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Incontro di studi sul tema:
Trattamento sanzionatorio tra magistratura di sorveglianza e giudice di
cognizione
Roma, 7-8 febbraio 2008
Le problematiche dell’osservazione scientifica della personalità: l’operatore
penitenziario tra aspettative deluse e nuove prassi trattamentali
Paolo Giulini
Il regolamento di esecuzione dell’Ordinamento Penitenziario, il D.P.R. n.230 del 2000, con l’art.27
contribuisce a chiarire contenuti e metodi dell’attività di osservazione con tre precisi riferimenti che
si cercherà qui di seguito di esaminare e approfondire.
Innanzi tutto la funzione di accertamento dei “bisogni di ciascun soggetto, connessi alle eventuali
carenze fisio-psichiche, affettive, educative e sociali”. Il legislatore individua in queste carenze dei
fattori che sono alla base della condizione di reo in quanto di “pregiudizio all’instaurazione di una
normale vita di relazione”.
Si rileva in queste definizioni una concezione della devianza ancora troppo legata alle stereotipie
eziologiche della sociologia criminale, soprattutto se si tiene in conto che nella contingenza del
nostro Paese le forme più dannose e pervicaci di criminalità si espandono sfruttando una capacità
rilevante di relazioni sociali e di reticoli di interesse.
Questa individuazione dei bisogni, delle carenze fisio-psichiche o delle altre cause del
disadattamento, già messa così in primo piano dell’attività osservativa dall’art.13 della Legge
n.354/1975, riproduce sorpassati principi positivistici circa la possibilità di identificare in ogni
soggetto le cause della sua condotta delinquenziale, e si riconduce all’illusione di poter porvi
rimedio come se il fenomeno criminoso fosse una sorta di “malattia” sulla quale il criminologo
interviene con funzioni di cura(si è infatti a tal proposito parlato del “mito medico” della
risocializzazione). L’ideologia del trattamento, patologizzando il delinquente e il delitto, forniva
anche l’illusione di poter eliminare il crimine mediante interventi sugli autori come portatori di una
sorta di patologia individuale e sociale.
Di fatto, come verrà meglio esposto in seguito, l’osservazione si riduce frequentemente a un
semplice compito burocratico, perché l’obiettivo di identificare “le carenze fisiopsichiche e le altre
cause di disadattamento sociale” è palesemente irrealizzabile, così come sono gravati da
insuperabili incognite i trattamenti risocializzativi; e come infine sono aleatorie la possibilità di
accertare l’assenza di pericolosità, presupposto per la concessione delle misure premiali e
alternative.
Comunque sia, secondo l’ordinamento penitenziario, il programma di trattamento verrà redatto
dalla “equipe di osservazione e trattamento” composta dal direttore dell’Istituto, dall’educatore,
dagli assistenti sociali, dagli esperti di scienze dell’uomo. L’osservazione dovrebbe di conseguenza
essere eseguita da più persone con diversa competenza: l’educatore, l’assistente sociale, gli esperti
(di psicologia, di criminologia clinica, di psichiatria o di pedagogia) , e le indagini si concretizzano
poi in un giudizio collegiale, cui partecipa anche il direttore.

Criminologo clinico, esperto ex art.80 O.P. presso C.R. di Milano-Opera. Responsabile della “Unità di Trattamento
Intensificato per autori di reati sessuali”della C.R. di Milano-Bollate. Docente presso l’Università Cattolica del Sacro
Cuore di Milano
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L’osservazione è cardinale, oltre che per formulare il programma di trattamento, anche per fornire
alla magistratura di sorveglianza le informazioni sulla personalità per le sue decisioni e per riferire
alla direzione del carcere notizie sulla personalità dei detenuti in vista di provvedimenti disciplinari
o benefici; sia infine per risolvere i problemi di inadeguato adattamento carcerario. L’osservazione
scientifica della personalità si sostanzia in un’attività preliminare che, con una terminologia di
tradizione medica, suole denominarsi “momento diagnostico” , nel senso che mira a conoscere i
tratti della personalità e le caratteristiche socio-ambientali, per il significato che psiche, famiglia
d’origine e situazioni di vita hanno avuto nei confronti del comportamento delittuoso del singolo
individuo in esame. Non è pertanto un abituale esame psicologico, bensì un’osservazione effettuata
per metter in luce i molteplici fattori psicologici e ambientali che consentono di ricostruire
criminogenesi e criminodinamica(Ponti, 1999).
L’osservazione delle caratteristiche soggettive deve dunque compiersi per spiegare come è
intervenuta la variabile individuale nella genesi e dinamica di un reato. E qui l’articolo 27 del
D.P.R.230/2000 specifica anche in senso metodologico come procedere ai fini di questa
osservazione: “Si provvede all’acquisizione di dati giudiziari e penitenziari, clinici, psicologici e
sociali e alla loro valutazione con riferimento al modo in cui il soggetto ha vissuto le sue esperienze
e alla sua attuale disponibilità ad usufruire degli interventi del trattamento…”. Tra tali elementi di
valutazione che dovrebbero completare l’osservazione solo quelli psicologici presentano un
margine elevato di ambiguità e di bassa verificabilità sulla base di elementi concreti, ma sono in
modo paradossale quelli più gravati da aspettative nel sempre più tortuoso e complesso scenario
della premialità.
Il legislatore ha previsto su questo punto la ‘possibilità’ di avvalersi di professionisti esperti, ai
quali è richiesto un intervento valutativo sulle indicazioni del trattamento individualizzato e una
partecipazione alle pratiche trattamentali. Quando poi si riunisce il Gruppo dell’Osservazione e
Trattamento con il compito di fornire al Magistrato e al Tribunale di Sorveglianza una sintesi sulle
indicazioni trattamentali, le cui opzioni sembrano residuare solo nelle misure extra-detentive, e
dunque con un esplicito parere sulla pericolosità del ristretto e sui rischi di recidiva, si demanda
all’esperto, che si destreggia tra riferimenti pseudo-scientifici e un ibrido duplice mandato, una
sorta di “parola ultima”, di aspettativa prognostica circa il futuro comportamento del reo. Ciò
avviene in misura maggiore nell’attuale tendenza a relegare il trattamento nella spesso regressiva e
disfunzionale logica della premialità. In un sistema come il nostro dunque la necessità di predizione
di un comportamento è un elemento portante; diverso sarebbe se ci trovassimo in un sistema penale
tariffario.
La valutazione prognostica, a differenza di quella diagnostica, deve avere come premessa la
consapevolezza che non esistono cause necessarie e sufficienti del comportamento criminoso, o
fattori dalla cui soggezione e dittatura non ci si possa affrancare con scelta volontaria, così come
“non esistono né potranno mai esistere teorie complete ed esaurienti che spiegano il crimine da un
punto di vista esclusivamente individuale”(Merzagora, 1987). Il crimine è un concetto relativo alla
cultura, non coincide con l’aggressività né con la violenza, e pertanto non sembra avere molto senso
parlare di ‘personalità criminali’.
L’osservazione della personalità per evidenziare la previsione di una condotta futura è affidata in
buona parte ad un operatore che impiega soprattutto lo strumento conoscitivo del cosiddetto
‘colloquio clinico’. Tale colloquio non è richiesto dal soggetto in osservazione, ma commissionato
da un particolare committente, l’amministrazione penitenziaria o il magistrato. Ciò comporta
atteggiamenti, cautele, deontologia particolari da parte dell’esperto, che non si trova davanti a un
“cliente” che si rivolge a lui per soddisfare un suo bisogno o per curare un disturbo, ma a un
soggetto che deve comprendere e valutare, con un’attitudine quindi di particolare oggettività e
neutralità. L’indagine è eseguita su specifico mandato del sistema penale e per fini di giustizia,
talché l’osservatore non può schierarsi con il soggetto, come accade nel caso dell’alleanza
terapeutica o della consulenza privata.
Il colloquio rimane comunque il pezzo forte dell’osservazione, riserva sempre delle sorprese, ed è
sempre diverso. Due grandi capitoli vi sono affrontati: la vita del reo e i fatti per cui è stato
condannato.
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Questo colloquio differisce dal solito colloquio terapeutico. Innanzi tutto si tratta di un uomo che si
trova in carcere, che non ha chiesto di incontrare uno psichiatra o uno psicologo e che addirittura
non l’avrebbe mai consultato.
L’operatore solleciterà il detenuto a raccontare la propria vita. Tale racconto spesso è un modo di
procedere inconsueto per il reo. Probabile, spesso accade, che non gli era mai capitato di parlare di
sé.
Il discorso del condannato è prima di tutto una rielaborazione che ha due funzioni. La prima è
quella del discorso interiore, nel migliore dei casi una riappropriazione dell’atto. La seconda è
quella del discorso esterno, in quasi tutti i casi quello della difesa utilitaristica.
La particolarità del rapporto, la natura essenzialmente valutativa di questa osservazione, il fatto che
da questa possono derivare sia benefici che giudizi sfavorevoli sui futuri destini penitenziari
dell’osservato, incidono sull’atteggiamento di quest’ultimo, che si trova quindi in una situazione
ben diversa da quella terapeutica. Ciò comporta il rischio di mancanza di sincerità da parte
dell’esaminato, cui non si può dare incondizionato credito, e che può anche manipolare
l’esaminatore per i suoi fini. Chi esegue un colloquio in queste particolari circostanze deve pertanto
essere consapevole di questi rischi, perché possono derivarne valutazioni erronee, riducibili entro
certi limiti con l’esperienza.
Tali aspetti sono oggi ulteriormente rafforzati dal preponderante carattere della premialità, che è
sempre più presente nello scambio penitenziario e alimenta le strategie strumentali che i soggetti
ristretti possono attuare spesso solo nell’occasione del colloquio. A conferma di ciò è istruttivo
citare una frase di un recluso: “…questa tendenza del detenuto a manipolare i sentimenti di chi gli è
vicino per una condizione di bisogno totale”. Non si tratta solo di essere cauti sulle espressioni e
versioni fornite, ma anche sufficientemente distanti da avvitamenti e coinvolgimenti emotivi
allorquando, nell’indagare i motivi che hanno spinto al delitto, si deve attivare una comunicazione
empatica.
L’indagine sui motivi del delinquere è l’elemento centrale di questo colloquio. Glueck(1960) diceva
che “un fattore prima di essere una causa deve diventare un motivo”. La Merzagora(1987) riporta
nel suo testo sul colloquio criminologico un preciso elenco di Bisio sulle aree dell’indagine:
“1)indagare come il soggetto ha ceduto all’azione dei motivi che su di lui hanno agito;
2)determinare perché non lo hanno inibito altri motivi(sociali, individuali, morali, religiosi,
giuridici, ecc..); 3)ricercare come il soggetto è arrivato a concepire, e sotto quale aspetto, l’azione
antisociale, dalla quale si è ripromesso la soddisfazione di un interesse; 4)conoscere come è stata la
preparazione e l’esecuzione del reato; 5)passare allo studio del comportamento onde determinare
come la personalità umana reagisce ai vari stimoli e nelle varie condizioni.
Quando ci si accosta a un criminale si è sempre spinti dalla volontà di capire e di razionalizzare ciò
che ha fatto. Dopo essere caduta nel secolo scorso in un determinismo generoso ma implacabile, la
criminologia oggi ammette che non vi è crimine o delitto che si possa riferire, come in
un’equazione, a una data personalità. Ma, al di là di questo, la ricerca del significato dell’atto è un
inseguimento che non ha mai fine. Essa è alla base di ogni esame del reo, come se si potesse,
attraverso il crimine, arrivare alla scoperta di una nuova verità, e ogni volta essa si rivela
necessariamente deludente. Caso dopo caso, si giunge a una constatazione: non esiste verità
nell’atto che possa dire la verità del soggetto.
Con queste indicazioni e cautele si conferma che la previsione del futuro comportamento
dell’uomo è un compito arduo e con molte incognite.
Prima di tutto perché le previsioni su qualsiasi comportamento umano sono fondate su di un criterio
statistico, ovvero il giudizio su una condotta futura tiene conto delle caratteristiche che più
frequentemente si riscontrano in chi si è trovato in analoghe circostanze(Ponti, 1999).
Qual è lo schema di ragionamento che si effettua per predire il comportamento delittuoso?
Ci si basa sulla percentuale significativa di casi di soggetti con certe caratteristiche e che
recidivano: certi tratti di personalità, certe caratteristiche microsociali e certi trascorsi criminali.
Tutte valutazioni fondate sulla statistica e sull’esperienza, ma poco utilizzabili con certezza sul
singolo caso!
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In secondo luogo non si può pensare che gli individui agiscano secondo obbligati schematismi
deterministici senza spazio per la volontà e la libertà di scelta. A questo proposito bisogna
rammentare che Monahan negli anni 80 ha evidenziato con ricerche meticolose, anche se basate
solo sui dati delle recidive ufficiali, che più dei 2/3 delle predizioni di recidiva violenta fatta dai
professionisti si erano rivelate fallaci(il cosiddetto fenomeno dei “falsi positivi”).
E come terzo aspetto, il giudizio sfavorevole può attivare meccanismi e reazioni sociali
stigmatizzanti ed emarginative che possono condizionare la condotta del reo(la cosiddetta “profezia
che si autoadempie”). Ciò avviene in misura maggiore nell’impalcatura della premialità, dove una
valutazione prudente quando non negativa viene ovviamente presa dal detenuto come una
bocciatura, quasi in termini punitivi, senza alcuno spazio per l’eventuale instaurarsi di un percorso
trattamentale che motivi verso un’ulteriore elaborazione personale del reato, dei propri conflitti e
delle proprie difficoltà e dunque verso l’individuazione di un possibile sbocco evolutivo, proprio
partendo dalla condivisione del ristretto con l’operatore di una propria diagnosi sulla disfunzionalità
del suo modo di ‘essere nel mondo’. Questo passaggio fondamentale, definibile come “alleanza
diagnostica”(Orefice 2002), è il vero humus su cui può attecchire un trattamento penitenziario
individualizzato che miri non tanto al mutamento della personalità ma a modificare i
comportamenti, motivando il detenuto ad acquisire risorse e abilità sociali, a lavorare su difese
regressive e percezioni di sé inadeguate.
Invece nell’attuale contesto detentivo italiano la qualità di questo approccio dell’osservazione che
dovrebbe integrarsi col trattamento, è inficiata dal “mobbing” pressante della soluzione premiale, un
sistema di pressione che agisce su tutti i componenti dell’universo detentivo e dell’esecuzione di
pena, e che è solo funzionale alla dimensione disciplinare e alla gestione della condotta interna.
In questo scenario si assiste ad una funzione decisiva per il controllo premiale: costruire “un tempo
infinito dell’attesa”. “Si aspetta in continuazione: un’udienza, l’esito di un ricorso, la decisione su
una “domandina”, un colloquio, una telefonata. Si attende perché tutto ciò che avviene nel carcere,
ogni più elementare scarto della quotidianità, è soggetto a procedura: deve essere istruito,
selezionato, vigilato e giudicato. E tutto ciò in modo formale, attraverso la produzione e
circolazione di atti. Nel carcere della speranza gli individui si frantumano e ricompongono in modo
incessante; la casa di vetro è in realtà una enorme discarica di carte in cui tutti, indistintamente,
sono protagonisti e vittime della grande macchina della premialità”(Verde 2002). Dalla
descrizione di questo educatore emerge la disfunzionalità, sul piano del trattamento della persona, il
continuo riferimento alle misure alternative come unico sbocco, sia in senso di indicazione positiva
che negativa, dell’attività di osservazione. Il che attiva solo reazioni strumentali, manipolatorie e
regressivanti all’interno dei reparti detentivi. In chiave psicodinamica e un po’ provocatoria, ma
efficace, si può affermare con Francia e Peraldo(1979) che “la collusione tra detenuto e istituzione è
possibile quindi concretamente a livello orale e anale”.
Proseguendo su questa linea si potrebbe riportare le posizioni di qualche operatore penitenziario che
immerso nel marasma della confusa quotidianità operativa delle aree educative, vede nella Riforma
non una risorsa per attivare percorsi di umanizzazione della pena, bensì il completamento di
un’esigenza ideologica di attribuire funzioni socialmente e culturalmente più accettabili alla pena.
In questo modo l’impianto rieducativo dell’esecuzione delle sanzioni si sarebbe affermato sulla crisi
del vecchio modello repressivo-paternalistico. Una crisi che stava assumendo il carattere
dell’ingovernabilità dell’intera istituzione segregativa e richiamava delle scelte concrete e di civiltà,
da contrapporre alla violenza istituzionale della custodia, sempre più costretta a gestire i
malcontenti e le rivolte dei detenuti con interventi fortemente repressivi e punitivi.
Ci sembra molto efficace la sintesi che propone ancora l’educatore carcerario Verde sulla reale
funzione della Riforma penitenziaria del 1975, che costituirebbe “una nuova forma del potere
custodialistico nel passaggio da un paradigma segregativo ad uno correzionale ovvero
l’approntamento di un modello disciplinare del carcere che ponendo come assunto l’irriducibilità
del conflitto tra soggetti sanzionati ed istituzione costituisce una complessa architettura giuridicoamministrativa fondata sulla contrattazione della pena, delle sue forme di esecuzione e durata.
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Una pena flessibile e discontinua, come risorsa da giocare al tavolo della contrattazione- dove
vince chi ha risorse materiali, culturali, sociali e di pressione”(Verde, 2002).
In un contesto detentivo così descritto l’operatore difficilmente si integra con una buona alleanza e
motivazione ad operare nel sistema, soprattutto se è sostenuto da un immaginario professionale,
quello della funzione rieducativa e umanizzante nella pena, che sempre più nasconde e mistifica il
suo vero ruolo, con una accentuata funzione materiale di controllo del conflitto interno al carcere.
Ma tornando al tema delle previsioni criminologiche, va ribadita la consapevolezza della relatività
di questi giudizi.
Si possono purtuttavia individuare sulla scorta della criminologia empirica e teorica dei fattori di
rischio o certe qualità e caratteristiche della persona e dell’ambiente come indicatori della probabile
recidiva.
Per quanto riguarda la persona: ridotte facoltà cognitive, reazioni abnormi, disturbi di personalità,
dipendenza da sostanze, irregolarità e incostanza in ambito lavorativo e nella carriera scolastica,
condizioni di disagio socio-economiche, tendenze antisociali, precocità del disadattamento,
inserimento in sottoculture delinquenziali, aver commesso certa tipologia di reati, concreta assenza
di possibilità di inserimento lavorativo.
Per quanto riguarda la famiglia di origine: disgregata , affettivamente carente e inadeguata per
compiti educativi e di socializzazione, per indifferenza e incapacità.
