universita` degli studi di roma tor vergata facolta` di lettere e filosofia

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universita` degli studi di roma tor vergata facolta` di lettere e filosofia
UNIVERSITA’ DEGLI STUDI DI ROMA
TOR VERGATA
FACOLTA’ DI LETTERE E FILOSOFIA
CORSO DI LAUREA IN BENI CULTURALI PER OPERATORI DEL
TURISMO (ex D.M. 509/99)
TESI DI LAUREA IN
Letteratura di viaggio
TITOLO
Dino Azzalin: viaggiatore, poeta, editore
Relatore:
Chiar.mo Prof. Fabio
Pierangeli
Laureando:
Ilaria Marchetti
UNIVERSITA’ DEGLI STUDI DI ROMA
TOR VERGATA
FACOLTA’ DI LETTERE E FILOSOFIA
Anno Accademico 2011/2012
Alla mia famiglia che mi ha portata fin qui,
a te, che mi sei sempre accanto e mi dai la forza.
Alla disponibilità e ai consigli del professor Fabio Pierangeli
e del Dottor Dino Azzalin, che mi hanno seguito passo dopo passo
nella realizzazione del mio lavoro.
Soprattutto a te, Papà, che da lassù mi proteggi
e oggi sarai orgoglioso di me.
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INDICE
Introduzione……………………………………………………………6
CAPITOLO PRIMO
Evoluzione del tema del viaggio in letteratura…………………………6
L’idea moderna di viaggio: il pellegrinaggio……………… …………….14
Il secolo d’oro dei viaggi: il Grand Tour…………………………………..22
La nascita del turismo moderno e la letteratura di viaggio……………25
Il Novecento dei viaggi……………………………………………......30
CAPITOLO SECONDO
Dino Azzalin editore…………………………………………………..45
La NEM e Guido Morselli: il genio segreto…………………………..47
Il problema religioso: Unde malum?.................................................77
L’opera “profetica” di Guido Morselli: Dissipatio HG……………….87
Guido Morselli e la sua Varese: la figura ambientalista
del nostro autore……………………………………………………….93
CAPITOLO TERZO: Dino Azzalin viaggiatore
Viaggi…………………………………………………………………..97
Diari d’Africa tra progetti e aiuti umanitari………………………….107
A.P.A Associazione Amici per l’Africa……………………………….112
4
Luci d’Africa………………………………………………………….114
Conclusioni…………………………………………………………...119
Appendice…………………………………………………………….122
Bibliografia…………………………………………………………..130
5
INTRODUZIONE
La mia tesi nasce dalla passione per i viaggi, per i libri di viaggio e per
tutto ciò che descrive e racconta l’Africa. Partendo da qui ho preso in
esame la figura del medico, scrittore, editore, Dino Azzalin, soprattutto
per quanto riguarda il suo impegno nel sociale, con l’Associazione
Amici Per l’Africa1. Azzalin è un medico-chirurgo odontoiatra, ma
anche scrittore e poeta, e quello che mi interessa particolarmente sono i
suoi diari di viaggio in Africa. L' Associazione da lui fondata, con altri
colleghi sparsi per l'Italia, si occupa di cure sanitarie del cavo orale, nelle
zone più bisognose di questo grande continente, mettendo a disposizione
la propria esperienza di professionista in quei territori dimenticati e
lontani.
Questo lavoro nasce anche dalla personale esperienza di viaggio in
Kenya a Nairobi. Un viaggio, il mio, non solo di piacere, ma anche
di conoscenza di una terra che conserva varie sfumature. Qui si può
trovare la città moderna, che non si differenzia dalle nostre metropoli,
con il traffico, i grandi centri commerciali, le marche di prodotti italiane.
Forse partendo per un continente, considerato da tutti parte del terzo
mondo, non ci si aspetti di trovare una città molto simile a quella lasciata
da qualche ora. Basta però allontanarsi di poco dal centro di Nairobi
per trovare l’essenza dell’Africa, quella che viene mostrata nei film,
nei documentari. Una cultura, per fortuna, totalmente diversa dalla
nostra. Per strada ogni persona che incontri ti saluta, e non solo perché
sei bianco, perché sei ad un'altra latitudine del cuore, e sorridere è più
semplice.
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Visitando la natura immensa d’Africa ho scoperto delle sensazioni
nuove, il contatto diretto con la natura, la viva emozione di essere
circondata da qualcosa di veramente grande, molto più grande di me,
quel panorama infinito, fatto di alberi probabilmente tutti uguali, ma così
distanti, in un orizzonte a perdita d'occhio, che da noi ahimè si è perso.
Un’immagine indelebile nella mente.
Trovarsi d’un tratto a contatto con i più grandi animali della terra, con
la base della catena alimentare, la sopravvivenza, il cambio repentino di
clima al calar del sole, è stato per me una vera e propria illuminazione.
Tutte percezioni che a distanza di tempo sono rimaste impresse nella
memoria e ancora sentite sulla pelle. Quel famoso “mal d’Africa” che
ritrovo narrato in molti dei libri che ho letto per preparare questa tesi e
che ho preferito proprio per questo motivo, è forse la grande nostalgia
della Madre Terra, perché anche chi è stato in Africa una sola volta, non
può dimenticare l'origine dell'Uomo. Ma soprattutto mi ha permesso
di conoscere quella parte di mondo da noi dimenticata, quei villaggi
abitati da chi non ha niente per vivere e che spesso ha bisogno del nostro
aiuto per sopravvivere. Forse quando si vede tutto questo ci si rende
conto di quello che ci si aspettava da questo continente, perché si sa
che purtroppo quello che più si conosce dell’Africa è la povertà. Poi
all’improvviso ti ritrovi circondato da bambini che non hanno nulla,
eppure il loro sorriso non smette di splendere nella loro vita buia. Ed
è proprio questo che ti rimane dell’Africa, il sorriso di chi non avendo
molto, non pretende niente di più ed è felice giorno dopo giorno.
Nel primo capitolo affronterò l’evoluzione del tema del viaggio in
letteratura, dal passato fino ai nostri giorni; il viaggio come metafora
della vita, il viaggio di purificazione di Dante, il Medioevo con i romanzi
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cavallereschi, soprattutto con il viaggio in Italia: il Settecento del Grand
Tour con i giovani dell’aristocrazia inglese che raggiungono la nostra
penisola per motivi culturali, descrivendone gli avvenimenti nei loro
diari.
Fino al Novecento, con i grandi scrittori che raccontano le loro
esperienze nei reportages di viaggio, e ci permettono di conoscere
attraverso le loro parole nuove località, sapori e odori di lidi a noi
sconosciuti.
Nel secondo capitolo la mia attenzione si concentra sull’attività di
editore di Dino Azzalin, con la sua casa editrice Nuova Editrice
Magenta, (NEM) e le iniziative per il centenario della nascita di un
autore a volte sottovalutato come Guido Morselli. La casa editrice
esordì con un suo libro inedito Una missione fortunata nel 1999 e per
festeggiare i dieci anni di attività nel 2009 ha proposto la ristampa di
una sua opera Realismo e fantasia, unica edita dall'autore nel 1947.
Nel capitolo verrà approfondita la personalità di Morselli, con la sua
opera realizzata poco prima del suicidio Dissipatio HG e con altri
approfondimenti a lui dedicati.
Infine nel terzo capitolo mi concentrerò sulla personalità e le attività di
Dino Azzalin scrittore e soprattutto della sua associazione che si occupa
di molti progetti soprattutto in Africa. Prenderò spunto dalle sue poesie e
dai suoi racconti di viaggio.
EVOLUZIONE DEL TEMA DEL VIAGGIO IN LETTERATURA.
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Il viaggio come avventura, desiderio di fuga da una realtà spesso
indesiderata o come reportage di un inviato. Vi sono molte motivazioni
che ci inducono a ricostruire un viaggio attraverso parole, pensieri,
emozioni vissute. Aumentano i libri che presentano come centrale questo
tema. Alcuni sono capaci di trasmettere odori, sensazioni ed emozioni
del viaggio ad ogni nuova pagina.
I sentieri si costruiscono viaggiando
Franza Kafka
Forme diverse di viaggio si susseguono nella storia, ed ogni tipo
di viaggio rispecchia i problemi, i desideri, le paure degli uomini e
dell’epoca in cui essi vivono.
Il motivo del viaggio e del viaggiatore è al centro di molta letteratura
moderna e contemporanea. Viaggi personalmente compiuti e raccontati;
viaggi inventati; viaggi e viaggiatori mitici.
Il tema del viaggio è universalmente conosciuto, ed è significativo che
venga considerato in modo metaforico, in particolar modo per quel
che riguarda la vita umana: la vita come cammino, pellegrinaggio o
passaggio, il concetto della morte come “trapasso”, “ultimo viaggio”.
Attraverso la metafora del viaggio si intende rappresentare le
trasformazioni della vita.
Il viaggio è un tema che accompagna l’uomo da sempre, con l’evolversi
delle società sono cambiate anche le tipologie di spostamento. Si è
passati infatti dal nomadismo delle prime comunità, per necessità di
sopravvivenza, al viaggio di cultura delle popolazioni sedentarie, il
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viaggio di piacere, fino al viaggio virtuale dei nostri giorni con la nascita
di Internet.
Si può viaggiare per sfuggire da qualcosa, per sottrarsi a pressioni
esterne, o a insoddisfazioni interiori. Poi ci rendiamo conto che la
differenza non la fa il punto di arrivo, ma il fatto stesso di viaggiare,
di cambiare vita, di fare qualcosa per gli altri. Allontanarsi dal proprio
habitat e sfuggire a regole che forse ormai ci vanno strette.
“La penna corre spinta
dallo stesso piacere
che ti fa correre le strade”
(Italo Calvino, Il cavaliere inesistente)
In questo modo si apre il libro di Pino Fasano Letteratura e viaggio2 dove
troviamo spiegato il rapporto tra il viaggio e la letteratura, e alcuni testi
dove troviamo il viaggio come elemento principale. Fasano afferma che
il viaggiatore e lo scrittore nascono insieme. “Il viaggiatore è colui che
costituisce, spostandosi, una distanza.” Egli si allontana dalla dimora
abituale. E la scrittura rappresenta il modo migliore per raccontare il
proprio viaggio, per far viaggiare i lettori durante il racconto. Viaggiare
può voler dire allontanarsi dalla realtà quotidiana, straniarsi. Allo
stesso modo il procedimento di scrittura è un atto di spaesamento, di
allontanamento dall’abituale.
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Il viaggio, in quanto esperienza del diverso, può essere conosciuto
solo attraverso la sua presentazione letteraria; e solo il viaggiatore può
raccontare l’esperienza del viaggio, che può essere attestata solo da chi
l’ha vissuta in prima persona.
Il tema del viaggio ha ispirato molti autori nella descrizione di luoghi, a
volte immaginari, a volte realmente visitati. Da un lato il mondo visitato,
dall’altro il protagonista, le suggestioni, i ricordi suscitati dal viaggio.
In letteratura abbiamo un’opera che riassume i simboli legati al viaggio:
l’Odissea di Omero. Il viaggio di Ulisse è il ritorno dalla guerra di
Troia a la sua nativa Itaca. Il viaggio in mare è ricorrente in letteratura,
come metafora della vita, il viaggio come la vita piena di ostacoli. Nella
figura di Ulisse resiste il nesso viaggiatore poeta nonostante il viaggio
abbia assunto nel corso della storia significati diversi. In passato il
viaggio veniva considerato una punizione degli dei a cui l’uomo doveva
sottostare al dolore e sofferenza, mentre nell’epoca moderna il viaggio
viene considerato come la massima espressione della libertà umana,
come processo di autoaffermazione, desiderio di conoscenza.
Odisseo è contemporaneamente il primo viaggiatore e il primo narratore
di viaggi. Gli scrittori-viaggiatori, raccontano la loro esperienza con arte,
utilizzando molti espedienti retorici; ed è proprio per questo che ciò che
narra Ulisse non viene considerato falso.
Ulisse attraversa le epoche, poiché viene considerato spesso come punto
di osservazione tra il passato e la modernità del presente. Nella figura
di Ulisse resiste il nesso viaggiatore poeta nonostante il viaggio abbia
assunto nel corso della storia significati diversi.
Il viaggio di Dante nella Divina Commedia è un'altra tipologia molto
importante dell’argomento che ha gettato le basi della nostra letteratura,
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un tragitto di purificazione dei peccati legato in maniera forte alla vita,
per raggiungere il Paradiso.
Nelle opere letterarie3 il viaggio si presenta in una nuova forma, non
solo spostamento attraverso luoghi reali o immaginari, ma metafora del
cammino dell’anima, viaggio interno all’uomo.
Nel mondo medievale troviamo altri tipi di viaggio, i temi cavallereschi,
la figura dell’eroe in continuo viaggio, che supera ostacoli, per ottenere
un ruolo importante a corte. Al tema delle avventure del cavaliere si
lega quello amoroso: citiamo re Artù e i Cavalieri della tavola Rotonda,
con la storia d’amore di Lancillotto fedele al re che si innamora di
Ginevra, la regina. Nell’ambiente laico invece nasce una nuova figura di
viaggiatore; quella del mercante, come nel “Milione” di Marco Polo.
Con l’evoluzione del viaggio nei secoli, ma soprattutto con l’evoluzione
delle motivazioni che spingevano a viaggiare, cambiano anche i
resoconti di viaggio, i diari che diventano vere e proprie opere di
letteratura. Si passa da racconti inventati, da viaggi dell’anima, come
nella Divina Commedia, a racconti di viaggio in cui lo scrittore viaggia
solo con la sua mente. Viaggi realmente vissuti o immaginati, ma
che sicuramente sono racconto, letteratura. Se il viaggio ha bisogno
di essere narrato, la letteratura si serve del viaggio, la più elementare
rappresentazione del tempo e dello spazio, dalle grandi scoperte
geografiche, alla rapidità del progresso tecnologico dei mezzi di
trasporto. La letteratura si occupa anche degli eroi di viaggio, con le
storie di Ulisse ed Enea.
Italo Calvino descriveva l’archetipo di tutte le storie con il viaggio di
formazione, l’immagine dell’attraversamento di un bosco intricato e
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pieno di pericoli: i protagonisti devono superare le avversità, sotto forma
di nemici armati, belve e incantesimi, per ritrovare la giusta via smarrita
(un po’ come Dante) e arrivare alla meta del loro viaggio. Il viaggio
di formazione così concepito resta lo schema di tutte le storie umane,
dal quale trarranno ispirazione i grandi romanzi in cui una personalità
morale si realizza, muovendosi in una natura o in una società spietate.
“Il narratore di storie è sempre appena tornato da un lungo viaggio,
durante il quale ha conosciuto le meraviglie e il terrore. […] 4ma il
viaggio non ha consentito sempre al viaggiatore di essere protagonista
dell’avventura; spesso si è dovuto accontentare di ascoltarne le peripezie
per bocca altrui”(Fernando Savater).
Infatti lo scrittore può viaggiare realmente, oppure ascoltare da fermo
racconti di luoghi lontani. Il viaggio, i diari di viaggio, offrono la tela per
la tessitura di grandi capolavori.
Può accadere inoltre che la letteratura stessa permetta di viaggiare
mentalmente, quando si è costretti in una situazione di prigionia.
Negli anni cambiano quindi anche i resoconti di viaggio, di cui abbiamo
diverse tipologie.
Un esempio è rappresentato dal reportage. Dall’inglese, to report,
si tratta di un genere letterario in cui l’autore illustra luoghi visitati,
persone, emozioni e sensazioni. Tutto questo ha radici lontane.
È genere antichissimo, utilizzato in forma meno elaborata anche negli
annali greci e latini, narrazione di eventi anno dopo anno. Le cronache
più note e numerose appartengono al Medioevo, incluse all’interno del
giornale, dove assumono grande importanza per il pubblico.
Proprio dalla scoperta dell’America non avremo più la cronaca degli
avvenimenti di una città o di una battaglia, ma il resoconto delle
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spedizioni militari, dei viaggi dei marinai e dei missionari del «nuovo
mondo». Saranno queste le cronache dei conquistadores, che creeranno
un’enorme produzione di testi, diari, lettere, che racconteranno le epoche
dal 1492 fino agli inizi del secolo XIX.
Si tratta di una «letteratura di verità» tra cui emergono testi come il
Diario di Cristoforo Colombo e anche le Leggi delle Indie.
• L’idea moderna di viaggio: il pellegrinaggio.
Non c’è strada che porti alla
felicità:
la
felicità
è
la
strada
(Buddha)
Abbiamo a disposizione il materiale più variegato per descrivere
l’evoluzione del viaggio. Delle sue motivazioni, soprattutto del viaggio
in Italia si può far conto sui testi di viaggiatori famosi provenienti da
paesi diversi appartenenti a varie epoche. Si possono compiere studi sul
Grand Tour, il “grande giro”, che aveva come meta prediletta l’Italia;
acquerelli e disegni di pittori topografici che hanno soggiornato in Italia;
mappe, incisioni e souvenir.
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Il viaggiatore straniero che percorre l’Italia dalla fine del XVI a tutto il
XIX secolo è un pellegrino laico che apre nuove vie del sapere e che si
propone tramite di nuove conoscenze, può essere uno studente, un
filosofo, mercante o diplomatico. Così come non esistono stato o
nazione europea in cui i giovani delle più influenti famiglie non siano
inviati in Italia ad acquisire il tocco finale del processo educativo. In
effetti il viaggio evolve soprattutto dal punto di vista delle motivazioni
che spingono a compierlo, oltre ovviamente per i mezzi di trasporto e
tutto ciò che riguarda l’organizzazione propria del viaggio. Si passa da
viaggi essenzialmente religiosi, pellegrinaggi verso le mete importanti
per la religiosità, per espiare i propri peccati; passando poi per il secolo
d’oro del turismo con il Grand tour ed i suoi giovani aristocratici che
raggiungono la nostra penisola, acquistando pian piano motivazioni più
vaste, legate sempre alla cultura, come la visita delle più importanti città
d’arte; fino ad arrivare alla nascita del vero e proprio turismo di massa
con motivazioni disparate, prima fra tutte l’evasione dal quotidiano,
svago e relax. Da qui, raggiunta la massima conoscenza dei luoghi che ci
circondano, le motivazioni degli uomini di cultura del Novecento
saranno disparate, il ritrovare se stessi in luoghi lontani, esotici, la
conoscenza degli stessi da un punto di vista diverso, non come semplice
descrizione, ma come vissuto degli stessi autori, una visione “da dentro”
di luoghi per noi culturalmente così distanti, un mondo lontano, ma
questo verrà approfondito in seguito.
A qualsiasi titolo si sia messo in cammino, il viaggiatore ha sempre
suscitato fascino e ammirazione. È stato inizialmente riconosciuto come
individuo impegnato nel viaggio iniziatico e nella sfida all’ignoto. In
seguito ha assunto le forme del cristiano raggiungendo stazioni rituali
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in cerca del sacro Graal. Ancora in seguito la narrativa si è plasmata sui
suoi viaggi perigliosi, con le sequenze del romanzo greco d’avventure,
nell’epos medievale. Un’intera tradizione letteraria risulta permeata
dall’idea del viaggio come metafora dell’esistenza: dai pellegrini
cristiani, ai viaggi di Gulliver di J.Swift, o l’Ulisse ironico creato da
J.Joyce.
Concentriamoci innanzitutto sulla tipologia di viaggio che ha aperto
all’idea moderna del viaggiare: il pellegrinaggio5.
Possiamo innanzitutto affermare che i luoghi famosi nei giorni nostri
per essere mete spirituali erano raggiunti inizialmente da popolazioni
nomadi che effettuavano un lungo cammino per raggiungere queste
località teatro in seguito di banchetti. Tutto questo si può ricondurre
all’antica
Grecia,
dove
abbiamo
testimonianze
antichissime
di
spostamenti verso luoghi a loro sacri, raggiunti per interrogare oracoli,
vedi come esempio l’oracolo di Apollo a Delfi, oppure altari importanti
per richiedere grazia agli dei e guarigioni, come l’altare di Zeus a
Dodona.
Non prenderemo in considerazione il pellegrinaggio come viaggio senza
ritorno verso luoghi sacri, meta di chi voleva concludere la vita terrena,
ma il tipo che vede la sua fortuna durante il Medioevo, caratterizzato da
destinazioni come la Terra Santa, come evento episodico, che si svolge
in un lasso temporale circoscritto, per quanto lungo e pericoloso possa
rivelarsi. Si tratta di un periodo in cui si sentiva forte il rapporto con
il soprannaturale, e la vita terrena era considerata un riflesso di quella
spirituale. La natura era molto diversa, e il viaggio si presentava come
un’impresa perigliosa in luoghi non addomesticati dall’uomo. L’Europa
presentava molte foreste considerate il luogo di forze oscure, le tenebre,
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tutto era considerato simbolico.
Il pellegrinaggio cristiano vede tre mete molto importanti: Gerusalemme,
luogo fondamentale anche per ebrei e musulmani, Roma come luogo
del martirio dei santi Pietro e Paolo e Santiago de Compostela che
ospita la tomba di San Giacomo Maggiore. Le strade per Gerusalemme
cominciarono quindi ad affollarsi di pellegrini, viandanti e aristocratici,
tutti mossi da motivazioni di penitenza. Ma con l’inizio delle crociate,
questi pellegrinaggi diminuirono e soprattutto ebbero motivazioni molto
diverse, di saccheggio e di guerra.
Roma, un altro luogo importante per la cristianità, era meta di
pellegrinaggio soprattutto per i martiri che vennero qui sepolti e per
le numerose chiese e catacombe che presentava. Poi diventando il
centro della cristianità mondiale furono istituite feste e ricorrenze che
accoglievano pellegrini da ogni parte della Terra. Inizialmente era meta
infatti di pellegrini dalle regioni limitrofe, poi cominciarono ad arrivare
da ogni parte del mondo, soprattutto dopo l’istituzione dell’Anno Santo
dal 1300.
Infine Santiago, meta di pellegrinaggio per la presenza della tomba
del primo apostolo Giacomo, importante anche per le lotte contro i
musulmani.
Dopo il Medioevo, l’uomo decide di ridimensionare il pellegrinaggio,
comincia a non credere più ai poteri taumaturgici. Il dominio sulla
natura, le rivoluzioni tecnologiche, cominciano a cambiare il senso di
questi viaggi, che si frammentano in itinerari minore, di pochi giorni. La
chiesa si adegua ai cambiamenti, ma il pellegrinaggio deve mantenere il
suo motivo religioso. Ai lunghi viaggi di purificazione, si sostituiscono
itinerari brevi, verso i più famosi santuari d’Europa.
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Segni distintivi del pellegrino sono gli emblemi dei luoghi visitati: la
conchiglia del mare di Galizia per i reduci del cammino di Santiago, le
palme per chi torna dalla Terra Santa, croci, placche metalliche.
Esiste inoltre un’iconografia dei santi protettori dei pellegrini e dei
viaggiatori in genere. I santi che di frequente ricorrono negli affreschi
o nelle pale d’altare di molte regioni italiane sono San Rocco, il santo
pellegrino del XIII secolo, riuscito a scampare alla peste, san Giacomo
di Compostela, san Martino e san Cristoforo. San Cristoforo avendo
traghettato Cristo bambino oltre il fiume, assume il ruolo di protettore
dei viandanti soprattutto impegnati nei guadi fluviali o passi montani
rischiosi.
Grazie al pellegrinaggio abbiamo la nascita dei primi libri di via6,
rudimentali guide che tracciano i percorsi attraverso i paesi europei e che
hanno come poli di riferimento: Venezia come porto d’imbarco verso
l’Oriente, e Roma. Queste guide contengono elenchi approssimativi
di agglomerati urbani, locande, città, passi montani e gaudi fluviali
e imbarchi con tutte le relative distanze. Saranno importanti perché
per la prima volta tracciano buona parte di quello che sarà l’itinerario
maggiormente percorso nel corso del viaggio in Italia dal XVI secolo
alla nascita del turismo.
Questi itineraria saranno i precursori dei libri di via dei mercanti,
caratterizzati da meticolosi rendiconti di distanze percorse e spese
sostenute, di cambi di denaro e permute, che costituiscono un prezioso
settore di ricerca storiografica.
Il viaggiatore moderno sicuramente si differenzia dal pellegrino,
soprattutto per le motivazioni al viaggio. È rappresentato da chi
scende in Italia non più per il beneficio dell’anima, bensì per curare la
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malinconia, autentico mal du siècle.
Quando le finalità del viaggiatore moderno non siano terapeutiche,
queste sono volte all’assorbimento di quanto possa essere utile alla
propria formazione culturale, alla propria persona. E tutto ciò si ottiene
osservando meticolosamente ciò che s’incontra, sgranando gli occhi
della curiosità, “colui che viaggia con gli occhi di Ulisse sceglie una
delle strade eccellenti della sapienza terrena”.
Queste nuove motivazione permettono il nascere di diari di viaggio più
articolati, che vengono considerati i propugnatori dei libri di viaggio.
Questi sono il frutto di uno spirito nuovo, i viaggiatori e mercanti
mostrano interesse nei confronti della topografia e dell’assetto urbano
dei centri che visita, degli usi e costumi, dell’arte e della scienza.
Lettere e diari di viaggiatori stranieri servono da riscontro e da
completamento per i ritratti che di se stessa ha tracciato questa società.
La schiera di viaggiatori stranieri che percorrono la penisola e ne
scoprono gli angoli più riposti, ne cantano le bellezze, ne osservano con
dedizione e interesse gli usi e i costumi, le antichità, le opere d’arte,
tessono un quadro ricco e composito della realtà storica italiana, grazie
anche agli artisti al loro seguito, pittori topografi che tracciano il disegno
delle mete incontrate. Affinché i viaggiatori per diletto e gli artisti al
loro seguito riescano a tracciarci descrizioni e immagini nuove, bisogna
che il viaggio acquisisca nuovi scopi e si proponga come fine il sapere,
la curiosità individuale, l’osservazione e lo studio delle differenze delle
genti e dei luoghi.
“Il viaggiare7 per i giovani fa parte dell’educazione, per gli adulti
dell’esperienza. Chi va in un paese straniero senza una qualche
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conoscenza della lingua, vada prima a scuola e non in viaggio. Approvo
in pieno che i giovani viaggino sotto la guida di un tutore o di un
domestico serio, purché questi sappia la lingua del paese e vi sia già
stato, così che possa indicare loro quali cose siano da vedere nei paesi
in cui viaggiano, quali persone debbano conoscere, quali studi o quale
cultura il nuovo possa offrire, altrimenti questi andranno con gli occhi
bendati e avranno ben poco da osservare.”
Con queste parole di Francis Bacon possiamo introdurre la nuova
tipologia di viaggio dei secoli XVI e XVII, un tipo di viaggio ispirato da
motivazioni pedagogiche.
La firma della pace di Cateau-Cambresis tra Francia, Spagna e
Inghilterra nel 1559 inaugura un equilibrio europeo che sarebbe durato
fino alla guerra dei Trent’anni, favorendo una continua migrazione
intellettuale verso l’Italia. Il nuovo viaggiatore valica le Alpi non più per
inseguire la gloria delle armi, né per sfidare l’ignoto. Il nuovo viandante
è soprattutto un giovane accompagnato da un tutore, che spesso è
l’effettivo creatore delle memorie di viaggio, e, a seconda del censo
familiare, da una serie di servitori. Questo tipo di giovani viaggiatori
sono da distinguere dai giovani stranieri che vengono a studiare nelle
università italiane, loro si spostano, seguendo un itinerario preciso
tra le città più importanti dal punto di vista culturale, seguendo un
preciso itinerario che inizia e termina nella stessa città. Loro perseguono
specifiche conoscenze topografiche del paese ospitante, dei suoi costumi,
della sua lingua. La finalità di questi spostamenti è l’arricchimento della
propria cultura e la conclusione della propria formazione.
