presente è l’attesa angosciosa di questo chirurgo in grado di operare Mimmina, la ragazza suicida. Morselli ci lascia così, con questo finale aperto, con questo senso di angoscia per la fine. Sono molti gli scritti che oggi parlano di Morselli, ma quando si decise di pubblicare molti suoi scritti lui già era morto, il 31 luglio di anni prima, di suicidio e silenzio. Si dedicò molto ad argomenti, racconti e 65 riflessioni riguardanti la Storia, in molti casi rivista, con dei finali molto diversi che avrebbero sicuramente potuto cambiare le nostre sorti. Dopo il rifiuto di Rizzoli per il suo progetto editoriale del Il comunista, che fu per lui una grande delusione, infatti sentirsi da solo uno scrittore senza essere considerato dagli altri allo stesso modo, è difficile da superare, cominciano una serie di romanzi storici, come la trilogia di Roma senza papa (66-67) Contro-passato prossimo (69-70) e Divertimento 1889 (70-71) ai quali si può aggiungere Dissipatio HG. Quattro libri dove vengono affrontati tre temi fondamentali, guerra, cattolicesimo e morte, quest’ultima come evaporazione e come profezia della sua stessa fine. Non può mancare di essere preso in considerazione Cose d’Italia33, soggetto per un’opera teatrale, che tratta allo stesso modo temi di storia, ipotizzando un andamento diverso dei fatti dal nostro scrittore. Il soggetto di quest’opera riguarda la vita privata di Mussolini e le vicende del fascismo alla fine degli anni Trenta, ma prendendo in considerazione non solo la storia in generale, ma i vizi di grandi uomini pubblici, la loro vita privata, i loro punti deboli. Ci troviamo di fronte a un Mussolini convertito e amato da tutto il popolo, capace di trasformare la dittatura in repubblica democratica, anche se poi verrà deposto a causa di alcune scelte impopolari. Troviamo inoltre la voce fuori dal coro, dell’intellettuale –libraio Righetti, che rappresenta il portavoce di Morselli, ci fa capire che non cambia nulla nel modo di pensare degli italiani quando si toccano i loro interessi. Con questa fantasiosa contro-storia Morselli anticipa il metodo che verrà usato in uno dei suoi capolavori: Contro-passato prossimo, che riscrive il finale della Prima Guerra Mondiale, raccontando fatti che potevano cambiare il corso degli eventi, ma che non sono accaduti. In 66 questo soggetto il mondo femminile ha il potere di cambiare la storia, infatti saranno proprio donne coloro che si inseriranno nella scena politica, cercando di cambiarla in meglio, come farà una di loro, la prima amante di Mussolino, oppure favorire altre nazioni, come invece farà la seconda. La prima di queste donne si chiama Camilla, e dato il suo ideale profondamente pacifista, userà la sua sensualità a suo favore. Si concede al Duce solo dopo aver ottenuto delle promesse: non entrare in guerra accanto ad Hitler; e così sarà, Mussolini manterrà la parola data. Si affaccerà dalla famosa balconata e darà l’annuncio agli italiani. Quindi la sua politica sarà da questo momento molto positiva: riforma agraria, redenzione del Mezzogiorno, giustizia fiscale. Ovviamente dopo tutti questi avvenimenti i partiti a lui contrari, il partito socialista, gli antifascisti, che non condividevano la politica di Mussolini, ma volevano la pace, non avranno ragion d’esistere, visto che tutto quello che chiedevano, come la pace, verrà attuato da questo nuovo regime condotto dal Duce. L’Italia diventerà così molto autorevole nel bacino del Mediterraneo, una minaccia soprattutto per gli inglesi. Ed è qui che entra in gioco la seconda donna (come possiamo notare il mondo femminile e la sua importanza rappresenta molto spesso il perno dei romanzi di Morselli), Patricia, invitata dalla sua patria a compiere questo grande sacrificio, e per amore della patria, dopo qualche dubbio si sacrificherà. L’unico modo per diminuire questo consenso dato a Mussolini sarà quello di mettergli contro le due fondamentali istituzioni del paese, la Chiesa e la Monarchia. Mussolini decide di abolire i Patti Lateranensi, ma nessuna reazione, calma generale, gli interessati non danno alcun cenno di opposizione, né tantomeno il Re e la Regina si oppongono, se lo 67 aspettavano. Molto probabilmente aveva ragione Righetti, il nostro intellettuale inascoltato, che esprime il pensiero di Morselli; gli italiani non si ribellano mai a quello che gli viene imposto dalla dittatura, non sono in grado di reagire, fino a che non si decide di toccare i loro più grandi interessi. Proprio qui avrà inizio l’altra parte del piano per allontanare Mussolini, convincerlo, ovviamente sarà sempre Patricia a farlo, a toccare gli interessi principali degli italiani, la finalità sarà quella di “moralizzare” il paese. La nostra Patricia riuscirà nuovamente a convincerlo, verrà dato ordine di chiudere le case del piacere e di vietare le scommesse calcistiche. Ovviamente la moralizzazione del paese non verrà approvata dal popolo che insorge in ogni parte d’Italia. Il Duce patteggia promettendo di andarsene, il Comitato di liberazione riesce a farlo fuori e infine verranno riaperte le case chiuse e riammesse le scommesse. Come si può vedere da questo finale: i vizi degli italiani non cambiano. In Roma senza papa34, ovviamente ci troviamo sempre nella città eterna, questa volta siamo vicini al Duemila. In questo racconto si perde anche il Papa. Come in Cose d’Italia, anche qui ci si trova in piena decadenza morale. Morselli riesce in questo racconto a prevedere una forte scristianizzazione, che probabilmente stava già cominciando durante gli anni Sessanta. Viene affrontato uno dei problemi di fondo che hanno sempre angosciato Morselli, le questioni religiose e spirituali. Il papa ha deciso di lasciare il Vaticano, che perde quindi la sua importanza di centro della cristianità, e si trasferisce a Zagarolo. Don Walter è in attesa di incontrarlo; l’attesa è molto spesso presente nei romanzi del nostro scrittore: l’attesa dei medici, Karpinski, il chirurgo in Un dramma 68 borghese, l’attesa della fine. I vizi di questa città sono gli stessi di trent’anni prima, presenti in Cose d’Italia: le donne e le scommesse calcistiche, probabilmente molto più accentuati. Un personaggio importante del racconto è Enea; ha fatto parte delle guardie svizzere, che adesso non sono più utilizzate, infatti sarà più facile incontrare il Papa, considerata da lui stesso una cosa molto positiva, a scapito ovviamente del suo stipendio, e si dedica adesso all’attività di massaggiatore. Don Walter andrà proprio da Enea per curare il suo piccolo male alla gamba, ottenendo moli sacrifici. Si scoprirà così qualcosa di intimo di Enea: era massaggiatore di una squadra di calcio, e sarà proprio lui ad affermare quanto il calcio sia il motore della vita nazionale, collegandosi perfettamente agli stessi vizi presenti nel precedente racconto Cose d’Italia. Ci fa capire egli stesso come le scommesse calcistiche siano componenti fondamentali del pianeta calcio e il calcio stesso sia il luogo degli intrighi presenti in Italia. Sarà proprio Don Walter, da solo, a dover combattere contro questi vizi, e gli egoismi altrui. Come nel precedente romanzo, il governo decide la riduzione allo stato dilettantistico delle squadre di calcio, e la riduzione quindi dei compensi per le loro prestazione; ovviamente tutto ciò crea scalpore, rivolta, rivoluzione e occupazione del Campidoglio. Come nel caso precedente questa legge verrà annullata. In questo caso però la decisione del Papa di lasciare il Vaticano verrà presa in maniera positiva, a differenza dell’allontanamento di Mussolini che verrà sollecitato. Questo colloquio vorrebbe portare la charitas a diventare azione e non solo teoria, la scena si presenta come una luce di speranza. Ma Giovanni XXIV non ha il gusto di comunicare purtroppo, risvolto negativo della sua umiltà. 69 Il Papa sembra vivere felicemente in quel paesino, per non compromettersi con le mafie del mondo al di fuori di quel paesino periferico. Tutto ciò sembra essere una specie di premonizione-casualità, rispetto a tutto ciò che abbiamo passato nell’ultimo periodo proprio noi, Benedetto XVI che decidere di lasciare, probabilmente come si dice in questo racconto, per non farsi influenzare, per motivi a noi sconosciuti e sicuramente molto più grandi di noi; la città eterna che rimane senza il suo Pontefice. Nel romanzo si ventila la proposta di un papato a tempo (quindici anni). Ci sarà una schiera di papi emeriti. la Chiesa è governata collegialmente. Come se non bastassero le serpi in seno il papa, un monaco benedettino di origine irlandese, ama allevare vipere. Quando esce Roma senza papa scoppia il caso Morselli. Sul Corriere della sera Giulio Nascimbeni parla di “Gattopardo del Nord” tracciando il parallelo con un altro grande incompreso e inedito. In vita Morselli ha pubblicato solo due saggi a pagamento negli anni ’40 e alcuni articoli raccolti in un volume appena uscito: Una rivolta e altri scritti (Bietti) a cura di Alessandro Gaudio e Linda Terziroli. Uno dei motivi centrali degli interventi sui giornali, per stare in tema di attualità, è l’ecologia, la lotta al cemento selvaggio, la tutela dell’ambiente come diritto sociale. Allora gli davano del passatista o del borghese. Per la Terziroli “Si può vedere nella scelta del papa anche un aspetto apocalittico: Zagarolo come Zurigo, la città dove Morselli ambienta la fine del mondo in Dissipatio H. G.”. La studiosa rimarca altri elementi interessanti di Roma senza papa. Come il fatto che il papa forse ha una storia con una famosa teologa indiana. Nella Spagna progressista c’è la crisi delle vocazioni. Il celibato dei preti è abolito: “Sei nella città che ha dato al mondo la parola sesso. Guardati da questa città corrotta e corruttrice” dicono al 70 protagonista, Walter, un prete svizzero in missione a Roma. Per sopperire al calo turistico la capitale investe sul turismo sessuale. Questa era pura fantasia dell’autore, ma come possiamo notare non siamo molto lontani da quello che sta succedendo realmente nel nostro paese. Per quanto riguarda la narrativa, il privilegio della pubblicazione fu dato ad Adelphi dal 1974, grazie alla stessa Valentina Fortichiari. Adelphi fa stampare anche il Diario, che manca di alcuni brani giudicati troppo privati, e anche la gran parte degli epistolari, di carattere privato e mai venuti alla luce. Sempre a Valentina Fortichiari con la NEM si deve la ristampa nel 2009 di Realismo e fantasia, pubblicato nel 1947 dai fratelli Bocca e mai più ristampato. Questo fu l’inizio della fortuna per la casa editrice. Per la NEM, grazie a Linda Terziroli sono state pubblicate lettere a personaggi conservate nei libri o in altri materiali appartenenti al Fondo Morselli di Varese. Tutte queste lettere vengono riunite dalla Terziroli nel libro dal titolo Lettere ritrovate, che costituisce un’opera che Morselli stesso scrisse senza rendersene conto, l’epistolario che ne svelava aspetti sconosciuti. In questo ritrovamento vi sono stati dei riscontri inediti, come una lettera di Benedetto Croce, alcune di Antonio Banfi o di Francesco Albergamo. Leggere tra le sue lettere significa leggere dentro l’anima dello scrittore. È una specie di percorso che ci fa capire tutti gli interrogativi posti dallo stesso scrittore durante la sua esistenza così difficile, piena di dubbi. Questo libro presenta una serie variegata di lettere a vari personaggi; dal maestro Antonio Banfi, una figura essenziale nella formazione dello scrittore; al premio Nobel per la medicina Konrad Lorenz, alla famosa lettera legata al disturbo subito per colpa dei ghiri, due cartoline a Piero 71 Chiara, scrittore più fortunato di lui. Tutto questo ci fa capire la varietà di conoscenze e di interessi dello scrittore di Gavirate. Tutte queste lettere e i variegati interlocutori soprattutto, ci fanno capire quale desiderio insaziabile di conoscenza era alla base di queste corrispondenze, desiderio di dare una risposta ai suoi numerosi dubbi. Morselli leggeva e rileggeva con attenzione la corrispondenza, sottolineava i concetti sui quali desiderava riflettere, appuntava anche i discorsi con il mittente. Ogni lettera ricevuta poi veniva inserita all’interno di un libro scelto con precisione, per proteggere lo scritto. Se i destinatari della corrispondenza erano scrittori, le lettere venivano inserite all’interno del libro dell’autore, spesso all’interno della pagina che aveva dato vita al dibattito. Vale la pensa quindi concentrarsi non sono sulle lettere, ma è interessante scoprire anche i libri che le contenevano, gli appunti dell’autore, i passi sottolineati, per capire tutti i variegati interessi di Morselli. Questa serie di lettere fa capire il desiderio dello scrittore di comunicare, di superare la barriera di incomunicabilità tra il proprio io ed il mondo, cioè interagire tra uomo e uomo ed aprirsi al confronto con l’altro. Certo è che tutti gli interlocutori del nostro scrittore sono ovviamente di un certo spessore, proprio per la profondità del pensiero di Morselli. In questo libro troviamo anche la testimonianza fondamentale di Maria Bruna Bassi, amica fidata e sostenitrice dello scrittore, nella estenuante ricerca di una casa editrice che potesse far conoscere a tutti la voce di Guido Morselli, che si sta cercando di dare adesso con i vari studi sulle sue opere, una voce troppo spesso costretta al silenzio. Particolarmente interessante è la sua lettera a Piero Chiara scritta il 28 ottobre 1977, che sottolinea degli aspetti importanti di Morselli: la 72 nobiltà, la dignità e la sofferenza esistenziale. Questo riassume il suo carattere