Distanze ravvicinate
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Distanze ravvicinate
Roberto Soldati DI STANZ E R AVVI C I NATE L’automobile e la radio, protagonisti di un secolo veloce In collaborazione con: Alda Dalzini, Domenico Marrelli, Catherine Green ed il Parco Musei Piana delle Orme di Latina Nota introduttiva dell’autore Un osservatore munito di carta e matita di fronte ad un panorama lungo un secolo di scoperte e tante innovazioni scientifiche, cerca con pochi tratti essenziali di abbozzare un ritratto di quel panorama così come appare attraverso il materiale informativo a lui pervenuto, senza la pretesa di frugare nei particolari degli eventi scientifici da fine ottocento ai nostri giorni. Il contenuto di questo libro è semplicemente uno schizzo d’insieme sufficiente ad inquadrare, nel contesto socio culturale dei vari momenti storici, due grandi invenzioni, l’automobile e la radio, che sono servite a ridurre o annullare le distanze geografiche e persino interplanetarie. E’ intenzione di questo libro rompere o almeno scalfire quel guscio d’assuefazione a tutte le meraviglie tecnologiche che ci impedisce di apprezzare la magia, l’utilità e l’enorme importanza di due invenzioni che hanno servito e modellato la nostra cultura. Roberto Soldati DI STANZ E R AVVI C I NATE L’automobile e la radio, protagonisti di un secolo veloce In collaborazione con: Alda Dalzini, Domenico Marrelli, Catherine Green ed il Parco Musei Piana delle Orme di Latina Prima parte Un’ auto lunga un secolo Roberto Soldati DI STANZ E R AVVI C I NATE L’automobile e la radio, protagonisti di un secolo veloce Alda Dalzini, Curatrice del Parco Musei Piana delle Orme di Latina Prof. Luigi Campanella Presidente di MUSIS Museo della Scienza e della Informazione Scientifica a Roma Roberto Soldati DI STANZ E R AVVI C I NATE L’automobile e la radio, protagonisti di un secolo veloce Giovanni Agresti, Assessore alla cultura della provincia di Latina Non tutti sanno che il primo premio Nobel per la fisica fu assegnato in tempi preistorici all’inventore della ruota . . . Voglio dire gli sarebbe toccato, se già allora il Nobel fosse esistito, perché la ruota fu la prima vera invenzione dell’umanità in quanto in natura non esiste un sistema simile da imitare. La ruota fu dunque una scoperta originale che ha cambiato in meglio il corso della storia umana. Curioso sapere che i nativi delle americhe ed altri popoli non conoscessero la ruota. James Watt I Flintstone, di hanna & barbera La prima macchina a vapore in un disegno d’epoca. In principio, la ruota forse era fatta di legno o pietra come la macchina dei Flintstone ed era rozza e pesante con l’unico vantaggio che non bucava mai. Dopo importanti migliorie, potenzialmente la ruota già nell’antica Roma poteva sopportare una velocità molto maggiore di quella al traino d’un cavallo in corsa. Solo parecchi secoli più tardi, nel 1774, una data che muli e cavalli dovrebbero celebrare come festa di liberazione, James Watt ebbe la brillante idea Sopra James Watt di sostituire la forza animale con la macchina a vapore. L’invenzione di Watt, però, a causa della grandi dimensioni dei serbatoi d’acqua fredda e calda e della stessa fornace, era più adatta ad un impiego fisso nelle fabbriche o, al massimo, per i treni. Joseph Cugnot Nel 1769, il francese Joseph Cugnot applicò per la prima volta la macchina a vapore su di un carro semovente per 4 persone che raggiunse la velocità di 3,5 km orari, con gran tedio dei passeggeri che preferirono andarsene a piedi. Il carro a vapore di Cugnot, rappresenta il primo tentativo di realizzare un mezzo semovente che utilizzava una grande pentola a pressione . Come si vede però, le enormi dimensioni del motore rendevano questa macchina poco pratica. Solo