TESTI AGGIUNTIVI DI LETTERATURA ITALIANA I

Transcript

TESTI AGGIUNTIVI DI LETTERATURA ITALIANA I
TESTI AGGIUNTIVI DI LETTERATURA ITALIANA
I giuramenti di Strasburgo
Pro Deo amur et pro christian poblo et nostro commun saluament, d'ist di in auant, in quant Deus sauir
et podir me dunat, si saluarai eo cist meon fradre Karlo, et in adiudha et in cadhuna cosa si cum om per
dreit son fradra saluar dist, in o quid il mi altresi fazet. Et ab Ludher nul plaid nunquam prindrai qui meon
uol cist meon fradre Karle in damno sit
Adalberone di Laon, I tre ordini della società
La realtà della fede è unica, ma nell'ordinamento della società vi sono tre stati.
La legge umana prescrive due condizioni:
il nobile e il servo non sono subordinati alla stessa legge.
Davanti a tutti stanno due soggetti: uno è re, l'altro è imperatore;
col loro comando lo stato appare solido.
Ci sono poi quelli che non sono condizionati da alcun potere
a condizione che non commettano crimini che gli scettri dei re reprimono.
Costoro, guerrieri, protettori delle chiese,
difendono il popolo tutto, i maggiori e i minori,
e nello stesso modo così se stessi tutelano.
L'altra categoria è quella della condizione servile.
Questo genere misero non possiede nulla se non il lavoro.
Chi potrebbe mettere insieme, facendone conto con i segni dell'abaco,
tutte le occupazioni, gli spostamenti e le fatiche dei tanto grandi servi?
I servi sono per tutti denaro, vestiti, nutrimento.
Infatti nessun uomo libero potrebbe vivere senza servi.
Il signore viene nutrito dal servo che egli crede di nutrire.
Non c'è limite alle lacrime e ai lamenti dei servi.
La casa di Dio, che si crede una, è dunque triplice.
Alcuni pregano, altri combattono, altri ancora lavorano:
tutte e tre le parti stanno insieme e non tollerano la separazione.
Si trovano in questo stato grazie ai servi della prima [parte]; le opere delle altre due
alternativamente offrono a tutti soccorso.
Tale triplice intreccio è pertanto semplice.
Così la legge ha prevalso, così il mondo si è pacificato
Sant'Agostino, Impadroniamoci della cultura pagana
Quelli che si chiamano filosofi, sopra tutto i platonici, se per caso dissero cose conformi alla nostra fede,
non solo queste non sono da respingere, ma sono da riprendere ad essi come ad ingiusti possessori.
Come infatti l'Egitto non aveva solo idoli che dovessero essere detestati dal popolo di Israele, ma anche
vasi e ornamenti d'oro e argento e vesti che lo stesso popolo uscendo dall'Egitto rivendicò a sé come
per un uso migliore, per un misterioso volere di Dio per cui gli stessi Egizi senza sapere formavano cose
di cui non si potevano servire bene; così tutte le dottrine dei Gentili non contengono solo false e
superstiziose immaginazioni e gravi pesi di vuoto lavoro che ognuno di noi, uscendo, con la guida di
Cristo, dalla Società dei Gentili deve aborrire ed evitare, ma anche le arti liberali contengono discipline
più atte alla verità e alcuni precetti utilissimi di morale; e anche intorno al culto di Dio non poche cose
troviamo presso di esse; perché essi hanno come dell'oro e dell'argento che non essi ritrovarono, ma
derivarono a loro come da metalli della divina provvidenza che è dovunque infusa; e poiché queste cose
sono distorte in modo perverso e ingiurioso all'ossequio dei demoni, quando il cristiano si separa con
l'animo dalla loro misera società, deve ad essi toglierle per il giusto uso della predicazione dell'Evangelo.
Pier Damiani, Contro il sapere profano
Queste sono le prime parole del serpente alla donna: "Dio sa che in qualunque giorno ne mangerete, i
vostri occhi si apriranno e sarete come dei perché conoscerete il bene e il male". Ecco, o fratello, vuoi
imparare la grammatica? Impara a declinare Dio al plurale. [...]
Perciò, dilettissimo figlio, non curarti di un sapere che servirebbe ad accomunarti ai reprobi e ai gentili.