e affronta le accuse di una presunta sua arroganza. Signor Piero Chiara Guido Morselli non ha mai sollecitato da nessuno né aiuti, né raccomandazioni, non per superbia […] ma perché aveva la dignità, la fierezza del gran signore, non certo la presuntuosa albagia del villan rifatto. Guido Morselli è stato perseguitato dalla sfortuna e ha seguito la strada meno adatta per arrivare al successo, ha sofferto il soffribile per non essere riuscito a affermarsi malgrado i continui tentativi fatti presso le varie case editrici; del resti tutti i migliori critici, scrittori e giornalisti l’hanno riconosciuto e ne ho le prove dall’enorme quantità di recensioni e articoli che mi invia l’Eco della Stampa. […] La saluto […]35 Maria Bruna Bassi La conferma di questo suo carattere, della sua bravura e gentilezza sono rintracciabili soprattutto in queste lettere, nei commenti scritti dal suo Maestro Antonio Banfi e anche dai congedi di alcune sue lettere a grandi personalità, sempre molto umili e rispettosi. Nelle lettere troviamo i temi più vari, la religione, la filosofia, ma tutte sono unite dal desiderio di approfondimento, dalla sete di conoscenza. Abbiamo anche di questo una testimonianza, di suo fratello Mario, che Linda terziroli ci riporta sul libro e vale la pena anche qui riportare: “[…] Guido mi insegnò ad essere curioso, a cercare sempre di approfondire gli argomenti delle opere che mi aveva messo a disposizione; e soprattutto, a non fermarmi alle prime righe. In una certa 73 occasione, ricordo mi disse ‘Se Croce cita Vico, non lasciare cadere; va a fondo su questo Vico, altrimenti la citazione di Croce non serve a molto. In ogni caso, ritorna sui tuoi passi, cerca di afferrare i concetti di cui leggi, cerca di capire quali argomenti veramente ti interessano e quali no. […] I libri servono a questo, non solo a soddisfare le nostre curiosità, ma anche a crearne di nuove'"36. Si può vedere nelle opere di Morselli, la ricerca continua di un dialogo con interlocutori importanti, con il contrasto tra una vita volutamente isolata, e la richiesta continua di un destinatario. Il vivere da solo era stata una sua scelta, Guido Morselli non temeva la solitudine, temeva piuttosto l’uomo, infatti verrà definito fobantropo, per il danno portato dall’uomo, la stessa Maria Bruna Bassi lo conferma: “Lui era solo, non aveva paura di niente ma un’atroce paura degli uomini”37. Nelle sue opere troviamo una sete continua di conoscenza; ricerca continua di una risposta credibile è la chiave di lettura delle opere letterarie e saggistiche di Guido Morselli, e anche delle varie domande che possiamo notare da queste lettere. Lo scrittore era tormentato da dubbi, assillato dalla ricerca di una spiegazione, dello svelamento di un dolore. Nelle sue opere è molto spesso presente il tema della morte, troppo spesso si riteneva fosse una previsione al suicidio, una tentazione a questo gesto, invece potrebbe essere una sorta di esorcizzazione della giustificata paura della morte. Morselli non è stato l’unico scrittore a ricorrere alla “ragazza dall’occhio nero” al colpo d’arma da fuoco per togliersi la vita, ma per altri scrittori il gesto poteva sembrare la conquista di una vita degna di essere vissuta, in Morselli sembra invece la vittoria della sconfitta. Sicuramente è sbagliato ricordare o essere colpiti solo dalla modalità della sua scomparsa, indubbiamente modalità 74 scioccanti, ma bisogna assolutamente considerare tutto l’impegno che il nostro scrittore ha avuto durante tutta la sua vita, le sue opere, il suo carattere generoso, la sua generosità, la sua dedizione al prossimo, il costante aiuto agli ammalati, l’impegno per l’ambiente. Morselli è uno scrittore d’eccezione, è stato l’eletto o l’eccettuato, dedicando la vita alla scrittura, donando ai lettori del suo domani una profetica luce. 3. Il problema religioso: Unde Malum? Il “Giudizio Divino rappresenta un nodo cruciale e irresolubile nel pensiero morselliano, è ampiamente dibattuto nell’opera Fede e critica38, del 55-56, ma pubblicata da Adelphi nel 1977. Altri scritti di Morselli che hanno in comune un’assidua ricerca del divino sono Fede e critica, Teologia in crisi, Morale e sensibilità, Due vie alla mistica. Fede e critica era parte di un progetto più ampio, che formava una trilogia con Morale e sensibilità e Due vie alla mistica, ma rimase incompiuto. Può essere sempre utile per capire gli interessi e gli studi affrontanti dal Nostro scrittore, attingere al Fondo Morselli alla Biblioteca Civica di Varese, dove possiamo trovare i libri tanto studiati e importanti per lo scrittore. Si possono infatti trovare molti libri che affrontano il tema religioso, così cruciale per Morselli, in gran parte annotati e postillati: La Sacra Bibbia secondo la volgata; La sacra bibbia, ossia l’Antico e il Nuovo Testamento; La Bibbia di Borso d’Este 75 e altri ancora. In particolare Morselli indaga alcuni aspetti significativi, tra cui il problema del peccato originale. Questo interesse dello scrittore è incentrato soprattutto nella ricerca di una risposta alla domanda che l’ha molto condizionato: l’Unde Malum39? Da dove viene il male che sconforta l’uomo, che lo distrugge, sia sotto forma fisica, spirituale e morale. Il primo capitolo di Fede e critica è proprio intitolato: Perché si soffre?, e si indaga il male, che esiste, e la sua origine e giustizia viene messa in discussione, un quesito che mette anche i fedeli con le spalle al muro. Certo è, che il male visto da un punto di vista ateo, non ha bisogno di essere spiegato, perché non esiste infatti niente di misterioso. Invece se si guarda al male con la fede, se si crede in un Dio onnipotente, ci si chiede perché esiste e da dove arrivi questo male, tollerato, se non addirittura introdotto da Dio. Ci si chiede soprattutto perché ad essere colpite dal male, siano molte persone buone e giuste, questo castigo che uccide bambini innocenti, da dove può arrivare? Morselli si interroga ininterrottamente su questo argomento, e riporta tutto alle origini, al giardino dell’Eden, dove troviamo la primigenia colpa, il peccato originale, è proprio da qui che nasce il male e discende fino all’uomo, insito nell’uomo. Per Morselli la giustizia di Dio non è così divina, ma è molto simile a quella terrena: “decidi di staccarti da Dio, perciò verrai punito”. Può essere fatto un collegamento tra queste riflessioni di Morselli e il suo ultimo romanzo: Dissipatio HG. Il primo uomo dell’umanità era solo in quell’Eden da dove è partito il peccato originale, e l’ultimo uomo dell’umanità, sospeso in questo mondo metafisico, solo anche lui, alla ricerca di una morte-immortalità40. 76 Documenti importanti riguardo la ricerca di risposte di Morselli sul suo problema religioso, si trovano nelle varie lettere riportate nella raccolta Lettere ritrovate. La corrispondenza con i religiosi era per lo scrittore soprattutto una fatica inutile, diciamo una riflessione personale, a senso unico, visto che non riceveva mai risposta41. In queste lettere Morselli medita sulla perscrutabilità e imperscrutabilità di Dio e della sua azione divina, per trovare una risposta a quella domanda Unde Malum, al centro di Fede e critica. Morselli si interroga su come conciliare l’azione giusta e divina di Dio, l’azione limpida di un Dio che si incarna in Cristo e scende in terra, e l’oscurità e l’assurdità di alcuni atti divini. Possiamo prendere in considerazione soprattutto la corrispondenza con Padre Battista Mondin, dove in alcuni passi si può capire il pensiero e soprattutto i dubbi di Morselli: “assurdità crudele e derisoria di un Dio che si diletta nel tentare le sue creature[..]42” è proprio questo che non riesce a spiegarsi Morselli, come conciliare la bontà divina, la trasparenza di un Dio che è che ama i suoi figli, con l’oscurità di alcuni atti che puniscono l’uomo che lui tanto ama. “Dio non tenta”; queste parole di Giacomo riassumono il nuovo spirito della fede religiosa come si manifesta in Gesù e dovrebbe manifestarsi dopo di lui. Su questo fondamento è concepibile un rapporto di fiducia e d’amore delle creature verso il Creatore. Per rendere concreto il suo quesito, Morselli rappresenta con un esempio il suo pensiero, e lo descrive a Padre Mondin: “Prendo ad esempio un avvenimento della sfera più ordinaria, più modesta, che non involge gli alti disegni divini sul destino dei mondi, o simili. Il fulmine. Case su una casa, diremo che la Provvidenza ha voluto colpire dei peccatori. Qui, è chiaro, agisce secondo giustizia, anche se per ipotesi gli abitanti della 77 casa a noi sembrano brave persone. Un’altra volta, cade su un’innocente chiesa di campagna, la danneggia. Qui la spiegazione è che la Provvidenza ha i suoi misteri, di Morselli si domanda come può essere possibile applicare uno stesso metro di giudizio nei confronti di peccatori che vengono puniti “giustamente” e una chiesa, che rappresenta proprio la Casa di Dio, che viene ugualmente colpita dal giudizio divino. Padre Mondin ha un atteggiamento di affetto nei confronti dello scrittore, e anche lui afferma che la condotta di Dio a noi è molto oscura, ma con una frase ci fa capire che è proprio questo che deve rafforzare la nostra fede: “[…] è un’oscurità che, per chi ama fortemente il Signore non costituisce un ostacolo ma un incentivo per amarlo ancora di più”. Mondin si trova vicino alla dottrina di S. Tommaso; l’uomo non può comprendere l’essenza divina; noi tocchiamo l’apice nella nostra conoscenza di Dio quando confessiamo che non lo conosciamo affatto. Morselli si dichiara “ateo”, aggiungendo subito dopo, quasi con rammarico, l’avverbio “purtroppo”44. Possiamo notare in queste lettere un tentativo di avvicinamento da parte dello scrittore, ma senza riuscirci completamente, infatti rimane l’avverbio purtroppo che getta un dubbio sulla sicurezza di Morselli del suo essere ateo. È la stessa amica di sempre di Morselli, Maria Bruna Bassi a farcelo capire in maniera eloquente con una frase: “aveva incastrata nell’anima l’angoscia del problema religioso, pregava eppure da ateo divenne quasi credente”45. Invece alcune testimonianze raccolte da Tiziana Mainoli, e riportate sul numero della rivista Studium dedicato a Guido Morselli46, intervistando il medico curante dello scrittore e sua sorella, mettono in luce proprio il 78 fro suo complesso rapporto con la fede, la sua sensibilità per la sofferenza umana e la sua attenzione al male dell’uomo sia fisico che morale. Temi che saranno poi svolti nella trilogia di Fede e critica. Guido Morselli era alla ricerca continua della fede, che poteva dargli un motivo per sopravvivere; fede che lui stesso dice, aiuta l’uomo bisognoso stanco e dubbioso a ritrovare sé stesso, una fede da recuperare dopo lunghe pause di scetticismo. Da questa intervista al dottore di Morselli, Santino Papa e sua sorella Franca, emerge chiaramente che lo scrittore frequentava spesso la loro casa e spesso parlava con la signorina dei suoi problemi di spiritualità che causavano molto male. Si trattava di fratello e sorella soli, lui dedicato completamente alla sua attività di medico, lei molto devota, soprattutto alla Madonna, sostenitrice dell’associazione “Centro volontari della sofferenza”, dove alcuni ammalati offrivano le loro sofferenze per l’espiazione di peccati altrui e per la redenzione di anime bisognose, rinunciando alle medicine che li avrebbero potuti curare. Era proprio questa intensa devozione alla Madonna della signorina Franca che colpiva Morselli, questa figura femminile, di madre che ama i suoi figli, richiamava alla sua memoria l’immagine della madre, nel nostro scrittore che ha sempre sofferto la mancanza di questo amore materno, avendola persa da piccolino. Morselli aveva una particolare sensibilità per i sofferenti e la fede. “In lui la fede religiosa era solo assopita, ma in tale sospensione palpitava il desiderio di un risveglio”. In questo pensiero di Franca Papa si può trovare un collegamento con le varie lettere scritte dal Nostro Morselli, a quel “purtroppo ateo” che ricorreva nei suoi discorsi, che lasciava trasparire il suo desiderio di concedersi completamente alla fede e al credo. Il racconto della signorina Papa alla nostra scrittrice Mainoli, 79 riguarda un episodio in particolare; lei chiede gentilmente a Morselli di scrivere per lei un articolo sulle sue esperienze di aiuti, l’accompagnamento dei malati, gli esercizi spirituali; e solo con questo racconto, lui riuscì a scrivere in pochissimo tempo un articolo pronto da pubblicare. Peccato che lui non ci credeva più nella pubblicazione di un suo lavoro, “nessuno dei miei scritti può essere pubblicato”; così affermava chiedendo alla signorina di non mettere la sua firma. Lei invece non lo ascoltò, lasciò l’articolo sotto la Madonna, e con un segno divino, come sempre, l’articolo venne pubblicato. Per questo Franca Papa interpellò di nuovo Morselli, questa volta per dare una gioia ad un malato: Pierino Tonta, colpito fin quasi dalla nascita da una forma di poliomelite che non gli dava possibilità di camminare e gli causava la paralisi completa della mano destra. Dopo l’ascolto del racconto ovviamente Morselli si chiede con quale coraggio quest’uomo riesce a sopravvivere, e ovviamente fa riferimento ad una soluzione al male, molto semplice, quella che lui stesso ha utilizzato: la pistola. Cambiò idea immediatamente dopo aver conosciuto Pierino e la sua gioia di vivere; infatti l’articolo da scrivere era proprio sulla sua gioia, quella che provava ogni giorno. Lo colpì la forza di volontà di un uomo che per ben 25 anni si recava a Lourdes per