G. Rizzolatti

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G. Rizzolatti
GIACOMO RIZZOLATTI
Dipartimento di Neuroscienze, Università di Parma
LE TRE MENZOGNE SULLA SPERIMENTAZIONE ANIMALE
La prima volta che mi sono imbattuto nel problema della sperimentazione animale
come fatto giuridico è stato nel 1993, Presidente del Consiglio Azeglio Ciampi. In
quell’anno approfittando di una nuova normativa europea, un deputato, Pecoraro Scanio,
presentò una proposta di legge che avrebbe vietato, se approvata, di tenere gli animali al
di fuori del loro “habitat naturale”. Trasgressioni a questa legge sarebbero state punite con
multe elevatissime e galera in caso di reiterazione del reato. Per noi che conducevamo
esperimenti su scimmie la proposta di legge Pecoraro Scanio era devastante. Per fortuna,
grazie al Rettore dell’Università di Parma, un noto costituzionalista, riuscimmo ad avere
un’udienza da parte della Commissione del Senato che discuteva la proposta di legge di
Pecoraro Scanio. Parlarono i Presidenti di varie Società scientifiche, il Preside della Facoltà
di Veterinaria di Parma e alcuni ricercatori. Fu un trionfo. La proposta di legge fu bocciata
in Commissione e mai più ripresentata.
Ricordo questo episodio per mostrare la differenza di atteggiamento delle forze
politiche di allora rispetto a oggi verso la sperimentazione animale. In quegli anni contrari
erano i deputati ambientalisti e qualche radicale. I partiti maggiori (DC, PCI e gran parte
del PSI) consideravano gli argomenti dei ricercatori convincenti e le argomentazione degli
animalisti mere farneticazioni. Alla fine della mia conversazione cercherò di dare una
spiegazione di questo mutamento di atteggiamento.
La battaglia contro la sperimentazione animale da parte degli antivivisezionisti si
basa su tre argomenti. Come vedremo tutti e tre sono insostenibili. Essi sono: 1) “La
sperimentazione animale non serve, né è mai servita al progresso scientifico”; 2) “È una
pratica crudele”; 3) “Esistono mezzi alternativi” (Diapositiva 2, le tre menzogne).
La risposta al primo argomento si trova nelle Diapositive 3 e 4. Le tabelle presentate
in queste diapositiva si basano su dati della “American Medical Association” (AMA). La
Diapositiva 3 mostra come la ricerca sugli animali abbia dato fondamentali risultati non
solo in farmacologia, ma anche in molti altri campi come, ad esempio, la chirurgia cardiaca.
La Diapositiva 4 mostra i successi scientifici ottenuti mediante esperimenti sui primati.
I dati di queste diapositive sono solo la punta dell’iceberg delle conquiste ottenute
utilizzando la sperimentazione animale. Non vi sono elencati, infatti, i dati ottenuti dalla
ricerca di base, quella ricerca che permette di conoscere i meccanismi che regolano la
nostra vita e che, in ultima istanza, sono l’humus da cui derivano le scoperte che hanno
una ricaduta pratica.
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Basteranno due esempi. Uno è la miastenia grave. Il sintomo principale di questa
malattia è una forte debolezza, che inizialmente colpisce soprattutto i muscoli palpebrali.
Il quadro clinico si aggrava progressivamente fino alla morte per paralisi respiratoria. La
cura della malattia si basa su una serie di scoperte “inutili” fornite dalla sperimentazione
animale. Queste scoperte vanno dalla descrizione della struttura della sinapsi neuromuscolare, alla scoperta dell’enzima che distrugge l’acetilcolina, il mediatore chimico di
questa sinapsi, fino all’isolamento e descrizione dei suoi recettori (Diap. 6, 7, 8). Con questi
elementi in mano si è potuto riprodurre la malattia. Come? Mediante l’iniezione dei
recettori dell’acetilcolina in un animale e precisamente un coniglio. A seguito
dell’iniezione, il coniglio presentava progressivamente la sintomatologia della miastenia
umana. Cosa era successo? Il coniglio aveva sviluppato anticorpi contro i recettori
dell’acetilcolina e questi avevano attaccato sia i recettori iniettati, sia quelli della sinapsi
neuromuscolare del coniglio stesso. L’esperimento dimostrava quindi che la miastenia è
una malattia autoimmune. Una volta scoperto questa si poteva apprestare una cura
appropriata a base di cortisone e farmaci immunosoppressori. Come mostra la Diap. 9,
(testo tratto da un moderno trattato di neurologia): «La maggior parte dei pazienti, se ben
trattati, raggiunge una qualità di vita quasi normale senza problemi significativi». Prima
di questi esperimenti la morte dei malati miastenici era inevitabile.