Altri parametri riguardano la carriera criminosa: inizio precoce di attività delittuosa, alta frequenza
e n°delle recidive, l’indole dei precedenti reati, breve intervallo di libertà fra successive condanne,
appartenenza a sottocultura criminosa, non occasionalità dei delitti.
Tutti questi dati, sulla base di un giudizio integrato, vanno utilizzati con criterio clinico e inquadrati
nella valutazione complessiva fatta da un esaminatore sperimentato(Ponti 1999).
Tra le metodologie predittive più rilevanti della criminologia vi è il sistema predittivo dei coniugi
Glueck(1950), basato sulla loro ricerca e teoria non direzionale o multifattoriale dell’integrazione
psico-ambientale.
I Glueck individuarono tre serie di tavole di predizione, rispettivamente attinenti alle caratteristiche
della famiglia, del carattere e della personalità. A conclusione dei loro studi confermarono che le
componenti legate all’inadeguatezza del nucleo famigliare sono l’elemento cardine per il destino
sociale di una persona.
L’esperto ex art.80 O.P., consapevole dunque dello specifico contesto in cui opera e con
un’adeguata formazione psico-criminologica, può far riferimento nell’attività prognostica a queste
indicazioni, ma coloro che usufruiscono delle valutazioni di un colloquio clinico devono tener
presente che la ricerca internazionale ha confermato il debole tasso di predizione della valutazione
clinica(Debruyne,1999), con affermazioni ancora più radicali in riferimento alle valutazioni sulla
recidiva dei rei sessuali, le cui caratteristiche predittive equivarrebbero al lancio di una
monetina(Hanson e Thornton,1999), né la qualità delle previsioni tenderebbe a migliorare con
l’esperienza del professionista(Garb e Boyle,2003).
Le valutazioni cliniche tradizionali vengono definite “giudizio clinico non strutturato”e si basano,
oltre che sui colloqui, anche sulle informazione dei fascicoli personali e sull’intuito del clinico. Con
questo metodo non vi è nessuna regola o costrizione sul modo in cui i valutatori prendono le loro
decisioni alla luce delle informazioni di cui dispongono (Meehl, 1994) e tale giudizio viene definito
come “informe, soggettivo e impressionista” (Grove-Meehl, 1996), ma altri studiosi ne
moltiplicano le critiche(Monahan, Webster, Litwack, Schlesinger, Quinsey). Col giudizio clinico
non si avrebbe infatti un accordo sul modo di effettuare le valutazioni e di pervenire alle decisioni.
Visto che i valutatori possono dispensarsi dal precisare come o perché hanno preso le loro decisioni,
diventa arduo contestarle o determinare le cause del disaccordo tra vari specialisti. Si tratta dunque
di valutazioni che avrebbero un basso coefficiente di validità.
Per ovviare a tali lacune negli ultimi 20 anni si sono moltiplicati gli studi in USA e in Canada nel
campo della valutazione del rischio di recidiva in generale e nello specifico delle recidive violente e
di quelle sessuali. La politica penale canadese è esplicitamente orientata alla categorizzazione dei
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rei secondo il livello del loro rischio di recidiva, con lo scopo di proteggere la società in funzione
securitaria.
Dagli studi statistici e dalle rilevazioni effettuate sulle persone condannate e seguite nel loro
reinserimento nella società, vengono acquisiti dati con i quali si approntano strumenti di previsione
che consentono di ridurre il margine di errore nelle prognosi, integrando, ma sempre più spesso
sostituendosi ai giudizi clinici non strutturati. Così sempre più nei Paesi anglosassoni gli interventi
nella gestione dell’esecuzione penale si articolano sulla valutazione del rischio(“Risk assessment”)
e nella gestione del rischio(“Risk management”), ovvero nel determinare in che circostanze può
essere riattivato dal soggetto il comportamento(sessuale o violento)deviante, e in che modo si può
intervenire per ridurre tale condotta lesiva.
La nozione di ‘rischio’ è complessa e strettamente connessa a quella di pericolo e di probabilità. Il
‘rischio’ è un pericolo compreso in modo imperfetto, il cui concretizzarsi non può essere previsto
con certezza. Si tratta di una nozione che comporta diversi aspetti, quali la natura del pericolo, la
probabilità che quel pericolo si concretizzi, la frequenza con cui il pericolo può prodursi, la gravità
delle conseguenze del pericolo e l’imminenza dello stesso. Il desiderio di comprendere e di evitare
il rischio(ovvero un processo definibile come ‘la valutazione del rischio’) è diventato un’idea
maestra, un principio organizzatore in numerosi campi, non solo nel diritto, ma anche nella
medicina, negli affari e nelle attività del genio. La valutazione del rischio permette di definire e
analizzare i pericoli al fine di ridurre la probabilità che si producano.
Gli specialisti della salute e delle scienze sociali che si interessano alle condotte violente
definiscono la valutazione del rischio come un processo di valutazione degli individui che mira a:
1) caratterizzare il rischio che commettano eventualmente un atto di violenza
2) preparare interventi volti a gestire e ridurre questo rischio (Monahan-Steadmann, 1994)
Nel settore della valutazione del rischio di violenza (Menzies, 1995) si sono sviluppati in fasi
successive tre tipologie di strumenti testistici che cercheremo di descrivere: 1) gli strumenti
attuariali statici; 2) quelli di tipo strutturato( “Structural Professional Judgement” ) e 3) quelli
dinamici.
1) Le valutazioni attuariali del rischio si basano sulla validazione di ‘items’ statisticamente predefiniti, in quanto fattori statici della vita del soggetto. In tal caso i valutatori, pur affidandosi alle
informazioni e ai dati che possiedono, prendono la loro decisione finale in un quadro d’insieme di
regole fisse ed esplicite. Questi strumenti di previsione poggiano su fattori di valutazione particolari
e identificati come preliminarmente determinati.
Attraverso una combinazione meccanica dei fattori predittivi empiricamente identificati come legati
alla recidiva, vengono predisposte delle scale con dei punteggi, cosiddette attuariali, che possono
essere sia generiche che specifiche, per la tipologia dei delitti a cui si riferisce il rischio di recidiva.
Tali strumenti attuariali si compongono di fattori statici stabili che non mutano(per esempio le
eventuali condanne precedenti) o mutano in modo prevedibile, come l’età. La codifica avviene in
modo oggettivo, così come la considerazione del risultato a punteggio (“score”).
Tale metodo è definito come meccanico e algoritmico, ma viene criticato per il fatto che esclude
l’apporto di specialisti nel processo di valutazione e si limiterebbe ad un riduttivo automatismo
numerico, con la preoccupante deriva che in alcuni Stati USA conduce alla concessione o meno
della libertà condizionale sulla mera base dei punteggi dei test attuariali. Ciononostante non si ha
alcun dubbio in letteratura che i metodi attuariali siano superiori al giudizio clinico non strutturato,
sia per prendere decisioni in generale che per la valutazione del rischio di violenza in particolare.
Tra queste scale una delle più utilizzate è la Scala di Valutazione Rapida del Rischio di Recidiva
Sessuale(RRASOR) di Hanson(1997), che è stata concepita a partire da una meta-analisi effettuata
su 60 studi sulla recidiva sessuale, basati su un campione di complessivi 20.000 rei sessuali. Alla
fine del suo studio Hanson ha individuato quattro predittori della recidiva sessuale, con
l’assegnazione di un punteggio per ogni variabile e la definizione del rischio più elevato con il
punteggio di 6:
- precedenti aggressioni sessuali (punti da 0 a 3max)
- almeno una vittima senza legame di parentela (da 0 a 1)
6
- almeno una vittima di sesso maschile (da 0 a 1)
- un’età inferiore ai 25 anni
Un’altra scala attuariale molto diffusa è la STATIC-99 (Hanson, 1999), composta da dieci fattori
(vedi Appendice n°4) o ‘items’ di tipo statico. Trattasi di uno strumento predittivo che valuta il
rischio di recidiva a lungo termine, riservato a rei sessuali adulti maschi. Questa scala si riferisce
alla prevedibilità della recidiva trascorso il periodo di cinque anni dalla scarcerazione del
condannato, con un punteggio che esprime quattro categorie di rischio, da debole a rischio elevato.
La siglatura di questa scala si riferisce a informazioni relative al Casellario Giudiziario, al sesso
della vittima, al tipo di relazione tra vittima e reo e allo stato civile del reo.
La qualità psicometrica di questo strumento dipende dalla qualità delle informazioni a cui si ha
accesso. Anche per questo motivo nelle carceri nordamericane gli educatori accedono in rete per via
informatica direttamente ai dati della polizia giudiziaria.
2) Le scale attuariali oltre ad essere criticate per il loro aspetto eccessivamente meccanicistico, non
soddisferebbero i criteri conoscitivi relativi alla previsione del momento della possibile recidiva, né
fornirebbero indicazioni sulle strategie per ridurre i rischi di recidiva. A partire da tali limiti si sono
sviluppati i ‘Giudizi professionali strutturati’(“Structural Professional Judgement), basati su fattori
di rischio che derivano da ricerche empiriche sulla violenza in genere e quella sessuale. In questo
caso al valutatore è richiesta una buona esperienza clinica. Lo strumento di questo tipo più
utilizzato per la violenza sessuale è la “Sexual Violence Risk” o SVR-20 (Boer-Hart, 1997). Non si
tratta né di un test né di una scala, ma di un metodo di valutazione. La SVR-20 comprende 20 fattori
di rischio divisi in tre categorie (vedi Appendice n°7): i fattori relativi all’adattamento psico-sociale
dell’individuo, quelli riguardanti gli eventuali precedenti specifici e i fattori di rischio relativi ai
progetti futuri del soggetto. In tal senso questo strumento aggiunge a fattori statici anche fattori di
rischio dinamici.
3) Una più marcata integrazione dei predittori statici(fattori che non mutano per anni, come la
personalità o le attitudini) con quelli dinamici, ovvero suscettibili di mutamenti(per esempio quelli
emersi in corso di trattamento), si ha in una fase successiva, con la produzione di strumenti di
valutazione del rischio. Di recente sono infatti state predisposte scale di valutazione del rischio della
recidiva sessuale di tipo dinamico. In particolare i fattori dinamici vengono suddivisi in ‘fattori
stabili’, la cui valutazione avviene su un periodo più lungo(alcool, preferenze sessuali, distorsioni
cognitive) e in ‘fattori acuti’, valutati sul breve periodo(collera improvvisa, cambio di stato, ecc.).
Le due più recenti scale di questo tipo sono la “STABLE 2007” (Hanson-Harris, 2001 e 2007)e la
“ACUTE 2007”(Hanson, 2007). La prima si basa su fattori dinamici stabili come i problemi di
intimità, la mancanza di controllo, mentre la seconda si incentra su fattori predittivi acuti quali
l’umore negativo, l’ostilità, la collera (vedi Appendice n°8 e n°9).
Mc Grath nel 2004, nel riassumere le caratteristiche predittive di tutti questi strumenti di
valutazione, in particolare quelli sul rischio di recidiva sessuale, sostiene una loro validità
prognostica moderata, ovvero in rapporto ad un soggetto che non recidiva, un recidivo preso a caso
avrebbe più possibilità(circa 70-80%) di ottenere un punteggio elevato in queste scale. Ciò
rappresenta un indubitabile progresso rispetto alle valutazioni cliniche generali, che annoverano un
alto numero di falsi positivi. Questi strumenti di valutazione del rischio tendono ad
un’uniformizzazione e rispondono ad un bisogno di oggettività, limitando l’eccessiva
discrezionalità dei valutatori, ma devono comunque essere considerati cautamente degli indicatori e
non dei veri e propri criteri decisionali.
Per concludere questa rassegna degli strumenti di lavoro che integrano la prognosi in sede di
osservazione della personalità dei rei condannati nei Paesi nordamericani e di recente in Gran
Bretagna, in Francia, Germania e nei Paesi Bassi, si deve fare riferimento ad un importante
contributo messo a punto da Hare nel 1991. Si tratta di uno strumento standardizzato basato sulla
descrizione della psicopatia fatta da Cleckley nel 1982. La “Psychopathy Checklist-Revised”(PCLR), la scala della psicopatia di Hare, consiste in una intervista semi-strutturata con venti ‘items’ di
riferimento(vedi Appendice n°5), che ha lo scopo di fornire al clinico, attraverso il confronto con un
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punteggio pre-determinato, la presenza e il grado dei tratti di personalità di tipo psicopatico in un
soggetto e quindi della sua pericolosità.
La valutazione, che deve essere effettuata da un clinico formato, si svolge in due tappe e dura circa
due ore. In un primo momento l’operatore consulta il fascicolo del soggetto da esaminare, con
l’acquisizione dei dati medici, psicologici, sociali e giudiziari. Poi nel corso di un’intervista semistrutturata passa in rassegna tutta una serie di dati anamnestici, dal percorso scolastico alla qualità
delle relazioni interpersonali, dal consumo di sostanze ai precedenti penali, fino all’atteggiamento
sulla vicenda del reato. L’operatore deve assegnare un punteggio per ogni ‘item’ indicato, a seconda
che la descrizione dell’‘item’ non corrisponda al soggetto (0 punti), lo definisca assai bene ma con
qualche margine di dubbio(1 punto), o lo caratterizzi globalmente abbastanza bene(2 punti). Il
punteggio massimo ottenibile è di 40 punti e la diagnosi di psicopatia può attribuirsi su un
punteggio di 30. Le numerose ricerche americane di questi anni hanno confermato che le qualità
psicometriche di questo strumento di valutazione sono eccellenti.
Ma per tornare alla nostra realtà, l’Ordinamento Penitenziario da una parte incentra le finalità
trattamentali e rieducative sul principio dell’individualizzazione, con la previsione di un programma
di trattamento da predisporsi per ogni condannato mediante l’osservazione scientifica della
personalità(art.13 legge 354/1975) e dall’altra sembra concentrare questi aspetti trattamentali sulle
misure alternative, laddove vi siano i presupposti di concedibilità relativi all’assenza di pericolosità.
Nel coadiuvare la Magistratura di Sorveglianza all’esperto viene richiesto un giudizio sulla
partecipazione all’opera di rieducazione effettuato cercando “...in qualche modo di penetrare nella
mente e nell’anima delle persone e di capirne le intenzioni”(circolare D.A.P. del 7/2/1992
n.3337/5787). Agli operatori penitenziari dell’equipe di osservazione e trattamento si specifica, con
un’altra circolare, che il giudizio non deve basarsi solo sul “comportamento formalmente corretto”
ma deve considerare“la sincera volontà di revisione critica, di partecipazione all’opera di
rieducazione” aggiungendo che tale valutazione esprime un contenuto “di altissima
professionalità”(circolare D.A.P. del 3/7/1990 n.3291/5741). Tale tenore espressivo è però smentito
poco dopo nella stessa circolare quando si afferma “che solo qualche volta e solo parzialmente gli
operatori penitenziari sono in grado di acquisire e fornire un’informazione sulla pericolosità del
soggetto, e ciò solo per poter dire che si tratta di un soggetto pericoloso, mai per poter escludere
che egli sia pericoloso”. Poi si aggiunge “E con tutta evidenza solo le forze di polizia...e non anche
gli operatori penitenziari, sono in grado, hanno i mezzi, le risorse, le strutture, insomma la
competenza per svolgere un accertamento di questo tipo, e cioè per dare una base oggettiva e
documentata alla previsione se il soggetto abusasse della fiducia che gli viene concessa, dandosi
alla fuga o commettendo altri delitti”. Infatti le risorse dedicate alle attività di osservazione e le
informazioni a cui possono avere accesso gli operatori penitenziari sono assai limitate(solo con
qualche eccezione si riesce ad ottenere per esempio gli elaborati peritali, figuriamoci i dati della
polizia giudiziaria, come i colleghi americani!).
Difficile pensare che con queste premesse vi possa essere un buon livello di aspettative da parte
della Magistratura di Sorveglianza e dell’Amministrazione Penitenziaria nei confronti di coloro che
svolgono l’osservazione in carcere. Così come negli operatori si può ingenerare una sorta di alibi
rinunciatario, con cui si auto-giustificano a non stimolarsi ad aggiornamenti professionali(che
dovrebbero essere proposti dal Ministero, ma sono quasi inesistenti) e a non attivarsi a contatti
reciproci e più frequenti tra i diversi organi dell’esecuzione penale.
In una ricerca del 2002 sul ruolo e i compiti degli esperti ex art.80 O.P.(Merzagora, 2003),
effettuata somministrando a un campione ridotto dei questionari, un professionista intervistato sulla
qualità del rapporto con i magistrati di sorveglianza si domanda, “siamo partiti da un sistema
analogo? Facciamo parte della stessa riforma? In sette anni di lavoro non sono riuscito, neppure
al telefono, ad avere uno scambio di idee con membri di quel Tribunale”. D’altra parte gli esperti
spesso redigono relazioni di osservazione che si limitano a riportare aspetti psicologici assai
irrilevanti ai fini della valutazione del rischio di recidiva, e la composizione stessa per competenze
di questi operatori rivela una scarsa presenza e considerazione del sapere criminologico. Gli esperti
ex art.80 O.P. dediti all’osservazione sono infatti in tutto 294 psicologi e 57 criminologi.
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A fronte di ciò la Magistratura di Sorveglianza è sempre più sollecitata ad estendere il proprio
accertamento ad aspetti più di pertinenza del giudice di cognizione, in particolare sul rischio di
recidiva e sulle caratteristiche criminose dei rei, e non può che rimanere insoddisfatta da forme e
contenuti di documenti di sintesi che non hanno la struttura degli elaborati peritali.
Tale estensione dei compiti dei Magistrati della Sorveglianza è tra l’altro poco supportata dal
ricorso agli approfondimenti tecnici peritali, anche in quelle circostanze che per la gravità del fattoreato e per la complessa personalità del reo, potrebbero richiedere il parere del perito criminologo
e/o dello psichiatra forense. A questo tipo di consulenze richieste dal Giudice, secondo la nostra
esperienza operativa, ci risulta si ricorra assai di rado in sede di esecuzione.
Per cercare di ovviare al fatto che le relazioni di osservazione sono stilate senza il ricorso a precisi
criteri, poco armonizzate sul piano dell’oggetto e delle metodiche di indagine, gli esperti della C.R.
di Milano-Opera stanno introducendo in via sperimentale una scheda predefinita(vedi Appendice
n°3) dove vengono elencati una serie di elementi di qualità anamnestica, sul comportamento e sulla
personalità del ristretto, relativi ad indici di adattamento e disadattamento sociale, ripartiti
storicamente rispetto a fasi precedenti, contemporanee e successive al reato, e ai fattori
comportamentali e relazionali rilevati nella fase processuale e nel contesto detentivo. La scheda
dovrebbe sostituirsi alle relazioni di osservazione e fornire al Giudice le informazioni utili per le sue
decisioni in modo più neutro ed uniforme. Tale tentativo esprime il disagio degli operatori di fronte
ad un’assenza di criteri e parametri valutativi uniformi, così come la mancanza di linee guida che
riguardino i compiti e le finalità dell’osservazione al di là delle generiche indicazioni
dell’Ordinamento Penitenziario sull’argomento. Per poter ovviare a queste lacunose condizioni di
lavoro occorrerebbe una riflessione comune ed articolata degli operatori del trattamento con i
funzionari dell’Amministrazione Penitenziaria e i Giudici dell’esecuzione penale.