chiedere grazie sempre per gli altri, mai nella vita è riuscito a chiedere quello che c’è di più facile e logico forse per tutti noi, un aiuto per se stesso; lui no, non intendeva nemmeno farlo. Però si aggrappava con tutto se stesso alla vita, e nei suoi occhi si vedeva la sua gioia, e tutto questo riusciva a darglielo una fede cieca; la stessa fede che Morselli ha cercato continuamente nella sua fede, e probabilmente grazie a Franca Papa, ai suoi continui riferimenti alla Madonna, alla sua convinzione che per avere la salvezza bastasse anche 80 solo un Ave Maria; beh probabilmente tutto questo l’ha portato a scoprire un pizzico della sua fede, visto che il 2 agosto del 65, dopo ventitrè anni, Guido Morselli insieme alla signorina Franca recita di nuovo l’Ave Maria. Il tema della preghiera sarà trattato in Fede e critica, come il rapporto tra un Dio buono (Gesù dei Vangeli) e il Dio imperscrutabile che permette il Male, saranno enigmi che segneranno tutta la vita dello scrittore. Anche se nell’incontro con i malati che ritroviamo in questa testimonianza appena descritta dal medico curante e sua sorella, Morselli sembra trovare un’inaspettata, concreta risposta. Per affrontare questo problema insito nell’animo di Morselli, possiamo analizzare una commedia, scritta ma mai realizzata, Il redentore47, che riflette in maniera particolare il pensiero del nostro scrittore riguardo l’Unde malum che tanto lo fa riflettere e condiziona il suo pensiero. Gli appunti di questa commedia si trovano in una cartellina dove si può trovare scritto con la calligrafia di Maria Bruna Bassi, la sua amica fidata e la principale erede dei suoi scritti, Commedia senza titolo ambienta ad Oberstadt nel 193848. Effettivamente è significativo Commedia senza titolo, visto che l’opera non è terminata, dattiloscritta e non è stata messa in scena. Probabilmente la signora Bassi non aveva trovato gli appunti di Morselli dove veniva citato il vero titolo della commedia: Il Redentore. L’ambiente è quello di una clinica psichiatrica a Oberstadt, nel 1938 in pieno periodo nazista. Sarà proprio questo periodo che rappresenta particolarmente quel Male sul quale si interroga assiduamente Morselli, come saranno significativi dei gesti riportati nella commedia che 81 esprimono il Male, come ad esempio il continuo lamento, che fa da sottofondo, dei malati ospiti nella clinica. La commedia permette di spiegare i fatti e il pensiero di Morselli attraverso la pantomima, infatti in Nipic troviamo rispecchiato il pensiero dello scrittore, anche se gli attori non potranno esprimere questo pensiero completamente. Il pensiero della distanza tra il Dio buono (quello del Gesù dei Vangeli) e quel Dio imperscrutabile che ammette, se non addirittura introduce il Male tra le creature considerate da lui come dei figli. Questo tema verrà affrontato assiduamente da Morselli e si può ritrovare spiegato negli appunti del suo Diario e nell’opera incompleta di Fede e critica Morselli si sentirà sempre un bersaglio della sofferenza. Il personaggio principale della commedia è Ilya Nipic, un uomo da sempre dedito alla carità, all’aiuto verso i più bisognosi, che si recherà in questa clinica per aiutare soprattutto gli ebrei che rappresentano il bersaglio principale del Male in questo contesto, male rappresentato dai boia nazisti. Accanto a lui troviamo Printz, il direttore della clinica che appoggerà sempre Nipic, che viene raccontato come la figura del Redentore, il titolo stesso, diciamo una figura cristica. Qui si può creare un collegamento con Dissipatio HG, l’opera capitale di Morselli, dove troviamo un’altra figura cristica di medico, Karpinski. Nipic predicherà, continuerà ad aiutare sempre i più bisognosi, dedica completamente la sua vita alla carità, e sarà proprio lui ad aiutare altri due personaggi, malati nella clinica, che nelle sue parole troveranno sollievo e leggerezza e riusciranno a superare i loro problemi. Nipic verrà poi raccontato e sostenuto da due figure femminili, la prima è un’infermiera, Misia, che non era credente, ma seguirà e sosterrà sempre il Maestro. Sarà colpita e ammirata dalla sua dedizione completa agli altri, dal suo desiderio di 82 aiutare il prossimo, ma questa ammirazione si trasformerà in attrazione, in un amore egoistico che porterà alla gelosia. Il personaggio principale, Nipic, risolve tutte le investigazioni proposte da Morselli in Fede e critica, soprattutto il problema del peccato originale. Morselli si chiede sempre da dove arriva tutto questo male; per la religione la spiegazione sta nel peccato originale, commesso dall’uomo stesso e da quel momento è proprio l’uomo con la sua azione ad introdurre il male nella vita. Nipic per non sosterrà ma che i suoi seguaci, che l’uomo stesso è la causa del male; no, è Dio stesso ad aver introdotto il male (qui vediamo espresso il pensiero di Morselli), ed è proprio Dio a dover risolvere questo problema, a doversi legare all’uomo ed eliminare il male attraverso la carità, anche attraverso dei sacrifici, come quello di Cristo. Non è l’uomo ad aver creato il male, e Nipic lo spiega col fatto che l’uomo si comporta in un modo che permetta di creare il suo bene. Soprattutto una dolorosa constatazione è quella che gli uomini vogliono il bene gli uni degli altri, ma non ottengono con le loro azioni, se non di creare e farsi del male. Sarà proprio il Redentore stesso a creare sofferenza nelle sue seguaci; proprio nella stessa Misia; lui cercherà di trattarla sempre con amore fraterno, con affetto, ma causerà solo la sua sofferenza, una ferita insanabile che porterà, a causa dell’amore egoistico della donna, al finale inatteso. Perché viene qui espresso che l’amore, quando non è divino, è sempre egoistico. Proprio Nipic in un passo della scena si interrogherà sul perché anche le buone azioni siano causa di sofferenza: “Perché deve essere tormentata così, quella cara, quella disgraziata creatura? Perché anche chi è puro deve seminare intorno a sé la sofferenza?” 83 Lo stesso Morselli si chiederà sempre come sia possibile che da una creatura buona come Dio, possa essere accettato o addirittura introdotto da lui stesso, il Male per le sue creature. Lo Scrittore stesso non crede di meritare tutta questa sofferenza. Sarà proprio la commedia ad arrivare alle conclusioni di questo pensiero, in un altro discorso di Nipic possiamo notare le stesse domande che si pone lo scrittore: “Ma certo il vero mistero del mondo è questo, che l’amore e l’odio, la gioia e la sofferenza abbiano ugualmente la loro scaturigine in Dio, procedano da lui direttamente. Perché lui che è il Bene e che ha creato l’amore, ha voluto poi il loro contrario? Non è strano come l’animo umano [arretri] di fronte a questo contrasto, che ogni scienza teologica è pietosamente inetta a spiegare, ogni teodicea, ogni ottimistica filosofia.49” In questa commedia Nipic afferma che la soluzione a tutto questo la deve trovare Dio stesso, è proprio Lui a dover riparare a questo contrasto tra la sua Bontà e il Male introdotto nella vita dell’uomo. Intanto Misia è sempre più coinvolta ed innamorata di Nipic, addirittura gli proporrà di andare a vivere con lei, ma questo sarà considerato nella commedia un amore egoistico e infatti il Maestro non accetterà. Al momento dell’arrivo di un altro personaggio femminile, Luli, anche lei seguace del Maestro, anche lei innamorata, scaturirà dall’amore egoistico, gelosia in Misia e molta sofferenza. Anche la nuova arrivata offrirà un alloggio in campagna al maestro, per proteggerlo dai nazisti, visto il suo programma di aiuti verso gli ebrei. Questa volta la risposta non sarà subito negativa, infatti Nipic decide di pensarci. Questo scatena tutta la gelosia di Misia, e da qui nascerà il male e la sofferenza. Misia 84 accuserà Luli di aver tradito il Maestro e di aver confessato tutto alla polizia, ma niente di tutto questo è vero e nel momento più tragico di tutta la storia, la gelosia e l’egoismo di Misia arriveranno a farle impugnare una pistola, a puntarla contro Luli, e sarà lo stesso Nipic a porsi davanti il corpo della giovane seguace e a morire al suo posto. Come possiamo notare ci troviamo di fronte a un finale tragico, Nipic continuerà a sacrificarsi fino alla fine, anche se non servirà a molto, sarà di nuovo il male insito nell’uomo ad avere la meglio e a rovinare un sentimento puro come l’amore 4. L’opera “profetica” di Guido Morselli: Dissipatio HG. Dissipatio HG50 è la cronaca di un mistero e di una profonda crisi individuale. Ultimo romanzo di Morselli scritto tra il 1972 e il 1973, che può essere considerato il suo romanzo capitale. Allo stesso tempo profezia del suicidio dell’autore e della fine dell’umanità, infatti Morselli porrà fine alla sua vita lo stesso anno. Il protagonista in preda alla disperazione decide di togliersi la vita “Andarmene, senza lasciare traccia”. Ma all’ultimo momento rinuncia, non compie il gesto e torna indietro. Quello che trova però non se lo sarebbe mai aspettato: ogni persona è scomparsa, negozi, botteghe, tutti sono spariti, come smaterializzati. Il titolo dell'opera richiama un supposto testo del neoplatonico Giamblico riguardo una possibile «evaporazione» dell'intero genere umano che, in questo romanzo fantastico e surreale, scompare nella notte tra il 1° e il 2 giugno. L'unico superstite è proprio l'aspirante suicida, ex giornalista nella detestata città di Crisopoli (nome dietro cui 85 si cela Zurigo), dove il protagonista ha abitato a lungo, prima di ritirarsi a Widmad, in una valle. Tutti gli essermi umani sono scomparsi e in opposizione rimangono in “vita” le macchine svolgendo le loro inutili funzioni. Gli animali adesso occupano il posto che era degli uomini, la natura, adesso silenziosa, fa compagnia all’unico uomo rimasto. Adesso esiste solo il suo Io, e il bisogno di sentire voci lo spinge ad ascoltare segreterie telefoniche, a cercare qualsiasi forma di vita all’aeroporto, dove non c’è nessuno tranne gli aerei immobili e i tabelloni ancora in funzione segnano gli orari. D’un tratto un uomo che voleva abbandonare l’umanità, ne sente la nostalgia. Alla fine si è avverato in qualche modo il suo sogno di vivere una realtà dove è presente solo se stesso. Comincia allora un monologo, sullo sfondo della solitudine assoluta e di un silenzio rotto soltanto da qualche voce di animale o dal ronzio di macchine che continuano a funzionare. Ed è un monologo che presto si trasforma in un dialogo con tutti i morti, tenuto da un unico vivo che a momenti pensa di essere anch'egli morto. Riaffiorano spezzoni di ricordi, particolari sepolti riemergono come decisivi e, mentre i pensieri si affollano, l'anonimo protagonista cerca dappertutto un qualche altro sopravvissuto, vaga tra luoghi odiati e amati, tra le sue montagne e Crisopoli. L'unico modo per intrattenere ancora un dialogo con il mondo degli «scomparsi» è la rievocazione del dottor Karpinsky che gli aveva curato, anni prima, una neurosi ossessiva, era morto durante una lite tra infermieri nell'asilo psichiatrico distrettuale. Ma la realizzazione del suo desiderio di solitudine gli fa ora cercare nella città di Crisopoli - dove è tornato dal rifugio montano - le tracce di Karpinsky, fino a immaginare un incontro con lui, tenendo in tasca un 86 pacchetto delle sigarette che il dottore preferiva. Ma il dottor Karpinsky è morto, prima che si dissipasse l’umanità, il giovane protagonista ne è consapevole ma lo attende ugualmente, lo attende certo della sua impossibile venuta. Probabilmente quest’opera è coerente con la linea di vita dell’autore. Morselli non ebbe alcuna fortuna editoriale; scrisse romanzi, articoli, saggi, qualche racconto, e accusò molto questa mancanza di attenzione da parte dell’editoria. Forse questa fu una delle cause del suo suicidio avvenuto lo stesso anno in cui scrisse il libro, 1973. Sicuramente aveva molta volontà, visto che continuò sempre a scrivere, nonostante la mancanza di pubblico. Un percorso stilistico, quello di Morselli, che va dall’ottimismo e fiducia nella storia, a un pessimismo totale, che porta anche a nichilismo, tutto questo espresso anche nelle sue opere. Lo scontro, la lotta, è ciò che caratterizza la vita dello scrittore ma anche i suoi saggi e romanzi. I suoi conflitti con il mondo antropologico della modernità, la sua debolezza nei confronti degli uomini che lo porta alla definizione di “fobantropo”51. L’unico modo per reagire a questi conflitti con i suoi simili e a questo senso di alienazione è la ricerca intellettuale. In Dissipatio una certa speranza in lui è viva fino a poco prima del suicidio. Le sue forze non sono sufficienti per opporsi alla dissipazione della bellezza del genere umano. La mancanza di alcuna possibilità di confronto inclina le sue certezze, mina la sua stabilità mentale, gli ripresenta in continuazione la bruciante domanda sul senso della vita. Il fastidio che prima provava verso gli altri si trasforma in compassione, comprensione della miseria umana, quasi una lieve nostalgia. 