- Risposta serramenti

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- Risposta serramenti
N. 01388/2016 REG.PROV.COLL.
N. 02137/2015 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia
(Sezione Seconda)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 2137 del 2015, proposto da:
- Enel Energia S.p.A. ed Enel S.p.A., in persona dei rispettivi legali rappresentanti pro-tempore,
rappresentate e difese dagli Avv.ti Guido Greco, Manuela Muscardini, Gherardo Carullo e Luca
Griselli ed elettivamente domiciliate presso lo studio dei primi due in Milano, Piazzale Lavater n. 5;
contro
- l’Autorità per l’Energia Elettrica, il Gas e il Sistema Idrico, in persona del legale rappresentante
pro-tempore, rappresentata e difesa per legge dall’Avvocatura Distrettuale dello Stato e domiciliata
presso la sede della stessa in Milano, Via Freguglia n. 1;
nei confronti di
- E.On Italia, in persona del legale rappresentante pro-tempore, non costituita in giudizio;
e con l'intervento di
ad opponendum:
- A.I.G.E.T. – Associazione Italiana di Grossisti di Energia e Trader, in persona del legale
rappresentante pro-tempore, rappresentata e difesa dagli Avv.ti Fabio Francario e Dario De Blasi ed
elettivamente domiciliata in Milano, Corso Matteotti n. 1/A, presso la sede di Utopia Lab;
- Energia Concorrente, in persona del legale rappresentante pro-tempore, rappresentata e difesa
dagli Avv.ti Claudia Sarrocco e Fabio Todarello ed elettivamente domiciliata presso lo studio degli
stessi in Milano, Piazza Velasca n. 4;
- Confederazione Nazionale dell’Artigianato e della Piccola e Media Impresa – Confartigianato – e
Confederazione Generale dell’Artigianato e delle Imprese – C.N.A., in persona dei rispettivi legali
rappresentanti pro-tempore, rappresentate e difese dall’Avv. Anna Rita Trombetta ed elettivamente
domiciliate in Milano, Via Tamagno n. 7, presso lo studio dell’Avv. Paolo Marco Caporale;
per l’annullamento
- in parte qua, della deliberazione dell’A.E.E.G.S.I. del 22 giugno 2015 n. 296/2015/R/Com recante
“Disposizioni in merito agli obblighi di separazione funzionale (unbundling) per i settori
dell’energia elettrica e del gas” pubblicata sul sito www.autorita.energia.it in data 23 giugno 2015 e
del relativo Allegato A recante il “Testo integrato delle disposizioni dell’Autorità per l’Energia
Elettrica il Gas ed il Sistema Idrico in merito agli obblighi di separazione (Unbundling) Funzionale
per le imprese operanti nei settori dell’energia elettrica e del gas (TIUF)”.
Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio dell’Autorità per l’Energia Elettrica, il Gas e il Sistema
Idrico;
Visti gli interventi ad opponendum di A.I.G.E.T. – Associazione Italiana di Grossisti di Energia e
Trader, di Energia Concorrente, della Confederazione Nazionale dell’Artigianato e della Piccola e
Media Impresa – Confartigianato – e della Confederazione Generale dell’Artigianato e delle
Imprese – C.N.A.;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Designato relatore il consigliere Antonio De Vita;
Uditi, all’udienza pubblica del 14 aprile 2016, i difensori delle parti, come specificato nel verbale;
Ritenuto in fatto e considerato in diritto quanto segue.
FATTO
Con ricorso notificato in data 21 settembre 2015 e depositato il 28 settembre successivo, le
ricorrenti hanno impugnato, in parte qua, la deliberazione dell’A.E.E.G.S.I. del 22 giugno 2015 n.
296/2015/R/Com recante “Disposizioni in merito agli obblighi di separazione funzionale
(unbundling) per i settori dell’energia elettrica e del gas” pubblicata sul sito www.autorita.energia.it
in data 23 giugno 2015 e il relativo Allegato A recante il “Testo integrato delle disposizioni
dell’Autorità per l’Energia Elettrica il Gas ed il Sistema Idrico in merito agli obblighi di
separazione (Unbundling) Funzionale per le imprese operanti nei settori dell’energia elettrica e del
gas (TIUF)”.
