Il “re” è nudo?
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Il “re” è nudo?
EE EDITORIALE EDI TO Di Massimo Vallini Lance Armstrong avrebbe tenuto tutto e tutti sotto controllo o anche sotto ricatto, compagni di squadra compresi. Che ora vuotano il sacco.. Il “re” è nudo? D enaro, tanto denaro. Non solo il “più grande e sofisticato sistema di doping della storia”, come l’Usada, l’agenzia antidoping statunitense, ha definito l’affaire Armstrong. Un vero fiume di denaro, di cui Lance Armstrong ha potuto disporre grazie all’organizzata struttura affaristica su cui ha potuto contare da subito, quando ha rivelato il suo potenziale “vincente” e attrattivo per la pubblicità tra 1998 e 1999, proprio gli anni in cui nasceva la Wada, agenzia mondiale dell’antidoping. Un fiume di denaro di cui ha fatto uso inizialmente per imporsi e anche per tutelarsi, quando il dubbio o le minacce gli si avvicinavano troppo. Per la salvezza a vita, però, ci vuole altro, perché il sistema così ben congegnato adesso sembra sul punto di crollare. Anche grazie ad alcune donne, tra le quali la sua ex Sheryl Crow e l’ex massaggiatrice Emma O’Reilly. Kathy LeMond, moglie dell’ex ciclista americano Greg LeMond, ha accusato, sotto giuramento, la Nike di aver dato 500 mila dollari nel 2006 a Hein Verbruggen, allora presidente dell’Uci. La donna ha riferito che Julian Devries, un meccanico del team di Armstrong e un tempo amico del marito, le avrebbe detto del versamento eseguito su un conto bancario svizzero. I soldi erano destinati, secondo l’accusa, a coprire i risultati di un test antidoping nel quale Armstrong, nel 1999, era risultato positivo. Anche Betsy Andreu, moglie di Frankie, ex componente del team di Armstrong, ha affermato che “Lance non ha agito da solo, aveva imprese dietro di lui, l’Uci l’ha difeso e i media hanno ignorato l’evidenza”. Armstrong personalmente avrebbe donato, poi, 100 mila euro all’Uci nel 2000, come ha rivelato lo stesso attuale presidente, Pat McQuaid, nel 2010. La Nike ha subito rescisso il contratto di sponsorizzazione accusando il ciclista “davanti alle prove apparentemente insormontabili”, di averla indotta in errore per anni. Anche il marchio di biciclette Trek si è affrettato a fare un passo indietro e così il produttore di birra Anheuser-Busch. E la compagnia di assicurazioni Sca chiede la riapertura di un processo per recuperare il premio di 5 milioni di dollari pagato per la vittoria al Tour 2004. Armstrong si trova inguaiato e, con lui, anche l’Unione ciclistica internazionale che dovrà spiegare alcune cosette. Verbruggen ha negato la “donazione” ricevuta e ha comunque difeso l’ex ciclista; “mai trovato positivo in un controllo antidoping, neanche in uno, realizzato dall’Usada”. Dunque il cerchio si stringe. E dispiace, per il ciclismo e per un atleta che al ciclismo ha dato molto in termini d’immagine. Ma, se è stato come sembra emergere, ha indotto in errore tutti noi. E adesso quell’immagine si ritorce drammaticamente contro di lui. Armstrong, senz’altro con il supporto della squadra Us Postal del direttore sportivo Johan Bruyneel, avrebbe tenuto tutto e tutti sotto controllo o anche sotto ricatto, compagni di squadra compresi. Adesso, però, in cambio di generosi sconti di pena, anche i suoi ex gregari hanno vuotato il sacco. Grazie alle testimonianze sotto giuramento di 26 persone, tra cui 15 corridori, appunto, L’Usada avrebbe dimostrato, in un dossier di oltre mille pagine, l’uso costante e prolungato di sostanze dopanti nonché lo spaccio alla squadra. Il sistema delle pratiche dopanti è dettagliatamente descritto anche nel libro dell’ex compagno di squadra alla Us Postal, Tyler Hamilton, dal titolo “The secret race”, uscito lo scorso settembre. Ma anche prima, almeno dal 2004, circolano altri libri e inchieste, per esempio dell’Équipe, ancora per il Tour del 1999. L’Uci dovrebbe ora ratificare le accuse dell’Usada, contro cui Armstrong ha rinunciato al ricorso e alla difesa, che il 24 agosto scorso l’ha squalificato a vita togliendogli tutti i risultati sportivi ottenuti dal 1998 in poi. Il texano non solo rischia la revoca dei sette Tour de France vinti tra il 1999 e il 2005, ma anche la prigione a causa di una testimonianza sotto giuramento rilasciata davanti a un tribunale americano nel 2005. Armstrong avrebbe dichiarato il falso negando di avere assunto sostanze dopanti e di aver conosciuto Michele Ferrari, il medico che secondo l’Usada era dietro il sistema doping messo in piedi da Armstrong e dalla Us Postal. Ferrari, al centro di un’altra pesante inchiesta che riguarda molti ciclisti italiani e anche la Liquigas, sembra però intoccabile. Invece potrebbe svelare davvero molti segreti che potrebbero portare a rivedere tutta la storia del ciclismo degli ultimi vent’anni contribuendo forse a gettarli alle spalle con tutto il carico di immoralità e frode sportiva che li hanno caratterizzati. Novembre 2012 RIALE