87 C’è un profondo senso di nostalgia in quest’opera, un allontanamento dal mondo, ma repentino e anche indolore. In Dissipatio H.G. inconsciamente Morselli ci svela tutta la sua cultura, l’elevazione del suo spirito, la sua anima travagliata, ma le parole del protagonista sembrano non dare molto peso a quell’evento che ha cambiato la sua vita. In Dissipatio si può notare la vicinanza dell’anonimo protagonista con la figura stessa del Nostro scrittore. Infatti nei venti capitoli che narrano l’evaporazione del genere umano, più volte viene citato il pronome “io”52. Sono molti gli avvenimenti narrati in questo romanzo, che si possono avvicinare alle vicende di Morselli e soprattutto alla sua fine. Il protagonista di questo romanzo53, scritto pochi mesi prima del suicidio di Morselli, narra la storia di un uomo, di cui non viene indicato il nome, che ha deciso di scappare e sottrarsi dalla cattiveria dell’umanità, organizzata in mafie che minacciano la sua proprietà privata. Morselli verrà per questo designato come fobantropo, anche dalla sua amica di sempre, la signora Bassi; questo perché si sentirà sempre minacciato dalla cattiveria e dalle azioni dannose dell’uomo. Il villino del protagonista, immerso nel verde, è minacciato dai potenti di Crisopoli, la Città d’Oro, in cui è raffigurata Zurigo. Qui possiamo notare la corrispondenza di questo villino con la casina rosa di Guido Morselli, a Santa Trinita, dove egli stesso si ritira per trovare pace e per trovare la sua amata solitudine; ma come nel romanzo sarà continuamente minacciato, nella vita reale sarà ossessionato dai rumori che circondavano la sua casa e lo infastidivano: motocrossisti, addirittura dei ghiri sul tetto. Sarà poi costretto a lasciare definitivamente la sua amata 88 casina e spostarsi, continuamente minacciato dai disturbatori. Inoltre in Dissipatio il protagonista si sentirà vittima di mafia medica; da una semplice malattia che recava disturbi, fu costretto a rivolgersi ad una serie infinita di specialisti; purtroppo nessuno darà mai un verdetto, una soluzione a questi problemi, e lui si sentirà al centro di una speculazione. Tutto questo lo porterà a prendere una decisione importante, quella di sottrarsi definitivamente a tutto questo, suicidandosi, servendosi di una pistola da lui definita la “ragazza dall’occhio nero”, e con lei dirigendosi verso un luogo sperduto, dove troviamo una fossa piena d’acqua chiama il “lago della Solitudine”. Come si può benissimo notare, questo romanzo sembra attuare una sorta di “profezia” per quella che da lì a qualche mese succederà realmente nella vita dello scrittore; il collegamento c’è ed è evidente, la casina sperduta, abbandonata per cause esterne, la solitudine forzata, il sentirsi continuamente il bersaglio di una società capitalistica, dove c’è mafia dappertutto, l’ha portato ad una decisione estrema. Molto probabilmente il nostro scrittore si sentirà bersagliato da questa sfortuna editoriale, magari si può definire anche in questo caso una “mafia”54, vista la necessità di entrare nella cerchia dei gruppi ideologici, e il suo sottrarsi a questo far comunella, probabilmente ha causato tutti quei rifiuti Si può considerare questo romanzo forse un suo desiderio forte di commettere quel gesto estremo? Invece il protagonista del romanzo non arriverà alla fine, ci ripenserà e preferirà vivere, tornerà a casa e si metterà a dormire con accanto la “ragazza dall’occhio nero”. Probabilmente il suo desiderio di rimanere solo era così forte che si realizzerà lo stesso, infatti dal giorno seguente sarà vittima di una completa evaporazione dell’umanità. Sarà lui l’unico uomo presente 89 sulla terra, macchinari, aerei, oggetti, è tutto presente, ma non ci sarà più nessuno. Non è improbabile che il colpo di pistola sia partito veramente. Quindi nel leggere questo romanzo noi ci poniamo delle domande che in realtà non hanno delle risposte definitive che solo l’autore potrebbe darci: è l’umanità che è scomparsa, o il protagonista si è veramente suicidato? Lui, l’unico rimasto, è il solo Eletto o il solo Dannato? Da qui comincerà la sua continua ricerca di forme di vita, in un percorso accidentato e sinuoso, ricerca inutile ovviamente. L’innominato di Dissipatio dopo aver vagato, ricordato, descritto, siede su una panchina, e lì non sarà più solo, ma insieme al suo amico Karpinski, con in mano le sue sigarette preferite. Karpinski, una figura di medico importante come in altri suoi romanzi, il simbolo dell’attesa del nostro protagonista. Può essere accostata a Nipic del Il Redentore55, per il suo essere una sorta di Cristo Buono. Questa solitudine vissuta dal protagonista durante tutto il romanzo, e che si attenuerà solo alla fine con il sospeso incontro con il dottore, può essere ricollegata alla solitudine forzata di Morselli, al suo non rifiuto ad unirsi alla massa, che l’ha portato all’unico gesto possibile di liberazione. Lui, solo, così lontano da quegli scrittori che inutilmente descrivevano solamente la realtà quotidiana, le cronache, le banalità e le volgarità, ma che puntualmente andavano avanti. Ad oggi finalmente l’editoria non trascura più i capolavori di Morselli, ma continuano ad essere studiati; forse a suo tempo l’editoria ci vedeva benissimo ed era ben consapevole del disturbo che poteva creare una personalità così importante come Guido Morselli, da lasciarlo continuamente in disparte. Adesso finalmente i riconoscimenti stanno arrivando, attraverso le iniziative ed i premi organizzati nella sua Varese, quella città che tanto deve al “genio segreto”, alle sue iniziative, al suo 90 adoperarsi per aiutare la sua città, che sicuramente glielo deve; alla quale lui ha lasciato tutto, un patrimonio inestimabile. 5. Guido Morselli e la sua Varese: la figura ambientalista56 del nostro autore. Il legame intenso con la natura ha caratterizzato tutta la vita di Guido Morselli, non solo come semplice interesse o solo per il fascino esercitato dalla natura sull’uomo, ma un legame profondo che si è concretizzato in attività e progetti per salvaguardare la natura. Il suo interesse per il patrimonio ecologico si può notare da subito col suo ritiro nella famosa casina rosa di Santa Trinita di Gavirate, isolato dalla comunione con gli uomini, immerso nel verde, anche se il suo rapporto con la casina fu turbolento, dati i vari rumori che lo infastidivano a qualsiasi ora; questo ci fa capire la sua necessità di un contatto con la natura. Soprattutto Morselli vuole renderlo reale questo contatto, mettendo le sue mani nella natura; coltivando, piantando alberi e curando le sue coltivazioni di frutta. E poi il suo amore per gli animali, che spesso fanno parte dei suoi romanzi, come la cavalla Zeffirino, comprata dal padre alla fiere di Verona. Aveva inoltre ereditato delle terre nel bolognese e le curava con attenzione, egli stesso si definì sempre un “agricoltore” e si firmava anche così, nelle lettere, neanche 91 il termine scrittore sostituì questa sua firma. Sempre immerso nella natura, la filmava; campi e coltivazioni avevano ruoli di primo piano, laghi, montagne e gli animali, tutti gli animali presenti in natura, basta citare come esempio il filmato completamente dedicato ad una gara di lumache. Questo inoltre ci dà conferma della sua sete di conoscenza, di osservare il mondo intorno a lui57. “La natura è una musica alla quale gli uomini sono quasi sempre sordi”. Così scriveva nel suo Diario; si può definire un ecologista, formatosi attraverso la lettura di libri e riviste di agricoltura. Morselli è stato uno dei pochi a riuscire a dar voce all’amore dell’uomo per la natura. Un amore che deve essere curato e coltivato, soprattutto protetto, solo così può diventare sorgente dell’ispirazione artistica. La natura deve essere protetta, solo così può sopravvivere alle avide mani dell’uomo. E Morselli portò avanti una dura lotta per la salvaguardia della città di Varese, per proteggerla e farla continuare ad esistere come “Città Giardino”; per lui non più dimora estiva, ma luogo ideale dove vivere. Morselli ha combattuto con ardore, perché Varese con la sua provincia non fosse deturpata nel suo splendore immerso nel verde. “La difesa del verde è una necessità sociale” così si intitola uno degli articoli pubblicati da Morselli su La Prealpina58; titolo che riassume il suo pensiero, e uno dei tanti modi per incitare tutto il paese per lottare contro l’ingiustizia, elencando tutta una serie di effetti negativi recati dall’avidità dell’uomo che per i suoi futili interessi distrugge l’ambiente, patrimonio intoccabile dell’umanità. Il verde della Città Giardino doveva essere difeso e rimanere integro a Varese e si fa presente che questo porta anche rilevanza turistica. L’amore di Morselli per la natura probabilmente è anche più forte di 92 quello per la donna amata; diversamente dall’amore per una persona, nel quale c’è sempre un desiderio di essere ricambiato, l’affetto che ci lega a un luogo è totalmente disinteressato, viene definito il più forte di tutti gli amori. La natura entra nei suoi libri, nei romanzi, come sfondo, a soprattutto come similitudine per parlare dei sentimenti: “l’amore che come corso di un fiume, s’interra e riappare”. Come il suo amore immenso per la casina rosa di Santa Trinita insieme al Parco di Santa Trinita, che nel testamento, in maniera estremamente generosa, viene donato al Comune di Gavirate; un lascito estremamente prezioso per la comunità, per l’ambiente; un segno indelebile del suo amore per la natura e della lotta per la sua salvaguardia. Questo viaggio attraverso le opere edite ed inedite di Guido Morselli e soprattutto le testimonianze, sentite da me fortunatamente anche di persona, mi hanno permesso di capire qualche cosa di più del mondo, rimasto forse troppo spesso in silenzio, del Genio segreto di Gavirate, un mondo che ai più è sconosciuto anche ora che finalmente si procede allo studio e alla stampa dei suoi capolavori; ma che fortunatamente riscuote anche molto successo, considerato uno dei più importanti e innovativi autori del ‘900. Viene da chiedermi cosa sarebbe successo se il Nostro Scrittore non avesse compiuto l’estremo gesto; probabilmente avrebbe vissuto in prima persona questo suo successo, o forse non ci sarebbe comunque arrivato a raggiungerlo, questo purtroppo non lo sapremo mai. Sicuramente l’interesse per le sue opere da parte di studiosi e case editrici ci ha permesso di conoscere testi lettersri rimasti al buio erroneamente e, per questa ragione, concluderei con una frase di Linda Terziroli che riassume l’importanza di questo patrimonio letterario: 93 “Le opere ci permettono di scoprire gli enigmi del pensiero morselliano, con il punto fermo del mistero di una morte che a troppi è parsa gesto di viltà e, a troppo pochi, il gesto romantico e tragico di un naufrago”. CAPITOLO TERZO. Dino Azzalin viaggiatore In questo capitolo mi concentrerò sull’attività di Dino Azzalin che più mi è in sintonia, quella di viaggiatore, e di conseguenza di scrittore di viaggi, data la sua grande passione per la scrittura, mai nascosta visto che si definisce un mancato laureato in lettere. Prenderò in considerazione soprattutto il suo amore per l’Africa, che condivido in pieno, e la sua attività di aiuti umanitari con l’associazione “Amici per l’Africa” di cui è il padre fondatore. Tutto questo credo sia spinto dalla sua instancabile voglia di conoscenza che si può notare fin dal primo istante. Ho avuto la possibilità di incontrare Dino Azzalin grazie alla sua disponibilità e a quella del professore Fabio Pierangeli, che mi ha permesso di confrontarmi con questo grande uomo che ha speso una vita intera ad aiutare chi più ne ha bisogno. Si tratta di un professionista che osserva tutto, disponibile e aperto a capire l’altro, il diverso. Ammiro questa sua voglia di conoscenza, perché il suo bagaglio di esperienze è veramente ampio. Ho avuto inoltre la fortuna di intervistare il dottor Azzalin, (vedi appendice), scoprendo di più del mondo di un viaggiatore, medico e scrittore che ha dedicato una vita intera agli altri, ai progetti umanitari, ai viaggi che gli hanno permesso anche di ritrovare la fede. 94 Un viaggiatore che “guarda” con la retina e “vede” con altri occhi. 