i motori a combustione interna realizzati dal tedesco Daimler, renderanno possibile, grazie alle ridotte dimensioni, l’installazione su vetture allora molto simili alle carrozze a trazione animale. Il carro a vapore, fu creato da Cugnot soprattutto come macchina da guerra destinata all’esercito francese. Sotto il carro a vapore in una ricostruzione cinematografica mentre sfonda un muro Una delle prime pentole a pressione da cucina Il primo motore a scoppio con polvere pirica, (disegno a sinistra) chiaramente ispirato al principio delle delle armi da fuoco, fu presentato all’ Accademia Francese delle Scienze dal fisico Cristian Huygens già nel 1673 ma non ebbe seguito, finché comparvero i primi motori a combustione interna nel 1851 ad opera degli italiani Eugenio Barsanti e Felice Matteucci, e dei tedeschi Nikolaus Otto e Eugen Langen. Otto e Langen presentarono un loro prototipo a gas illuminante, (disegno a destra) all’esposizione universale di Parigi nel 1867. Sopra, il motore degli italiani Barsanti e Matteucci Nicolaus Otto con il suo motore a gas acetilene Karl Benz Anche se i francesi sostengono che fu del loro connazionale Alphonse Beau de Rochas l’idea del primo vero propulsore d’auto, in realtà fu un motore a quattro tempi costruito da Karl Benz a consentire la realizzazione di vetture in più esemplari. La prima vettura a benzina fu brevettata e realizzata dallo stesso Benz nel 1886 con la quale avviò, assieme a Daimler, la sua industria automobilistica. Gottlieb Daimler Mercedes Jellinek Già nel 1901 Benz aveva dato ad una delle sue auto il nome Mercedes, preso in prestito dalla figlioletta del console austro-ungarico Emil Jellinek, suo amico e cliente. In seguito il nome Mercedes unito al nome Benz e alla stella a 3 punte faranno il marchio definitivo della prestigiosa casa automobilistica che oggi tutti conosciamo. Sopra, un motore stazionario Benz, ancora funzionante, che veniva utilizzato come forza motrice nelle fabbriche. Gottlieb Daimler, fu assieme a Benz tra i più grandi pionieri dell’automobile nel perseguire l’idea vincente di costruire motori piccoli ma potenti. All’inizio, Daimler si era dedicato allo studio dei motori di tipo stazionario a combustione interna sulla strada già tracciata da Otto, per passare in seguito al perfezionamento dei motori automobilistici a quatto tempi. Emil Jellinek era un grande appassionato dell’automobile che lo stesso Daimler definiva un simpatico rompiscatole. Jellinek era, infatti anche uno dei primi piloti dedito alle competizioni, come si vede nell’immagine sotto a cavallo della sua Mercedes. Ricco com’era ed assetato di vittorie, Jellinek assillava di continuo sia Benz che Daimler ad apportare continue innovazioni ai loro prodotti. Fu lo stesso Benz a riconoscere il ruolo fondamentale che Jellinek ebbe nell’edificare l’immagine ed il prestigio della sua industria automobilistica. Resta comunque da sfatare la leggenda secondo la quale la parola benzina derivi dal nome Benz. Secondo fonti più attendibili il nome benzina deriva invece, da uno dei suoi componenti chimici che si chiama “benzoino” La prima Mercedes guidata da Jellinek durante una gara in Francia. Sotto: Emil Gellinek in divisa da console W.A. Diesel inventore dell’omonimo motore Sopra, il triciclo a struttura tubolare costruito da Carl Benz nel 1886. La presa della frizione avveniva semplicemente mettendo in trazione la cinghia sulla puleggia La prima vettura brevettata e costruita da Benz nel 1886 era un grosso triciclo a struttura tubolare secondo la tecnologia utilizzata per costruire le biciclette. La stessa tecnica venne applicata dai fratelli Wright per costruire il primo aeroplano, com’era ovvio dato che avevano una fabbrica di biciclette. Le grandi dimensioni delle