L’idea del viaggio che si diffonde presso l’aristocrazia europea
nell’ultimo scorcio del XVI secolo, è un’idea nata dalla curiosità
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intellettuale della nuova scienza che osserva i fenomeni naturali e
quelli creati dall’uomo, facendo oggetto di estasiata contemplazione le
antichità classiche. L’Italia che si dischiude al viaggiatore moderno è la
terra della grande tradizione antiquaria, il più variegato museo di forme
politiche. Nasce un nuovo termine che sostituisce travel o journey, ed è
quello di tour, cioè di giro dei paesi continentali, soprattutto dell’Italia,
come detto in precedenza, con la stessa città come punto di partenza e di
ritorno.
Dopo il XVI secolo, né la guerra civile inglese, né gli sconvolgimenti in
atto in Italia, non riusciranno ad arrestare questa pratica al viaggio.
Grazie a viaggi dei giovani aristocratici e borghesi, ma soprattutto
scrittori e artisti di ogni età, che avranno il ruolo di tutori, attratti
dall’Italia, si devono le prime relazioni di viaggio nella penisola italiana
e le prime guide.
Nel 1591 esce a Londra lo Itinerary Written by Fynes Moryson..
Containing His ten Yeers Trauell8, che costituisce un vero e proprio
prototipo di guida di viaggio e che conferisce una fisionomia funzionale,
basata sull’esperienza diretta. Nasce così un nuovo genere di letteratura
che gli inglesi definiscono travel literature e corrisponde alla concezione
laica del viaggio.
Alla base vi deve essere una nuova concezione del viaggiare, il viaggio
di formazione, d’istruzione e di diletto, che percorre le vie del continente
per raggiungere la propria realizzazione effettiva oltre i valichi alpini, in
Italia.
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Alcuni nomi di spessore letterario sono Philip Sidney, Thomas Hoby,
Michel de Montaigne, Francois Rabelais, a costoro dobbiamo al
diffusione dell’idea del viaggio in Italia presso i ceti dominanti dei loro
paesi.
La letteratura di viaggio si colloca nel corso del XVI e del XVII secolo
e si fa riferimento innanzitutto a quelle testimonianze che si collocano a
metà strada tra tradizionale scrittura memorialistica e il genere nascente
della letteratura di viaggio vera e propria. Un esempio può essere il The
travels and Life of Sir Thomas Hoby, written by Himself 1547-1564, nel
quale troviamo descrizioni topografiche dell’Italia alternate a notizie
storiche e informazioni politiche.
Bisogna considerare inoltre le relazioni in forma di guida, antenate dei
Baedeker e manuale e vademecum dei viaggiatori che danno consigli a
coloro che si accingono a partire per l’Italia.
Per ultime abbiamo le relazioni di viaggio vere e proprie, a metà via fra
la guida, il saggio di costume e la narrazione descrittiva.
Il Seicento vede quindi la nascita e lo sviluppo di quella che definiamo
“letteratura di viaggio”, che ci permette di ottenere informazioni e
descrizioni per la lettura del passato di vari paesi.
• Il secolo d’oro dei viaggi: il Grand Tour9
Ricapitoliamo innanzitutto le nuove motivazioni che
nel Seicento
spingono il viaggiatore borghese e aristocratico a spostarsi: la curiosità,
un termine che nulla esclude dal proprio campo di indagine, raccolta
di rarità artistiche o naturali, osservazione di fenomeni inconsueti della
natura, usi e costumi di popoli.
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Il viaggiatore seicentesco è sempre un filosofo sperimentale. Questa sarà
l’eredità lasciata al secolo successivo: il Settecento. In questo nuovo
secolo il viaggio si trasforma da travaglio a piacere, amore per la cultura
e l’arte. Modifica radicalmente la concezione che l’uomo ha di se, quindi
cambiano le mete e le motivazione del viaggio.
Si cominciano ad effettuare viaggi prima considerati tabù per la Chiesa,
i luoghi prima fondamentali per lo spirito perderanno importanza, ma il
loro significato sarà sempre lo stesso.
Viaggio che in questo secolo viene compreso nel fenomeno denominato
Grand Tour. È questa un’espressione che sembra aver fatto la sua
comparsa nel 1670 con la guida al viaggio italiano di Richard Lassels,
The Voyage of Italy10. Designa in breve il giro e la visita di vari paesi
europei con partenza e arrivo nella medesima città. Si tratta di un
fenomeno inizialmente legato all’aristocrazia, soprattutto inglese, poi
estesosi alla borghesi, agli scrittori e agli artisti.
La meta principale di questi tour era l’Italia, che vedeva l’arrivo di
numerosi rampolli inglesi, accompagnati da tutori, che facevano loro da
guida, indirizzandoli verso lo studio e l’osservazione attenta della realtà.
Le motivazioni di questi viaggi erano soprattutto di completamento
della propria formazione culturale. I maestri consigliavano sempre la
redazione di uno o più diari di viaggio da parte dei giovani viaggiatori,
molto spesso erano gli stessi maestri a scriverli.
Lo studio di questi diari ha permesso, tramite l’analisi dei dati raccolti
una volta in patria, l’ampliamento della conoscenza di questi paesi.
Con il passare del tempo non sono più solo i giovani a compiere questi
lunghi viaggi di conoscenza, il fenomeno coinvolge un numero sempre
maggiore di aristocratici, facoltosi borghesi, i quali viaggiano in proprio
23
o inviano i figli in Italia. Al loro seguito troviamo schiere di personaggi
ed inservienti, dal medico, al cuoco, al pittore di paesaggi. Questo
fenomeno non coinvolge solo gli aristocratici, infatti non è raro trovare
anche chi viaggia solo con un cambio; un esempio è offerto da un
personaggio molto importante, Goethe, come importanti sono stati i suoi
diari di viaggio.
Il Settecento assiste al sorgere anche di un altro importante fenomeno,
cioè la numerosa presenza delle donne in viaggio; loro che solitamente
sono chiuse tra le mura domestiche, possono finalmente evadere e
scoprire il mondo; e saranno proprio loro le maggiori redattrici di libri di
viaggio: si può citare come esempio Madame Du Bocage, Lady Mary
Wortley Montagu, Hester Lynch Piozzi11
Il viaggio in Italia è sempre importante, ma acquista maggior interesse
quello continentale, in Europa: Parigi, Londra, Vienna. Le mete
diventano le più disparate, si cominciano ad effettuare anche viaggi
oltreoceano. I travel books che compaiono a ritmo serrato nelle
librerie di tutta Europa recano titolo che descrivono di per sé itinerari
continentali. Si genera il fenomeno dello spostamento sempre più a
sud d’Italia, oltre la piana di Paestum, si conoscono altro luoghi, mossi
da nuovi interessi: indagare la Sicilia, i cammini di Puglia. Talchè
la comparsa della Italienische Reise di Goethe, nel 1816, sancisce il
tramonto del giro continentale in favore di una diretta scoperta artistica,
antiquaria, topografica e antropologica dell’Italia, di nuove terre e nuovi
itinerari.
I disagi che caratterizzavano i pionieri del Grand Tour lasciano il posto
alla ricerca di sempre maggiori comodità soprattutto dal punto di vista
dei mezzi di trasporto. Gli aristocratici vorranno sempre di più unire
24
alla volontà di beneficiare degli aspetti terapeutici del viaggio, senza
modificare le proprie abitudini. Il viaggio acquista nuove finalità, non
solo culturali o di conoscenze artistiche, ma anche di benessere, questo
porterà poi alla nascita del cosiddetto turismo di massa.
• La nascita del turismo moderno e la letteratura di viaggio.
Con la rivoluzione industriale, ci troviamo di fronte a cambiamenti
importanti nella vita dell’uomo, riguardanti anche il settore del turismo.
La conquista di migliori condizioni di lavoro per gli operai, con la lotta
delle classi sociali, quindi di maggior tempo libero e migliori condizioni
economiche, permette anche alle classi meno agiate di concedersi dei
momenti di svago e di vacanza. Soprattutto cambiano le motivazioni
al viaggio, in quanto il lavoro operaio causando stress e stanchezza,
determina la voglia soprattutto di evadere dal quotidiano, di allontanarsi
dal luogo abituale di lavoro, per concedersi momenti di svago e relax
lontano dalla propria abitazione.
A questo contribuiscono inoltre migliorie nel settore dei trasporti, che
permettono spostamenti molto più comodi. In questo clima rinnovato
si inserisce l’attività di Thomas Cook, il creatore dei moderni viaggi
organizzati e soprattutto della prima agenzia viaggi. Cook per caso
organizzò il primo viaggio, facendo parte di una lega antialcool,
organizza un viaggio per questa corporazione, in treno fino al luogo
di destinazione, e ritorno. L’esperimento ha luogo nel 1841; da questo
momento nasceranno i primi viaggi organizzati, all’Esposizione
Universale di Parigi e soprattutto anche in Italia, dopo l’Unione.
25
Dopo aver analizzato l’evoluzione dei motivi e delle varie tipologie di
viaggio nel corso dei secoli, che danno vita alle prime rudimentali guide
turistiche e grazie ai diari e racconti, a quella che può essere definita una
prima tipologia di letteratura di viaggio, bisogna concentrarsi in modo
particolare sull’evoluzione di questa nuova tipologia letteraria, con le sue
varie sfumature.
La relazione di viaggio si trova in sintonia con il romanzo moderno,
il nuovo volto della narrativa che si realizza nell’Inghilterra di Defoe,
Swift, Fielding, Richardson. Alle relazioni strettamente personali,
episodiche, i diari intimi degli accompagnatori dei grandi viaggiatori, dei
filosofi, il Settecento riconosce anche dignità letteraria a questa nuova
tipologia con finalità formative, definita dagli inglesi novel.
La letteratura di viaggio si presenta come genere letterario che suscita
grande interesse, saranno proprio i libri di viaggio i più adatti per trarre
diletto.
Un esempio dell’interesse per il viaggio in Italia sarà dato dalle
fortunatissime Remarks on Several Parts of Italy12, del 1705, che
inaugura la nuova fisionomia del travel account, come viaggio nella
culla della tradizione classica, quale si presenta il nostro paese, e ne
impongono il modello per quasi mezzo secolo. Addison si addentrerà
in modo particolare nei luoghi della tradizione classica, e a ogni
cambiamento di località, sia che si parli del Rubicone, dei Campi
Flegrei, mutano le sue citazioni erudite e le guide per l’occasione, quali
Orazio,Virgilio.
26
L’importanza della prospettiva di Addison è proprio nell’essere guida
di un’Italia antiquaria, di un museo di forme classiche, luogo di sublimi
vedute e scenari incantati.
A questa prospettiva, che sarà anche quella di altri viaggiatori, tra cui
Goethe, si ispirano anche pittori affascinati dall’Italia delle rovine,
acquerellisti topografici e illustratori di guide che riscostruiscono i
percorsi del viaggio italiano privilegiando le vie consolari, le ville di
imperatori e poeti. Le Remarks di Addison fissano un nuovo canone per
i libri di viaggio, in quanto si distinguono dalle relazioni seicentesche
ispirate dall’elencazione enciclopedica dei dati e delle osservazioni.
Un esempio della nuova struttura data alla letteratura di viaggio nel
Settecento, si può ritrovare in Samuel Johnson e James Boswell.
Nel 1756 Boswell dà vita a un volume intitolato An account of Corsica.
The journal of a tour to that Island, and a memoir of Pacal Paoli13.
Questo volume è diviso, nella prima parte troviamo la storia della
Corsica, nella seconda un vero e proprio viaggio attraverso l’isola. La
novità introdotta da questo libro sta proprio nella contrapposizione tra
la storia derivata dallo studio dei libri, e il diario di viaggio, tratto dalla
vera e proprio esperienza sul luogo.
Nel Settecento la letteratura di viaggio si separa nettamente
dalla
narrazione romanzesca. Solo separando la realtà oggettiva dalle
impressioni soggettive, il relatore può essere sicuro di aver dato elementi
derivati dalla realtà, da un viaggio realmente compiuto.
Un libro di viaggi costituisce uno dei prodotti letterari più attraenti
e istruttivi. Vi troviamo un’unione di utile e dilettevole, diverte e
cattura l’attenzione senza ricorrere alla finzione romanzesca, e riesce
27
a dare varie informazioni pratiche e suggerimenti morali molto utili
al viaggiatore. Si tratta di un genere letterario che permette inoltre la
conoscenza tra paesi lontani, apre il viaggiatore a nuove conoscenze
sociali, abbattendo qualsiasi tipo di pregiudizio nei confronti di usi e
costumi diversi dai propri.
Molto importante per permettere al narratore di evitare la ricaduta nel
romanzo, è riuscire ad eliminare ogni autobiografismo possibile. Certo
si tratta di un elemento molto importante quella di presentarsi come
viaggiatore, proprio per far capire la realtà del viaggio compiuto, ma
l’autore dovrà dimenticare se stesso e far parlare le città e i luoghi
visitati.
Anche se il Settecento, questo secolo d’oro dei viaggi, darà vita a
cambiamenti nella redazione dei libri di viaggio, rinnovamenti che
avvengono in scrittori come Sterne e Goethe14.
Un cambiamento importante sarà quello che vede il reinserimento nei
racconti di viaggio, del sentimento dell’uomo, delle avversità da lui
incontrate nel viaggio.
Questo si può osservare soprattutto con la numerosa presenza di diari di
viaggio femminili; le donne sono le grandi protagoniste della letteratura
settecentesca di viaggio, e hanno una grande freschezza narrativa e più
libertà nell’esprimere i propri giudizi e le proprie sensazioni di fronte a
nuovi luoghi conosciuti per la prima volta.
Il ruolo di innovatore di questo genere letterario spetta al Sentimental
Journey through France and Italy di Laurence Sterne del 176815. La
sua maggiore caratteristica è quella di allontanarsi dal genere di guida
che descrive semplicemente i luoghi di viaggio, ma riesce ad esprimere
28
anche i vari stati umorali del viaggiatore protagonista. Questo fa
emergere un nuovo genere di travel book nel quale l’accento cade sulla
sensibilità di chi viaggia, sulla sua capacità di reagire di fronte al vasto
panorama di paesi e persone che il viaggio offre.
Il protagonista non si limita ad osservare gli usi e costumi del mondo
circostante, ma ad investirli del proprio umore e dei propri stati d’animo.
Il viaggiatore sentimentale prende in considerazione i momenti più
particolari del viaggio, le scenette occasionali, gli aneddoti che vengono
riportati nei suoi racconti. Nella struttura del libro, l’inconsueto, il fugace
prendono il posto delle rubriche classiche e aprono la strada un rapporto
nuovo con i luoghi e le genti che spetterà al viaggiatore sviluppare.
Il viaggiatore romantico assume il duplice ruolo di narratore e
protagonista del viaggio.
Per questo egli inserirà nel proprio racconto degli ostacoli nel corso
dell’itinerario, come briganti e riempie il viaggio di divieti da rimuovere,
enigmi da risolvere, soglie pericolose da varcare.
La dimensione avventurosa assume un ruolo importante in questi
racconti; gli incidenti, gli accadimenti del viaggio quotidiano balzano in
primo piano.
Questa tipologia di racconto si differenzia totalmente dal manuale
d’uso inteso per il viaggio effettivo, strutturato in rubriche fisse,
con descrizioni di località, itinerari, poste. L’Ottocento assiste alla
rarefazione e poi alla scomparsa dei gloriosi vademecum, come raccolte
di pratici rudimenti sullo svolgimento del viaggio, sui pericoli della
strada.
29
Infine, a partire dalla metà dell’Ottocento, avremo lo sviluppo del saggio
topografico che prenderà il posto della narrazione romanzesca del
viaggio.
Una saggistica che si struttura secondo la scansione topografica del
viaggio in Italia, che raccoglie pagine diaristiche e insieme impressioni e
di analisi antropologiche su città e paesi diversi.
La letteratura si arricchisce inoltre
di illustrazioni di luoghi
relativamente marginali nella tradizione letteraria di viaggio.
Uno dei meriti della letteratura di viaggio è quello di permetterci di
riscoprire il nostro paese attraverso una prospettiva suggeritaci da altre
civiltà letterarie, da altri occhi, da altre culture visive. Se questo genere
letterario dimostra che il viaggio si trasforma in esperienza effettiva e
condivisibile nel momento della scrittura, per il viaggiatore il viaggio
acquista senso solo se il suo svolgimento si intreccia con la scrittura,
propria o altrui.
• Il Novecento dei viaggi.
Il vero viaggio di scoperta non
consiste nel cercare nuove terre
ma nell’avere nuovi occhi
(Proust)
30
Forse Proust con questa frase voleva dire che viaggiare consente di
acquisire conoscenze ed adottare nuove prospettive sul mondo. Ma solo
se si è davvero aperti all’altro ed al diverso, si può giungere ad una vera
conoscenza del luogo visitato e di se stessi.
Probabilmente è proprio questo ciò che differenzia, a mio parere, i secoli
passati, dal Novecento, questo nuovo spirito che spinge i viaggiatori
novecenteschi a recarsi nei paesi più lontani e sconosciuti, guardandoli
con nuovi occhi, non più attraverso luoghi comuni, ma col desiderio di
conoscenza, e in molti casi di voglia di aiutare chi ha più bisogno di noi.
Il rapporto tra viaggio e letteratura unisce due attività diverse: una è
quella fisica propria del viaggio, che comporta uno spostamento nello
spazio, il viaggiatore si muove e un’altra attività che compie è quella del
ricordare quello che vede, del confronto con il quotidiano, per analogie
e differenze. Infatti proprio la letteratura che si presenta come attività
mentale, si basa su un’esperienza fisica, quella del ricordare.
Da Omero a Virgilio, Dante e Manzoni, la letteratura possiede molti libri
che narrano viaggi. Le avventure di Ulisse, il viaggio della vita di Dante,
o gli spostamenti di Renzo dopo essersi separato da Lucia, tutto questo è
viaggio.
Certo è vero che non si tratta di veri e propri racconti di viaggio, cioè
la letteratura di viaggio propriamente detta si differenzia per il suo
concentrarsi sul racconto di viaggio, però possiamo notare che tutto
ciò che è letteratura, anche molto importante, ha alla sua base o nelle
sue parti, un racconto di viaggio o degli spostamenti. Il viaggio diviene
letteratura o comincia ad essere considerato letteratura, nel momento in
cui viene scritto, non durante il viaggio per i vari disagi che si possono
31
incontrare, ma una volta tornati a casa sulla base dei propri appunti e
ricordi.
Si basa quindi prima sull’esperienza vissuta sul campo e quindi
conoscenza e poi la scrittura.
Quindi si tratta di una letteratura di realtà. Proprio per questo al termine
letteratura se ne può affiancare un altro; quello di prosa di viaggio, che
sposta l’interesse da una pagina d’autore, a una pagina in cui troviamo
il racconto di fatti, oggetti e situazioni. Questi vengono riferiti nel
racconto: proprio da questo termine, che in inglese è to report, nasce il
genere letterario del reportage, tipico soprattutto di testate giornalistiche
che inviano i propri collaboratori proprio per creare questi racconti con
tutti i dettagli della loro esperienza.
Il libro di viaggio ha delle sue caratteristiche particolari; innanzitutto
ciò che colpisce l’attenzione e viene descritto è il paesaggio. Il
paesaggio incontrato viene descritto sia dal punto di vista estetico che
per quanto riguarda il clima. Dopo l’interesse geografico viene quello
antropologico, rivolto agli usi e costumi degli individui, ai loro caratteri,
soprattutto per analogie e differenze con i propri modi di vivere. Anche il
mezzo di trasporto acquista importanza in un libro di viaggio, può essere
marginale, in quanto utilizzato solamente come spostamento, oppure
può divenire il centro del racconto. Non sono infatti mancati casi in cui
autori si siano concentrati proprio su questi mezzi, soprattutto in quelli
attratti dal comico, utilizzando proprio degli episodi particolari accaduti
su questi mezzi per concentrare il racconto.
L’evoluzione del viaggio in turismo cambia ovviamente anche lo
scrivere di viaggio. Viaggi organizzati, in cui si hanno tutte le comodità
possibili, dove l’elemento avventura non è più presente come prima,
32
creano relazioni ben diverse da quelle precedenti molto spontanee e
basate sull’esperienza.
Ciò che cambia nel viaggio non è solo l’organizzazione, ma anche la
curiosità che spingeva a compierlo, e il modo in cui svolgerlo: una cosa
è viaggiare in delegazione, un’altra è fare l’inviato di guerra e trarre da
queste esperienza delle considerazioni sullo stato delle cose che saranno
poi riferite in scrittura. Si inverte anche il rapporto con le guide, che
adesso traggono informazioni che vengono considerate originale, ma
che un tempo le prendevano proprio dalle relazioni di viaggio, per il loro
costituirsi.
Anche i mezzi di comunicazione di massa cambiano il rapporto con
i libri di viaggio, gli fanno perdere il loro significato originale. La
descrizione di luoghi attraverso pagine e pagine di libri, perde quel
senso di immaginazione, proprio a causa ad esempio della televisione
che immediatamente attraverso le immagini ti fa vedere tutto ciò che
si immagina attraverso le pagine di un libro. Proprio come nei film
preceduti dai romanzi, ci si perde in pagine e pagine di descrizioni, per
riassumerle in un'unica scena di un film.
Il Novecento italiano vede molti scrittori di libri di viaggio. Una
personalità eccellente è quella di Alberto Moravia16.
L’importanza delle sue esperienze di viaggio si può trovare in sette
libri e alla raccolta di moltissimi suoi articolati, riuniti tutti in alcuni
volumi, tra cui possiamo nominare A quale tribù appartieni, Lettere dal
Sahara, Passeggiate africane. Molti sono stati i suoi viaggi, in India
con Pasolini, ma quelli che più interessano l’argomento della mia tesi
sono proprio quelli in Africa. Quando Moravia comincia a scrivere libri
di viaggio ha davanti gli anni 20, ma saranno gli anni Trenta a vedere
33
l’affermazione del genere della letteratura di viaggio, il viaggio infatti
diverrà parte integrante dell’esperienza. Saranno anni in cui si avrà
la concentrazione dei libri sull’America, che vede la ripresa dopo il
crollo di Wall Street del 1929. Anni in cui la Cina viene considerato un
continente misterioso, il paese lontano per eccellenza. Gli scrittori di
viaggio possono essere di vario tipo: quelli che già sanno tutto del posto
in cui vanno, prima di vederlo, quindi vanno a verificare se era esatto ciò
che già sapevano; quelli che non sanno niente da prima, con uno sguardo
per loro nuovo ma pieno in realtà di luoghi comuni; ed infine coloro
che sanno, ma vogliono rimuovere tutto, per vedere con uno sguardo
nuovo. Ed è proprio questo che faranno i viaggiatori del Novecento, ed
è soprattutto questo quello che ho provato io nel mio viaggio in Africa,
una realtà conosciuta attraverso gli occhi dei media, una realtà che
pensavi di conoscere, ma una volta lì ti accorgi che i tuoi occhi vedono
qualcosa di nuovo, mai visto prima.
Il viaggio è terreno di metafore, è molto simbolico, ma sia esso reale o
figurato, comporta sempre un’esperienza di vita in chi lo compie.
Può essere viaggio spirituale, mentale, per estraniarsi dalla realtà da
parte di chi è costretto a letto da malattie, o può essere viaggio fisico di
chi vuole fuggire dalla realtà quotidiana, di chi vuole inoltre fuggire dal
turismo di massa.
Certo è vero che non tutti quando si muovono viaggiano, c’è chi resta
comunque legato con la mente alla sua terra d’origine, ma chi farà il
contrario, e riuscirà a penetrare veramente nella località raggiunta, potrà
vedersi aprire molti orizzonti.
Molti scrittori ci dimostrano che non sono indispensabili lunghe
distanze per compiere un viaggio, ma basta guardare con occhi nuovi
34
anche località molto vicine a noi, per vivere un’esperienza nuova e
interessante. Tre grandi autori del Novecento, Alberto Moravia, Elsa
Morante e Pier Paolo Pasolini17, compiono insieme un viaggio in India.
Al loro ritorno Moravia e Pasolini metteranno la loro esperienza per
iscritto, invece Elsa Morante non lo farà, ma indubbiamente l’esperienza
ha lasciato in lei qualcosa di importante, lo si potrà vedere nel suo
interesse per le filosofie orientali.
In questa sede prenderò in considerazione soprattutto Alberto Moravia,
per i suoi numerosi viaggi in Africa e soprattutto per le sue raccolte di
articoli che raccontano questi viaggi.
Pasolini18 è colpito soprattutto dal suo freddo calcolo e impassibilità.
Infatti del loro viaggio in India colpisce proprio il suo racconto sulla
minaccia di alcuni banditi, Moravia19 si era già documentato, perché
afferma di non voler viaggiare con gli occhi del turista ignorante,
altrimenti si potrebbe rivelare una delusione, ma nonostante la sua
preoccupazione non lo dimostrerà mai, anzi mostrerà indifferenza.
Proprio perché il distacco gli permette un’analisi lucida di tutto ciò che
colpisce la sua curiosità.
La sua voglia di viaggiare emerge già dall’infanzia, un’infanzia piena di
difficoltà20. Deve infatti affrontare la malattia, si ammala da piccolo di
tubercolosi che lo costringe a letto per molto tempo. Poi verso i sedici
anni viene trasferito in un sanatorio e lui ci racconta questo suo primo
viaggio, ci rende partecipi della vergogna provata per le sue condizioni.
La costrizione fisica porterà a questa sensibilità d’artista, proprio perché
“la durezza della vita crea delle vie per fuggirla”21.
35
Quando guarisce infatti comincia a viaggiare, molto probabilmente per
recuperare il tempo perso a causa della malattia. Descriverà ciò che vede,
le sue impressioni, quello che pensa nel momento in cui vede.
Si tratta di un Moravia che coglie occasioni, accetta inviti, per evadere
dalla società da cui proviene, verso cui prova fastidio e noia. È proprio la
noia che lo spinge nei suoi viaggi.
Riusciva a guardare il mondo con occhi diversi, amava la terra, puntava
gli occhi su un nuovo paesaggio e lo contemplava, riusciva a coglierne la
ragione interna, la sua anima. Ed è proprio con questi occhi che si riesce
a vivere un viaggio indimenticabile che ti rimane dentro, proprio quello
che ho provato io in Africa e che mi ha lasciato questa passione.
Moravia però riusciva a viaggiare anche da fermo22, senza spostamenti,
ogni giorno scriveva, ogni giorno nella sua mente viaggiava, per lui
scrivere e viaggiare è vivere e tutti i suoi personaggi agiscono e si
muovono.
Comincia poi a vent’anni a collaborare con giornali, scrive articoli su
Londra, New York. Il viaggio caratterizza la sua vita, dà l’impressione di
aver viaggiato ovunque.
Certamente gli anni 30 per lui sono molto difficili, al potere vi è il
fascismo e lui è contrario. Ancora una volta sceglie il viaggio per fuggire
alla dittatura, il viaggio come rifiuto a questa costrizione, come ricerca
della libertà, cosa che faranno molti scrittori del Novecento che si
rifugeranno in Oriente alla ricerca di una nuova libertà e di paesi ancora
poco conosciuti.
Moravia sceglie la Cina, per andar via, lontano dall’Italia. Pechino è una
città meravigliosa e soprattutto misteriosa, infatti il fascino per il viaggio
consiste proprio nell’incontro con l’ignoto.
36
Nel frattempo conosce Elsa Morante che sposerà nel 1941. Torna in
Italia, ma si recherà subito in Grecia, proprio per la sua insofferenza, la
noia e soprattutto l’orrenda situazione in Italia.
Tornato in Italia, al momento della discesa dei tedeschi, decide di
spostarsi al Sud, verso Napoli già liberata dagli alleati. Parte insieme ad
Elsa Morante, proprio perché è tra i ricercati dovrà nascondersi con la
moglie in una capanna in un paesino prima di Napoli, dove non è riuscito
ad arrivare, e lì rimarrà nove mesi. Da quest’esperienza di vita molto
importante nascerà un altro bel racconto: La Ciociara. Superato questo
difficile periodo saranno molti i suoi viaggi del dopoguerra, scoprirà
l’Africa con la moglie, racconterà le stragi in URSS e la povertà del
popolo russo.