1. Viaggi Partimmo una mattina di novembre sulla dauphine color carta da zucchero. Non si era mai vista un’auto così davanti a casa: in silenzio il paese ci guardò partire. Non portai giocattoli con me, non ne avevo, misi la stalla, i rastrelli, e il rumore delle foglie di platano dentro il mio bagaglio segreto. Arrivammo nella città che era sera, riconobbi subito la casa, il neon bianco del bar accanto alla farmacia. Attraversai la strada di corsa come se togliessi la fune dal collo per correre di nuovo al canale, ma caddi colpito da un’auto e rimasi ferito per sempre.1 95 La vita di Dino Azzalin è stata e continua ad essere profondamente segnata dal viaggio. Si tratta di viaggi di sola andata come vengono definiti nel sottotitolo di Mani Padamadan; i viaggi veri servono per conoscere se stessi, non gli altri, e da questi viaggi si torna cambiati nel profondo. Viaggiare è innanzitutto capire l’esperienza fondamentale dell’uomo, le ragioni del suo nomadismo come della sua stanzialità. Azzalin racconta un modo di vivere vagando2, come fanno i Tuareg, tra i silenzi del Sahara. Camminare osservando, scrutando cose e paesi nuovi, entrando negli sguardi delle persone che incontriamo, scegliendo strade lontane da quelle turistiche. Solo così si torna cambiati e ricolmi di quella ricchezza che ci viene dal confronto con altre culture. Tutti i suoi viaggi caratterizzati dalla conoscenza dell’altro verranno raccolti in una serie di racconti e saranno segnati inoltre da bellissime poesie in cui Azzalin descrive le tappe fondamentali della sua vita, una prova di memoria dei momenti più importanti tradotti in versi. Dino Azzalin ha fatto della sua vita un viaggio tra le parole, quelle degli altri che entrano nel cuore. E la sua esperienza diviene da un lato prosa e da un lato poesia. Come molti nomadi, la cui condizione è in fondo l’origine di tutti gli uomini, Azzalin viene sradicato fin da piccolo dal luogo di nascita. Si tratta del suo primo viaggio3, quello che lo porterà dal suo paesino, sulla dauphine renault, a Varese, in cerca di fortuna, perché si sta meglio, così affermano la mamma e il papà. Quel giorno c’era tutto il paese a salutarli, si sentiva allegro ed eccitato, e in fondo non capiva il motivo di quella partenza. A meno di dieci anni si trovava da solo senza pensieri, non gli interessava né il luogo, né dove sarebbe finito, l’importante per lui era stare con la sua famiglia e sarebbe 96 andato ovunque. Stavano per diventare degli immigrati, lasciando per sempre la terra delle loro origini. Una sensazione era presente, quella aver dimenticato qualcosa, ma forse non doveva prendere nulla, piuttosto doveva lasciare qualcosa. Dino Azzalin intraprese il primo viaggio della sua vita, la prima volta in autogrill di un’autostrada, la prima pipì da viaggiatore4. Un viaggio interminabile che lo porta a Varese, città adottiva, ricca e generosa. E il giorno dopo si trovò davanti a un’altra vita. Azzalin farà dello sradicamento della vita, una ricchezza. Comincia da qui la sua lunghissima serie di viaggi, dapprima come qualsiasi turista ricco, che affronta il suo viaggio in modo superficiale, ma poi finalmente riescendo a diventare un viaggiatore e ad affrontare queste esperienza con un altro spirito. Perché il viaggio che permette di conoscere a fondo se stessi, è dapprima un viaggio nel profondo dell’uomo, come Proust ha ampiamente anticipato. Non ci sono luoghi nuovi, ma occhi diversi Per capire a fondo il senso di un viaggio bisogna guardare con altri occhi, a fondo ciò che ci circonda e non viaggiare superficialmente come semplici turisti. Azzalin raggiunge svariati luoghi e prende appunti sul suo taccuino nero che porta sempre con sé, dove annota sensazioni, emozioni ed esperienze uniche, che poi trascrive e rielabora creando racconti di viaggio che, con parole semplici ma mai semplificate, arrivano direttamente al cuore del lettore. Infatti per il nostro viaggiatore speciale, la scrittura è un modo di vivere, una grande opportunità che l’uomo ha è proprio quella di utilizzare la parola come punto di partenza per concepire la realtà. Le parole vanno sempre usate in maniera 97 precisa, è molto importante come vengono inserite sul foglio bianco. È altrettanto importante usare le parole nel contesto esatto in cui si pongono e comprenderne sempre le loro alchimie, indipendentemente dal tipo di lavoro che si vuole ottenere, romanzo, reportage o poesia. Un grande scrittore è innanzitutto un bravo lettore. Azzalin è stato influenzato nel suo modo di scrivere da alcuni maestri, in particolare Nicolas Bouvier che ha sottolineato l’importanza della distinzione del “guardare” dal “vedere”5. Si guarda con la retina, ma si vede solo col cuore, ed è in questo modo che il viaggio ci cambia. Esiste una differenza tra il turista che guarda e non vede, e il viaggiatore che vede col cuore e guarda anche con la retina. Questo significa costruire grandi opere. Bouvier compie un lungo viaggio su una Topolino con un suo amico ed arriva fino in India. Lo scrittore svizzero ha avuto il grande merito di scrivere il racconto di questo viaggio a distanza di molto tempo, permettendo all’impressione di fermentare e sedimentare nel modo migliore. Bisogna ripulire col tempo la scrittura, strigliarla, togliere il più possibile l’IO, cercare di non essere troppo legato a ciò che l’occhio guarda, ma a ciò che il cuore vede. Il maestro che ha dato il via alla sua attività di scrittore di viaggio è stato Giuseppe Pontiggia che come un profeta ha suggerito ad Azzalin di raccogliere i suoi appunti, metterli insieme e creare qualcosa di straordinario. È stato un maestro in questo. Tra i suoi molti viaggi ci sono però stati luoghi, come il Brasile, che nonostante vari appunti, non si è prestato a formare un libro di viaggio, per ragioni che restano misteriose. I libri rappresentano un importante compagno di viaggio per Azzalin, a partire dall’Odissea, che lo accompagna nel viaggio nella terra dei miti6, e permettono di scoprire qualcosa di più di un’affascinante 98 terra circondata dal mistero, culla della civiltà, come per “La Mia Africa” di Karen Blixen che accompagna le giornata trascorse nella terra delle piantagioni di caffè7. I libri, come amici, lo hanno accompagnato dappertutto, poco ingombranti, pesanti, preziosi. Dalle pagine di Karen Blixen poteva capire qualcosa di più di una terra stupenda come il Kenya, le sue storie, qualche bellezza che altrimenti sarebbe sfuggita. Quando la scrittrice tornò a casa piena di taccuini, appunti, racconti, scritti di viaggio, in quell’Africa dove aveva vissuto per più di trent’anni, il Kenya era un paese in profonda trasformazione. Doveva essere stata diversa la vita nella sua piantagione di caffè, limpida e piena di libertà. Quel libro, uno dei tanti ad occupare la valigia di Azzalin al posto di vestiti o macchine fotografiche, privilegiando la parola scritta, lo accompagna nel suo viaggio attraverso le piantagioni del Kenya. Il tempo della lettura e della scrittura si trova fuori dallo spazio reale, in una dimensione che richiama quel senso di appartenenza che lega certe tribù africane alla loro terra. la parola è come uno specchio , fa esistere un’immagine anche là dove non è 8. Nello specchio è riflesso sempre qualcosa, che nello specchio non esiste, come del resto tutta la letteratura fa vivere nella memoria luoghi e persone là dove non sono. Le parole sono “gocce di silenzio attraversate dal silenzio”, e molte volte nonostante comunicare sia indispensabile, è meglio il silenzio. Un silenzio, quello di Azzalin, carico di parole che si trasformano in prosa e poesia. Per lui infatti la trascrizione del veduto è il risultato della percezione del viaggio. In Africa ci sono pochi libri, ma quando muore un anziano è come se sparisse una intera biblioteca9… 99 Certo è che tutti i suoi viaggi sono caratterizzati dall’apertura verso il prossimo, il diverso, da un’estrema voglia di conoscere luoghi, persone, di aprire il proprio cuore agli altri, di ascoltare gli altri. Si definisce infatti un registratore di cassa, al quale non sfugge niente, attento a ogni minimo particolare; a testimonianza di questa sua caratteristica si possono citare alcuni episodi. Bisogna avere chiari gli aspetti della crescita e del valore che fanno dell’incontro con la persona lungo le strade del mondo, una ricchezza continua. Un episodio da raccontare è sicuramente quello che ho avuto la fortuna di vivere in prima persona durante il suo viaggio a Roma nella nostra università. Il dottor Azzalin ci ha dato la possibilità di assistere a una sua interessantissima lezione durante la quale ci ha raccontato un episodio vissuto proprio qui a Roma, un incontro avvenuto nella struttura ricettiva che lo ospitava: una volta alzatosi la mattina si recò in cucina per consumare la prima colazione, ma il nostro dottore cominciò ad avere qualche problema con la macchina del caffè e vedendo una luce accesa in una stanza, decise di chiedere aiuto. In quella stanza alloggiava un professore dell’Azerbaigian che si prestò ad aiutarlo, cominciò così tra i due una conoscenza, un dibattito sulle proprie vite, e vista la disponibilità del dottor Azzalin all’ascolto di chi si trova davanti, una raccolta di notizie della vita di questo professore. Da un semplice caffè, si apre un mondo, totalmente diverso dal nostro; Azzalin ha dato prova di disponibilità, di apertura al diverso, di interesse verso chi si incontra nella vita, rimanendo sicuramente arricchito umanamente. Stessa città, Roma, stessa giornata, quella del nostro incontro con Azzalin; ci troviamo stavolta nel bar della facoltà di Lettere e Filosofia. 100 Finalmente dopo tante comunicazioni digitali riesco ad incontrare lo scrittore che è riuscito con le sue parole a farmi rivivere le emozioni intense che ho provato in Africa, emozioni che è troppo difficile per me descrivere e che solo vivendo quella terra dimenticata dall’uomo si possono comprendere; ma che Dino Azzalin con le sue parole è riuscito a descrivere perfettamente, parole che arrivano dritte al cuore anche di chi non ha avuto la fortuna di vivere quelle sensazioni. Ci troviamo nel bar e noto una situazione che mi ha profondamente colpito conferndomi di quale straordinaria capacità di osservazione sia dotato il dottor Azzalin: lo vedo concentrarsi su una ragazza che purtroppo aveva dei problemi ad una gamba e portava le stampelle, e noto Azzalin che pur non conoscendola comincia a parlarle e farle domande sull’incidente avuto, anche, ovviamente con l’occhio della sua professione medica. In quel momento ho capito come questa straordinaria personalità sia veramente attento a tutto, non gli sfugga nulla di ciò che lo circonda, e il suo interesse si allarghi a ogni tipo di informazione. Ed ho anche capito che molti di noi, me compresa, invece camminiamo coi paraocchi, pensiamo solo a ciò che ci riguarda e tendiamo a non considerare l’altro, a non avere il cuore aperto per la conoscenza, la disponibilità verso gli altri. Solo una personalità come Azzalin, che dedica un’intera vita agli altri, può avere questa immensa dote. Uno dei racconti più letti e che colpiscono di Mani Padamadan, probabilmente perché esce fuori dagli schemi, è l’incontro di Dino Azzalin in Kenya, sull’isola di Lamu, con un personaggio all’apparenza cinico, ma che dentro nasconde un mondo, Tony Ferro10, che si rileva molto accogliente e che lascia un segno nel cuore di Dino Azzalin. 101 Nonostante Tony fosse morto poco dopo quell’incontro, rimase vivo e presente nella vita di Azzalin, grazie soprattutto alle sue parole. Tutto inizia quando il nostro dottore si avventura sull’isola di Lamu con la sua assistente Monica, per partecipare a una delle missioni di aiuti, e si imbatte in un castello in stile arabo, che costituisce la residenza di Tony Ferro. Azzalin si trova di fronte a una situazione di emergenza, che coinvolge uno dei boys di Ferro, un cameriere che lavorava per lui. Aveva una grossa ferita al piede e dovettero operarlo in condizioni di emergenza. E Tony alla fine commentò divertito: “nonostante tutto non siete riusciti a farlo fuori”. Così usciva fuori il suo cinismo, ma in fondo era un uomo molto ospitale, che in cambio di una pulizia dentale con strumenti di fortuna, diede ospitalità al dottore e alla sua assistente e trascorse ore a parlare, parole che hanno colpito profondamente Azzalin. Ferro aveva lasciato l’Italia vendendo quasi tutto, creando sull’isola di Lamu questa immensa fortezza, il suo ritiro. Si tratta di un racconto diverso perché non parla di povertà, di aiuto per i bisognosi, ma dalla descrizione della fortezza e dal carattere del proprietario trabocca ovunque ricchezza, all’opposto della povertà presente in ogni altra parte dell’isola. Qui c’è il potere, la ricchezza, ma Ferro si presenta come uomo con grandi capacità intellettuali e un’umanità nascosta dietro quella scorza da duro e indifferente. Un uomo che colpisce anche per il tono profetico con cui annuncia la crisi economica e la sua convinzione che prima o poi l’Europa verrà travolta da ondate di immigrati. A distanza di anni ci rendiamo conto che quest’uomo così chiuso nel suo potere, aveva ragione. Ciò che più ha colpito Azzalin ed è rimasto nel suo cuore, è stata la sua capacità di descrivere in modo particolare ogni fase della sua vita, la forte capacità di interagire con le persone, e il 102 modo in cui sapeva fare del viaggio, un padre che lo accompagnava dappertutto e dell’esperienza, una madre che lo amava sempre. Si tratta di un aspetto molto importante per Dino Azzalin. “Non si viaggia per addobbarsi d’esotismo e di aneddoti come un albero di Natale, ma perché la strada di spiumi, ci strigli, ci prosciughi, ci renda simili a quelle salviette consunte che ci allungano con una scaglia di sapone..11” Così scriveva lo scrittore svizzero Nicolas Bouvier, uno dei maestri di Azzalin. Credo sia stato sempre condizionato da questo pensiero nei suoi viaggi, e leggendo ogni racconto, non vi è mai qualcosa di convenzionale, mai un viaggio fatto per semplice relax o per fuggire dal quotidiano; ma ci troviamo di fronte a una serie di viaggi che lasciano sempre qualcosa nell’esistenza dello scrittore, che in qualche modo cambiano la visione della vita, che lo arricchiscono di nuove conoscenze, esperienze, di nuovi sentimenti. Tutte esperienze nuove, non comuni a tutti gli uomini, che probabilmente non tutti avranno la possibilità di vivere. Viaggi di avventura, di conoscenza, viaggi nei miti, viaggi immersi nella povertà e viaggi alla scoperta di nuovi mondi, di nuovi modi di vivere e sopravvivere. Alcuni raccontati in ogni particolare, altri un po’ meno, ma caratterizzati sempre da esperienze forti; come quello in India, che l’ha portato con il suo compagno di viaggio Claudio, alla scoperta di una religione e di riti completamente diversi dai nostri, che porta alla conoscenza di Sai Baba12. 