La ricorrente Enel Energia S.p.A. è un fornitore di energia elettrica nel mercato libero ed è
verticalmente integrata nel gruppo Enel S.p.A., che pure ha assunto la veste di ricorrente nella
presente sede. Con la delibera del 22 giugno 2015 n. 296/2015/R/Com l’Autorità per l’Energia
Elettrica, il Gas e il Sistema Idrico ha imposto, tra l’altro, l’obbligo di separazione del marchio e
delle politiche di comunicazione, attraverso la dismissione dei segni distintivi dell’impresa da parte
della società di distribuzione di energia elettrica, ovvero delle società esercenti la vendita, laddove
esse facciano parte del medesimo gruppo o siano comunque verticalmente integrate (artt. 17.1, 17.2,
17.3 e 17.7 Allegato A alla deliberazione). In particolare è stato previsto che le politiche di
comunicazione, la denominazione sociale, il marchio, la ditta, l’insegna e ogni altro elemento
distintivo dell’impresa di distribuzione di energia elettrica debbano essere in uso esclusivo alla
stessa e non debbano contenere alcun elemento di tipo testuale o grafico che possa essere in alcun
modo ricollegato alle attività di vendita di energia elettrica svolte dall’impresa verticalmente
integrata o dalle altre imprese del gruppo societario di appartenenza di questa, tali da ingenerare
confusione per il pubblico (art. 17.2 e, con riferimento alle imprese che svolgono attività di vendita
nei mercati al dettaglio, 17.7, allegato A alla deliberazione). Nel caso specifico le ricorrenti devono
procedere anche alla separazione dei rispettivi canali informativi, degli spazi fisici e del personale
(artt. 17.6 e 17.9), con un rilevante impatto sotto il profilo strutturale, organizzativo, economico e di
immagine di tutta l’operazione.
Assumendo l’illegittimità della deliberazione e la sua lesività, nelle parti in precedenza illustrate, le
ricorrenti hanno proposto ricorso, eccependo in primo luogo il difetto di attribuzione e/o carenza di
potere, la violazione dell’art. 26, comma 3, della Direttiva 2009/72/CE e la violazione per falsa
applicazione degli artt. 39, 41, 43 e 45 del D. Lgs. n. 93 del 2011; la disciplina contenuta nella
delibera impugnata, con riguardo agli obblighi di separazione del marchio e delle politiche di
comunicazione per le imprese verticalmente integrate, sarebbe priva di fondamento normativo,
come ribadito anche dal legislatore nazionale in sede di recepimento della normativa comunitaria,
laddove avrebbe affidato all’Autorità soltanto poteri di vigilanza e non già di regolazione.
Con una successiva censura su assume la violazione dell’art. 1 del primo Protocollo addizionale alla
Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (CEDU), la
violazione degli artt. 23, 41, 42 e 97 Cost. e dell’art. 52, par. 1, della Carta dei diritti fondamentali
dell’Unione europea; l’assenza di un qualsivoglia potere regolatorio in capo all’Autorità in subiecta
materia non potrebbe essere fronteggiata con il ricorso ai poteri impliciti, soprattutto laddove
vengano compressi o fortemente limitati diritti protetti da fonti di rango costituzionale, comunitario
e convenzionale, quali quelli riguardanti l’esercizio della libertà di impresa e la titolarità di beni
immateriali (marchio o altri segni distintivi).
Con la terza doglianza si deduce la violazione della direttiva 2009/72/CE (artt. 2 e 26), del D. Lgs.
n. 79 del 1999 (art. 25 septies), del D. Lgs. n. 93 del 2011 (artt. 34, 38 e 41), dell’art. 41 Cost. e
dell’art. 2497 bis del cod. civ., la contraddittorietà intrinseca della deliberazione, lo sviamento di
potere e la violazione del principio di proporzionalità; la disciplina della c.d. separazione funzionale
(unbundling) sarebbe finalizzata a consentire alle imprese verticalmente integrate di proseguire la
propria attività con pienezza dei propri diritti e in modo del tutto trasparente, sia pure garantendo
l’indipendenza del gestore del sistema di distribuzione dalle attività non connesse alla distribuzione
medesima; in senso contrario, la disciplina di cui all’art. 17 dell’allegato A alla deliberazione
296/2015, si prefiggerebbe sostanzialmente l’obiettivo di vietare in maniera assoluta l’impresa
verticalmente integrata nel settore elettrico.
Con la quarta doglianza si deduce la violazione dell’art. 41 del D. Lgs. n. 93 del 2011 e della
Direttiva europea 2009/72/CE; l’art. 41 citato si limiterebbe a vietare la confusione nelle politiche
di comunicazione e di marchio delle aziende verticalmente integrate che svolgano attività nei
mercati al dettaglio, non prevedendo alcun divieto di utilizzo del proprio marchio storico, mentre le
disposizioni censurate nella presente sede impongono la dismissione del marchio e la separazione
fisica degli spazi, del personale e dei canali informativi delle imprese che, verticalmente integrate,
svolgano attività di vendita e distribuzione.
Con la quinta doglianza si deducono l’eccesso di potere per violazione del principio di
proporzionalità, irragionevolezza illogicità e discriminazione e lo sviamento di potere; le misure
adottate dall’Autorità sarebbero manifestamente sproporzionate ed irragionevoli, non essendo
necessarie e apparendo inutilmente gravose per le imprese del settore; inoltre sarebbe palesemente
discriminatorio aver imposto misure più stringenti per le imprese di vendita che operano attraverso
società separate, rispetto a quelle imposte alle imprese singole che svolgano attività di vendita in
due mercati al dettaglio (cfr. art. 17.8 dell’Allegato A alla deliberazione impugnata).
