Dal laboratorio al testo: la matematica si può e si
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Dal laboratorio al testo: la matematica si può e si deve capire Domingo Paola Liceo scientifico “A. Issel” Finale Ligure G.R.E.M.G. Dipartimento di Matematica Università di Genova Abstract In this paper I’ll try to outline some considerations about the changes in the idea of mathematical laboratory from its origins to nowadays and about the actual importance of laboratorial approach to construct meaning and to introduce theoretical thinking in mathematics classrooms. I laboratori di matematica: le origini Agli inizi del XX secolo Giovanni Vailati auspicava una scuola “dove all'allievo è dato il mezzo di addestrarsi, sotto la guida e il consiglio dell'insegnante, a sperimentare e a risolvere questioni, a misurare e soprattutto a misurarsi e a mettersi alla prova di fronte ad ostacoli e difficoltà atte a provocare la sua sagacia e coltivare la sua iniziativa"1. Nei primi anni Settanta Lucio Lombardo Radice fu chiamato dal Centro Educativo di Mirto2 per discutere sulle nuove tendenze dell’insegnamento della matematica. Dopo aver ricordato che le due caratteristiche principali della tradizione italiana erano un insegnamento storico-dinamico e il legame tra geometria e fisica, disse: “raccomando moltissimo al Centro che ci sia uno stretto legame non soltanto tra matematica e osservazioni scientifiche, ma anche tra matematica e laboratorio tecnico” (Casarrubea, 1974, pag. 166). Le parole di Vailati e quelle di Lombardo Radice costituiscono un’esortazione esplicita alla pratica laboratoriale per coinvolgere gli studenti prestando attenzione non tanto al prodotto finale dell’attività, quanto al processo, come occasione di costruzione di significato. I laboratori di matematica ebbero un notevole sviluppo negli anni ’70-80, ispirandosi a esperienze didattiche di elevato livello, come quella della scuola di Roma, con Lucio Lombardo Radice, Emma Castelnuovo e Livia Mancini Proia, oppure ai materiali e alle mostre di Vittorio Checcucci e del gruppo di 1 Si veda la nota 21 dell’intervento di Livia Giacardi alla pagina web: http://areeweb.polito.it/didattica/polymath/htmlS/info/Antologia/VailatiGiacardi.html#_ftn21 2 Mirto è un piccolo comune in provincia di Messina. Il Centro Educativo, frequentato da centinaia di bambini, fu fondato da Danilo Dolci negli anni ’70. A Mirto Dolci sperimentò sistematicamente il metodo della domanda e della ricerca maieutica per far crescere la coscienza civile e offrire una speranza ai giovani di quel territorio. ricerca di Pavia. Bruno D’Amore che, con il suo gruppo di ricerca, diede vita a diverse esperienze laboratoriali (D’Amore, Marazzani, 2005, pag.1; D’Amore, 1987), ha proposto una caratterizzazione molto precisa del laboratorio di matematica (D’Amore, Marazzani, 2005 pagg. 2-6): “laboratorio è un ambiente dove si costruiscono oggetti, si lavora concretamente, si ottiene qualche cosa […]; di matematica, perché l’oggetto concreto risultato finale della realizzazione è di contenuto matematico. Dunque il laboratorio di matematica è un luogo nel quale si costruisce qualche cosa di concreto che ha a che fare con la matematica […]. L’ideale è che l’insegnante avvii il dibattito teorico, produca il bisogno di una realizzazione pratica, ma resti in aula mentre i bambini frequentano il laboratorio, ed assista alla presentazione del manufatto finale, dirigendo poi il conseguente dibattito in aula […]. Tutte le relazioni interpersonali che si instaurano attraverso il laboratorio cambiano; per esempio, cambia il contratto didattico […]. Lo studente qui più che altrove deve implicarsi, farsi cioè carico personale della costruzione non solo del sapere (che è termine metaforico) ma anche dell’oggetto attraverso il quale il sapere concretamente transita […]. Qui la devoluzione scatta necessariamente, perché l’insegnante stimola e si mette in disparte, lasciando al bambino una grande responsabilità […]. Il bambino non solo è protagonista assoluto, ma sente di esserlo. E dunque, lanciato sulla strada della motivazione, da solo giunge alla volizione che è la molla affettiva necessaria della costruzione di competenza”. Come già detto, varie e assai interessanti furono le esperienze di laboratori di matematica con il coinvolgimento diretto degli studenti sia nella fase di costruzione che di presentazione dei materiali. Tali esperienze, però, non riuscirono a diffondersi nella scuola, almeno non tanto da mutare la prassi didattica, in