Un altro elemento centrale dell’art.27 del regolamento di esecuzione del 2000, riguarda
l’indicazione di condurre con il condannato “una riflessione sulle condotte antigiuridiche poste in
essere, sulle motivazioni e sulle conseguenze negative delle stesse per l’interessato medesimo e
sulle possibili azioni di riparazione…”.
In tal modo il legislatore esplicita un contenuto trattamentale da cui non si può prescindere
nell’intervento rieducativo, come se per troppo tempo le attività di osservazione non si fossero
adeguatamente centrate sull’elaborazione del fatto reato da parte del reo detenuto. Tale
elaborazione, assieme al concetto di riparazione, appare in questa prospettiva un passaggio fondante
del percorso rieducativo, da annoverare tra i suoi obiettivi. Si potrebbe affermare che venga
auspicata l’osservazione della personalità già in sé con una specifica valenza trattamentale.
Nella nostra esperienza di operatori sul campo possiamo confermare l’importanza di un lavoro col
detenuto che lo porti a riflettere sul reato, le circostanze situazionali e personali dell’agito
criminoso, gli aspetti relazionali conflittuali che hanno avviato e sostenuto l’agire delittuoso.
“L’impossibilità di parlare dell’atto, di ritornarci sopra, è un fenomeno comune alla maggior parte
dei crimini. Affiora qualcosa che non rientra nella dimensione discorsiva. Così un assassino sarà in
grado di raccontare quello che è successo prima della disputa, lo scoppio d’ira, il primo colpo, ma
solo quel primo colpo, non sa più altro, non riuscirà mai a descrivere dettagliatamente i colpi,
come se quell’azione che è un interrogativo per il suo interlocutore non potesse più parlare al suo
attore.
La funzione della giustizia è allora quella di imbastire discorsi intorno a questa condotta
enigmatica per riuscire a farne un attore e reintrodurre questo atto nella trama dei fatti
“ordinari”, vale a dire quelli dei quali si possono scoprire le cause e dei quali si può parlare; dei
fatti che possono essere interpretati, se non altro perché sia attuabile la condanna. Se non se ne
parla, se non lo si trasforma in parole, un atto non può essere giudicato; tutta la procedura
giuridica, dall’inizio alla fine, ha come scopo questa trasformazione.”(Cherki-Nikléss, Dubec,
1994)
Se il condannato non perviene ad una realistica e partecipata riflessione sul reato commesso si ha
una mancanza di simbolizzazione di questa vicenda e aumenta sensibilmente il rischio che egli
recidivi la condotta deviante. Un parametro centrale della restituzione dell’attività osservativa deve
riguardare questo processo di elaborazione e di responsabilizzazione del detenuto.
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Ma è il caso di ribadire che ottenere ciò è davvero assai arduo nella complessa architettura premiale
su cui si regge l’attuale fase dell’esecuzione di pena. Il detenuto non viene certo disincentivato ad
attivare difese disfunzionali e a regredire, rispetto a possibili attitudini responsabilizzanti e
maggiormente evolute.
Come esempio di dinamiche distorte basti pensare alla condizione di soggezione e continua
ricattabilità in cui viene a trovarsi nel proprio reparto detentivo il cosiddetto ‘permessante’, che
essendo passato oltre la soglia dei trattamenti intramurari, deve con estrema cautela evitare di
esporsi al rischio di perdere la posizione acquisita. In tal modo può esercitarsi su di lui una
pressione da parte degli altri detenuti che può arrivare fino al riprodursi di condizionamenti
costrittivi e violenti, anche solo a livello psicologico, che nulla hanno a vedere col percorso critico e
di evoluzione personale, ma piuttosto ricreano il clima di fondo del suo status di deviante. Spesso
tale condizione regressivante viene alimentata dalle esigenze di controllo disciplinare della Polizia
Penitenziaria.
Si tocca un punto delicato con queste considerazioni, introducendo il tema della sostenibilità del
trattamento nelle nostre attuali istituzioni detentive, così per come si presentano in senso strutturale
e per come si sviluppa l’intero campo dell’esecuzione di pena oggi nel nostro Paese, attraversato,
così come sembra, da una sorta di corrente da ‘mobbing penitenziario della premialità’. E queste
considerazioni critiche e dubbiose sulla valenza trattamentale dell’attuale esecuzione di pena,
valgono solo per quella parte di soggetti detenuti che hanno le risorse per partecipare allo scambio
penitenziario. Non è questa la sede per enumerare tutte le condizioni congenite nel sistema
segregativo, tra sovraffollamento, carenza di personale civile, mancanza di formazione del
personale, carenza del lavoro, spazi disagevoli e vetusti, che fanno di questo carcere uno dei luoghi
meno funzionali al radicamento di interventi trattamentali. In particolare poi per quei soggetti,
sempre più rappresentati nell’universo detentivo, che non potranno mai usufruire delle misure
alternative in quanto privi di risorse socio-economiche e relazionali(il cosiddetto fenomeno della
bifurcation, come effetto collaterale dell’introduzione di innovazioni nel sistema penale, di cui
profittano i meno deprivati)(Gatti,1996), e per i quali qualsiasi attività di osservazione si sostanzia
in un mero atto burocratico.
Per coloro che hanno invece le risorse per partecipare allo scambio premiale spesso bisogna
registrare la pochezza dei contenuti e delle risorse trattamentali per i rei adulti sul territorio. I
magistrati di sorveglianza sempre di più si preoccupano di integrare i trattamenti extra-murari con
prescrizioni di interventi rieducativi, finanche riparativi, ma difficilmente vengono attuati articolati
interventi di trattamento. Così tali misure assumono sempre più il carattere di mere riduzioni di
pena e di dislocazione delle funzioni disciplinari fuori dalle mura del carcere, affidate ai controlli
delle forze dell’ordine e degli assistenti sociali ministeriali. In tal senso non si ha una reale
alternatività di queste misure ma un’effettiva strumentalità: “non ‘altro dal carcere’ ma ‘al posto
del carcere’ (Piromalli, 2002). Questo mancato investimento sulla possibile portata trattamentale
delle misure alternative, le sta caratterizzando sempre più come ‘nuovo feudo carcerario’. Al di là di
quello che offrono i Servizi sul territorio, che cosa ci si può aspettare in termini di competenze e
operatività, da un’area penale esterna che è sostenuta solo con un misero 2% circa delle risorse
finanziarie del Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria? Anche in questo caso sembra
essersi persa un’altra occasione di applicazione e adesione allo spirito della Riforma Penitenziaria!
Se queste sono le premesse, l’indicazione del legislatore sull’osservazione della personalità come
metodologia trattamentale appare difficilmente realizzabile. Inoltre diventa arduo il compito di chi
sostiene che non debba essere svalutata la funzione delle attività di osservazione e trattamento in
ambito detentivo. Eppure a conclusione di questa disamina si vuole dimostrare che un
incoraggiamento e una valorizzazione delle opportunità risocializzative nell’ambito della pena
detentiva, anche e proprio in senso precipuamente trattamentale, è non solo possibile ma per alcune
categorie di rei del tutto imprescindibile! Per giungere a questa conclusione dovremo fare
riferimento al cosiddetto ‘mito del trattamento’ e al ritorno di modelli penali neo-retribuzionisti, ma
anche alla ripresa di fiducia nelle pratiche trattamentali, in alcuni Paesi europei e in Nord-America.
E nel completare questo percorso si cercherà di meglio definire cosa si intende per trattamento,
anche in considerazione delle risorse esistenti nel nostro Ordinamento e con la descrizione di un
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recente intervento concreto di costruzione di un campo trattamentale ed osservativo in ambito
detentivo nel nostro Paese.
Si è parlato inizialmente di una concezione positivistica e patologicizzante della criminalità, come
se si trattasse di un deficit o una malattia a cui corrispondono precisi e scientifici metodi di cura. In
tal senso il trattamento rappresentava una grande novità nel campo della politica criminale e
ingaggiò gli specialisti delle scienze umane in pratiche e interventi dalle promesse virtù
rigeneratrici. Fu proprio in quei Paesi dove si spinse all’estremo l’intervento rieducativo nella pena,
con ingenti investimenti di fondi ed energie operative, con speranze e forti aspettative di risultato,
che il disincanto produsse l’effetto di un immediato recupero delle logiche punitive retributive e
tariffarie. I primi importanti studi di valutazione dei programmi di trattamento, ovvero di quegli
interventi psico-sociali realizzati in carcere o in apposite strutture e finalizzati a rieducare il
condannato, dimostrarono l’inefficacia di questi interventi. Lo studio più conosciuto e che generò i
primi mutamenti della politica criminale USA, fu l’analisi di Martinson(1974) dei risultati di 286
studi di valutazione dei programmi di trattamento, da dove emergeva il basso effetto di questi sulla
recidiva. La sintesi suggestiva del suo lavoro fu riassunta così: “What’s work?Nothing works”.
Altre analoghe ricerche hanno dimostrato come gli effetti positivi sulla personalità non sempre
siano correlati con la diminuzione della recidiva(Lipsey, 1992). Si aprì un lungo periodo dopo gli
anni ’70 di disinvestimento del Pubblico nel settore della pena risocializzativa e si affermarono in
modo egemone concezioni contrarie al trattamento, considerato come un mito e inefficace.
Fu solo verso l’inizio degli anni ’90 che riemersero nuove posizioni, di ottimismo realista, sospinte
da studi valutativi che evidenziavano in certe condizioni come la recidiva si riducesse(Palmer,
1992)in seguito a programmi di trattamento sui condannati. Già nel 1979 Gendreau e Ross, sulla
scorta di 95 ricerche empiriche, dimostrarono il successo dei trattamenti, dove l’86% delle persone
che vi partecipavano avevano ridotto la recidiva dal 30% al 60%(basti pensare che Martinson
considerava un successo una riduzione del tasso di recidiva del 20%). Gli interventi psicosociali e
terapeutici realizzati nelle carceri ottengono le prime valutazioni positive e Lösel(1992) parlerà di
una “leggera brezza”, che inizia a sostenere “il vascello del trattamento”.
Uno psichiatra francese, Claude Balier(1995), ha iniziato a lavorare con la sua equipe all’interno
delle sezioni del carcere di Varces, con un programma trattamentale di impostazione psicodinamica,
per il recupero dei rei violenti e sessualmente violenti. Egli, a differenza di molti che sostengono il
contrario, ritiene che il contesto carcerario non costituisca un ostacolo alla terapia di certi soggetti,
proprio grazie alla solidità e alla sicurezza dell’ambiente penitenziario e del suo aspetto contenitivo,
dove segnala “evoluzioni persino spettacolari nel funzionamento del paziente”.
In senso analogo una ricerca criminologica dell’Università di Oxford valuta positivamente i
risultati ottenuti dal carcere di Grendon, un Istituto detentivo organizzato secondo i caratteri della
comunità terapeutica, che ospita detenuti con disturbi di personalità e psicopatici(Genders e Player,
1995). Il nuovo atteggiamento positivo nei confronti del trattamento è dovuto anche al raffinarsi
delle tecniche di valutazione e al collegamento di queste ricerche con le tecniche immediate di
riduzione della recidiva, per misurarne gli effetti anche nel tempo, con l’impiego delle sopra
descritte scale attuariali. Gatti(1996) cita uno studio di Lösel(1993) effettuato integrando 500
ricerche, dove si dimostra che l’ampiezza dell’effetto globale dei programmi di trattamento sarebbe
di circa 10, ovvero ad un tasso di recidiva del 55% di un gruppo di controllo corrisponderebbe un
45% di recidiva nel gruppo trattato.
Saranno soprattutto i programmi canadesi e statunitensi per il trattamento degli autori di reati
sessuali ad incrementare gli studi di valutazione negli anni ’90, con il fattore recidiva come standard
valutativo. Tali programmi sono basati su trattamenti cognitivo-comportamentali, che alle tecniche
individuali di contro-condizionamento avversivo integrano delle terapie di gruppo per ridurre le
distorsioni cognitive ed incrementare le abilità sociali dei rei sessuali.
Lo sviluppo di questi interventi trattamentali rieducativi a valenza ‘securitaria’ ha introdotto
nell’esecuzione penale di quei Paesi delle rigorose procedure di osservazione del condannato
all’inizio della propria pena, effettuabili in apposite sezioni o Istituti in cui si concentrano le attività
di osservazione, che oltre al contributo dei clinici si avvalgono della testistica attuariale e proiettiva
e di specifiche osservazioni quotidiane del comportamento nelle interazioni del detenuto. Il fatto
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che nelle carceri USA vi siano oggi circa 2.500 progetti di questo tipo e in quelle canadesi una
quarantina, dimostra che il semplicistico slogan del “nothing works” non può più essere accettato e
che ci si deve orientare a ricercare i contesti, i modi e le condizioni per cui questi interventi si
rivelano efficaci, in questi casi nel recupero dei rei sessuali ad una diversa qualità della propria vita
relazionale e sessuale e nell’evitare ulteriori vittimizzazioni, riducendo le recidive.
Questa rapida panoramica ci permette di specificare come anche nel nostro Paese gli interventi
trattamentali possano essere efficaci nei confronti di certe tipologie di rei. Si fa riferimento in
particolare a coloro che agiscono condotte lesive e violente, connotate da un grave grado di
dannosità e vittimizzazione, e spesso agite come esito di sintomatologia di tipo psicopatologico, che
senza inficiare le loro capacità mentali e volitive, dunque senza ridurne la responsabilità,
comportano per chi le compie una condizione di vulnerabilità, che non può essere certo affrontata
con una risposta meramente punitivo-retributiva e di ibernazione penitenziaria(Giulini,Vassalli, Di
Mauro, 2003). Proprio su questo tipo di soggetti l’osservazione scientifica della personalità si rivela
tanto più complessa, lacunosa ed incerta quanto più necessaria per fornire al giudice dei parametri
di valutazione della pericolosità.
Ponti già nel 1963 sgombrava il campo degli interventi di osservazione e trattamento,
considerandoli inutili per quei detenuti condannati perché non ‘diseducati’, riferendosi ai reati
scaturiti in condizioni emotigene eccezionali, oppure per coloro per i quali si tratterebbe di fatiche
sprecate in quanto ‘ineducabili’, ad esempio certa criminalità organizzata o di tipo mafioso.
Si tratta insomma di circoscrivere la complessità dell’analisi e delle sfide delle attività di
osservazione e trattamento a tipologie di rei che richiederebbero una presa in carico al di là e oltre la
pena per la loro personalità problematica e vulnerabile e per le esigenze di difesa sociale. Per
costoro i passaggi della premialità e la concessione di misure trattamentali extra-murarie senza dei
precisi percorsi trattamentali di tipo detentivo, che troverebbero maggiore efficacia e funzionalità
nell’elemento della coattività, rappresenterebbe un ‘salto nel vuoto’. Per gli autori dei reati sessuali,
dei reati violenti, per taluni soggetti perversi e psicopatici, per alcuni rei tossicodipendenti, non solo
in termini di difesa sociale, è sicuramente più efficace un recupero e un trattamento nel corso e
all’interno della pena detentiva, attraverso la predisposizione di interventi che vadano a
precostituire un“campo trattamentale”, al quale il soggetto accede attraverso delle leve
motivazionali che lo responsabilizzano nella sottoscrizione di un patto trattamentale. In tal modo si
configura un luogo dedicato a interventi intensificati di tipo multidisciplinare e caratterizzato da
condizioni di detenzione improntate al rispetto della dignità del singolo e alla sicurezza, con un
elevato grado di autonomia di movimento e di gestione che permetta agli operatori di svolgere
anche una più efficace osservazione sulle dinamiche relazionali e comportamentali del singolo nella
comunità.
La possibilità di effettuare un’approfondita valutazione delle caratteristiche individuali del
condannato e degli eventuali interventi trattamentali mirati è prevista dal legislatore con la
previsione dei Centri di Osservazione, che “sono costituiti come istituti autonomi o come sezioni di
altri istituti..” e “svolgono direttamente le attività di osservazione indicate nell’articolo
13...,altresì, attività di ricerca scientifica”(art.63 O.P.). Nel secondo comma dell’articolo 28 del
regolamento di esecuzione del 2000 si prevede la possibilità di assegnare “...i soggetti da
osservare...” ai Centri di Osservazione “...quando si ravvisa la necessità di procedere a particolari
approfondimenti...”.
Il nostro Ordinamento Penitenziario prevede inoltre la possibilità di predisporre un’esecuzione di
pena che tenga conto delle diverse condizioni ed esigenze dei condannati e che si caratterizzi
ottimizzando gli interventi, sia osservativi che di trattamento, attraverso il principio della
“differenziazione penitenziaria”. “I singoli Istituti devono essere organizzati con caratteristiche
differenziate in relazione...alle necessità di trattamento individuale o di gruppo ...” dei detenuti(art.
64 O.P. ). In seguito col D.P.R. 230/2000, al punto 4 dell’art.30 si specifica che “per l’assegnazione
definitiva dei condannati...si ha riguardo alla corrispondenza fra le indicazioni del trattamento
contenute nel programma individualizzato e il tipo di trattamento organizzato negli Istituti ai sensi
dell’articolo 115”.
Dopo aver dimostrato, con la rassegna degli strumenti testistici di valutazione, il basso coefficiente
di oggettività della nostra attività di osservazione e l’eccessiva fiducia nell’intuito clinico, si deve
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anche constatare che la mancata applicazione di queste disposizioni dell’Ordinamento Penitenziario
rende la nostra operatività monca proprio in senso strutturale e organizzativo, e spiega la carenza
totale di approfondimenti conoscitivi attraverso la ricerca criminologica.
Ispirandosi a queste norme dell’Ordinamento Penitenziario(art.115 DPR 230/2000) si è ideato e
avviato nel 2005, presso la Casa di reclusione di Milano-Bollate uno specifico intervento
trattamentale “intensificato” per autori di reati sessuali, esperienza che qui riportiamo al fine di
chiarire ulteriormente la complessità e la sfida delle attività di osservazione e trattamento, sia per
una migliore conoscibilità dei soggetti trattati che per la possibilità di incidere sul cambiamento del
loro comportamento e sull’acquisizione di risorse personali funzionali al loro recupero sociale.
