Contratto di somministrazione

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Contratto di somministrazione
LA SOMMINISTRAZIONE
SOMMARIO: 1. Generalità. – 2. Somministrazione e figure affini. – 2.1. Somministrazione e vendita. Differenze. – 3. Oggetto della somministrazione: le
prestazioni periodiche o continuative di cose. – 3.1. Entità delle prestazioni.
– 3.2. Termine delle prestazioni. – 4. L’impossibilità della prestazione. – 5.
Mancata o inesatta esecuzione della prestazione. – 6. Risoluzione per inadempimento. – 7. Sospensione dell’esecuzione. – 8. Il patto di preferenza. –
9. Il patto di esclusiva. – 10. Fallimento e somministrazione. – 11. Tutela
cautelare del somministrante. – 12. Tutela cautelare del somministrato. – 13.
Danni risarcibili. – 14. Somministrazione e casistica. – 14.1. Somministrazione di acqua potabile. – 14.2. Utenza telefonica. – 14.3. Somministrazione
di energia elettrica.
1. Generalità.
Legislazione: c.c. 1559, 1562, 1570.
Bibliografia: Giannattasio 1974 – Oppo 1992.
L’art. 1559 c.c. definisce somministrazione il contratto “con il quale una parte si obbliga, verso corrispettivo di un prezzo, a eseguire, a
favore dell’altra, prestazioni periodiche o continuative di cose”.
Si tratta dunque di un contratto di scambio, al pari della vendita,
ma da questa se ne distacca in virtù del proprio dato caratterizzante
costituito della periodicità e/o ripetitività delle prestazioni di consegna
a carico del somministrante, e dunque diverso dalla logica dello scambio istantaneo rappresentativo della vendita.
Come osserva la giurisprudenza,
«la somministrazione, nel tipo delineato dall'art. 1559 c.c., si individua come
contratto di scambio (e, quindi, quanto meno bilaterale) di durata, ad esecuzione
continuata, che si caratterizza come negozio unitario pur nel ripetersi degli atti di
esecuzione»
(Cass. Civ., Sez. I, 6.10.1995, n. 10521, MGC, 1995, fasc. 11).
In quanto contratto di durata e ad esecuzione continuata, nella
somministrazione l’esecuzione delle prestazioni si protrae nel tempo
soddisfacendo così i bisogni (o meglio, gli interessi dei contraenti) in
modo continuativo, e non invece alla fine del rapporto, come in altre
fattispecie.
«La durata dell’esecuzione dà luogo ad una molteplicità di atti di esecuzione distanziati nel tempo (esecuzione periodica) o ad un comportamento protratto per
un certo tempo»
(Giannattasio 1974, 207).
Come insegna autorevole dottrina, ciò che caratterizza i contratti di
durata è la corrispondenza della durata alla soddisfazione di un interesse durevole, quindi l'inerire della durata alla funzione del contratto,
nel senso che l'utilità che le parti si ripromettono dal contratto è relativa alla durata del rapporto. Onde la durata stessa non è subìta dalle
parti ma è voluta da esse in quanto “l'utile del rapporto è alla durata
proporzionale” (Oppo 1992, 221): detto altrimenti, in tanto vi è
l’interesse alla somministrazione, in quanto le prestazione vengano eseguite periodicamente o in un determinato momento.
È proprio la periodicità del fabbisogno del consumatore a caratterizzare la somministrazione, la quale implica una pluralità di prestazioni a carattere periodico (art. 1562, I co., c.c.), nel qual caso ciascuna prestazione può essere considerata una vendita, tanto che il
prezzo è corrisposto all’atto di ciascuna prestazione ed in proporzione
di essa (e a ciascuna delle prestazioni sono applicabili i principi della
vendita) ovvero continuativo (art. 1562, II co., c.c.), nel qual caso il
contratto, pur nella sua unitarietà, si scinde in tanti periodi di tempo
(settimana, mese, anno, ecc.) ed il prezzo viene pagato secondo le
scadenze d’uso (ogni settimana, ogni mese, ogni anno, ecc.).
Se quelli sinora evidenziati costituiscono gli aspetti della somministrazione che, in quanto pregnanti e peculiari di questa fattispecie contrattuale, devono sempre essere presenti, per quanto riguarda invece le
prestazioni concretamente deducibili nel contratto, vi è un’enorme varietà.
L’art. 1570 c.c. stabilisce infatti che la disciplina applicabile alla
somministrazione sia quella risultante dalla combinazione tra la normativa dettata per questo tipo contrattuale e quella dei contratti a cui
corrispondono le singole prestazioni. Quanto disposto dagli articoli
1559 – 1570 c.c. costituisce dunque solo una sorta di “regolamenta2
zione quadro” del contratto di somministrazione, da completarsi poi,
ad opera delle parti, con riferimento sostanziale alle specifiche prestazioni dedotte in contratto: così, ad esempio, il contratto avente per
oggetto prestazioni periodiche o continuative di servizi sarà disciplinato dalle norme relative al contratto di appalto e da quelle relative al
contratto di somministrazione.
Tale flessibilità nella regolamentazione della somministrazione
comporta dunque il necessario richiamo alla disciplina dei singoli contratti speciali, anche per ciò che concerne gli aspetti relativi
all’inadempimento alle obbligazioni derivanti dal contratto.
2. Somministrazione e figure affini.
Legislazione: c.c. 1564, 1570.
Bibliografia: Giannattasio 1974 – Cagnasso 2000.
All’interno del tipo “somministrazione” è possibile individuare alcuni sottotipi, con riferimento:
i) alla natura del soggetto somministrato, per cui è possibile distinguere tra somministrazioni private e forniture pubbliche: a queste ultime si applica la disciplina generale di diritto privato, fatte salve le deroghe contenute nella normativa pubblicistica;
ii) all’oggetto del contratto: si distingue, dunque, tra somministrazione di consumo (altrimenti detta “traslativa” o “di scambio”) e
somministrazione d’uso (o di godimento). La prima ipotesi si ha
quando devono essere consegnate reiteratamente determinate cose, di
cui il somministrato acquista o può aver acquistato la proprietà; nella
seconda, invece, al somministrato viene attribuito un semplice diritto
personale di godimento: la consegna reiterata riguarda infatti determinate cose che una volta utilizzate, dovranno essere individualmente
restituite.
Circa la possibile varietà delle prestazioni deducibili in contratto, la
dottrina e la giurisprudenza hanno qualificato come somministrazione, tra gli altri:
- il contratto di distribuzione di acqua (Cass. Civ., 27.1.1978, FI, 1978,
I, 2850);
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- il contratto di fornitura del servizio di depurazione delle acque reflue, assimilabile a quello di acqua potabile (GdP Centurie,
14.11.2001, GPac, 2002, 221);
- la fornitura periodica di combustibile di varia specie (gas, benzina)
(Cottino 1970, 111);
- il contratto di distribuzione di energia elettrica (Cass. Civ., 21.3.1985,
n. 2069, RFI, 1985);
- il contratto di utenza telefonica (Cass. Civ., Sez. UU, 29.11.1978, n.
5613, RGC, 1978);
- il contratto di catering (Cons. Stato, Sez. V, 17.1.2000, n. 289, secondo cui è contratto di somministrazione ex art. 1559 c.c. e non appalto di servizi il rapporto tra un Comune e un’impresa di catering che
ne sia incaricata di fornire un determinato numero di pasti preparati
quotidianamente presso le cucine dell’imprenditore e consegnati ai diversi plessi scolastici per sopperire alle esigenze della refezione scolastica);
- il contratto con cui un Comune attribuisce ad una società
l’incarico di progettazione, costruzione, manutenzione e collaudo degli impianti del gas, nonché l’incarico di fornitura di gas al medesimo
Comune, configurabile come convenzione di diritto privato concernente la somministrazione del gas al Comune suddetto, previa esecuzione delle attività e delle opere strumentali necessarie
all’adempimento (Cass. Civ., Sez. UU, 17.11.1998, n. 11574, RFI,
1998, Concessioni amministrative, 45).
Tali assimilazioni al contratto di somministrazione non valgono
invece con riferimento ad altri modelli contrattuali.
«Così l’appalto periodico di opere rientra pur sempre nell’appalto e può essere
qualificato, a seconda delle circostanze, come appalto ad oggetto plurimo o come ripetizione dello stesso contratto. Così, in ipotesi di trasporto in abbonamento, trova applicazione la disciplina del contratto di trasporto. Così ancora, in ipotesi di assicurazione in abbonamento, trova applicazione la disciplina del contratto di assicurazione.
Il carattere periodico o continuativo della prestazione di dare permette quindi di
distinguere il tipo contrattuale vendita da quello somministrazione, mentre con
riferimento ad altri tipi contrattuali (appalto di opere, trasporto, assicurazione,
ad esempio), la disciplina del tipo sembra trovare applicazione sia in ipotesi di
unica prestazione, sia in ipotesi di pluralità (o di continuità) di prestazioni»
(Cagnasso 2000, 823).
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Ancora, non si è ravvisato un contratto di somministrazione, ma
una figura contrattuale diversa, tipica o atipica:
- nel contratto relativo all’esecuzione di lavori da compiersi una tantum o anche in più volte con lavoro prevalentemente proprio e senza
alcun vincolo di subordinazione rispetto al committente;
- nella fornitura ripetuta di lavori tipografici, qualificabile come appalto;
- nell’accordo mediante il quale un soggetto si accolla, nei confronti di una società, la trasformazione di materie prime in prodotti finiti,
riservandosi la direzione dell’attività produttiva;
- nella fornitura giornaliera di generi alimentari presso lo stesso
fornitore in quanto, quale che sia l’entità della fornitura ed anche se
esista la prassi di pagare il prezzo a scadenze fisse, niente implica la
sussistenza di una somministrazione, in quanto colui che si rifornisce
è libero di cambiare da un giorno all’altro fornitore.
2.1. Somministrazione e vendita. Differenze.
Legislazione: c.c. 1564, 1570.