ruote di queste prime vetture erano adatte alle strade scomode e non ancora asfaltate di allora. All’inizio l’automobile fu solo una rumorosa curiosità. Oltre ai motori sempre più efficienti, furono apportate altre importanti innovazioni come i cuscinetti a sfere, i freni, il cambio, la frizione, lo sterzo e per finire i pneumatici introdotti nel 1888 da Boyd Dunlop. A Proposito di quell’evento, citiamo un articolo scritto all’epoca da uno scettico cronista che dice: “Questo signor Dunlop vorrebbe realizzare la balzana idea di far correre un’automobile sopra quattro palloni gonfiati”. Grazie alla procedura della vulcanizzazione inventata da Charles Goodyear, fu possibile ai fratelli Michelin l’introduzione della camera d’aria smontabile per essere facilmente riparata. Nel 1919, l’americano Charles Kattering applicò il primo sistema di avviamento elettrico alla prestigiosa Cadillac, sistema venuto a rimpiazzare la faticosa e pericolosa manovella che ogni tanto randellava il conducente a causa del rinculo. L’accensione a manovella continuò ad esistere comunque. Ne era provvista, ad esempio la recentissima Diane Citroen da utilizzare in caso di avaria dell’avviamento elettrico. All’inizio, l’automobile era concepita come un prodotto personalizzato per pochi facoltosi e veniva ancora costruita con lo stesso criterio artigianale applicato per fabbricare le antiche carrozze. Un giro nel parco con la “macchina-automobile” Sotto Boyd Dunlop sulla sua prima bicicletta pneumatica e sopra una banconota irlandese Il resto del popolo, che continuava a muoversi con la forza animale o a piedi, accettava con diffidenza e timore le rumorose e sempre più numerose vetture. A testimonianza di una certa insofferenza popolare verso la macchinaautomobile, c’è ancora adesso una scritta sopra una tomba del cimento del Verano a Roma che così recita: “Federico di Marzio Morto a dì 16.8.1918 a causa dell’automobile, nefando mezzo di questi tempi nuovi”. Henry Ford Al superamento del concetto di “automobile come oggetto di prestigio per pochi privilegiati”, contribuì l’americano Henry Ford, che ebbe la geniale intuizione di passare dalle auto come pezzi unici, a prodotti di serie replicabili. Introducendo la tecnica a catena di montaggio, con la quale Ford ridusse enormemente i tempi di produzione e quindi i costi, riuscì ad inondare l’America degli anni 1910/1930 con auto a prezzi accessibili a molti. In seguito al successo della Ford, si affermò proprio in quel periodo anche un’altra grande casa automobilistica americana, la General Motors, seguita qualche anno dopo dalla Chrysler. Una Rolls Royce in bianco classico In Europa, l’industria automobilistica stentava a decollare. Nell’Inghilterra, conservatrice ai primi del 900, il governo tendeva a privilegiare ancora i mezzi a cavallo. Anzi, oltre ad imporre un assurdo limite di velocità di 3,2 km l’ora per i mezzi a motore nei centri abitati, una legge imponeva ai possessori di auto che la vettura fosse preceduta da un uomo a piedi che sventolasse un’inquietante drappo rosso o suonando una campanella per allertare i pedoni. Due vetture Morris inglesi. Il passato e il presente a confronto. Ma la volontà di profitto della classe capitalista inglese fece sì che l’industria automobilistica si sviluppasse in breve tempo, dando inizio ad una massiccia produzione di automobili destinate sia all’Inghilterra che alle numerose colonie del regno. Famose le vetture Morris e la prestigiosa ed aristocratica Rolls Royce. La Germania anni ’30, sotto la spinta nazista e il sogno imperialista, fu la prima nazione europea ad importare il sistema a catena di montaggio. La Daimler-Benz nel 1935 produsse i primi prototipi di una vettura utilitaria per la nascente Volkswagen (trad. auto del