Un secondo esperimento “inutile” che voglio ricordare è quello di Otto Loewi (Diap.
10). Talvolta lo raccontavo ai miei studenti in questa forma. Un giorno Otto Loewi, un
noto fisiologo di Graz, estrasse il cuore di una rana e stimolò il nervo vago del cuore
stesso; osservò che il numero e la forza dei battiti cardiaci diminuiva. Durante la
stimolazione raccolse il liquido dal recipiente in cui era poggiato il cuore stimolato e lo
mise in contatto con un altro cuore di rana estratto da un altro animale. Vide che il liquido
produceva lo stesso effetto della stimolazione del vago.
L’esperimento è raccontato in maniera corretta, ma la frase «estrasse il cuore di una
rana» immancabilmente produceva un momento di sbigottimento, di stupore e anche di
disgusto in alcuni studenti. A questo punto aggiungevo: «naturalmente le rane erano
anestetizzate». Basta omettere un dettaglio per trasformare un esperimento fondamentale
della fisiologia: la prima dimostrazione inconvertibile della esistenza di mediatori chimici
della trasmissione nervosa, in un esperimento sadico. È la tattica usata dagli animalisti per
screditare la ricerca scientifica.
Mentre il primo argomento contro la sperimentazione animale, cioè la sua inutilità,
è demenziale, il secondo (Diap. 11), quello della possibile sofferenza dell’animale durante
gli esperimenti, merita una riflessione. Infatti, quest’argomento, al di là delle sciocchezze
pseudo-filosofiche del tipo un uomo o un topo hanno lo stesso valore, ha una sua verità
storica. Se si leggono i protocolli degli esperimenti eseguiti nella prima metà del novecento,
non vi è dubbio che il dolore fosse una variabile presente nella sperimentazione animale.
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Le cose sono però radicalmente cambiato da almeno 40 anni. Le tecniche chirurgiche si
sono raffinate, i tipi di anestesia sono aumentati e divenuti più efficaci e, soprattutto, si
sono affrontati problemi scientifici complessi in cui il dolore è un fattore che avrebbe reso
dubbi o addirittura privi di validità i dati raccolti.
Durante la crisi dell‘83-84 cui ho accennato all’inizio di questa relazione, decisi di
tradurre in italiano il “libro bianco” sulla sperimentazione animale pubblicato da poco
dalla “American Medical Association”. Lo scopo era di informare l’opinione pubblica sulla
realtà della sperimentazione animale. Chiesi a Rita Levi Montalcini di scrivere la
prefazione. Penso che chi ha conosciuto Rita ricorderà la sua grande prudenza ed anche il
suo desiderio di essere amata dalla gente. Eppure, da vera scienziata, non esitò a scrivere
la prefazione, indifferente al fatto che questo non la avrebbe certo resa più popolare tra gli
animalisti. Il testo della Montalcini è riportato nella Diap. 12. Come si può leggere, il 94%
degli animali da esperimento non sono esposti a sofferenza durante gli esperimenti o
questa è ridotta al minimo in base a farmaci che leniscono il dolore. «Rimane circa il 6%
sottoposto a trattamenti che provocano dolore perché lo scopo degli esperimenti è di
produrre farmaci che leniscono la sofferenza. Ogni procedimento che la mitigasse ne
vanificherebbe lo scopo».
Se qualcuno fosse ancora scettico su questo punto, lo invito a leggere la sezione
“Metodi” di un qualsiasi lavoro scientifico contemporaneo. La Diap. 13 descrive quella di
un lavoro recentemente sottoposto per la pubblicazione alla rivista “Proceeding of
National Academy of Sciences”, di cui ho fatto da “Editor”. Si può vedere come le
precauzioni per evitare ogni sofferenza preoperatoria, durante l’operazione, e postoperatoria non son diverse da quelle che adotterebbe un team chirurgico per una
operazione sull’uomo in un paese avanzato.