Bibliografia: Giannattasio 1974.
Tra le fattispecie che maggiori problemi creano all’interprete per le
numerose affinità con la somministrazione vi è la vendita.
Nessuna incertezza sorge nella distinzione tra le due figure nella loro nelle loro strutture tipiche: la somministrazione è essenzialmente
un contratto di durata, mentre la vendita è invece un contratto a prestazione istantanea.
La questione appare invece decisamente più complessa nell’ipotesi
di vendita a consegne ripartite, che ricorre quando, in esecuzione di
un’apposita clausola contrattuale, l’oggetto generico (nel senso di cui
al successivo par. 3) del contratto viene consegnato in tempi diversi,
suddiviso in parti o in frazione: la consegna ripartita e protratta nel
tempo non incide, tuttavia, sull’oggetto del contratto che rimane costituito da un’unica prestazione.
Come osserva la giurisprudenza, il contratto sarà di compravendita
se la (specificazione e) consegna in più tempi sia stabilita per realizza-
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re esigenze dell’alienante (maggiore facilità e comodità di esecuzione)
(Cass. 27.1.1975, n. 327, MGC, 1975). Non ricorrendo tale circostanza, occorrerà invece valutare i criteri stabiliti in contratto per determinare la quantità della prestazione, anche con riferimento al ruolo assunto, essenziale o meno, assunto dal fattore temporale, ossia analizzando se nel caso specifico vi sia l’interesse concreto ed attuale del
beneficiario della prestazione a che questa venga eseguita entro o in
un determinato momento.
Il contratto sarà di somministrazione (e non di vendita a consegne
ripartite) se ed in quanto la pluralità di prestazioni periodiche di cose,
pur derivanti da un’unica radice contrattuale, vengono consegnate in
modo frazionato nel tempo, e ciò per corrispondere ad un fabbisogno
periodico del somministrato, anche se nel contratto è indicata la quantità complessiva delle cose di cui si prevede che costui possa avere
bisogno nel tempo di durata del rapporto (Cass. Civ., 4.7.1991, n.
7380, AC, 1991, 1124).
L’unicità della causa della somministrazione spiega anche la regola
posta dall’art. 1564 c.c. secondo cui, in caso di inadempimento di una
delle parti, relativo a singole prestazioni, la parte adempiente può
chiedere la risoluzione del contratto che, tuttavia, essendo di durata
non può che avere effetto ex tunc ai sensi dell’art. 1458 c.c.
Da osservare, infine, che nonostante la distinzione ribadita costantemente tra vendita e somministrazione, relativamente alla disciplina
applicabile, in diverse occasioni la giurisprudenza ha tuttavia ritenuto
applicabili alla somministrazione norme dettate in tema di vendita, in
particolare gli artt. 1492, 1494 e 1495 c.c., dettati in tema di vizi della
cosa vendita venduta (Cass. 3.6.1976, n. 2001, MGC, 1976).
3. Oggetto della somministrazione: le prestazioni periodiche o
continuative di cose.
Legislazione: c.c. 1559, 1560, 1655.
Bibliografia: Giannattasio 1974 – Cagnasso 2000 – Zuddas 2003.
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Le prestazioni cui è tenuto il somministrante possono avere un
contenuto che varia da contratto a contratto, ma, in ogni caso, devono consistere nel mettere a disposizione dell’avente diritto alla somministrazione determinate cose, non già opere o servizi, che contraddistinguono, invece, il contratto d’appalto (art. 1655)
Tali prestazioni, inoltre, devono essere periodiche o continuative
di cose.
«Allorquando si parla di prestazioni continuative, il termine viene adoperato in
un significato duplice e si fa quindi riferimento sia a quelle prestazioni che importano una reiterazione continuata di attribuzioni di utilità, sia a quelle che importano una attribuzione ininterrotta, la quale non implica necessariamente una
ripetizione di comportamenti. La prima ipotesi si avrà allorquando devono essere somministrate cose individue, da sottoporre oppur non ad elaborazione, la
seconda quando debbono essere somministrate cose individuate solo nel genere
della quantità.
Prestazioni periodiche sono invece quelle in cui si ha ripetizione di prestazioni
ad intervallo di tempi costanti (ogni giorno, ogni settimana, ogni mese, ogni stagione estiva), o ad intervalli di tempo variabili secondo il fabbisogno del somministrato»
(Giannattasio 1974, 255).
Le prestazioni, inoltre, possono non essere omogenee sotto il profilo quantitativo ex art. 1560 e/o qualitativo, come si desume dall’art.
1559 c.c.
Oggetto del contratto sono prestazioni di cose, determinate solo
nel genere: le cose fornite periodicamente (o continuativamente)
passano in proprietà del somministrato all’atto dell’erogazione o della
consegna.
La stessa regola vale naturalmente per il passaggio dei rischi. Non
si ritiene invece rilevante, ai fini del trasferimento della proprietà,
l’individuazione della cosa. Le cose fornite o erogate possono essere
mobili o immobili, possono consistere altresì in energie o in titoli di
credito (e, in particolare, in titoli rappresentativi di merci) (Cagnasso
2000, 830).
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3.1. Entità delle prestazioni.
Legislazione: c.c. 1559, 1560.
Bibliografia: Giannattasio 1974 – Cagnasso 2000 – Zuddas 2003.
Le prestazioni oggetto del contratto di somministrazione devono
essere determinate o determinabili: possono essere determinate le singole prestazioni o il loro complessivo ammontare.
Nell’ipotesi in cui non sia determinata l’entità della somministrazione, a norma dell’art. 1560, I co., c.c., si intende pattuita quella corrispondente al normale fabbisogno della parte che vi ha diritto, avuto riguardo al tempo della conclusione del contratto.
«Il concetto di normalità implica una variazione mantenuta in certi limiti che il
somministrante ha potuto approssimativamente preventivare con l’aiuto
dell’ordinaria diligenza (art. 1560, I co., c.c.). Il criterio interpretativo dell’art.
1560 si riferisce, però, alla quantità della dose da somministrare, ma non può valere anche per la quantità delle cose, in ordine alla quale è solo la volontà delle
parti che può dettare la regolamentazione. La disciplina normativa postula la necessità di soddisfare esigenze del somministrato sotto il profilo quantitativo, ma
anche sotto quello delle preferenze e dei gusti di colui cui la cosa è destinata, per
cui se le parti nulla hanno specificato al riguardo, non esiste un criterio legislativo che soccorra e non potrebbe il somministrato invocare la risoluzione del contratto per difformità dell’oggetto da quanto è imposto da una norma di legge»
(Giannattasio 1974, 257).
Il normale fabbisogno del somministrato, ove non determinato,
deve essere comunque determinabile in via oggettiva: ove ciò non
fosse possibile, il contratto sarebbe nullo per indeterminatezza
dell’oggetto (Cass. Civ., 9.1.1970, n. 6, GI, 1971, I, 1500).
Riguardo alla determinazione della prestazione è possibile distinguere tre ipotesi:
i) la somministrazione c.d. “a richiesta”, nella quale il somministrato ha la facoltà discrezionale di richiedere o meno, per il se e per il
quanto, la somministrazione;
ii) il caso in cui vi sia la determinazione, da parte del somministrato, del quantitativo minimo e del quantitativo massimo del contratto;
iii) il caso in cui sia stabilito unicamente un quantitativo minimo di
cose da fornire: in tale ipotesi, il fabbisogno del somministrato determina comunque la misura della prestazione, cioè nel senso che il
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somministrato non può liberarsi pagando l’importo del minimo, ma
deve ricevere la quantità di cose che gli occorrono in concreto e pagarne il prezzo. Come osserva la dottrina, in questa ipotesi, il criterio
del fabbisogno del somministrato opera non soltanto a carico del
somministrante, ma anche a suo vantaggio (Giannattasio 1974, 257).
3.2. Termine delle prestazioni.
Legislazione: c.c. 1559.
Bibliografia: Giannattasio 1974 – Cagnasso 2000 – Zuddas 2003.
Altro aspetto rilevante che merita di essere analizzato in tema di
somministrazione è il termine delle prestazioni.
Mentre nel caso di somministrazioni continuative, l’unico termine
che rileva è quello iniziale, nelle somministrazioni periodiche i termini
di consegna possono non essere predeterminati e rimessi, entro certi
limiti, alla determinazione del somministrato. In tali casi, però, il
somministrante non può tenersi continuamente a disposizione del
somministrato né essere costretto ad eseguire la prestazione nello
stesso momento in cui all’altro contraente piacerà di richiederla, per
cui la legge stabilisce che la data fissata dal somministrato per le singole prestazioni deve essere comunicata al somministrante entro congruo termine: la congruità non può fissarsi aprioristicamente e per tutte quante le prestazioni, ma dipenderà dalla natura e dall’entità delle
prestazioni e la sua valutazione, in caso di dissenso, spetterà, caso per
caso all’autorità giudiziaria (Giannattasio 1974, 257).
Il termine pattuito per le singole prestazione deve presumersi
convenuto sia nell’interesse del somministrante che dell’avente diritto
alla somministrazione, e deve considerarsi essenziale obbiettivamente, per la natura e per l’oggetto del contratto, la cui utilità economica, avuta presente dalle parti nella stipulazione, andrebbe perduta
per l’inutile decorso del termine stabilito. Così, il ritardo rende non
più satisfattoria la prestazione alla quale la parte mirava con la stipulazione, perché la natura e l’oggetto del contratto richiedono, obiettivamente e necessariamente, che l’adempimento avvenga in un determinato tempo, al quale è collegato l’utilità economica della prestazione.
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Qualora il termine sia essenziale non troverà applicazione il I
comma dell’art. 1457 c.c., in forza del quale una parte non può richiedere all’altra di eseguire comunque la prestazione entro tre giorni dalla
scadenza del termine, posto che in tal momento lo scioglimento è automatico.