Il progetto ricalca analoghi interventi trattamentali realizzati in Nord-America e in particolare
aderisce al modello operativo dell’Istituto Pinel di Monréal, riferendosi all’art.115 del regolamento
di esecuzione del 2000, come previsione-quadro dell’intervento di trattamento intensificato:
Art. 115 D.P.R. 230/2000 Distribuzione dei detenuti ed internati negli istituti
“In ciascuna regione è realizzato un sistema integrato di istituti differenziato per le varie tipologie
detentive… Per detenuti e internati di non rilevante pericolosità, per i quali risultino necessari
interventi trattamentali particolarmente significativi, possono essere attuati, in istituti autonomi o
in sezioni di istituto, regimi a custodia attenuata, che assicurino un più ampio svolgimento delle
attività trattamentali…
I detenuti con patologie rilevanti psichiche e fisiche…possono essere assegnati ad istituti autonomi
o sezioni di istituto che assicurino un regime di trattamento intensificato.
L’idoneità dei programmi di trattamento a perseguire le finalità della rieducazione è verificata con
appropriati metodi di ricerca valutativa.
Possono essere realizzati, per sezioni sufficientemente autonome di uno stesso istituto, tipi
differenziati di trattamento.”
Prima di descrivere sinteticamente la “Unità di Trattamento Intensificato per autori di reati
sessuali”, è necessario sgombrare il campo da eventuali equivoci di tipo correzionalista e
specificare che cosa si intende per ‘trattamento’.
Come ricorda Canepa(1981), i trattamenti penitenziari e l'introduzione in carcere dei clinici sono
solo inutili nelle attuali condizioni del contesto detentivo.
Crediamo che la detenzione possa essere davvero funzionale ad un percorso di elaborazione critica
e di sensibilizzazione alla cura per l'autore di violenza sessuale(Balier,1998), ribadiamo
l'importanza di adeguati strumenti formativi per gli operatori e di ben precisi programmi
trattamentali, ma tutto ciò solo in un contesto di netta differenziazione penitenziaria, che consenta
con alcune tipologie di detenuti un intervento e una presa in carico, “dove non solo le persone, ma
anche i luoghi facciano parte della cura” (Serra,1998).
Si ritiene fondamentale precisare la necessità di affrontare questo argomento da un punto di vista
comprensivo, senza proporre soluzioni pre-confezionate, e neppure ricorrendo ad una "funzione
apostolica" dell'addetto alla riabilitazione. E ciò nel senso suggerito da Bandini e Gatti(1987),
quando scrivono che il criminologo non è un agente della rieducazione e della conformizzazione
bensì agente di mediazione e di comunicazione.
I riferimenti alla necessità di pensare un intervento nei confronti degli autori di reati sessuali non
sono un modo di voler inchiodare il detenuto al proprio delitto, né la riproposizione di modelli neocorrezionalistici. Si ha ben presente, come scrive Ciappi(1996), che "il rischio da paventare è
quello di un diritto penale e penitenziario dove più di sanzionare un determinato comportamento,
definito come reato, si indirizzi verso l'uomo per il suo modo di essere, in quanto presenti talune
caratteristiche".
Il trattamento dei rei sessuali apre sfide complesse e molto delicate, dove può esservi
sovrapposizione parziale tra il campo medico e quello penale, nella ricerca degli interessi della
società e del singolo. Proprio per questo forse è necessario stabilire con chiarezza il senso di nozioni
come quella di trattamento. Qui si fa riferimento, come ricorda sempre Ciappi(1996), non ad un
postulato etico, laddove la criminologia venga intesa come scienza della trasformazione dell'uomo,
ma ad un concetto medico, secondo cui il detenuto diventi un vero e proprio partner nella richiesta
di terapia, come soggetto volontario. In questa prospettiva il trattamento è inteso come un’offerta di
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servizio(Ponti, 1998), che preferiamo definire di tipo pre-terapeutico e che non propone un oggetto
di apprendimento, ma crea le condizioni favorevoli all'apprendimento(Gazan 1999).
Grazie a un finanziamento congiunto della Regione Lombardia e della Provincia di Milano dal mese
di maggio del 2005 è stato avviato a cura di una Associazione di professionisti del privato sociale(il
Centro Italiano per la Promozione della Mediazione), il primo progetto di trattamento penitenziario
in Italia per autori di reati sessuali, in una sezione apposita della Casa di Reclusione di MilanoBollate.
Il progetto in sintesi offre i seguenti servizi(vedi Appendice n°1):
- Approfondita osservazione e valutazione psicodiagnostica
- Trattamento specializzato
- Ricerca e valutazione dei risultati
- Insegnamento e formazione
- Coordinamento del lavoro in rete con le agenzie interessate
Il progetto inizialmente si è rivolto ad un’utenza di aggressori sessuali adulti, condannati definitivi,
che abbiano espresso un riconoscimento quanto ai fatti relativi al reato e alla propria problematica
sessuale deviante, e presentino requisiti di trattabilità. L’intervento è gestito da un’equipe
pluridisciplinare e ha la durata di un anno e quattro mesi, per circa una ventina di utenti a modulo.
Infatti il progetto prevede due fasi, o moduli, ed è denominato “Progetto di trattamento e presa in
carico di autori di reati sessuali in Unità di Trattamento Intensificato e Sezione Attenuata”.
La prima fase prevede un’iniziale intervento sulla negazione e la minimizzazione del reato e un
approfondimento della motivazione del detenuto al trattamento. A ciò consegue la stesura di un
“Patto Trattamentale Individuale” che delinei da una parte l’impegno e le modalità di adesione
dell’utente all’intervento e dall’altra definisca e precisi il contesto, gli strumenti e gli operatori
inerenti all’Unità di Trattamento Intensificato. Tale Patto costituisce infatti una contrattazione che
rafforza la motivazione dell’utente, responsabilizzandolo con funzione di leva trattamentale e che
demarca i tempi e i termini degli elementi del trattamento.
Il trattamento si svolge in una struttura dedicata e caratterizzata da un’attenzione alla sicurezza dei
luoghi e della detenzione per i rei sessuali che devono trovare un contesto detentivo che consenta
loro di smantellare rigidi meccanismi difensivi. L’edificio di detenzione è autonomo e separato dal
resto del carcere. La qualità socio-relazionale della convivenza in Unità è assicurata da una
detenzione molto rispettosa dei diritti fondamentali del detenuto, con un’ampia libertà di
movimento nel reparto e la valorizzazione delle esperienze in comune dei detenuti. A ciò si
aggiunga che la Polizia Penitenziaria ha una presenza assai discreta in reparto e i suoi operatori
hanno aderito volontariamente all’assegnazione nell’Unità, e successivamente hanno intrapreso un
percorso di sensibilizzazione e formazione specifica. Inoltre è particolarmente curata la qualità del
vitto e le celle sono tutte singole.
In tal modo si costituisce un campo trattamentale che in quanto tale integra l’efficacia dei
trattamenti, con la convinzione che anche i luoghi, e vale la pena ripeterlo, così come vengono
strutturati e preordinati, debbono far parte in modo integrante della cura.
Successivamente a questa fase cosiddetta ‘pre-trattamentale’, si sviluppa il programma di
trattamento vero e proprio. Gli aspetti e gli elementi del trattamento rivolti ai bisogni di venti utenti
per ciascun modulo, che vengono approfonditi oltre in dettaglio(Appendice n°1), sono i seguenti:
Ristrutturazione cognitiva e educazione alle abilità sociali. Modalità: attività di gruppo. Obiettivi:
migliorare la competenza sociale e la stima di sé, diminuire l’isolamento, affrontare la problematica
del reato.
Attivazione della comunicazione. Modalità: attività di gruppo. Obiettivi:migliorare le modalità di
comunicazione e di confronto
Arteterapia. Modalità: attività di gruppo. Obiettivi: incrementare le possibilità espressive, di
simbolizzazione e di creatività attraverso il disegno, la pittura, la lavorazione della creta e gli
affreschi murali
Laboratorio di Espressione e sensibilizzazione corporea. Modalità: attività di gruppo
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Obiettivi:offrire la possibilità di esprimere attraverso il gesto e l’azione l’emotività.
Gestione pacifica dei conflitti. Modalità: attività di gruppo, giochi di ruolo e visione di film
Obiettivi: Gestione dello stress e della collera, identificare le fonti di stress e collera, identificare
modi di gestione appropriati.
Prevenzione della recidiva (vedi appendice n°2) Modalità: attività di gruppo. Trattasi di tecnica
terapeutica specifica di tipo cognitivo-educativo mirata a ridare un senso non solo alla catena di
aggressioni sessuali e alla catena del delitto ma anche alle scelte di vita dell’aggressore. Il modello
di prevenzione della ricaduta non attua interventi di modificazione degli schemi sessuali devianti,
specifici delle terapie avversive-comportamentiste, bensì si incentra sull’individuazione dei
precursori dell’atto deviante, della catena degli eventi e delle situazioni a rischio. Nel far ciò si
procede ad un automonitoraggio continuo di pensieri, fantasie e impulsi antecedenti e conseguenti
all’abuso. Obiettivi: identificare il ciclo di aggressione e i segni precursori di un passaggio all’atto,
identificare e verificare le strategie di evitamento appropriate per ciascuna delle tappe del ciclo.
Colloqui individuali focalizzati Modalità: attività individuale. Obiettivi: offrire un contesto di
lavoro fortemente finalizzato su una tematica e offrire una alternativa per gli utenti che presentino
conflitti intrapsichici non affrontabili in gruppo ed eventuale trattamento del trauma(effettuato con
l’impiego di una recente tecnica di desensibilizzazione oculare, l’ E.M.D.R.) .
Il secondo modulo, o fase, prevedeva inizialmente la costituzione di una Sezione Attenuata, ex
art.115, 3° cpv, D.P.R. n.230/00, che consiste in un reparto di transito a ‘trattamento avanzato’(non
necessariamente nello stesso Istituto dell’Unità di Trattamento Intensificato), finalizzato
all’ubicazione di soggetti dimessi dall’Unità di Trattamento Intensificato con esito positivo, in
coabitazione con detenuti definitivi ‘comuni’, ovvero non rei sessuali, e nei confronti dei quali è
prevista, in seguito alla valutazione degli operatori interni all’Istituto, la concessione dell’art.21 e
con detenuti condannati “giovani-adulti” per i quali è prevista la predisposizione di un programma
riabilitativo extramurario.
Tale struttura trattamentale prevede un intervento limitato ad un periodo non superiore a mesi sei ed
è volta a minare i pregiudizi tipici della sottocultura carceraria, a causa dei quali questo tipo
specifico di popolazione è sempre ubicato in sezioni protette, spesso isolate e senza contatti con gli
altri detenuti e con un accesso limitato alle attività trattamentali comuni. In tal modo si faciliterebbe
un loro percorso di riappropriazione dell’autostima e recupero delle abilità sociali, a fronte di una
responsabilizzazione degli stessi nella gestione della propria vita detentiva.
Dopo l’esaurimento del primo intervento trattamentale intensificato nell’apposita Unità, ovvero
trascorsi circa 12 mesi dall’inserimento dei primi 19 detenuti selezionati per il programma, sono
stati inseriti nella Sezione Attenuata 11 detenuti, essendo gli altri dimessi dall’Unità in precedenza
per effetto dell’indulto(6), per concessione di misura alternativa(1) e per fine pena(1)
Questa sezione, caratterizzata da un regime di custodia attenuata, tende a valorizzare i processi di
autonomizzazione e responsabilizzazione dei singoli detenuti, i quali sono chiamati a gestire in
prima persona l’organizzazione giornaliera della sezione stessa, disponendo di un’elevata libertà di
movimento e di una maggior possibilità di frequentazione e incontri con soggetti provenienti
dall’esterno.
Degli otto detenuti scarcerati ben sette si sono recati spontaneamente presso un Servizio sul
territorio che prosegue la presa in carico specialistica dei rei sessuali con gruppi terapeutici
coordinati dagli stessi operatori dell’Unità detentiva di Bollate, per proseguire volontariamente il
trattamento.
Attualmente dal mese di febbraio del 2007 nell’Unità sono stati trasferiti altri 24 detenuti
provenienti dalle ‘Sezioni protette’delle carceri lombarde per effettuare la nuova tornata di
trattamento, tra cui nove negatori totali, anche sulla scorta di pressioni in proposito da parte della
Magistratura di Sorveglianza, che ha evidenziato la problematica dell’alto numero di accusati per
questi reati che si trincera dietro ad una negazione totale dei fatti per cui sono stati condannati.
Ciò ha comportato alcuni mutamenti nello svolgimento del trattamento. I primi 19 detenuti che
giunsero in Unità nel settembre 2005 erano stati infatti selezionati a monte, nelle carceri di
provenienza, sulla base di un’approfondita valutazione psicodiagnostica con batterie testistiche e
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colloqui clinici, tenuto conto che tra i criteri di ammissione al progetto veniva richiesta un
riconoscimento minimo dei fatti oggetto di condanna.
Siccome gli attuali ingressi prevedono anche l’ammissione al trattamento dei negatori, si è deciso di
effettuare nell’Unità una prima fase di tre mesi di valutazione psicodiagnostica e clinica, con la
sottoscrizione del detenuto di un contratto con il quale dichiara la propria disponibilità ed impegno
a sottoporsi al periodo di valutazione. In questi primi tre mesi inoltre si è avviato il regolare
svolgimento del programma con l’effettuazione dei gruppi settimanali e con l’obbligo di
partecipazione per i detenuti negatori ad uno specifico gruppo sulla negazione del reato.
E’ stata inoltre valutata l’ effettiva trattabilità dell’ individuo e il rischio di recidiva. I soggetti
dovevano possedere una buona conoscenza della lingua italiana ed un livello di Q.I. sufficiente; la
presenza di psicopatologie gravi (psicosi attiva) e di tossicodipendenza attiva erano criteri di
esclusione. In questa prima fase di valutazione sono stati condotti colloqui clinici, psicodiagnostici
e criminologici per la raccolta di informazioni preliminari e sono state somministrate due scale
attuariali, la STATIC – 99 e la Griglia di Valutazione della Negazione e Minimizzazione
(McKibben-Dassylva-Aubut,1995). La griglia sul diniego è composta da quattro sotto-scale: i fatti
relativi al delitto, la responsabilità in rapporto al reato, le conseguenze sulla vittima e la presenza di
problemi nella loro vita(vedi Appendice n°7). Tale strumento rappresenta una operazionalizzazione
interessante del diniego, con la possibilità di utilizzarla per fornire dei criteri minimi di inserimento
di un soggetto in un programma trattamentale. Può anche essere impiegato come misura di verifica
dell’impatto trattamentale sulla negazione e la minimizzazione. In caso di esito positivo di questa
prima fase, si procedeva al trasferimento del soggetto nella C.R. di Bollate e alla sottoscrizione del
“Patto Trattamentale”, che dava ufficialmente inizio alla fase di trattamento intensivo.
Prima dell’ inserimento in Unità, è stato approfondito l’ assessment individuale di ciascun detenuto,
al fine di ottenere una descrizione valida ed esaustiva del funzionamento e dei tratti di personalità e
di poter fare un’ eventuale diagnosi secondo il DSM-IV-TR, in vista della pianificazione
personalizzata dell’ intervento. La fase di raccolta anamnestica è stata integrata da una batteria
psicometrica, composta da diversi strumenti.
Il progetto, inizialmente era dunque rivolto ad un’utenza di aggressori sessuali adulti, condannati in
via definitiva, che avevano espresso un riconoscimento quanto ai fatti relativi al reato e alla propria
problematica sessuale deviante. Successivamente, come già scritto, sono stati ammessi all’Unità
anche soggetti negatori totali, che presentano requisiti di trattabilità. L’inserimento dei detenuti
nell’Unità è preceduto da una fase di selezione nei reparti ‘protetti’ degli altri carceri di
provenienza, sulla base di valutazioni criminologiche cliniche e psicodiagnostiche del soggetto che
si dichiara interessato ad aderire al progetto trattamentale.
In una seconda fase, quando si è riconosciuta l’importanza di inserire rei sessuali negatori, che sono
molto frequenti tra questa tipologia di rei, si è predisposto un periodo di tre mesi tutti dedicati
all’attività di osservazione e di valutazione attraverso vari strumenti testistici, sia di livello che
proiettivi e attuariali. I detenuti negatori in questo primo periodo avevano l’obbligo di effettuare un
gruppo specifico sulla negazione.
Dopo i tre primi mesi di valutazione vengono selezionati i detenuti considerati in grado, per la
motivazione e le risorse personali, di proseguire il trattamento. Gli altri detenuti vengono rimandati
agli Istituti di provenienza. Coloro che rimangono nel progetto devono sottoscrivere dei contratti di
partecipazione e adesione ai gruppi trattamentali, impegnandosi all’obbligo della frequenza(vedi
Appendice n°2). In tal modo essi sottoscrivono col contratto anche le finalità di questo loro lavoro
nei gruppi.
A partire da questo momento si sviluppa il programma di trattamento vero e proprio. Gli elementi
del trattamento consistono in attività di gruppo, tra le quali si sviluppa un intervento specifico sulla
‘prevenzione della recidiva’.
Dalla descrizione che segue dell’attività psicodiagnostica nell’Unità, si può cogliere l’importanza e
la delicatezza dell’osservazione del detenuto, in funzione della più approfondita conoscenza
possibile della personalità del ristretto. Gli strumenti testistici e psicodiagnostici impiegati nella fase
valutativa e osservativa sono i seguenti:
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Test di Rorschach: un test proiettivo, analizzato secondo il Sistema Comprensivo di Exner, che
fornisce alcuni indici di rilevanza clinica quali il potenziale suicidario, gli indici di psicopatologia, il
livello di tenuta dell’ esame di realtà, la presenza di attività immaginativa distorta, la capacità di
controllo e tolleranza dello stress, l’ indice di contenuti traumatici nelle risposte, la presenza di
dissociazione.
Blacky Pictures: un test narrativo valutato secondo la griglia delle emozioni di Mansutti e Patti
(2005) che rileva la qualità dell’ attaccamento e delle relazioni, il grado di riconoscimento delle
emozioni , la qualità delle identificazioni e la presenza di dissociazione.
WAIS-R: una scala di intelligenza per la determinazione del Q.I. e la valutazione delle funzioni
cognitive.
Millon Clinical Multiaxial Inventory, MCMI-III: un questionario di personalità composto da 175
items (in fase di validazione italiana) che dà indicazioni cliniche sullo stile di personalità e sulla
presenza di disturbi acuti e cronici.
Symptom Checklist, SCL-90: un inventario di 90 items (sintomi) che, elaborati attraverso il
computer, possono indicare elevazioni significative in una o più scale.
Toronto Alexythimia Scale, TAS-20: un questionario composto da 20 items che misura il livello di
consapevolezza e il grado di riconoscimento delle emozioni (in fase di validazione italiana).