Chi mai infatti accende la lucerna per vedere il sole? Chi si serve di torce per contemplare il fulgore delle
stelle scintillanti? Allo stesso modo, chi cerca Dio e i suoi santi con uno sguardo puro, non ha bisogno di
una luce estranea per scorgere la vera luce . Ché la vera speranza si rivela da sé a chi la cerca e lo
splendore di quella luce che mai si spegne si mostra senza l'ausilio d'una luce ingannevole. Inoltre il
beato papa Gregorio menziona nelle sue lettere l'apprendimento della grammatica solo per dichiarare
che non s'addice ai cristiani. Tu siedi, o fratello, alla mensa di Dio: ti basti il nutrimento della parola
divina; butta via la zizzania che esalta fino alla pazzia la mente di chi se ne ciba; accogli il buon grano
che fortifica le anime affamate.
Ugo di San Vittore, Un libro scritto da Dio
Questo mondo sensibile, infatti, è quasi un libro scritto dal dito di Dio, cioè creato dalla virtù divina, e le
singole creature sono come figure, non inventate dall'arbitrio dell'uomo, ma istituite dalla volontà divina
per manifestare la sapienza invisibile di Dio. Ma come un analfabeta, quando vede un libro aperto,
scorge i segni ma non capisce il senso, così lo stolto e l'uomo animale che non capisce le cose divine in
queste creature visibili vede l'aspetto esteriore, ma non ne capisce l'interiore significato. Colui che è
spirituale, invece, ed è capace di valutare tutte le cose, mentre considera di fuori la bellezza dell'opera,
vi legge dentro quanto mirabile sia la sapienza del Creatore. Pure non vi è nessuno a cui le opere di Dio
non appaiano mirabili, anche se l'insipiente mira in esse soltanto l'aspetto esteriore, mentre il sapiente
da ciò che vede fuori scorge il pensiero della divina sapienza, così come se di una ed identica scrittura
uno lodasse il valore o la forma dei segni, l'altro il senso e il significato.
Il Fisiologo, La fenice
C’è un altro volatile che è detto fenice. [...] C’è dunque un uccello, che vive in alcune zone dell’India,
detto fenice. Di lui il Fisiologo ha detto che, trascorsi cinquecento anni della sua vita, si dirige verso gli
alberi del Libano, e si profuma nuovamente entrambe le ali con diversi aromi. Con alcuni segni si
annuncia al sacerdote di Eliopoli nel mese nuovo. Dopo che il sacerdote ha avvertito questo segnale,
entra e carica l’altare di sarmenti di legno. Quindi il volatile arriva, entra nella città di Eliopoli, pieno di
tutti gli aromi che sprigionano entrambe le sue ali; ed immediatamente vedendo la composizione di
sarmenti che è stata fatta sull’altare, si alza e, circondandosi di profumi, un fuoco si accende da solo e
da solo si consuma. Poi, un altro giorno, giunge un sacerdote e, dopo aver bruciato la legna che aveva
collocato sopra l’altare, trova qui, osservando, un modesto vermicello, che emana un buonissimo odore.
Poi, al secondo giorno, trova un uccellino raffigurato. Il terzo il sacerdote torna a vedere e nota che
l’uccellino è divenuto un uccello fenice. Una volta salutato il sacerdote, vola via e si dirige al suo luogo
antico. Dunque come ho detto prima, l’uccello prende l’aspetto del nostro Salvatore, che scendendo dal
cielo, riempì le sue ali dei dolcissimi odori del Nuovo e dell’Antico Testamento, come egli stesso disse :
«Non sono venuto ad eliminare la legge, ma ad adempierla».
Il Fisiologo, Il riccio
Il Fisiologo dice che il riccio ha le sembianze di un porcellino che beve il latte. È esternamente tutto
spinoso, ma nel tempo delle vendemmie va nella vigna, e quando vede l’uva buona, sale sopra la vite e
stacca quell’uva, così che cadano tutti gli acini in terra. Quindi scende e vi si rotola sopra, così che tutti
gli acini si conficcano nei suoi aculei: in questa maniera porta il cibo ai suoi figli. Tu, uomo di Dio,
custodisci diligentemente la tua vigna e tutti i suoi frutti spirituali, e il pensiero ed il godimento dei beni
temporali non ti occupi, affinché lo spinoso diavolo, disperdendo ogni tuo frutto spirituale, li infili nei suoi
aculei, e la tua anima diventi nuda, vuota e senza valore così come lo è il tralcio di vite senza frutto.