4. L’impossibilità della prestazione.
Legislazione: c.c. 1218, 1256, 1463, 1464.
Bibliografia: Corrado 1963.
In quanto contratto di durata, la somministrazione, più di altre fattispecie contrattuali, è esposta al rischio che la prestazione dedotta in
contratto e da eseguirsi in un determinato momento ovvero una delle
prestazioni periodiche di cui si è detto divengano impossibili oggettivamente a causa di eventi imprevisti e fortuiti.
In questi casi il debitore (somministrante) è liberato dall’obbligo di
realizzare il risultato complessivo garantito (con le conseguenze previste in via generale dagli artt. 1463 e 1464 c.c.).
«L’impossibilità e l’illiceità varranno per l’avvenire e non per il passato, poiché le
prestazioni, che sono intervenute, avevano un valore economico e giuridico autonomo nei confronti della prestazione integrale e l’atto continuato di adempimento si risolve nei suoi singoli atti costitutivi già realizzati. Garantendo il rapporto una prestazione complessa, integrata da singoli, autonomi e distinti atti di
adempimento, l’irrealizzabilità della prestazione integrale e di alcuni degli atti, di
cui consta, non può togliere valore agli altri atti, i quali abbiano soddisfatto interessi distintamente considerati e protetti.
Gli esempi non sono infrequenti: morte del somministratore o del somministrato, quando eccezionalmente sia stata resa decisiva la persona del contraente per
la permanenza del vincolo; la distruzione fortuita dell’opificio, quando si tratti di
somministrazione di cose che debbano essere prodotte per conto del cliente e
che non possano essere procurate per altra via tempestivamente (es., nel caso di
somministrazione di energia elettrica); interventi legislativi molto frequenti nei
periodi di crisi e di economia controllato (es.: divieto di somministrare energia
elettrica per riscaldamento di abitazione per tutto il periodo di durata del contratto)»
(Corrado 1963, 306).
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Nel diverso caso in cui per fatto non imputabile al debitore la prestazione diventi impossibile per un certo periodo intermedio tra la sua
costituzione e la sua estinzione o quando per un analogo periodo sia
vietata da una disposizione eccezionale per esigenze di ordine pubblico, è dubbio se la disciplina applicabile sia quella dell’art. 1256, II co.
c.c. o dell’art. 1464.
Data per presupposta la non imputabilità della causa
dell’inadempimento al debitore, la risoluzione di tale questione presuppone la distinzione tra impossibilità
i) definitiva o temporanea e
ii) impossibilità totale o parziale.
Nel caso di impossibilità definitiva del singolo atto di adempimento, il debitore è esonerato dal compierlo e da ogni responsabilità per
inadempimento. L’onere della prova è tuttavia a suo carico (art. 1218
c.c.). Se l’impossibilità sia invece solo temporanea e non sussista la
possibilità di un adempimento tardivo, il debitore è esonerato dalla
responsabilità per inadempimento, ma sarà comunque tenuto ad adempiere, seppure tardivamente, purché la natura stessa della prestazione, quale risulta dal titolo, giustifichi un adempimento tardivo ed il
creditore abbia interesse a tale adempimento (art. 1256).
A tale ultima ipotesi fa riferimento una recente pronuncia del Tribunale di Napoli che ha condannato l’Enel al risarcimento dei danni
patrimoniali e non patrimoniali in seguito ad un black out elettrico.
Così testualmente:
«in caso di interruzione della somministrazione di energia elettrica, l'Enel,
salvo che dimostri l'assenza di colpa per l'assoluta ed oggettiva impossibilità della prestazione, è responsabile nei confronti dell'utente, il quale ha pertanto diritto al risarcimento dei danni patrimoniali e non patrimoniali derivanti dall'inadempimento del contratto di somministrazione (nella specie, il
tribunale ha condannato l'Enel al risarcimento del danno esistenziale, in
conseguenza delle forti limitazioni allo svolgimento delle normali attività
quotidiane, che l'utente ha subito per il black out, ed in relazione al generale senso di angoscia provocato da una prolungata attesa al ritorno della
normalità).»
(Trib. Napoli, 16.4.2007, Corriere del merito, 2007, 8-9, 1003).
Nelle ipotesi di cui al punto ii), se l’impossibilità riguarda la singola
prestazione nel suo complesso questa non è dovuta; se invece
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l’impossibilità non consenta la prestazione integrale, ma non impedisca per se stessa un adempimento parziale, troverà invece applicazione l’art. 1464 c.c.: il debitore è cioè tenuto alla prestazione parziale,
ma il debitore può comunque rifiutarla qualora non abbia un apprezzabile interesse all’adempimento. Da parte sua, il creditore, nel primo
caso, sarà tenuto ad una controprestazione proporzionalmente ridotta, nel secondo non dovrà invece effettuare alcuna controprestazione.
5. Mancata o inesatta esecuzione della prestazione.
Legislazione: c.c. 1559, 1562.
Bibliografia: Zuddas 2003.
In caso di mancata o inesatta esecuzione della prestazione sono
utilizzabili nella somministrazione i normali rimedi contrattuali previsti dal codice civile.
«L’inadempimento può costituire talvolta anche un illecito penale. Ciò non muta, ovviamente, i profili civilistici relativi all’azione risarcitoria ma, al più rende
ancor più grave la posizione della parte inadempiente.
La legge penale sanziona, infatti, tutte le frodi in danno della p.a., quali che siano
gli schemi contrattuali in forza dei quali i fornitori sono tenuti a particolari prestazioni, in quanto la condotta materiale punibile consiste in una qualsiasi inadempienza posta in essere volontariamente nella pubblica fornitura: il reato si
consuma nella somministrazione bastando a concretizzarlo l’inadempimento doloso che attenga alla quantità o alle qualità non essenziali della prestazione dovuta»
(Zuddas 2003, 126).
La giurisprudenza ritiene attinente all’inesatta esecuzione della prestazione dedotta in contratto l’errore di misurazione delle forniture
effettuate, da cui deriverebbe poi un errore di fatturazione. L’unica
conseguenza di tale situazione è costituita dalla possibilità di pretendere la corresponsione della parte non percepita (ovvero la restituzione
della parte corrisposta in eccedenza), oltre ad un indennizzo nei limiti
del giustificato arricchimento.
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«Con riguardo al contratto di somministrazione (nella specie, di energia elettrica), l'errore di fatturazione nel quale sia in corso il somministrante nell'indicazione del corrispettivo nella relativa bolletta, attenendo non alla formazione del
consenso ma all'esecuzione del contratto, non ne comporta l'annullabilità, incidendo solo sull'entità della prestazione pretesa dal creditore, al quale è, pertanto,
consentito di rettificare la richiesta divergente dai dati reali e di pretendere la
parte del corrispettivo non percepita e non soltanto un indennizzo nei limiti
dell'ingiustificato arricchimento del destinatario della somministrazione»
(Cass. Civ., Sez. III, 16.7.2002, n. 10285, MGC, 2002, 1231).
La mancata o errata misurazione delle forniture (rectius consumi) da
parte del somministrante, dipendente da guasto degli apparecchi di
misurazione non esonera il somministrato dall’obbligo contrattuale, ex
art. 1562, I co., c.c. (a prescindere, quindi, da espressa previsione nel
contratto), di pagare il quantitativo di energia la cui consistenza risulti
accertata con metodo scientifico e coerenza logica in riferimento alla
natura e all’epoca dell’insorgenza del guasto suddetto, nonché alla misura dei consumi di energia non registrati e quindi non pagati (Trib.
Reggio Emilia, 11.10.1980, RGEnel, 1981, 653). Sull’importo così determinato, va poi aggiunto quanto il somministrante abbia subito a titolo di maggior danno, come conseguenza del diminuito potere di acquisto della moneta e sulla somma complessiva rivalutata decorrono
gli interessi legali dalla data della domanda fino al saldo.
6. Risoluzione per inadempimento.
Legislazione: c.c. 1453, 1455, 1458, 1564.
Bibliografia: Giannattasio 1974.
L’art. 1564 c.c., dispone che “in caso di inadempimento di una delle parti relativo a singole prestazioni, l’altra può chiedere la risoluzione
del contratto, se l’inadempimento ha una notevole importanza ed è
tale da menomare la fiducia nell’esattezza dei successivi adempimenti”.
La giurisprudenza evidenzia inoltre che la somministrazione ha
causa unica: ciò spiega dunque la regola posta dall’articolo appena richiamato secondo cui, in caso di inadempimento di una delle parti,
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relativo a singole prestazioni, la parte adempiente può chiedere la risoluzione del contratto che, tuttavia, in quanto trattasi di contratto di
durata, non può che avere effetto ex nunc ai sensi di quanto disposto
dall’art. 1458 c.c.
In base all’art. 1564 c.c., la risoluzione del contratto di somministrazione è condizionata al verificarsi di un inadempimento
i) che sia di notevole importanza, ossia di particolare gravità da
valutarsi in relazione alla condotta dell’agente e del pregiudizio arrecato da tale condotta, e
ii) tale da menomare la fiducia nell’esattezza dei successivi
adempimenti, il che si verificherà allorquando si tratti di un adempimento che turbi notevolmente l’equilibrio del contratto in tutte le
sue attuazioni, “da lasciar ritenere che le parti, se lo avessero previsto,
non avrebbero stipulato” (Giannattasio 1974, 259).
La regola vale sia con riferimento all’inadempimento del somministrante, sia con riferimento all’inadempimento del somministrato (a
differenza della disciplina speciale della sospensione del contratto che
riguarda, invece, solo l’inadempimento del somministrato).
La risoluzione per inadempimento, a differenza dell’exceptio inadimpleti contractus di cui si dirà nel paragrafo successivo, spetta alla parte
adempiente nei confronti della parte che non abbia adempiuto, per
causa a lei imputabile, l’obbligazione sinallagmatica e non in ogni caso, ma solo quando l’inadempimento non sia di scarsa importanza avuto riguardo all’interesse dell’altra parte ad ottenere la prestazione
(artt. 1453 e 1455 c.c).