Infine si eccepisce la violazione delle norme Europee in tema di libera circolazione, artt. 49 e 56
TFUE; con l’adozione di misure che non trovano alcun referente nelle disposizioni in tema di
unbundling prescritte dal legislatore europeo, l’Autorità avrebbe dato origine nel solo territorio
italiano ad un regime concorrenziale difforme (e più restrittivo) di quello vigente nel resto del
mercato europeo, in evidente conflitto con gli obiettivi perseguiti dalla Direttiva 2009/72/CE.
In via subordinata vengono dedotti la violazione sotto altri profili degli artt. 26 della Direttiva
2009/72/CE e 39 e 41 del D. Lgs. n. 93 del 2011, la violazione della normativa nazionale ed
europea in tema di marchi e segni distintivi (art. 7 del D. Lgs. n. 30 del 2005, art. 4, par. 1, del Reg.
CE 207/2009, artt. 2563 e ss. c.c.), l’eccesso di potere per contraddittorietà e la violazione della
normativa in materia di gruppi societari (art. 2497 bis c.c.); la determinazione impugnata avrebbe
illegittimamente parificato al marchio gli altri segni distintivi, quali la ditta, l’insegna e la
denominazione sociale, dotati di proprie autonome caratteristiche e finalità, estranee a quelle del
marchio e, dunque, in contrasto con quanto la Direttiva avrebbe inteso prendere in considerazione.
Si è costituita in giudizio l’Autorità per l’Energia Elettrica, il Gas e il Sistema Idrico, che ha chiesto
il rigetto del ricorso.
Sono intervenuti ad opponendum A.I.G.E.T. – Associazione Italiana di Grossisti di Energia e
Trader, Energia Concorrente, la Confederazione Nazionale dell’Artigianato e della Piccola e Media
Impresa – Confartigianato – e la Confederazione Generale dell’Artigianato e delle Imprese –
C.N.A., che hanno chiesto il rigetto del ricorso.
In prossimità dell’udienza di trattazione del merito della controversia, le parti hanno depositato
memorie e documentazione a sostegno delle rispettive posizioni.
Alla pubblica udienza del 14 aprile 2016, su conforme richiesta dei difensori delle parti, il ricorso è
stato trattenuto in decisione.
DIRITTO
1. Il ricorso non è meritevole di accoglimento.
2. Con la prima e seconda censura, da trattare congiuntamente in quanto connesse, si assume
l’illegittimità dell’imposizione dell’obbligo di separazione del marchio e delle politiche di
comunicazione per le imprese verticalmente integrate, attesa l’assenza di un fondamento normativo
a supporto del potere esercitato dall’Autorità, come ribadito anche dal legislatore nazionale in sede
di recepimento della normativa comunitaria, laddove avrebbe affidato all’Autorità soltanto poteri di
vigilanza e non già di regolazione; a ciò non potrebbe sopperirsi ricorrendo ai poteri impliciti, avuto
riguardo al coinvolgimento di diritti protetti da fonti di rango costituzionale, comunitario e
convenzionale, quali quelli riguardanti l’esercizio della libertà di impresa e la titolarità di beni
immateriali (marchio o altri segni distintivi).
2.1. Le censure sono infondate.
Con riguardo al mercato dell’energia elettrica l’art. 38, comma 2, del D. Lgs. n. 93 del 2011, di
attuazione delle direttive 2009/72/CE, 2009/73/CE e 2008/92/CE relative a norme comuni per il
mercato interno dell’energia elettrica, del gas naturale e ad una procedura comunitaria sulla
trasparenza dei prezzi al consumatore finale industriale di gas e di energia elettrica, stabilisce che
“nel caso di gestore del sistema di distribuzione facente parte di un’impresa verticalmente integrata,
lo stesso gestore non può trarre vantaggio dall’integrazione verticale per alterare la concorrenza e a
tal fine: a) le politiche di comunicazione e di marchio non devono creare confusione in relazione al
ramo di azienda responsabile della fornitura di energia elettrica; b) le informazioni concernenti le
proprie attività, che potrebbero essere commercialmente vantaggiose, sono divulgate in modo non
discriminatorio. L’Autorità per l’energia elettrica e il gas vigila sul rispetto delle disposizioni di cui
al presente comma”.
Tale previsione ricalca quella di cui all’art. 26, paragrafo 3, della Direttiva 2009/72/CE (relativa a
norme comuni per il mercato interno dell’energia elettrica), che ha una formulazione identica a
quella del corrispondente art. 26, paragrafo 3, della Direttiva 2009/73/CE (relativa a norme comuni
per il mercato interno del gas naturale).