Scala di Appartenenza e Condivisione, SAC: un questionario sviluppato dal Terzo Centro di
Psicoterapia Cognitiva di Roma, composto da 90 items, che misura il livello delle capacità cognitive
ed emotive necessarie per partecipare in modo efficace e soddisfacente ad una situazione gruppale
(appartenenza) o duale (condivisione).
Coping Inventory of Stressful Situations, CISS: un questionario di 48 items in corso di validazione
per l’ Italia che misura la modalità preferenziale di coping nelle situazioni stressanti.
Scale di Bumby: due scale che registrano le credenze pedofiliche e quelle sullo stupro (BumbyRape), i cui items sono scale Likert a 4 punti. Non hanno un valore cutoff, ma le risposte vengono
usate come spunto di discussione nei gruppi.
Psychopathy Checklist, PCL-R: l’intervista strutturata introdotta da Hare per la diagnosi della
psicopatia già decritta sopra
Gli autori di reati sessuali presentano spesso funzionamenti di personalità e disturbi psicologici
assai diversi tra loro. La criminologia clinica classifica infatti i soggetti sulla base del reato
commesso, ma dietro lo stesso crimine ci sono quadri personologici e psicopatologici differenti.
In accordo anche con la letteratura internazionale, si possono tuttavia delineare alcuni aspetti
comuni a tutti gli aggressori sessuali, come deficit di relazione, deficit nella capacità di empatia,
presenza di distorsioni cognitive, uso dei meccanismi di negazione e minimizzazione relativamente
al reato; ci sono poi aspetti rispetto ai quali, invece, si riscontrano differenze e variabilità
individuale, quali il livello di compromissione dell’ esame di realtà, la presenza di eventi traumatici
in anamnesi, la qualità, intensità e capacità di controllo delle emozioni, il livello intellettuale.
In generale gli interventi psicologici volti ad ottenere cambiamenti evolutivi della personalità e
della condotta tendono a procedere su due livelli diversi: da una parte il trattamento diretto dei
funzionamenti e dei processi psichici e comportamentali più strettamente correlati all’ azione
violenta, per lo più interventi di tipo comportamentale indicati soprattutto nella cura dei disturbi
compulsivi; dall’ altra il trattamento delle dinamiche psicologiche profonde, non immediatamente
connesse al comportamento delittuoso, ovvero tecniche psicoterapeutiche psicodinamiche e
cognitive, sia individuali che di gruppo, indicate per quei soggetti in cui il comportamento sessuale
deviante non è riconducibile ad aspetti compulsivi ma ad una struttura deviante precoce della
personalità.
In entrambi i tipi di interventi ci si può avvalere di un supporto psicofarmacologico. Sono frequenti
i casi in cui l’ aggressività sessuale è l’ epifenomeno di una patologia mentale di Asse I o Asse II; in
questi casi l’ intervento farmacologico ha un fine prevalentemente contenitivo dei sintomi
psichiatrici (ad esempio ansia, disturbi dell’ umore, episodi psicotici) che possono interferire e
compromettere il lavoro terapeutico.
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Il setting del trattamento consiste prevalentemente nella terapia di gruppo; una modalità di lavoro
che offre opportunità di apprendimento indiretto, di confronto, crescita e sostegno reciproco. La
partecipazione ai gruppi è obbligatoria e regolata da un contratto firmato dal soggetto, nel quale
sono specificati gli obiettivi del gruppo, le regole e i metodi del lavoro in esso svolto. La
sottoscrizione di un contratto è al tempo stesso per l’ individuo una richiesta di impegno e
responsabilità ed una dimostrazione di fiducia nelle sue possibilità e potenzialità; sancisce una sorta
di “alleanza” tra operatori e detenuto. La definizione dei modi, tempi e contenuti costituisce la
cornice entro cui stare durante il lavoro in gruppo.
Il soggetto non può essere un recettore passivo dei contenuti del trattamento, ma deve impegnarsi in
una partecipazione attiva e positiva ed essere disponibile al dialogo e allo scambio, in modo tale da
trarre benefici e miglioramenti non solo relativi ai contenuti del lavoro svolto nei gruppi, ma utili
anche nello sviluppo di nuove capacità, dell’ auto-consapevolezza e della fiducia in sé (Bandura,
1989). Il gruppo è un potentissimo moltiplicatore dei processi di maturazione, sfrutta le interazioni
tra i partecipanti ed è caratterizzato da un’ elevata dinamicità.
Il trattamento prevede l’ integrazione di diversi moduli, non tutti specificatamente legati al reato
sessuale, che nell’ insieme hanno lo scopo di prevenire la recidiva anche attraverso un
miglioramento della qualità e dello stile di vita del soggetto; infatti “i delinquenti sessuali sono alle
prese con delle difficoltà che toccano diverse sfere della loro vita, e ciò in modo cronico. Proprio
come in ben altre patologie, come l 'alcoolismo o il diabete per esempio, dove non si ha
guarigione, ma ciononostante delle remissioni. Il delinquente sessuale non deve mai considerarsi al
riparo da una caduta o ricaduta. Deve imparare a gestire la sua patologia sessuale ed anche a
migliorare la sua qualità della vita. Dovrà accettare certi handicap e soprattutto stendere il lutto
sulla sua onnipotenza”( J. Aubut,1993).
Non vi è dunque alcuna pretesa di guarigione definitiva e duratura; il trattamento è concepito come
l’ offerta per l’ individuo di una possibilità di comprendere, ridefinire e quindi modificare il
significato finora dato alla propria esistenza, una opportunità di rielaborare il proprio reato e capirne
fino in fondo le dinamiche e le conseguenze.
Alla fine dei tre mesi di valutazione si è proceduto alla selezione dei detenuti per la prosecuzione
del progetto. I detenuti selezionati confermano il proprio impegno nel trattamento con la
sottoscrizione di quei contratti trattamentali di adesione ai gruppi acui si è già fatto riferimento(vedi
Appendice n°2). Tra i detenuti negatori sette hanno modificato la loro versione dei fatti, seppur
ancora con difese minimizzanti, passando dal diniego totale, a cui si erano alleati nel tempo amici e
parenti del reo, ad una versione di piena ammissione sui fatti sessuali devianti oggetto della
condanna.
La strutturazione di un programma trattamentale articolato è stata resa possibile soprattutto grazie
alla multiprofessionalità che caratterizza l’equipe, nella quale sono stati inseriti saperi e metodi
differenti, in un’ ottica di integrazione costante e arricchimento del know how. Il gruppo di lavoro,
composto da due criminologi, tre psicologi psicoterapeuti, due educatori, uno psichiatra,
un’arteterapeuta e tre psicologi psicodiagnosti, si riunisce infatti in una riunione interna ogni due
settimane, per avere un’ opportunità di confronto e discussione sia sui singoli casi che sull’
andamento del progetto, creando anche uno spazio per i singoli professionisti in cui esporre e
affrontare eventuali dubbi o problemi.
Il calendario che regola l’ organizzazione settimanale dell’ Unità, consegnato a tutti i detenuti,
comprende tutte le attività del programma e deve essere puntualmente rispettato sia dagli operatori
che dagli utenti, nella convinzione che un aspetto fondamentale per la riuscita del trattamento siano
la concentrazione e la continuità degli interventi.
L’ attività è centrata su tre gruppi socio-educativi a cui sono stati affiancati altri tipi di interventi,
come colloqui psicologici e criminologici individuali di approfondimento e altre attività di tipo
motorio, creativo ed espressivo, al fine di rendere il trattamento più completo ed efficace possibile,
tenendo soprattutto conto della variabilità individuale e della eterogeneità delle problematiche edei
bisogni dei rei sessuali. E’ stato spesso utilizzato l’ ausilio di materiale audiovisivo all’interno dei
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lavori di gruppo, come proiezione di film o documentari il cui contenuto trattava principalmente
temi connessi alla violenza, l’ aggressione sessuale, la vittimizzazione. Questo al fine di fornire
spunti di riflessione e opportunità di elaborazione rispetto agli argomenti in questione e alla propria
vicenda personale.
Oltre all’attività di osservazione delle dinamiche relazionali e comportamentali nel reparto il
progetto confida molto nelle valutazioni psicodiagnostiche che, come si è visto, si avvalgono di test
proiettivi, di livello e attuariali. Nella fase immediatamente precedente alle dimissioni dall’Unità,
gli psicodiagnosti procedono ai re-test del test proiettivo di Rorshach, per evidenziare gli aspetti
della personalità che hanno eventualmente comportato dei mutamenti nel corso del programma.
Ma altre due importanti attività di verifica e diagnosi sono attivate durante il corso del trattamento,
la RAF (Rapporto sull’ Attività Fantasmatica) e la REVO (Rapporto di Equipe sulle Variabili
Osservabili), due strumenti ottenuti dall’ adattamento italiano di quelli usati presso l’ Istituto Pinel
di Monréal.
La RAF consiste in un questionario computerizzato che ciascun detenuto deve compilare ogni
giorno alla stessa ora. Le domande riguardano gli eventi stressanti, le emozioni negative ad essi
collegate e le fantasie sessuali (divise in normali e devianti) che conseguono. Questo monitoraggio
dell’attività fantasmatica sessuale deviante ha lo scopo di verificare l’ efficacia e i risultati del
trattamento, sia per una restituzione individuale e personale al soggetto, sia per una valutazione
interna del progetto, che per un’ attività di ricerca.
La REVO è uno strumento informatizzato per la valutazione di ogni singolo detenuto secondo 5
variabili. Tutti gli operatori ogni due mesi valutano ogni detenuto secondo le variabili, ognuna delle
quali ha 5 livelli
1) adesione alle regole dell’unità
2) richiesta d’aiuto
3) controllo della collera
4) tecniche di abilità sociale di base
5) responsabilità di fronte al proprio reato e ciclo dell’aggressione
Si tratta della prima applicazione in Italia di uno strumento di valutazione e di osservazione di
equipe terapeutica in ambito comunitario.
Il fine del trattamento è quello di diminuire la probabilità di recidiva, anche attraverso l’
identificazione delle fantasie sessuali devianti e dei “campanelli di allarme” che precedono l’ evento
criminale, lo sviluppo di strategie di coping e gestione dello stress e della collera più adatte ed
efficaci, il training di abilità e competenze sociali e la correzione di distorsioni cognitive.
Tale progetto prevede anche, come sopra ricordato, un’iniziale sensibilizzazione del personale di
Polizia Penitenziaria, e la supervisione di Istituti Universitari e di cura del Belgio(Università di
Liegi, Istituto di Psicologia clinica) e del Québec(Istituto Pinel di Monréal), che da anni hanno
sviluppato questi interventi trattamentali.
Si tratta dunque della prima risorsa trattamentale specifica nel nostro Paese, con lo scopo di operare
in stretta connessione con i Tribunali e le Procure e le principali istituzioni pubbliche e del privato
sociale deputate alla tutela dell’infanzia e alla prevenzione degli abusi sessuali, andando a definire
un contesto completo della presa in carico degli autori di reati sessuali, ispirato a quei dispositivi di
lavoro e di intervento integrato in rete per la cura e l’assistenza alle vittime, che sono già attivi in
molti Paesi europei.
Infatti con una convenzione tra un Servizio del Comune di Milano, il Centro per la Mediazione
Sociale e Penale, e l’UEPE di Milano-Lodi, la presa in carico dei condannati per reati sessuali
prosegue sul territorio, dove al Centro vengono seguiti, per la prosecuzione dei gruppi terapeutici e
dei colloqui individuali, sia coloro che hanno usufruito del trattamento in carcere e che, o a fine
pena, anche volontariamente, o in misura alternativa, proseguono gli interventi, ma anche soggetti
che accedono direttamente dalla misura alternativa, attraverso le prescrizioni della Magistratura di
Sorveglianza.
Nell’ambito di questa attivazione di un campo trattamentale anche negli interventi terapeutici
all’esterno si prosegue con le attività di osservazione e con nuove verifiche cliniche e testistiche.
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Con questo modello della presa in carico del reo sessuale anche sull’esterno si ha una maggiore
conoscibilità sui meccanismi più connessi ad un’eventuale rischio di condotte impulsive e
recidivanti. Proprio nel corso della applicazione di queste nuove prassi operative, in connessione
con i Servizi Sociali ministeriali e i Tribunali di Sorveglianza afferenti all’area di operatività,
riteniamo interessante citare un precedente importante, che può diventare un ulteriore sviluppo del
coordinamento delle attività di osservazione e trattamentali nell’ambito della pena ma anche oltre
alla pena.
Ci si riferisce al caso di un condannato alla pena di 7 anni di reclusione per reati sessuali su minori,
fatti commessi dal 1985 al 1996 pena confluita in un provvedimento di cumulo di pene
concorrenti(condanne per detenzioni di armi, fatti del 1997)di anni 6 e mesi 4 di reclusioni. La pena
veniva espiata dal 26/7/2002 e nel settembre del 2005 il detenuto veniva trasferito nell’Unità di
Trattamento Intensificato, dove effettuava il programma di trattamento e il 9/11/2006 il Tribunale di
Sorveglianza di Milano concedeva la misura dell’affidamento in prova al servizio sociale, con la
prescrizione di frequentare i gruppi trattamentali settimanali per autori di reati sessuali presso il
Centro per la Mediazione Sociale e Penale del Comune di Milano, dove operano gli stessi
professionisti che intervengono nell’Unità detentiva di Bollate. La misura si concludeva il 17
/1/2007.
Successivamente, all’esito della misura, il Magistrato di Sorveglianza disporrà d’ufficio ex art.205
secondo comma n.1 C.P., il riesame della pericolosità sociale. E’ interessante riportare la
motivazione con cui il Magistrato di Sorveglianza di Varese (19/9/2007) dispone che tale soggetto
sia sottoposto alla misura di sicurezza della libertà vigilata per il periodo di un anno, salvo riesame,
in quanto consente di esplicitare una possibile modalità operativa nell’osservazione e trattamento di
alcune categorie di rei, nell’interesse sia dei soggetti stessi che per ragioni di difesa sociale:
“Il Tribunale di Sorveglianza concedeva la misura dell’affidamento in prova...sottolineando il
percorso terapeutico specifico tra gli autori di reati sessuali compiuto dal Tizio nel corso della
detenzione presso al Casa di reclusione di Bollate. Nel corso del programma terapeutico lo stesso
infatti aveva ricostruito la propria personale esperienza di abusi subiti nel corso dell’infanzia,
vissuta in Istituto, rivisitando criticamente i propri agiti devianti fino ad identificarsi con le vittime
dei reati posti in essere. Il Tribunale di sorveglianza prescriveva pertanto la continuazione del
supporto terapeutico presso il Centro di mediazione di Milano...Dalla relazione
dell’UEPE...redatta in sede conclusiva della misura dell’affidamento in prova...emerge che Tizio
ha adempiuto nel corso della misura alla prescrizione inerente ai contatti con il Centro di
mediazione...Il suo impegno nella prosecuzione dell’attività terapeutica viene definito buono, ma
viene tuttavia evidenziato dagli operatori coinvolti(Servizio Sociale e operatori del Centro di
Mediazione Penale)la necessità di una prosecuzione di tale attività terapeutica, essendo ancora
necessario un lavoro di approfondimento e di rinforzo da effettuare per prevenire il rischio di
recidiva. In particolare nella relazione psichiatrica si dà atto della scarsa consapevolezza del
condannato della psicodinamica del reato, di cui non coglie il collegamento in maniera stabile con
l’impulso sessuale; viene ritenuto pertanto utile e necessario attuare un ulteriore approfondimento
in una prospettiva di prevenzione...Né le indicazioni promananti dai servizi coinvolti nel corso
della misura alternativa consentono di escludere un pericolo di recidiva tenuto conto delle riserve
avanzate dagli operatori che hanno curato il percorso terapeutico. Il Tizio inoltre non dimostra
consapevolezza della propria condizione, e non ha proseguito ulteriormente i rapporti con il
Centro nonostante avesse dichiarato il contrario nel corso della misura...” Il Magistrato nel
disporre la misura di sicurezza della libertà vigilata, tra le prescrizioni impone al soggetto di
riprendere lo specifico percorso riabilitativo presso il Servizio specializzato.
Per concludere questa disamina delle problematiche dell’osservazione della personalità si evidenzia
come la lettera del nostro Ordinamento Penitenziario sospinga le finalità rieducative della pena
verso una fattibile concretizzazione, prevedendone gli istituti applicativi. La valorizzazione del
contesto detentivo in un carcere umanizzato, con l’offerta di adeguate leve trattamentali e la
riduzione della conflittualità tra soggetti sanzionati e istituzione, può creare un clima di lavoro che
faccia vivere l’esperienza dell’esecuzione di pena come un’occasione evolutiva per la persona, in
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particolare nell’affrontare quegli aspetti personali relazionali disfunzionali che hanno condotto il
reo alle scelte devianti.
Si delinea in questo modo un’istituzione detentiva che si modelli come risorsa per il detenuto, dove
le attività di osservazione e trattamento non diventano scorciatoie strumentalizzabili con le stesse
modalità e spinte devianti, ma occasione di riflessione accompagnata in un possibile percorso di
alleanza diagnostica tra operatore e detenuto. L’esecuzione di pena deve per questo adempiere
all’individualizzazione del trattamento, grazie ad una mirata osservazione in un contesto adeguato
ed alla realizzazione della differenziazione penitenziaria, favorendo processi di
responsabilizzazione e autonomia dei condannati negli Istituti.
Sembra andare in questa direzione il recentissimo Progetto di legge sull’Ordinamento Penitenziario
Minorile, a cura del Dipartimento Giustizia Minorile(2007), quando introduce con l’art.7,
nell’ambito di una differenziazione degli istituti detentivi, l’Istituto penale per giovani adulti. Tale
struttura dovrebbe accogliere giovani adulti, rei da minori, che abbiano compiuto i diciotto anni e
non superato i venticinque, ed è concepita come istituto di secondo livello e a custodia attenuata.
Tra le sue funzioni è esplicitamente prevista la sperimentazione di “nuove modalità di trattamento
in relazione al reato commesso e alla durata della pena, avendo particolare riguardo alle
problematiche relative ai reati commessi da bande giovanili, di criminalità organizzata o di tipo
mafioso, nonché agli interventi terapeutici rivolti ai ristretti che abbiano commesso reati di
violenza sessule”.
Queste considerazioni sono state alla base dell’intervento specifico sui rei sessuali qui riportate, ma
rischiano di rimanere chimere se la complessiva architettura della premialità resta così
‘giurisdizionalizzata’ e troppo legata ad uno scambio che attiva solo logiche regressive e toglie
senso ad ogni esperienza trattamentale in detenzione. Per molti rei infatti, in particolare i violenti e i
rei sessuali, ma anche coloro che hanno gravi e complessi disturbi di personalità, lo stato di
privazione e di coattività in cui si trovano in carcere può costituire un adeguato presupposto di
rottura dei linguaggi e dei riferimenti di azione acquisiti, “per aprire dentro di loro un processo di
autoanalisi e un percorso di riorganizzazione e di adeguata riaffermazione del sé, altrimenti non
raggiungibile”(Mosconi, 2003).
