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Conte Pier Gentile Varano
I
mmagino che il 90% dei miei dodici lettori affezionati lettori si sia
chiesto il perché dell’interruzione della storia dei presidenti della
Cassa, del motivo per cui, dopo solo due puntate, non si sia dato
corso regolare alla narrazione delle vicende degli altri protagonisti della
storia dell’Istituto: come se la vena si fosse rinsecchita o peggio, se, dopo
un baldanzoso annunzio, si fosse preferito soccombere di fronte all’impari
lotta in un’impresa che non s’aveva da fare, né ieri né mai, come il
matrimonio fra Renzo e Lucia secondo i Bravi. Ben altro stile, comunque,
rispetto a quello di una qualsiasi fiction televisiva, dove non si corre
certamente il rischio di restare senza, perché cento puntate minimo non te
le cava nessuno! Ma se ne manco questi pochi – sto parlando sempre dello
sparuto gruppo dei miei aficionados – si fossero accorti di nulla,… beh
allora.. non avrei dubbi: sarei risoluto a portare a termine lo stesso il
compito, non foss’altro perché il bello deve ancora venire.
Dopo Alessandro Masi, ci eravamo lasciati con Gaetano Recchi, che
presidente non fu ma “solo” consigliere-segretario, comunque l’eminenza
grigia di tutta l’operazione. Terzo, il Conte Pier
Gentile Varano dei
Duchi di Camerino,
anch’egli gonfaloniere della città nel 1827 fino
al 1831, quando fu costretto all’esilio in quanto
“testa calda”. Che fosse fortemente predisposto
allo studio lo provano gli scaffali zeppi di studi,
memorie, leggi, riguardanti le amministrazioni
che curò: fu deputato, ad esempio, dell’Azienda
degli Scoli e Canali, di grande importanza nella
nostra provincia, proprio per la sua posizione nell’ultimo bacino del Po e
attraversata in modo particolare da vie d’acqua. La cittadinanza gli fu
riconoscente per aver contribuito alla creazione di una scuola teorico-
© 2008 Testi di Andrea Nascimbeni - riproduzione, anche parziale, previo consenso
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pratica di agraria e forse qualcuno dei suoi contemporanei ricordava il
celebre avo collaterale Alfonso, noto per avere scritto le celebri dodici
“Visioni” in terzine dantesche tra il 1749 e il 1766: meno famoso per l’
Incantesimo (Walter Nudo e Samuela Sardo non c’entrano!), composto
appena ventenne, dopo una parentesi in Arcadia col nome di Odimo
Olimpico. Chi fosse passato in un tempo recente per via Montebello, nel
tratto tra le vie Bellaria e Resistenza, ed avesse levato lo sguardo alla lapide
a ricordo del luogo ove il divo Alfonso compose le Visioni, sarebbe
inorridito nel vedere infranto un precetto grammaticale così caro alla nostra
infanzia: “Qui e qua, l’accento non va!”.
Tornando al nostro conte Pier Gentile, - ritratto da Longanesi con tanto
di spada - presiedette la Cassa per otto anni, dal 1840 al ’47, un periodo
difficile, perchè si trattava, superati gli entusiasmi della “luna di miele”, di
avviare e consolidare, di rodare ed irrobustire una “creatura” fragile ma
destinata a durare nel tempo. Nel discorso fatto all’Assemblea dei soci del
16 maggio 1843, il conte Varano dava, con poche pennellate, un ritratto e
al tempo stesso, un brillante saggio di psicologia sociale dicendo:”Guai
all’uomo condotto a stendere la mano per sovvenimento! Può essere tristo
principio a più triste conseguenza e non ne mancano gli esempi: ma
dell’uomo prudente, economo, che fa cumulo e serbo di onorati risparmi,
non è a temersi che la mano tesa in prima supplichevole si rivolga e poscia
divenga rapace, e forse violenta”. Convinto più che mai – come del resto il
suo predecessore ed amico, conte Masi – della valenza sociale della nuova
istituzione, concludeva il suo discorso con un invito accorato a perseguire il
nobile fine per cui era stata creata la Cassa: “Concorriamo adunque con
ogni possa a consolidare quelle istituzioni tutte che eminentemente
contribuiscono al bene morale della società, e servono per tal modo agli
inconcussi principi di nostra religione”. Morirà nei primi giorni di quel
fatidico 1848.
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