Con riguardo ai compiti dell’Autorità, l’art. 41 (“mercati al dettaglio”) del D. Lgs. n. 93 del 2011 ha
previsto che “nel caso in cui una stessa società eserciti attività di vendita al mercato libero e al
mercato tutelato, l’Autorità per l’energia elettrica e il gas adotta i provvedimenti necessari affinché
la stessa società non possa trarre vantaggio competitivo sia nei confronti dei clienti finali sia sotto il
profilo delle valutazioni che la stessa Autorità effettua in materia di qualità del servizio, rispetto ad
un assetto societario in cui le due attività siano attribuite a società distinte appartenenti ad uno
stesso gruppo. L’Autorità per l’energia elettrica e il gas vigila sul rispetto delle disposizioni di cui al
presente comma”.
Le norme sopra riportate sono certamente idonee a fornire una solida base normativa all’art. 17
dell’Allegato A alla deliberazione n. 296/2015 (cfr. T.A.R. Lombardia, Milano, II, 27 aprile 2016, n.
815); inoltre non possono essere trascurati i principi ricavabili dalla giurisprudenza comunitaria,
quali la circostanza che “la valutazione globale deve fondarsi, per quanto attiene alla somiglianza
visuale, auditiva o concettuale dei marchi di cui trattasi, sull’impressione complessiva prodotta dai
marchi, in considerazione, in particolare, degli elementi distintivi e dominanti dei marchi
medesimi” (cfr. Corte di Giustizia, 22 settembre 1999, n. C-342/97: statuizione pressoché identica
al disposto di cui all’art. 17.3 della deliberazione impugnata) e, soprattutto, al paventato “rischio di
confusione”, che secondo l’orientamento del Giudice comunitario “presuppone un’identità o una
somiglianza tra i prodotti o i servizi designati” (cfr. Corte di Giustizia, 29 settembre 1998, n. C39/97).
L’interrelazione tra profili normativi e giurisprudenziali, che traspare nella formulazione (anche
lessicale) della disposizione censurata, risulta preordinata all’effettività del disegno amministrativo,
e ciò in applicazione del consolidato principio del c.d. “effetto utile” delle direttive comunitarie,
puntualmente disciplinato dall’art. 4 del Trattato sull’Unione europea, secondo cui “gli Stati membri
adottano ogni misura di carattere generale o particolare atta ad assicurare l’esecuzione degli
obblighi derivanti dai trattati o conseguenti agli atti delle istituzioni dell’Unione”.
È noto, infatti, che il mancato recepimento, o il non corretto recepimento, degli atti comunitari
costituisce un motivo di legittimazione della Commissione europea a dare corso ad una procedura di
infrazione (art. 258 e seguenti TFUE) nei confronti dello Stato inadempiente: il che, nel caso che
riguarda l’odierno contendere, è puntualmente accaduto mediante l’avvio della procedura n.
2014/2286 sul non corretto recepimento della Direttiva 2009/72/CE e della Direttiva 2009/73/CE
(c.d. terzo pacchetto energia).
Le direttive del 2009, infatti, hanno evidenziato all’art. 26 la necessità di evitare che il gestore del
sistema di distribuzione possa “trarre vantaggio dalla sua integrazione verticale per falsare la
concorrenza”, perché tale privilegio si tradurrebbe in un rischio di confusione a tutto danno della
clientela.
Con la deliberazione impugnata, quindi, l’Autorità si è proposta di dettare misure concrete,
conformi alla normativa comunitaria e, soprattutto, in grado di realizzare il risultato che tale
normativa ha espressamente individuato (cfr. T.A.R. Lombardia, Milano, II, 27 aprile 2016, n. 815).
Tale determinazione rinviene un diretto fondamento nell’art. 43 del D. Lgs. n. 93 del 2011 laddove
si prevede che “l’Autorità per l’energia elettrica e il gas garantisce: (…) c) l’adempimento da parte
dei gestori dei sistemi di trasmissione e distribuzione e, se necessario, dei proprietari dei sistemi,
nonché di qualsiasi impresa elettrica o di gas naturale, degli obblighi derivanti dalle direttive
2009/72/CE e 2009/73/CE, dei Regolamenti 713/2009/CE, 714/2009/CE e 715/2009/CE, nonché da
altre disposizioni della normativa comunitaria, ivi comprese quelle in materia di questioni
transfrontaliere” (comma 2), “vigila (…) sull’applicazione delle norme che disciplinano funzioni e
responsabilità dei gestori dei sistemi di trasmissione, dei gestori dei sistemi di trasporto, dei gestori
dei sistemi di distribuzione, dei fornitori, dei clienti e di altri soggetti partecipanti al mercato ai
sensi del regolamento (CE) n. 714/2009 e del regolamento (CE) n. 715/2009” (comma 3), cioè,
rispettivamente, sul mercato dell’energia elettrica e del gas naturale e, “al fine dell’efficace
svolgimento dei propri compiti, ivi compresi quelli operativi, ispettivi, di vigilanza e monitoraggio,
(…) può effettuare indagini sul funzionamento dei mercati dell’energia elettrica e del gas naturale,
nonché adottare e imporre i provvedimenti opportuni, necessari e proporzionati per promuovere una
concorrenza effettiva e garantire il buon funzionamento dei mercati. In funzione della promozione
della concorrenza, l’Autorità può in particolare adottare misure temporanee di regolazione
asimmetrica” (comma 5).