Riappropriarsi della funzione trattamentale della pena detentiva implica dunque una radicale
revisione dell’attuale assetto strutturale dell’esecuzione di pena e del peso eccessivo dello scambio
premiale(forse meno discrezionalità e più automatismi?), nella direzione di quella che Eligio Resta
definirebbe una “dimensione ecologica del diritto penale”, fuori dal codice della sopraffazione e
violenza e dalla dicotomia tra le parti sociali. Ciò implicherebbe un’intensificazione delle attività di
osservazione nella direzione di interventi differenziati, ad esempio, come si è dimostrato, la
possibilità di prevedere articolati interventi di trattamento per la riduzione della recidiva per coloro
che sono più a rischio, e per gli altri un ridimensionamento delle aspettative delle pratiche di
osservazione e trattamento, con una maggiore attenzione alla tutela dei diritti del detenuto e alla
qualità della vita quotidiana del recluso, dando spazio e attenzione ai suoi bisogni ed evitando inutili
frustrazioni e sofferenze. “La sofferenza si dice nobiliti: sospettiamo che possa nobilitare alcuni, i
già magnanimi, i più li incattivisce, appunto.”(Merzagora, 2003).
Questa per noi resta una strada obbligata, se si vuole evitare dietro alla deriva delle logiche e dei
rigurgiti securitari lo svilimento delle funzioni della pena in un ritorno neo-retribuzionistico che sta
già dando segnali nel nostro Paese(per esempio la legge 251/2005, la cosiddetta legge “ex-Cirielli).
In altre realtà del mondo, spesso anticipatorie di tendenze poi assorbite anche da noi, le risposte
retribuzionistiche stanno raggiungendo degli eccessi che hanno portato a concepire la pena del
carcere a vita per un ladro due volte recidivo. Infatti negli USA, nel 1994 è stata promulgata la
legge chiamata “three strikes and you’re out”, (“tre sbagli e finisci fuori”), così battezzata per
sottolinearne il parallelismo con la regola del baseball che vuole che il battitore abbandoni il campo
dopo il terzo tentativo fallito di colpire la palla lanciata dall’avversario(Grande, 2007).
Si ha sempre più la sensazione che oggi il sistema della risposta penale sia ad un bivio. La mera
risposta retributiva rischia di essere troppo ancorata sul passato del reo e di produrre sterili
contrapposizioni tra chi giudica e chi delinque, tra coloro che devono essere protetti e coloro che
vanno puniti. Nel riaffermare però la funzione rieducativa della pena è necessario superare la
centralità attuale delle logiche premiali, che assumono sempre più i connotati di un’erosione
21
indiscriminata del ‘quantum’ di pena, col rischio imminente di una perdita di credibilità degli sforzi
risocializzativi, sempre sotto minaccia di scacco, e in tal caso lasciando via libera alle più primitive
pulsioni securitarie neo-retribuzionistiche.
Puntare sul trattamento e sulla qualità delle attività di osservazione in carcere, con maggiori risorse
economiche a disposizione, con una radicale ridefinizione e ristrutturazione dell’intero nostro
sistema penitenziario, ci consentirà di proseguire con coerenza e umanità sulla strada illuminataci
dal Beccaria.
22
APPENDICE N.1
Descrizione più particolareggiata del Progetto della “Unità di Trattamento Intensificato per
autori di reati sessuali”-C.R. di Milano-Bollate
Ispirandosi anche all’impianto delle nuove disposizioni normative vigenti, nel mese di marzo del
2005 ha preso il via un primo progetto sperimentale di trattamento intensificato dei condannati per
violenza sessuale in carcere, grazie ad un finanziamento congiunto della Regione Lombardia e della
Provincia di Milano. Il progetto è gestito da un’Associazione di professionisti del privato sociale e
si svolge in un reparto a detenzione differenziata della Casa di Reclusione di Milano-Bollate, dove
attualmente, nei tre primi anni di esecuzione del progetto, sono stati trasferiti una quarantina di
condannati provenienti dalle sezioni protette dei penitenziari lombardi, tra cui la metà circa sono
autori di reati sessuali ai danni di minori. L’equipe è a composizione multidisciplinare.
Il progetto offre un servizio di trattamento specializzato, di apprendimento e formazione e di ricerca
e valutazione dei risultati.
Il progetto, inizialmente rivolto ad un’utenza di aggressori sessuali adulti, condannati in via
definitiva, che abbiano espresso un riconoscimento quanto ai fatti relativi al reato e alla propria
problematica sessuale deviante, è stato poi esteso anche a soggetti negatori totali, che presentino
requisiti di trattabilità. L’inserimento dei detenuti nell’Unità è preceduto da una fase di selezione
nei reparti ‘protetti’ degli altri carceri di provenienza, sulla base di valutazioni criminologiche
cliniche e psicodiagnostiche del soggetto che si dichiara interessato ad aderire al progetto
trattamentale.
In una seconda fase, quando si è riconosciuta l’importanza di inserire rei sessuali negatori, che sono
molto frequenti, si è predisposto un periodo di tre mesi tutti dedicati all’attività di osservazione e di
valutazione attraverso vari strumenti testistici, sia di livello che proiettivi e attuariali. I detenuti
negatori in questo primo periodo effettuavano un gruppo specifico sulla negazione.
Dopo i tre primi mesi di valutazione vengono selezionati i detenuti considerati in grado, per la
motivazione e le risorse personali, di proseguire il trattamento. Gli altri detenuti vengono rimandati
agli Istituti di provenienza. Coloro che rimangono nel progetto devono sottoscrivere dei contratti di
partecipazione e adesione ai gruppi trattamentali, impegnandosi all’obbligo della frequenza. In tal
modo essi sottoscrivono col contratto anche le finalità di questo loro lavoro nei gruppi.
A partire da questo momento si sviluppa il programma di trattamento vero e proprio. Gli elementi
del trattamento consistono in attività di gruppo, tra le quali si sviluppa un intervento specifico sulla
‘prevenzione della recidiva’.
L’Unità trattamentale è caratterizzata da un regime di custodia attenuata, che tende a valorizzare i
processi di autonomizzazione e responsabilizzazione dei singoli detenuti, i quali sono chiamati a
gestire in prima persona l’organizzazione della giornata in detenzione, disponendo di un’elevata
libertà di movimento all’interno della Sezione e di una maggior possibilità di frequentazione e
incontri con soggetti provenienti dall’esterno.
Il Progetto è istituito e supervisionato da Istituti Universitari e di cura del Québec(Istituto Pinel di
Monréal) e del Belgio(Università di Liegi, Istituto di Psicologia clinica), che da anni hanno
sviluppato analoghi interventi trattamentali con detenuti autori di reati sessuali. Il progetto è oggetto
23
di valutazione da parte del Centro per la Ricerca delle Tecniche di Istruzione(Direttore Prof.ssa
Paola Di Blasio), dell’Università Cattolica del “Sacro Cuore” di Milano
Qui di seguito viene descritta l’attività in Unità, che è distribuita nell’arco della settimana sulla base
di un calendario fisso e valido lungo tutta l’annualità:
1) Gruppo sulla comunicazione e abilità sociali
Gli autori di reati sessuali spesso hanno delle carenze specifiche, derivate dalla loro storia
personale, che li portano a distorcere la realtà, a non saper regolare le proprie emozioni e leggere
quelle altrui, a non tollerare le emozioni negative come frustrazione, rabbia, noia o solitudine, a
cercare subito uno sfogo alle emozioni positive come l’ eccitazione sessuale, a confondere intimità
e sessualità. In un’ enfasi posta sulla possibilità di cambiamento e miglioramento, il lavoro di
gruppo, la discussione e il confronto sono finalizzati all’ individuazione delle distorsioni cognitive e
ad una ristrutturazione delle stesse, allo sviluppo di una comunicazione efficace e di relazioni
costruttive, ad un miglior controllo e gestione delle emozioni, con l’intento di favorire un miglior
funzionamento sociale. La difficoltà di relazione e di scambio con gli altri e con l’ ambiente, nonchè
la poca stima di sé, sono sicuramente fattori scatenanti, coinvolti nell’ attuazione di condotte
devianti; appare così utile, ai fini di prevenzione della recidiva, aumentare la competenza sociale e
migliorare la qualità di vita di questi soggetti attraverso l’ insegnamento pianificato di
comportamenti adattivi e adeguati, di abilità comunicative e relazionali efficaci e di strategie di
coping alternative che essi potranno, una volta apprese, applicare nel quotidiano.
2) Gruppo sulla prevenzione della recidiva
L’ obiettivo principale del trattamento è la prevenzione della ricaduta, attraverso una serie di
interventi integrati. Il modello al quale ci si riferisce ha una tradizione scientifica solida ed è
applicato anche ai disturbi alimentari, ai problemi di alcoolismo, di tossicodipendenza e al gioco d’
azzardo compulsivo. Tale modello multifattoriale guarda al delitto sessuale come una risposta
maladattata ad una serie di eventi o agenti stressanti, risultante da un insieme di diversi fattori
biologici, psicologici, sociali e situazionali. Ognuna di queste variabili contribuisce alla attivazione
di una risposta comportamentale, l’ aggressione sessuale, che è il punto di arrivo di una catena di
eventi specifici che la precedono, una serie di segnali premonitori, che il soggetto deve imparare a
riconoscere e gestire. L’ approccio terapeutico è di tipo cognitivo-educativo ed è finalizzato a
individuare ed interpretare tale catena della condotta sessuale deviante e a favorire un miglior
autocontrollo e gestione del Sè; l’individuo deve imparare a riconoscere le proprie aree
problematiche , la correlazione tra queste e le fantasie sessuali devianti e infine identificare le
circostanze ad alto rischio, legate alla commissione del reato. Temi centrali del lavoro sono anche i
meccanismi di negazione e minimizzazione, che spesso gli autori di reati sessuali mettono in atto a
scopo difensivo e che impediscono la presa di coscienza e l’elaborazione del reato, nonché l’
assunzione di responsabilità. La componente gruppale di confronto e scambio mira a migliorare il
livello di consapevolezza, a inculcare il senso del rischio e la possibilità della ricaduta, a ridurre le
illusioni di onnipotenza.
3) Gruppo sulla gestione del conflitto
Le condizioni di carcerazione determinano un “congelamento” della conflittualità, parte integrante
del reato secondo il processo di sessualizzazione del conflitto. Se tale dinamica non viene affrontata
e risolta, si rischia una ripetizione del reato in situazioni analoghe dopo la scarcerazione. E’
necessaria da parte del soggetto una presa di coscienza ed un’ elaborazione della dimensione
emotiva e relazionale insita nel conflitto e dei meccanismi di difesa disadattivi e primitivi, quali la
proiezione e la negazione, ed una attivazione delle risorse personali per riconoscere ed affrontare le
cause, le caratteristiche e le tipologie del conflitto, oltre che i contesti e i processi di trasformazione
della conflittualità. Il gruppo viene utilizzato come un campo comune, una risorsa conoscitiva e
formativa, in cui osservare ed apprendere ad esprimere la propria emotività , soprattutto se negativa
e frustrante, in cui osservare e riconoscere il desideri e i vissuti dell’ altro e le conseguenze dei
propri comportamenti. Lo scopo è quello di imparare a vivere i rapporti in reciprocità e rispetto,
24
aumentare la propria capacità di empatia e di negoziazione con gli altri, riconoscere il contesto
situazionale ed emotivo in cui ci si trova e confronta.
4) EMDR
Tecnica introdotta da Shapiro nel 1989, significa Eye Movement Desensitization and Reprocessing,
cioè Desensibilizzazione e Riprocessamento attraverso i Movimenti Oculari. Si tratta di una
procedura impiegata soprattutto nel trattamento degli eventi traumatici e i disturbi psicologici
cronici dovuti a eventi traumatici del passato (abbandoni, maltrattamenti, abusi sessuali). Viene
utilizzata una stimolazione di entrambi gli emisferi cerebrali attraverso input sensoriali, visivi o
acustici, durante la quale il paziente deve prestare attenzione allo stimolo e contemporaneamente
ripensare all' evento traumatico (target) e a tutte le sensazioni sgradevoli ad esso collegate. Ciò
aiuta l' elaborazione dell' evento traumatico, la razionalizzazione del dato emotivo-sensoriale, che
permette di reinquadrarlo correttamente in un tempo passato, eliminando la sensazione di riviverlo
costantemente cha causa stress e disagio. Questo tipo di intervento è molto efficace perché la durata
è breve, la intrusività del terapeuta è limitata e non richiede la verbalizzazione del trauma, in
pazienti ai quali il disturbo stesso causa l’ inibizione di alcune funzioni cognitive. L’ EMDR può
essere usato anche per altri problemi, tra cui la gestione del dolore e del lutto e le dipendenze (alcol,
droghe, gioco d'azzardo). Nel progetto, la tecnica dell’ EMDR è stata impiegata sia per trattare
disturbi psicologici individuali (PTSD) sia per elaborare il reato ed i vissuti ad esso connessi,
considerandoli nell’ insieme come target del trattamento.
5) Arte-terapia
L’ arte non è solo strumento di svago ma viene spesso usata come terapia per avviare un processo di
trasformazione, crescita personale e conoscenza di sé, come una possibilità per avvicinarsi ai propri
sentimenti. L’ arte-terapia si serve quindi della creazione artistica per entrare nell’ inconscio dell’
individuo e condurlo a un cambiamento positivo, a sviluppare un linguaggio simbolico che dia
accesso ai propri sentimenti per poterli rielaborare.
Lo scopo è quello di partire dai propri ricordi, dolori, violenze e contraddizioni per farne il
materiale di cammino personale. Lavorare su di sé, migliorando l’ espressività e la comunicazione
non verbale, aiuta a creare uno stato di benessere, a far cadere le maschere e i blocchi che ognuno di
noi possiede, ad abbandonare la superficialità. Ogni opera realizzata è lo specchio del mondo
interiore e relazionale di chi l’ ha prodotta. L’ arte-terapia è indicata a chi ha problemi d'
introspezione, difficoltà ad esprimere i propri problemi attraverso l’ uso della parola o a chi, al
contrario parla di sé senza mai andare in profondità. Facilita l’ attivazione della propria capacità
espressiva e comunicativa, scioglie alcuni blocchi emotivi e permette di mettersi in gioco in modo
autentico e spontaneo. La creazione di un’ opera porta ad una rivalutazione di sé (D. Zaccaria,
2006).
6) Attivazione delle competenze lavorative
Un ciclo di incontri finalizzati all’ introduzione al mondo del lavoro (ad esempio come preparare un
curriculum personale o attraverso quali canali cercare lavoro) e all’orientamento professionale. E’
stato dedicato molto spazio anche all’ intervento di testimonianze esterne, ovvero momenti di
incontro tra i detenuti e diverse figure professionali, chiamate a raccontare la propria esperienza
lavorativa e descrivere le peculiarità del proprio ruolo. Si è cercato di far intervenire soprattutto
professionisti del sociale, come giudici, assistenti sociali, dirigenti di comunità, giornalisti, ovvero
persone impegnate nel lavoro di tutela e assistenza alle vittime di reati, che potessero raccontare la
loro attività e l’ incontro con la sofferenza e il vissuto emotivo di queste persone, al fine di favorire
anche l’ empatia e la comprensione del dolore e del danno causati dalla vittimizzazione.
25
7) Gruppo sulla negazione
Previsione di un gruppo specifico nei primi tre mesi del Progetto, con frequenza settimanale (1h e
½). Gruppo a partecipazione obbligatoria per i detenuti negatori, che nei primi tre mesi ovviamente
non effettuano il gruppo sulla recidiva.
La modalità di conduzione non segue una tecnica specifica, ma alcuni principi comuni della
conduzione dei gruppi.
I conduttori mirano a creare un adeguato clima di confronto. Nel caso di un’Unità detentiva, a
differenza di gruppi di pazienti in altri contesti (non penale, in particolare) questo clima può essere
anche attraversato da un certo grado di tensione e di fatica, poiché ci deve essere il richiamo al
contesto cioè al fatto che si sta scontando una pena per una vittimizzazione inflitta a qualcuno, cosa
che costituisce una delle ragioni principali della partecipazione al gruppo.
Il confronto tra i partecipanti è reso possibile da conduttori che evitano di porsi sullo stesso piano ed
hanno come meta, pur cercando di ravvivare il dibattito di tanto in tanto, di permettere che la
possibilità di parlare circoli; i conduttori agevolano la circolazione del dibattito.
Un fattore centrale nella conduzione è l’alternanza tra aspetti individuali, cioè propri al singolo
individuo, e aspetti gruppali, cioè comuni a tutti. Questa alternanza è naturale ed avviene
spontaneamente nel gruppo, ma i conduttori a volte la utilizzano o vi si inseriscono; rimandando
una cosa detta dal singolo al gruppo, cioè rimarcando la natura comune al gruppo di quanto il
singolo ha affermato; oppure per contro, isolando aspetti specifici.
Per quanto concerne la negazione nello specifico quello che conta è la consegna iniziale. I
conduttori affermano ripetutamente che la negazione è una modalità normale per ogni reato; ognuno
nega qualcosa.
Viene usata la metodologia del metaconfronto secondo le tradizionali strategie per le quali
l’esposizione di un partecipante viene utilizzata come casus-esempio da tutto il gruppo e che
riguarda il gruppo(si ringrazia il partecipante per l’intervento perché fornisce uno spunto di
riflessione//si impedisce in maniera convinta e decisa che si crei un dibattito del singolo contro il
gruppo, si invita cioè il gruppo a ragionare sul caso come esempio/// e partendo dall’esposizione o
dal caso specifico si sviluppano altri esempi che vengono trattati anche con role playing).
I conduttori inoltre hanno cura - pur mantenendo un’atmosfera di serietà - di creare un clima non
giudicante che impedisce la formazione del timore di essere giudicati come mostri.
Una attenzione può essere dedicata agli aspetti psicodinamici del gruppo; primo fra tutti il
meccanismo dell’attacco e del rifiuto che si trova così spesso in atto, così come è stato desunto
dall'osservazione da W.R.Bion. Quando il gruppo è mosso da un atteggiamento di attacco o fuga,
viene preso un utente come bersaglio (capro espiatorio); la persona viene attaccata, in seguito a
ragioni non razionali ma emotive, per ciò che rappresenta non per ciò che è, ma la vita fornisce così
tanti elementi e spunti di critica che in realtà le persone si convincono di avere motivi razionali per
l'attacco o per la fuga (rifiuto e allontamento). Un caso tipico in questo senso è quello dell'attacco al
pedofilo e invece della valorizzazione del violentatore di persone adulte; questa gerarchia, che
spesso si ripropone nella dinamica del gruppo, riproduce in realtà un analogo atteggiamento
preconcetto che si trova ovunque in ambito carcerario.