Iacopo Passavanti, Il carbonaio di Niversa
Leggesi scritto da Elinando, che nel contado di Niversa fu uno povero uomo, il quale era buono e
temeva Iddio, ed era carbonaio e di quell'arte si viveva. E avendo egli accesa la fossa de' carboni, una
volta, istando la notte in una sua cappannetta a guardia della accesa fossa, sentì in su l'ora della
mezzanotte, grandi strida. Uscì fuori per vedere che fusse, e vide venire in verso la fossa correndo e
stridendo una femmina iscapigliata e ignuda, e dietro le veniva uno cavaliere in su uno cavallo nero,
correndo, con uno coltello ignudo in mano: e dalla bocca e dagli occhi, e dal naso del cavaliere e del
cavallo usciva una fiamma di fuoco ardente. Giugnendo la femmina alla fossa che ardeva, non passò più
oltre, e nella fossa non ardiva di gittarsi, ma, correndo intorno alla fossa, fu sopraggiunta dal cavaliere
che dietro le correva: la quale, traendo guai, presa per li svolazzanti capelli, crudelmente la ferì per lo
mezzo del petto col coltello che tenea in mano. E cadendo in terra con molto spargimento di sangue, sì
la riprese per l'insanguinati capelli e gittolla nella fossa de' carboni ardenti: dove, lasciandola stare per
alcuno spazio di tempo, tutta focosa e arsa la ritolse, e ponèndolasi davanti in su il collo del cavallo,
correndo se ne andò per la via onde era venuto. E così la seconda e terza notte vide il carbonaio simile
visione. Onde, essendo egli dimestico del conte di Niversa, tra per l'arte sua de' carboni e per la bontà
sua la quale il conte, ch'era uomo d'anima, gradiva, venne al conte, e dissegli la visione che tre notti
avea veduta. Venne il conte col carbonaio al luogo della fossa. E vegghiando il conte e il carbonaio
insieme nella capannetta, nell'ora usata venne la femmina stridendo, e il cavaliere dietro, e feciono tutto
ciò che il carbonaio aveva veduto. Il conte, avvegna ché per l'orribile fatto che aveva veduto fosse molto
spaventato, prese ardire. E partendosi il cavaliere ispietato con la donna arsa, attraversata in su ‘l nero
cavallo, gridò iscongiurandolo che dovesse ristare, e isporre la mostrata visione. Volse il cavaliere il
cavallo e, fortemente piangendo, rispuose e disse: - Da poi, conte, che tu vuoi sapere i nostri martirî, i
quali Dio t'ha voluto mostrare, sappi ch'io fui Giuffredi tuo cavaliere, e in tua corte nutrito. Questa
femmina contro alla quale io sono tanto crudele e fiero, è dama Beatrice, moglie che fu del tuo caro
cavaliere Berlinghieri. Noi, prendendo piacere di disonesto amore l'uno dell'altro, ci conducemmo a
consentimento di peccato, il quale a tanto condusse lei che, per potere più liberamente fare il male,
uccise il suo marito. E perseverammo nel peccato insino alla infermitade della morte, ma nella
infermitade della morte, in prima ella e poi io, tornammo a penitenzia; e, confessando il nostro peccato,
ricevemmo misericordia da Dio, il quale mutò la pena eterna dello inferno in pena temporale di
purgatorio. Onde sappi che non siamo dannati, ma facciamo in cotale guisa, come hai veduto, per nostro
purgatorio, e averranno fine, quando che sia, i nostri gravi tormenti -. E domandando il conte che gli
desse ad intendere le loro pene più specificatamente, rispuose con lacrime e con sospiri e disse: Imperò che questa donna per amore di me uccise il marito suo, le è data questa penitenzia, che, ogni
notte, tanto quanto ha istanziato la divina iustizia, patisca per le mie mani duolo di penosa morte di
coltello. E imperò ch'ella ebbe verso di me ardente amore di carnale concupiscenzia, per le mie mani
ogni notte è gittata ad ardere nel fuoco, come nella visione vi fu mostrato. E come già ci vedemmo con
grande disio e con piacere di grande diletto, così ora ci veggiamo con grande odio e ci perseguitamo con
grande sdegno. E come l'uno fu cagione all'altro d'accendimento di disonesto amore, così l'uno è
cagione all'altro di crudele tormento; ché ogni pena ch'io fo patire a lei, sostengo io, ché il coltello di che
io la ferisco tutto è fuoco che non si spegne; e gittandola nel fuoco e traèndonela e portandola, tutto ardo
io di quello medesimo fuoco che arde ella. Il cavallo è uno dimonio, al quale noi siamo dati, che ci ha a
tormentare. Molte altre sono le nostre pene. Pregate Iddio per noi, e fate limosine e dire messe, acciò
che Dio alleggeri i nostri martirî -. E, detto questo, sparirono come fussono una saetta.