Ma i suoi viaggi avranno un sapore diverso quando, nel 1962 alla
fine del suo matrimonio con Elsa Morante, inizia una nuova vita con
Dacia Maraini. Quell’Africa da lui tanto amata, ha un nuovo sapore
con la nuova compagna, riscopre la sensazione di sogno, abbandono e
libertà insita nel viaggio. L’Africa ispira una sensazione di preistorico,
selvaggio, è il luogo della purezza, dei sentimenti primari, soprattutto
della natura meravigliosa che ti lascia quella sensazione di sogno,
di tranquillità. Un mondo dove puoi completamente allontanarti dai
problemi quotidiani, dove tutto ciò che ti circonda è la natura, una natura
che si può vivere completamente in cui ci si può immergere. Dai suoi
viaggi in Africa nasceranno numerosi suoi articoli per il Corriere della
Sera, che verranno poi raccolti nei volumi A quale tribù appartieni 1972,
Lettere dal Sahara 1981 e Passeggiate Africane 1987.
L’attenzione all’ambiente sarà un punto fermo nella sua scrittura,
soprattutto per portarne a conoscenza la società, per farla riflettere. Per
37
questo dopo la strage atomica, sarà per lui fondamentale un viaggio ad
Hiroshima, un viaggio nella memoria. Questo lo porterà a candidarsi
membro del Parlamento Europeo per cercare di combattere questi
crimini. Non riuscirà però ad ottenere i risultati sperati. Tornerà quindi
all’amata e misteriosa Africa, nel fiume Zaire in Congo, a bordo di un
postale. I motivi sono molti, ma soprattutto per non fare del turismo
organizzato, sua fondamentale caratteristica che lo accompagna da
sempre, per non incontrarsi con i turisti che introducono in questi luoghi
un elemento di banalità consumistica. Il suo risalire questo fiume vuol
dire per lui penetrare profondamente nell’intimità del luogo23.
Un altro autore che ci lascia scritte le sue esperienze di viaggio è Dino
Campana con i suoi Canti Orfici24, il viaggio considerato nel suo insieme
sia come spostamento fisico, sia come metafora del passaggio dal buoi
delle tenebre alla luce.
I Canti Orfici uscirono nel 1914 presso una tipografia di paese.
Trovarono pochi lettori alcuni distratti. I distratti furono Papini e Soffici.
Furono loro a divulgare esempi preziosi di quel libro. Campana è stato
una meteora, è passato come una cometa, disse Cecchi. Non è entrato
nella storia, ma direttamente nella leggenda. Sono entrati nella storia
invece i canti. La terza edizione dei Canti Orfici del 1941, rivista e
corretta da Falqui, segnò l’apice di quella strana fortuna toccata tutta
a un libro e poco o niente all’autore. Essi sono, fra l’altro, un libro di
viaggio, dove il viaggio è assunto come metafora, ma anche come dato
di fatto della biografia e come metodo di rappresentazione. Esso diviene
allegoria di vita. Non solo il viaggio dalla notte al giorno, ma anche una
38
sorta di itinerario dantesco scritto in giro per il mondo. Dall’inferno
al paradiso, dalle tenebre alla luce. A vent’anni non poteva stare più
da nessuna parte; oltre alle città italiane visitò la Francia, il Belgio,
l’Argentina. Pellegrinaggi e viaggi per il mondo in cerca di qualcosa.
Campana è lo scrittore di un solo libro, non tanto perché di fatto in
vita sua uscirono solo i Canti Orfici, ma perché tutte le carte ritrovate
e pubblicate nel tempo, gravitano attorno a quel libro. Al libro unico si
accompagnava un disegno ben preciso e studiato. Unire alla parola la
musica, il movimento, la pittura, con aggiunta del colore. La poesia che
si piega a diversi ritmi, a diverse velocità. Pittura, musica, drammaturgia,
letteratura sono queste le arti sorelle da far convergere nel progetto.
Nell’opera c’è un movimento quasi teatrale, un’ambientazione
scenografica e pittorica. Dino Campana non usava il colore come gli
altri poeti d’allora: costruisce un impasto verbale da cui si evince che
non si tratta di poesia o prosetta colorata, ma di letteratura ossessionata
da colore. Il colore qui cessa il suo compito storico, smette i panni di
chi si presta a raggiungere un fine decorativo, non è più un mezzo per
ottenere un effetto: è un fine. È il FINE. E lo stesso si deve intendere
per la musica e il dramma. Campana non fa letteratura con presenza di
un colore, di un tono, di un movimento, bensì usa la poesia come fosse
musica, come fosse colore. Campana collocava ricordi nel paesaggio.
Nei paesaggi e nei luoghi: da Marradi angusta e tedescofoba a Faenza
luogo di avventure, di facili amori e di dolore, dalla grigia Bologna
degli anni universitari alla Firenze immagine della musica, città in cui si
specchiano i fasti d’altri tempi, il Rinascimento e il Barocco, ma anche
città falsa, vecchia, cicisbea con l’Arno visto come un fiume infernale.
Infine sta Genova. La città più amata, luogo di partenze e miseri ritorni.
39
Genova è la poesia che chiude il libro, anche perché lo riassume nel suo
tessuto accogliendone diverse immagini e atmosfere25.
La poesia di Campana oltre ad essere una poesia che ha al centro
l’esperienza del viaggio, della vita, e che tenta un progetto europeo
musicale e colorito, è una poesia nutrita anche di evidenti e molteplici
rapporti intertestuali. Va inscritto nel novero dei decadenti, ma quello
che preme ricordare è la presenza di influenze di Baudelaire, per il
torbido clima e non proprio innocente dei notturni campaniani. Ma
in quei versi Campana sente anche la voce dei poeti nostrani. Quasi
unanimemente alla lettura dei Canti Orfici molti pensarono al Carducci
, forse per il gusto architettonico del paesaggio e delle città italiane,
per certe movenze ritmico- musicali. D’Annunzio e Pascoli sembrano
due presenze più forti nell’opera campaniana. D’Annunzio anche per il
suo guato estetico, per certo sensualismo, ma vi sono anche sue dirette
citazioni nei Canti Orfici. Pascoli è forse la figura più presente. Nel
Taccuinetto faentino il poeta aveva progettato una storia quasi dantesca
che procedesse dal buio infernale alla luce mediterraneo-paradisiaca.
Lo stesso iniziale titolo Il più lungo giorno dava l’idea di un cammino.
Era un titolo ossimorico, come i Malavoglia. Si nota che il giorno è
davvero poco presente e che invece il clima crepuscolare e notturno
è onnipresente in Campana. Ma ciò che più conta è che il primitivo
disegno di scrivere una storia che partisse dalle tenebre per sbucare nella
luce di Genova franò o cambiò di segno man mano che il poeta viveva e
scriveva. Con l’andare della vita s’accorse che la luce non l’avrebbe mai
trovata. Porta avanti e indietro per il mondo e sulla carta il suo progetto
poetico e deve accorgersi che luce non ne avrebbe trovata nemmeno a
Genova. Ecco che i suoi ritorni sono sempre miseri. Ruggero Jacobbi26:
40
“Nulla di ciò che Campana pronuncia nel suo vagabondare per le città
notturne corrisponde ad una nozione banale di vita e di morte, tutto è
rimesso all’ipotesi di una scoperta maggiore, di un punto nel quale si
possa ravvisare la presenza della verità. “ unire i contrari per creare
l’arte: visività visionaria ovvero la capacità tutta sua di inserire una
visione nell’attimo in cui guarda. Con questa sua attitudine il poeta
insegue la luce rintracciandola visivamente in una finestra illuminata
che poi si spegne, nella luna e nelle stelle che poi si perdono nel buio
notturno. Tutta questa intensità luminescente si rivela di breve durata,
si rivela PER UN MERAVIGLIOSO ATTIMO. Di qui il nuovo titolo,
con la parola canto che gli giunge dalla prossima tradizione leopardiana
e pascoliana e l’aggettivo orfico sentito come estremamente moderno.
La continua lotta tra il rosso e il bianco indica questo svolgimento di
cose. Il rosso è il colore della disarmonia, del caos, del sangue, della
dannazione notturna. Il bianco è il suo contrario, la ricerca dell’armonia,
della bellezza, dell’uomo nuovo.
Riprendendo l’argomento su cui maggiormente mi concentro nella
mia tesi, si il viaggio, ma soprattutto in Africa, ci sono due autori
moderni fondamentali per capire il cambiamento nelle motivazioni che
spingono a raggiungere questo mondo per noi così lontano, e soprattutto
si può notare in loro il cambiamento di visione di queste popolazioni,
allontanandosi dai luoghi comuni e creando una visione dall’interno che
ci permette di immedesimarci con loro in questo mondo.
Il primo su cui vorrei concentrarmi è Gianni Celati. La sua visione
dell’Africa è molto simile a quella di Moravia a mio parere, perché
riesce a vivere completamente questa esperienza e ci descrive quel
mondo dall’interno, un mondo da lui vissuto con occhi diversi e non
41
del turista consumista. Con il suo documentario Passar la vita a Dioll
Kadd27, Celati vive un villaggio del Senegal, e ci restituisce la visione
della quotidianità, aspetti della vita di un popolo, con i suoi riti, le sue
abitudini. Un villaggio completamente vissuto da Celati che ci permette
di vedere l’Africa da un altro punto di vista e non solo come ci viene
presentata quotidianamente.
È vera la povertà che noi conosciamo di quei luoghi, ma la loro forza di
sopravvivenza e la loro voglia di vivere non ci viene mai presentata, e
questa viene alla luce proprio in questo documentario.
Ci colpisce il suo rapporto complice e dolce con gli abitanti, l’unione di
culture così diverse.
Ci mostra i cortili cosi simili alle nostre campagne, poi ci racconta della
poligamia, elemento invece totalmente assente nella nostra comunità.
Ciò che ci colpisce di più è che Celati ci permette di osservare l’anima
del villaggio, di entrare completamente nella loro vita, conoscendone la
cultura, il sorriso, la voglia di vivere, nonostante la povertà e le difficoltà
forse insuperabili. Ci emozioniamo partecipando ai loro riti, culture,
riusciamo a cogliere attraverso il libro, ma soprattutto attraverso il
documentario, ogni aspetto della vita di un villaggio per noi così lontano.
Affettuoso e complice, lo sguardo di Celati ci restituisce l’allegria e la
pace, la felicità delle feste femminili, la forza del mondo femminile,
un mondo che sulle proprie spalle porta avanti un intero villaggio,
lo sciamare dei bambini, che amano e apprezzano quello che hanno.
Tutto ciò col sorriso, un sorriso che ho trovato anche io durante la mia
esperienza in Kenya. Un sorriso che ti porti nel cuore. Soprattutto Celati
ci mostra la sopravvivenza di questo villaggio di duecento anime. C’è
42
la percezione di un tempo diverso, quasi fermo, vivendo giorno per
giorno, facendo “passare” la vita.
“Qui nessuno guarda l’orologio,
a parte il fatto che pochi ne possiedono uno. Non so come chiamare
quest’altra specie di tempo, tempo più elastico, legato ai modi del
sentire: è il tempo delle abitudini mentali e dei movimenti collettivi nella
vita quotidiana28
Il suo sguardo umile ci racconta ogni immagine di quelle terre, ogni
piccolo particolare di una vita così lontana dalla nostra.
Paolo Rumiz29 non ci descrive un’esperienza di viaggio, ma un altro
aspetto riguardante l’Africa: l’organizzazione degli aiuti di questi paesi
poveri, in modo particolare l’attività dell’associazione Medici per
l’Africa Cuamm30.
Ogni giorno i media ci mostrano spot riguardanti le attività di queste
associazioni, ci suggeriscono modalità di aiuto per quei paesi, proprio
come l’Africa, ne hanno veramente bisogno. Tutti noi penso ci
chiediamo sempre cosa si celi dietro quelle associazioni, quale tipo
di attività svolgono per aiutare queste popolazioni. Paolo Rumiz ci
restituisce infatti una descrizione vissuta interamente all’interno di
questo tipo di associazione.
Medici con l’Africa del Cuamm. è la prima organizzazione non
governativa (ong) in campo sanitario riconosciuta in Italia. Si spende
per il rispetto del diritto umano fondamentale alla salute e per rendere
l’accesso ai servizi sanitari disponibile a tutti, anche ai gruppi di
popolazione che vivono nelle aree più isolate e marginali. E' nata nel
1950 con lo scopo di formare medici per i paesi in via di sviluppo con
il nome Cuamm (Collegio universitario aspiranti e medici missionari),
negli anni ha scelto di operare particolarmente nel continente africano,
43
da cui il nome Medici con l’Africa. Oggi è presente in 7 paesi dell'Africa
a sud del Sahara, in Angola, Etiopia, Mozambico, Sud Sudan, Tanzania,
Uganda e Sierra Leone, dove 80 operatori nel corso del 2011 sono stati
impegnati in 37 progetti di cooperazione principali e un centinaio di
micro-realizzazioni di supporto. L’incontro con Paolo Rumiz fa nascere
questo libro. Lui si innamora del progetto e osserva donne e uomini in
azione, ci racconta di coppie, e intere famiglie che si trasferiscono in
Africa per aiutare paesi distrutti dalla guerra, da pandemie, e da malattie
che per noi sono comuni come un banale raffreddore o una colite che
invece in Africa porta alla morte di milioni di bambini innocenti. Uomini
e donne che lasciano la loro casa, la loro famiglia, che in un certo modo
si sentono molto più africani, lì nascono i loro figli, lì corrono appena
arriva una chiamata di Don Luigi. Questo libro colpisce chi come me
è stato in Africa e non ha vissuto solo il lato turistico, paesaggistico,
naturale, ma ha visto da vicino le condizioni estreme di vita, di bambini
che hanno sempre il sorriso, un sorriso dolce così pieno di voglia di
vivere. Troviamo nel libro di Paolo Rumiz le sensazioni provate dai
volontari, il loro vissuto, il “Mal d’Africa”, la loro generosità, ciò che
ha lasciato loro dentro l’Africa, l’Africa dei colori, degli odori, delle
sensazioni profonde. Questo racconta una coppia di medici: “in Kenya
abbiamo incontrato un mondo di contrasti inauditi. La polvere della
siccità e il fango delle grandi piogge. L’odore rancido della povertà e la
magnificenza dei colori. La miseria senza fondo e il sorriso della gente .
La fame dei bambini denutriti e gli alberi carichi di frutta31.
44
1.
Dino Azzalin narratore-editore
Dino Azzalin1 è lo scrittore sul quale ho deciso di concentrarmi per
approfondire l’argomento Africa, attraverso la lettura e l’analisi dei suoi
libri, soprattutto i suoi diari di viaggio in questo vasto e affascinante
continente. Parlare dell’Africa, studiarla sui libri, e viverla, sono cose
completamente diverse. Per mia immensa fortuna l’ho vissuta, in Kenya,
proprio come Dino Azzalin, e come lui non ho conosciuto solo l’aspetto
turistico di questo paese, ma ho toccato con mano anche momenti di
dolore a cui non ci si può sottrarre. Grazie alla lettura dei diari di Dino
Azzalin, al suo impegno in quei luoghi per quei popoli, mi sono immersa
di nuovo nelle emozioni di questo continente, nei suoi odori, nelle
abitudini, nel vissuto della gente.
La Nuova Editrice Magenta viene fondata nel 1999 per iniziativa di
Dino Azzalin e Angelo Maugeri, essa raccoglie, nel nome e negli intenti
editoriali, l’eredità della gloriosa casa editrice varesina Editrice Magenta.
L’esordio è: Una missione fortunata e altri racconti, inedito di Guido
Morselli.
È proprio lo stesso Dino Azzalin a raccontarci in un articolo2 la sua
esperienza con la vecchia e la nuova editrice magenta. Qui ci narra
come è venuto a conoscenza dell’esistenza di questa casa editrice,
quando negli anni 70 lavorava in radio con Mauro Maconi, e insieme si
occupavano di un programma dedicato ai libri, dal titolo: “Il fantasma, il
monaco, la scimmia” da una poesia di Mao Tze Dong.
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In quel periodo sentirono parlare di molti scrittori che si rivolgono a
questa casa editrice, e decisero di andare a cercarla, così scoprirono che
si trattava di una cartolibreria, di cui era titolare Bruno Conti. L’Editrice
Magenta era nata negli anni Cinquanta: magenta non era il colore di
copertina dei libri, ma semplicemente il nome della via dove, con l’aiuto
di una sorella, Bruno Conti gestiva la cartolibreria Magenta. Lo
conobbero proprio per cercare un libricino piccolo, bianco, con una
fascetta rossa in basso, dal titolo Linea Lombarda. Fu difficile per loro
trovarlo sepolto nella più totale confusione di libri e prodotti di
cancelleria. Si trovarono di fronte un tipo stravagante, un professore in
pensione, che li trattenne per ore ad ascoltare la sua vita. Si
dimenticarono addirittura il motivo della loro visita alla casa editrice.
Naturalmente uscirono senza la loro raccolta di poeti, ma da quel
momento cominciò l’interesse di Azzalin per quello strano professore,
tanto da portarlo a frequentare spesso quel posto. L’Editrice Magenta
pubblicò libri importanti ma anche tanta critica letteraria. Purtroppo
gradualmente i rapporti tra Conti e Anceschi si deteriorano fino ad
arrivare ad una rottura. Furono tanti i momenti da superare, la sua morte,
quella della sorella di Conti, seguita poi da Anceschi e anche dal suo
amico Mauro qualche anno più tardi. Un giorno Azzalin passò di lì e
vide la nuova gestione della vecchia editrice: i nuovi proprietari stavano
buttando tutto. Non avevano sicuramente idea del tesoro che si celava in
quella vecchia cartolibreria, per questo Azzalin chiese e riuscì a
comperare tutti quei libri preziosi, e riunendo tutto, di lì a qualche anno
creò con amici la Nuova Editrice Magenta.
L’importanza della Magenta per Azzalin, consisteva proprio nella rottura
col passato, tramite l’innovazione del linguaggio poetico. Così decise
46
di partecipare alla ripresa delle pubblicazioni della Magenta, di cui
erediterà il testimone.
2.
La NEM e Guido Morselli: il genio segreto
La storia della Vecchia e Nuova Magenta, e quindi quella di Azzalin,
si intreccia spesso con le vicende editoriali di Guido Morselli. Il primo
libro pubblicato è proprio di Morselli “Una missione fortunata e altri
racconti”(1999). In occasione del decennale della NEM si decide, come
festeggiamento, di pubblicare la ristampa di un saggio introvabile di
Morselli: “Realismo e fantasia”. E’ proprio Dino Azzalin a raccontare in
un articolo3 come è venuto a conoscenza di Morselli, quando lavorando
a Radio Varese, gli era stato dato da recensire per una trsmissione
“Dissipatio HG” e lui rimase subito colpito da qualcosa di innovativo e,
dopo aver scoperto tutta la produzione di Morselli, si appassionò.
Oltre ad essere un validissimo autore, Azzalin scoprirà una nuova
possibilità, quella dell’editore. Un’iniziativa importante quella della
Nuova Magenta: far rivivere dopo 65 anni, il libro introvabile, Realismo
e fantasia, pubblicato nel 1947 dai Fratelli Bocca di Milano e mai più
ristampato. La casa editrice con questa operazione editoriale volle
rilanciare lo scrittore. Evento testimoniato da testate giornalistiche 4
importanti a cui hanno partecipato vari critici e la studiosa di Morselli,
Valentina Fortichiari. È un libro di pensiero, di filosofia, in forma di
Dialoghi, conversazioni fra due amici nel corso di una estate, in una
dimora sullo sfondo di un lago, quello di Varese. Sereno e il personaggio
che dice Io, sono due facce dello stesso Morselli, illuminate di una luce
che diverrà dopo la sua morte emblema e icona dello scrittore inedito.
47
Guido Morselli nasce a Bologna il 15 agosto 1912, secondogenito di una
famiglia agiata della buona borghesia bolognese. Il padre Giovanni è
dirigente d'impresa nel ramo farmaceutico, la madre Olga Vincenzi è
figlia di uno dei più noti avvocati della città. Nel 1914 la famiglia si
trasferisce a Milano. Fino all'età di dieci anni la vita di Guido scorre
abbastanza tranquilla ma nel 1922 la madre si ammala seriamente di
febbre spagnola e viene ricoverata per un lungo periodo. Guido soffre
per questa forzata lontananza ed anche per le frequenti assenze del
padre, dovute a motivi di lavoro, e quando la mamma muore nel 1924 la
perdita lo segna profondamente. Il padre è sempre assente, e senza il
collante familiare della mamma i rapporti tra i due
continuano a
deteriorarsi sia caratterialmente sia affettivamente. Guido è poco
socievole, irrequieto, non molto amante della scuola, ma sorretto da
un'intelligenza precoce; allo studio preferisce letture personali. Superato
svogliatamente l'esame di maturità nel 1931 da privatista dopo essere
stato bocciato nel 1930, per compiacere il padre autoritario si iscrive alla
facoltà di giurisprudenza dell'Università Statale di Milano e comincia a
scrivere, senza pubblicarli, i primi brevi saggi a carattere giornalistico.
Subito dopo la laurea nel 1935, parte per il servizio militare e frequenta
la scuola ufficiali degli alpini. Successivamente soggiornerà lungamente
all'estero, scrivendo reportage giornalistici e racconti che rimarranno
inediti. Il padre cerca, in maniera autoritaria, di indicargli una strada e lo
fa assumere alla Caffaro come promotore pubblicitario: l'esperienza
lavorativa si concluderà dopo un solo anno portando ad un
peggioramento dei rapporti con il padre. Dopo la morte dell'amata
sorella Luisa nel 1938, a soli ventisette anni, Guido ottiene dal padre un
vitalizio che gli permette di dedicarsi alle attività che da sempre
48
predilige: la lettura, lo studio e la scrittura. Continua a cimentarsi in
brevi saggi e inizia la stesura di un diario, abitudine che lo
accompagnerà per tutta la vita. È autore di romanzi e saggi che sono stati
pubblicati solo a partire dal 1974 (ossia dopo la morte), a causa dello
sfavore delle case editrici, che non seppero correttamente valutarne
l'importanza. Proprio i costanti rifiuti degli editori furono alla base del
gesto suicida con cui Morselli, il 31 luglio 1973 nella sua residenza a
Varese, pose fine alla propria esistenza. Nella casina di Santa Trinita 5
che fu sua, oggi si trova un museo dedicato alla sua opera.
Morselli è l’emblema dello scrittore incompreso, rifiutato dagli editori,
che viene considerato solo dopo la morte. Giornalista, saggista e
romanziere, non ha trovato in vita case editrici che credessero in lui,
proprio il successo conseguito successivamente al suo suicidio, non
si spiega il motivo che lo ha portato al gesto estremo6 e che non ha
permesso di trovare pubblico e sostegno.
Sono diverse le iniziative dedicate a questo scrittore a Varese, città a
cui era legato e si è adoperato, ad alcune delle quali partecipa anche
la Nuova Magenta. Ad esempio è stato istituito un premio letterario7,
sostenuto dalla Provincia di Varese, grazie all’iniziativa degli eredi
Morselli e di Silvio Raffo8. A pubblicare i volumi vincitori è stata
proprio la Nuova Editrice Magenta di Dino Azzalin. Un premio
organizzato per ricordare questo scrittore, ma anche per sostenere la
cultura. Molte sue opere furono pubblicate solo dopo la sua morte,
fu l’erede testamentaria Maria Bruna Bassi, una sua cara amica, a far
pubblicare numerosi romanzi che Morselli aveva scritto nella sua vita
dedita in massima parte allo studio e alla scrittura.
49
Un articolo9 ci presenta un’altra iniziativa, una mostra dedicata
a Guido Morselli, organizzata nel Liceo Classico Ernesto Cairoli
dall’Associazione Varese Europa in collaborazione con il Comune di
Varese. Un’esposizione di pannelli, manoscritti, video, per cercare di
riscoprire, o meglio scoprire, uno scrittore che si è adoperato molto
per quella terra alla quale era molto legato. Questo era uno degli
aspetti sconosciuti di questo artista incompreso, un ambientalista e
attento difensore del paesaggio. Anche in questo evento troviamo al
partecipazione della NEM che si occupa della cura del catalogo della
mostra.
Il premio a Morselli si pone accanto a quello dedicato a Piero Chiara,
(un altro importante scrittore di Varese) ; due personalità distinte, nati a
un anno di distanza eppure così diversi, soprattutto con due destini
diversi, visto il successo di uno e la triste rinuncia alla vita dell’altro.
Piero Chiara definiva Morselli scontroso, visto che si chiudeva nel suo
podere di Santa Trinita piuttosto che frequentare i suoi colleghi di penna.
Il tempo ha restituito a entrambi la giusta dimensione professionale e
umana, rivelando lo spessore di due scrittori e intellettuali, dotati di una
cultura non certo di superficie. Nascondevano, dietro l’apparente
alterigia, una comune timidezza, e l’imbarazzo e la solitudine di chi non
può fare a meno di dare in pasto la propria anima al lettore, misurandosi
a vicenda con la paura di scoprire che l’altro fosse in grado di far meglio
e prima. Entrambi divennero e sono rimasti grandi, Piero Chiara lo
divenne già in vita e Morselli purtroppo dopo la morte. Uniti anche
dall’amore dichiarato per la loro terra varesina. L’ammirazione di Guido
Morselli per il collega si può trovare anche nella raccolta delle sue
lettere curata da Linda Terziroli grazie alla Nuova Editrice Magenta,
50
Lettere ritrovate10, la quale contiene tra l’altro cartoline di complimenti
inviate al collega Piero Chiara11. Piero Chiara è ricordato da un premio
letterario, voluto dal comune di Varese ventuno anni fa, retto
dall’associazione Amici di Piero Chiara e sostenuto dal comune di
Varese.
Guido Morselli è un personaggio difficile da capire, a cento anni dalla
sua nascita, ricorrenza nel 2012, e quest’anno, a quarant’anni dalla
sua morte, molto si deve ancora scoprire sulle sue opere, gli appunti
conservati, e le opere inedite, tutto rimasto in eredità alla sua grande
amica di sempre Maria Bruna Bassi. Molto facile anche considerare un
solo motivo del suo suicidio, quello del rifiuto editoriale. Infatti sono
molti quelli che commentano così la sua fine, l’ennesimo rifiuto con il
suo ultimo lavoro Dissipatio HG,
considerato il suo “capolavoro”, e
la fine della sua vita. Forse non è così, forse bisognerebbe andare oltre,
capire tutto quello che l’ha potuto portare a togliersi la vita. Forse i
vari fallimenti ottenuti, oppure tutto quello che ha passato nella vita, la
morte della madre quando era piccolo, (che lui rivedrà nella figura della
Madonna), il suo isolamento nella casina rosa di Santa Trinita, che si può
forse riscontrare in quella di Dissipatio, per allontanarsi da una società
che lo soffoca, che non lo prende in considerazione come dovrebbe. La
sua ricerca continua di un senso, tutto interiore, soprattutto per quanto
riguarda la sua spiritualità, messa in crisi dagli eventi, ma che aveva
una gran voglia di ritrovare. Nessuna realizzazione per lui, senza quella
famiglia che può dare appoggio; forse tutte queste ragioni l’hanno spinto
a lasciare questo mondo in maniera diversa.
Ebbe un’infanzia travagliata Morselli12; la madre fu colpita dalla
spagnola e non guarì mai del tutto, morì che lui aveva 12 anni. Aveva
51
un immenso bisogno dell’affetto materno e questo traspare ovunque,
soprattutto in quel suo anelito alla fede, sentito fino all’ultimo. Anche
il periodo della scuola rappresentava una limitazione alla libertà. Ebbe
molti amori, intensi o meno, ma segnati dal bisogno profondo di dare
e ricevere amore. Amava la compagnia, le persone comuni, prendeva
tutto quello che c’era di buono dalle persone che incontrava, assimilava
ogni informazione, per lui era importate comunicare, ma non amava il
turismo di massa, per ragioni etiche e morali. Ciò fu una conseguenza
del suo esilio in Calabria. Fu proprio la guerra a cui dovette partecipare
a provocare questo esilio. L’incontro con Maria Bruna Bassi avvenne
in circostanze un po’ strane, infatti le sue bambine la chiamarono alla
finestra per vedere quell’uomo che si trovava in atteggiamenti affettuosi
con una ragazza. Era proprio lui: Guido Morselli.