particolare nella scuola secondaria di secondo grado. Così, gradualmente, l’idea della didattica laboratoriale rimase appannaggio di insegnanti coraggiosi e illuminati o venne relegata alla periferia del processo formativo, attuata in momenti particolari, magari di grande coinvolgimento, ma ai margini del percorso scolastico. I motivi di questo epilogo furono molteplici: sicuramente le ingenti risorse richieste, sia in termini di coinvolgimento emotivo, di tempo e intellettuale di insegnanti e studenti, sia in termini di fondi e personale necessario per realizzarle. Nel caso specifico della scuola secondaria di secondo grado ci sono almeno altri tre ordini di motivi che possono aiutare a capire perché la didattica laboratoriale sia stata rifiutata. Il primo ha a che fare con il coinvolgimento che essa richiede: l’ingresso nella scuola secondaria di secondo grado coincide, per gli studenti, con un periodo di profondi cambiamenti psicofisici e con l’esigenza di riconoscere una propria identità stabile. Ciò implica poca disponibilità a essere coinvolti in un reale processo di apprendimento, che richiede di ristrutturare e modificare le proprie reti esperienziali e concettuali. Il secondo motivo riguarda la frammentazione del sapere disciplinare in materie e i vincoli imposti dalle forme di valutazione tradizionalmente utilizzate: esse ostacolano la realizzazione di una didattica che richiede tempi lunghi, sia per lo svolgimento delle attività, sia per l’osservazione e la valutazione dei comportamenti degli studenti. Il terzo motivo riguarda il quadro normativo: prima della riforma, in particolare nei programmi dei licei di ordinamento, non esistevano cenni specifici alla didattica laboratoriale. Non è quindi sorprendente che le prassi della lezione frontale e dell’addestramento abbiano infine prevalso. Il laboratorio di matematica oggi: dal laboratorio al testo Come la brace sotto la cenere riesce talvolta a riattizzare il fuoco, così le buone idee tornano a volte a manifestarsi: nel 2000 la commissione dell’UMICIIM, a supporto della commissione ministeriale Berlinguer-De Mauro, nella sua proposta di indicazioni curricolari, diede grande spazio alla didattica laboratoriale, ispirandosi alle grandi esperienze del passato, ma con alcune differenze dettate da considerazioni sul contesto scolastico3. Come giustamente scrive Bruno D’Amore, riferendosi alle sue esperienze di laboratorio di matematica (D’Amore, Marazzani, 2005, pagg. 6-7), “Negli anni successivi a queste prime esperienze, la terminologia di laboratorio di ha assunto varie altre interpretazioni […]. Così laboratorio a scuola è stato assunto come sinonimo di attivazione, fare, atteggiamento non scolastico, partecipazione personale, momento libero, creatività, didattica informale e così via ”. Forse alcune delle connotazioni date al laboratorio di matematica sono responsabili di prese di posizioni fortemente critiche nei confronti della didattica laboratoriale, come quella espressa da Giorgio Israel sul suo blog4: “[…] continuare con l’ossessione dei laboratori, altro termine di cui andrebbe proscritto l’uso, salvo che in fisica, in chimica e in biologia, perché riflette la nefasta visione della scuola come terreno di sperimentazione delle teorie degli scienziati del nulla anziché come luogo in cui si apprende”. L’idea di laboratorio di matematica avanzata dalla commissione UMI-CIIM vuole avere tutt’altro obiettivo che quello di “riflettere la nefasta visione della scuola come terreno di sperimentazione delle teorie degli scienziati del nulla”. Con il termine laboratorio di matematica, la commissione ha inteso un contesto di insegnamento – apprendimento volto alla costruzione di significati, in cui si utilizzano nuovi e vecchi strumenti, che favorisca sia la comunicazione e la discussione fra pari e fra studenti e insegnante, sia l’avvio graduale al sapere 3 In particolare, nell’idea della commissione UMI-CIIM, il laboratorio di matematica è un ambiente d’insegnamento apprendimento che mette a disposizione degli studenti risorse cognitive e tecnologiche, innovative e tradizionali per la costruzione di significato degli oggetti di studio. Come tale, esso può realizzarsi in qualunque luogo, anche quello dell’aula stessa in cui si svolgono le lezioni. 