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Premio FIABA PIÙ CLASSICA
LA MATITA
di Luciano LOIACONI
"Buongiorno!" per chi mi legge di giorno, "Buonasera!" per chi mi legge all'imbrunire.
Mi presento: io sono un oggetto lungo, smilzo con la testa a punta e cappellino scuro; diciamo che sono un oggetto
molto utile perché servo a tutti o quasi, dai ricchi ai poveri, dai buoni ai cattivi, senza distinzioni di razza. Ma più di tutto
amo essere nelle mani dei più piccini. Non che gli adulti mi dispiacciano, anzi, il più delle volte sono loro che mi
consumano di più. Ma, che volete, i bambini sono un'altra cosa. lo godo della loro incertezza nel manovrarmi a destra o
a sinistra, a seconda della loro fantasia.
Ecco, io conosco la vita intima di ognuno fin dall'antichità, fin dal primo momento in cui venni al mondo.
Non ricordo quando fu ma vi assicuro che ho partecipato, senza falsa modestia, alla sua civilizzazione. È stato facile
infatti, quando la mia "mina" ha resistito, mettere nero su bianco in ogni tempo.
Cosa è la mia mina? Ve lo spiego subito: la mia mina non è che la mia anima all'interno di un tubicino di legno che
l'avvolge e la protegge, lasciando fuori giusto quel pezzettino indispensabile ad essere consumato attraverso il mio
cappellino a punta, il quale non deve mai, dico mai, essere spuntato o rotto, altrimenti non funziono più, e questo
purtroppo crea molto nervosismo a chi mi vorrebbe sempre efficiente.
Avete capito ora chi sono? Proprio così, sono la...
Un giorno, non so quando di preciso ma molto tempo fa, mi trovavo in un bel negozio dove sfoggiavo bellissima, pur
nella mia semplicità, in una vetrinetta, aspettando di essere comprata o consegnata a chi mi desiderava. Il mio padrone
era sempre molto gentile e sorridente che quasi quasi non avevo voglia di andarmene via, ma il mio destino era già
segnato.
Quel giorno dunque entrarono nel negozio due ragazzi: uno di loro era vestito elegante e composto che sembrava un
figurino, l'altro invece aveva abiti lisi e cenciosi e aspetto triste e cupo. Il sole splendeva e io, con un pizzico di
compiacimento, ammiravo la mia bellezza e lucentezza nel riflesso della vetrinetta che il raggio di sole esaltava e
pensavo: speriamo di essere consegnata nelle mani del ragazzo ben curato, il quale vivrà sicuramente in un ambiente
ricco e sono sicura, mi tratterà bene e non mi farà mancare le mie giravolte su candida carta tutti i giorni che, per me,
erano come il pane quotidiano.
Mentre l'altro, il ragazzo lacero per intenderci, come mi avrebbe trattata? Avrà avuto un cassettino dove ripormi alla
sera prima di andare a letto? No, no, ancora pensavo, meglio non rischiare, delicata come sono preferivo essere
comprata dal ragazzo ricco, è più sicuro che me la passerò bene!
Però poi, ripensandoci, in fondo che mi importava? Quello che contava veramente per me era essere utile, umile e
dare il mio contributo a tutti sia nel bene che nel male, senza alcun compenso.
Mentre mi arrovellavo in questi contrastanti e turbinosi pensieri, fui comprata dal ragazzo più ricco. Immaginate un po'
da quale gioia immensa fui colpita, è chiaro che alla fine avrei preferito andare a vivere in agiatezza, piuttosto che
sacrificarmi all'incertezza di una vita grama; tutto sommato sono stata fortunata.
Dopo aver salutato il mio vecchio padrone con molte giravolte su un foglio bianco, me ne andai tranquillamente con il
mio nuovo giovane padrone, ma non lo lasciai senza però aver dato un'ultima sbirciatina a quel bimbo triste che mi
guardava con i suoi grandi occhi scuri. Giurerei di aver visto una lacrimuccia e lì per lì mi dispiacque molto, ma che
potevo farci?