Fra il 1930 e il 1935 frequenta e si laurea in Giurisprudenza
all’Università Statale di Milano. L’ambiente universitario fa scaturire la
sua passione per la scrittura e soprattutto le sue capacità. In questi anni le
sue pubblicazioni sono soprattutto articoli giornalistici e un racconto di
guerra.
Dopo gli studi intraprende un particolare Grand Tour, viaggiando
tra Inghilterra, Francia, Germania e Scandinavia, lo scopo era quello
di perfezionare la sua conoscenza delle lingue. Durante questi suoi
soggiorni all’estero, si era cimentato in reportages
come Vecchia
Francoforte, Aria di Copenhagen13. Questo ci permette di capire quanto
sia variegato il mondo di Guido Morselli, spaziando dai racconti, alle
lettere, ai reportages, trattando argomenti di storia, di cultura, mostrando
un autore attratto da tutto quello che lo circonda.
52
Nel 1940 inizia la sua sofferta esperienza di guerra, viene inviato prima
in Sardegna, comincia così a delinearsi un suo Diario14, contenente
citazioni e le prime tracce delle sue opere.
Fu poi chiamato alle armi in Calabria dove rimase tre anni, lontano
da tutti, dalla sua famiglia. Poi decise di lasciare l’esercito e si trasferì
a Catanzaro dove cercò di vivere in vari modi. Intanto continuava
a scrivere: lì cominciò Realismo e fantasia15. Riesce soprattutto a
pubblicare il suo saggio di “Proust o del sentimento16”, presso Garzanti.
Fu proprio durante il soggiorno in Calabria che capì cos’era la nostalgia,
dalla sua famiglia, la lontananza dalla persona amata, il profumo che gli
ricordava la sua casa. Ricordava tutto anche il medico suo grande amico
che compare nel romanzo Dissipatio HG17.
L'esordio col suo saggio su Proust sembra aprire per Morselli, nelle
sue stesse speranze, l'avvio di una carriera di scrittore promettente e
destinata a consolidarsi. Purtroppo il suo destino di insuccessi editoriali
continuerà a perseguitarlo fino alla fine, e farà solo in tempo a vedere le
stampe del saggio successivo, "Realismo e fantasia", nel 1947. Da qui
in poi rimarrà inascoltato, fatta eccezione per pochissimi conoscenti e i
lettori delle case editrici, inesorabilmente ostili alla pubblicazione.
Terminate le attività belliche riesce a risalire lo stivale fino a Varese con
mezzi di fortuna. Gli ultimi mesi della guerra vive ospite di un'anziana
signora, segnato da ristrettezze economiche rigidissime, tanto che è
costretto a vendere quasi ogni cosa di sua proprietà e riesce a ricavare
delle minime entrate economiche dando lezioni private. Non si arrende
mai a cedere i suoi libri, riesce a spedirli comunque a casa. A Varese
riordina e lavora a "Uomini e amori", scrive anche racconti brevi.
Comincia a ideare e si prepara a scrivere il romanzo breve "Incontro
53
col comunista". Nel frattempo, alla decisione della famiglia di ritornare
a Milano, dove avevano vissuto prima dello scoppio del conflitto, egli
decide di non spostarsi e rimanere a vivere da solo.
Inizia poi una felice collaborazione con alcuni giornali tra cui “La
Prealpina” di Varese, dove pubblica recensioni letterarie, proposte
culturali. Il padre gli dona un podere a Gavirate dove fa costruire una
casina immersa nel verde, la sua amata casina rosa. Si fa prepotente in
lui un conflitto interiore in materia religiosa e comincerà a stendere una
trilogia su questo argomento che verrà approfondito in seguito e ne darà
testimonianza anche la sua amica Maria Bruna Bassi, ma completerà
solo uno dei testi previsti, Fede e critica.
Intanto aveva lasciato Gavirate e la famosa casina rosa di Santa Trinita
che tanto aveva amato, ma che non lo ricambiava spesso. Infatti quel
periodo fu pieno di difficoltà, furono tanti i motivi che lo spinsero ad
allontanarsi dalla sua amata casa, primo fra tutti: la casa invasa dai
molesti rumori di alcuni ghiri. La lasciò definitivamente per il chiasso di
alcuni motocrossisti18.
Quel signore straniero, che si faceva chiamare Sereno, viveva
completamente alienato dalla civiltà, come di chi delle cose del mondo
non volesse più occuparsi. Continuò a scrivere e questo gli procurava
gioia, una gioia contrapposta al dramma ogni volta che terminava un
testo e cominciava il calvario degli editori, il dramma dei numerosi
rifiuti. Morselli amava tanto la vita, e seppe goderla, annotava tutto, si
interessava a tutto e il mondo circostante era per lui fonte d’ispirazione
per le sue numerose opere. Un giorno trovò nella cassetta della posta due
54
copie della sua ultima fatica, restituite dagli editori. L’ennesimo rifiuto; e
la sera stessa smise di soffrire.
Guido Morselli, uno scrittore definito “genio segreto”, incompreso ai
più. Un autore postumo, visti i vari racconti pubblicati dopo la sua morte
“voluta”, questo suo gesto eclatante è stato sminuito, dandogli come
semplice motivazione quella della sua insofferenza al rifiuto editoriale,
ma sicuramente nessuno ha capito che probabilmente non era solamente
quello il motivo. Il suicidio non c’entra niente con il valore dell’opera, i
motivi di un tale gesto vanno ricercati anche e soprattutto altrove.
Probabilmente non venne pubblicato in vita perché si tratta di un autore
molto difficile, dalla scrittura complicata, o probabilmente si presentava
come un autore “scomodo” che affrontava argomenti importanti, che
non venivano presentati come voleva in quel momento il gusto popolare.
Nel 2012 abbiamo avuto una ricorrenza, quella dei cento anni dalla
nascita di Morselli, il 15 agosto del 1912, e siamo a quaranta anni dalla
morte, e molto ancora si deve scoprire delle sue opere, dei suoi appunti,
di tutto quello che lui studiava, molto ancora nelle mani degli eredi, e
molto conservato nei luoghi in cui c’è tutta la sua eredità. Studiava ed
osservava tutto, leggeva articoli di giornale, molti libri, sottolineava
quello che più gli interessava, appuntava i suoi pensieri, perché lui
studiava a fondo quello che leggeva, non trascurava nulla e questo si può
capire da un aneddoto: fu proprio lui a suggerire a suo fratello Mario, al
quale concesse una volta la possibilità di aprire il suo armadio delle
meraviglie con tutti i suoi libri, di non leggere superficialmente, ma di
capire a fondo ciò che si legge, se necessario leggerlo altre migliaia di
volte, di fare ricerche continue su tutto quello che non si conosceva, e
probabilmente è quello a cui si è dedicato durante la sua vita; la
55
conoscenza oltre ovviamente alla scrittura.
Tutti i suoi appunti, libri, articoli sono conservati nella Biblioteca Civica
di Varese dove li ha lasciati in eredità. I libri sono stati da Morselli
amati, sottolineati, postillati. Alcuni presentano una dedica speciale e
una data, come la dedicata di Marinetti, il fondatore del futurismo, a
suo padre. Vi è inoltre una cospicua presenza di annotazioni, soprattutto
negli indici, come se non bastasse e dovesse essere arricchito dalla sua
opinione. Tutti questi libri comprensivi delle sue annotazioni sono riuniti
nel Fondo Morselli.
Le fonti di Morselli sono numerose, come ad esempio riviste e giornali,
il National Geographic, citato nel Diario, le cui copie, annotate e ricche
di inserti, sono conservate nel Fondo Morselli di Varese.
Le tematiche ricorrenti nei vari articoli raccolti riguardano la religiosità,
tema delicato per Morselli che verrà approfondito in uno specifico
capitolo, l’avanzata del comunismo, l’interesse medico, anche per quanto
riguarda gli stupefacenti, infatti vi costruirà una bellissima sceneggiatura
E’ successo a Linzago Brianza19, in questa sceneggiatura per un film
Morselli affronta l’argomento della nevrosi da sostante stupefacenti,
della scelta dell’amore di due donne, Vanda e Raffaella (la presenza
di due donne che chiedono amore e una scelta è presente anche ne Il
Redentore) l’impossibilità di realizzare i propri desideri anche con
l’impegno.
Il trenino di latta sarà l’immagine che fa da sfondo a tutto il racconto,
e tutto diciamo gira intorno a questo concetto. Walter impiegato nelle
ferrovie come addetto agli scambi, in una piccola stazione, a Linzago.
Il suo sogno è quello di partecipare al concorso per aiuto macchinista,
56
intanto , fin da bambino, colleziona trenini. Morselli ci parla della
periferia milanese, della durezza della vita, la violenza, l’ombra delle
droghe che arriveranno a rendere tragico il destino di questo giovane che
aveva un sogno, animato da sentimenti positivi, e all’inizio da una fede
sincera.
L’altra protagonista di questa sceneggiatura è Vanda, la prescelta di
Walter, probabilmente perché è più debole e questo si capisce da subito,
vista la sua dipendenza dai farmaci, all’inizio favorita proprio dal
padrone della fabbrica che riforniva le sue operaie. Walter sceglierà lei,
ricevendo dalla donna non amore, ma almeno gratitudine, inizialmente.
Quel passaggio a livello divide e sarà sempre il simbolo della divisione
tra il mondo di Vanda e quello di Walter e la sua passione per i treni.
Quel treno sarà anche il destino dello stesso Walter. Vanda detta le
regole di questo matrimonio, fatto di libertà per lei, del rifiuto di avere
figli e che sarà sempre segnato dalla sua dipendenza dai farmaci, quello
che porterà alla tragica fine del marito sognatore. Quel trenino di latta
mostrato a Vanda, sarà anche lui simbolo del loro futuro, e contribuirà ai
vizi di Vanda. Il decadimento fisico e mentale della ragazza è inevitabile
e la porterà a cadere nelle maglie della malavita per procurarsi quelle
pillole. Intanto Walter resta vittima di un incidete sui binari, diventa
zoppo e deve così rinunciare al suo sogno e rivedere i suoi desideri
ed adeguarsi così alla sua nuova situazione. I suoi segni legati al
famoso trenino di latta si infrangono. Dovrà così diventare sagrestano
dell’ospedale dove si trovava in cura dopo l’incidente. Sposa Vanda e
ne accetta le conseguenze e soprattutto la sua instabilità, fino a quando
il dolore lo sovrasta e fa crollare anche la sua fede. Morselli ci dà una
descrizione in questa sceneggiatura della periferia popolare, personaggi
57
della campagna che vengono tentati dalla città, regno del vizio.
Quel trenino non rappresenta più il sogno, ormai infranto di Walter, ma
servirà adesso a Vanda per dare atto ai suoi vizi, uno dei quali è quello
delle scommesse calcistiche. Lo userà per scommettere, il trenino verrà
fatto camminare e a seconda del segno dove si fermerà, 1X2, Vanda
deciderà la sua puntata. Ha ceduto al vizio, la ragazza, è disonesta,
è sempre più tentata dalla città, diventerà sempre più superficiale.
Soprattutto si considera una vittima di questo sistema. È figlia della
società del consumo, (un argomento che ha sempre interessato Morselli,
visto che decide di ritirarsi nella casina rosa a Gavirate, proprio per
sfuggire alla società dei consumi, quella società che lo ha escluso, che lo
ha portato alla sua fine, possiamo quindi vedere in questa sceneggiatura,
il pensiero dello stesso Guido Morselli verso questo tipo di società?) ;
si rivolge verso la città Milano, dove verrà accompagnata da Vincenzo
per cercare le sue pillole. Walter non ne può più, si sacrifica e affronta
una dura crisi religiosa (altro tema legato all’autore, visto i suoi continui
dubbi sulla religione), e più Walter si sacrifica e più la moglie lo deride
e si rivolge a una vita superficiale, priva di valori. Il divario tra i due sia
accentua quando Vanda rimane incinta, e Walter spera che finalmente
questo la potrà far uscire dalla dipendenza dei farmaci. Purtroppo non
sarà così. Walter cercherà ancora di aiutarla. Si vede in questo momento
una bella trovata scenica di Morselli: Walter è come fuori campo e vede
così che tutto coloro che lo circondato non lo aiuteranno in nessun modo,
dovrà nuovamente cavarsela da solo. Così decide di provare un ultimo
tentativo, porterà la moglie a vedere il figlio del suo capo; la moglie
aveva lo stesso suo tipo di dipendenza e avendo partorito due gemelli,
uno purtroppo muore e l’altro è una specie di mostro. Probabilmente di
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fronte a quello scenario Vanda avrebbe potuto rendersi conto delle gravi
conseguenze derivanti dalla sua dipendenza e così smettere finalmente,
ma non fu così. Tutto questo porterà al tragico finale; il riorno a quei
binari che dividevano i due coniugi, il ritorno di Walter all’inizio, a quel
suo sogno mai realizzato; Walter si dirige verso il suo treno, lo aspetto,
ma non sulla banchina, verso i binari, quel treno si avvicina sempre
più: l’impatto sarà inevitabile. Così finisce tutto. I sogni negati e mai
raggiunti nonostante l’impegno e la buona volontà. Lo stesso destino
dell’autore, personaggi pieni di buona volontà, bersagliati dal destino,
ingiustamente.
Come possiamo notare uno dei protagonisti di questa sceneggiatura
è un personaggio femminile, come molti ce ne saranno nei numerosi
raccontini di Guido Morselli, mai presi in considerazione. Poi ci penserà
Dino Azzalin che, una volta rilevata la vecchia Editrice Magenta dando
vita alla nuova casa editrice, decide di partire con questi 15 racconti
inediti di Guido Morselli. La sorpresa maggiore fu proprio il fatto
di trovarsi davanti molti personaggi femminili; decisero così di dare
un titolo che potesse essere beneaugurante per l’inizio di una attività
editoriale: Una missione fortunata20.
Ritratti di donne trattati con capacità di identificazione; figure femminili
perlopiù vincenti, in grado di catturare l’attenzione per la loro carica
passionale, per le loro scelte esistenziali, le astuzie o le loro segrete
gelosie. “Una missione fortunata” è certamente il racconto ben riuscito;
una sorta di spaccato storico che rivelava una delle vene narrative
all’autore più congeniali: l’attualizzazione della storia, cui corrisponde
l’attenzione alla scottante attualità politica. Valentina Fortichiari, la più
importante studiosa dello scrittore, ne scrisse la prefazione. Nella forma
59
breve del racconto Morselli non ottenne quell’armonia, quella perfezione
dei suoi romanzi migliori del periodo tardo, forse perché in poche pagine
non riusciva ad esprimere tutto quello che avrebbe voluto. Alla storia e
alla politica fanno riferimento dei racconti che ricordano Contro-passato
prossimo o Il comunista, racconti dedicati a storie di coppie, a temi
sociali. Fa parte di Una Missione Fortunata, un racconto che presenta
una quadro sociale Fantasia con moralità21: in una città di provincia
una catena di misteriosi delitti si trasforma in una catena di violenza
incontrollabile, una lotta di tutti contro tutti.
Morselli parla qui di una violenta conflittualità insita nei rapporti
umani, anche qui si delinea una sorta di pessimismo sociale. Abbiamo
poi il racconto La Voce22, dove troviamo Giuseppe Pinelli e Luigi
Calabresi, protagonisti di una pagina della storia repubblicana italiana,
che si incontrano nell’aldilà e ripercorrono la loro drammatica vicenda.
L’argomento si rivela sempre più ampio, di tipo esistenziale. Troviamo
nuovamente un tema importante per Morselli, l’Unde Malum, da dove
viene il male al quale l’uomo non si rassegna, per il quale l’uomo non è
accusato di essere il colpevole. Proprio la realtà esterna e la sofferenza
che incombe e ti comprime, fino a portarti alla distruzione
poi, d’un tratto, quel giorno, ho sentito
una voce. Più forte delle vostre, più forte dei miei pensieri. E la voce
diceva: “Basta, Pinelli, hai sofferto a basta. Hai il permesso di
andartene. Sono io che ti chiamo”. Ho guardato la finestra, ho pensato:
siamo al terzo piano, è così facile» .«Dunque suicidio, quello che ho
sempre sostenuto». «Suicidio, non so. È suicidio quando uno non ha più
fiato? non ha più nervi? È la vita che si ritira. E quella voce non era la
mia, quella voce che mi chiamava». «Beh, te l’ho già detto, a me è
60
successo lo stesso. Ero stanco anch’io, dopo due anni23»
Una compatta serie di racconti raccolti in questo libro ha come
protagonisti personaggi femminili, storie di donne alla ricerca di
una autenticità smarrita. Soprattutto donne che ricercano la loro
indipendenza, argomento che ha creato molto interesse nel Nostro
scrittore, visti gli sviluppi del periodo della ricerca di questa condizione
da parte delle donne del tempo. Troviamo temi di morale quotidiana,
i rapporti tra gli individui, soprattutto i rapporti con l’uomo, in cui la
prospettiva è quella dell’impossibilità del raggiungimento della vera
felicità. Donne che cercano le attenzioni in qualsiasi modo, in Ho
dirottato sul guard-rail, oppure la difesa di quello che è considerato
proprio, anche se in qualche modo si cercava di allontanare le
responsabilità, come Estate in Germania, dove una donna minacciata
dalla possibilità di perdere il suo uomo a cui aveva sempre lasciato
libertà, non lascia trasparire la sua preoccupazione, ma in qualche
modo difende il suo “territorio” come farebbe qualsiasi donna come
noi. Alla fine la protagonista è ben consapevole che nella vita occorre
compromettere, patteggiare24.
Morselli dedica alcune fra le sue pagine più acute proprio al rapporto fra
uomo e donna come un aspetto rivelatore della fenomenologia sociale e
antropologica tipica di una data epoca. Primo esempio può essere Ilaria
Delange, la protagonista di L’Incontro con il Comunista25; donna colta
e scrittrice benestante, appartenente al mondo borghese, quarantenne
che decide di lasciarsi andare all’amore che la porta ad abbandonare la
sua buona condizione e a raggiungere la libertà, diventando l’amante di
Gildo Montobbio, un comunista. Lui, commilitone del figlio, emblema
della durezza e della richiesta di pietà, è rimasto ferito dalla guerra,
61
quindi malato; la malattia sarà uno degli elementi presi sempre in
considerazione da Morselli nella sua ricerca di risolvere il suo enigma di
sempre: quell’Unde Malum che lo appassiona, da dove viene il Male? Lo
introduce il nostro Dio imperscrutabile? E se è così, perché lo introduce?
La malattia rappresenta un correlativo-oggettivo di questo male, così
come lo è la guerra26.
Ilaria capirà poi che sarà proprio lei a poter risolvere le pene di Gildo,
inizialmente solo come assistente, ma pian piano crescerà in lei il
sentimento dell’amore. Rinuncerà così alla sua buona condizione
per esplorare la libertà. Inizialmente il suo Diario sarà proprio la
descrizione di questo periodo di convalescenza. Il loro rapporto presenta
completamente la subordinazione di lei alla sua autorevolezza. Questa
vedova di quarant’anni si trova di nuovo davanti l’amore. Un altro
elemento importante per il Nostro scrittore che possiamo ritrovare in
questo racconto, è il suo bisogno di amore materno, di cui sente la
mancanza fin da bambino con la prematura scomparsa della madre.
Infatti anche la figura di Gildo è di un orfano che ha raggiunto questa
condizione molto presto, come Morselli, a soli tredici. Il protagonista
troverà in Ilaria, quella figura materna che gli è mancata27. Morselli
si confronta in questa storia, con il problema della società corrotta, a
lui molto caro, della contrapposizione tra borghesia e comunismo, due
mondi così distanti, ma che alla fine si riveleranno molto simili, entrambi
molto vili. Lo possiamo notare nel testo teatrale L’amante di Ilaria28; qui
il figlio di lei, Roberto, affascinato dalla figura di Gildo (non sapeva però
che se la intendeva con la madre), si avvicina al comunismo, e vedrà
allontanarsi l’amore della sua vita, proprio per questa contrapposizione
62
della borghesia-comunismo; infatti la famiglia di lei, borghese, decide
di farla allontanare per forza. Roberto vedrà anche il tradimento da parte
di Gildo, comunista convinto, che si farà affascinare dal benessere,
che sembra così lontano dal loro mondo, invece cede egli stesso alla
bella vita. In fondo questi due mondi sembrano non essere così lontani,
l’egoismo e la voglia di affermazione, accomuna tutti.
Nel finale di L’Incontro con il comunista possiamo notare come il
male, l’egoismo vince su tutto, anche sull’amore: è sopraffatto sempre
dal tradimento. Ilaria verrà infatti tradita da Gildo, lo raggiungerà
in stazione, chiamato per tornare al fronte ad aiutare i compagni
clandestini, per un ultimo saluto, ma lui non voleva; proprio perché
la sorpresa per Ilaria sarà quella di trovare l’uomo, per il quale lei ha
rinunciato a tutto, in compagnia di un’altra donna, in un dolce abbraccio
che lei purtroppo non aveva ricevuto. Per il romanzo è stata scelta la
conclusione più amara; c’è sempre il tradimento, la fragilità, il male e
l’egoismo sono sempre più forti di un grande amore iniziale che porta la
nostra protagonista a rinunciare a tutto.
Un’altra delle protagoniste femminili del mondo morselliano è
Mimmina, che possiamo trovare nel romanzo Un dramma borghese29. Si
tratta di un romanzo dove è possibile rintracciare molto di quello che
riguarda da vicino il Nostro scrittore Guido Morselli, che non possiamo
definire autobiografico, ma vi troviamo un intreccio tra realtà e fantasia,
dove molte vicende sono prese da esperienze vissute. Infatti il romanzo
si concentra intorno a due temi fondamentali per Morselli, il suicidio e
l’incesto. Mimmina si presenta come una ragazza fragile, sicuramente
bisognosa d’affetto, colpita dalla morte della madre, probabilmente
suicida, e da un padre che non ha mai saputo prendersi le sue
63
responsabilità lasciandola in un istituto. Come possiamo notare il tema
della morte di una madre è molto spesso presente nei suoi romanzi, vista
l’esperienza purtroppo vissuta in prima persona. I due decidono di
rincontrarsi e provare a vivere insieme, Mimmina cercare di risvegliare
il bisogno d’affetto e il sentimento nel padre, che probabilmente aveva
accantonato dopo la morte della moglie, forse proprio perché la ragazza
ne aveva bisogno. Lo farà però nel modo sbagliato, o almeno in maniera
esagerata, visto che tutto questo sfocerà in una passione oltre i limiti da
parte della figli nei confronti del padre. Un Dramma Borghese
soprattutto nel momento in cui il padre guarda dalla serratura la figlia
masturbarsi. Un gesto che fa capire la sessualità della figlia accentuata,
forse poco controllata. Un immagine che ad ognuno di noi crea un certo
ribrezzo. Il rischio dell’incesto, uno dei perni del romanzo, ma sarà
solamente sfiorato. O almeno solamente con la figlia, infatti vedremo
questo padre, che comunque commetterà qualcosa di poco corretto,
qualcosa che per la società e che moralmente si presenta come
scandaloso, infatti rivolgerà le sue attenzioni proprio alla piccola amica
della figlia, Teresa, forse perché meno fisicamente sviluppata rispetto
alla figlia, ma comunque una bambina30.
Un intreccio un po’ strano, l’adolescente sognatrice che si innamora del
padre della sua migliore amica, forse è la cosa minore, ma la che tutto
questo si trasformi in realtà è molto diverso, e soprattutto la stessa figlia
che ha gli stessi sentimenti del padre. Nel romanzo verrà affrontato un
altro tema caro a Morselli, presente in numerose sue opere, soprattutto
nell’ultima, quella si può dire premonitrice, Dissipatio HG, un tema
che lo riguarderà da molto vicino e che segnerà la fine della sua vita, il
suicidio31.
64
Questo bisogno di inserire sempre questa tematica, ci può far capire
che lo scrittore era da sempre intenzionato ad usarlo come soluzione,
oppure cercava semplicemente di approfondire questo tema, di capire
se è proprio la vita, con il male che porta (altro tema centrale quello del
male), a spingerci a trovare questo tipo di soluzione, che quindi viene
accettata come possibile modalità per risolvere i propri problemi? Anche
se dalla religione non verrà mai accettata. In Un dramma borghese,
il suicidio è presente ovunque, nel bambino che muore nel lago,
probabilmente sucida, nella madre di Mimmina, che non si sa come sia
morta, probabilmente suicida anche lei, nei continui tonfi nei navigli.
Soprattutto in Mimmina stessa che sarà proprio ricoverata per questo,
per un colpo di pistola, si tratta probabilmente anche questo di suicidio.
Il padre si perderà nella nebbia, per le strade, in cerca della clinica che
lo porterà da sua figlia, si erano riavvicinati per stare insieme, ma in
fondo la solitudine è sempre presente. La fine del romanzo presenta un
altro tema molto presente nei romanzi di Morselli, quello dell’attesa 32.
L’attesa molto spesso di un medico, in questo caso si attende un chirurgo
per capire quale sarà la fine di Mimmina, un collegamento può essere
fatto con Dissipatio HG, dove il protagonista attende un altro medico
importante nella sua vita Karpinski. La fine, quella dell’esistenza in
Dissipatio, quella della vita, forse in Un dramma borghese. Qui non si
sa se ci sarà la fine, ben presente è l’attesa angosciosa di questo chirurgo
in grado di operare Mimmina, la ragazza suicida. Morselli ci lascia così,
con questo finale aperto, con questo senso di angoscia per la fine.
Sono molti gli scritti che oggi parlano di Morselli, ma quando si decise
di pubblicare molti suoi scritti lui già era morto, il 31 luglio di anni
prima, di suicidio e silenzio. Si dedicò molto ad argomenti, racconti e
65
riflessioni riguardanti la Storia, in molti casi rivista, con dei finali molto
diversi che avrebbero sicuramente potuto cambiare le nostre sorti. Dopo
il rifiuto di Rizzoli per il suo progetto editoriale del Il comunista, che fu
per lui una grande delusione, infatti sentirsi da solo uno scrittore senza
essere considerato dagli altri allo stesso modo, è difficile da superare,
cominciano una serie di romanzi storici, come la trilogia di Roma senza
papa (66-67) Contro-passato prossimo (69-70) e Divertimento 1889
(70-71) ai quali si può aggiungere Dissipatio HG. Quattro libri dove
vengono affrontati tre temi fondamentali, guerra, cattolicesimo e morte,
quest’ultima come evaporazione e come profezia della sua stessa fine.
Non può mancare di essere preso in considerazione Cose d’Italia33,
soggetto per un’opera teatrale, che tratta allo stesso modo temi di storia,
ipotizzando un andamento diverso dei fatti dal nostro scrittore.
Il soggetto di quest’opera riguarda la vita privata di Mussolini e le
vicende del fascismo alla fine degli anni Trenta, ma prendendo in
considerazione non solo la storia in generale, ma i vizi di grandi uomini
pubblici, la loro vita privata, i loro punti deboli. Ci troviamo di fronte a
un Mussolini convertito e amato da tutto il popolo, capace di trasformare
la dittatura in repubblica democratica, anche se poi verrà deposto a causa
di alcune scelte impopolari.