popolo). Assolutamente rivoluzionario Uno dei primi modelli del maggiolino Volkswagen. Una vettura di nuova concezione non solo per la linea modernissima e aerodinamica, ma anche per l’introduzione della tecnica a carrozzeria portante che consente tempi di produzione rapidissimi grazie all’esclusione del telaio tubolare. per la sua forma a guscio d’uovo in grado di galleggiare sull’acqua, il Maggiolino era una macchina semplice, affidabile e robusta che poteva vantare, salvo qualche ritocco, il disegno di carrozzeria più longevo nella storia dell’automobile, tuttora simile al modello originario del ’36. Le parti in lamiera pressata una volta assemblate costituiscono nel contempo forma, aerodinamicità, sostegno e protezione, una soluzione talmente efficace e funzionale che verrà adottata da quasi tutte le case automobilistiche mondiali e mai più abbandonata, soprattutto per il genere utilitario. In Francia, le due massime industrie Citroen e Renault puntarono decisamente ad un prodotto automobilistico destinato alla massa con vetture semplici e spartane, ma per certi aspetti geniali nella concezione. La Citroen costruì un telaio/motore da poter essere ‘vestito’ con diversi tipi di carrozzeria a pannelli sagomati e assemblabili con grande facilità sui modelli Diane, Ami 8 e la 4 cavalli (detta l’ombrello a 4 ruote). Per finire, come non citare la casa Renault che dà vita alla scomoda ma versatile Renault 4, senza dimenticare il motociclo Solex che ha rappresentato, negli anni 50-60 il veicolo più utilizzato dalla classe operaia francese. La Citroen 4 cavalli Una Renault 4 Il motociclo Francese Solex aveva la trasmissione diretta sulla gomma anteriore Anche L’Italia mostrò non poca intraprendenza nello sviluppo dell’industria automobilistica che tuttavia stentava a decollare a causa del rigido autarchismo (autogestione) voluto da Mussolini. Dopo qualche incerto tentativo, in pieno fascismo comparvero o si svilupparono quelle che sarebbero diventate le maggiori industrie automobilistiche italiane: Alfa Romeo, Lancia e FIAT, con i rispettivi prodotti che non ebbero nulla da invidiare alle migliori marche automobilistiche straniere. Nel 36, a fianco alla storica FIAT Balilla, nasce anche la Topolino che darà inizio ad una serie di vetture destinate ad soddisfare i gusti delle diverse classi sociali. Una Balilla utilitaria e la sua versione da lavoro. A sinistra la Topolino FIAT Una Bugatti fuori serie destinata ai vip dell’epoca FIAT 600 La 600 FIAT, assieme alla Vespa e la Lambretta, restano i simboli della voglia di rinascita nell’Italia del dopoguerra. Nata nel 1955, la 600 aveva il motore posteriore e questo creava, nei lunghi viaggi estivi, qualche problema di surriscaldamento dell’acqua nel radiatore. Lancia Aprilia Tutte le strade del fine settimana erano invase negli anni ’60 da 600 in marcia, talvolta ferme ai bordi delle strade in salita, con il cofano posteriore aperto, in attesa di raffreddamento. I seicentisti della domenica altro non erano che gli emigrati interni in visita ai loro paeselli d’origine, con il bagagliaio stracolmo di merce e la targhetta sul cruscotto “papà non correre”. Gregory Peck in vespa nel film Vacanze romane. Sotto, un mezzo di soccorso Innocenti Qualche anno dopo la nascita della 600, seguì ‘a ruota’ è il caso di dire, la sorellina minore, la 500. La Fiat Giardiniera, 1950 Nata come vetturetta cittadina, la 500 invase ben presto anche le autostrade con non pochi problemi di viabilità a cause della scarsa potenza. In compenso, anche noi avevamo, oggi più che mai, la nostra amata e venerata gloria nazionale Ferrari. Tutte le versioni 500 FIAT schierate per una foto ricordo sotto un mezzo pesante da lavoro La 500 FIAT può essere considerata la versione italiana dei maggiolino