La base di diritto positivo delineata dalle norme sopra citate ha, quindi, legittimato l’adozione
dell’impugnata deliberazione, con cui:
- si è inteso porre rimedio agli scarsi risultati ottenuti dai precedenti provvedimenti, come la
deliberazione del 26 ottobre 2007, n. 272 in tema di “informazioni corrette e chiare circa le modalità
di erogazione del servizio di fornitura di energia elettrica, comprese le condizioni economiche o i
prezzi di offerta da parte dei soggetti esercenti il servizio di maggior tutela, delle società di vendita
ai clienti del mercato libero e dei soggetti che svolgono tali attività in maniera integrata”;
- si è voluta dare compiutezza alla disciplina sulla separazione amministrativa e contabile di cui alla
deliberazione del 18 gennaio 2007, n. 11 (espressamente richiamata nel preambolo della
deliberazione n. 296/2015), che non aveva affrontato il tema della separazione tra comunicazione e
marchio per la difesa della clientela dal rischio di confusione ingenerato da un’indistinta identità del
ramo “fornitura” dell’impresa verticalmente integrata.
A conferma della concretezza dell’impegno perseguito nella deliberazione impugnata milita il
contenuto del documento di consultazione 77/2015/R/com, nel quale l’Autorità:
a) ha precisato che “l’adempimento da parte dei gestori dei sistemi di distribuzione degli obblighi
derivanti dalle direttive 2009/72/CE e 2009/73/CE, tra cui rientra proprio il divieto di confusione tra
attività di distribuzione e vendita (…) presuppone un potere di regolazione in assenza del quale
l’Autorità non può agire in maniera effettiva ed efficace al fine di assicurare l’adempimento degli
obblighi posti in capo ai gestori dei sistemi di distribuzione dal decreto legislativo n. 93/11, i quali
obblighi, pur vigenti dal 2011, non risultano ancora oggi rispettati dalla generalità degli operatori in
maniera soddisfacente”;
b) ha ribadito che “le disposizioni sulla separazione del marchio e delle politiche di comunicazione
si applichino a tutte le imprese di distribuzione di energia elettrica e del gas naturale,
indipendentemente dalla loro dimensione, nonché alle imprese di vendita di energia elettrica, a
partire dal 1° gennaio dell’anno successivo a quello di pubblicazione del provvedimento finale”.
Alla luce di quanto rilevato, l’attività di regolazione dell’AEEGSI si è indirizzata, conformemente
alla disciplina di cui all’art. 2, comma 5 della legge 481/1995, “al fine di tutelare i clienti finali e di
garantire mercati effettivamente concorrenziali”, e, soprattutto, mediante l’esercizio di competenze
che “ricomprendono tutte le attività della relativa filiera” (T.A.R. Lombardia, Milano, II, 27 aprile
2016, n. 815).
2.2. Ciò conduce al rigetto delle prime due censure di ricorso.
3. Con la terza, quarta e quinta doglianza, da trattare congiuntamente in quanto connesse, si assume
che la disciplina della c.d. separazione funzionale (unbundling), di cui all’art. 41 del D. Lgs. n. 93
del 2011, si limiterebbe a vietare la confusione nelle politiche di comunicazione e di marchio delle
aziende verticalmente integrate e sarebbe finalizzata a consentire alle imprese verticalmente
integrate di proseguire la propria attività con pienezza dei propri diritti e in modo del tutto
trasparente, sia pure garantendo l’indipendenza del gestore del sistema di distribuzione dalle attività
non connesse alla distribuzione medesima, mentre la disciplina di cui all’art. 17 dell’allegato A alla
deliberazione 296/2015 si prefiggerebbe sostanzialmente l’obiettivo di vietare, in maniera assoluta,
l’impresa verticalmente integrata nel settore elettrico, unitamente al divieto di utilizzo del marchio
storico.
3.1. Le doglianze sono complessivamente infondate.
La situazione di fatto, come ha puntualmente rappresentato l’Autorità, vede la presenza sul mercato
di ‘Enel Distribuzione che svolge quale società controllata da Enel S.p.A., in virtù di concessione
ministeriale, il servizio di distribuzione dell’energia elettrica tra la rete di trasmissione gestita da
Terna ed i clienti finali; Enel Energia che opera nel settore della fornitura dell’energia elettrica nel
c.d. mercato libero quale società verticalmente integrata del gruppo Enel; Enel Servizio Elettrico
che è la società del gruppo Enel che gestisce il “servizio di maggior tutela” per l’energia elettrica
nelle aree in cui Enel distribuzione esercisce il relativo servizio; A2A Energia che è la società
commerciale del gruppo A2A, gruppo verticalmente integrato, che svolge, sia attività di vendita nel
c.d. mercato libero, sia gestione del servizio di maggior tutela’ (cfr. pag. 8 della memoria
dell’Avvocatura erariale depositata il 12 ottobre 2015).