Troviamo inoltre la voce fuori dal coro, dell’intellettuale –libraio
Righetti, che rappresenta il portavoce di Morselli, ci fa capire che non
cambia nulla nel modo di pensare degli italiani quando si toccano i loro
interessi. Con questa fantasiosa contro-storia Morselli anticipa il metodo
che verrà usato in uno dei suoi capolavori: Contro-passato prossimo,
che riscrive il finale della Prima Guerra Mondiale, raccontando fatti che
potevano cambiare il corso degli eventi, ma che non sono accaduti. In
66
questo soggetto il mondo femminile ha il potere di cambiare la storia,
infatti saranno proprio donne coloro che si inseriranno nella scena
politica, cercando di cambiarla in meglio, come farà una di loro, la prima
amante di Mussolino, oppure favorire altre nazioni, come invece farà
la seconda. La prima di queste donne si chiama Camilla, e dato il suo
ideale profondamente pacifista, userà la sua sensualità a suo favore. Si
concede al Duce solo dopo aver ottenuto delle promesse: non entrare
in guerra accanto ad Hitler; e così sarà, Mussolini manterrà la parola
data. Si affaccerà dalla famosa balconata e darà l’annuncio agli italiani.
Quindi la sua politica sarà da questo momento molto positiva: riforma
agraria, redenzione del Mezzogiorno, giustizia fiscale. Ovviamente
dopo tutti questi avvenimenti i partiti a lui contrari, il partito socialista,
gli antifascisti, che non condividevano la politica di Mussolini, ma
volevano la pace, non avranno ragion d’esistere, visto che tutto quello
che chiedevano, come la pace, verrà attuato da questo nuovo regime
condotto dal Duce.
L’Italia diventerà così molto autorevole nel bacino del Mediterraneo,
una minaccia soprattutto per gli inglesi. Ed è qui che entra in gioco la
seconda donna (come possiamo notare il mondo femminile e la sua
importanza rappresenta molto spesso il perno dei romanzi di Morselli),
Patricia, invitata dalla sua patria a compiere questo grande sacrificio, e
per amore della patria, dopo qualche dubbio si sacrificherà. L’unico
modo per diminuire questo consenso dato a Mussolini sarà quello di
mettergli contro le due fondamentali istituzioni del paese, la Chiesa e la
Monarchia. Mussolini decide di abolire i Patti Lateranensi, ma nessuna
reazione, calma generale, gli interessati non danno alcun cenno di
opposizione, né tantomeno il Re e la Regina si oppongono, se lo
67
aspettavano. Molto probabilmente aveva ragione Righetti, il nostro
intellettuale inascoltato, che esprime il pensiero di Morselli; gli italiani
non si ribellano mai a quello che gli viene imposto dalla dittatura, non
sono in grado di reagire, fino a che non si decide di toccare i loro più
grandi interessi. Proprio qui avrà inizio l’altra parte del piano per
allontanare Mussolini, convincerlo, ovviamente sarà sempre Patricia a
farlo, a toccare gli interessi principali degli italiani, la finalità sarà quella
di “moralizzare” il paese. La nostra Patricia riuscirà nuovamente a
convincerlo, verrà dato ordine di chiudere le case del piacere e di vietare
le scommesse calcistiche. Ovviamente la moralizzazione del paese non
verrà approvata dal popolo che insorge in ogni parte d’Italia. Il Duce
patteggia promettendo di andarsene, il Comitato di liberazione riesce a
farlo fuori e infine verranno riaperte le case chiuse e riammesse le
scommesse. Come si può vedere da questo finale: i vizi degli italiani non
cambiano.
In Roma senza papa34, ovviamente ci troviamo sempre nella città eterna,
questa volta siamo vicini al Duemila. In questo racconto si perde anche
il Papa. Come in Cose d’Italia, anche qui ci si trova in piena decadenza
morale.
Morselli
riesce
in
questo
racconto
a
prevedere
una
forte
scristianizzazione, che probabilmente stava già cominciando durante gli
anni Sessanta. Viene affrontato uno dei problemi di fondo che hanno
sempre angosciato Morselli, le questioni religiose e spirituali. Il papa ha
deciso di lasciare il Vaticano, che perde quindi la sua importanza di
centro della cristianità, e si trasferisce a Zagarolo. Don Walter è in
attesa di incontrarlo; l’attesa è molto spesso presente nei romanzi del
nostro scrittore: l’attesa dei medici, Karpinski, il chirurgo in Un dramma
68
borghese, l’attesa della fine. I vizi di questa città sono gli stessi di
trent’anni prima, presenti in Cose d’Italia: le donne e le scommesse
calcistiche, probabilmente molto più accentuati. Un personaggio
importante del racconto è Enea; ha fatto parte delle guardie svizzere, che
adesso non sono più utilizzate, infatti sarà più facile incontrare il Papa,
considerata da lui stesso una cosa molto positiva, a scapito ovviamente
del suo stipendio, e si dedica adesso all’attività di massaggiatore. Don
Walter andrà proprio da Enea per curare il suo piccolo male alla gamba,
ottenendo moli sacrifici. Si scoprirà così qualcosa di intimo di Enea: era
massaggiatore di una squadra di calcio, e sarà proprio lui ad affermare
quanto il calcio sia il motore della vita nazionale, collegandosi
perfettamente agli stessi vizi presenti nel precedente racconto Cose
d’Italia. Ci fa capire egli stesso come le scommesse calcistiche siano
componenti fondamentali del pianeta calcio e il calcio stesso sia il luogo
degli intrighi presenti in Italia. Sarà proprio Don Walter, da solo, a dover
combattere contro questi vizi, e gli egoismi altrui. Come nel precedente
romanzo, il governo decide la riduzione allo stato dilettantistico delle
squadre di calcio, e la riduzione quindi dei compensi per le loro
prestazione; ovviamente tutto ciò crea scalpore, rivolta, rivoluzione e
occupazione del Campidoglio. Come nel caso precedente questa legge
verrà annullata. In questo caso però la decisione del Papa di lasciare il
Vaticano
verrà
presa
in
maniera
positiva,
a
differenza
dell’allontanamento di Mussolini che verrà sollecitato. Questo colloquio
vorrebbe portare la charitas a diventare azione e non solo teoria, la scena
si presenta come una luce di speranza. Ma Giovanni XXIV non ha il
gusto di comunicare purtroppo, risvolto negativo della sua umiltà.
69
Il Papa sembra vivere felicemente in quel paesino, per non
compromettersi con le mafie del mondo al di fuori di quel paesino
periferico. Tutto ciò sembra essere una specie di premonizione-casualità,
rispetto a tutto ciò che abbiamo passato nell’ultimo periodo proprio noi,
Benedetto XVI che decidere di lasciare, probabilmente come si dice in
questo racconto, per non farsi influenzare, per motivi a noi sconosciuti e
sicuramente molto più grandi di noi; la città eterna che rimane senza il
suo Pontefice. Nel romanzo si ventila la proposta di un papato a tempo
(quindici anni). Ci sarà una schiera di papi emeriti. la Chiesa è governata
collegialmente. Come se non bastassero le serpi in seno il papa, un
monaco benedettino di origine irlandese, ama allevare vipere. Quando
esce Roma senza papa scoppia il caso Morselli. Sul Corriere della sera
Giulio Nascimbeni parla di “Gattopardo del Nord” tracciando il parallelo
con un altro grande incompreso e inedito. In vita Morselli ha pubblicato
solo due saggi a pagamento negli anni ’40 e alcuni articoli raccolti in un
volume appena uscito: Una rivolta e altri scritti (Bietti) a cura di
Alessandro Gaudio e Linda Terziroli. Uno dei motivi centrali degli
interventi sui giornali, per stare in tema di attualità, è l’ecologia, la lotta
al cemento selvaggio, la tutela dell’ambiente come diritto sociale. Allora
gli davano del passatista o del borghese. Per la Terziroli “Si può vedere
nella scelta del papa anche un aspetto apocalittico: Zagarolo come
Zurigo, la città dove Morselli ambienta la fine del mondo in Dissipatio
H. G.”. La studiosa rimarca altri elementi interessanti di Roma senza
papa. Come il fatto che il papa forse ha una storia con una famosa
teologa indiana. Nella Spagna progressista c’è la crisi delle vocazioni. Il
celibato dei preti è abolito: “Sei nella città che ha dato al mondo la
parola sesso. Guardati da questa città corrotta e corruttrice” dicono al
70
protagonista, Walter, un prete svizzero in missione a Roma. Per
sopperire al calo turistico la capitale investe sul turismo sessuale. Questa
era pura fantasia dell’autore, ma come possiamo notare non siamo molto
lontani da quello che sta succedendo realmente nel nostro paese.
Per quanto riguarda la narrativa, il privilegio della pubblicazione fu dato
ad Adelphi dal 1974, grazie alla stessa Valentina Fortichiari. Adelphi
fa stampare anche il Diario, che manca di alcuni brani giudicati troppo
privati, e anche la gran parte degli epistolari, di carattere privato e mai
venuti alla luce.
Sempre a Valentina Fortichiari con la NEM si deve la ristampa nel 2009
di Realismo e fantasia, pubblicato nel 1947 dai fratelli Bocca e mai più
ristampato. Questo fu l’inizio della fortuna per la casa editrice.
Per la NEM, grazie a Linda Terziroli sono state pubblicate lettere
a personaggi conservate nei libri o in altri materiali appartenenti al
Fondo Morselli di Varese. Tutte queste lettere vengono riunite dalla
Terziroli nel libro dal titolo Lettere ritrovate, che costituisce un’opera
che Morselli stesso scrisse senza rendersene conto, l’epistolario che
ne svelava aspetti sconosciuti. In questo ritrovamento vi sono stati dei
riscontri inediti, come una lettera di Benedetto Croce, alcune di Antonio
Banfi o di Francesco Albergamo. Leggere tra le sue lettere significa
leggere dentro l’anima dello scrittore. È una specie di percorso che ci
fa capire tutti gli interrogativi posti dallo stesso scrittore durante la sua
esistenza così difficile, piena di dubbi.
Questo libro presenta una serie variegata di lettere a vari personaggi; dal
maestro Antonio Banfi, una figura essenziale nella formazione dello
scrittore; al premio Nobel per la medicina Konrad Lorenz, alla famosa
lettera legata al disturbo subito per colpa dei ghiri, due cartoline a Piero
71
Chiara, scrittore più fortunato di lui. Tutto questo ci fa capire la varietà
di conoscenze e di interessi dello scrittore di Gavirate. Tutte queste
lettere e i variegati interlocutori soprattutto, ci fanno capire quale
desiderio
insaziabile
di
conoscenza
era
alla
base
di
queste
corrispondenze, desiderio di dare una risposta ai suoi numerosi dubbi.
Morselli leggeva e rileggeva con attenzione la corrispondenza,
sottolineava i concetti sui quali desiderava riflettere, appuntava anche i
discorsi con il mittente. Ogni lettera ricevuta poi veniva inserita
all’interno di un libro scelto con precisione, per proteggere lo scritto. Se
i destinatari della corrispondenza erano scrittori, le lettere venivano
inserite all’interno del libro dell’autore, spesso all’interno della pagina
che aveva dato vita al dibattito. Vale la pensa quindi concentrarsi non
sono sulle lettere, ma è interessante scoprire anche i libri che le
contenevano, gli appunti dell’autore, i passi sottolineati, per capire tutti i
variegati interessi di Morselli. Questa serie di lettere fa capire il
desiderio dello scrittore di comunicare, di superare la barriera di
incomunicabilità tra il proprio io ed il mondo, cioè interagire tra uomo e
uomo ed aprirsi al confronto con l’altro. Certo è che tutti gli interlocutori
del nostro scrittore sono ovviamente di un certo spessore, proprio per la
profondità del pensiero di Morselli. In questo libro troviamo anche la
testimonianza fondamentale di Maria Bruna Bassi, amica fidata e
sostenitrice dello scrittore, nella estenuante ricerca di una casa editrice
che potesse far conoscere a tutti la voce di Guido Morselli, che si sta
cercando di dare adesso con i vari studi sulle sue opere, una voce troppo
spesso costretta al silenzio.
Particolarmente interessante è la sua lettera a Piero Chiara scritta il
28 ottobre 1977, che sottolinea degli aspetti importanti di Morselli: la
72
nobiltà, la dignità e la sofferenza esistenziale. Questo riassume il suo
carattere e affronta le accuse di una presunta sua arroganza.
Signor Piero Chiara
Guido Morselli non ha mai sollecitato da nessuno né aiuti, né
raccomandazioni, non per superbia […] ma perché aveva la dignità, la
fierezza del gran signore, non certo la presuntuosa albagia del villan
rifatto.
Guido Morselli è stato perseguitato dalla sfortuna e ha seguito la strada
meno adatta per arrivare al successo, ha sofferto il soffribile per non
essere riuscito a affermarsi malgrado i continui tentativi fatti presso le
varie case editrici; del resti tutti i migliori critici, scrittori e giornalisti
l’hanno riconosciuto e ne ho le prove dall’enorme quantità di recensioni
e articoli che mi invia l’Eco della Stampa. […] La saluto […]35
Maria Bruna Bassi
La conferma di questo suo carattere, della sua bravura e gentilezza sono
rintracciabili soprattutto in queste lettere, nei commenti scritti dal suo
Maestro Antonio Banfi e anche dai congedi di alcune sue lettere a grandi
personalità, sempre molto umili e rispettosi. Nelle lettere troviamo i temi
più vari, la religione, la filosofia, ma tutte sono unite dal desiderio di
approfondimento, dalla sete di conoscenza. Abbiamo anche di questo
una testimonianza, di suo fratello Mario, che Linda terziroli ci riporta sul
libro e vale la pena anche qui riportare:
“[…] Guido mi insegnò ad essere curioso, a cercare sempre di
approfondire gli argomenti delle opere che mi aveva messo a
disposizione; e soprattutto, a non fermarmi alle prime righe. In una certa
73
occasione, ricordo mi disse ‘Se Croce cita Vico, non lasciare cadere; va a
fondo su questo Vico, altrimenti la citazione di Croce non serve a molto.
In ogni caso, ritorna sui tuoi passi, cerca di afferrare i concetti di cui
leggi, cerca di capire quali argomenti veramente ti interessano e quali no.
[…] I libri servono a questo, non solo a soddisfare le nostre curiosità, ma
anche a crearne di nuove'"36.
Si può vedere nelle opere di Morselli, la ricerca continua di un dialogo
con interlocutori importanti, con il contrasto tra una vita volutamente
isolata, e la richiesta continua di un destinatario. Il vivere da solo era
stata una sua scelta, Guido Morselli non temeva la solitudine, temeva
piuttosto l’uomo, infatti verrà definito fobantropo, per il danno portato
dall’uomo, la stessa Maria Bruna Bassi lo conferma: “Lui era solo, non
aveva paura di niente ma un’atroce paura degli uomini”37.
Nelle sue opere troviamo una sete continua di conoscenza; ricerca
continua di una risposta credibile è la chiave di lettura delle opere
letterarie e saggistiche di Guido Morselli, e anche delle varie domande
che possiamo notare da queste lettere. Lo scrittore era tormentato da
dubbi, assillato dalla ricerca di una spiegazione, dello svelamento di
un dolore. Nelle sue opere è molto spesso presente il tema della morte,
troppo spesso si riteneva fosse una previsione al suicidio, una tentazione
a questo gesto, invece potrebbe essere una sorta di esorcizzazione della
giustificata paura della morte. Morselli non è stato l’unico scrittore
a ricorrere alla “ragazza dall’occhio nero” al colpo d’arma da fuoco
per togliersi la vita, ma per altri scrittori il gesto poteva sembrare la
conquista di una vita degna di essere vissuta, in Morselli sembra invece
la vittoria della sconfitta. Sicuramente è sbagliato ricordare o essere
colpiti solo dalla modalità della sua scomparsa, indubbiamente modalità
74
scioccanti, ma bisogna assolutamente considerare tutto l’impegno che
il nostro scrittore ha avuto durante tutta la sua vita, le sue opere, il suo
carattere generoso, la sua generosità, la sua dedizione al prossimo, il
costante aiuto agli ammalati, l’impegno per l’ambiente. Morselli è uno
scrittore d’eccezione, è stato l’eletto o l’eccettuato, dedicando la vita alla
scrittura, donando ai lettori del suo domani una profetica luce.
3.
Il problema religioso: Unde Malum?
Il “Giudizio Divino rappresenta un nodo cruciale e irresolubile nel
pensiero morselliano, è ampiamente dibattuto
nell’opera Fede e
critica38, del 55-56, ma pubblicata da Adelphi nel 1977.
Altri scritti di Morselli che hanno in comune un’assidua ricerca del
divino sono Fede e critica, Teologia in crisi, Morale e sensibilità, Due
vie alla mistica. Fede e critica era parte di un progetto più ampio, che
formava una trilogia con Morale e sensibilità e Due vie alla mistica, ma
rimase incompiuto. Può essere sempre utile per capire gli interessi e gli
studi affrontanti dal Nostro scrittore, attingere al Fondo Morselli alla
Biblioteca Civica di Varese, dove possiamo trovare i libri tanto studiati e
importanti per lo scrittore. Si possono infatti trovare molti libri che
affrontano il tema religioso, così cruciale per Morselli, in gran parte
annotati e postillati: La Sacra Bibbia secondo la volgata; La sacra
bibbia, ossia l’Antico e il Nuovo Testamento; La Bibbia di Borso d’Este
75
e altri ancora. In particolare Morselli indaga alcuni aspetti significativi,
tra cui il problema del peccato originale. Questo interesse dello scrittore
è incentrato soprattutto nella ricerca di una risposta alla domanda che
l’ha molto condizionato: l’Unde Malum39? Da dove viene il male che
sconforta l’uomo, che lo distrugge, sia sotto forma fisica, spirituale e
morale. Il primo capitolo di Fede e critica è proprio intitolato: Perché si
soffre?, e si indaga il male, che esiste, e la sua origine e giustizia viene
messa in discussione, un quesito che mette anche i fedeli con le spalle al
muro. Certo è, che il male visto da un punto di vista ateo, non ha
bisogno di essere spiegato, perché non esiste infatti niente di misterioso.
Invece se si guarda al male con la fede, se si crede in un Dio
onnipotente, ci si chiede perché esiste e da dove arrivi questo male,
tollerato, se non addirittura introdotto da Dio. Ci si chiede soprattutto
perché ad essere colpite dal male, siano molte persone buone e giuste,
questo castigo che uccide bambini innocenti, da dove può arrivare?
Morselli si interroga ininterrottamente su questo argomento, e riporta
tutto alle origini, al giardino dell’Eden, dove troviamo la primigenia
colpa, il peccato originale, è proprio da qui che nasce il male e discende
fino all’uomo, insito nell’uomo.
Per Morselli la giustizia di Dio non è così divina, ma è molto simile a
quella terrena: “decidi di staccarti da Dio, perciò verrai punito”. Può
essere fatto un collegamento tra queste riflessioni di Morselli e il suo
ultimo romanzo: Dissipatio HG. Il primo uomo dell’umanità era solo
in quell’Eden da dove è partito il peccato originale, e l’ultimo uomo
dell’umanità, sospeso in questo mondo metafisico, solo anche lui, alla
ricerca di una morte-immortalità40.
76
Documenti importanti riguardo la ricerca di risposte di Morselli sul suo
problema religioso, si trovano nelle varie lettere riportate nella raccolta
Lettere ritrovate. La corrispondenza con i religiosi era per lo scrittore
soprattutto una fatica inutile, diciamo una riflessione personale, a senso
unico, visto che non riceveva mai risposta41. In queste lettere Morselli
medita sulla perscrutabilità e imperscrutabilità di Dio e della sua azione
divina, per trovare una risposta a quella domanda Unde Malum, al centro
di Fede e critica. Morselli si interroga su come conciliare l’azione
giusta e divina di Dio, l’azione limpida di un Dio che si incarna in
Cristo e scende in terra, e l’oscurità e l’assurdità di alcuni atti divini.
Possiamo prendere in considerazione soprattutto la corrispondenza con
Padre Battista Mondin, dove in alcuni passi si può capire il pensiero
e soprattutto i dubbi di Morselli: “assurdità crudele e derisoria di un
Dio che si diletta nel tentare le sue creature[..]42” è proprio questo che
non riesce a spiegarsi Morselli, come conciliare la bontà divina, la
trasparenza di un Dio che è che ama i suoi figli, con l’oscurità di alcuni
atti che puniscono l’uomo che lui tanto ama. “Dio non tenta”; queste
parole di Giacomo riassumono il nuovo spirito della fede religiosa come
si manifesta in Gesù e dovrebbe manifestarsi dopo di lui. Su questo
fondamento è concepibile un rapporto di fiducia e d’amore delle creature
verso il Creatore.
Per rendere concreto il suo quesito, Morselli rappresenta con un esempio
il suo pensiero, e lo descrive a Padre Mondin: “Prendo ad esempio un
avvenimento della sfera più ordinaria, più modesta, che non involge gli
alti disegni divini sul destino dei mondi, o simili. Il fulmine. Case su una
casa, diremo che la Provvidenza ha voluto colpire dei peccatori. Qui, è
chiaro, agisce secondo giustizia, anche se per ipotesi gli abitanti della
77
casa a noi sembrano brave persone. Un’altra volta, cade su un’innocente
chiesa di campagna, la danneggia. Qui la spiegazione è che la
Provvidenza
ha
i
suoi
misteri,
di
Morselli si domanda come può essere possibile applicare uno stesso
metro di giudizio nei confronti di peccatori che vengono puniti
“giustamente” e una chiesa, che rappresenta proprio la Casa di Dio, che
viene ugualmente colpita dal giudizio divino. Padre Mondin ha un
atteggiamento di affetto nei confronti dello scrittore, e anche lui afferma
che la condotta di Dio a noi è molto oscura, ma con una frase ci fa capire
che è proprio questo che deve rafforzare la nostra fede: “[…] è
un’oscurità che, per chi ama fortemente il Signore non costituisce un
ostacolo ma un incentivo per amarlo ancora di più”. Mondin si trova
vicino alla dottrina di S. Tommaso; l’uomo non può comprendere
l’essenza divina; noi tocchiamo l’apice nella nostra conoscenza di Dio
quando confessiamo che non lo conosciamo affatto. Morselli si dichiara
“ateo”, aggiungendo subito dopo, quasi con rammarico, l’avverbio
“purtroppo”44.
Possiamo notare in queste lettere un tentativo di avvicinamento da
parte dello scrittore, ma senza riuscirci completamente, infatti rimane
l’avverbio purtroppo che getta un dubbio sulla sicurezza di Morselli
del suo essere ateo. È la stessa amica di sempre di Morselli, Maria
Bruna Bassi a farcelo capire in maniera eloquente con una frase: “aveva
incastrata nell’anima l’angoscia del problema religioso, pregava eppure
da ateo divenne quasi credente”45.
Invece alcune testimonianze raccolte da Tiziana Mainoli, e riportate sul
numero della rivista Studium dedicato a Guido Morselli46, intervistando
il medico curante dello scrittore e sua sorella, mettono in luce proprio il
78
fro
suo complesso rapporto con la fede, la sua sensibilità per la sofferenza
umana e la sua attenzione al male dell’uomo sia fisico che morale. Temi
che saranno poi svolti nella trilogia di Fede e critica. Guido Morselli
era alla ricerca continua della fede, che poteva dargli un motivo per
sopravvivere; fede che lui stesso dice, aiuta l’uomo bisognoso stanco e
dubbioso a ritrovare sé stesso, una fede da recuperare dopo lunghe pause
di scetticismo. Da questa intervista al dottore di Morselli, Santino Papa
e sua sorella Franca, emerge chiaramente che lo scrittore frequentava
spesso la loro casa e spesso parlava con la signorina dei suoi problemi
di spiritualità che causavano molto male. Si trattava di fratello e sorella
soli, lui dedicato completamente alla sua attività di medico, lei molto
devota, soprattutto alla Madonna, sostenitrice dell’associazione “Centro
volontari della sofferenza”, dove alcuni ammalati offrivano le loro
sofferenze per l’espiazione di peccati altrui e per la redenzione di anime
bisognose, rinunciando alle medicine che li avrebbero potuti curare. Era
proprio questa intensa devozione alla Madonna della signorina Franca
che colpiva Morselli, questa figura femminile, di madre che ama i suoi
figli, richiamava alla sua memoria l’immagine della madre, nel nostro
scrittore che ha sempre sofferto la mancanza di questo amore materno,
avendola persa da piccolino.
Morselli aveva una particolare sensibilità per i sofferenti e la fede. “In
lui la fede religiosa era solo assopita, ma in tale sospensione palpitava il
desiderio di un risveglio”. In questo pensiero di Franca Papa si può
trovare un collegamento con le varie lettere scritte dal Nostro Morselli, a
quel “purtroppo ateo” che ricorreva nei suoi discorsi, che lasciava
trasparire il suo desiderio di concedersi completamente alla fede e al
credo. Il racconto della signorina Papa alla nostra scrittrice Mainoli,
79
riguarda un episodio in particolare; lei chiede gentilmente a Morselli di
scrivere
per
lei
un
articolo
sulle
sue
esperienze
di
aiuti,
l’accompagnamento dei malati, gli esercizi spirituali; e solo con questo
racconto, lui riuscì a scrivere in pochissimo tempo un articolo pronto da
pubblicare. Peccato che lui non ci credeva più nella pubblicazione di un
suo lavoro, “nessuno dei miei scritti può essere pubblicato”; così
affermava chiedendo alla signorina di non mettere la sua firma. Lei
invece non lo ascoltò, lasciò l’articolo sotto la Madonna, e con un segno
divino, come sempre, l’articolo venne pubblicato. Per questo Franca
Papa interpellò di nuovo Morselli, questa volta per dare una gioia ad un
malato: Pierino Tonta, colpito fin quasi dalla nascita da una forma di
poliomelite che non gli dava possibilità di camminare e gli causava la
paralisi completa della mano destra. Dopo l’ascolto del racconto
ovviamente Morselli si chiede con quale coraggio quest’uomo riesce a
sopravvivere, e ovviamente fa riferimento ad una soluzione al male,
molto semplice, quella che lui stesso ha utilizzato: la pistola. Cambiò
idea immediatamente dopo aver conosciuto Pierino e la sua gioia di
vivere; infatti l’articolo da scrivere era proprio sulla sua gioia, quella che
provava ogni giorno. Lo colpì la forza di volontà di un uomo che per ben
25 anni si recava a Lourdes per chiedere grazie sempre per gli altri, mai
nella vita è riuscito a chiedere quello che c’è di più facile e logico forse
per tutti noi, un aiuto per se stesso; lui no, non intendeva nemmeno farlo.
Però si aggrappava con tutto se stesso alla vita, e nei suoi occhi si
vedeva la sua gioia, e tutto questo riusciva a darglielo una fede cieca; la
stessa fede che Morselli ha cercato continuamente nella sua fede, e
probabilmente grazie a Franca Papa, ai suoi continui riferimenti alla
Madonna, alla sua convinzione che per avere la salvezza bastasse anche
80
solo un Ave Maria; beh probabilmente tutto questo l’ha portato a
scoprire un pizzico della sua fede, visto che il 2 agosto del 65, dopo
ventitrè anni, Guido Morselli insieme alla signorina Franca recita di
nuovo l’Ave Maria.
Il tema della preghiera sarà trattato in Fede e critica, come il rapporto
tra un Dio buono (Gesù dei Vangeli) e il Dio imperscrutabile che
permette il Male, saranno enigmi che segneranno tutta la vita dello
scrittore. Anche se nell’incontro con i malati che ritroviamo in questa
testimonianza appena descritta dal medico curante e sua sorella, Morselli
sembra trovare un’inaspettata, concreta risposta.
Per affrontare questo problema insito nell’animo di Morselli, possiamo
analizzare una commedia, scritta ma mai realizzata, Il redentore47, che
riflette in maniera particolare il pensiero del nostro scrittore riguardo
l’Unde malum che tanto lo fa riflettere e condiziona il suo pensiero.
Gli appunti di questa commedia si trovano in una cartellina dove si può
trovare scritto con la calligrafia di Maria Bruna Bassi, la sua amica fidata
e la principale erede dei suoi scritti, Commedia senza titolo ambienta ad
Oberstadt nel 193848. Effettivamente è significativo Commedia senza
titolo, visto che l’opera non è terminata, dattiloscritta e non è stata messa
in scena. Probabilmente la signora Bassi non aveva trovato gli appunti di
Morselli dove veniva citato il vero titolo della commedia: Il Redentore.