Si utilizza l’apparato di conoscenze della tradizione dell’Istituto Pinel, riferendo esplicitamente a
questa tradizione scientifica e a un movimento scientifico(anche supportato dalla visita periodica
del supervisore MC Kibben in Italia) per nominare in modo non giudicante le strategie di negazione
e di minimizzazione e in generale i fattori di rischio. In questo modo si crea il luogo di un sapere
che verte sul sex offender, e occupato da Andrè Mc Kibben, a cui gli operatori si riferiscono
consapevoli di non essere portatori di autonome conoscenze e tecniche operative.
In questo modo i conduttori possono operare un intervento di intensa revisione critica senza
diventare colpevolizzanti e contribuendo alla costruzione del clima di fiducia e di lavoro.
Inizialmente ai partecipanti viene chiesto di dare una loro versione del reato sulla quale tutto il
gruppo riflette. Gli altri partecipanti vengono invitati a riflettere su quanto viene detto.
Vengono date anticipazioni sui contenuti del gruppo di prevenzione della recidiva perché alcuni di
questi possono servire come vie d’accesso allo smantellamento della negazione; queste
26
anticipazioni possono infatti essere utili per uscire dalla negazione.
La formulazione della negazione in rapporto al reato viene ripresa in colloqui individuali specifici
caso per caso, con le seguenti tecniche:
1) singoli comportamenti o reazioni avvenuti nel gruppo vengono ripresi per una riflessione ( es:
reazione di rabbia//abbandono di un gruppo)
2) vengono riprese cose dette dal cliente come se l’operatore fosse stato incuriosito e chiedesse di
saperne di più
3) in caso di negazione molto grave si cerca di creare alleanza ricostruendo aspetti su potenzialità
della persona, accogliendo la sofferenza e riconoscendo quanto è difficile ciò che è richiesto nel
gruppo della negazione
4) quando la persone inizia a raccontare frammenti del reato nel gruppo si chiedono
chiarificazioni leggendo un materiale sintetico sulla sentenza di condanna appositamente
preparato
Il gruppo sulla negazione è condotto da due operatori, uno psicologo e un criminologo, con l’aiuto
di un peer support, ovvero un detenuto che ha partecipato al precedente programma trattamentale
con pregressi problemi di negazione e un detenuto uscito da una negazione decennale in occasione
della sua richiesta di essere trasferito per poter partecipare al programma trattamentale.
I detenuti partecipanti erano inizialmente 9. Tutti negavano i fatti:“non esiste che io abbia fatto
quelle cose per cui mi hanno condannato”“sono solo vittima di un complotto contro di me”.
La valutazione dei risultati viene effettuata alla fine dei 3 mesi, unitamente alle sintesi della
psicodiagnosi, in modo da decidere chi possa proseguire l’ulteriore programma trattamentale e chi
invece debba essere trasferito nelle carceri di provenienza.
Un’altro appuntamento settimanale al quale poter partecipare è rappresentato dall’ assemblea di
reparto. L’assemblea, a differenza degli altri gruppi, è aperta agli altri operatori del carcere,
compresi gli agenti di Polizia Penitenziaria e il cappellano ed è gestita dal Responsabile del
progetto. E’uno spazio dedicato alla possibilità di parlare, riflettere e confrontarsi. I detenuti sono
invitati ad esprimersi circa eventuali problemi rispetto al progetto, alla convivenza in reparto, a
situazioni personali: un’ opportunità di incontro tra di loro ma anche con l’ equipe.
Infine, è opportuno parlare anche della RAF (Rapporto sull’ Attività Fantasmatica) e della REVO
(Rapporto di Equipe sulle Variabili Osservabili), due strumenti ottenuti dall’ adattamento italiano di
quelli usati presso l’ Istituto Pinel di Montréal.
La RAF consiste in un questionario computerizzato che ciascun detenuto deve compilare ogni
giorno alla stessa ora. Le domande riguardano gli eventi stressanti, le emozioni negative ad essi
collegate e le fantasie sessuali (divise in normali e devianti) che conseguono. Questo monitoraggio
dell’attività fantasmatica deviante ha lo scopo di verificare l’ efficacia e i risultati del trattamento,
sia per una restituzione individuale e personale al soggetto, sia per una valutazione interna del
progetto, che per un’ attività di ricerca.
La REVO è uno strumento informatizzato per la valutazione di ogni singolo detenuto secondo 5
variabili. Tutti gli operatori ogni due mesi valutano ogni detenuto secondo le variabili, ognuna delle
quali ha 5 livelli
1) adesione alle regole dell’unità
2) richiesta d’aiuto
3) controllo della collera
4) tecniche di abilità sociale di base
5) responsabilità di fronte al proprio reato e ciclo dell’aggressione
Si tratta della prima applicazione in Italia di uno strumento di valutazione di equipe terapeutica in
ambito comunitario.
I detenuti, al di là dell’ impegno costituito dalla partecipazione alle attività previste, hanno la
possibilità di svolgere attività lavorative o ricreative di loro interesse. L’ equipe esterna e l’ Area
Educativa dell’ Istituto hanno infatti lavorato molto per promuovere l’ integrazione tra i soggetti
27
dell’ Unità e quelli della Staccata, la sezione a custodia attenuata del carcere di Bollate,
incoraggiando il contatto e la conoscenza diretta, permettendo ai primi di frequentare la palestra, la
biblioteca, la sala cinema e altri spazi con i detenuti comuni e di lavorare fianco a fianco con alcuni
di loro nelle serre, in cucina o nella redazione del giornale interno. Il lavoro preparatorio, dedicato
alla sensibilizzazione e alla accettazione reciproca, fatto di diversi momenti di formazione ed
informazione da parte dell’ equipe con gli agenti della Polizia Penitenziaria e con i detenuti, è stato
pensato soprattutto come propedeutico alla buona riuscita del momento successivo alla conclusione
dei dodici mesi di trattamento intensivo, cioè il trasferimento nella Sezione Attenuata e l’ inizio
della convivenza con gli altri detenuti, primo tentativo in Italia per gli aggressori sessuali di
scontare la propria pena in una condizione che non consista nell’ isolamento e nell’emarginazione
nei reparti protetti.
Inizialmente questo inserimento è stato accolto con forte ostilità e rifiuto da parte di alcuni detenuti,
ricalcando le posizioni tipiche di intolleranza e discriminazione nei confronti degli autori di reati
sessuali della sottocultura carceraria, che etichetta questi soggetti come “infami” e nei confronti dei
quali prevede una reattività violenta e punitiva. Tuttavia il contatto quotidiano, la conoscenza diretta
e reciproca e la condivisione dell’ esperienza di detenzione hanno permesso alla maggior parte degli
individui di cambiare idea e atteggiamento e di accettare la convivenza; va sottolineata in questo
senso l’ opera di coinvolgimento e “propaganda” che alcuni detenuti della Staccata hanno portato
avanti in favore dei soggetti dell’ Unità, dichiarando apertamente la propria approvazione per il
percorso di trattamento portato avanti e manifestando disponibilità e accettazione.
Nei sei mesi trascorsi nella sezione con detenuti comuni, successivamente al trasferimento
dall’Unità alla Sezione Staccata, è stato portato avanti un programma di trattamento meno serrato,
con la prosecuzione del lavoro dei gruppi a frequenza quindicinale.
E’ stato aggiunto un gruppo di lavoro dedicato al rafforzamento degli aspetti di empatia con le
vittime di reato, in preparazione di eventuali incontri di mediazione indiretta con un gruppo di
vittime a-specifiche(non le loro vittime ma vittime di reati analoghi) in trattamento e con i loro
terapeuti.
Infine si è pensato di introdurre un ciclo di incontri dedicati all’ Educazione Sessuale, al fine di
evidenziare e correggere eventuali conoscenze falsate e distorsioni cognitive in tema di sessualità
(soprattutto quella infantile), di fornire informazioni corrette e nozioni sull’ anatomia e fisiologia
sessuale, di suggerire comportamenti e condotte sessuali e relazionali appropriate.
Questa prosecuzione del lavoro nella Sezione Staccata è stata pensata per dare un’ idea di
continuazione del percorso trattamentale, di accompagnamento, di passaggio e cambiamento
graduali e verrà ripetuto lo stesso modulo alla fine dell’attuale percorso di trattamento intensificato,
quando i detenuti verranno ubicati negli altri reparti di detenzione‘comune’della Casa di Reclusione
di Milano-Bollate, dal prossimo mese di marzo.
28
APPENDICE N.2
I contratti: Gruppo di prevenzione della
recidiva
Accetto di partecipare al ‘Gruppo di prevenzione della recidiva per gli autori di reati a
sfondo sessuale’.
L’obiettivo che perseguo partecipando a questo gruppo è quello di:
• cercare la soluzione ai miei comportamenti sessuali inadegua ti,
• identificare i segnali precursori delle mie condotte sessuali devianti
• apprendere a gestire e controllare i miei desideri ed agiti s essuali, in modo da non
ricadere in
condotte sessuali illecite e dannose per gli altri.
Per questo incoraggerò gli altri partecipanti a fare lo stesso.
Sono consapevole del fatto che l'onestà è una condizione essenziale per il buon
funzionamento del gruppo.
Il gruppo è fondato sulla regola del segreto(1)
Accetto e comprendo l'importanza e la necessit à di non parlare del gruppo alle persone
che non vi fanno parte.
Gli incontri di gruppo sono prioritari rispetto alle altre mie a ttività.
Comprendo i termini di tale contratto e li accetto.
Firma……………………………….
Data……………………………
I conduttori del gruppo sono tenuti al segreto professionale.
Essi possono fornire agli altri membri dell' équipe informazioni su quanto avviene nel gruppo e sulle
modalità di implicazione del singolo detenuto nel gruppo, solo successiv amente alla sua autorizzazione
scritta.
Il principio della confidenzialità per i conduttori del gruppo prevede un ’inderogabile eccezione:
essi sono tenuti a rivelare a chi di competenza qualsivoglia inf ormazione o rivelazione di atti od
omissioni che mettano a rischio l’integrità fisica e/o psichica di soggetti minori di et à.
29
APPENDICE N.3
Scheda di Osservazione degli esperti ex art.80 della Casa di Reclusione di
Milano-Opera
INDICI DI ADATTAMENTO SOCIALE
I
LA PERSONALITÀ DEL SOGGETTO ANTECEDENTE AL REATO
1. L’AMBIENTE.
A. Situazioni che agevolano la formazione di una personalità sociale.
a) Educazione.
- buone condizioni pedagogiche;
- genitori di principi morali, sociali, religiosi;
- genitori che dedicano adeguatamente cure ed affetti al ragazzo fino alla sua maturità;
- armonia familiare e con vicini;
- educazione accurata ed equilibrata, con premi e punizioni appropriate al tipo di ragazzo;
b) Scuola.
- normale frequenza e amor proprio;
- normale profitto, capacità, età psichica;
- normale pertinacia;
- partecipazione ad organizzazioni giovanili sportive;
c) Vita sociale-lavoro.
- regolarità nel lavoro;
- normale successo;
- occupazione;
- normale attività, industriosità;
- desiderio di perfezionarsi.
d)Residenza.
- stabilità.
e) Famiglia.
- carichi familiari.
f) Compagnie.
- amicizie buone;
- frequenza a circoli, organizzazioni culturali, sportive;
- vita sociale.
g)Tenore di vita.
- adatto al proprio stato;
- vita regolare;
- rispetto della legge;
2.
IL SOGGETTO.
A. Elementi caratteristici della personalità sociale, o più compatibili con essa.
a) Ereditarietà.
- nei parenti
- moralità salute.
b) Costituzione.
- salute fisica e mentale;
- equilibrio psico-fisico;
c) Stato.
- assenza di intossicazioni.
d) Età.
- età criminale giovanile_ tra i 20-25 anni _;
- tipica delinquenza giovanile- reati contro la proprietà, di violenza, di aborto-;
- vecchiaia, delinquenza tipica dei vecchi-reati sessuali, incendio, trufferie-.
e) Precedente attività criminale.
- nulla;
- criminalità giovanile- tra i 20-25 anni-.
(Comportamento sociale durante la fruizione di misure premiali concesse in precedenza).
30
INDICI DI DISADATTAMENTO SOCIALE
I
3.
A.
a)
b)
c)
d)
e)
f)
g)
4.
LA PERSONALITÀ DEL SOGGETTO ANTECEDENTE AL REATO
L’AMBIENTE.
Situazioni che agevolano la formazione di una personalità criminale.
Educazione.
- cattive condizioni pedagogiche;
- genitori criminali, immorali, malati, invalidi, vecchi;
- genitori eccessivamente severi, o indulgenti, o parziali;
- genitori deceduti mentre il figlio era in età giovane, suicidi;
- famiglia troppo numerosa in rapporto alle capacità educative dei genitori;
- separazione, annullamento del matrimonio, divorzio;
- contrasti familiari, litigiosità con parenti o vicini;
- mancanza di affetti familiari, figliastro figlio illegittimo.
Scuola.
- Scarso profitto da debolezza mentale, o età psichica arretrata;
- Scarsa frequenza per “assenteismo cronico”;
- Mancanza di amor proprio;
- Instabilità, mancata frequenza, abbandono della scuola o del tirocinio;
- Mancata frequenza alle organizzazioni giovanili o sportive;
Vita sociale-lavoro.
- Irregolarità, frequenti cambiamenti di lavoro;
- mancato successo;
- disoccupazione ingiustificata;
- pigrizia, scarsa industriosità;
Residenza.
- Immigrazione recente;
- nomadismo.
Famiglia.
- scapolo o nubile, o vedovo, senza appoggio familiare;
- separazione coniugale.
Compagnie.
- Cattive amicizie;
- mancanza vita sociale- solitario -.
Tenore di vita.
- Desiderio di vita elegante, vita notturna, vestiti, vanità;
- vita equivoca, avventurosa, imitazione del gangsterismo, teppismo, bande;
- agitatore, rivoluzionario;
IL SOGGETTO.
A. Elementi caratteristici della personalità criminale, o meno compatibili con la personalità sociale.
a) Ereditarietà- tare ereditarie-.
- nei parenti.
- Criminalità notevole;
- Malattie fisiche o mentali
- Alcoolismo, stupefacenti.
b) Costituzione.
- malattie fisiche;
- difetti psichici;
- permalosità, suscettibilità, attribuzione degli insuccessi a persecuzioni, complessi di colpa;
- inettitudine al lavoro;
- criminalità connessa- danneggiamento, offese, lesioni, offese, incendio, reati sessuali;
c) Stato.
- alcoolismi stupefacenti;
- stati psichici e criminalità connessa:
- I stadio:liberazione degli impulsi, eccitamento, spossatezza, violenze, offese, reati sessuali
31
-
II stadio: controllo impulsi, si beve il guadagno, irregolarità sul lavoro, reati contro la
proprietà
-
Criminalità precoce-primo delitto anteriore al diciottesimo anno
Criminalità di età media- tra i 25 ed i 65 anni;
tipica delinquenza giovanile- reati contro la proprietà, di violenza, di aborto-;
vecchiaia, delinquenza tipica dei vecchi-reati sessuali, incendio, trufferie-.
d) Età.
e) Precedente attività criminale.
- Precedente criminalità precoce-primo delitto anteriore al diciottesimo anno-;
- Precedente criminalità in età media- tra i 25 ed i 65 anni-;
- Recidiva e specialmente recidiva reiterata, abitualità, professionalità;
- Recidiva particolarmente rapida- ultimo reato non anteriore ai sei mesi- o con rapidità
crescente;
- Comportamento asociale dopo la precedente scarcerazione;
-
(Comportamento sociale durante la fruizione di precedenti misure
premiali).
INDICI DI ADATTAMENTO SOCIALE
II LA PERSONALITÀ DEL SOGGETTO NEL REATO
1.
L’AMBIENTE.
A.
Situazioni-“occasioni”-che facilitano il reato facendolo apparire di più agevole attuazione o di pi sicura
impunità.
a)
B.
Disponibilità dell’oggetto del reato-occasione-, furto domestico, furto nei grandi magazzini;
appropriazione indebita di impiegati, rappresentanti; reati sessuali di insegnanti, da coabitazione, da
affollamento;
b) Disponibilità dei mezzi criminosi, attrezzi del mestiere che servono per scassi, ferimenti; autoveicoli
per sfuggire alle ricerche o per trasportare la refurtiva;
c) Circostanze di luogo e di tempo ordinario che agevolano il reato o la fuga; luogo disabitato, tempo di
notte, borseggio in affollamenti-fiere, baracconi, comizi-;
d) Qualità della vittimaAvidità di guadagno-che agevola le trufferie-;
Distrazione- che agevola il furto con destrezza.
Situazioni coercitive generali che stimolano gli impulsi generali, ovvero indeboliscono le inibizioni. Mancanza di
forme dirette o sostitutive per il soddisfacimento dell’impulso determinante al reato.
a)Necessità economiche, sottoalimentazione;
Abitazione disagiata, senzatetto, livello minimo di vita, indigenza-limitatamente ai reati contro il
patrimonio o assimilabili ad essi-;
b)
Miseria sessuale;
dissidi coniugali, frigidità del coniuge;
isolamento, vedovanza-limitatamente ai reati sessuali-;
c) Difetto di attività sostitutive scaricanti gli impulsi sanguinari;
d) Difetto di attività sostitutive scaricanti gli impulsi libidici;
e) Difetto di attività sostitutive scaricanti gli impulsi predatori;
2.
LA PERSONALITÀ
A.
Stati interiori transitori, che rinforzano g li impulsi criminosi o indeboliscono le inibizioni.
a) Spossatezza, sonnolenza-soprattutto nei reati colposi o di omissione;
b) Ubriachezza, stupefacenti, stati morbosi- non integranti malattie-no preordinati al reato;
c) Irritazione, nervosismo di origine estranea al reato;
d) Nei reati colposi mancata previsione della serie causale o dell’evento, serie causale od evento non
frequenti; trascuratezza lieve;
B.
Situazioni coercitive speciali che rinforzano gli impulsi criminosi o indeboliscono le inibizioni.
a) Induzione al reato ad opera di altri, succube, superstizione individuale, superstizione collettiva,
delitti di folla;
b) Consenso o istigazione della vittima-reati sessuali contro minori-;
c) Minaccia, coazione, necessità-non discriminante-bisogno;
d) Scopo di difesa-non scriminante-;
e) Più debole volontà del fatto;
f) Errore od ignoranza del precetto; convinzione di esercitare un diritto, di operare in modo non vietato;
buona fede, desiderio di non offendere;
32
g)
h)
i)
j)
k)
C.