In generale, comunque, per il caso di inadempimento, accanto alla
risoluzione dell’intero contratto, è configurabile la risoluzione delle
singole prestazioni, in quanto, se è vero che tale soluzione desta qualche perplessità per il rischio di disintegrare l’unità del contratto, per
cui solo in presenza di una espressa regolamentazione in deroga sarebbe ipotizzabile la risoluzione parziale, nei contratti di durata la risoluzione può essere solo parziale, non interessando, tra l’altro, gli effetti che si sono già prodotti (Giannattasio 1974, 282).
La dottrina è dunque orientata nel ritenere ammissibile, accanto alla risoluzione del contratto di somministrazione, la risoluzione di singole prestazioni. Nei contratti ad esecuzione periodica o continuata,
infatti, tali singole prestazioni rivestono un ragionevole grado di autonomia che permette di isolare l’una dalle altre tanto che, addirittura, la
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risoluzione parziale sarebbe in re ipsa quando la parte adempiente, di
fronte alla mancata attuazione di una o più prestazioni dell’altra parte,
non esegue quelle corrispondenti a suo carico passando tout court alle
successive (Zuddas 2003, 125).
7. Sospensione dell’esecuzione.
Legislazione: c.c. 1460, 1565.
Bibliografia: Corrado 1963 – Cagnasso 2000 – Zuddas 2003.
In caso di inadempimento, oltre ai rimedi generali di cui si è detto,
esiste un rimedio specifico dettato espressamente con riguardo alla
somministrazione; ai sensi dell’art. 1565 c.c., infatti, se la parte che ha
diritto alla somministrazione è inadempiente ma l’inadempimento è di
lieve entità, il somministrante non può sospendere l’esecuzione del
contratto senza dare congruo preavviso. Dalla formulazione della
norma si evince, a contrario, che se l’inadempimento non è di lieve
entità, è possibile sospendere immediatamente l’erogazione.
Analizziamo separatamente le due ipotesi.
Nel caso di inadempimento di lieve entità, la sospensione può considerarsi legittima solo se preceduta da un congruo preavviso (Trib.
Lanciano, 11.11.1995, RGEnel, 1996, 1002): non può ravvisarsi un
congruo preavviso in quello dato per telefono da persona non qualificatasi e con il quale si assegnava un termine di tre, quattro giorni per
adempiere l’obbligazione.
Nel secondo caso, ossia nell’ipotesi che l’inadempimento sia di notevole entità, è consentita la sospensione senza preavviso e/o la risoluzione del contratto, qualora sia venuta meno la fiducia.
Così, nessun dubbio sussiste circa la legittimità del comportamento
della società fornitrice di energia elettrica che, a fronte del mancato
pagamento di un’ingente somma da parte del somministrato, dopo
aver comunque effettuato un preavviso, rimasto inascoltato, ha provveduto a sospendere l’erogazione di energia (App. Roma, 10.12.1984,
FI, 1985, I, 2413).
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Nei contratti di durata, quale la somministrazione, l’exceptio va dunque condizionata alla sussistenza di un rapporto di proporzionalità tra
i contrapposti inadempimenti.
Da evidenziare, peraltro, che nei contratti e relativi capitolati predisposti dalle società di fornitura di acqua, gas, energia elettrica, ecc., è
spesso inserita una clausola relativa alla sospensione della fornitura,
nella quale viene preclusa al giudice ogni valutazione circa l’entità
dell’inadempimento e l’esercizio in buona fede dell’eccezione, in modo da stabilire una rigidità di regolamento che dia sicurezza ai rapporti
delle società medesime con gli utenti, evidenziando ogni rischio diverso da quelli valutati nella determinazione del costo di gestione.
La sospensione della somministrazione prevista dall’art. 1565 costituisce un’applicazione specifica dell’istituto exceptio inadimpleti di
cui all’art. 1460 c.c.
Una prima differenza tra le due norme è costituita dal fatto che
nella seconda è rilevante solo l’inadempimento del somministrato, nel
senso che l’art. 1565 c.c. allarga l’ambito di operatività del rimedio
previsto dall’art. 1460 c.c. a vantaggio del somministrante consentendogli espressamente la sospensione dell’erogazione anche se
l’inadempimento sia di lieve entità, con un trattamento di indubbio
favore, a fronte del quale la sola salvaguardia dell’inadempiente contro
il rischio di un’improvvisa interruzione della fornitura è costituita
dall’onere di preavviso (Zuddas 2003, 134).
L’exceptio non adimpleti contractus opera, poi, non soltanto nell’ipotesi
di integrale inadempimento della controparte, ma anche quando vi sia
stato un adempimento soltanto parziale, sempre che sussista adeguatezza tra la parte non eseguita dal contraente adempiente e l’entità
dell’inadempienza dell’altro contraente (Giannattasio 1974, 316).
«Il rimedio in esame non dà vita ad una situazione di sospensione e di quiescenza del rapporto in senso tecnico, ma determina invece una modifica temporale
del rapporto che sposta nel tempo il momento dell’adempimento, finché ciò sia
possibile, senza che venga modificata anche la consistenza obiettiva della prestazione»
(Corrado 1963, 350).
Secondo una dottrina, anche nell’ipotesi di cui all’art. 1565,
l’eccezione non è proponibile dal somministrante se la sospensione
dell’esecuzione sia da considerare contraria alla buona fede (art. 1460,
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II co., c.c.). La dottrina prevalente ritiene, invece, conformemente al
tenore della norma, che il requisito della non contrarietà alla buona
fede della sospensione non venga in considerazione nel caso in esame
(Cagnasso 2000, 842).
8. Il patto di preferenza.
Legislazione: c.c. 1566.
Bibliografia: Di Paola 2005 – Gallo 2005 – Laghezza 2009.
L’art. 1566 c.c. prevede e disciplina il patto, c.d. di preferenza, in
forza del quale l’avente diritto alla somministrazione si obbliga a dare
la preferenza al somministrante nella stipulazione di un successivo
contratto per lo stesso oggetto, ossia per un successivo contratto che
egli intenda stipulare, identico sia dal punto di vista qualitativo che
quantitativo.
Tale patto, insieme a quello di esclusiva di cui al paragrafo successivo, costituisce una limitazione alla concorrenza ed è valido nei limiti
di durata di un quinquennio. Se sia convenuto un termine maggiore,
questo si riduce a cinque anni.
La dottrina è concorde nel ritenere che per il patto di preferenza
sia richiesta la forma scritta, sia pure ad probationem tantum.
Circa la natura giuridica, la giurisprudenza prevalente ritiene che la
fattispecie in esame sia inquadrabile nella figura del contratto preliminare unilaterale, dal quale deriva l’obbligo del promittente di concludere il contratto con il promissario, obbligo peraltro subordinato
alla decisione dell’avente diritto alla somministrazione di concludere
un nuovo contratto avente lo stesso oggetto. Da ciò deriva dunque
che, in caso di inadempimento, il promittente sarebbe sottoposto alla
sentenza costitutiva di cui all’art. 2932 c.c. (Cass. 26.7.1974, n. 2269,
MGI, 1974, 624; 4.3.1980, n. 1445, RFI, 1980, Contratto in genere).
Diversa la posizione della dottrina, la quale ritiene che il patto di
prelazione sia un contratto sui generis, avente ad oggetto non
l’obbligo di stipulare con il promissario un determinato contratto,
come invece è per il preliminare, ma solo l’obbligo di preferirlo
(Giannatasio 1974, 284).
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In quanto limitativo della concorrenza, in ogni caso, il patto dovrà
essere inoltre analizzato anche con specifico riferimento alla normativa antimonopolistica comunitaria, ed in particolare agli artt. 85 e 86
del Trattato CEE, relativi alle intese vietate, nonché a quella delle
norme contenute nei successivi regolamenti emanati dalla Commissione in tema di disciplina antimonopolistica.
9. Il patto di esclusiva.
Legislazione: c.c. 1419, 1463, 1567, 1568.
Bibliografia: Giannattasio 1974.
Il patto di esclusiva è l’accordo tra due soggetti, normalmente ma
non necessariamente imprenditori, con il quale, uno solo od entrambi
assumono l’obbligo di stipulare determinati contratti soltanto con la
controparte.
Questo patto è espressamente previsto, in tema di somministrazione, dagli artt. 1567 e 1568 c.c., i quali stabiliscono che se nel contratto è pattuita la clausola di esclusiva i) a favore del somministrante,
l’altra parte non può ricevere da terzi prestazioni della stessa natura,
né, salvo patto contrario, può provvedere con mezzi propri alla produzione delle cose che formano oggetto del contratto; se, viceversa, la
clausola di esclusiva è pattuita ii) a favore dell’avente diritto alla somministrazione, il somministrante non può compiere nella zona per cui
l’esclusiva è concessa e per la durata del contratto, né direttamente né
indirettamente, prestazioni della stessa natura di quelle che formano
oggetto del contratto. Se poi la clausola di esclusiva è bilaterale, ossia
stabilita a favore di entrambi i contraenti, gli obblighi predetti sono a
carico, reciprocamente, sia del somministrato che del somministrante.
«L’effetto che la clausola di esclusiva produce è quello di prevenire la concorrenza a danno di una delle parti»
(Giannattasio 1974, 289).
A tal riguardo, peraltro, la giurisprudenza distingue tra le ipotesi di
cui ai precedenti punti i) e ii) affermando precisamente che
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« la clausola di esclusiva a favore del somministrante, costituendo un mezzo di
lotta all'altrui concorrenza e di assicurazione di una riserva di mercato, ha un
fondamento economico e giuridico diverso da quello della stessa clausola a favore del somministrato, per il quale questa costituisce soltanto un mezzo d'incremento patrimoniale»
(Cass. Civ., Sez. II, 2.2.1980, n. 742, MGC, 1980, fasc. 2).