L’ambiente è quello di una clinica psichiatrica a Oberstadt, nel 1938
in pieno periodo nazista. Sarà proprio questo periodo che rappresenta
particolarmente quel Male sul quale si interroga assiduamente Morselli,
come saranno significativi dei gesti riportati nella commedia che
81
esprimono il Male, come ad esempio il continuo lamento, che fa da
sottofondo, dei malati ospiti nella clinica. La commedia permette di
spiegare i fatti e il pensiero di Morselli attraverso la pantomima, infatti in
Nipic troviamo rispecchiato il pensiero dello scrittore, anche se gli attori
non potranno esprimere questo pensiero completamente. Il pensiero
della distanza tra il Dio buono (quello del Gesù dei Vangeli) e quel Dio
imperscrutabile che ammette, se non addirittura introduce il Male tra le
creature considerate da lui come dei figli. Questo tema verrà affrontato
assiduamente da Morselli e si può ritrovare spiegato negli appunti del
suo Diario e nell’opera incompleta di Fede e critica Morselli si sentirà
sempre un bersaglio della sofferenza.
Il personaggio principale della commedia è Ilya Nipic, un uomo da
sempre dedito alla carità, all’aiuto verso i più bisognosi, che si recherà in
questa clinica per aiutare soprattutto gli ebrei che rappresentano il
bersaglio principale del Male in questo contesto, male rappresentato dai
boia nazisti. Accanto a lui troviamo Printz, il direttore della clinica che
appoggerà sempre Nipic, che viene raccontato come la figura del
Redentore, il titolo stesso, diciamo una figura cristica. Qui si può creare
un collegamento con Dissipatio HG, l’opera capitale di Morselli, dove
troviamo un’altra figura cristica di medico, Karpinski. Nipic predicherà,
continuerà ad aiutare sempre i più bisognosi, dedica completamente la
sua vita alla carità, e sarà proprio lui ad aiutare altri due personaggi,
malati nella clinica, che nelle sue parole troveranno sollievo e leggerezza
e riusciranno a superare i loro problemi. Nipic verrà poi raccontato e
sostenuto da due figure femminili, la prima è un’infermiera, Misia, che
non era credente, ma seguirà e sosterrà sempre il Maestro. Sarà colpita e
ammirata dalla sua dedizione completa agli altri, dal suo desiderio di
82
aiutare il prossimo, ma questa ammirazione si trasformerà in attrazione,
in un amore egoistico che porterà alla gelosia. Il personaggio principale,
Nipic, risolve tutte le investigazioni proposte da Morselli in Fede e
critica, soprattutto il problema del peccato originale. Morselli si chiede
sempre da dove arriva tutto questo male; per la religione la spiegazione
sta nel peccato originale, commesso dall’uomo stesso e da quel
momento è proprio l’uomo con la sua azione ad introdurre il male nella
vita. Nipic per non sosterrà ma che i suoi seguaci, che l’uomo stesso è la
causa del male; no, è Dio stesso ad aver introdotto il male (qui vediamo
espresso il pensiero di Morselli), ed è proprio Dio a dover risolvere
questo problema, a doversi legare all’uomo ed eliminare il male
attraverso la carità, anche attraverso dei sacrifici, come quello di Cristo.
Non è l’uomo ad aver creato il male, e Nipic lo spiega col fatto che
l’uomo si comporta in un modo che permetta di creare il suo bene.
Soprattutto una dolorosa constatazione è quella che gli uomini vogliono
il bene gli uni degli altri, ma non ottengono con le loro azioni, se non di
creare e farsi del male. Sarà proprio il Redentore stesso a creare
sofferenza nelle sue seguaci; proprio nella stessa Misia; lui cercherà di
trattarla sempre con amore fraterno, con affetto, ma causerà solo la sua
sofferenza, una ferita insanabile che porterà, a causa dell’amore
egoistico della donna, al finale inatteso. Perché viene qui espresso che
l’amore, quando non è divino, è sempre egoistico. Proprio Nipic in un
passo della scena si interrogherà sul perché anche le buone azioni siano
causa di sofferenza:
“Perché deve essere tormentata così,
quella cara, quella disgraziata creatura? Perché anche chi è puro deve
seminare intorno a sé la sofferenza?”
83
Lo stesso Morselli si chiederà sempre come sia possibile che da una
creatura buona come Dio, possa essere accettato o addirittura introdotto
da lui stesso, il Male per le sue creature. Lo Scrittore stesso non crede
di meritare tutta questa sofferenza. Sarà proprio la commedia ad
arrivare alle conclusioni di questo pensiero, in un altro discorso di Nipic
possiamo notare le stesse domande che si pone lo scrittore:
“Ma certo il vero mistero del mondo è questo,
che l’amore e l’odio, la gioia e la sofferenza abbiano ugualmente la loro
scaturigine in Dio, procedano da lui direttamente. Perché lui che è il
Bene e che ha creato l’amore, ha voluto poi il loro contrario? Non è
strano come l’animo umano [arretri] di fronte a questo contrasto, che
ogni scienza teologica è pietosamente inetta a spiegare, ogni teodicea,
ogni ottimistica filosofia.49”
In questa commedia Nipic afferma che la soluzione a tutto questo la deve
trovare Dio stesso, è proprio Lui a dover riparare a questo contrasto tra
la sua Bontà e il Male introdotto nella vita dell’uomo.
Intanto Misia è sempre più coinvolta ed innamorata di Nipic, addirittura
gli proporrà di andare a vivere con lei, ma questo sarà considerato nella
commedia un amore egoistico e infatti il Maestro non accetterà. Al
momento dell’arrivo di un altro personaggio femminile, Luli, anche
lei seguace del Maestro, anche lei innamorata, scaturirà dall’amore
egoistico, gelosia in Misia e molta sofferenza. Anche la nuova arrivata
offrirà un alloggio in campagna al maestro, per proteggerlo dai nazisti,
visto il suo programma di aiuti verso gli ebrei. Questa volta la risposta
non sarà subito negativa, infatti Nipic decide di pensarci. Questo scatena
tutta la gelosia di Misia, e da qui nascerà il male e la sofferenza. Misia
84
accuserà Luli di aver tradito il Maestro e di aver confessato tutto alla
polizia, ma niente di tutto questo è vero e nel momento più tragico
di tutta la storia, la gelosia e l’egoismo di Misia arriveranno a farle
impugnare una pistola, a puntarla contro Luli, e sarà lo stesso Nipic a
porsi davanti il corpo della giovane seguace e a morire al suo posto.
Come possiamo notare ci troviamo di fronte a un finale tragico, Nipic
continuerà a sacrificarsi fino alla fine, anche se non servirà a molto, sarà
di nuovo il male insito nell’uomo ad avere la meglio e a rovinare un
sentimento puro come l’amore
4.
L’opera “profetica” di Guido Morselli: Dissipatio HG.
Dissipatio HG50 è la cronaca di un mistero e di una profonda crisi
individuale. Ultimo romanzo di Morselli scritto tra il 1972 e il 1973, che
può essere considerato il suo romanzo capitale.
Allo stesso tempo profezia del suicidio dell’autore e della fine
dell’umanità, infatti Morselli porrà fine alla sua vita lo stesso anno.
Il protagonista in preda alla disperazione decide di togliersi la vita
“Andarmene, senza lasciare traccia”. Ma all’ultimo momento rinuncia,
non compie il gesto e torna indietro. Quello che trova però non se lo
sarebbe mai aspettato: ogni persona è scomparsa, negozi, botteghe, tutti
sono spariti, come smaterializzati.
Il titolo dell'opera richiama un supposto testo del neoplatonico
Giamblico riguardo una possibile «evaporazione» dell'intero genere
umano che, in questo romanzo fantastico e surreale, scompare nella
notte tra il 1° e il 2 giugno. L'unico superstite è proprio l'aspirante
suicida, ex giornalista nella detestata città di Crisopoli (nome dietro cui
85
si cela Zurigo), dove il protagonista ha abitato a lungo, prima di ritirarsi
a Widmad, in una valle. Tutti gli essermi umani sono scomparsi e in
opposizione rimangono in “vita” le macchine svolgendo le loro inutili
funzioni. Gli animali adesso occupano il posto che era degli uomini, la
natura, adesso silenziosa, fa compagnia all’unico uomo rimasto. Adesso
esiste solo il suo Io, e il bisogno di sentire voci lo spinge ad ascoltare
segreterie telefoniche, a cercare qualsiasi forma di vita all’aeroporto,
dove non c’è nessuno tranne gli aerei immobili e i tabelloni ancora in
funzione segnano gli orari. D’un tratto un uomo che voleva abbandonare
l’umanità, ne sente la nostalgia. Alla fine si è avverato in qualche
modo il suo sogno di vivere una realtà dove è presente solo se stesso.
Comincia allora un monologo, sullo sfondo della solitudine assoluta e
di un silenzio rotto soltanto da qualche voce di animale o dal ronzio di
macchine che continuano a funzionare. Ed è un monologo che presto
si trasforma in un dialogo con tutti i morti, tenuto da un unico vivo che
a momenti pensa di essere anch'egli morto. Riaffiorano spezzoni di
ricordi, particolari sepolti riemergono come decisivi e, mentre i pensieri
si affollano, l'anonimo protagonista cerca dappertutto un qualche altro
sopravvissuto, vaga tra luoghi odiati e amati, tra le sue montagne e
Crisopoli.
L'unico modo per intrattenere ancora un dialogo con il mondo
degli «scomparsi» è la rievocazione del dottor Karpinsky che gli aveva
curato, anni prima, una neurosi ossessiva, era morto durante una lite tra
infermieri nell'asilo psichiatrico distrettuale.
Ma la realizzazione del suo desiderio di solitudine gli fa ora cercare
nella città di Crisopoli - dove è tornato dal rifugio montano - le tracce di
Karpinsky, fino a immaginare un incontro con lui, tenendo in tasca un
86
pacchetto delle sigarette che il dottore preferiva. Ma il dottor Karpinsky
è morto, prima che si dissipasse l’umanità, il giovane protagonista ne
è consapevole ma lo attende ugualmente, lo attende certo della sua
impossibile venuta.
Probabilmente quest’opera è coerente con la linea di vita dell’autore.
Morselli non ebbe alcuna fortuna editoriale; scrisse romanzi, articoli,
saggi, qualche racconto, e accusò molto questa mancanza di attenzione
da parte dell’editoria. Forse questa fu una delle cause del suo suicidio
avvenuto lo stesso anno in cui scrisse il libro, 1973. Sicuramente aveva
molta volontà, visto che continuò sempre a scrivere, nonostante la
mancanza di pubblico. Un percorso stilistico, quello di Morselli, che va
dall’ottimismo e fiducia nella storia, a un pessimismo totale, che porta
anche a nichilismo, tutto questo espresso anche nelle sue opere. Lo
scontro, la lotta, è ciò che caratterizza la vita dello scrittore ma anche i
suoi saggi e romanzi. I suoi conflitti con il mondo antropologico della
modernità, la sua debolezza nei confronti degli uomini che lo porta alla
definizione di “fobantropo”51. L’unico modo per reagire a questi conflitti
con i suoi simili e a questo senso di alienazione è la ricerca intellettuale.
In Dissipatio una certa speranza in lui è viva fino a poco prima del
suicidio. Le sue forze non sono sufficienti per opporsi alla dissipazione
della bellezza del genere umano.
La mancanza di alcuna possibilità di confronto inclina le sue certezze,
mina la sua stabilità mentale, gli ripresenta in continuazione la bruciante
domanda sul senso della vita. Il fastidio che prima provava verso gli altri
si trasforma in compassione, comprensione della miseria umana, quasi
una lieve nostalgia.
87
C’è un profondo senso di nostalgia in quest’opera, un allontanamento dal
mondo, ma repentino e anche indolore.
In Dissipatio H.G. inconsciamente Morselli ci svela tutta la sua cultura,
l’elevazione del suo spirito, la sua anima travagliata, ma le parole del
protagonista sembrano non dare molto peso a quell’evento che ha
cambiato la sua vita.
In Dissipatio si può notare la vicinanza dell’anonimo protagonista con
la figura stessa del Nostro scrittore. Infatti nei venti capitoli che narrano
l’evaporazione del genere umano, più volte viene citato il pronome
“io”52.
Sono molti gli avvenimenti narrati in questo romanzo, che si possono
avvicinare alle vicende di Morselli e soprattutto alla sua fine. Il
protagonista di questo romanzo53, scritto pochi mesi prima del suicidio
di Morselli, narra la storia di un uomo, di cui non viene indicato il nome,
che ha deciso di scappare e sottrarsi dalla cattiveria dell’umanità,
organizzata in mafie che minacciano la sua proprietà privata. Morselli
verrà per questo designato come fobantropo, anche dalla sua amica di
sempre, la signora Bassi; questo perché si sentirà sempre minacciato
dalla cattiveria e dalle azioni dannose dell’uomo. Il villino del
protagonista, immerso nel verde, è minacciato dai potenti di Crisopoli, la
Città d’Oro, in cui è raffigurata Zurigo. Qui possiamo notare la
corrispondenza di questo villino con la casina rosa di Guido Morselli, a
Santa Trinita, dove egli stesso si ritira per trovare pace e per trovare la
sua amata solitudine; ma come nel romanzo sarà continuamente
minacciato, nella vita reale sarà ossessionato dai rumori che
circondavano la sua casa e lo infastidivano: motocrossisti, addirittura dei
ghiri sul tetto. Sarà poi costretto a lasciare definitivamente la sua amata
88
casina e spostarsi, continuamente minacciato dai disturbatori. Inoltre in
Dissipatio il protagonista si sentirà vittima di mafia medica; da una
semplice malattia che recava disturbi, fu costretto a rivolgersi ad una
serie infinita di specialisti; purtroppo nessuno darà mai un verdetto, una
soluzione a questi problemi, e lui si sentirà al centro di una speculazione.
Tutto questo lo porterà a prendere una decisione importante, quella di
sottrarsi definitivamente a tutto questo, suicidandosi, servendosi di una
pistola da lui definita la “ragazza dall’occhio nero”, e con lei dirigendosi
verso un luogo sperduto, dove troviamo una fossa piena d’acqua chiama
il “lago della Solitudine”. Come si può benissimo notare, questo
romanzo sembra attuare una sorta di “profezia” per quella che da lì a
qualche mese succederà realmente nella vita dello scrittore; il
collegamento c’è ed è evidente, la casina sperduta, abbandonata per
cause esterne, la solitudine forzata, il sentirsi continuamente il bersaglio
di una società capitalistica, dove c’è mafia dappertutto, l’ha portato ad
una decisione estrema. Molto probabilmente il nostro scrittore si sentirà
bersagliato da questa sfortuna editoriale, magari si può definire anche in
questo caso una “mafia”54, vista la necessità di entrare nella cerchia dei
gruppi ideologici, e il suo sottrarsi a questo far comunella,
probabilmente ha causato tutti quei rifiuti
Si può considerare questo romanzo forse un suo desiderio forte di
commettere quel gesto estremo? Invece il protagonista del romanzo
non arriverà alla fine, ci ripenserà e preferirà vivere, tornerà a casa
e si metterà a dormire con accanto la “ragazza dall’occhio nero”.
Probabilmente il suo desiderio di rimanere solo era così forte che si
realizzerà lo stesso, infatti dal giorno seguente sarà vittima di una
completa evaporazione dell’umanità. Sarà lui l’unico uomo presente
89
sulla terra, macchinari, aerei, oggetti, è tutto presente, ma non ci sarà più
nessuno. Non è improbabile che il colpo di pistola sia partito veramente.
Quindi nel leggere questo romanzo noi ci poniamo delle domande che
in realtà non hanno delle risposte definitive che solo l’autore potrebbe
darci: è l’umanità che è scomparsa, o il protagonista si è veramente
suicidato? Lui, l’unico rimasto, è il solo Eletto o il solo Dannato?
Da qui comincerà la sua continua ricerca di forme di vita, in un percorso accidentato e sinuoso, ricerca inutile ovviamente. L’innominato di
Dissipatio dopo aver vagato, ricordato, descritto, siede su una panchina,
e lì non sarà più solo, ma insieme al suo amico Karpinski, con in mano le
sue sigarette preferite. Karpinski, una figura di medico importante come
in altri suoi romanzi, il simbolo dell’attesa del nostro protagonista. Può
essere accostata a Nipic del Il Redentore55, per il suo essere una sorta di
Cristo Buono. Questa solitudine vissuta dal protagonista durante tutto il
romanzo, e che si attenuerà solo alla fine con il sospeso incontro con il
dottore, può essere ricollegata alla solitudine forzata di Morselli, al suo
non rifiuto ad unirsi alla massa, che l’ha portato all’unico gesto possibile
di liberazione. Lui, solo, così lontano da quegli scrittori che inutilmente
descrivevano solamente la realtà quotidiana, le cronache, le banalità e le
volgarità, ma che puntualmente andavano avanti.
Ad oggi finalmente l’editoria non trascura più i capolavori di Morselli,
ma continuano ad essere studiati; forse a suo tempo l’editoria ci vedeva
benissimo ed era ben consapevole del disturbo che poteva creare
una personalità così importante come Guido Morselli, da lasciarlo
continuamente in disparte. Adesso finalmente i riconoscimenti stanno
arrivando, attraverso le iniziative ed i premi organizzati nella sua Varese,
quella città che tanto deve al “genio segreto”, alle sue iniziative, al suo
90
adoperarsi per aiutare la sua città, che sicuramente glielo deve; alla quale
lui ha lasciato tutto, un patrimonio inestimabile.
5.
Guido Morselli e la sua Varese: la figura ambientalista56 del
nostro autore.
Il legame intenso con la natura ha caratterizzato tutta la vita di Guido
Morselli, non solo come semplice interesse o solo per il fascino
esercitato dalla natura sull’uomo, ma un legame profondo che si è
concretizzato in attività e progetti per salvaguardare la natura. Il suo
interesse per il patrimonio ecologico si può notare da subito col suo
ritiro nella famosa casina rosa di Santa Trinita di Gavirate, isolato dalla
comunione con gli uomini, immerso nel verde, anche se il suo rapporto
con la casina fu turbolento, dati i vari rumori che lo infastidivano a
qualsiasi ora; questo ci fa capire la sua necessità di un contatto con
la natura. Soprattutto Morselli vuole renderlo reale questo contatto,
mettendo le sue mani nella natura; coltivando, piantando alberi e
curando le sue coltivazioni di frutta. E poi il suo amore per gli animali,
che spesso fanno parte dei suoi romanzi, come la cavalla Zeffirino,
comprata dal padre alla fiere di Verona. Aveva inoltre ereditato delle
terre nel bolognese e le curava con attenzione, egli stesso si definì
sempre un “agricoltore” e si firmava anche così, nelle lettere, neanche
91
il termine scrittore sostituì questa sua firma. Sempre immerso nella
natura, la filmava; campi e coltivazioni avevano ruoli di primo piano,
laghi, montagne e gli animali, tutti gli animali presenti in natura, basta
citare come esempio il filmato completamente dedicato ad una gara di
lumache. Questo inoltre ci dà conferma della sua sete di conoscenza, di
osservare il mondo intorno a lui57.
“La natura è una musica alla quale gli uomini sono quasi sempre sordi”.
Così scriveva nel suo Diario; si può definire un ecologista, formatosi
attraverso la lettura di libri e riviste di agricoltura. Morselli è stato
uno dei pochi a riuscire a dar voce all’amore dell’uomo per la natura.
Un amore che deve essere curato e coltivato, soprattutto protetto, solo
così può diventare sorgente dell’ispirazione artistica. La natura deve
essere protetta, solo così può sopravvivere alle avide mani dell’uomo.
E Morselli portò avanti una dura lotta per la salvaguardia della città
di Varese, per proteggerla e farla continuare ad esistere come “Città
Giardino”; per lui non più dimora estiva, ma luogo ideale dove vivere.
Morselli ha combattuto con ardore, perché Varese con la sua provincia
non fosse deturpata nel suo splendore immerso nel verde.
“La difesa del verde è una necessità sociale” così si intitola uno degli
articoli pubblicati da Morselli su La Prealpina58; titolo che riassume il
suo pensiero, e uno dei tanti modi per incitare tutto il paese per lottare
contro l’ingiustizia, elencando tutta una serie di effetti negativi recati
dall’avidità dell’uomo che per i suoi futili interessi distrugge l’ambiente,
patrimonio intoccabile dell’umanità.
Il verde della Città Giardino doveva essere difeso e rimanere integro
a Varese e si fa presente che questo porta anche rilevanza turistica.
L’amore di Morselli per la natura probabilmente è anche più forte di
92
quello per la donna amata; diversamente dall’amore per una persona,
nel quale c’è sempre un desiderio di essere ricambiato, l’affetto che ci
lega a un luogo è totalmente disinteressato, viene definito il più forte di
tutti gli amori. La natura entra nei suoi libri, nei romanzi, come sfondo,
a soprattutto come similitudine per parlare dei sentimenti: “l’amore
che come corso di un fiume, s’interra e riappare”. Come il suo amore
immenso per la casina rosa di Santa Trinita insieme al Parco di Santa
Trinita, che nel testamento, in maniera estremamente generosa, viene
donato al Comune di Gavirate; un lascito estremamente prezioso per
la comunità, per l’ambiente; un segno indelebile del suo amore per la
natura e della lotta per la sua salvaguardia.
Questo viaggio attraverso le opere edite ed inedite di Guido Morselli
e soprattutto le testimonianze, sentite da me fortunatamente anche di
persona, mi hanno permesso di capire qualche cosa di più del mondo,
rimasto forse troppo spesso in silenzio, del Genio segreto di Gavirate, un
mondo che ai più è sconosciuto anche ora che finalmente si procede allo
studio e alla stampa dei suoi capolavori; ma che fortunatamente riscuote
anche molto successo, considerato uno dei più importanti e innovativi
autori del ‘900. Viene da chiedermi cosa sarebbe successo se il Nostro
Scrittore non avesse compiuto l’estremo gesto; probabilmente avrebbe
vissuto in prima persona questo suo successo, o forse non ci sarebbe
comunque arrivato a raggiungerlo, questo purtroppo non lo sapremo
mai. Sicuramente l’interesse per le sue opere da parte di studiosi e
case editrici ci ha permesso di conoscere testi lettersri rimasti al buio
erroneamente e, per questa ragione, concluderei con una frase di Linda
Terziroli che riassume l’importanza di questo patrimonio letterario:
93
“Le opere ci permettono di scoprire gli enigmi del pensiero
morselliano, con il punto fermo del mistero di una morte che a troppi è
parsa gesto di viltà e, a troppo pochi, il gesto romantico e tragico di un
naufrago”.
CAPITOLO TERZO. Dino Azzalin viaggiatore
In questo capitolo mi concentrerò sull’attività di Dino Azzalin che più
mi è in sintonia, quella di viaggiatore, e di conseguenza di scrittore
di viaggi, data la sua grande passione per la scrittura, mai nascosta
visto che si definisce un mancato laureato in lettere. Prenderò in
considerazione soprattutto il suo amore per l’Africa, che condivido in
pieno, e la sua attività di aiuti umanitari con l’associazione “Amici per
l’Africa” di cui è il padre fondatore. Tutto questo credo sia spinto dalla
sua instancabile voglia di conoscenza che si può notare fin dal primo
istante. Ho avuto la possibilità di incontrare Dino Azzalin grazie alla
sua disponibilità e a quella del professore Fabio Pierangeli, che mi ha
permesso di confrontarmi con questo grande uomo che ha speso una vita
intera ad aiutare chi più ne ha bisogno. Si tratta di un professionista che
osserva tutto, disponibile e aperto a capire l’altro, il diverso. Ammiro
questa sua voglia di conoscenza, perché il suo bagaglio di esperienze
è veramente ampio. Ho avuto inoltre la fortuna di intervistare il dottor
Azzalin, (vedi appendice), scoprendo di più del mondo di un viaggiatore,
medico e scrittore che ha dedicato una vita intera agli altri, ai progetti
umanitari, ai viaggi che gli hanno permesso anche di ritrovare la fede.
94
Un viaggiatore che “guarda” con la retina e “vede” con altri occhi.
1. Viaggi
Partimmo
una
mattina
di
novembre sulla dauphine color
carta da zucchero. Non si era mai
vista un’auto così davanti a casa:
in silenzio il paese
ci guardò
partire. Non portai giocattoli con
me, non ne avevo, misi la stalla, i
rastrelli, e il rumore delle foglie
di platano dentro il mio bagaglio
segreto. Arrivammo nella città
che era sera, riconobbi subito
la casa, il neon bianco del bar
accanto alla farmacia. Attraversai
la strada di corsa come se togliessi
la fune dal collo per correre di
nuovo al canale, ma caddi colpito
da un’auto e rimasi ferito per
sempre.1
95
La vita di Dino Azzalin è stata e continua ad essere profondamente
segnata dal viaggio. Si tratta di viaggi di sola andata come vengono
definiti nel sottotitolo di Mani Padamadan; i viaggi veri servono per
conoscere se stessi, non gli altri, e da questi viaggi si torna cambiati nel
profondo. Viaggiare è innanzitutto capire l’esperienza fondamentale
dell’uomo, le ragioni del suo nomadismo come della sua stanzialità.
Azzalin racconta un modo di vivere vagando2, come fanno i Tuareg,
tra i silenzi del Sahara. Camminare osservando, scrutando cose e paesi
nuovi, entrando negli sguardi delle persone che incontriamo, scegliendo
strade lontane da quelle turistiche. Solo così si torna cambiati e ricolmi
di quella ricchezza che ci viene dal confronto con altre culture. Tutti i
suoi viaggi caratterizzati dalla conoscenza dell’altro verranno raccolti
in una serie di racconti e saranno segnati inoltre da bellissime poesie in
cui Azzalin descrive le tappe fondamentali della sua vita, una prova di
memoria dei momenti più importanti tradotti in versi. Dino Azzalin ha
fatto della sua vita un viaggio tra le parole, quelle degli altri che entrano
nel cuore. E la sua esperienza diviene da un lato prosa e da un lato
poesia.
Come molti nomadi, la cui condizione è in fondo l’origine di tutti gli
uomini, Azzalin viene sradicato fin da piccolo dal luogo di nascita. Si
tratta del suo primo viaggio3, quello che lo porterà dal suo paesino, sulla
dauphine renault, a Varese, in cerca di fortuna, perché si sta meglio, così
affermano la mamma e il papà.
Quel giorno c’era tutto il paese a salutarli, si sentiva allegro ed eccitato,
e in fondo non capiva il motivo di quella partenza. A meno di dieci anni
si trovava da solo senza pensieri, non gli interessava né il luogo, né dove
sarebbe finito, l’importante per lui era stare con la sua famiglia e sarebbe
96
andato ovunque. Stavano per diventare degli immigrati, lasciando per
sempre la terra delle loro origini. Una sensazione era presente, quella
aver dimenticato qualcosa, ma forse non doveva prendere nulla, piuttosto
doveva lasciare qualcosa. Dino Azzalin intraprese il primo viaggio
della sua vita, la prima volta in autogrill di un’autostrada, la prima pipì
da viaggiatore4. Un viaggio interminabile che lo porta a Varese, città
adottiva, ricca e generosa. E il giorno dopo si trovò davanti a un’altra
vita. Azzalin farà dello sradicamento della vita, una ricchezza. Comincia
da qui la sua lunghissima serie di viaggi, dapprima come qualsiasi turista
ricco, che affronta il suo viaggio in modo superficiale, ma poi finalmente
riescendo a diventare un viaggiatore e ad affrontare queste esperienza
con un altro spirito. Perché il viaggio che permette di conoscere a fondo
se stessi, è dapprima un viaggio nel profondo dell’uomo, come Proust ha
ampiamente anticipato.