Il terzo argomento contro la sperimentazione (Diap. 14) è quello dell’uso di metodi
alternativi. Qui si oscilla tra banalità e malafede. La banalità consiste nel consigliare agli
scienziati di usare modelli matematici, reti neurali artificiali, computer, ecc. Tutte cose che
quasi tutti i ricercatori fanno collaborando con gli specialisti del campo specifico. Non si
tratta però di metodi alternativi, ma di metodi aggiuntivi che arricchiscono, aiutano ad
interpretare, e spesso suggeriscono nuovi esperimenti sugli animali.
Così pure la sostituzione dell’esperimento sull’animale intero con l’uso di tessuti, di
preparati su vetrini, ecc. sono metodi complementari che vengono usati quando sono utili.
Impiegarli quando sono meno efficaci dell’esperimento sull’animale sarebbe cadere nella
trappola pseudofilosofica (pseudofilosofica perché mancante di coerenza interna) che la
vita di un uomo ha lo stesso valore di quella di un topo o di un ratto.
La malafede o forse un’infinita ignoranza si trova in argomenti come quelli esposti
dalla Senatrice Silvia Amati sull’Unità (Diap. 15). «Quando parliamo di metodi alternativi
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parliamo di metodi estremamente avanzati: microcircuiti cellulari, organi bioartificiali,
studi epidemiologici». Nessun commento. Qui basta una risata.
È stato talvolta suggerito che la ripulsa della sperimentazione animale da parte di
una frazione consistente della popolazione sia dovuta a una maggiore sensibilità verso la
sofferenza. In altre parole il mondo è diventato più buono. Per smontare l’equazione tra
buoni ed antivivisezionisti basta esaminare chi siano i “buoni”. Per fare questo basta un
esempio. Basta ricordare che uno dei primi atti del governo nazista appena eletto è stato
quello si promulgare una legge a difesa degli animali. La parte concernente la
sperimentazione animale è riportata nella Diap. 16. È interessante sottolineare alcuni
articolo. Art 5: «Gli esperimenti sui cavalli, i cani, i gatti, le scimmie possono essere
effettuati solo quando l'obiettivo non possa essere raggiunto su altri animali». A parte i
cavalli (molto amati dai nazisti), la normativa sembra identica a quella approvata dalla
Comunità europea. Art. 7: «Gli esperimenti animali a scopo pedagogico sono permessi
solo quando altri strumenti come disegni, modelli, tassonomie e film non siano sufficienti».
Ritornano i metodi alternativi, la grande novità propugnata dalla Senatrice Amati e in
forma meno rozza da altri.
Penso che ritenere “buoni” Hitler e i suoi collaboratori sia una tesi difficile da
sostenere. Allora a cosa è dovuta la maggiore sensibilità moderna alla sofferenza degli
animali e come mai era già presente tra i gerarchi nazisti?
Bisogna innanzitutto ricordare che gran parte delle nostre credenze sono
determinate dalle condizioni sociali in cui noi viviamo (Diap 17). Spiegare a un contadino
che ammazzare una gallina o uccidere un maiale è male, è impossibile. Per una ragazzina,
invece, convinta che la carne sia un prodotto dei supermercati, mostrare un capretto morto
è uno shock. Deciderà che mangiare carne di capretto a Pasqua è un delitto.
L’urbanizzazione e la perdita di ogni rapporto con la natura degli abitanti delle città ha
fatto si che molti cittadini non sanno che la vita degli animali è crudele e ignorano che
l’uomo è parte della natura non meno degli altri animali. Dichiarare che l’uomo deve
astenersi dall’uccidere animali è stupido, poiché impossibile. Si tratta di un’arroganza
culturale che non riconosce i limiti che la natura pone alla nostra libertà.
Resta il problema della “bontà” di cui si vantano molti animalisti. Qui temo che
l’amore sviscerato per gli animali da affezione sia una conseguenza di una società
fortemente egoista, fatti da individui che hanno difficoltà ad instaurare rapporti “sani” con
altri individui. Stabilire rapporti con altri implica cedere su alcuni argomenti, trovare un
compromesso, vedere il punto di vista dell’altro. È un rapporto tra pari. Il rapporto cogli
animali da affezione è un rapporto padrone suddito. Un egoista è capace di instaurare solo
questi tipi di rapporti. Esiste anche il problema della solitudine, anch’essa spesso dovuta
ad una cattiva organizzazione sociale, che porta ad avere rapporti affettivi solo con il
proprio cane. Ma questo è un altro problema.
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