Nuovo OpenDocument - Testo (2)
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PASSAVANTI, IL CARBONAIO DI NIVERSA Un carbonaio assiste alla visione terrificante di una “caccia tragica”: un cavaliere su un cavallo nero insegue una donna nuda, la afferra per i capelli, la trapassa con un coltello e la getta nella fossa dei carboni ardenti; quindi la carica sul suo cavallo e se ne torna via al galoppo. La visione si presenta identica per tre notti, finché il carbonaio ne parla al conte di Niversa, il quale assiste di persona alla visione e ne chiede ragione al feroce cavaliere. Il cavaliere rivela che tale condizione, di cacciatore e preda, spetta a lui e alla donna che fu la sua amante: ora, per la legge del contrappasso che regola la giustizia divina, lei, in quanto uccise il marito, subisce ogni notte l’uccisione per mano dell’amante; e così come arse d’amore per lui, ora è gettata da lui ad ardere nei carboni infuocati; infine, così come in vita vide il suo amante con desiderio e piacere, ora lo vede ogni notte con odio e terrore. Siccome poi, chiarisce il cavaliere, loro due peccatori si pentirono in punto di morte, la misericordia di Dio mutò la pena eterna dell’inferno in pena temporale di purgatorio; pertanto egli sollecita preghiere, elemosine e messe affinché le loro sofferenze siano alleviate. L’adultera è punita dall’amante per la legge del contrappasso; L’inseguitore è armato e su un cavallo; Il brano è tratto da una raccolta di prediche del frate: ha uno scopo educativo; La pena non è in realtà infernale, ma del Purgatorio: gli amanti, infatti, hanno confessato il loro peccato prima di morire e quindi la pena è temporanea. ESTRATTO DAL TESTO D’uno carbonaio che vidde entrare una femina nella fossa de’ carboni che aveva accesa [...]Volse il cavaliero il cavallo, e fortemente piangendo disse: «Poi che tu, Conte, vuogli sapere i nostri martirii, i quali Iddio t’ha voluti mostrare, sappia che io fu’ Gufredi, tuo cavaliere, e nutrito in tua corte. Questa femina contro a cui io sono tanto crudele e fiero, è donna Beatrice, moglie che fu del tuo caro cavaliere Berlinghieri. Noi prendemo amore di disonesto piacere, conducémoci a peccato, il quale condusse lei ch’ella uccise il suo marito; e così perseveramo infino alla infermità della morte. Ma nella infermità della morte, in prima ella e poi io ci conducemo a penitenzia, e confessando il nostro peccato ricevemo misericordia da Dio. Lo quale ci mutò la pena dello inferno in pena del purgatorio. Sappia, Conte, che noi non siamo dannati; anzi, ha stanziata la divina iustizia che, come noi ci amavamo di disonesto amore, così ogni notte ci perseguitiamo come hai veduto. E così facciamo purgatorio; e quando piacerà a Dio, aranno fine e nostri martirii». E domandando il Conte che gli desse ad intendere meglio e più specificatamente le loro pene, rispose il cavaliere: «Perché questa donna per amore di me uccise il marito, l’è stata data questa penitenzia, che ogni notte, quanto ha stanziato la divina iustizia, patisce per le [mie] mani pene di morte di coltello; e imperò ch’ella ebbe in verso di me ardente amore di carnale concupiscenzia, per le mie mani è gittata ogni notte ad ardere nel fuoco, come nella visione vi fu mostrato; e come già ci vedemo con grande disio e con piacere di gran diletto, così ora ci veggiamo con grande odio, e perseguitiamoci con grande sdegno; e come uno fu cagione all’altro di accendimento di disonesto amore, così l’uno all’altro è cagione di grande tormento; che ogni pena ch’io fo patire a lei, patisco io; che col coltello con che io la ferisco tutto è fuoco che non si spegne; gittandola nel fuoco, tutto ardo di quello medesimo fuoco che arde ella. Questo cavallo è uno demonio, al quale siamo dati a tormentare. Oimmè, che molte sono l’altre nostre pene: pregate Iddio per noi, e fate dire delle messe, a ciò che Iddio abbrievi le nostre pene». E detto questo, si partirono come fosse una saetta. Non ci incresca adunque sofferire qui uno poco di penitenzia, a ciò che noi possiamo scampare di quelle orribili pene e dolorosi tormenti dell’altra vita, alle quali ci conviene pur venire.