Movente o scopo sociale;
Provocazione;
Unico autore;
Eccesso di una reazione giustificata;
Presenza di motivi inibitori, incertezze e contrasti nella deliberazione volitiva o nella esecuzione.
Modalità di commissione del reato che rivelano la presenza di un minore volontà offensiva.
a) Uso di mezzo offensivi strettamente indispensabili alla commissione del reato
b) No uso di violenza, minaccia, armi;
c)
Non uso di frode, inganno- travisamento,mezzi insidiosi-, non abuso di fiducia, non abilità tecniche
d) Non uso di poteri, autorità;
e) Presenza di stimoli inibitori di solidarietà umana o di fede;
f) Preoccupazione di non infliggere sofferenze superflue;
g) Preoccupazione di limitare l’offesa, il pericolo, il danno;
h) Resistenza, recesso.
INDICI DI DISADATTAMENTO SOCIALE
II LA PERSONALITÀ DEL SOGGETTO NEL REATO
3. L’AMBIENTE.
A. Situazioni che ostacolano il reato facendolo apparire di più difficile attuazione o di più malsicura
impunità (1).
a) Indisponibilità dell’oggetto del reato, furto in banche, istituti, in luoghi ben difesi o
vigilati.;
b) Indisponibilità dei mezzi criminosi;
c) Circostanze di tempo, di luogo, che ostacolano il reato o la fuga; rapine, furti in pieno
giorno o in luoghi frequentati;
d) Qualità della vittimaTrufferie mediante offerte al pubblico;
Rapine contro persone valide, amate, o scortate dalla polizia.
B. Situazioni generali agevolanti la vita sociale Presenza di forme dirette o sostitutive per il
soddisfacimento dell’impulso determinante al reato (2).
a) Benessere economico- limitatamente ai reati contro il patrimonio od assimilabili ad essi;
b) Normali possibilità di soddisfacimento dell’impulso sessuale- limitatamente ai reati
sessuali;;
c) Attività sostitutive scaricanti gli impulsi sanguinari;
 Attività sportive, sport di combattimento- pugilato rugby, lotta -ovvero di competizione
diretta-calcio, scherma-.
 Attività sportive rischiose- corse automobilistiche, alpinismo-.
 Spettacoli di sport competitivi- pugilato, calcio- in cui lo spettatore si identifica nell’atleta;
 Attività professionale o mestiere esercitato in forma aggressiva; macellazione animali,
polizia repressiva- in tumulti, prigioni, collegi; militare, familiare-.
 Pubblico accusatore.
d) Attività sostitutive scaricanti gli impulsi libidici;
 Sublimazione artistica, mistica;
e) Attività sostitutive scaricanti gli impulsi predatori- imprese commerciali, industriali-.
2. LA PERSONALITÀ
A. Stati interiori transitori, che ostacolano gli impulsi criminosi o più deboli inibizioni.
a) Attenzione, vigilanza;
b) Stati di sanità fisio - psichica;
c) Distensione nervosa;
d) Nei reati colposi previsione della serie causale o dell’evento, serie causale od evento
frequenti; trascuratezza grave;
B. Situazioni speciali che rinforzano gli impulsi criminosi o più deboli inibizioni.
a) Istigatore, incube, organizzatore, capo;
b) Resistenza della vittima;
c) Spontanea determinazione;
d) Scopo offensivo;
e) Più forte volontà del fatto:
f) Conoscenza del precetto, malafede, disprezzo del bene protetto;
g) Movente o scopo antisociale; scopo di commettere altri reati, di sottrarsi all’arresto, di
conservare la latitanza, di assicurarsi il profitto del reato; delitto a pagamento;
33
h) Premeditazione;
i) Concerto criminoso con altre persone; compiti ben distribuiti, organizzazione criminosa di
più persone;
l) Reazione del tutto sproporzionata, motivo futile;
m) Assenza di motivi inibitori.
C. Modalità di commissione del reato che rivelano una maggiore volontà offensiva.
a) Uso di mezzo offensivi non strettamente indispensabili alla commissione del reato;
b) Violenza, minaccia, armi;
c) Frode, inganno, traviamento, uso di mezzi insidiosi, abuso di fiducia, narcotici, abilità
tecniche, destrezza;
d) Abuso di poteri, di autorità;
e) Approfittare di calamità, disgrazia, inferiorità, età giovanile o vecchiaia della vittima,
luoghi sacri;
f) Sevizie, crudeltà;
g) Aggravare l’offesa, il pericolo, il danno;
h) Consumazione
INDICI DI ADATTAMENTO SOCIALE
a)
LA PERSONALITÀ DEL SOGGETTO SUCCESSIVA AL REATO
A.
Indici di adattamento sociale nella condotta antecedente e contemporanea al giudizio.
a) Autodenuncia, costituzione spontanea;
b) Restituzioni, risarcimento del danno in misura adeguata alle possibilità del soggetto;
c) Comprensione del valore del precetto violato, pentimento;
d) Riconoscimento di colpevolezza;
e) Attesa sanzione come giusta;
f) Revisione critica;
g) Collaborazione alle indagini sulla propria personalità;
h) Collaborazione alla redazione del programma correzionale;
(grado di apertura al dialogo)
(volontà ad affrontare un approfondimento della propria storia)
(eventuale tendenza a minimizzare certi fatti)
(maggiore o minore intento di impressionare favorevolmente l’interlocutore).
B. Indici di adattamento sociale nelle forme espressive non-verbali.
a) Cura nell’igiene;
b) Immagine curata;
c) Assenza di condotte eccentriche;
d) Giusto Adattamento;
(tolleranza, elasticità, autonomia, assenza di controllo)
e) Disciplina
(accettazione delle regole, assenza di auto-aggressività ed etero-aggressività,
assenza di rapporti disciplinari,assenza di isolamento).
C.
Indici di adattamento sociale nella condotta durante la detenzione.
a) Laboriosità.
b) Buona condotta;
c) Moralità- fede in principi etici morali, religiosi-;
d) Legalità, altruismo;
e) Amor proprio;
f) Desiderio di imparare un mestiere, di studiare e perfezionarsi;
g) Trarre frutto dall’esperienza.
(atteggiamento manifestato dal soggetto nei confronti del personale di custodia e degli operatori
tutti)
(maggiore o minore capacità di socializzazione)
(modalità di interazione nell’ambito della comunità)
(eventuale impegno e motivazione nei confronti delle attività lavorative o scolastiche)
(grado di interesse per attività religiose, sportive o ricreative);
(frequenza e regolarità dei colloqui);
(rapporti telefonici ed epistolari con la famiglia);
(maggiore o minore coinvolgimento con la subcultura delinquenziale carceraria; comportamento
manifestato dal soggetto nelle diverse situazioni e vicende verificatesi nella vita dell’istituto).
D.
Condizioni favorevoli al momento del rilascio-esogene-(ambientali).
a) Famiglia nella quale tornare;
34
b)
c)
d)
Condizioni economiche non cattive;
Possibilità di lavoro;
Compagni ed ambienti sociali buoni.
E.
Condizioni favorevoli al momento del rilascio-endogene-(personali).
a) Età superiore a 37 anni;
b) Assenza di tare ereditarie;
c) Assenza di malattie;
d) Assenza di difetti o di anomalie;
F.
Rapporti con la vittima.
a) Empatia;
b) Disponibilità ;
c) Famigliari della vittima.
G.
Ipotesi riparativa
a) Disponibilità a prospettive riparatorie.
INDICI DI DISADATTAMENTO SOCIALE
e)
f)
LA PERSONALITÀ DEL SOGGETTO SUCCESSIVA AL REATO
A.
Indici di attitudine criminale nella condotta antecedente e contemporanea al giudizio.
a) Fuga, sviamento delle indagini;
b) Mancate restituzioni, mancato risarcimento del danno nella misura adeguata alle possibilità del
soggetto;
c) Disprezzo della legge;
d) Diniego di colpevolezza;
e) Ritenuta ingiusta ogni sanzione;
f) Mancanza di revisione critica;
g) Opporsi alle indagini sulla propria personalità;
h) Rifiuto di collaborazione alla redazione del programma correzionale;
B. Indici di disadattamento sociale nelle forme espressive non-verbali.
a) Trascuratezza nell’igiene;
b) Immagine poco curata;
c) Condotte eccentriche;
d) Tendenza all’iper-adattamento;
(rigidità, ossessività, sottomissione, controllo)
e) Tendenza alla oppositività
(difficoltà ad accettare le regole, auto-aggressività ed etero-aggressività, rapporti disciplinari,
isolamento).
C.
Indici di disadattameno sociale nella condotta durante la detenzione.
a) Pigrizia;
b) Cattiva condotta;
c) Immoralità;
d) Slealtà, ipocrisia,egoismo, spia;
e) Mancanza di amor proprio;
f) Non voler imparare un mestiere, studiare o perfezionarsi;
g) Non saper trarre frutto dall’esperienza.
D.
Condizioni sfavorevoli al momento del rilascio-esogene-(ambientali).
a) Mancanza di famiglia o parenti, stato di abbandono;
b) Cattive condizioni economiche;
c) Mancanza di lavoro;
d) Cattive compagnie o cattivo ambiente sociale.
E.
Condizioni sfavorevoli al momento del rilascio-endogene-(personali).
a) Presenza di tare ereditarie;
b) Presenza di malattie;
c) Presenza di difetti o anomalie.
F.
Rapporti con la vittima.
a) Non empatia;
b) Assenza di disponibilità.
c) Assenza di contatti con famigliari della vittima.
35
G.
Ipotesi riparativa
a)Indisponibilità a prospettive riparatorie.
FATTORI RILEVANTI NELLA FASE PROCESSUALE
A. Arresto.
a) In flagranza;
b) Successivo a indagine;
c) Si costituisce.
B. Fase Processuale.
a)
b)
c)
d)
e)
Facoltà di non rispondere;
Rito abbreviato;
Contumace;
Reo confesso;
Patteggiamento.
FATTORI RILEVANTI NEL CONTESTO DETENTIVO
A. Descrizione/Valutazione delle relazioni (qualità e quantità) instaurate dal detenuto
con la polizia penitenziaria nei vari momenti della vita quotidiana e nei diversi spazi
istituzionali (cella, passaggio…).
- Scarsi Contatti;
- Frequenti contatti
B.
- Contatti Adeguati
- Contatti Inadeguati
Descrizione/Valutazione delle relazioni (qualità e quantità) instaurate dal detenuto
con gli operatori del GOT.
- Scarsi Contatti
- Frequenti contatti
- Contatti Adeguati
- Contatti Inadeguati
Descrizione/Valutazione delle relazioni (qualità e quantità) instaurate dal detenuto
con i compagni di pena durante le ore di socialità e/o cella.
C.
- Scarsi Contatti
- Frequenti contatti
- Contatti Adeguati
- Contatti Inadeguati
Descrizione/Valutazione del comportamento del detenuto nelle attività trattamentali
già fruite sia singolarmente che in gruppo.
D.
- Contatti Adeguati;
- Contatti Inadeguati
E. Descrizione/Valutazione del comportamento e degli aspetti emozionali del detenuto
rispetto al rapporto con la famiglia con particolare riferimento ai colloqui.
F. Descrizione/Valutazione del comportamento del detenuto nella realizzazione del
percorso di trattamento (patto trattamentale), se trattasi di documento di
aggiornamento.
36
APPENDICE N.4
STATIC-99
Scala attuariale della valutazione del rischio di violenza sessuale (Hanson, 1999)
37
APPENDICE N.5
Psychopathy Checklist-Revised (PCL-R) (Hare, 1991)
Strumento standardizzato per la descrizione della psicopatia
L’intervista PCL-R(Hare, 1991)
•
•
•
Relazioni interpersonali caratterizzate da:
– Fascino superficiale
– Grandiosità
– Menzogna patologica
– Imbroglio e manipolazione
Affettività caratterizzata da
– Emozioni labili e superficiali
– Incapacità di assumersi la responsabilità delle proprie azioni
– Mancanza di empatia
– Mancanza di senso di colpa e rimorso
Stile di vita caratterizzato da:
– Ricerca di sensazioni forti e facilità ad annoiarsi
– Parassitismo
– Mancanza di scopi a realistici a lungo termine
– Impulsività
– Irresponsabilità
• Presenza di comportamenti antisociali
–
–
–
–
–
Scarso controllo degli impulsi aggressivi
Problemi di comportamento precoci
Delinquenza giovanile
Revoca della libertà condizionata
Versatilità criminale
• Altri tratti
– Comportamento sessuale promiscuo
– Molte relazioni coniugali o di convivenza di breve durata
38
APPENDICE N.6
La griglia del diniego e della minimizzazione
(Mc Kibben-Dassylva-Aubut, 1995)
Cognome e Nome:
Livello di diniego
Valutazione
iniziale (data: ……………..)
finale (data: ………………)
Fatti relativi al delitto
1.
Il Soggetto nega globalmente i fatti relativi al delitto riportati nel fascicolo
2.
Il Soggetto non nega i fatti ma nega l’intenzione sessuale deviante (es: ha
toccato la vittima per accudirla, lavarla) ecc. oppure dice di non ricordare i fatti
ammettendo che essi possano essere avvenuti.
3.
Il Soggetto riconosce i fatti e l’intenzione, ma sussiste uno scarto importante per
quanto riguarda il numero delle vittime, il grado di genitalità, il livello di violenza,
ecc.
4.
Sussiste uno scarto lieve riguardo agli stessi elementi.
5.
Il Soggetto riconosce globalmente i fatti o ammette spontaneamente delitti per i
quali non è imputato.
Responsabilità in rapporto al delitto
1.
Il Soggetto nega ogni responsabilità in merito al proprio/i delitto/i. La
responsabilità è massicciamente attribuita all’esterno (la vittima, uno stato di
intossicazione al momento del delitto, le aggressioni sessuali subite durante
l’infanzia).
2.
Il Soggetto ammette una responsabilità ridotta per alcuni dei suoi delitti (es:
avrebbe potuto resistere alle “avances” del bambino, dà la colpa “al caso”, alle
circostanze, all’errore, a un “passo falso”).
3.
Il Soggetto ammette una responsabilità ridotta per la maggioranza dei delitti.
39
4.
Il Soggetto ammette di aver preso l’iniziativa nel commettere uno o più delitti.
Ammette di essere stato attivo, di essersi messo nella situazione di commetterlo,
ma persiste una certa ambivalenza in merito al delitto stesso, descritto come un
cedimento (es: non voleva spingersi così oltre, la situazione gli è sfuggita di mano,
ha perso il controllo delle sue pulsioni).
5.
Il Soggetto riconosce il proprio ruolo attivo in tutte le fasi del delitto
(individuazione della vittima, seduzione, controllo o intimidazione della vittima,
ecc.), includendo gli atti sessuali propriamente detti. La responsabilità non è
proiettata all’esterno
Fantasie sessuali devianti
1.
Il Soggetto dice di non aver mai avuto fantasie devianti e/o fantasie associate al
proprio delitto. Per spiegare il delitto, il Soggetto può sostenere che la “curiosità” o
l’atteggiamento della vittima abbiano provocato questa “reazione” in lui, l’abbiano
portato a sbagliare, ecc.
2.
Il Soggetto riconosce la presenza di fantasie associate al proprio delitto, ma le
descrive come un fattore trascurabile che non può portare a compiere un reato (es:
“molti uomini hanno fantasie come queste”) oppure le fantasie sono egosintoniche.
Il Soggetto dice che la riprovazione sociale circa questi comportamenti è
inappropriata, che non va mai oltre ciò che le vittime stesse desiderano, ecc.
3.
Il Soggetto dice di aver avuto fantasie devianti, esse sono percepite come un
“problema”, ma, secondo lui, sono limitate nel tempo, o a una sola persona o a un
numero ristretto di persone (“era soltanto quel bambino che mi attirava, aveva
qualcosa…; “io devo affezionarmi ai bambini per…”).
4.
Il Soggetto ammette la presenza di fantasie ricorrenti, ma le descrive come
sporadiche. La loro apparizione può sembrare legata a periodi di crisi, alle
circostanze, alla presenza di bambini, ecc., ma non costituiscono un filo conduttore
(non sono cioè inerenti al suo funzionamento psicologico).
5.
Le fantasie devianti sono presentate come un elemento significativo, un fattore
che ha contribuito al delitto. Il Soggetto le considera come inerenti, intimamente
legate al suo funzionamento psicologico abituale, una tendenza, ecc.
40
Conseguenze sulla vittima
1.
Il Soggetto ritiene che la vittima non abbia subito alcuna conseguenza nefasta
(es: “A lei piaceva farlo, l’ho rivista al processo, non era per niente turbata”, ecc.).
2.
La vittima ha subito qualche conseguenza nefasta, ma il Soggetto dice di non
esserne responsabile (es: “La responsabilità è delle reazioni dei genitori, o dell’iter
giudiziario”).
3.
Il Soggetto ritiene che la vittima abbia potuto subire alcune conseguenze, ma
che esse siano di modesta entità e/o di breve durata (es: ”Lei può aver avuto paura
oppure può essere andata in panico al momento del delitto, ma non
successivamente”), tuttavia il Soggetto si attribuisce, almeno parzialmente, la
responsabilità.
4.
Il Soggetto riconosce che la vittima abbia dovuto subire delle conseguenze a
lungo termine in merito ai delitti commessi. E’ capace di identificare alcune di
queste conseguenze (angoscia, paura, diffidenza, difficoltà sessuali, ecc.).
5.
Il Soggetto generalizza le conseguenze del suo comportamento. Riconosce
quindi le conseguenze del suo delitto sulla vittima, sui parenti e gli amici della
vittima, sulla sua famiglia, i suoi amici, ecc.
Presenza di altri problemi
1.
Il Soggetto dice di non aver nessun problema, disagio o deficit in qualunque
ambito.
2.
Il Soggetto non sa riconoscere se ha dei problemi, non riesce a identificarne, ma
crede che ciò sia possibile (es: “Se ho fatto qualcosa del genere, devo veramente
avere dei problemi, ecc.).
3.
Il Soggetto identifica qualche problema, ma il suo impegno è piuttosto
superficiale. I problemi identificati sono piuttosto banali oppure il loro significato è
banalizzato, l’importanza reale risulta ridotta. Il Soggetto può in questo modo
identificare una serie di problemi, ma desidera soprattutto essere preso in carico,
egli ricerca principalmente attenzione, ecc.
4.
Il Soggetto riconosce di avere dei problemi in una sfera particolare (es:
alcolismo, pulsioni sessuali, ecc.), ma li minimizza in rapporto alle altre sfere della
sua vita.
41
APPENDICE N. 7
42
APPENDICE N.8
43
APPENDICE N.9
44