La clausola di esclusiva, che è elemento accidentale nel contratto
di somministrazione, opera dunque durante lo svolgimento del rapporto nel senso che le parti vincolano reciprocamente le rispettive capacità di produzione e di assorbimento.
«L’art. 1567 chiarisce (…) che l’esclusiva a favore del somministrante assume valore di divieto al somministrato di provvedere con mezzi propri alla produzione
di cose che costituiscono oggetto del contratto; mentre l’art. 1568, relativo
all’esclusiva a favore del somministrato, sottolinea che essa si risolve in
un’obbligazione di non fare (gravante sul somministrante) circoscritta nello spazio e nel tempo, alla quale può fare riscontro, per volontà delle parti,
un’obbligazione del somministrato di promuovere, nella zona assegnatagli, la
vendita delle cose di cui egli ha l’esclusiva. In questa ultima ipotesi il somministrato ha il dovere di compiere quanto è nelle sue possibilità per conseguire quel
risultato promesso al somministrante ed incorre in responsabilità per inadempimento contrattuale, anche se la sua obbligazione abbia avuto esecuzione relativamente al quantitativo minimo delle cose da vendere, che sia stato eventualmente stabilito. La sospensione degli ordinativi da parte degli aventi diritto alla
somministrazione con clausola di esclusiva integra gli estremi della violazione
dell’art. 1568, II comma, c.c., sol che si escluda che essa origini da una situazione
oggettiva di mercato, e sia per contro imputabile a colpa o dolo del somministrato»
(Giannattasio 1974, 289).
Per quanto riguarda poi alla durata massima del patto di esclusiva,
è discusso se essa coincida con la durata del contratto, e se la sua durata possa o meno eccedere il termine di cinque anni in applicazione
dell’art. 2596 c.c. La giurisprudenza, pressoché concorde, risolve tale
questione sulla base del carattere autonomo della clausola in questione
rispetto all’intero contratto.
«Nel contratto di somministrazione, alla clausola di esclusiva, di cui all'art. 1567
c.c., che non assuma una posizione prevalente nell'economia del contratto stesso, sino a staccarsi casualmente da esso e da far emergere un'autonoma funzione
regolatrice della concorrenza, non si applica la disposizione dell'art. 2596 c.c., in
tema di durata massima del patto di non concorrenza e, pertanto, va escluso che
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essa sia valida solo per cinque anni se pattuita per un periodo superiore. D'altra
parte, se la clausola di esclusiva svolge una funzione autonoma di limitazione
della concorrenza, non v'è evidentemente ragione perché i limiti temporali della
sua validità, posti dall'art. 2596 c.c., si riflettano sulla durata del contratto di
somministrazione; ove, invece, tale autonomia sia esclusa, alla intervenuta proroga tacita del contratto non può non essere ricollegata, in difetto di una diversa
volontà delle parti, la proroga dell'efficacia della clausola di esclusiva per l'intera
durata del contratto stesso»
(Cass. Civ., Sez. III, 4.2.2000, n. 1238, MGC, 2000, 235; FI, 2000, I, 1595; GI,
2000, 2262).
A tal proposito, invece, la dottrina ha affermato che per la clausola
in questione apposta ad un contratto di somministrazione di durata
ultraquinquennale o a tempo indeterminato opera la riduzione legale
nei limiti del quinquennio, con l’effetto che oltre il quinquennio sarà
invece nulla l’intero contratto, a norma dell’art. 1419, I co., c.c., se risulta che i contraenti non lo avrebbero concluso senza quella parte del
suo contenuto che è colpita dalla nullità (Giannattasio 1974, 298).
L’inadempimento del patto di esclusiva, secondo i principi generali
(art. 1463 c.c.) comporta la risoluzione del contratto di somministrazione, oltre al risarcimento del danno.
«La violazione del diritto di esclusiva posta in essere dal concedente che favorisca la vendita, nella zona assegnata al concessionario, di prodotti che quest'ultimo ha il diritto di commercializzare in modo esclusivo, si configura come comportamento contrario ai doveri di correttezza e buona fede e costituisce grave
inadempimento contrattuale da cui consegue la risoluzione del contratto»
(App. Cagliari, 11.4.2007, n. 111, Riv. giur. Sarda, 2009, 1, 37)
Da evidenziare inoltre che, poiché con riguardo al contenuto delle
prestazioni, gli articoli 1567 e 1568 c.c. si riferiscono a “prestazioni
della stessa natura”, e non invece, a prestazioni identiche, la clausola
di esclusiva deve ritenersi violata non soltanto quando la prestazione
che si compie a favore di terzi o si riceve da terzi è perfettamente corrispondente a quella pattuita in contratto, ma anche quando, appartenendo allo stesso gruppo merceologico o a gruppo affine, riesca a
soddisfare la medesima esigenza.
All’inadempimento del patto di esclusiva non si applica integralmente la normativa specifica sulla risoluzione del contratto di somministrazione, perché, se avrà rilievo la gravità dell’inadempimento, non
sarà richiesta anche la menomazione della fiducia che il legislatore col20
lega soltanto alla continuità e periodicità della prestazione prevista
dall’art. 1564 c.c.
In giurisprudenza è stato inoltre affermato che l’inadempimento
all’esclusiva possa inoltre condurre all’affermazione di un’eventuale
responsabilità extracontrattuale per concorrenza sleale (Pret. Roma,
5.2.1991, FI, 1993, I, 633).
Diversa è l’ipotesi considerata dal secondo comma dell’art. 1568
c.c. che riguarda il caso nel quale il somministrato assume anche
l’obbligo di promuovere la vendita di cose di cui egli ha l’esclusiva dal
somministrante, obbligo che deve formare oggetto di un patto apposito. Stabilisce il secondo comma dell’art. 1568 c.c. che, in tal caso, se il
somministrato non adempie, risponde dei danni anche se ha eseguito
il contratto rispetto al quantitativo minimo stabilito.
10. Fallimento e somministrazione.
Legislazione: c.c. 1559 – artt. 67, 72, 74, l. fall.
Bibliografia: Pajardi 1994.
Come è noto, la dichiarazione di fallimento determina l’apertura di
una procedura, a carattere “universale”, con finalità essenzialmente
liquidatoria, volta cioè alla conversione in denaro di tutti i beni compresi nell’attivo e al successivo pagamento dei creditori del fallito. Tra
i compiti del curatore vi è inoltre anche la definizione di tutti i rapporti giuridici pendenti e ciò, sempre nell’ottica della migliore liquidazione, per giungere all’immediata traduzione in attivo o passivo degli
stessi rapporti, a seconda che dalla loro definizione derivino diritti patrimoniali in capo al fallito o ai terzi.
Nel sistema normativo vigente non è rinvenibile una disciplina unitaria, organica e valevole per ogni fattispecie contrattuale pendente,
bensì la scelta del legislatore è stata quella di disciplinare e considerare
specificamente singole figure negoziali.
Il trattamento della somministrazione nel fallimento (e della vendita a consegne ripartite) è desumibile dagli articoli 72 (“Rapporti pendenti”) e 74 (“Contratti ad esecuzione continuata o periodica”).
La prima disposizione stabilisce che il fallimento determina la sospensione dei contratti ad esecuzione continuata o periodica deman-
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dando al curatore la scelta di subentrare nel contratto in luogo del fallito, previa autorizzazione del comitato dei creditori, ovvero di sciogliersi dal medesimo, fermo restando che il creditore può comunque
mettere in mora il creditore facendogli assegnare dal giudice delegato
un termine non superiore a sessanta giorni, decorso il quale il contratto si intende sciolto.
L’art. 74 sancisce invece che
«se il curatore subentra in un contratto ad esecuzione continuata o periodica deve pagare integralmente il prezzo anche delle consegne già avvenute o dei servizi
già erogati»
Il subentro comporta dunque per il curatore l’obbligo di pagare in
prededuzione non solo le prestazioni in corso e quelle future,
nell’ambito del medesimo contratto, ma altresì quelle già avvenute
prima del fallimento (ed anche quelle eventualmente solo offerte dal
contraente in bonis e non accettate dal somministrato). Le ragioni di
una tale soluzione normativa sono da ravvisarsi, secondo la dottrina,
nell’esigenza di realizzare una sostanziale equità, per non costringere il
somministrante in bonis a continuare le somministrazioni a favore del
fallimento e, ciononostante, imporgli la falcidia concorsuale per le
prestazioni già eseguite, tenuto conto anche dell’unitarietà del contratto.
La dichiarazione di subentro deve essere necessariamente preceduta dall’autorizzazione del comitato dei creditori, come dispone l’art.
72, I co., l. fall. Il subentro del curatore nel contratto di somministrazione determina la ratifica dei pagamenti effettuati prima del fallimento e, quindi, esclude la loro revocabilità ex art. 67.
Qualora il curatore optasse, anziché per il subentro, per lo scioglimento del rapporto, è pacifico che gli effetti non possano che essere
ex nunc, e ciò in considerazione del fatto che la somministrazione è un
contratto di durata; infatti
«le erogazioni anteriori al fallimento, che abbiano ottenuto il compenso, costituiscono situazioni esaurite il cui sinallagma si è concluso nella corrispettività a
coppie, e ciò proprio in base alla natura del contratto di durata ed all’autonomia
delle singole prestazioni sul piano esecutivo»
(Bibolini 1996, 754).
22
Si rinvia, a tal riguardo, a quanto già detto in precedenza in tema di
risoluzione per inadempimento, par. 6.
Così come precisato dall’art. 72, III co., come modificato dall’art. 4
del D.Lgs. 12.9.2007, n. 169, il contraente in bonis non può reclamare
alcun risarcimento in conseguenza dello scioglimento del contratto:
l’esclusione di ogni pretesa risarcitoria deriva fondamentalmente dal
fatto che il fallimento non costituisce un evento paragonabile
all’inadempimento; esso, quindi, non attribuisce alcun diritto alla risoluzione contrattuale, a meno che l’azione di risoluzione non sia stata
fatta valere già prima dell’apertura del concorso. Solo in questo caso si
riconosce al contraente non inadempiente il diritto ad ottenere, anche
dopo il fallimento dell’altro contraente, una pronuncia di risoluzione
per inadempimento che sia efficace nei confronti della massa.