WW per certe affinità con la più robusta vettura tedesca non solo per il raffreddamento ad aria e una vaga somiglianza, ma anche per una certa inclinazione a non guastarsi mai e sempre pronta a partire malgrado la leggendaria riluttanza iniziale, così . . . tanto per scherzare, per quel suo gusto birbone di creare un po’ di tensione al suo padrone. Una Cadillac USA del 1958 in fase di decollo per un volo orbitale sulla scia dello Sputnik. In realtà, i potenti reattori ospitavano soltanto due innocui fanalini di posizione. I due razzi sopra erano invece le frecce direzionali. Queste secondo l’immaginario del tempo, sarebbero state le classiche auto del 2000. In mancanza della Cadillac in Italia ci accontentavamo di apporre qualche patetico posticcio, come in questa 500. Sotto una Chevrolet Impala Eccoci qua seduti dentro quell’indispensabile oggetto che sostituendosi al cavallo e l’asino ha cambiato la nostra vita accorciando le distanze, ma anche trasformando radicalmente, assieme a tutti gli altri prodotti di consumo, la nostra cultura e apportando una migliore qualità della vita. Infatti, per una legge di mercato, è stato necessario ai governi industrializzati mettere in condizione la popolazione di poter acquistare i nuovi prodotti. Questo, grazie ad una accorta politica economica, ha indotto un indubbio benessere, da noi conosciuto dall’inizio degli anni sessanta come boom economica, del quale l’automobile utilitaria fu protagonista e simbolo, con i risvolti talvolta negativi che l’uso eccessivo dell’auto comporta. Primo tra tutti l’inquinamento ambientale, al quale solo in questi ultimi anni si sta ponendo rimedio con carburanti alternativi. Di difficile soluzione appare invece il problema del traffico, del rumore e la tendenza alla vita sedentaria tanto nociva alla salute. Risvolti negativi che non dipendono dalla macchina, bensì dall’uso sbagliato che di essa si fa. Il resto della storia e sotto i nostri occhi. L’automobile rimane comunque un eccezionale strumento di lavoro e anche di libertà per spaziare attraverso distanze che parevano infinite. L’assuefazione dovuta all’abuso di questo mezzo di trasporto, ci rende insensibili a godere lo scorrere sulle strade come in un tranquillo volo planato magari in compagnia di amici e tanta buona musica, colonna sonora alla natura e al paesaggio che viene e che va attraverso i vetri. PATE NTE EQUI NA Passare dall’asino alla macchina per Isaia non fu facile. Il giorno dell’esame pratico di guida l’esaminatore pregò l’allievo Isaia di tenere i giri del motore dentro “quel campo verde a sinistra”. Isaia rispose che dentro quel campo verde non si poteva andare per non rovinare il granturco. Quando gli venne spiegato che l’esaminatore si riferiva al settore verde disegnato sopra il contagiri, Isaia era già stato bocciato!! UNA STOR I A A 4 R UOTE Il famoso cantante lirico degli anni sessanta, Mario del Monaco, quando partiva per le sue tournée operistiche, lasciava al maggiordomo il prestigioso compito di sgranchire le ruote alla sua Rolls Royce con brevi tragitti nei pressi della villa di Roma. Fu lo stesso maggiordomo, ormai in pensione, a raccontarmi di non essere riuscito a resistere alla tentazione di far colpo con gli amici e le ragazze di Ostia dove abitava. Rifatto l’esame e ottenuta la patente, si comprò una bella 600 usata. Durante la risalita verso il paese, in una calda giornata estiva, Isaia si fermò presso una fontanella per bere. Riempito un secchio d’acqua fredda, aprì il cofano e la buttò addosso al motore, come si faceva ai ciclisti del giro d’Italia, ma la 600 non gradì il cortese gesto e dopo aver sbuffato via una densa nube di vapore, il motore cominciò a tossire e i cilindri si spaccarono crepitando per la repentina reazione. Dopo