Arrivati a casa però tutta l'allegria finì di colpo: il ragazzo mi prese e malamente mi buttò dentro una cella chiusa
ermeticamente. Chissà, forse era un grosso astuccio come quelle cose moderne che portano a volte i bimbi a scuola,
dove infilzano quelli come noi in strettissimi anelli. Mi sentivo soffocare, tutto intorno a me era di colore rosso. Avrei
voluto gridare "Aiuto! Salvatemi!", ma nessuno veniva in mio soccorso. Tutto questo non mi sembrava vero e che
succedesse proprio a me che ero abituata ai profumati cassetti di scrivania. Ad un certo punto mi accorsi di essere
meno sola, accanto a me, sempre inanellato, c'era un essere odioso al quale era dato il compito di strofinare il segno
che lasciava il mio cappellino sul foglio fino ad annullarmi completamente, in parole povere a- farmi sparire. Ahimè!
Dove sono capitata! In quella cella rossa però non ero sola: una sorellastra dal sangue blu faceva gran mostra di sé,
era tutta imbrillantata come una regina e destava in me, lo confesso, una certa invidia. Al suo seguito c'erano anche
tante altre sorelle foggiate in diversi colori, ognuna di esse aveva sul fondo dell'abito l'odioso marchingegno per
strofinare. Bah! Forse si volevano autodistruggere. Anch'esse erano imprigionate come me e come me vittime
dell'anello che le costringeva all'immobilità. In fondo alla prigione, riposto in un angolo oscuro, c'era la macchina della
tortura. Una sorta di rotonda ghigliottina che serviva a rigirare la nostra testa e affilare il nostro cappellino a punta di
spillo.
Rimasi chiusa e in quella posizione per più di un giorno, finché, rassegnata al mio destino mi addormentai. Un
frastuono all'improvviso mi svegliò, la mia cella si aprì e mi trovai davanti ad uno schiamazzante gruppo di bambini che
gridavano e si spingevano a vicenda. Pensai, forse vogliono vedermi al lavoro, vorranno vedere cosa so fare, e questo
pensiero mi rallegrava, facendomi dimenticare il passato, cioè la prigione rossa. E fu allora che per l'emozione caddi a
terra e da terra diedi una sbirciata alla stanza. In. un angolo vi erano delle bimbe sedute su piccoli banchi, in fondo una
donna anziana con occhialoni sul naso a mo' di grandi specchi osservava alcuni ragazzi dietro un tavolo, che avevano
in mano le mie sorelline colorate. Al lato della stanza vi era una finestra e l'ambiente profumava di inchiostro.
Ma guarda guarda, c'era anche quel bambino lacero che vidi quando ero nel negozio. Lo fissai con grande simpatia e
notai le sue manine vuote, non aveva niente, neanche una delle mie sorelle colorate: come mai? Allora capii la sua
tristezza. Lui voleva me quel giorno in negozio e non mi poté comprare. Questo mi dispiacque molto ma che potevo
fare. Qui ci voleva proprio un'idea, ma quale? "Ho trovato!", ma mentre pensavo alla mia trovata, il mio padrone mi
raccattò da terra e nel farlo mi sgualcì il mio abitino di legno di mogano, perciò dissi fra me: "Prima lo faccio e meglio è
anche per me, ne va della mia incolumità!". La mia idea era questa: io dovevo fare in modo che il mio padrone mi
ripudiasse, cioè mi cacciasse via e per farlo un buon sistema era quello di farlo sbagliare di proposito finché arrivasse
alla decisione di non volermi più. Intanto lui aveva tante altre mie sorelle che potevano prendere il mio posto.
Detto fatto, cominciai a sbagliare, e l’essere odioso a strofinarmi, e io ancora a sbagliare e venni ancora strofinata, e
ancora a sbagliare e ancora annullata. La mia ostinazione non aveva paragoni e non venni meno al mio proposito.
Infine il mio padrone disse: ”Che bidone ho preso! Non ti voglio più”. E più velocemente di quanto pensassi finii nel
cestino.
Il bimbo lacero, che con i suoi occhioni tristi aveva osservato tutta la scena, mi raccolse subito con grande delicatezza,
mentre il mio ex padrone commentò: "Sì, sì, vai da lui che fin dal primo momento ti voleva, a me non servi più”. Così,
felicissima, andai con quel bambino, mio nuovo e ultimo padrone, il quale mi fece un abitino bianco di cartoncino
mascherando così le mie ammaccature, e forse vi sembrerà strano, ma io mi sentivo di nuovo bellissima e con tanta
voglia di lavorare fino a consumarmi tutta. Fra quelle manine amorose feci cose meravigliose e soprattutto non lo feci
sbagliare mai, almeno non con me.