Non ci sono luoghi nuovi,
ma occhi diversi
Per capire a fondo il senso di un viaggio bisogna guardare con altri
occhi, a fondo ciò che ci circonda e non viaggiare superficialmente come
semplici turisti. Azzalin raggiunge svariati luoghi e prende appunti sul
suo taccuino nero che porta sempre con sé, dove annota sensazioni,
emozioni ed esperienze uniche, che poi trascrive e rielabora creando
racconti di viaggio che, con parole semplici ma mai semplificate,
arrivano direttamente al cuore del lettore. Infatti per il nostro viaggiatore
speciale, la scrittura è un modo di vivere, una grande opportunità che
l’uomo ha è proprio quella di utilizzare la parola come punto di partenza
per concepire la realtà.
Le parole vanno sempre usate in maniera
97
precisa, è molto importante come vengono inserite sul foglio bianco.
È altrettanto importante usare le parole nel contesto esatto in cui si
pongono e comprenderne sempre le loro alchimie, indipendentemente
dal tipo di lavoro che si vuole ottenere, romanzo, reportage o poesia.
Un grande scrittore è innanzitutto un bravo lettore. Azzalin è stato
influenzato nel suo modo di scrivere da alcuni maestri, in particolare
Nicolas Bouvier che ha sottolineato l’importanza della distinzione del
“guardare” dal “vedere”5.
Si guarda con la retina, ma si vede solo col cuore, ed è in questo modo
che il viaggio ci cambia. Esiste una differenza tra il turista che guarda
e non vede, e il viaggiatore che vede col cuore e guarda anche con la
retina. Questo significa costruire grandi opere. Bouvier compie un lungo
viaggio su una Topolino con un suo amico ed arriva fino in India. Lo
scrittore svizzero ha avuto il grande merito di scrivere il racconto di
questo viaggio a distanza di molto tempo, permettendo all’impressione
di fermentare e sedimentare nel modo migliore. Bisogna ripulire col
tempo la scrittura, strigliarla, togliere il più possibile l’IO, cercare di
non essere troppo legato a ciò che l’occhio guarda, ma a ciò che il
cuore vede. Il maestro che ha dato il via alla sua attività di scrittore di
viaggio è stato Giuseppe Pontiggia che come un profeta ha suggerito ad
Azzalin di raccogliere i suoi appunti, metterli insieme e creare qualcosa
di straordinario. È stato un maestro in questo. Tra i suoi molti viaggi
ci sono però stati luoghi, come il Brasile, che nonostante vari appunti,
non si è prestato a formare un libro di viaggio, per ragioni che restano
misteriose. I libri rappresentano un importante compagno di viaggio per
Azzalin, a partire dall’Odissea, che lo accompagna nel viaggio nella terra
dei miti6, e permettono di scoprire qualcosa di più di un’affascinante
98
terra circondata dal mistero, culla della civiltà, come per “La Mia
Africa” di Karen Blixen che accompagna le giornata trascorse nella terra
delle piantagioni di caffè7.
I libri, come amici, lo hanno accompagnato dappertutto, poco
ingombranti, pesanti, preziosi. Dalle pagine di Karen Blixen poteva
capire qualcosa di più di una terra stupenda come il Kenya, le sue storie,
qualche bellezza che altrimenti sarebbe sfuggita. Quando la scrittrice
tornò a casa piena di taccuini, appunti, racconti, scritti di viaggio, in
quell’Africa dove aveva vissuto per più di trent’anni, il Kenya era un
paese in profonda trasformazione. Doveva essere stata diversa la vita
nella sua piantagione di caffè, limpida e piena di libertà. Quel libro, uno
dei tanti ad occupare la valigia di Azzalin al posto di vestiti o macchine
fotografiche, privilegiando la parola scritta, lo accompagna nel suo
viaggio attraverso le piantagioni del Kenya. Il tempo della lettura e della
scrittura si trova fuori dallo spazio reale, in una dimensione che richiama
quel senso di appartenenza che lega certe tribù africane alla loro terra. la
parola è come uno specchio , fa esistere un’immagine anche là dove non
è 8.
Nello specchio è riflesso sempre qualcosa, che nello specchio non esiste,
come del resto tutta la letteratura fa vivere nella memoria luoghi e
persone là dove non sono. Le parole sono “gocce di silenzio attraversate
dal silenzio”, e molte volte nonostante comunicare sia indispensabile, è
meglio il silenzio. Un silenzio, quello di Azzalin, carico di parole che si
trasformano in prosa e poesia. Per lui infatti la trascrizione del veduto è
il risultato della percezione del viaggio.
In Africa ci sono pochi libri, ma quando
muore un anziano è come se sparisse una intera biblioteca9…
99
Certo è che tutti i suoi viaggi sono caratterizzati dall’apertura verso il
prossimo, il diverso, da un’estrema voglia di conoscere luoghi, persone,
di aprire il proprio cuore agli altri, di ascoltare gli altri. Si definisce
infatti un registratore di cassa, al quale non sfugge niente, attento a
ogni minimo particolare; a testimonianza di questa sua caratteristica
si possono citare alcuni episodi. Bisogna avere chiari gli aspetti della
crescita e del valore che fanno dell’incontro con la persona lungo le
strade del mondo, una ricchezza continua. Un episodio da raccontare è
sicuramente quello che ho avuto la fortuna di vivere in prima persona
durante il suo viaggio a Roma nella nostra università. Il dottor Azzalin
ci ha dato la possibilità di assistere a una sua interessantissima lezione
durante la quale ci ha raccontato un episodio vissuto proprio qui a
Roma, un incontro avvenuto nella struttura ricettiva che lo ospitava:
una volta alzatosi la mattina si recò in cucina per consumare la prima
colazione, ma il nostro dottore cominciò ad avere qualche problema
con la macchina del caffè e vedendo una luce accesa in una stanza,
decise di chiedere aiuto. In quella stanza alloggiava un professore
dell’Azerbaigian che si prestò ad aiutarlo, cominciò così tra i due una
conoscenza, un dibattito sulle proprie vite, e vista la disponibilità del
dottor Azzalin all’ascolto di chi si trova davanti, una raccolta di notizie
della vita di questo professore. Da un semplice caffè, si apre un mondo,
totalmente diverso dal nostro; Azzalin ha dato prova di disponibilità,
di apertura al diverso, di interesse verso chi si incontra nella vita,
rimanendo sicuramente arricchito umanamente.
Stessa città, Roma, stessa giornata, quella del nostro incontro con
Azzalin; ci troviamo stavolta nel bar della facoltà di Lettere e Filosofia.
100
Finalmente dopo tante comunicazioni digitali riesco ad incontrare lo
scrittore che è riuscito con le sue parole a farmi rivivere le emozioni
intense che ho provato in Africa, emozioni che è troppo difficile per
me descrivere e che solo vivendo quella terra dimenticata dall’uomo si
possono comprendere; ma che Dino Azzalin con le sue parole è riuscito
a descrivere perfettamente, parole che arrivano dritte al cuore anche di
chi non ha avuto la fortuna di vivere quelle sensazioni. Ci troviamo nel
bar e noto una situazione che mi ha profondamente colpito conferndomi
di quale straordinaria capacità di osservazione
sia dotato il dottor
Azzalin: lo vedo concentrarsi su una ragazza che purtroppo aveva dei
problemi ad una gamba e portava le stampelle, e noto Azzalin che pur
non conoscendola comincia a parlarle e farle domande sull’incidente
avuto, anche, ovviamente con l’occhio della sua professione medica.
In quel momento ho capito come questa straordinaria personalità sia
veramente attento a tutto, non gli sfugga nulla di ciò che lo circonda,
e il suo interesse si allarghi a ogni tipo di informazione. Ed ho anche
capito che molti di noi, me compresa, invece camminiamo coi paraocchi,
pensiamo solo a ciò che ci riguarda e tendiamo a non considerare l’altro,
a non avere il cuore aperto per la conoscenza, la disponibilità verso gli
altri. Solo una personalità come Azzalin, che dedica un’intera vita agli
altri, può avere questa immensa dote.
Uno dei racconti più letti e che colpiscono di Mani Padamadan,
probabilmente perché esce fuori dagli schemi, è l’incontro di Dino
Azzalin in Kenya, sull’isola di Lamu, con un personaggio all’apparenza
cinico, ma che dentro nasconde un mondo, Tony Ferro10, che si rileva
molto accogliente e che lascia un segno nel cuore di Dino Azzalin.
101
Nonostante Tony fosse morto poco dopo quell’incontro, rimase vivo e
presente nella vita di Azzalin, grazie soprattutto alle sue parole. Tutto
inizia quando il nostro dottore si avventura sull’isola di Lamu con la sua
assistente Monica, per partecipare a una delle missioni di aiuti, e si
imbatte in un castello in stile arabo, che costituisce la residenza di Tony
Ferro. Azzalin si trova di fronte a una situazione di emergenza, che
coinvolge uno dei boys di Ferro, un cameriere che lavorava per lui.
Aveva una grossa ferita al piede e dovettero operarlo in condizioni di
emergenza. E Tony alla fine commentò divertito: “nonostante tutto non
siete riusciti a farlo fuori”. Così usciva fuori il suo cinismo, ma in fondo
era un uomo molto ospitale, che in cambio di una pulizia dentale con
strumenti di fortuna, diede ospitalità al dottore e alla sua assistente e
trascorse ore a parlare, parole che hanno colpito profondamente Azzalin.
Ferro aveva lasciato l’Italia vendendo quasi tutto, creando sull’isola di
Lamu questa immensa fortezza, il suo ritiro. Si tratta di un racconto
diverso perché non parla di povertà, di aiuto per i bisognosi, ma dalla
descrizione della fortezza e dal carattere del proprietario trabocca
ovunque ricchezza, all’opposto della povertà presente in ogni altra parte
dell’isola. Qui c’è il potere, la ricchezza, ma Ferro si presenta come
uomo con grandi capacità intellettuali e un’umanità nascosta dietro
quella scorza da duro e indifferente. Un uomo che colpisce anche per il
tono profetico con cui annuncia la crisi economica e la sua convinzione
che prima o poi l’Europa verrà travolta da ondate di immigrati. A
distanza di anni ci rendiamo conto che quest’uomo così chiuso nel suo
potere, aveva ragione. Ciò che più ha colpito Azzalin ed è rimasto nel
suo cuore, è stata la sua capacità di descrivere in modo particolare ogni
fase della sua vita, la forte capacità di interagire con le persone, e il
102
modo in cui sapeva fare del viaggio, un padre che lo accompagnava
dappertutto e dell’esperienza, una madre che lo amava sempre. Si tratta
di un aspetto molto importante per Dino Azzalin.
“Non si viaggia per addobbarsi d’esotismo e di aneddoti
come un albero di Natale, ma perché la strada di spiumi, ci strigli, ci
prosciughi, ci renda simili a quelle salviette consunte che ci allungano
con una scaglia di sapone..11”
Così scriveva lo scrittore svizzero Nicolas Bouvier, uno dei maestri
di Azzalin. Credo sia stato sempre condizionato da questo pensiero
nei suoi viaggi, e leggendo ogni racconto, non vi è mai qualcosa di
convenzionale, mai un viaggio fatto per semplice relax o per fuggire dal
quotidiano; ma ci troviamo di fronte a una serie di viaggi che lasciano
sempre qualcosa nell’esistenza dello scrittore, che in qualche modo
cambiano la visione della vita, che lo arricchiscono di nuove conoscenze,
esperienze, di nuovi sentimenti. Tutte esperienze nuove, non comuni
a tutti gli uomini, che probabilmente non tutti avranno la possibilità
di vivere. Viaggi di avventura, di conoscenza, viaggi nei miti, viaggi
immersi nella povertà e viaggi alla scoperta di nuovi mondi, di nuovi
modi di vivere e sopravvivere. Alcuni raccontati in ogni particolare, altri
un po’ meno, ma caratterizzati sempre da esperienze forti; come quello
in India, che l’ha portato con il suo compagno di viaggio Claudio, alla
scoperta di una religione e di riti completamente diversi dai nostri, che
porta alla conoscenza di Sai Baba12.
103
Le presunte origini soprannaturali di questa specie di santone, erano
note perché decantate in televisione da personaggi di chiara fama, i
quali ne parlavano ammirati come di un prodigio vivente, un uomo
che conosceva, senza averle mai studiate, tutte le lingue del mondo,
le scienze fisiche e metafisiche della natura. Grazie alla sua curiosità,
Azzalin approdò davanti al tempio del miracolo, a Bangalore, in India.
Anche il Vangelo, aveva avvertito dell’arrivo di falsi profeti. La curiosità
però vince Azzalin, che riesce a convincere il suo amico Claudio ad
accompagnarlo in questa avventura. Qui, come in tutta l’India, l’estrema
povertà convive con una ricchezza spirituale davvero immensa. Ciò
che lo spinge lì è anche la voglia di capire se quello che fa è veramente
frutto del divino, oppure si tratta di una semplice truffa di prestigiatore.
Qualcuno l’ha paragonato all’Anticristo, altri al più grande prestigiatore
del secolo. Dopo un’intera giornata si ritrova da solo a pregare. Alla
soglia dei quarant’anni la vita gli risultava ancora un mistero, e perché
allora cominciò inconsapevolmente a pregare13? Il dubbio e la ricerca di
Dio saranno una costante nella sua vita e soprattutto nei suoi viaggi, in
cui la presenza del Creatore si avvertirà fortemente, proprio nei luoghi in
cui sembra essere così lontano; luoghi che sembrano abbandonati da Dio.
Dopo una lunga serie di viaggi che hanno arricchito profondamente il
bagaglio di esperienze del nostro scrittore, ma ancora caratterizzati da
quel essere inizialmente un turista, come si definiva lui stesso; Azzalin
fa un bel passo in avanti, definendosi da qui in avanti un “viaggiatore”,
che fa dell’esperienza del viaggio qualcosa che lo cambia dentro, che
gli lascia un segno. Ed è probabilmente tra le dune del Sahara e tra mille
difficoltà che Azzalin chiede qualcosa di più ai suoi viaggi; dal contatto
col padre in quel deserto, che vedremo più avanti, che capirà qual è la
104
sua strada di “nomade”, sempre in giro per il modo, ma adesso con una
missione, quella di usare la sua professione per aiutare gli altri, una
professione che gli offre tanto, ogni giorno.
2. Diari d’Africa tra progetti e aiuti umanitari
I deserti non sono quelle
solitudini
che animano i
confini del Sahara, ma i
silenzi che nascono dentro,
quando
si
smette
di
sognare.14
Agadez, 198615. Una data da sottolineare a mio parere; Dino Azzalin nei
suoi numerosi viaggi in Africa, riesce a raggiungere lo scopo profondo
del viaggio, ritrovare se stesso, ritrovare soprattutto il legame con suo
padre, scomparso poco prima. “La recente morte di mio padre aveva
segnato la distanza con la memoria. Un periodo difficile, doloroso. […]
c’era qualcosa o qualcuno che mi spingeva sulle dune al di là del mare
di sabbia, oltre la tempesta. Dentro una barca con le ali, nell’oceano di
una terra d’ebano. Non volevo iniettarmi le solite anestesie di viaggirifugio, inutili perdite di tempo che niente aggiungevano alla mia
esperienza, al mio dolore, anzi l’avrebbero svuotata del tutto. Volevo
essere con lui, dentro alla fitta dell’anima con cui il deserto si mescola
105
con gli uomini, perché papà mi rivelasse la sua nuova luce.16” Per questo
Azzalin concepisce questo viaggio, come un viaggio dentro se stesso,
nel profondo delle sue sensazioni, dei suoi dolori, unico modo per
poterli superare. Durante il viaggio un “fuori rotta” segna negativamente
quest’avventura, ricordiamoci che siamo nel deserto, dove il pericolo
può arrivare in qualsiasi momento.
“L’attraversamento del Sahara implica due conoscenze di base, la prima
che il deserto fortifica le anime di corpi deboli, l’altra che nel Sahara
incontri la tua anima guardandola dalla prospettiva della morte17”.
Citiamo questo detto Tuareg, la popolazione nomade per eccellenza del
deserto, di cui Chatwin ci dà una descrizione 18, che sembra adatta in una
situazione d’emergenza come quella di un fuori rotta in pieno deserto,
dove tra alte dune di sabbia, credo sia molto difficile orientarsi e trovare
una via d’uscita, e se non si conosce bene il territorio, presenta diverse
difficoltà nel trovare la via giusta da seguire. Dopo una notte intera
trascorsa nel bel mezzo del deserto, finalmente per Azzalin e compagni,
appare un segno di vita, un camion nelle vicinanze," e se invece si
trattasse di predoni? Di nuovo il panico. Nell’incertezza totale,
finalmente torna quel legame forte con il padre, eccolo arrivare in aiuto
del nostro scrittore; “Sembrava che un angelo dal cielo, con il suo
fremito d’ali, soffiasse via la sabbia.19” Quell’angelo accorre in aiuto dei
nostri viaggiatori, che scampato il pericolo riescono
ad arrivare
all’ospedale di Agadez, che si presenta ai loro occhi come un girone
dell’inferno dantesco, una situazione drammatica, dove erano talmente
diffuse le infezione che in qualsiasi momento avrebbero potuto causare
un’epidemia. Il nostro medico decide di mettersi subito a lavoro con gli
strumenti che aveva, fino al momento di ripartire continuò a dare una
106
mano, in quella terra dimenticata da Dio. Questo episodio, unito ad altri
sempre in quella porzione d’Africa, ha confermato la volontà di Dino
Azzalin, unitamente alla promessa fatta al padre, di dedicarsi ai meno
fortunati, di iniziare a viaggiare come volontario, dimenticando i viaggi
da turista. Vale la pena citare questo passo in cui Dino Azzalin prende
questa decisione, “illuminato” da un consiglio del suo amato padre, che
tanto lo aveva educato al viaggio e al volontariato: “E al di là del poco
che avevo potuto fare, quell’esperienza segnò la fine dei miei viaggi
come turista e l’inizio di un’altra vita, quella del volontario medico in
terra d’Africa. Uscendo dall’ospedale, sentii qualcuno che mi batteva
sulla spalla. Mi voltai, non c’era nessuno. Mi sembrava impossibile,
eppure ero certo che qualcuno mi avesse toccato. Almeno così pensavo,
poi alzai gli occhi al cielo, il sole stava tramontando sul deserto del
Sahara, ebbi un pensiero per mio padre. Ecco, finalmente sapevo con
certezza chi mi aveva sfiorato la spalla”20.
Questo fa riflettere profondamente sul legame tra la terra e l’uomo,
sulla possibilità di ritrovare le parti più nascoste dell’ anima, grazie
al viaggio, quello vero, che ti pone di fronte a una realtà totalmente
diversa da quella vissuta giorno dopo giorno nel nostro paese. Trovarsi
di fronte alla povertà, al pericolo, a chi ha veramente bisogno e si trova
in condizioni disperate, ci fa riflettere sul male del mondo, sul valore
della vita e soprattutto sul legame con i nostri affetti. Tutto questo si può
trovare nelle emozioni che si possono leggere tra le righe dei diari di
Dino Azzalin.
Un altro episodio significativo, si svolge sempre in Algeria, tappa
importante dell’itinerario di Dino Azzalin, recatosi più volte in questo
paese. Grazie a queste esperienza e, all’educazione datagli dal padre
107
al viaggio, lo scrittore riesce a capire che la sua professione può essere
fondamentale sia per lui che per gli altri. Il suo mestiere poteva dargli
tanto, non solo dal punto di vista economico, ma come uomo e come
opportunità di scrittura e di viaggio.
“Il deserto rappresentava per me un simbolo di confine tra il vivente e
il non vivente, tra il possibile e l’impossibile, ma più semplicemente
significava sfida, senso d’avventura, incanto. Mio padre era morto da
pochi mesi, sentivo che dovevo partire portando il suo nome nei posti
che andavo a vedere. È stato il primo a educarmi all’avventura.21”
Così si apre uno dei tanti viaggi in Algeria di Dino Azzalin, uno dei tanti
solo per numero, ma come sempre un viaggio con significati profondi
e motivazioni importanti, con la presenza costante di questo legame
indistruttibile con il padre, che ritroverà in ogni luogo, in ogni terra,
che gli sarà accanto e gli farà superare qualsiasi difficoltà. “Ho dato
retta a mio padre che voleva sempre partire e mi rendo conto di essere
stato molto fortunato a poter venir qui per tutti questi anni, perché mi è
sembrato sempre come ritrovarlo.
Ci troviamo di fronte al “viaggio dei viaggi”, nel deserto, così definito
dallo stesso Azzalin. Un viaggio affrontato con un caro amico, insieme a
francesi, inglesi, belgi, definiti peugeottari, proprio per il fatto di
comprare macchine a basso prezzo in Europa per poi rivenderle al di là
del deserto, dove tutto ciò che ha arriva ha un enorme valore, ha più
forza e credibilità. Un viaggio affrontato con alcuni strumenti di lavoro
indispensabile che, come la maggioranza delle avventure di Azzalin, lo
pone davanti a una situazione di difficoltà: superare la Markubà, una
pista molto insidiosa, a causa delle enormi dune di sabbia, che con una
108
trazione anteriore era impossibile superare, a differenza dei moderni
fuoristrada. L’unico modo possibile era quello di viaggiare per 20/30 km
al giorno, soprattutto la mattina con la luce e con una temperatura non
troppo calda, e riposarsi la notte. Fino a quando dopo giorni di
isolamento, senza notare anima viva, si presenta sulla loro strada una
macchina con due personaggi armati di fucile. Le difficoltà del nostro
medico sono sempre enormi, ma la fortuna, o l’aiuto divino, ha voluto
che uno dei due soffrisse un gran mal di denti, infatti la loro destinazione
era proprio Tessalit per curare un mal di denti. Entusiasti di trovarsi di
fronte a dei medici, i due personaggi promettono indicazioni per
attraversare la Markubà in cambio di ricevere cure per questo mal di
denti. Nonostante gli strumenti di fortuna il nostro Azzalin riesce a
realizzare un’estrazione di un dente in pieno deserto, probabilmente non
avrebbe mai pensato di lavorare in quelle condizioni, per questo
l’emozione di portare aiuto si è rivelata più forte. E soprattutto la
possibilità di superare quel muro di sabbia è stata una grande fortuna,
infatti dopo poco si trovarono fuori dalla Markubà. Questo episodio
segnò profondamente l’animo del nostro scrittore che ebbe un’ulteriore
conferma di quanto la sua professione poteva regalargli, e non solo a lui,
soprattutto agli altri, di quanto il suo legame con il padre poteva
rafforzarsi grazie alla condivisione di questa passione per i viaggi.
Tuareg
Non si prende mai questa gente.
Non si perde mai chi vive
Andando nel blu solamente22
109
In questa poesia possiamo sentire
quel senso forte di libertà che
deriva dalla viandanza umana, dalla condizione di questo popolo
nomade del deserto, definiti anche “i predoni più temibili del Sahara,
che saccheggiavano e distruggevano le carovane che attraversavano
il deserto, gente intrepida, feroce e fanatica che si faceva vanto
dell’uccisione d’un cristiano.” Tuareg significa “abbandonato da
Dio”, destinato alla viandanza. È questa la vera essenza dell’uomo,
la sua origine. Il viaggio è l’equilibrio tra la natura , rappresentata nel
nomadismo, e la cultura della ragione, la stanzialità. Il nomadismo
costituisce la radice profonda della natura umana. Forse per questo che
l’uomo per trovare le sue radici spirituali affronta un viaggio in India,
invece per ritrovare le sue origini si reca in Africa. Una terra, dove in
fondo sono radicate le origini dell’uomo, con il ritrovamento di Lucy, la
prima traccia umana.
3.
A.P.A Associazione Amici per l’Africa.
Dino Azzalin realizza la sua missione con la ONG Medicus Mundi, in
Etiopia nel ’87. L’associazione Amici per l’Africa nasce ufficiosamente
nel ’92, ma solo nel ’99 diviene ONLUS, in un periodo in cui non
esistevano associazioni umanitarie, o comunque di aiuti sanitari nei paesi
a basso reddito come l’Africa, per quanto riguarda l’odontoiatria. Allora
l’odontoiatria veniva affidata a dei “praticoni” che toglievano radici
con delle tenaglie, ma purtroppo non si trattava di esperti nel settore;
per questo riuscivano ad eliminare solo la parte superiore del dente,
lasciano radici e dolore. Ciò ha portato i pazienti a richiedere la “prova”
dell’avvenuta estrazione; visionando la radice, potevano esser certi di
aver eliminato il loro problema. A.P.A., tre lettere che sono l' acronimo
di Amici Per l' Africa, ma anche una parola Swahili, la lingua del
110
corno d' Africa, che significa "giuramento". “Questa felice coincidenza
richiama un patto di amicizia tra noi e l' Africa, che ormai da dieci anni
si traduce in un impegno nel portare la nostra presenza e professionalità
a beneficio di popolazioni che hanno necessità di cure dentali, al pari di
tutto il resto”.
Nasce in Kenya, repubblica dell’Africa orientale, una delle regioni più
belle. Può far pensare solo a natura lussureggiante, splendide spiagge,
animali feroci. Ma chi ha visitato anche un altro lato del Kenya sa che
non è così, lontano dalle spiagge, si trova una povertà estrema. Nasce
quindi dal bisogno di medici in un clima di forte emergenza, creando
così una associazione di cooperazione odontoiatrica nel villaggio
equatoriale di Nkubu, nella regione del Meru, presso il Consolata
Hospital dei Missionari della Consolata di Torino. L’ambulatorio nel
giro di sei anni è stato affidato ai locali supportati dall’aiuto materiale
e da periodiche visite di medici dell' APA. Il clinical officer in Africa è
una figura sanitaria corrispondente a un infermiere professionale italiano
e per l' attuale legislazione kenyota può esercitare l' odontoiatria, salvo
interventi di chirurgia orale. Venne inaugurato poi lo studio di Isiolo
(Kenya), dove il lavoro era veramente intenso e impegnativo. Nacque
poi l' idea della clinica mobile odontoiatrica: un normale fuoristrada
pick up, un' infermiera traduttrice, farmaci e tutto lo strumentario
occorrente per un' estrazione dentale. A turno poi si ruota tra i vari
villaggi dove si presta aiuto agli abitanti. È un’associazione che riunisce
odontotecnici, odontoiatri, igienisti, e si occupa prevalentemente di
creare studi dentistici in strutture già esistenti, come ospedali, dispensari,
gestiti da missionari, con i quali si lavora molto bene, più che con i
governi, con i quali si perde molto tempo. È cambiato molto il modo
111
di fare volontariato, prima esistevano molti studi dentistici e volontari
che partivano, ultimamente è cambiata completamente filosofia e
l’associazione cerca di educare, di motivare degli odontoiatri locali a
lavorare in queste strutture. Per due anni dall’Italia l’A.P.A paga lo
stipendio a questi dentisti locali, e alla fine del secondo, massimo terzo
anno, si lascia la struttura in mano ai missionari e ai dental officer,
che hanno una loro autonomia. L’APA fa un lavoro di controllo, e di
training, verso il personale medico che porta avanti la struttura.
4.
Luci d’Africa.
“I poveri li avrete sempre…”
Ma noi perché li affamiamo?23
Riflettendo sugli argomenti trattati per la mia tesi, c’è un particolare
che mi balza agli occhi. Il collegamento naturale che può essere fatto,
è quello tra la domanda che ha caratterizzato tutta la vita e le ricerche
di Guido Morselli, quell’Unde Malum che non ha mai trovato risposta;
e le esperienze di vita del nostro dottore, scrittore, Dino Azzalin, il suo
contatto diretto con l’estrema povertà. Sicuramente vedendo con i suoi
occhi il Male, si sarà chiesto chi ha provocato tutto questo, da dove
può arrivare questo egoismo e tutto questo dolore. Soprattutto si sarà
domandato: Ma Dio dov’è? Perché questa terra così rigogliosa, così
splendente, sembra dimenticata dall’amore di Dio. Una possibile risposta
è che il Male si trova in ognuno di noi, altrimenti non si spiegherebbe la
povertà, la carestia, ma soprattutto le guerre e l’egoismo che dominano
112
l’uomo.
Per dare conferma a questa mia affermazione vorrei sottoporre ad
attenzione, alcuni episodi significativi narrati in Diario d’Africa, credo
tra quelli più caratterizzanti il libro.