È noto che con le direttive 2003/54/CE e 2003/55/CE si è, inizialmente, provveduto a disciplinare la
c.d. “separazione funzionale”, con specifico riferimento a quella giuridica e societaria, stabilendosi
che la diretta ed esclusiva gestione delle attività connesse al possesso di impianti di rete sia affidata
ad un gestore indipendente, in tal modo dettagliando la disciplina positiva sull’unbundling.
Sul punto, va rilevato che il Consiglio di Stato, definendo le controversie sull’impugnazione della
deliberazione n. 11/2007, ha evidenziato:
1) che “si tratta (…) di un sistema necessitato di iniziativa comunitaria, di cui non soltanto il
risultato da raggiungere appare chiaramente individuato dalle direttive in questione, ma anche le
linee fondamentali degli strumenti per raggiungerlo, onde le relative previsioni producono, e
scontano, un inevitabile effetto derogatorio delle norme di diritto interno le quali, regolando gli
organi e le fasi di attività societaria corrispondenti alla gestione ed alla programmazione dell’attività
di impresa nei settori qui in rilievo [energia elettrica e gas naturale], si trovano ad essere recessive e
cedevoli rispetto al diritto comunitario, secondo il rapporto che normalmente intercorre tra questo
ed il diritto interno, e ciò per il solo fatto che le previsioni delle direttive, sufficientemente chiare e
precise nei loro evidenziati riflessi operativi, siano in vigore per lo scadere del loro termine di
recepimento da parte dello Stato” (sentenza, VI, 6 febbraio 2009, n. 701);
2) che “la scelta dello Stato italiano di demandare ad un organo tecnicamente qualificato dalla sua
expertise nei settori di mercato rilevanti e dalla sua posizione di indipendenza funzionale, dei
compiti attuativi delle direttive in questione, non impingenti in modo diretto e attuale, ma solo
consequenziale, sulla disciplina civilistica interna, non influisce sulla correttezza del modulo di
adempimento agli obblighi comunitari prescelto nel caso” (cfr. sentenza, VI, 6 febbraio 2009, n.
701);
3) che, pertanto, ‘lo strumento di regolazione affidata all’Autorità risulta idoneo a produrre la
modificazione dell’ordinamento, se questa, come nel caso, è solo “novativa”, cioè additiva in
funzione di una deroga alla disciplina societaria già prodotta dalle direttive; lo stesso strumento
attuativo, in tale cornice, garantisce “trasparenza e certezza del diritto”, quantomeno in sé
considerato, e costituisce, inoltre, una fonte di norme tale da assicurare il rispetto delle disposizioni
cogenti previste dalle direttive medesime’ (cfr. sentenza, VI, 6 febbraio 2009, n. 701).
Relativamente alla disciplina contenuta nella deliberazione odiernamente impugnata, si è, inoltre,
previsto che “le attività commerciali relative all’impresa di distribuzione siano svolte tramite
l’utilizzo di canali informativi, di spazi fisici e di personale distinti da quelli relativi all’attività di
vendita dell’energia elettrica o del gas naturale svolti dall’impresa verticalmente integrata o dalle
altre imprese del gruppo societario cui questa appartiene” (art. 17.6) e che anche “le imprese o le
strutture dell’impresa che svolgono l’attività di vendita ai clienti liberi dell’energia elettrica o
l’attività di vendita di energia elettrica ai clienti finali in maggior tutela assicurano che le rispettive
attività commerciali nei confronti dei clienti finali siano svolte tramite l’utilizzo di canali
informativi, di spazi fisici e di personale separati” (art. 17.9).
Ancora una volta viene in evidenza il risultato pratico delle direttive comunitarie, vale a dire la
difesa concreta dei clienti finali dal rischio di confusione tra l’attività di distribuzione e quella di
fornitura e, relativamente a quest’ultima, tra il mercato libero e quello di maggior tutela.
Le ricorrenti, sul punto, hanno censurato la proporzionalità delle misure (la distinzione degli spazi
commerciali e del personale dedicato) che l’Autorità ha, invece, reputato coessenziali al
raggiungimento dell’obiettivo posto dal legislatore europeo.
Ad avviso del Collegio, il giudizio sull’appropriatezza di tali rimedi non può prescindere dal profilo
soggettivo correlato all’individuazione delle caratteristiche dei consumatori cui le attività di Enel si
rivolgono.
Al riguardo, occorre considerare che secondo la normativa comunitaria in materia di marchi
d’impresa, vi è un rischio di confusione per il pubblico quando da una valutazione globale relativa
alla somiglianza visuale, auditiva o concettuale dei marchi e dei segni distintivi dell’impresa, il
pubblico sia indotto a ritenere che essi siano ricollegabili alla stessa impresa o ad imprese
economicamente collegate.