103 Le presunte origini soprannaturali di questa specie di santone, erano note perché decantate in televisione da personaggi di chiara fama, i quali ne parlavano ammirati come di un prodigio vivente, un uomo che conosceva, senza averle mai studiate, tutte le lingue del mondo, le scienze fisiche e metafisiche della natura. Grazie alla sua curiosità, Azzalin approdò davanti al tempio del miracolo, a Bangalore, in India. Anche il Vangelo, aveva avvertito dell’arrivo di falsi profeti. La curiosità però vince Azzalin, che riesce a convincere il suo amico Claudio ad accompagnarlo in questa avventura. Qui, come in tutta l’India, l’estrema povertà convive con una ricchezza spirituale davvero immensa. Ciò che lo spinge lì è anche la voglia di capire se quello che fa è veramente frutto del divino, oppure si tratta di una semplice truffa di prestigiatore. Qualcuno l’ha paragonato all’Anticristo, altri al più grande prestigiatore del secolo. Dopo un’intera giornata si ritrova da solo a pregare. Alla soglia dei quarant’anni la vita gli risultava ancora un mistero, e perché allora cominciò inconsapevolmente a pregare13? Il dubbio e la ricerca di Dio saranno una costante nella sua vita e soprattutto nei suoi viaggi, in cui la presenza del Creatore si avvertirà fortemente, proprio nei luoghi in cui sembra essere così lontano; luoghi che sembrano abbandonati da Dio. Dopo una lunga serie di viaggi che hanno arricchito profondamente il bagaglio di esperienze del nostro scrittore, ma ancora caratterizzati da quel essere inizialmente un turista, come si definiva lui stesso; Azzalin fa un bel passo in avanti, definendosi da qui in avanti un “viaggiatore”, che fa dell’esperienza del viaggio qualcosa che lo cambia dentro, che gli lascia un segno. Ed è probabilmente tra le dune del Sahara e tra mille difficoltà che Azzalin chiede qualcosa di più ai suoi viaggi; dal contatto col padre in quel deserto, che vedremo più avanti, che capirà qual è la 104 sua strada di “nomade”, sempre in giro per il modo, ma adesso con una missione, quella di usare la sua professione per aiutare gli altri, una professione che gli offre tanto, ogni giorno. 2. Diari d’Africa tra progetti e aiuti umanitari I deserti non sono quelle solitudini che animano i confini del Sahara, ma i silenzi che nascono dentro, quando si smette di sognare.14 Agadez, 198615. Una data da sottolineare a mio parere; Dino Azzalin nei suoi numerosi viaggi in Africa, riesce a raggiungere lo scopo profondo del viaggio, ritrovare se stesso, ritrovare soprattutto il legame con suo padre, scomparso poco prima. “La recente morte di mio padre aveva segnato la distanza con la memoria. Un periodo difficile, doloroso. […] c’era qualcosa o qualcuno che mi spingeva sulle dune al di là del mare di sabbia, oltre la tempesta. Dentro una barca con le ali, nell’oceano di una terra d’ebano. Non volevo iniettarmi le solite anestesie di viaggirifugio, inutili perdite di tempo che niente aggiungevano alla mia esperienza, al mio dolore, anzi l’avrebbero svuotata del tutto. Volevo essere con lui, dentro alla fitta dell’anima con cui il deserto si mescola 105 con gli uomini, perché papà mi rivelasse la sua nuova luce.16” Per questo Azzalin concepisce questo viaggio, come un viaggio dentro se stesso, nel profondo delle sue sensazioni, dei suoi dolori, unico modo per poterli superare. Durante il viaggio un “fuori rotta” segna negativamente quest’avventura, ricordiamoci che siamo nel deserto, dove il pericolo può arrivare in qualsiasi momento. “L’attraversamento del Sahara implica due conoscenze di base, la prima che il deserto fortifica le anime di corpi deboli, l’altra che nel Sahara incontri la tua anima guardandola dalla prospettiva della morte17”. Citiamo questo detto Tuareg, la popolazione nomade per eccellenza del deserto, di cui Chatwin ci dà una descrizione 18, che sembra adatta in una situazione d’emergenza come quella di un fuori rotta in pieno deserto, dove tra alte dune di sabbia, credo sia molto difficile orientarsi e trovare una via d’uscita, e se non si conosce bene il territorio, presenta diverse difficoltà nel trovare la via giusta da seguire. Dopo una notte intera trascorsa nel bel mezzo del deserto, finalmente per Azzalin e compagni, appare un segno di vita, un camion nelle vicinanze," e se invece si trattasse di predoni? Di nuovo il panico. Nell’incertezza totale, finalmente torna quel legame forte con il padre, eccolo arrivare in aiuto del nostro scrittore; “Sembrava che un angelo dal cielo, con il suo fremito d’ali, soffiasse via la sabbia.19” Quell’angelo accorre in aiuto dei nostri viaggiatori, che scampato il pericolo riescono ad arrivare all’ospedale di Agadez, che si presenta ai loro occhi come un girone dell’inferno dantesco, una situazione drammatica, dove erano talmente diffuse le infezione che in qualsiasi momento avrebbero potuto causare un’epidemia. Il nostro medico decide di mettersi subito a lavoro con gli strumenti che aveva, fino al momento di ripartire continuò a dare una 106 mano, in quella terra dimenticata da Dio. Questo episodio, unito ad altri sempre in quella porzione d’Africa, ha confermato la volontà di Dino Azzalin, unitamente alla promessa fatta al padre, di dedicarsi ai meno fortunati, di iniziare a viaggiare come volontario, dimenticando i viaggi da turista. Vale la pena citare questo passo in cui Dino Azzalin prende questa decisione, “illuminato” da un consiglio del suo amato padre, che tanto lo aveva educato al viaggio e al volontariato: “E al di là del poco che avevo potuto fare, quell’esperienza segnò la fine dei miei viaggi come turista e l’inizio di un’altra vita, quella del volontario medico in terra d’Africa. Uscendo dall’ospedale, sentii qualcuno che mi batteva sulla spalla. Mi voltai, non c’era nessuno. Mi sembrava impossibile, eppure ero certo che qualcuno mi avesse toccato. Almeno così pensavo, poi alzai gli occhi al cielo, il sole stava tramontando sul deserto del Sahara, ebbi un pensiero per mio padre. Ecco, finalmente sapevo con certezza chi mi aveva sfiorato la spalla”20. Questo fa riflettere profondamente sul legame tra la terra e l’uomo, sulla possibilità di ritrovare le parti più nascoste dell’ anima, grazie al viaggio, quello vero, che ti pone di fronte a una realtà totalmente diversa da quella vissuta giorno dopo giorno nel nostro paese. Trovarsi di fronte alla povertà, al pericolo, a chi ha veramente bisogno e si trova in condizioni disperate, ci fa riflettere sul male del mondo, sul valore della vita e soprattutto sul legame con i nostri affetti. Tutto questo si può trovare nelle emozioni che si possono leggere tra le righe dei diari di Dino Azzalin. Un altro episodio significativo, si svolge sempre in Algeria, tappa importante dell’itinerario di Dino Azzalin, recatosi più volte in questo paese. Grazie a queste esperienza e, all’educazione datagli dal padre 107 al viaggio, lo scrittore riesce a capire che la sua professione può essere fondamentale sia per lui che per gli altri. Il suo mestiere poteva dargli tanto, non solo dal punto di vista economico, ma come uomo e come opportunità di scrittura e di viaggio. “Il deserto rappresentava per me un simbolo di confine tra il vivente e il non vivente, tra il possibile e l’impossibile, ma più semplicemente significava sfida, senso d’avventura, incanto. Mio padre era morto da pochi mesi, sentivo che dovevo partire portando il suo nome nei posti che andavo a vedere. È stato il primo a educarmi all’avventura.21” Così si apre uno dei tanti viaggi in Algeria di Dino Azzalin, uno dei tanti solo per numero, ma come sempre un viaggio con significati profondi e motivazioni importanti, con la presenza costante di questo legame indistruttibile con il padre, che ritroverà in ogni luogo, in ogni terra, che gli sarà accanto e gli farà superare qualsiasi difficoltà. “Ho dato retta a mio padre che voleva sempre partire e mi rendo conto di essere stato molto fortunato a poter venir qui per tutti questi anni, perché mi è sembrato sempre come ritrovarlo. Ci troviamo di fronte al “viaggio dei viaggi”, nel deserto, così definito dallo stesso Azzalin. Un viaggio affrontato con un caro amico, insieme a francesi, inglesi, belgi, definiti peugeottari, proprio per il fatto di comprare macchine a basso prezzo in Europa per poi rivenderle al di là del deserto, dove tutto ciò che ha arriva ha un enorme valore, ha più forza e credibilità. Un viaggio affrontato con alcuni strumenti di lavoro indispensabile che, come la maggioranza delle avventure di Azzalin, lo pone davanti a una situazione di difficoltà: superare la Markubà, una pista molto insidiosa, a causa delle enormi dune di sabbia, che con una 108 trazione anteriore era impossibile superare, a differenza dei moderni fuoristrada. L’unico modo possibile era quello di viaggiare per 20/30 km al giorno, soprattutto la mattina con la luce e con una temperatura non troppo calda, e riposarsi la notte. Fino a quando dopo giorni di isolamento, senza notare anima viva, si presenta sulla loro strada una macchina con due personaggi armati di fucile. Le difficoltà del nostro medico sono sempre enormi, ma la fortuna, o l’aiuto divino, ha voluto che uno dei due soffrisse un gran mal di denti, infatti la loro destinazione era proprio Tessalit per curare un mal di denti. Entusiasti di trovarsi di fronte a dei medici, i due personaggi promettono indicazioni per attraversare la Markubà in cambio di ricevere cure per questo mal di denti. Nonostante gli strumenti di fortuna il nostro Azzalin riesce a realizzare un’estrazione di un dente in pieno deserto, probabilmente non avrebbe mai pensato di lavorare in quelle condizioni, per questo l’emozione di portare aiuto si è rivelata più forte. E soprattutto la possibilità di superare quel muro di sabbia è stata una grande fortuna, infatti dopo poco si trovarono fuori dalla Markubà. Questo episodio segnò profondamente l’animo del nostro scrittore che ebbe un’ulteriore conferma di quanto la sua professione poteva regalargli, e non solo a lui, soprattutto agli altri, di quanto il suo legame con il padre poteva rafforzarsi grazie alla condivisione di questa passione per i viaggi. Tuareg Non si prende mai questa gente. Non si perde mai chi vive Andando nel blu solamente22 109 In questa poesia possiamo sentire quel senso forte di libertà che deriva dalla viandanza umana, dalla condizione di questo popolo nomade del deserto, definiti anche “i predoni più temibili del Sahara, che saccheggiavano e distruggevano le carovane che attraversavano il deserto, gente intrepida, feroce e fanatica che si faceva vanto dell’uccisione d’un cristiano.” Tuareg significa “abbandonato da Dio”, destinato alla viandanza. È questa la vera essenza dell’uomo, la sua origine. Il viaggio è l’equilibrio tra la natura , rappresentata nel nomadismo, e la cultura della ragione, la stanzialità. Il nomadismo costituisce la radice profonda della natura umana. Forse per questo che l’uomo per trovare le sue radici spirituali affronta un viaggio in India, invece per ritrovare le sue origini si reca in Africa. Una terra, dove in fondo sono radicate le origini dell’uomo, con il ritrovamento di Lucy, la prima traccia umana. 3. A.P.A Associazione Amici per l’Africa. Dino Azzalin realizza la sua missione con la ONG Medicus Mundi, in Etiopia nel ’87. L’associazione Amici per l’Africa nasce ufficiosamente nel ’92, ma solo nel ’99 diviene ONLUS, in un periodo in cui non esistevano associazioni umanitarie, o comunque di aiuti sanitari nei paesi a basso reddito come l’Africa, per quanto riguarda l’odontoiatria. Allora l’odontoiatria veniva affidata a dei “praticoni” che toglievano radici con delle tenaglie, ma purtroppo non si trattava di esperti nel settore; per questo riuscivano ad eliminare solo la parte superiore del dente, lasciano radici e dolore. Ciò ha portato i pazienti a richiedere la “prova” dell’avvenuta estrazione; visionando la radice, potevano esser certi di aver eliminato il loro problema. A.P.A., tre lettere che sono l' acronimo di Amici Per l' Africa, ma anche una parola Swahili, la lingua del 110 corno d' Africa, che significa "giuramento". “Questa felice coincidenza richiama un patto di amicizia tra noi e l' Africa, che ormai da dieci anni si traduce in un impegno nel portare la nostra presenza e professionalità a beneficio di popolazioni che hanno necessità di cure dentali, al pari di tutto il resto”. Nasce in Kenya, repubblica dell’Africa orientale, una delle regioni più belle. Può far pensare solo a natura lussureggiante, splendide spiagge, animali feroci. Ma chi ha visitato anche un altro lato del Kenya sa che non è così, lontano dalle spiagge, si trova una povertà estrema. Nasce quindi dal bisogno di medici in un clima di forte emergenza, creando così una associazione di cooperazione odontoiatrica nel villaggio equatoriale di Nkubu, nella regione del Meru, presso il Consolata Hospital dei Missionari della Consolata di Torino. L’ambulatorio nel giro di sei anni è stato affidato ai locali supportati dall’aiuto materiale e da periodiche visite di medici dell' APA. Il clinical officer in Africa è una figura sanitaria corrispondente a un infermiere professionale italiano e per l' attuale legislazione kenyota può esercitare l' odontoiatria, salvo interventi di chirurgia orale. Venne inaugurato poi lo studio di Isiolo (Kenya), dove il lavoro era veramente intenso e impegnativo. Nacque poi l' idea della clinica mobile odontoiatrica: un normale fuoristrada pick up, un' infermiera traduttrice, farmaci e tutto lo strumentario occorrente per un' estrazione dentale. A turno poi si ruota tra i vari villaggi dove si presta aiuto agli abitanti. È un’associazione che riunisce odontotecnici, odontoiatri, igienisti, e si occupa prevalentemente di creare studi dentistici in strutture già esistenti, come ospedali, dispensari, gestiti da missionari, con i quali si lavora molto bene, più che con i governi, con i quali si perde molto tempo. È cambiato molto il modo 111 di fare volontariato, prima esistevano molti studi dentistici e volontari che partivano, ultimamente è cambiata completamente filosofia e l’associazione cerca di educare, di motivare degli odontoiatri locali a lavorare in queste strutture. Per due anni dall’Italia l’A.P.A paga lo stipendio a questi dentisti locali, e alla fine del secondo, massimo terzo anno, si lascia la struttura in mano ai missionari e ai dental officer, che hanno una loro autonomia. L’APA fa un lavoro di controllo, e di training, verso il personale medico che porta avanti la struttura. 