del 28 Giugno

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del 28 Giugno
Del 27 Luglio 2015
Estratto da pag.6
Del 27 Luglio 2015
Estratto da pag.6
Addio Campidoglio
C’ è chi parla dei Dieci piccoli indiani di Agatha Christie, chi del film Final Destination , dove un gruppo di
ragazzi in partenza per la Francia viene falcidiato, prima per un disastro aereo poi per una serie di strane
coincidenze. Resta il fatto che, da qualche settimana, la foto più «gettonata» su Facebook è quella che ritrae la
prima giunta Marino, che si insediò il primo luglio del 2013, venti giorni dopo che il chirurgo dem vinse il
ballottaggio contro l’uscente (e poi travolto da Mafia Capitale) Gianni Alemanno. Solo che, sulle facce degli
assessori, sorridenti sotto la statua equestre di Marc’Aurelio che domina piazza del Campidoglio, ci sono sette
crocette rosse, tante quante gli elementi che, per un motivo o per l’altro, hanno lasciato Palazzo Senatorio.
Una sorta di Spoon river , avviata da Daniela Morgante, romana, classe ‘73, magistrato della Corte dei Conti,
la prima donna del «rigore contabile» applicato ai conti capitolini. La Morgante era uno dei tratti distintivi del
«Marino I», quella che chiamò — d’accordo col sindaco — gli ispettori del ministero dell’Economia in
Campidoglio per verificare appalti, procedure, pratiche amministrative. Ne nacque il famoso rapporto di oltre
200 pagine, che Marino utilizzò per rivedere il salario accessorio dei 23 mila dipendenti comunali. Sembrava
un sodalizio di ferro, quello tra la «lady dei conti» e Ignazio, suggellato dall’approvazione del bilancio 2013
(su cui pendevano oltre 800 milioni di disavanzo che Marino ereditò dalla giunta di centrodestra) portato a
casa solo grazie alla mediazione dell’assessore con il governo Letta. E invece fu l’inizio della fine. Marino e la
Morgante vennero ai ferri corti prima sui pagamenti della metro C, su cui il sindaco sposò la linea
dell’assessore ai Trasporti Guido Improta. Poi sull’impostazione della manovra finanziaria del 2014. La
Morgante venne accusata di essere «troppo rigida, più un magistrato che un politico» e via via venne
emarginata, messa all’angolo, criticata. L’epilogo ad aprile 2014. La Morgante anticipò le cifre del bilancio
che voleva portare in giunta, Marino prima la sfiduciò (a mezzo stampa), poi la chiamò: «Basta, non puoi fare
come ti pare, hai passato il segno. Servono persone a posto coi nervi e tu non lo sei», le disse il sindaco. Il 16
dello stesso mese, il magistrato della Corte dei Conti si chiamò fuori dalla giunta: «Io e il sindaco prendiamo
strade diverse. Gli serviva un assessore più politico» disse. Cambiate le situazioni, è quanto accaduto oggi con
Silvia Scozzese. La Morgante preferisce non commentare le vicende di questi giorni, ma con qualche amico si
è lasciata andare ad una battuta: «Diciamo che ho fatto tendenza...». E poi ha ribadito quanto detto già un anno
fa: «A Roma, e a Marino, ho dato tutto quello che avevo. Ma anche io, ad un certo punto, divenni un ostacolo,
mi dicevano che serviva più flessibilità...». Per mesi, la Morgante si era sentita «inascoltata, anche se era
chiaro cosa stava accadendo: gli affidamenti diretti, le proroghe, la situazione dell’Atac...». Dopo di lei, cadde
Flavia Barca, sorella di Fabrizio, indicata all’assessorato alla Cultura proprio da Matteo Orfini, all’epoca solo
un «giovane turco» e non il plenipotenziario pd su Roma. La Barca venne «cucinata» a fuoco lento.
Nell’eterno toto-rimpasto il suo nome c’era sempre. E così lei, a maggio dell’anno scorso, si precipitò
nell’ufficio del sindaco: «Basta con le voci, o smentisci o me ne vado». L’addio il 26 maggio, il giorno in cui il
Pd, con Renzi, prese il 40% alle Europee. A distanza di tempo, la Barca (appena tornata «in pista» con un
nuovo sito www.flaviabarca.it) scherza: «Potremmo fare una giunta degli ex...». E poi, più seriamente: «Non
se ne esce senza avviare un vero dibattito pubblico sui contenuti e non sulle persone. Il mio addio? Era
evidente già da allora che non ci fossero le condizioni per riformare davvero amministrazione e politiche
culturali». A fine novembre, l’altra tegola. Luca Pancalli, lo sportivo «prestato» alla politica, il 26 raduna lo
staff e lascia l’ufficio dell’assessorato allo Sport, alla stazione Ostiense: «Torno allo sport, il prestito è finito».
Per lui era già pronto il paracadute: un ruolo nel Comitato promotore di Roma 2024. Siamo alla vigilia di
Mafia Capitale 1, che deflagra ai primi di dicembre. Lì si scopre che la banda Buzzi-Carminati, dopo aver fatto
affari con la giunta Alemanno, si metteva «gonna e calze a rete» per «andare a battere» anche con la subentrata
giunta Marino. Obiettivo principale: le Politiche sociali, dove passano i soldi per le cooperative. Solo che il
«mondo di mezzo» trova sulla sua strada un ostacolo, l’assessore Rita Cutini, vicina alla Comunità di
Sant’Egidio. Ma è da tempo che, secondo «radio Campidoglio», la Cutini viene data in uscita. E, al suo posto,
Marino pensa seriamente di mettere il piddino Daniele Ozzimo. Operazione che salta solo perché l’allora
assessore alla Casa viene indagato dalla Procura nell’ambito dell’inchiesta, si dimette e in seguito viene anche
arrestato. Quando la Cutini sbatte la porta, il 14 dicembre, è il primo sassolino che vola via dalla scarpa: «Il
sindaco mi disse che al mio posto voleva metterci lui. Poi mi sarei aspettata un’autocritica».
E siamo ai giorni nostri. La relazione del prefetto Gabrielli che fa cadere le teste del segretario generale
Liborio Iudicello, del caposegreteria del sindaco Mattia Stella (il primo, Enzo Foschi, si dimise a febbraio
2014) , del vicesindaco Luigi Nieri («basta con lo stillicidio»). Poi gli addii a catena di Improta e della
Scozzese. Ora la vigilia di un altro rimpasto: la Spoon river del sindaco non è ancora finita.