4 http://gisrael.blogspot.com/search?updated-max=2007-1226T14%3A04%3A00%2B01%3A00, 4/8/2007, pubblicato anche sul quotidiano Il Foglio. teorico come strumento in cui situare e dare risposte a domande del tipo perché è così? e che cosa succederebbe se …?. Mi conforta il fatto che, nonostante Giorgio Israel abbia fatto parte della commissione che ha redatto la stesura definitiva delle attuali indicazioni curricolari dei licei, l’idea di laboratorio avanzata dalla commissione UMI-CIIM nel 2000 è stata accolta in tutte le nuove indicazioni curricolari. Nella Nota introduttiva alle Indicazioni nazionali riguardanti gli obiettivi specifici di apprendimento per i licei si raccomanda “l’uso costante del laboratorio per l’insegnamento delle discipline scientifiche”5, “la pratica dell’argomentazione e del confronto”, “l‘uso degli strumenti multimediali a supporto dello studio e della ricerca”. Inoltre si scrive esplicitamente che “Conoscere non è un processo meccanico, implica la scoperta di qualcosa che entra nell’orizzonte di senso della persona che vede, si accorge, prova, verifica, per capire”. Nelle indicazioni per gli istituiti tecnici e i professionali i richiami alla didattica laboratoriale sono molto più numerosi e sistematici e si precisa, in particolare, che “è molto importante che i docenti scelgano metodologie didattiche coerenti con l’impostazione culturale dell’istruzione tecnica che siano capaci di realizzare il coinvolgimento e la motivazione all’apprendimento degli studenti. Sono necessari, quindi, l’utilizzo di metodi induttivi, di metodologie partecipative, una intensa e diffusa didattica di laboratorio, da estendere anche alle discipline dell’area di istruzione generale con l’utilizzo, in particolare, delle tecnologie dell’informazione e della comunicazione […]. Ad esempio, si può immaginare […] un laboratorio di introduzione e di applicazione dei concetti e dei procedimenti matematici, mediante la soluzione di problemi anche ispirati allo studio parallelo delle scienze o delle tecnologie […]. Si tratta di promuovere una metodologia di insegnamento e apprendimento di tipo laboratoriale”. Soprattutto, nelle indicazioni dei tecnici e professionali, è presente un paragrafo dedicato specificamente al laboratorio, intitolato “Il laboratorio come metodologia di apprendimento”. In esso si precisa che il laboratorio “non deve essere concepito solo come un luogo nel quale gli studenti mettono in pratica quanto appreso a livello teorico, ma soprattutto come una metodologia didattica innovativa che coinvolge tutte le discipline [… che] possono, quindi, giovarsi di momenti laboratoriali, in quanto tutte le aule possono diventare laboratori […]. Il laboratorio, quindi, rappresenta la modalità trasversale che può caratterizzare tutta la didattica disciplinare e interdisciplinare per promuovere nello studente una preparazione completa e capace di continuo rinnovamento”. Il dibattito sulla didattica laboratoriale si è anche arricchito, proprio ora che le indicazioni la pongono al cuore dell’azione didattica, di posizioni critiche da parte di alcuni ricercatori e docenti che pure la ritengono, in linea di principio, 5 Le indicazioni curricolari dei licei, degli istituti tecnici e dei professionali si trovano sul sito dell’ANSAS (http://www.indire.it/). una buona pratica didattica. Le perplessità espresse riguardano i tempi eccessivi che essa richiede e le concomitanti scelte di ridurre, con la riforma scolastica, il tempo scuola e, in particolare, le ore di matematica in alcune tipologie di istituti. Si tratta di perplessità a prima vista ragionevoli, ma che, a mio avviso, rischiano di creare solo alibi a perseverare con approcci didattici che stanno sempre più dimostrandosi inadatti non solo ai modi di apprendimento dei giovani d’oggi, ma anche alle sempre più pressanti esigenze di offrire agli studenti le occasioni per conseguire quelle conoscenze e competenze di cittadinanza che sono alla base delle indicazioni e, soprattutto, sono richieste dalla nostra Costituzione e dalle risoluzioni della Comunità Europea. Queste obiezioni hanno sicuramente una forte presa su docenti poco motivati o intimoriti da impegni che possono apparire eccessivi e che richiedono certamente forti competenze didattico-disciplinari. È chiaro che i ritmi scanditi dalla suddivisione dell’orario in materie non sono adatti a una buona ed efficace didattica laboratoriale: è necessario quindi, come suggeriscono le Indicazioni, collaborare con docenti di altre discipline per trovare momenti di attività in comune, che non necessariamente richiedono compresenze. Le materie di geografia, diritto ed economia, scienze, storia, tanto per fare qualche esempio, offrono sicuramente svariati temi che possono portare