“La sperimentazione animale è essenziale per migliorare le
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“La sperimentazione animale è essenziale per migliorare le
MANTOVA LUNEDÌ 5 DICEMBRE 2016 la Voce di Mantova 9 Continua il dibattito sull’attuazione della direttiva europea sulla protezione degli animali utilizzati a fini scientifici recepita dall’Italia nel 2014 Etica e scienza a confronto su un tema particolarmente dibattuto. Il parere di due esperti “La sperimentazione animale è essenziale per migliorare le conoscenze biomediche” GIULIANO GRIGNASCHI PROF. LUCA GUIDOTTI “Purtroppo sappiamo ancora troppo poco “I benefici non sono soltanto per l’uomo per poter mimare un organismo vivente” Ci poniamo tutti i giorni la questione etica” MILANO Nell'ultimo periodo è tornato di forte attualità il dibattito sull’attuazione della direttiva europea sulla protezione degli animali utilizzati a fini scientifici recepita dall’Italia nel 2014. Due anni fa le più grandi realtà in ambito di ricerca si sono unite con il nome di Research4life per parlare con un’unica voce. Ne fanno parte big come AIRC, Telethon, San Raffaele, Università di Milano, Istituto di Ricerche Farmacologiche Mario Negri. Forse per la sua delicatezza etica, la ricerca parla sempre troppo poco di sperimentazione animale non favorendo la conoscenza di chi è meno esperto in materia. «In effetti abbiamo avuto troppo timore in passato nell'affrontare questo argomento - spiega Giuliano Grignaschi, portavoce di Research4Life - lasciando spazio alla nascita di false teorie e di “ipotesi complottistiche”. Questa è anche la ragione principale per cui, circa due anni fa, la comunità scientifica italiana ha sentito l'esigenza di creare Research4Life. Se il dibattito etico è assolutamente aperto, la stessa cosa non è però vera per quello scientifico, dove le prove a favore della assoluta utilità del modello animale nella ricerca e nello sviluppo di nuove terapie sono schiaccianti. Solo sulla base dei dati scientifici corretti è possibile affrontare il tema etico quindi la comunità scientifica deve assumersi il compito di divulgare molto più assiduamente i risultati del proprio lavoro». Spesso nel linguaggio comune il termine vivisezione viene visto come un generico sinonimo della “ricerca sugli animali”, vuole spiegarci le differenze? «Le pratiche propriamente chiamate “vivisezione” sono state da tempo condannate ed accantonate, sia nella quotidianità della sperimentazione scientifica, sia da un punto di vista normativo. L’Italia nel 2014 grazie al decreto legislativo n. 26 si è infatti adeguata alla direttiva europea del 2010, vietando la vivisezione, intesa come insieme di procedure che causano gravi e non alleviabili sofferenze agli animali. Anzi, è bene ricordare come da pochi mesi la Commissione Europea abbia messo in mora il nostro paese - procedura che precede la multa perché la normativa italiana in tema di sperimentazione animale è esageratamente restrittiva rispetto a quella di tutto il resto d'Europa e del mondo. Per comprendere a pieno anche l’unità di pensiero dell’intera comunità scientifica in materia, voglio richiamare un sondaggio effettuato dalla rivista Nature - la più prestigiosa rivista scientifica mondiale - che indica come circa il 95% dei ricercatori concorda sul fatto che i modelli animali siano ancora essenziali per l’avanzamento delle conoscenze biomediche». La ricerca sugli animali è effettivamente ancora così necessaria? «Assolutamente sì, la sperimentazione animale è ancora fondamentale ed è ampiamente utilizzata in tutte le parti della ricerca biomedica, andando dallo sviluppo di terapie farmacologiche, alla messa a punto dei trapianti fino alla ricerca di base. I modelli animali sono ancora quelli che ci permettono di procedere nella conoscenza delle malattie e nello sviluppo delle nuove terapie. Attualmente diventa quindi impossibile farne a meno perché purtroppo la tecnologia non ci consente ancora di ricostruire in maniera precisa quello che è un organismo vivente e di comprendere a fondo quei meccanismi e quelle interazioni di tutti i diversi geni che abbiamo all'interno del genoma. In sintesi, sappiamo ancora troppo poco per poter mimare un organismo