Tale assunto è confortato da puntuali pronunce della giurisprudenza comunitaria.
In particolare:
a) la “valutazione globale” è basata “sull’impressione complessiva prodotta dai marchi”, da ciò
conseguendo che “la percezione dei marchi operata dal consumatore medio del tipo di prodotto o
servizio di cui trattasi svolge un ruolo determinante nella valutazione globale del rischio di
confusione. Orbene, il consumatore medio percepisce normalmente un marchio come un tutt’uno e
non effettua un esame dei suoi singoli elementi” (cfr. Corte di Giustizia UE, 11 novembre 1997, n.
C-251/95; cfr., altresì, id., 29 settembre 1998, n. C-39/97; conforme 6 ottobre 2005, n. C-120/04);
b) “ai fini di questa valutazione globale, si ritiene che il consumatore medio della categoria di
prodotti di cui trattasi sia normalmente informato e ragionevolmente attento e avveduto (v., in tal
senso, sentenza 16 luglio 1998, causa C-210/96, Gut Springenheide e Tusky, Racc. pag. I-4657,
punto 31). Tuttavia occorre tener conto del fatto che il consumatore medio solo raramente ha la
possibilità di procedere a un confronto diretto dei vari marchi, ma deve fare affidamento
sull’immagine non perfetta che ne ha mantenuto nella memoria. Occorre anche prendere in
considerazione il fatto che il livello di attenzione del consumatore medio può variare in funzione
della categoria di prodotti o di servizi di cui trattasi” (cfr. Corte di Giustizia, 22 giugno 1999, n. C342/97).
La “nozione di consumatore medio non è statistica”, ha infine statuito la giurisprudenza
comunitaria, specificando altresì che “gli organi giurisdizionali e le autorità nazionali dovranno
esercitare la loro facoltà di giudizio (…) per determinare la reazione tipica del consumatore medio”
(cfr. Corte di Giustizia, 18 ottobre 2012, n. C-428/11).
Piena conferma alla configurazione del rischio di confusione del consumatore medio è, inoltre,
derivata dalla giurisprudenza della Corte di Cassazione (I, 26 marzo 2004, n. 6080; id., 25 aprile
2007, n. 14684).
Ulteriore avallo si ricava, infine, dalla lettera di diffida relativa alla procedura di infrazione n.
2014/2286, ove si è precisato che ‘un elemento importante della direttiva 2009/73/CE è il concetto
di cliente vulnerabile. In proposito, l’articolo 3, paragrafo 3, della direttiva dispone che: “[...]
ciascuno Stato membro definisce il concetto di cliente vulnerabile che può riferirsi alla povertà
energetica e, fra l’altro, al divieto di interruzione delle forniture a tali clienti in momenti critici.
[…]”. Nella legislazione nazionale una definizione di cliente vulnerabile è fornita sia all’articolo 14,
comma 4, lettera p), della legge comunitaria 2009 sia all’articolo 7, paragrafo 2, del decreto
legislativo n. 93 del 2011. Secondo tali disposizioni sono considerati clienti vulnerabili i clienti
domestici, le utenze relative ad attività di servizio pubblico, nonché i clienti civili e non civili i cui
consumi annuali non superino una certa soglia, per i quali la continuità di approvvigionamento deve
essere garantita anche in momenti critici o in situazioni di emergenza. Questo concetto si riflette
anche nella decisione 280/2013/R/Gas dell’autorità nazionale di regolamentazione’.
Alla luce di quanto illustrato, è consequenziale ritenere che la separazione delle politiche di
comunicazione, rapportata al divieto di confusione dei clienti finali imposta dal D. Lgs. n. 93 del
2011, sostanziata a fini interpretativi dall’applicazione del criterio della “valutazione globale” sulla
percezione del consumatore medio (ben delineata dalla giurisprudenza sopra citata), giustifichino su
un piano di adeguatezza e proporzione le misure relative alla distinzione dei marchi, degli spazi
commerciali e del personale rispettivamente dedicato alle attività di vendita ai clienti liberi
dell’energia elettrica e a quelli finali in maggior tutela.
Il Collegio valuta, cioè, ragionevole la necessità di evitare preventivamente che i clienti che
accedono a un “punto Enel” possano essere indotti in confusione per la presenza di distinte
postazioni che ospitano personale di diverse società del gruppo.
Del resto, con la deliberazione 8 luglio 2010, n. 104, l’Autorità ha approvato il “codice di condotta
commerciale per la vendita di energia elettrica e di gas naturale ai clienti finali”, e ciò per
perseguire “l’obiettivo generale di prevenire quelle condotte pregiudizievoli per i clienti finali che si
sono manifestate successivamente alla liberalizzazione dei mercati energetici, con particolare
riferimento alle pratiche commerciali messe in atto da esercenti la vendita, denotanti in particolare
la carenza di informazioni adeguate per una scelta consapevole e il ricorso ad informazioni inesatte
e/o false, al fine di indurre il cliente finale alla conclusione di un nuovo contratto di fornitura
sfruttando l’inconsapevolezza dello stesso”.