alla raccolta ed elaborazione di dati e alla scrittura di testi descrittivi o argomentativi, coinvolgendo così i docenti di matematica e d’italiano nell’attività. Inoltre, alla perplessità legata ai tempi ristretti dell’orario scolastico, vorrei obiettare ricordando che il significato etimologico di scuola dovrebbe suggerire di diffidare di ogni scelta che conduca a riproporre, nelle attività didattiche, i ritmi eccessivi della nostra vita, quella fretta sfibrante che ci ossessiona e tormenta, che produce un movimento frenetico senza senso e direzione. La scuola dovrebbe essere il luogo in cui sia possibile fermarsi, riposarsi e quindi riappropriarsi della dimensione del pensiero, dello studio, della riflessione per cercare senso e significato. C’è chi pensa che l’attività di laboratorio sia alternativa o addirittura si contrapponga all’apprendimento ricostruttivo-simbolico tipico del testo scritto, in particolare del manuale. A me invece sembra che la didattica laboratoriale sia un modo molto efficace per far fare agli studenti esperienze sostenibili di avvio al sapere teorico così da prepararli alla lettura e alla comprensione dei manuali. Per cercare di chiarire questa mia posizione, che è già dichiarata nel titolo di questo articolo, riporto un brano di un articolo che scrissi un po’ di tempo fa. “Il termine laboratorio rimanda al lavoro, alle dimensioni dell’agire e del fare. In qualche modo evoca anche laboriosità e quindi attenzione, coinvolgimento, partecipazione al processo di costruzione del prodotto. Quando si parla di laboratorio di matematica, […] lo si fa per evocare un modello di insegnamento – apprendimento diverso dalla lezione […che] evoca una trattazione da parte dell’esperto, un insegnamento impartito. Il laboratorio fa pensare a un coinvolgimento del corpo e della mente; la lezione evoca una partecipazione esclusivamente intellettuale. Il lavoro artigianale che si svolge nel laboratorio si gioca sui tempi lunghi, necessari al processo di produzione dell’artefatto; la lezione si svolge in tempi scanditi e ben definiti, più simili a quelli della produzione industriale che non a quelli della produzione artigianale. Il pendolo che indica le funzioni della lezione oscilla tra due estremi: da una parte l’indottrinamento, dall’altra l’analisi e la riflessione sulle conoscenze, che consentono di approfondire, di vedere gli oggetti di studio da nuovi e diversi punti di vista e di aprire orizzonti di ricerca non ancora esplorati” (Paola 2007). Il modello della lezione, nelle sue due polarità, è particolarmente adatto a soddisfare le esigenze di una scuola selettiva o di studenti particolarmente motivati o esperti. Oggi, però, la scuola non può più permettersi selezioni né esplicite, né implicite; ha anzi come compito prioritario aiutare i giovani ad acquisire competenze di cittadinanza, che vanno ben al di là di una semplice alfabetizzazione di base. C’è quindi grande bisogno di molta didattica laboratoriale che aiuti gli studenti a costruire significati degli oggetti di studio, attraverso esperienze realizzate in ambienti d’insegnamento – apprendimento ricchi e adeguati, in modo da avviarli gradualmente alla comprensione del sapere teorico disciplinare, condizione necessaria per leggere e comprendere una manuale, ossia un testo in cui il sapere viene raccolto, organizzato e presentato in forma sistematica. Solo a questo punto le lezioni potranno risultare utili, aprendo nuovi orizzonti al sapere, soprattutto, ma non solo, attraverso la loro funzione di analisi critica e di approfondimento. Ogni nuovo oggetto di studio non banale dovrebbe prevedere lunghi periodi di didattica laboratoriale come necessario apprendistato cognitivo per un sensato avvio al sapere teorico così come viene presentato sui manuali: ciò consentirebbe di realizzare l’imperativo che caratterizza l’aspirazione di ogni buon docente di matematica nei confronti dei propri studenti: si può e si deve capire! Bibliografia Casarrubea, G. (1974). Per una alternativa culturale della Sicilia Occidentale. Trapani: Celebes. D’Amore, B. (a cura di). (1987). Una mostra di matematica, Teramo: Giunti & Lisciani Editori. D’Amore, B., Marazzani, I. (a cura di). (2005). Laboratorio di matematica nella scuola primaria. Bologna: Pitagora. Paola, D. (2007). Dal laboratorio alla lezione: descrizione di un esempio. Innovazione Educativa-Supplemento per l'Emilia Romagna. 8. 13 – 20. Parole chiave: laboratorio di matematica; significato; sapere teorico; indicazioni curricolari.