aver assistito sconsolato all’evento con il secchio in mano, scosse la testa recitando il vecchio proverbio che dice: “fai bene all’asino? Ti tira calci”. Un giorno, anziché fare il solito giro, si diresse in Rolls Royce verso il suo quartiere con la scusa di compare un pezzo di pizza. Piazzò il regale macchinone davanti la rosticceria e con assoluta noncuranza per gli amici seduti ai tavoli, entrò ed usci con la pizza rificcandosi in macchina sotto gli sguardi invidiosi dei presenti. Accende il motore, ingrana la marcia e . . . sorpresa!!! . . . Il pomo d’oro massiccio sulla barra del cambio era sparito. Che non l’abbia rubato l’amico cuoco per metterlo sopra la pizza? Roberto Soldati DI STANZ E R AVVI C I NATE L’automobile e la radio, protagonisti di un secolo veloce In collaborazione con: Alda Dalzini, Domenico Marrelli, Catherine Green ed il Parco Musei Piana delle Orme di Latina Seconda parte Quattro passi tra le valvole I vichinghi arrivarono nelle Americhe parecchi secoli prima di Colombo senza rendersi conto di avere sotto i piedi un continente nuovo La pila di Volta La solita storia, Quando si parla di scoperte scientifiche si comincia a ricercarne i semi fin dall’età cavernicola dopodiché, attraverso un inverno millenario di stasi innovative, quei semi, come per un evento misterioso e oscuro, sembrano aver preso a germogliare, vegetare e dar frutti, salvo eccezioni, proprio in quel frammento di tempo chiamato ventesimo secolo D.C. In realtà, non sempre si tratta di scoperte ma di semplici innovazioni; e questo, come abbiamo visto, vale per la ruota moderna ma anche per l’aereo, il paracadute, l’elica e tante altre invenzioni già intuite da Leonardo da Vinci ma solo in tempi recenti valorizzate e applicate. Anche i Vichinghi erano stati nelle Americhe molto tempo prima di Colombo ma non scoprirono L’America come nuovo mondo. I fondamenti della relatività erano già nelle teorie di Galileo e Newton, ma solo Einstein riuscirà a svilupparla ed imporla come teoria universalmente riconosciuta dal mondo scientifico. Pare che la stessa pila elettrica comparve e sparì in Cina parecchi secoli fa per usi non ancora appurati e senza lasciar tracce significative. Tutto questo ci insegna che una nuova scoperta si palesa al momento storico maturo per accoglierla. Scienziati e pensatori antichi nel tentativo di far accettare come verità scientifiche le loro idee, venivano spesso accusati d’eresia con relative conseguenze. Solo la filosofia illuminista del nostro tempo ha creato l’ humus necessario alla proliferazione improvvisa delle idee antiche e moderne che formano la struttura portante sopra la quale si edificano le vere civiltà democratiche del nostro pianeta. Robert Scott, in una cartolina sulla prima spedizione esplorativa del 1901 La scoperta giusta al momento giusto, dunque, altrimenti come spiegare le molte concomitanze avvenute per alcune scoperte? Ne citiamo solo alcune: la conquista del Polo Sud, avvenuta nel 1911 ad opera sia di Roald Amundsen che di Robert Scott solo a qualche giorno di distanza. In America Bell e l’italiano Meucci ebbero una serie di cause legali per rivendicare la paternità del telefono. Un altra contesa legale ci fu per stabilire chi fosse l’inventore del motore a 4 tempi tra Otto e Daimler, per la stessa radio, i russi sostengono che fu il connazionale Popoff il vero inventore, ecc. In ogni caso, la scoperta della radio è stata una importante svolta innovativa nel campo delle comunicazioni a distanza che una volta avveniva tramite segnalazioni acustiche o visive (percussioni, fumo o fuoco) sistemi rimasti in uso nella nostra civiltà anche i tempi molto recenti. Roald Amundsen. Sotto, i suoi compagni Già nelle civiltà primitive era possibile comunicare anche oltre