Il primo episodio riguarda una missione in Etiopia, alla quale Azzalin
partecipa per l’associazione Medicus Mundi. Si tratta di un’Etiopia
distrutta dalla guerra, che spende più soldi per finanziare quest’ultima,
che per il mare di poveri presenti nel paese. Generazioni di pianto,
affamate, in un mare di indifferenza. “Che ci faccio qui? Dovevo vedere
questo? Forse per scriverne24”.
Un paese dimenticato dal mondo, un’umanità lontana, lasciata sola a se
stessa. Noi invece scartiamo, buttiamo ai gatti e ai cani, spendiamo soldi
per acquisti futili. Questo è il mondo? “Penso alla vanità del mondo che
ho appena lasciato, alla cultura degli sprechi, alla ricchezza, mi sento
solo. Una solitudine che mi paralizza, mi fa sentire ancora più solo.25”
Il dramma di questa gente, della loro miseria, sta anche nella
rassegnazione di fronte agli eventi più tragici e dolorosi. Ma c’è anche
l’allegria, il colore, l’amore dei bambini. Bambini che non hanno un
nome, una data di nascita.
“Tu immagina questo: nascere, esistere (neanche vivere), morire senza
lasciare traccia, neanche un numero sia pure nella più sgangherata
anagrafe del mondo. Eppure questa gente vive la realtà come comparse
di un film che non esiste. Né un nome, né un cognome, né una data
di nascita, solo il sesso è sicuro, ma a volte sarebbe meglio non avere
neppure quello. Qui non si è mai nati.26”
113
Un momento di alto dolore per Azzalin è stato proprio quello legato
a uno di questi bambini che purtroppo non hanno nemmeno un nome,
arrivato d’urgenza, denutrito, ormai in fin di vita. Decide di chiamarlo
Tobia. Un momento che rimane impresso nel cuore, sulla pelle, che
non si può cancellare. Per Tobia c’è poco da fare, colpito dalla malattia
più diffusa in Africa: la fame! Tobia muore qualche ora dopo tra le sue
braccia. “Non avevo mai visto un bambino morire di fame. Sono rimasto
sveglio tutta la notte, ho pianto come non mi capitava da anni.27”
Casaciullo28, sempre in Etiopia, landscape da preistoria, bambini nudi e
sporchi, scheletrici, alla fame.
Corpi piagati da una sporcizia perenne, destinati a una morte precoce.
L’Etiopia è nell’Africa, nel mondo, sulla Terra, ma sembra essere
altrove, lontano da noi. “Mi sembra impossibile anche essere qui,
vedere tutto questo e non poter fare niente, e scriverlo per chi? Quando,
dopo queste parole, tutto resterà esattamente uguale.29” Eventi che
sconvolgono profondamente. Ma le parole scritte serviranno a ricordargli
gli ultimi battiti del cuore di Tobia, i denti curati ai lebbrosi di Gambo,
ai ciechi di Shashamane. Parole che servono a mostrarci come si possa
essere terribilmente poveri e abbandonati senza neanche più speranza
nella profezia biblica.
“Dove sei Gesù? Perché tutto questo? I
poveri li avrete sempre, sta scritto, ma noi, uomini come loro, con che
diritto li affamiamo30?
In questo clima di povertà, di forte dolore, un grande maestro è presente
nella vita di Dino Azzalin; sti tratta di Alex Zanotelli, prefatore del
libro Diario d’Africa. Proprio Zanotelli insegna a tutti noi, attraverso le
114
sue parole, che più ci si avvicina all’uomo che soffre, povero, più ci si
immerge nella sua condizione, più ci si avvicina a Dio. “Quando l’andare
dai poveri ci tocca dentro e ci cambia così radicalmente, quando succede
qualcosa dentro la nostra vita, vuol dire davvero che c’è stata missione,
perché la missione è vera missione quando le persone che si incontrano
cambiano, altrimenti non è missione31”. Ti accorgi quanto i poveri ti
cambino, ti maturino, ti umanizzino. Si cerca di annunciare le meraviglie
di Dio e si scopre, camminando con i poveri, che le meraviglie e i
cambiamento avvengono dentro di noi. Proprio perché Dio è il volto
dei poveri che soccorri. È quanto avvenuto nella vita di Dino Azzalin,
soprattutto durante la tragica avventura vissuta proprio a Korogocho,
dopo aver incontrato Alex Zanotelli. Si tratta di un episodio di rapimento
subito da Dino Azzalin ed i suoi compagni di viaggio, un momento
altamente drammatico e significativo, narrato
nel Diario d’Africa32,
come un episodio chiave nella vita dello scrittore.
Proprio da quel momento, avviene quel cambiamento di cui parlava
Zanotelli, in uno straordinario uomo come Dino Azzalin, che prima si
professava ateo, agnostico, e successivamente rimasto talmente colpito
da quello che avvenne quel giorno, comincia a mettere il mistero nel
cuore della sua vita. Un avvenimento che gli ha permesso di capire il
valore dell’esistenza; in un momento di grande paura trovarsi spogliati
di tutto, non avere più nulla, ti fa capire quanto sia preziosa l’esistenza.
“Iniziai a pregare, non lo facevo da anni33”. Soprattutto gli ha permesso
di scoprire una religiosità taciuta fino a quel momento; il perdono
concesso a coloro che avevano attentato alla sua vita, un anno dopo
trovatosi di nuovo di fronte a quelle immagini, a quell’esperienza,
stavolta in un’aula di tribunale e il suo attentatore lì davanti. Un nuovo
115
sentimento, quello della pietà verso chi non aveva nulla. La scoperta
di un Dio, fino ad allora nascosto, che gli concede una seconda vita.
“Eravamo salvi. Per me era la ulteriore conferma dell’esistenza di
Dio.34”
L’Africa non è soltanto questo, è anche un continente straordinario, e
chi lo ha visto, sia pure una sola volta, fatica a scordarne l’immensa
bellezza. Ricco di umanità e di una natura primordiale, regno di
avventura e insidie, è un continente che sa farsi amare anche per
le sue contraddizioni. Il mal d’Africa probabilmente è un luogo
comune(rimando all’intervista), ma quando si torna da un viaggio
simile, si prova nostalgia per lo spazio e la luce dell’Africa. Sia Moravia
che Paul Klee (solo per portare esempi illustri), sostengono che il
grande rimpianto dell’Europa è non avere la luce dell’Africa. Lo stesso
Moravia ci dice che ciò che differenzia l’Europa dall’Africa è proprio
che in quest’ultima vi è il dominio della natura sull’uomo, e vivendo
questo continente, è la prima cosa che si nota e che rimane nel cuore,
quell’immergersi nella natura. Il mal d’Africa è la diversità dal nostro
sistema, un Occidente che non conosce più stagioni, anni a venire e
futuro, in Africa si ha invece ancora la percezione che esistano ancora
le ore, i minuti, i secondi. E se l’Africa è povera di quello di cui siamo
ricchi, in compenso è molto più ricca di quello di cui noi siamo poveri.
CONCLUSIONI
Il viaggio è una forma di comunicazione tra i popoli ed un’esperienza
in grado di arricchire la persona. Osservando l’evoluzione del viaggio
e soprattutto dell’uomo, possiamo notare come lo spostamento ha
116
caratterizzato l’uomo fin dai primordi della civiltà. Lo spostamento è
insito nella natura dell’uomo, se pensiamo che le prime popolazioni
erano caratterizzate dal nomadismo, possiamo capire il bisogno che ha
l’uomo di spostarsi. Molti studiosi del turismo contemporaneo trovano
che questa forma di viaggio abbia avuto origine dal pellegrinaggio. Il
“viaggio sacro” nel Medioevo coinvolse tutte le classi sociali e lo rese
un fenomeno paragonabile, con le dovute cautele, all’odierno turismo di
massa: l’enorme flusso di pellegrini alimentò infatti la necessità di creare
strutture che si adoperassero ad organizzare i viaggi e l’ospitalità.
Viaggiatori mossi dalla necessità di scoprire i luoghi di nascita e di
sviluppo della propria religione, i centri da cui si è irradiata la parola,
arrivata fino a noi.
Con la trasformazione dell’interesse degli uomini, dalla religione al
patrimonio culturale dei nostri paesi, si assiste lentamente, al formarsi
del fenomeno Grand Tour. Allo stesso modo del pellegrinaggio, anche
questa tipologia di spostamento riguarda, per la stragrande maggioranza,
persone con un reddito elevato che permetta di mettersi in viaggio.
Dall’Italia, culla della civiltà, e detentrice di un immenso patrimonio
culturale, il ventaglio di destinazioni si è allargato anche ad altre località
d’Europa. Le diverse disponibilità economiche di chi viaggiava erano
un fattore che diversificava notevolmente i tipi di esperienza.
Il moderno turismo di massa nasce in Inghilterra, il paese del boom
economico, dove cresce la parte della popolazione che può permettersi
momenti di svago; si tratta infatti di un modo di “evadere” dalla
quotidianità, dalla giornata lavorativa, tutto ciò permesso dalla conquista
della diminuzione delle ore di lavoro e del riposo settimanale. Il
117
viaggio diventa così un diversivo, il cui scopo principale rimane quello
di evadere
lontano dalla caotica città industriale. Si tratta di una
definizione di turismo di massa giunta fino a noi, con l’aggiunta del
“tutto compreso”, l’organizzazione da parte degli enti e agenzie preposte.
Cambia il reddito, cambiano le motivazioni del viaggio e le modalità di
svolgimento. Tutto ciò permette un incremento economico del turismo
ma tuttavia a livello di ideali, a mio modesto parere, si tratta della
sconfitta del viaggio “autentico” a favore di un turismo standardizzato.
Solo a partire dal ‘900, il viaggio comincia ad assumere nuove
motivazioni che si allontanano dal viaggio organizzato. L’uomo riscopre
il desiderio di trovare le proprie origini; il viaggio è un motivo in più per
indagare sé stessi, motivazione presente soprattutto nei moderni “scrittori
di viaggio” che raggiungono quei luoghi che gli permettono di riscoprire
le proprie origini. Forse è per questo che gli uomini si recano in India per
riscoprire le radici profonde del proprio spirito, e in Africa coloro che
vogliono trovare le proprie radici, lì dove è stata scoperta la prima traccia
di umanità.
Esistono sicuramente nuovi modi di viaggiare in questi paesi, senza
essere ghettizzati nei villaggi del “tutto compreso”, dove a volte si è
ignari provocatori in casa altrui, cultori della bellezza che non sanno
privarsi del superfluo nemmeno di fronte agli affamati.
Qualsiasi sia la motivazione che ci spinge a spostarci concludo con una
frase dello scrittore che ha ispirato la mia tesi, tratta dalle ultime pagine
118
di Mani padamadan: “Tutti i viaggi hanno qualcosa di sorprendente, e
se non si concede al viaggio il diritto di distruggerci un poco, tanto vale
stare a casa.”
Non si vede bene che col cuore.
L'essenziale è invisibile agli occhi
APPENDICE
INTERVISTA A DINO AZZALIN
119
Domanda: Dr. Azzalin volevo innanzitutto chiederle della
sua attività di medico odontoiatra, cosa l’ha spinta ad avvicinarsi
all’Africa e ad iniziare la sua attività di aiuti umanitari.
Risposta: Quando nel 1985,
un amico delle elementari di nome
Giacomo, mi propose un viaggio nel Sahara, perché aveva bisogno di un
medico lungo le piste del deserto, accettai con entusiasmo. L'Africa dove
non ero mai stato, era un paese che mi intrigava, così qualche mese
dopo, con gli opportuni preparativi e gli accorgimenti necessari,
partimmo per l'Algeria. In questo gruppo ben assortito si erano aggiunti
via via, francesi, inglesi, tedeschi, belgi, chiamati allora peugeottari,
coloro che compravano (o rubavano) per pochi soldi vecchie Peugeot, le
quali dopo l'attraversamento (quelle sopravvissute) sarebbero state
rivendute aldilà del deserto, perché tutto ciò che arriva oltre il Sahara ha
forza, credibilità, e valore. Durante questo itinerario mi ero portato
attrezzature per curare piccole ferite, anestesie, suture, ma ovviamente
non quelli del dentista che necessitavano di un equipaggiamento ben più
complesso difficile da attivare in pieno deserto, come il trapano, la
poltrona e un riunito. Fu uno dei viaggi più indimenticabile della mia
vita, il viaggio dei viaggi, come ebbi a sentenziare qualche tempo dopo!
Quello che mi ha cambiato completamente e profondamente, sia da un
punto di vista umano che professionale. E fu durante uno di questi
attraversamenti difficili come la Markubà, che si presentava come una
montagna di sabbia che improvvisamente ci si parava di fronte, che mi
illuminò. Oggi con i fuoristrada, coi satellitari, le forze di trazione
integrale, con mezzi più sofisticati, è molto più semplice affrontare
qualsiasi problema, ma noi viaggiavamo con mezzi vecchi e malandati,
quindi
con
delle
problematiche
insite
già
nella
meccanica
120
dell’automobile. E con l'incoscienza degli avventurieri e non dei
viaggiatori.
Davanti
alla
Markubà,
la
pista
di
orientamento
improvvisamente spariva, e ci disorientava. Infatti ci siamo fermati due
giorni, e piano piano facendo 20/30 km al giorno riuscimmo tra gli
insabbiamenti e con molta fatica addentrarci tra le dune di sabbia. Alla
fine del secondo giorno abbiamo visto arrivare una macchina da lontano,
e abbiamo pensato a un fenomeno strano come un miraggio, visto che
per due giorni non avevamo visto anima viva, si trattava di due uomini
armati di vecchi fucili, che dopo una breve chiacchierata capimmo che
erano due tuareg uno dei quali aveva un gran mal di denti. E questo mal
di denti non solo probabilmente ci ha provvidenzialmente salvato da
una razzia, ma istillò per sempre in me il germe del volontariato medico
nei paesi in via di sviluppo. Quando hanno saputo che si trovavano di
fronte a viaggiatori provvisti di medico e, per di più, di un dentista, si
offrirono di farci da guida in cambio dell'estrazione di due molari
purulenti. Infatti si dirigevano proprio a Tessalit dove c'era un
“praticone” che sapeva togliere i denti. Mi proposi allora di farlo io, in
condizioni davvero di emergenza, con l’anestesia che avevo e
disinfettando un cacciavite che usai come leva, e una pinza da
meccanico per toglierli. Così tra l'ammirazione dei miei sventurati
compagni di viaggio, sono riuscito a rimuovere i due denti con le radici
purulente tra la felicità dei due algerini. Lui fu talmente riconoscente di
questo che il giorno dopo ci gratificò con le indicazioni utili per farci
uscire nel giro di qualche ora dalla terribile Markubà. L’anno dopo
purtroppo morì mio padre, nel deserto mi recai a “cercarlo”, sapevo che
a lui sarebbe piaciuto, così lo portai con me a curare alcune ferite in un
ospedale ad Agadez, ma questa è un altra storia. Assaporavo quel senso
121
di libertà assoluto, i silenzi, e quell'essere sporchi, con la barba incolta,
affaticato ma felice, mi faceva tornar bambino, e alle sue carezze. Qui
ho scoperto una nuova dimensione professionale e umana, che ancora
oggi fa parte della mia quotidianità, scoprendo anche un altro modo di
viaggiare e una bellissima opportunità di scrivere.
D: Inizia così anche l’attività dell’associazione Amici Per l’Africa:
come nasce questa associazione e quali sono i programmi umanitari e le
attività di aiuti già realizzate?
R: Prima di arrivare all’APA la mia attività è stata per l’ONG- olandese,
Medicus Mundi, dove ho realizzato la mia prima missione, in Etiopia nel
1987. È nata molto lentamente, perché nell’87 non esistevano
associazioni umanitarie che si occupavano di denti, e quasi tutte le
azioni in Africa erano perlopiù affidate a iniziative sanitarie di medicina
generale e i denti venivano lasciati ai colleghi di buona volontà. Fino a
non molti anni fa, il mal di denti era (ed è) affidato come accennavo
sopra a dei praticoni che purtroppo staccavano solo la parte superiore
della corona, lasciando le radici, che poi si infettavano, con le tragiche
conseguenze, che ahimè ho spesso trovato. Infatti una delle
caratteristiche di molte parti dell’Africa dove ho lavorato, è che vogliono
sempre vedere la radice, molto probabilmente perché vedendo la radice
loro sanno che non potrà più nuocergli quel dente. Poi con alcuni altri
colleghi e altre traversie associative, abbiamo ideato nel ’1992 l'APA
(Amici Per l'Africa) che poi è diventata ONLUS nel 1999, di cui sono
promotore e uno dei fondatori. È un’associazione che riunisce
odontotecnici, odontoiatri, igienisti che si occupano prevalentemente di
creare studi dentistici in strutture già esistenti, come ospedali, dispensari,
122
gestiti da missionari, con i quali si lavora molto bene, più che con i
governi, con i quali è più difficile e complesso ottenere dei risultati
duraturi. È cambiato molto il modo di fare volontariato, prima avevamo
molti volontari che partivano, oggi abbiamo cambiato completamente
filosofia e cerchiamo di formare, di motivare degli odontoiatri locali a
lavorare in queste strutture che abbiamo creato. Anche se non tutto è
sempre facile. Per due anni noi dall’Italia paghiamo lo stipendio a questi
dentisti locali, dai 200 dollari ai 400 dollari al mese, e notiamo la
sproporzione incredibile rispetto all’Europa ed è questa la ragione di
questa loro povertà atavica: una vita mal pagata da sempre! Alla fine del
secondo, massimo terzo anno, noi lasciamo la struttura in mano ai
missionari e ai dental officer, che hanno una loro autonomia. L’APA fa
un lavoro di controllo, e di training, verso il personale medico che porta
avanti la struttura.
D: Quindi inizialmente turista, viaggiatore, e poi aiuto delle popolazioni
locali. Quando ha deciso di mettere per iscritto, quindi di coinvolgere
noi lettori nei suoi racconti di viaggio, con la sua passione per la
scrittura?
R: Nel 1987 feci un seminario di scrittura creativa al Teatro Verdi di
Milano, con un insegnante che ho stimato molto, Giuseppe Pontiggia.
Quando seppe che io facevo questi viaggi mi suggerì di annotare le
mie avventure su quei quaderni che oggi chiamano moleskine, e un
domani quando ne avrei avuto le possibilità di farne un riassunto, che lui
l'avrebbe letto volentieri. Quando nel 2001 pubblicai “Diario d'Africa”,
lui mi disse che avevo ottenuto un buon risultato, per me invece era stato
come viaggiare un'altra volta. Ho sempre dedicato molto alla lettura di
123
libri di viaggio, e solo successivamente amato molto la scrittura, infatti
mio padre mi ha educato molto a questa cosa, i libri come la musica
erano una forma d'arte. E visto che aveva studiato, questa è stata una
bella opportunità: unire alla mia professionalità anche la parola. La parte
iniziale di quello che è stato un po’ il mio approccio alla descrizione più
profonda, anche se devo dire, come diceva Chatwin, che ci sono luoghi,
strade, che anche dopo decenni non si prestano ad essere descritti con le
parole. Ho fatto dei viaggi così importanti, nella Foresta Amazzonica,
in India, in Sudamerica che non sono mai riuscito a descrivere anche
avendo gli appunti. Nella mia casa comincio a mettere ordine a questi
appunti annotati nel mio taccuino e trascriverli. E cerco quella poesia che
vi è nascosta.
D: Quali sono i modelli per i suoi racconti che arrivano al cuore del
lettore, sia a chi come me ha avuto la fortuna di vivere l’Africa, sia a chi
non c’è mai stato e grazie alle sue parole riesce a vivere l’emozione di
questi viaggi?
R: Diciamo che i miei maestri si possono trovare nel libri e sono
soprattutto quelli che ho amato e che mi hanno insegnato a vivere e a
scrivere. Sono sempre più convinto che un grande scrittore sia prima di
tutto un grande lettore. E non solo di autori di viaggio come il poeta
cinese Li Po, Bruce Chatwin, ma anche Alberto Moravia, o scrittori
assolutamente anonimi, quanti mi portano a far conoscere il proprio
modo di viaggiare. Uno dei miei preferiti attualmente è Nicolas Bouvier,
uno scrittore svizzero, che alla fine degli anni ’50 fa viaggio in
Topolino, con un amico fotografo dalla Svizzera arriva fino in India. La
parte che mi piace molto di Bouvier è che scrive questo libro dopo tanti
124
anni, così come è stato per me Diario d'Africa, perché bisogna prima far
sedimentare tutto quello che si annota e che si vede, perché un conto è
guardare e un conto è vedere, la retina guarda e il cuore vede. Bisogna,
asciugare, rastremare togliere orpelli, lasciare al lettore gli occhi per
fargli fare il viaggio di cui lui ha bisogno. E occorre anche ascoltare i
consigli di chi stimi, farti correggere e far tesoro dei loro suggerimenti.
Credo che bisogna avere chiari gli aspetti della crescita e del valore che
fanno dell’incontro con la persona lungo le strade del mondo, una
ricchezza continua. Bisogna ripulire col tempo la scrittura, strigliarla,
togliere il più possibile, scremare, ripulire dai soggettivismi e
aggettivazioni eccessive, cercare di far vedere al lettore quella parte del
viaggio che lui cerca.
E ciò che l’occhio guarda, è questo, perché
ognuno cerca la propria via attraverso quella degli altri, così come la
nostra vita costruita sulle orme di chi ci ha preceduto. Ma ciò che il
cuore vede ha una marcia in più per aggiungere al viaggio il proprio
inedito punto luce. Perché questo ti permette di fare una distinzione tra il
turista che guarda e non vede e il viaggiatore che vede col cuore e
guarda anche con la retina. Questo significa costruire grandi opere.
D: Un’altra sua attività, è quella di editore; cosa l’ha spinta a rilevare
la Vecchia Editrice Magenta e soprattutto a pubblicare Morselli?
R: Diciamo che è stato soprattutto una grande promessa, quasi a
rispettare alcune volontà testamentarie. Ma aldilà di questo, è stata
una promessa a Luciano Anceschi, eminente cattedratico di Estetica
dell'Univeristà di Bologna e mio maestro ma soprattutto l’amicizia di
penna con Bruno Conti, l’ex proprietario della casa editrice (Editrice
Magenta) varesina, col quale avevamo cominciato a lavorare insieme.
125
Alla loro dipartita e quando ho scoperto che chi aveva comprato la
cartolibreria voleva buttar via tutti i libri, dopo la morte di Conti, mi
sono precipitato e con pochi soldi ho portato a casa quella che per me
è stata ed è ancora una vera e propria fortuna: i libri! Ho amato infatti
Morselli come scrittore, non appena furono pubblicati i suoi libri, prima
non sapevo neanche chi fosse. Angelo Maugeri, poeta e mio compagno
d'avventura con la NEM, diceva che ci son tre modi per rovinarsi la vita:
il primo è spendere i guadagni con le signorine, il secondo è buttarli via
al casinò, e il terzo comprarsi una casa editrice. Io ho scelto il terzo.
D: Un’ultima domanda e una mia curiosità: per lei esiste una
definizione di “mal d’Africa”.
R: Diciamo che è un luogo comune questo del “mal d’Africa”, certo è
che quando si torna da un viaggio simile, si ha molta nostalgia dei luoghi
appena lasciati, ma soprattutto dello spazio e della luce. Sia Moravia che
Paul Klee, ma anche tanti altri me compreso, sostengono che il grande
rimpianto dell’Europa è non avere la luce dell’Africa. Se pensiamo che
la vita si è sviluppata intorno all’Etiopia col ritrovamento di Lucy, c'è
da crederci, sul lago Turkana, c'è una tale luce e un calore, che chi ci è
andato anche una sola volta non può più dimenticare il senso del calore
del sole. Quindi capisce che c’è una sorta di antropologica nostalgia di
quello che poi è l’esistenza, di qualcosa di inconscio, la ricerca delle
nostre radici proprio lì in Africa. Il mal d'Africa è l'assoluta diversità dal
nostro sistema, una sorta di fatalismo quotidiano, che in Occidente ha
ormai perso ogni connotazione, infatti per noi esistono le stagioni e gli
anni a venire e il futuro, in Africa si ha invece ancora la percezione che
esistano ancora le ore, i minuti, i secondi.
126
Il presente insomma che noi sprechiamo in cose a volte superflue!
Ilaria Marchetti
(Roma 13 marzo 2013)
BIBLIOGRAFIA
OPERE DI DINO AZZALIN
I disordini del ritmo, Crocetti, Milano, 1985
Deserti, Crocetti, Milano, 1994
Via dei consumati, Ulivo Editore, Chiasso, 1999
Diario d’Africa, Nuova Editrice Magenta, Varese, 2001
Prove di memoria, Crocetti, Milano, 2006
Mani Padamadan (viaggi di sola andata), Nuova editrice Magenta,
Varese, 2007
Guardie ai fuochi, Edizioni del laboratorio, supplemento al numero 37 di
STEVE, secondo semestre, 2010
OPERE DI GUIDO MORSELLI
NARRATIVA
Roma senza papa. Cronache romane di fine secolo ventesimo, Adelphi,
Milano, 1974
Contro-passato prossimo: un'ipotesi retrospettiva, Adelphi, Milano,
1975
Divertimento 1889, Adelphi, Milano, 1975
Il comunista, Adelphi, Milano,1976
Dissipatio H.G. , Adelphi, Milano, 1977
Un dramma borghese, Adelphi, Milano, 1978
Incontro col comunista, Adelphi, Milano, 1980
Uomini e amori, Adelphi, Milano, 1998
Una missione fortunata e altri racconti, con un saggio di Valentina
Fortichiari, Nuova Editrice Magenta, Varese, 1999
SAGGISTICA
Proust o del sentimento, Garzanti, Milano, 1943; ora riedito da Ananke,
Torino, 2007.
Realismo e fantasia, F.lli Bocca, Milano, 1947; ora riedito dalla Nuova
Editrice Magenta, Varese, 2009
Fede e critica, Adelphi, Milano, 1977;
Diario, a cura di V. Fortichiari, prefazione di Giuseppe Pontiggia,
Adelphi, Milano, 1988.
La felicità non è un lusso, Adelphi, Milano,1994
Lettere ritrovate, a cura di Linda Terziroli, Nuova editrice Magenta,
Varese, 2009
TEATRO
Marx: rottura verso l'uomo, commedia del 1968, pubblicata per la prima
volta in «Sincronie», a. 2003, n. 14, pp. 11-42
Cesare e i pirati, a cura di F. Pierangeli, in «In Limine», a. 2009, n. 5,
pp. 13-63
SCRITTI SU GUIDO MORSELLI
A.Santurbano, F. Pierangeli, A. Di Grado, Guido Morselli: Io, il
Male e l'immensità, Rio de Janeiro, Comunità, 2012
Fabio Pierangeli, Sulla scena (inedita) con Guido Morselli, Universitalia,
Roma, 2011
Rivista Studium, Guido Morselli: Le domande ultime e le prospettive
della carità, a cura di Fabio Pierangeli, luglio-agosto 2012- anno 108
Rivista In Limine, letteratura e viaggio, su Guido Morselli, a cura di
Fabio Pierangeli
BIBLIOGRAFIA GENERALE
Attilio Brilli, Il viaggio in Italia, storia di una grande tradizione
culturale, Il Mulino, Bologna, 2011
Gianni Celati, Passar la vita a Dioll Kadd, I narratori, Feltrinelli,
Milano, 2011
Alberto Moravia, A quale tribù appartieni, Bompiani, Milano, 1972
Alberto Moravia, Lettere dal Sahara, Bompiani, Milano 1981
Alberto Moravia, Passeggiate africane, Bompiani, Milano, 1987
Roberto Mosena, Per un meraviglioso attimo, CISU, Roma 2011
Fabio Pierangeli, Il viaggio nei classici italiani, Le Monnier università,
Mondadori, Milano, 2011
Paolo Rumiz, Il bene ostinato, I narratori/ Feltrinelli, Milano, 2011