È alla luce di quanto sinora affermato che deve essere analizzata la
questione dell’efficacia e dell’opponibilità al curatore di clausole del
tipo del c.d. “consumo minimo garantito”, fattispecie soprattutto
connessa con i contratti di somministrazione di energia elettrica, e della conseguente configurabilità di risarcimenti di danni connessi al
mancato rispetto di tali clausole.
Con queste clausole il somministrante si impegna a tenere a disposizione del cliente somministrato una determinata quantità di potenza
(c.d. “impegno di potenza”), con la previsione che il corrispettivo
debba essere versato periodicamente in costanza di rapporto.
Dopo iniziali incertezza, la giurisprudenza si è attestata
sull’inefficacia e sull’inopponibilità al fallimento di una siffatta clausola, che viene travolta dal sopravvenuto fallimento del somministrato e
dallo scioglimento del contratto, senza che sia ipotizzabile un risarcimento danni a seguito del suo mancato rispetto (salve, ovviamente, le
prestazioni già eseguite e le situazioni eventualmente già consolidatesi
prima dell’apertura del concorso).
«Nel contratto di somministrazione di energia elettrica il cosiddetto impegno di potenza, che si sostanzia nell'obbligo del somministrante di predisporre e
mantenere l'impianto in guisa di tenere a disposizione dell'utente una determinata quantità di energia, configura, al pari di quello inerente alla somministrazione
di energia, non prestazione ad esecuzione non istantanea anteriore alla esecuzione del contratto, ma una prestazione continuata, accessoria e strumentale a quella principale di somministrare l'energia cui corrisponde un corrispettivo fisso da
pagarsi periodicamente, maturando coevamente al consumo dell'energia, tanto
23
nel caso di rapporto a tempo indeterminato quanto nel caso di rapporto a tempo
determinato con previsione di rinnovazione tacita. Pertanto la risoluzione del
contratto per sopravvenuto fallimento dell'utente travolge il suddetto impegno e
i correlativi obblighi dell'utente medesimo, facendo salve soltanto le prestazioni
già eseguite, con l'ulteriore conseguenza che nel periodo della risoluzione alla naturale scadenza del contratto non è configurabile un credito del somministrante
in dipendenza di quell'impegno»
(Cass. Civ., Sez. I, 5.2.1988, n. 1259, MGC 1988, fasc. 2; FI 1988, I, 1896; Fall
1988, 455).
Una tale soluzione, del resto, è coerente con il fatto che, come si è
sottolineato, il fallimento non può essere fonte di danni risarcibili,
non essendo equiparabile ad un inadempimento e che, perciò,
l’apertura del concorso rende automaticamente inoperanti tutte le
clausole penali contenute nel contratto pendente, nella cui categoria
rientra anche quella qui considerata (Pajardi 1994, 323).
Alle medesime conclusione si dovrebbe pervenire a proposito della
clausola di risoluzione automatica conseguente al fallimento,
quella clausola, cioè, che esplichi efficacia risolutiva automatica della
somministrazione per il solo fatto che uno dei due contraenti sia dichiarato fallito. Non pare tuttavia condivisibile la diversa posizione di
chi ammette l’efficacia di tale clausola sulla base del rilievo della natura fiduciaria che caratterizza la peculiarità del contratto di somministrazione, e ciò sulla base della considerazione che ove si aderisse a
tale orientamento, si incorrerebbe nella violazione dell’imprescindibile
regola della previa sospensione del contratto, dettata dall’art. 72 l. fall.,
che è norma imperativa e non derogabile. Tale clausola, inoltre, sarebbe invalida per la ragione che finirebbe per comprimere la normale
espropriabilità dei diritti patrimoniali del debitore, stravolgendo, attraverso una mera pattuizione privata, una disciplina normativa che, come si è detto, è inderogabile.
Analogamente, è da ritenersi invalida una clausola che prevedesse
un risarcimento del danno a favore del contraente in bonis per effetto
dello scioglimento del rapporto conseguente al fallimento dell’altro
contraente; tale clausola sarebbe contraria al principio della non risarcibilità dei danni derivanti dall’apertura del concorso nei confronti di
uno dei contraenti e, come tale, violerebbe la regola fondamentale del
trattamento paritario dei creditori concorrenti.
24
11. Tutela cautelare del somministrante.
Legislazione: c.p.c. 700.
Nell’ipotesi di somministrazione ad esecuzione continuativa, in
particolare con riguardo a quelle aventi ad oggetto la fornitura di gas,
energia elettrica ed acqua, si è posto il problema della esperibilità dei
rimedi possessori per il caso di interruzione dell’erogazione.
La giurisprudenza ha dato risposta affermativa a tale questione.
Così testualmente:
«In ipotesi di contratto di somministrazione di gas, il somministrante ha diritto
di sospendere la fornitura in caso di inadempimento della parte che ha diritto alla somministrazione; detta sospensione del servizio richiede la collaborazione attiva dell'utente, il quale deve permettere l'accesso al contatore sito presso la propria abitazione. Sussiste pertanto il fumus boni iuris per ottenere un provvedimento ex art. 700 c.p.c. che consenta di accedere alla abitazione dell'utente per provvedere alla chiusura del misuratore dei consumi. Per quanto riguarda il periculum
in mora, va tenuto presente che il somministrante, senza l'emissione del provvedimento cautelare richiesto, sarebbe costretto a continuare l'erogazione del servizio per il tempo occorrente a far valere il suo diritto in via ordinaria, subendo
così il persistere ed aggravarsi dell'inadempimento dell'utente.
Anche sotto questo aspetto, pertanto, il predetto provvedimento cautelare può
essere concesso»
(Trib. Carpi, 26.1.2007, Dejure).
12. Tutela cautelare del somministrato.
Legislazione: c.c. 1168, 1170 – c.p.c. 700
Bibliografia: Giannattasio 1974 – Zuddas 2003.
L’analisi della dottrina e giurisprudenza per quanto riguarda la concessione di rimedi cautelari ha riguardato anche la posizione del
somministrato.
«Devesi, innanzi tutto, precisare che la questione si pone nei limiti
dell’ammissibilità dell’azione di reintegrazione (art. 1168 c.c.), dovendosi in ogni
caso escludere l’azione di manutenzione (art. 1170 c.c.), nel caso di interruzione
di una prestazione periodica del contratto di somministrazione (…).
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Avendo il codice vigente data una diffusa disciplina al contratto di somministrazione, vien fatto di domandarsi se le norme contenute negli artt. 1559 e ss. c.c.
contemplino ogni possibile violazione o se sia concepibile una preliminare difesa
dell’avente diritto alla somministrazione con l’azione di reintegrazione. Dal momento che l’art. 1565 riconosce, sia pure per implicito, al somministrante, il diritto di sospendere la fornitura per inadempimento delle obbligazione del somministrato, potrebbe pensarsi che questa tutela accordata al somministrante, che
si attua con l’interruzione di fatto della fornitura, porti ad escludere una tutela
del somministrato per ottenere la reintegra del godimento. La questione è già
stata esaminata in dottrina e risolta nel senso che la tutela specifica di un contraente non è di ostacolo ad una diversa tutela possessoria dell’altro. In seguito
all’allacciamento e all’inizio della fornitura si crea una situazione che si prolunga
e per la quale è sempre concepibile una tutela contro interruzioni violente o
clandestine, che non rientrano nella fattispecie prevista dall’art. 1565 c.c.»
(Giannattasio 1974, 310).
Allo stato attuale, comunque, gli interpreti sono unanimi nel
negare la tutela possessoria al somministrato in quanto il mancato
adempimento genera un credito, non un possesso: l’utente ha quindi
diritto alla somministrazione, ma non ha il possesso delle energie che
gli devono essere somministrate (Zuddas 2003, 147).
«In tema di somministrazione di energia elettrica, l'utente che abbia subito il distacco della fornitura non può esperire le azioni possessorie, giacché l'interruzione di energia in corso di prelievo con fonti di illuminazione attive (o apparecchiature elettriche di accumulo funzionanti) non comporta spoglio di energia essendo questa già consumata (o accumulata) - né è configurabile lo spoglio per
quella eroganda, che non può essere oggetto di possesso attuale, perché prima
dell'apprensione vi è soltanto potenziale disponibilità realizzabile mediante la
concreta utilizzazione solo con la persistente collaborazione dell'ente erogatore;
d'altra parte, neppure può sussistere una situazione di possesso in relazione alla
potenza assicurata, atteso che in tal caso manca il benché minimo riferimento a
un bene reale, evidenziandosi soltanto un obbligo contrattuale dell'ente erogatore a rendere possibile all'utente un assorbimento simultaneo di energia elettrica
sino alla predeterminata quantità convenuta. (Nella specie, è stato escluso lo
spoglio lamentato dal ricorrente per avere l'Enel sostituito il contatore dell'energia elettrica con applicazione di un limitatore della potenza impegnata, così determinando il distacco e l'impossibilità di utilizzare gli elettrodomestici per la insufficienza dell'assorbimento consentito)».
(Cass. Civ., Sez. II, 30.12.2004, n. 24182, MGI, 2004).
È invece ammesso e riconosciuto il ricorso ai provvedimenti
d’urgenza, dal momento che nella maggior parte dei casi la prestazio-
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ne oggetto della somministrazione riguarda servizi essenziali rispetto
ai quali non è pensabile che si attenda l’esito di un ordinario giudizio
di cognizione. A tal riguardo, la giurisprudenza ha affermato che
l’illegittima sospensione di un servizio da parte della società erogatrice
comporta per l’utente, privato di un servizio essenziale ai bisogni della
vita, un pregiudizio irreparabile ai sensi dell’art. 700 c.p.c.