vivente, quindi abbiamo ancora bisogno di modelli, certamente imperfetti, ma che molto si avvicinano alla realtà umana. La comunità scientifica non ha dubbi su questo argomento, come ampiamente dimostrato da sondaggi e interviste». Giuliano Grignaschi è Responsabile dell’Animal Care Unit IRCCS Istituto di Ricerche Farmacologiche Mario Negri e Segretario Generale di Research4Life. MILANO Una delle questioni sulla sperimentazione animale è quella della ricerca sui metodi alternativi. Una ricerca che sta dando alcuni risultati ma che al momento non è sufficiente ad evitare l’utilizzo di specie animali. Ne parliamo con il prof. Luca G. Guidotti è Vice-Direttore Scientifico e responsabile del Reparto di Immunopatologia dell’IRCCS Ospedale San Raffaele. Prof Guidotti cosa si intende per sperimentazione animale? «Occorre distinguere tra la sperimentazione legata alla ricerca che mira a produrre nuove conoscenze biomediche a favore sia degli uomini che degli animali, quella ad esempio legata allo studio dei meccanismi di malattia (primo passo per arrivare a nuove cure) e che rappresenta la parte minoritaria, e la sperimentazione animale come obbligo normativo, quella imposta dalle agenzie regolatorie per testare farmaci e dispositivi innovativi o per validare nuove terapie cellulari e tecniche chirurgiche. Questo è un passaggio obbligato, prima che i prodotti vengano testati sull’uomo. E’ bene quindi sapere che se vogliamo andare avanti con le cure necessarie sia per gli uomini che per gli animali, la legge impone certe procedure». I ricercatori hanno un interesse concreto a trovare i metodi alternativi? «Certamente, perché mentre parliamo di obblighi di legge e seguiamo il percorso stabilito, ci poniamo tutti i giorni la questione etica e nessuno di noi fa finta che questa non esista. La specie umana si è assunta una responsabilità verso le altre specie e ha deciso di prendere il vantaggio della scelta di utilizzare gli animali per ottenere cure che vanno a beneficio, non soltanto degli esseri umani ma anche di tutti gli altri esseri viventi. Ma ognuno di noi vorrebbe evitarlo. Sfatiamo un luogo comune: anche i ricercatori amano gli animali e se possono evitare di utilizzarli ne sono felici. Non ho il diritto di dire se sia giusto o sbagliato, ma a chi mi dice di essere contrario alla sperimentazione sugli animali, premettendo che capisco benissimo la sua posizione, devo fargli notare che per lei o per lui ciò comporta dover rinunciare ad assumere farmaci o sottoporsi ad interventi chirurgici, a curarsi nel vero senso della parola. Se sei disposto a farlo, puoi essere coerente con te stesso. Il nostro corpo è molto complesso, se abbiamo bisogno di testare un antiaggregante per la trombosi o l’infarto o sviluppare un vaccino contro un nuovo virus, ad esempio, non abbiamo alcuna scelta perché con gli organi artificiali o simili non riusciamo a riprodurre neanche l’uno per mille dell’organismo umano o animale». Quali sono i vantaggi dei metodi alternativi? «Oltre alla questione etica, esiste una forte ragione pratica. Utilizzare gli animali costa moltissimo e poterne fare a meno significa risparmiare molto. Per un settore come la ricerca che in Italia è alle corde per carenza di fondi, avere questa possibilità per tutte le sperimentazioni, sarebbe un enorme vantaggio, poiché si potrebbero usare i fondi risparmiati per ampliare i campi di ricerca. E’ anche quindi per questa ragione che i ricercatori che utilizzano animali sono i primi (e i più interessati) soggetti a sviluppare metodi alternativi». Il prof. Luca G. Guidotti è un patologo sperimentale di fama internazionale nel campo delle epatiti virali. Il Prof. Guidotti ha trascorso più di venti anni presso lo Scripps Research Institute di La Jolla in California e attualmente ricopre la carica di Vice-Direttore Scientifico dell’IRCCS Ospedale San Raffaele. Ha pubblicato sulle più prestigiose riviste scientifiche internazionali (come Cell, Nature, Nature Medicine o Science) grazie a finanziamenti del National Institute of Health (NIH) americano e l’European Research Council (ERC), enti presso i quali serve come revisore per la ripartizione dei finanziamenti internazionali alla ricerca biomedica.