4. Luci d’Africa. “I poveri li avrete sempre…” Ma noi perché li affamiamo?23 Riflettendo sugli argomenti trattati per la mia tesi, c’è un particolare che mi balza agli occhi. Il collegamento naturale che può essere fatto, è quello tra la domanda che ha caratterizzato tutta la vita e le ricerche di Guido Morselli, quell’Unde Malum che non ha mai trovato risposta; e le esperienze di vita del nostro dottore, scrittore, Dino Azzalin, il suo contatto diretto con l’estrema povertà. Sicuramente vedendo con i suoi occhi il Male, si sarà chiesto chi ha provocato tutto questo, da dove può arrivare questo egoismo e tutto questo dolore. Soprattutto si sarà domandato: Ma Dio dov’è? Perché questa terra così rigogliosa, così splendente, sembra dimenticata dall’amore di Dio. Una possibile risposta è che il Male si trova in ognuno di noi, altrimenti non si spiegherebbe la povertà, la carestia, ma soprattutto le guerre e l’egoismo che dominano 112 l’uomo. Per dare conferma a questa mia affermazione vorrei sottoporre ad attenzione, alcuni episodi significativi narrati in Diario d’Africa, credo tra quelli più caratterizzanti il libro. Il primo episodio riguarda una missione in Etiopia, alla quale Azzalin partecipa per l’associazione Medicus Mundi. Si tratta di un’Etiopia distrutta dalla guerra, che spende più soldi per finanziare quest’ultima, che per il mare di poveri presenti nel paese. Generazioni di pianto, affamate, in un mare di indifferenza. “Che ci faccio qui? Dovevo vedere questo? Forse per scriverne24”. Un paese dimenticato dal mondo, un’umanità lontana, lasciata sola a se stessa. Noi invece scartiamo, buttiamo ai gatti e ai cani, spendiamo soldi per acquisti futili. Questo è il mondo? “Penso alla vanità del mondo che ho appena lasciato, alla cultura degli sprechi, alla ricchezza, mi sento solo. Una solitudine che mi paralizza, mi fa sentire ancora più solo.25” Il dramma di questa gente, della loro miseria, sta anche nella rassegnazione di fronte agli eventi più tragici e dolorosi. Ma c’è anche l’allegria, il colore, l’amore dei bambini. Bambini che non hanno un nome, una data di nascita. “Tu immagina questo: nascere, esistere (neanche vivere), morire senza lasciare traccia, neanche un numero sia pure nella più sgangherata anagrafe del mondo. Eppure questa gente vive la realtà come comparse di un film che non esiste. Né un nome, né un cognome, né una data di nascita, solo il sesso è sicuro, ma a volte sarebbe meglio non avere neppure quello. Qui non si è mai nati.26” 113 Un momento di alto dolore per Azzalin è stato proprio quello legato a uno di questi bambini che purtroppo non hanno nemmeno un nome, arrivato d’urgenza, denutrito, ormai in fin di vita. Decide di chiamarlo Tobia. Un momento che rimane impresso nel cuore, sulla pelle, che non si può cancellare. Per Tobia c’è poco da fare, colpito dalla malattia più diffusa in Africa: la fame! Tobia muore qualche ora dopo tra le sue braccia. “Non avevo mai visto un bambino morire di fame. Sono rimasto sveglio tutta la notte, ho pianto come non mi capitava da anni.27” Casaciullo28, sempre in Etiopia, landscape da preistoria, bambini nudi e sporchi, scheletrici, alla fame. Corpi piagati da una sporcizia perenne, destinati a una morte precoce. L’Etiopia è nell’Africa, nel mondo, sulla Terra, ma sembra essere altrove, lontano da noi. “Mi sembra impossibile anche essere qui, vedere tutto questo e non poter fare niente, e scriverlo per chi? Quando, dopo queste parole, tutto resterà esattamente uguale.29” Eventi che sconvolgono profondamente. Ma le parole scritte serviranno a ricordargli gli ultimi battiti del cuore di Tobia, i denti curati ai lebbrosi di Gambo, ai ciechi di Shashamane. Parole che servono a mostrarci come si possa essere terribilmente poveri e abbandonati senza neanche più speranza nella profezia biblica. “Dove sei Gesù? Perché tutto questo? I poveri li avrete sempre, sta scritto, ma noi, uomini come loro, con che diritto li affamiamo30? In questo clima di povertà, di forte dolore, un grande maestro è presente nella vita di Dino Azzalin; sti tratta di Alex Zanotelli, prefatore del libro Diario d’Africa. Proprio Zanotelli insegna a tutti noi, attraverso le 114 sue parole, che più ci si avvicina all’uomo che soffre, povero, più ci si immerge nella sua condizione, più ci si avvicina a Dio. “Quando l’andare dai poveri ci tocca dentro e ci cambia così radicalmente, quando succede qualcosa dentro la nostra vita, vuol dire davvero che c’è stata missione, perché la missione è vera missione quando le persone che si incontrano cambiano, altrimenti non è missione31”. Ti accorgi quanto i poveri ti cambino, ti maturino, ti umanizzino. Si cerca di annunciare le meraviglie di Dio e si scopre, camminando con i poveri, che le meraviglie e i cambiamento avvengono dentro di noi. Proprio perché Dio è il volto dei poveri che soccorri. È quanto avvenuto nella vita di Dino Azzalin, soprattutto durante la tragica avventura vissuta proprio a Korogocho, dopo aver incontrato Alex Zanotelli. Si tratta di un episodio di rapimento subito da Dino Azzalin ed i suoi compagni di viaggio, un momento altamente drammatico e significativo, narrato nel Diario d’Africa32, come un episodio chiave nella vita dello scrittore. Proprio da quel momento, avviene quel cambiamento di cui parlava Zanotelli, in uno straordinario uomo come Dino Azzalin, che prima si professava ateo, agnostico, e successivamente rimasto talmente colpito da quello che avvenne quel giorno, comincia a mettere il mistero nel cuore della sua vita. Un avvenimento che gli ha permesso di capire il valore dell’esistenza; in un momento di grande paura trovarsi spogliati di tutto, non avere più nulla, ti fa capire quanto sia preziosa l’esistenza. “Iniziai a pregare, non lo facevo da anni33”. Soprattutto gli ha permesso di scoprire una religiosità taciuta fino a quel momento; il perdono concesso a coloro che avevano attentato alla sua vita, un anno dopo trovatosi di nuovo di fronte a quelle immagini, a quell’esperienza, stavolta in un’aula di tribunale e il suo attentatore lì davanti. Un nuovo 115 sentimento, quello della pietà verso chi non aveva nulla. La scoperta di un Dio, fino ad allora nascosto, che gli concede una seconda vita. “Eravamo salvi. Per me era la ulteriore conferma dell’esistenza di Dio.34” L’Africa non è soltanto questo, è anche un continente straordinario, e chi lo ha visto, sia pure una sola volta, fatica a scordarne l’immensa bellezza. Ricco di umanità e di una natura primordiale, regno di avventura e insidie, è un continente che sa farsi amare anche per le sue contraddizioni. Il mal d’Africa probabilmente è un luogo comune(rimando all’intervista), ma quando si torna da un viaggio simile, si prova nostalgia per lo spazio e la luce dell’Africa. Sia Moravia che Paul Klee (solo per portare esempi illustri), sostengono che il grande rimpianto dell’Europa è non avere la luce dell’Africa. Lo stesso Moravia ci dice che ciò che differenzia l’Europa dall’Africa è proprio che in quest’ultima vi è il dominio della natura sull’uomo, e vivendo questo continente, è la prima cosa che si nota e che rimane nel cuore, quell’immergersi nella natura. Il mal d’Africa è la diversità dal nostro sistema, un Occidente che non conosce più stagioni, anni a venire e futuro, in Africa si ha invece ancora la percezione che esistano ancora le ore, i minuti, i secondi. E se l’Africa è povera di quello di cui siamo ricchi, in compenso è molto più ricca di quello di cui noi siamo poveri. CONCLUSIONI Il viaggio è una forma di comunicazione tra i popoli ed un’esperienza in grado di arricchire la persona. Osservando l’evoluzione del viaggio e soprattutto dell’uomo, possiamo notare come lo spostamento ha 116 caratterizzato l’uomo fin dai primordi della civiltà. Lo spostamento è insito nella natura dell’uomo, se pensiamo che le prime popolazioni erano caratterizzate dal nomadismo, possiamo capire il bisogno che ha l’uomo di spostarsi. Molti studiosi del turismo contemporaneo trovano che questa forma di viaggio abbia avuto origine dal pellegrinaggio. Il “viaggio sacro” nel Medioevo coinvolse tutte le classi sociali e lo rese un fenomeno paragonabile, con le dovute cautele, all’odierno turismo di massa: l’enorme flusso di pellegrini alimentò infatti la necessità di creare strutture che si adoperassero ad organizzare i viaggi e l’ospitalità. Viaggiatori mossi dalla necessità di scoprire i luoghi di nascita e di sviluppo della propria religione, i centri da cui si è irradiata la parola, arrivata fino a noi. Con la trasformazione dell’interesse degli uomini, dalla religione al patrimonio culturale dei nostri paesi, si assiste lentamente, al formarsi del fenomeno Grand Tour. Allo stesso modo del pellegrinaggio, anche questa tipologia di spostamento riguarda, per la stragrande maggioranza, persone con un reddito elevato che permetta di mettersi in viaggio. Dall’Italia, culla della civiltà, e detentrice di un immenso patrimonio culturale, il ventaglio di destinazioni si è allargato anche ad altre località d’Europa. Le diverse disponibilità economiche di chi viaggiava erano un fattore che diversificava notevolmente i tipi di esperienza. Il moderno turismo di massa nasce in Inghilterra, il paese del boom economico, dove cresce la parte della popolazione che può permettersi momenti di svago; si tratta infatti di un modo di “evadere” dalla quotidianità, dalla giornata lavorativa, tutto ciò permesso dalla conquista della diminuzione delle ore di lavoro e del riposo settimanale. Il 117 viaggio diventa così un diversivo, il cui scopo principale rimane quello di evadere lontano dalla caotica città industriale. Si tratta di una definizione di turismo di massa giunta fino a noi, con l’aggiunta del “tutto compreso”, l’organizzazione da parte degli enti e agenzie preposte. Cambia il reddito, cambiano le motivazioni del viaggio e le modalità di svolgimento. Tutto ciò permette un incremento economico del turismo ma tuttavia a livello di ideali, a mio modesto parere, si tratta della sconfitta del viaggio “autentico” a favore di un turismo standardizzato. Solo a partire dal ‘900, il viaggio comincia ad assumere nuove motivazioni che si allontanano dal viaggio organizzato. L’uomo riscopre il desiderio di trovare le proprie origini; il viaggio è un motivo in più per indagare sé stessi, motivazione presente soprattutto nei moderni “scrittori di viaggio” che raggiungono quei luoghi che gli permettono di riscoprire le proprie origini. Forse è per questo che gli uomini si recano in India per riscoprire le radici profonde del proprio spirito, e in Africa coloro che vogliono trovare le proprie radici, lì dove è stata scoperta la prima traccia di umanità. Esistono sicuramente nuovi modi di viaggiare in questi paesi, senza essere ghettizzati nei villaggi del “tutto compreso”, dove a volte si è ignari provocatori in casa altrui, cultori della bellezza che non sanno privarsi del superfluo nemmeno di fronte agli affamati. Qualsiasi sia la motivazione che ci spinge a spostarci concludo con una frase dello scrittore che ha ispirato la mia tesi, tratta dalle ultime pagine 118 di Mani padamadan: “Tutti i viaggi hanno qualcosa di sorprendente, e se non si concede al viaggio il diritto di distruggerci un poco, tanto vale stare a casa.” Non si vede bene che col cuore. L'essenziale è invisibile agli occhi APPENDICE INTERVISTA A DINO AZZALIN 119 Domanda: Dr. Azzalin volevo innanzitutto chiederle della sua attività di medico odontoiatra, cosa l’ha spinta ad avvicinarsi all’Africa e ad iniziare la sua attività di aiuti umanitari. Risposta: Quando nel 1985, un amico delle elementari di nome Giacomo, mi propose un viaggio nel Sahara, perché aveva bisogno di un medico lungo le piste del deserto, accettai con entusiasmo. L'Africa dove non ero mai stato, era un paese che mi intrigava, così qualche mese dopo, con gli opportuni preparativi e gli accorgimenti necessari, partimmo per l'Algeria. In questo gruppo ben assortito si erano aggiunti via via, francesi, inglesi, tedeschi, belgi, chiamati allora peugeottari, coloro che compravano (o rubavano) per pochi soldi vecchie Peugeot, le quali dopo l'attraversamento (quelle sopravvissute) sarebbero state rivendute aldilà del deserto, perché tutto ciò che arriva oltre il Sahara ha forza, credibilità, e valore. Durante questo itinerario mi ero portato attrezzature per curare piccole ferite, anestesie, suture, ma ovviamente non quelli del dentista che necessitavano di un equipaggiamento ben più complesso difficile da attivare in pieno deserto, come il trapano, la poltrona e un riunito. Fu uno dei viaggi più indimenticabile della mia vita, il viaggio dei viaggi, come ebbi a sentenziare qualche tempo dopo! Quello che mi ha cambiato completamente e profondamente, sia da un punto di vista umano che professionale. E fu durante uno di questi attraversamenti difficili come la Markubà, che si presentava come una montagna di sabbia che improvvisamente ci si parava di fronte, che mi illuminò. Oggi con i fuoristrada, coi satellitari, le forze di trazione integrale, con mezzi più sofisticati, è molto più semplice affrontare qualsiasi problema, ma noi viaggiavamo con mezzi vecchi e malandati, quindi con delle problematiche insite già nella meccanica 120 dell’automobile. E con l'incoscienza degli avventurieri e non dei viaggiatori. Davanti alla