In tema di servizi di catering, è stato ammesso il ricorso ai provvedimenti in esame, affermandosi che
«può essere determinato in via cautelare e urgente il corrispettivo della somministrazione dei pasti nel contratto di "catering", nell'ipotesi in cui: a) gli indici stabiliti dalle parti per l'aggiornamento del prezzo (nella specie, l'indice Assoristoranti) non esistano; b) l'impresa somministrante abbia comunque chiesto ed ottenuto consistenti aggiornamenti del corrispettivo sulla base dell'indice rivelatosi
inesistente; c) il recupero del credito per il pagamento del corrispettivo non dovuto sia particolarmente difficile; d) lo stato di incertezza sull'ammontare del
corrispettivo quale elemento essenziale del contratto renda il pregiudizio irreparabile»
(Trib. Roma, 6.7.1995, FI, 1996, I, 708).
Analogamente, in tema di somministrazione dell’acqua, posto che
tale servizio soddisfa un'esigenza di carattere primario e che il gestore
del servizio di distribuzione opera in regime di monopolio in una parte del territorio servito e in regime di oligopolio nella zona restante,
«può ritenersi che ricorrano i giusti motivi d'urgenza, richiesti dall'art. 1469 sexies
cpv. c.c., per la concessione della tutela inibitoria cautelare»
(Trib. Palermo, 4.7.2000, DeR, 2001, 2, 181).
In ogni caso, comunque, si ritiene che nessun provvedimento
d’urgenza possa essere richiesto dal somministrato inadempiente: così,
non può disporsi la riattivazione, in via d’urgenza, di un’utenza sospesa per morosità del ricorrente, quando non risultino neppure evidenziate le ragioni giustificatrici dell’urgenza di provvedere (Pret. Milano,
13.7.1989, RGEnel, 1989, 1003) ovvero quando il soggetto abbia fatto
ricorso a strumenti di autotutela (Pret. Firenze, ord. 8.7.1975, RGEnel,
1975, 829).
Infine, altra più recente pronuncia ha affermato che il pericolo di
subire la sospensione dell’erogazione di un servizio essenziale non integra gli estremi dell’irreparabilità necessari ai fini della concessione di
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un provvedimento d’urgenza, quando lo stesso possa essere evitato
attraverso un comportamento dell’interessato (nel caso di specie, il
pagamento delle bollette insolute) inidoneo a determinare a sua volta
un danno non riparabile (Trib. Roma, ord. 2.4.1998, RGEnel, 1998,
432). La tutela cautelare ex art. 700 c.p.c. è stata inoltre negata
«nell'esecuzione di un contratto di somministrazione di energia elettrica, laddove
il mancato allacciamento dell'utente da parte dell'Enel sia condizionato dall'attività di una pubblica amministrazione (nella specie: autorizzazione regionale per
la costituzione di servitù) nei confronti della quale l'Enel ha soltanto un onere di
stimolo e non la possibilità di sostituirsi nel suo operato»
(Pret. Canosa di Puglia, 22.6.1992, RGEnel, 1994, 213).
13. Danni risarcibili.
Legislazione: c.c. 1223, 1225, 1453, 1570.
L’inadempimento alle obbligazioni derivanti dal contratto di somministrazione determina il sorgere di una pretesa risarcitoria da parte
dell’altro soggetto, che deve essere adeguatamente ed integralmente
risarcito del danno patito, e ciò nei modi e termini stabiliti dalle norme generali del codice civile in materia: i pregiudizi risarcibili saranno
quelli che siano conseguenza immediata e diretta dell’inadempimento
ex art. 1223 c.c. e, salvo il caso di dolo del debitore, che potevano
prevedersi al tempo in cui è sorta l’obbligazione ai sensi dell’art. 1225
c.c.
Il contraente adempiente potrà chiedere all’inadempiente o la risoluzione del contratto o l’esecuzione specifica dell’obbligazione, col risarcimento dei danni in entrambe le ipotesi, compresi quelli verificatisi posteriormente alla domanda di risoluzione (art. 1453 c.c.).
Dal principio per cui il danno da risarcire per inadempimento contrattuale
va
accertato
con
riferimento
al
momento
dell’inadempimento, consegue che, nel caso di mancata esecuzione di
un contratto di somministrazione, il quale importa che una parte sia
obbligata ad eseguire a favore dell’altra non una singola prestazione,
ma periodiche o continuative prestazione di cose, il danno deve essere
accertato con riferimento a tutta la durata del contratto stesso.
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Se il contratto è a tempo indeterminato, il danno va commisurato
al periodo che intercorre dal momento della inadempienza a quello in
cui cessa il periodo di preavviso.
Non è da escludere, inoltre,
«l’applicazione della disciplina prevista dall’art. 1227, comma 2 c.c., che esclude il
risarcimento con riguardo ai danni che il creditore avrebbe potuto evitare usando l’ordinaria diligenza»
(Cass. Civ., 13.9.2004, n. 18352, MGC, 2004).
Per procedere alla quantificazione del danno, in caso di inadempimento consistente nel rifiuto di ricevere la prestazione pattuita, salvo
l’ulteriore danno, devono essere calcolati il lucro cessante, consistente
nel valore differenziale tra il prezzo di costo (inteso come prezzo di
acquisto che il somministrante ha dovuto sopportare, se l’ha dovuto
acquistare da altri, ovvero di produzione, se ha curato personalmente
la produzione) e il prezzo di vendita concordato con il somministrato.
Il somministrante non è comunque tenuto a risarcire il danno provocato ad un utente in occasione della sospensione dell’erogazione del
servizio
«se lo ha preventivamente avvertito dell’impossibilità, non riconducibile a propria colpa, di eseguire la prestazione »
(Cass. Civ., 9.6.1997, n. 5144, MGC, 1997).
Infine, richiamando quanto già detto circa l’oggetto del contratto
di somministrazione (par. 1), dal momento che per espressa previsione dell’art. 1570 c.c., si applicano alla somministrazione, in quanto
compatibili, le norme che disciplinano il contratto al quale corrispondono le singole prestazioni, per poter determinare esattamente eventuali inadempienze delle parti e, quindi, i danni e risarcimenti che ne
conseguono, è comunque necessaria, occorrerà volta per volta richiamare le disposizioni dei singoli contratti speciali.
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14. Somministrazione e casistica.
Nei repertori della giurisprudenza, il contratto di somministrazione
è fattispecie oggetto di innumerevoli pronunce, specialmente per
quanto riguarda la fornitura di servizi c.d. essenziali (acqua, luce, gas,
telefono), servizi che soddisfano cioè bisogni diversi e primari aventi
un fondamento costituzionale nella tutela dei diritti inviolabili di cui
all’art. 2 della Cost.
Circa l’essenzialità di tali servizi, in diverse occasioni la giurisprudenza (Pret. Catania, 8.11.1995, Arch. Civ., 1996, 230; App. Milano,
3.5.1991, Arch. Locaz., 1993, 108) ha evidenziato che la mancata fornitura degli stessi servizi determina, inevitabilmente, la compressione di
aspettative di qualità della vita, sia individuale che di relazione, difficilmente rinunciabili.
14.1. Somministrazione di acqua potabile.
Legislazione: c.c. 1559, 2059.
Nel caso di somministrazione di acqua potabile, la caratteristica
della potabilità è fattore discriminante per determinare l’esatto o il
mancato adempimento delle obbligazioni dedotte in contratto.
In particolare la giurisprudenza ha stabilito che la somministrazione di acqua non potabile costituisce inesatto adempimento del contratto di fornitura che dà diritto al somministrato, non essendo ipotizzabile la risoluzione del contratto, ad un’equa riduzione del canone
al fine di rimediare all’alterazione dell’equilibrio patrimoniale tra prestazione e controprestazione causata dal mancato adempimento da
parte dell’ente della sua prestazione di fornire acqua potabile (GdP
Pordenone, 23.6.1997, GPac, 1997, 252), nonché al risarcimento dei
danni patiti (Cass. Civ., 25.6.2002, n. 9240, RFI, 2002, Comune, 6).
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14.2. Utenza telefonica.
Legislazione: c.c. 1176, 1218, 1559 – c.p.c. 700.
Il contratto di utenza telefonica è riconducibile nell’alveo dei contratti di somministrazione (Cass. Civ., Sez. III, 2.10.1997, n. 9624,
NGCC, 1999, I, 154).
Tra le questioni che si riscontrano con una certa frequenza nei
rapporti con i gestori telefonici vi sono quelle del ritardo o della mancata attivazione del servizio telefonico.
Proprio tali questioni costituiscono l’oggetto della Delibera n.
179/2003/CSP dell’AGCOM che ha previsto che i gestori telefonici
indichino nei contratti, presentati agli utenti per la sottoscrizione, il
tempo di fornitura del collegamento iniziale, per assicurare che questi
siano certi e brevi, salvo i casi di eccezionalità tecnica, che devono essere rappresentati al cliente.
In merito al danno risarcibile in caso di inadempimento alle obbligazioni derivanti dal contratto di utenza telefonica, in un caso di ritardata attivazione del servizio telefonico, il giudice di pace di Verona
(GdP Verona, 16.3.2000, in GI, 2001, 1159) ha ravvisato un inadempimento contrattuale da cui deriva un danno esistenziale, suscettibile
di valutazione equitativa, consistente non solo nell’impossibilità di disporre subito del servizio, ma anche nei disagi che il creditore deve
affrontare per sollecitare la società fornitrice ad adempiere.
Nello stesso senso, altro giudice ha successivamente stabilito che
«la ritardata attivazione del servizio telefonico è un inadempimento contrattuale
da cui deriva un danno esistenziale, consistente, non solo nell’impossibilità di disporre subito del servizio, ma anche nei disagi che l’utente deve affrontare sia
per provvedere diversamente sia per sollecitare la società ad adempiere»
(GdP Roma, 11.7.2003, in DR, 2004, 85).