È, quindi, evidente che il profilo della “protezione dei consumatori”, messo criticamente in
evidenza nella comunicazione di avvio della procedura di infrazione n. 2014/2286, presupponga
l’adozione di misure semplici e chiaramente percepibili dalla clientela (queste sono, in effetti, quelle
rappresentate dalla distinzione dei marchi, degli spazi commerciali e del personale), funzionali a
garantire il risultato prescritto dalla normativa comunitaria.
Per questo può fondatamente ritenersi che la deliberazione impugnata ha ripristinato la centralità
dell’interesse pubblico della clientela rispetto a quello delle imprese verticalmente integrate, in
sintonia con gli obiettivi della normativa comunitaria e con prescrizioni congrue e immuni da
irragionevolezza (cfr. T.A.R. Lombardia, Milano, II, 27 aprile 2016, n. 815).
3.2. Pertanto, anche le predette doglianze sono infondate.
4. Con la sesta censura si assume che l’adozione, da parte dell’Autorità, di misure che non trovano
alcun referente nelle disposizioni in tema di unbundling prescritte dal legislatore europeo avrebbe
dato origine, nel solo territorio italiano, ad un regime concorrenziale difforme (e più restrittivo) di
quello vigente nel resto del mercato europeo, in evidente conflitto con gli obiettivi perseguiti dalla
Direttiva 2009/72/CE.
4.1. La censura è infondata.
Come emergente dalla procedura di infrazione avviata dalla Commissione europea, risultavano
assolutamente inidonee le misure adottate a tutela del consumatore, essendosi rilevato che la
strategia di marchio del gestore del sistema di distribuzione Enel Distribuzione (distribuzione di
marca) e del fornitore Enel Energia (vendita commerciale) non emergeva come sufficientemente
separata.
Pertanto le misure adottate risultano assolutamente congrue e ragionevoli in vista della tutela dei
consumatori medi dal rischio di confusione, tenuto conto che i vari Paesi membri dell’Unione
europea risultavano aver adottato misure diverse e disomogenee per conseguire il risultato previsto
dall’art. 26 delle Direttive del 2009. (T.A.R. Lombardia, Milano, II, 27 aprile 2016, n. 815).
Del resto, la differenziazione si giustifica proprio con riferimento alle peculiarità del mercato
nazionale e alla circostanza che per perseguire gli obiettivi individuati nelle direttive sia necessario
adottare misure idonee ed efficaci.
4.2. Ciò evidenzia l’infondatezza anche della sopra scrutinata censura.
5. Con l’ultima doglianza, proposta in via subordinata, si eccepisce l’illegittima parificazione al
marchio degli altri segni distintivi, quali la ditta, l’insegna e la denominazione sociale, dotati di
proprie autonome caratteristiche e finalità, estranee a quelle del marchio e, dunque, a quelle che la
Direttiva avrebbe inteso prendere in considerazione.
5.1. La doglianza è infondata.
L’equiparazione del trattamento di tutti i segni distintivi dell’impresa al marchio risulta giustificata
dalla necessità di garantire i consumatori medi dal rischio di confusione, visto che anche i segni
distintivi diversi dal marchio costituiscono elementi identificativi di una impresa. Essendo
l’obiettivo quello di assicurare una separazione funzionale dei vari rami di attività, lo stesso deve
essere perseguito ponendo in essere tutte le misure attuative necessarie e non limitandosi ad una
letterale riproduzione di quanto contenuto nella direttiva, che comunque deve essere applicata
dando prevalenza agli obiettivi perseguiti dalla stessa, laddove si profili una possibile inidoneità
delle misure prospettate, se intese nel loro esclusivo significato letterale.
Nel caso de quo, un trattamento differenziato dei vari segni distintivi dell’impresa avrebbe rischiato
di pregiudicare irrimediabilmente l’efficacia delle misure previste a protezione dei consumatori.
5.2. Quindi anche tale censura va respinta.
6. In conclusione, all’infondatezza delle censure del ricorso, segue il rigetto dello stesso.
7. In relazione alla complessità della controversia e della parziale novità delle questioni affrontate,
le spese di giudizio possono essere compensate tra tutte le parti del giudizio.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia (Sezione Seconda), definitivamente
pronunciando, respinge il ricorso indicato in epigrafe proposto.
Spese compensate.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Milano nella camera di consiglio del 14 aprile 2016 con l’intervento dei magistrati:
Mario Mosconi, Presidente
Antonio De Vita, Consigliere, Estensore
Floriana Venera Di Mauro, Referendario
L'ESTENSORE
DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 11/07/2016
IL SEGRETARIO
(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)
IL PRESIDENTE