Markubà, la pista di orientamento improvvisamente spariva, e ci disorientava. Infatti ci siamo fermati due giorni, e piano piano facendo 20/30 km al giorno riuscimmo tra gli insabbiamenti e con molta fatica addentrarci tra le dune di sabbia. Alla fine del secondo giorno abbiamo visto arrivare una macchina da lontano, e abbiamo pensato a un fenomeno strano come un miraggio, visto che per due giorni non avevamo visto anima viva, si trattava di due uomini armati di vecchi fucili, che dopo una breve chiacchierata capimmo che erano due tuareg uno dei quali aveva un gran mal di denti. E questo mal di denti non solo probabilmente ci ha provvidenzialmente salvato da una razzia, ma istillò per sempre in me il germe del volontariato medico nei paesi in via di sviluppo. Quando hanno saputo che si trovavano di fronte a viaggiatori provvisti di medico e, per di più, di un dentista, si offrirono di farci da guida in cambio dell'estrazione di due molari purulenti. Infatti si dirigevano proprio a Tessalit dove c'era un “praticone” che sapeva togliere i denti. Mi proposi allora di farlo io, in condizioni davvero di emergenza, con l’anestesia che avevo e disinfettando un cacciavite che usai come leva, e una pinza da meccanico per toglierli. Così tra l'ammirazione dei miei sventurati compagni di viaggio, sono riuscito a rimuovere i due denti con le radici purulente tra la felicità dei due algerini. Lui fu talmente riconoscente di questo che il giorno dopo ci gratificò con le indicazioni utili per farci uscire nel giro di qualche ora dalla terribile Markubà. L’anno dopo purtroppo morì mio padre, nel deserto mi recai a “cercarlo”, sapevo che a lui sarebbe piaciuto, così lo portai con me a curare alcune ferite in un ospedale ad Agadez, ma questa è un altra storia. Assaporavo quel senso 121 di libertà assoluto, i silenzi, e quell'essere sporchi, con la barba incolta, affaticato ma felice, mi faceva tornar bambino, e alle sue carezze. Qui ho scoperto una nuova dimensione professionale e umana, che ancora oggi fa parte della mia quotidianità, scoprendo anche un altro modo di viaggiare e una bellissima opportunità di scrivere. D: Inizia così anche l’attività dell’associazione Amici Per l’Africa: come nasce questa associazione e quali sono i programmi umanitari e le attività di aiuti già realizzate? R: Prima di arrivare all’APA la mia attività è stata per l’ONG- olandese, Medicus Mundi, dove ho realizzato la mia prima missione, in Etiopia nel 1987. È nata molto lentamente, perché nell’87 non esistevano associazioni umanitarie che si occupavano di denti, e quasi tutte le azioni in Africa erano perlopiù affidate a iniziative sanitarie di medicina generale e i denti venivano lasciati ai colleghi di buona volontà. Fino a non molti anni fa, il mal di denti era (ed è) affidato come accennavo sopra a dei praticoni che purtroppo staccavano solo la parte superiore della corona, lasciando le radici, che poi si infettavano, con le tragiche conseguenze, che ahimè ho spesso trovato. Infatti una delle caratteristiche di molte parti dell’Africa dove ho lavorato, è che vogliono sempre vedere la radice, molto probabilmente perché vedendo la radice loro sanno che non potrà più nuocergli quel dente. Poi con alcuni altri colleghi e altre traversie associative, abbiamo ideato nel ’1992 l'APA (Amici Per l'Africa) che poi è diventata ONLUS nel 1999, di cui sono promotore e uno dei fondatori. È un’associazione che riunisce odontotecnici, odontoiatri, igienisti che si occupano prevalentemente di creare studi dentistici in strutture già esistenti, come ospedali, dispensari, 122 gestiti da missionari, con i quali si lavora molto bene, più che con i governi, con i quali è più difficile e complesso ottenere dei risultati duraturi. È cambiato molto il modo di fare volontariato, prima avevamo molti volontari che partivano, oggi abbiamo cambiato completamente filosofia e cerchiamo di formare, di motivare degli odontoiatri locali a lavorare in queste strutture che abbiamo creato. Anche se non tutto è sempre facile. Per due anni noi dall’Italia paghiamo lo stipendio a questi dentisti locali, dai 200 dollari ai 400 dollari al mese, e notiamo la sproporzione incredibile rispetto all’Europa ed è questa la ragione di questa loro povertà atavica: una vita mal pagata da sempre! Alla fine del secondo, massimo terzo anno, noi lasciamo la struttura in mano ai missionari e ai dental officer, che hanno una loro autonomia. L’APA fa un lavoro di controllo, e di training, verso il personale medico che porta avanti la struttura. D: Quindi inizialmente turista, viaggiatore, e poi aiuto delle popolazioni locali. Quando ha deciso di mettere per iscritto, quindi di coinvolgere noi lettori nei suoi racconti di viaggio, con la sua passione per la scrittura? R: Nel 1987 feci un seminario di scrittura creativa al Teatro Verdi di Milano, con un insegnante che ho stimato molto, Giuseppe Pontiggia. Quando seppe che io facevo questi viaggi mi suggerì di annotare le mie avventure su quei quaderni che oggi chiamano moleskine, e un domani quando ne avrei avuto le possibilità di farne un riassunto, che lui l'avrebbe letto volentieri. Quando nel 2001 pubblicai “Diario d'Africa”, lui mi disse che avevo ottenuto un buon risultato, per me invece era stato come viaggiare un'altra volta. Ho sempre dedicato molto alla lettura di 123 libri di viaggio, e solo successivamente amato molto la scrittura, infatti mio padre mi ha educato molto a questa cosa, i libri come la musica erano una forma d'arte. E visto che aveva studiato, questa è stata una bella opportunità: unire alla mia professionalità anche la parola. La parte iniziale di quello che è stato un po’ il mio approccio alla descrizione più profonda, anche se devo dire, come diceva Chatwin, che ci sono luoghi, strade, che anche dopo decenni non si prestano ad essere descritti con le parole. Ho fatto dei viaggi così importanti, nella Foresta Amazzonica, in India, in Sudamerica che non sono mai riuscito a descrivere anche avendo gli appunti. Nella mia casa comincio a mettere ordine a questi appunti annotati nel mio taccuino e trascriverli. E cerco quella poesia che vi è nascosta. D: Quali sono i modelli per i suoi racconti che arrivano al cuore del lettore, sia a chi come me ha avuto la fortuna di vivere l’Africa, sia a chi non c’è mai stato e grazie alle sue parole riesce a vivere l’emozione di questi viaggi? R: Diciamo che i miei maestri si possono trovare nel libri e sono soprattutto quelli che ho amato e che mi hanno insegnato a vivere e a scrivere. Sono sempre più convinto che un grande scrittore sia prima di tutto un grande lettore. E non solo di autori di viaggio come il poeta cinese Li Po, Bruce Chatwin, ma anche Alberto Moravia, o scrittori assolutamente anonimi, quanti mi portano a far conoscere il proprio modo di viaggiare. Uno dei miei preferiti attualmente è Nicolas Bouvier, uno scrittore svizzero, che alla fine degli anni ’50 fa viaggio in Topolino, con un amico fotografo dalla Svizzera arriva fino in India. La parte che mi piace molto di Bouvier è che scrive questo libro dopo tanti 124 anni, così come è stato per me Diario d'Africa, perché bisogna prima far sedimentare tutto quello che si annota e che si vede, perché un conto è guardare e un conto è vedere, la retina guarda e il cuore vede. Bisogna, asciugare, rastremare togliere orpelli, lasciare al lettore gli occhi per fargli fare il viaggio di cui lui ha bisogno. E occorre anche ascoltare i consigli di chi stimi, farti correggere e far tesoro dei loro suggerimenti. Credo che bisogna avere chiari gli aspetti della crescita e del valore che fanno dell’incontro con la persona lungo le strade del mondo, una ricchezza continua. Bisogna ripulire col tempo la scrittura, strigliarla, togliere il più possibile, scremare, ripulire dai soggettivismi e aggettivazioni eccessive, cercare di far vedere al lettore quella parte del viaggio che lui cerca. E ciò che l’occhio guarda, è questo, perché ognuno cerca la propria via attraverso quella degli altri, così come la nostra vita costruita sulle orme di chi ci ha preceduto. Ma ciò che il cuore vede ha una marcia in più per aggiungere al viaggio il proprio inedito punto luce. Perché questo ti permette di fare una distinzione tra il turista che guarda e non vede e il viaggiatore che vede col cuore e guarda anche con la retina. Questo significa costruire grandi opere. D: Un’altra sua attività, è quella di editore; cosa l’ha spinta a rilevare la Vecchia Editrice Magenta e soprattutto a pubblicare Morselli? R: Diciamo che è stato soprattutto una grande promessa, quasi a rispettare alcune volontà testamentarie. Ma aldilà di questo, è stata una promessa a Luciano Anceschi, eminente cattedratico di Estetica dell'Univeristà di Bologna e mio maestro ma soprattutto l’amicizia di penna con Bruno Conti, l’ex proprietario della casa editrice (Editrice Magenta) varesina, col quale avevamo cominciato a lavorare insieme. 125 Alla loro dipartita e quando ho scoperto che chi aveva comprato la cartolibreria voleva buttar via tutti i libri, dopo la morte di Conti, mi sono precipitato e con pochi soldi ho portato a casa quella che per me è stata ed è ancora una vera e propria fortuna: i libri! Ho amato infatti Morselli come scrittore, non appena furono pubblicati i suoi libri, prima non sapevo neanche chi fosse. Angelo Maugeri, poeta e mio compagno d'avventura con la NEM, diceva che ci son tre modi per rovinarsi la vita: il primo è spendere i guadagni con le signorine, il secondo è buttarli via al casinò, e il terzo comprarsi una casa editrice. Io ho scelto il terzo. D: Un’ultima domanda e una mia curiosità: per lei esiste una definizione di “mal d’Africa”. R: Diciamo che è un luogo comune questo del “mal d’Africa”, certo è che quando si torna da un viaggio simile, si ha molta nostalgia dei luoghi appena lasciati, ma soprattutto dello spazio e della luce. Sia Moravia che Paul Klee, ma anche tanti altri me compreso, sostengono che il grande rimpianto dell’Europa è non avere la luce dell’Africa. Se pensiamo che la vita si è sviluppata intorno all’Etiopia col ritrovamento di Lucy, c'è da crederci, sul lago Turkana, c'è una tale luce e un calore, che chi ci è andato anche una sola volta non può più dimenticare il senso del calore del sole. Quindi capisce che c’è una sorta di antropologica nostalgia di quello che poi è l’esistenza, di qualcosa di inconscio, la ricerca delle nostre radici proprio lì in Africa. Il mal d'Africa è l'assoluta diversità dal nostro sistema, una sorta di fatalismo quotidiano, che in Occidente ha ormai perso ogni connotazione, infatti per noi esistono le stagioni e gli anni a venire e il futuro, in Africa si ha invece ancora la percezione che esistano ancora le ore, i minuti, i secondi. 126 Il presente insomma che noi sprechiamo in cose a volte superflue! Ilaria Marchetti (Roma 13 marzo 2013) BIBLIOGRAFIA OPERE DI DINO AZZALIN I disordini del ritmo, Crocetti, Milano, 1985 Deserti, Crocetti, Milano, 1994 Via dei consumati, Ulivo Editore, Chiasso, 1999 Diario d’Africa, Nuova Editrice Magenta, Varese, 2001 Prove di memoria, Crocetti, Milano, 2006 Mani Padamadan (viaggi di sola andata), Nuova editrice Magenta, Varese, 2007 Guardie ai fuochi, Edizioni del laboratorio, supplemento al numero 37 di STEVE, secondo semestre, 2010 OPERE DI GUIDO MORSELLI NARRATIVA Roma senza papa. Cronache romane di fine secolo ventesimo, Adelphi, Milano, 1974 Contro-passato prossimo: un'ipotesi retrospettiva, Adelphi, Milano, 1975 Divertimento 1889, Adelphi, Milano, 1975 Il comunista, Adelphi, Milano,1976 Dissipatio H.G. , Adelphi, Milano, 1977 Un dramma borghese, Adelphi, Milano, 1978 Incontro col comunista, Adelphi, Milano, 1980 Uomini e amori, Adelphi, Milano, 1998 Una missione fortunata e altri racconti, con un saggio di Valentina Fortichiari, Nuova Editrice Magenta, Varese, 1999 SAGGISTICA Proust o del sentimento, Garzanti, Milano, 1943; ora riedito da Ananke, Torino, 2007. Realismo e fantasia, F.lli Bocca, Milano, 1947; ora riedito dalla Nuova Editrice Magenta, Varese, 2009 Fede e critica, Adelphi, Milano, 1977; Diario, a cura di V. Fortichiari, prefazione di Giuseppe Pontiggia, Adelphi, Milano, 1988. La felicità non è un lusso, Adelphi, Milano,1994 Lettere ritrovate, a cura di Linda Terziroli, Nuova editrice Magenta, Varese, 2009 TEATRO Marx: rottura verso l'uomo, commedia del 1968, pubblicata per la prima volta in «Sincronie», a. 2003, n. 14, pp. 11-42 Cesare e i pirati, a cura di F. Pierangeli, in «In Limine», a. 2009, n. 5, pp. 13-63 SCRITTI SU GUIDO MORSELLI A.Santurbano, F. Pierangeli, A. Di Grado, Guido Morselli: Io, il Male e l'immensità, Rio de Janeiro, Comunità, 2012 Fabio Pierangeli, Sulla scena (inedita) con Guido Morselli, Universitalia, Roma, 2011 Rivista Studium, Guido Morselli: Le domande ultime e le prospettive della carità, a cura di Fabio Pierangeli, luglio-agosto 2012- anno 108 Rivista In Limine, letteratura e viaggio, su Guido Morselli, a cura di Fabio Pierangeli BIBLIOGRAFIA GENERALE Attilio Brilli, Il viaggio in Italia, storia di una grande tradizione culturale, Il Mulino, Bologna, 2011 Gianni Celati, Passar la vita a Dioll Kadd, I narratori, Feltrinelli, Milano, 2011 Alberto Moravia, A quale tribù appartieni, Bompiani, Milano, 1972 Alberto Moravia, Lettere dal Sahara, Bompiani, Milano 1981 Alberto Moravia, Passeggiate africane, Bompiani, Milano, 1987 Roberto Mosena, Per un meraviglioso attimo, CISU, Roma 2011 Fabio Pierangeli, Il viaggio nei classici italiani, Le Monnier università, Mondadori, Milano, 2011 Paolo Rumiz, Il bene ostinato, I narratori/ Feltrinelli, Milano, 2011