Ancora, in altra occasione il Giudice di Pace ha condannato il gestore telefonico, il quale, nonostante i numerosi solleciti da parte del
cliente, non aveva provveduto all’attivazione della linea: anche in questo caso, il fornitore è stato condannato a versare all’altra parte, oltre
ad una somma a titolo di indennizzo dovuto per la mancata attivazione, anche un’ulteriore somma, determinata equitativamente, per il ristoro del danno esistenziale, avendo ritenuto provato, sulla base delle
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allegazioni e della prova testimoniale esperita, che l’attrice aveva sopportato un lungo stato di disagio, provocato da indifferenza ed insensibilità della società (così GdP Napoli, 2.7.2008, in Dejure).
Con la delibera 52/08/CIR del 2 luglio 2008 è stata la stessa Autorità delle comunicazioni, a cui aveva ricorso un utente, a condannare
un’impresa a indennizzare il cliente a seguito della mancata attivazione
della linea telefonica per ben 3 anni, senza alcun fondato motivato.
Nel provvedimento AGCOM ha evidenziato che viene fatta salva la
possibilità per l’utente di richiedere in sede giurisdizionale il risarcimento dell’eventuale ulteriore danno subito.
«Il contratto di utenza telefonica è inquadrabile nello schema del contratto di
somministrazione e pertanto la clausola contrattuale che prevede la facoltà del
somministrante di sospendere la fornitura nel caso di ritardato pagamento anche
di una sola bolletta rappresenta una specificazione contrattuale dell'art. 1565 c.c.
(del quale amplia l'ambito a favore del somministrante), e costituisce quindi una
reazione all'inadempimento dell'utente cui viene opposta l'exceptio inadimpleti contractus; ne consegue che la sospensione della fornitura è legittima solo finché
permane l'inadempimento dell'utente e che detta sospensione, se attuata quando
ormai l'utente ha pagato il suo debito, costituisce inadempimento contrattuale e
obbliga perciò il somministrante al risarcimento del danno ai sensi degli art.
1176 e 1218 c.c., a meno che non sia fornita la prova che tale inadempimento è
stato determinato da causa non imputabile al somministrante, ovvero, nella specie, dalla ignoranza incolpevole dell'avvenuto pagamento; la mancata conoscenza del pagamento da parte dello specifico ufficio addetto alla sospensione e riattivazione del servizio, essendo un fatto interno alla società e non dipendente
dall'utente, non esclude l'obbligazione risarcitoria se non sia fornita la prova che
essa dipende da causa estranea alla società e alla sua organizzazione»
(Cass. Civ., Sez. III, 2.10.1997, n. 9624, NGCC, 1999, I, 154).
In tema di contratto di utenza telefonica, richiamando quanto affermato in precedenza in merito ai provvedimenti d’urgenza ex art.
700 c.p.c. è da evidenziare che
«il mancato esperimento del tentativo obbligatorio di conciliazione previsto
dagli art. 3 seg. del regolamento concernente la risoluzione delle controversie insorte nei rapporti tra organismi di telecomunicazioni ed utenti, adottato con delibera n. 182/2002 dall’autorità per le garanzie nella comunicazione, non determina l’improcedibilità del ricorso d’urgenza, ex art. 700 c.p.c., all’autorità giudiziaria»
(Trib. Firenze, 4.3.2005, GM, 2005, 2323).
32
14.3. Somministrazione di energia elettrica.
Legislazione: c.c. 1559.
È pacifica l'applicazione della disciplina di cui agli artt. 1559 e ss.
c.c. al contratto di fornitura di tipo continuativo e di consumo avente
ad oggetto energia elettrica.
Nel caso in esame, la peculiarità del contratto risiede nel fatto che
il somministratore, nell'impegnarsi a soddisfare i bisogni futuri del
somministrato, assume su di sè, oltre che l'obbligo di apprestare i
mezzi necessari per l'adempimento, anche i rischi della fornitura, costituendo quest'ultima l'alea normale del contratto (ex multis, Cass., n.
2359/1968) quale proiezione delle prestazioni nel futuro. Per costante
dottrina e giurisprudenza, nel caso di contratto di somministrazione di
energia elettrica, oltre all'obbligo principale della somministrazione,
sul somministrante grave anche l’obbligazione accessoria derivante dal
c.d. impegno di potenza (si rinvia a quanto detto in precedenza in tema di fallimento, par. 10). Quest'ultimo costituisce una prestazione
continua, accessoria e strumentale a quella principale della fornitura, e
si sostanzia in una nell'obbligo del somministrante di predisporre e
mantenere l'impianto in modo da tenere a disposizione dell'utente una
determinata quantità di energia, a cui corrisponde un corrispettivo fisso, da parte dell'utente, da pagarsi periodicamente e che viene a maturare contemporaneamente al consumo di energia.
La mancata esatta esecuzione del contratto di fornitura di energia
elettrica obbliga la parte inadempiente al risarcimento dei danni (artt.
1218, così come richiamato dall'art. 1570 c.c.).
È pur vero che l'art. 1218 c.c., in tema contrattuale, detta la regola
generale secondo cui il debitore può liberarsi delle conseguenze dell'inadempimento se prova che l'inadempimento stesso è da ricondurre a
causa a lui non imputabile, tuttavia, secondo costante interpretazione
giurisprudenziale tale prova deve essere rigorosa, piena e completa e
deve comprendere anche la dimostrazione della mancanza di colpa del
debitore, sotto qualsiasi profilo, dovendosi, diversamente, presumersi
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nel medesimo la sussistenza di tale elemento soggettivo (Cass.
7604/96).
«L'inquadramento del rapporto nell'ambito del contratto di somministrazione
disciplinato dall'art. 1559 c.c., comporta l'impegno del somministrante di apprestare tutti i mezzi necessari per l'adempimento e l'assunzione in capo al medesimo di tutti i rischi della fornitura tra i quali rientrano anche quelli relativi alla regolare e costante erogazione di energia elettrica. La circostanza che l'Enel curi
solo la distribuzione e non la produzione di energia non la esime dall'obbligo di
adottare tutte le misure necessarie a superare l'ostacolo o a limitare il disagio nel
tempo. A mente dell'art. 1218 c.c., nell'ambito della responsabilità contrattuale la
colpa del debitore è presunta spettando allo stesso la prova che l'inadempimento
è dipeso da causa ad esso non imputabile e non al creditore, appellante, come
sostenuto dal giudice di pace».
(App. Ariano Irpino, 5.2.2009, Rass. Foro Arianese, 2009, 2, 91).
«Nell'ambito di un rapporto contrattuale scaturente da un negozio di somministrazione continuata di energia elettrica, incombe sull'ente erogatore, convenuto
per il risarcimento del danno (e tenuto alla esecuzione della propria prestazione
secondo buona fede), l'onere di provare che l'interruzione della erogazione energetica lamentata dal somministrato sia dipesa da una delle cause di giustificazione previste nella specifica clausola contrattuale di esonero (forza maggiore, lavori di manutenzione, esigenze di servizio, cause accidentali, scioperi) espressamente sottoscritta dall'utente all'atto della stipula del negozio»
(Cass. Civ., Sez. III, 9.6.1997, n. 5144, MGI, 1997).
Così, alla luce di tali osservazioni, in diverse occasioni è stata dichiarata la responsabilità per inadempimento contrattuale della
società fornitrice in caso di black-out preceduto da altri, seppur di più
breve durata, che avevano evidenziato l'inadeguatezza del sistema di
somministrazione dell'energia elettrica, nonché la mancata diligenza
della convenuta che avrebbe potuto impedire il secondo black - out,
garantendosi energie alternative.
Dall'accertamento dell'inadempimento contrattuale discende che la
parte inadempiente sia tenuta al risarcimento dei danni patiti
dall’utente, danni di natura patrimoniale che non patrimoniale, nella
configurazione esistenziale.
La ricorrenza dei danni esistenziali, in particolare, viene generalmente ravvisata nel fatto che l'interruzione di energia elettrica determina la rinuncia da parte dell'utente di tutte o molte di quelle attività
che costituiscono la normale aspettativa di ogni essere umano, deter-
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minando così una modifica negativa della vita dell'istante, consistente
nell'alterazione delle normali attività dell'individuo e che, pertanto,
non devono essere oggetto di una specifica prova.
Tali alterazioni, pur non accertabili medicalmente, perché non sfocianti in una patologia come nel caso del danno biologico ledono, tuttavia, diritti degli individui di rango costituzionale (art. 2) e tutelati
dall'ordinamento.
La lesione della personalità del soggetto è suscettibile di tutela, indipendentemente dallo specifico interesse leso che può anche non avere una diretta rilevanza costituzionale, ma va tutelato ogni qualvolta
configuri una alterazione della manifestazione della personalità tutelata costituzionalmente ex art. 2 della costituzione (App. Milano,
14.2.2003, Dejure).
«La prolungata sospensione dell'erogazione di energia elettrica, conseguente
all'interruzione del collegamento internazionale tra Svizzera e Italia, configura un
inadempimento contrattuale imputabile alla società che distribuisce l'energia
all'utente finale, al quale non spetta alcun indennizzo automatico, bensì il risarcimento del danno non patrimoniale, che va liquidato in via equitativa».
(GdP Ceglie Messapica, 7.9.2005, FI, 2006, 4, 1, 1255)
Sempre in tema di risarcimento del danno da black-out, la più recente giurisprudenza osserva che
«chi agisce in giudizio per ottenere il risarcimento del danno seguito ad un
lungo periodo di interruzione della somministrazione dell'energia elettrica deve
provare il danno-conseguenza (nella specie, la Corte ha cassato la decisione del
merito, che aveva riconosciuto all'utente il risarcimento del danno seguito ad un
lungo periodo di black-out in base ad una massima di esperienza; a detta della
Corte, l'inferenza probabilistica andava motivata rispetto al caso concreto)»
(Cass. Civ., Sez. III, 21.9.2009, n. 20324, D&G, 2009)
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