ostacoli, come una o più montagne, tramite il sistema a ripetizione di segnale. In sintesi, un addetto al ‘trasmettitore’ inviava un segnale visivo o acustico ad un tizio in cima alla montagna che faceva da ‘ripetitore’ e ripeteva, appunto, lo stesso segnale verso un altro uomo/antenna dall’altra parte della montagna e così via fino a diversi chilometri di distanza. Pensate quanti dipendenti avrebbe avuto la RAI se fosse esistita a quei tempi. Poteva anche capitare, in una torrida giornata estiva, che l’uomo/antenna dovesse tornare più volte sopra il monte per una virgola dimenticata o un ripensamento del capo tribù o di battere i denti nelle fredde notti d’inverno nell’attesa di trasmettere un messaggio. Poteva capitare che una tribù inviava il messaggio ‘fischio’ e l’altra riceveva ‘fiasco’ e via errando. Si dice che nell’impero romano, il messaggero assieme al messaggio, recapitava al destinatario anche fichi acerbi sigillati per indicare, secondo il grado di maturazione, il tempo impiegato nel viaggio. Gaudium magnum! Habemus posta celere. Le antenne medioevali erano rappresentate dalle varie torri di avvistamento disseminate a migliaia nel nostro paese. Le torri di sorveglianza, oltre ad essere fornite dei vari dispositivi di segnalazione manuale, avevano anche sistemi di difesa miliari con robuste mura di cinta a protezione degli stessi dispositivi che dovevano garantire la massima efficienza in caso d’emergenza. Alcune torri di guardia avevano anche specchi per trasmettere segnali lumonosi A sollevare dai disagi uomini/antenna, messaggeri, cavalli e militari, ci pensò nel 1840 l’americano Samuel Morse, inventando il telegrafo. Grazie anche alla elettricità derivata dalla pila di Alessandro Volta, fu possibile installare il telegrafo in tutti gli uffici postali per i messaggi rapidi da inviare o ricevere a grandi distanze. Un telegrafo con avanzamento a molla del nastro di carta. Modello molto simile all’originale costruito da Samuel Morse. Il telegrafo era costituito da un semplice tasto interruttore che comandava una matita elettromagnetica installata sul ricevitore d’arrivo, in grado di segnare sopra un nastrino di carta scorrevole una serie di linee e punti detto alfabeto Morse, il quale, decodificato da un esperto dell’ufficio ricevente si traduceva in messaggio scritto recapitato a mano dal postino. Samuel morse Il telegrafo usava come veicolo una linea elettrica costosa e limitata alla terraferma. Inoltre, il messaggio era facilmente captabile allacciandosi con un ricevitore pirata lungo la linea. Ciò nonostante, il telegrafo ha trovato spazio fino ai giorni mostri. Cos’è Internet se non un sofisticato telegrafo? Alexander Graham Bell Nel tentativo di perfezionare il telegrafo nel 1876, l’americano Alexander Graham Bell si accorse che il suono produceva delle ondulazioni elettriche simili a quelle che si determinano nell’aria. Era dunque possibile inviare un messaggio in voce anche attraverso una linea elettrica così come avveniva per i segnali Morse. Bell “avrebbe” inventato il telefono. Ma come abbiamo già accennato, anche l’ ltaliano Antonio Meucci rivendicò la paternità della stessa invenzione. Ne nacque una lunga disputa che finì ben presto in tribunale. Bisognava solo costruire un trasmettitore e un ricevitore adatti allo scopo. Bell sostituì il tasto telegrafico con una membrana in grado di trasformare le onde sonore generate dalla voce in onde elettriche da inviare via cavo verso un’altra membrana posta nel ricevitore di arrivo, adatta a riconvertire le vibrazioni elettriche in suoni e parole. In effetti Meucci, emigrato a Cuba dalla Toscana, costruì e brevettò, un apparecchio telefonico per intercomunicare con gli operai della sua fabbrica di candele molti anni prima di Bell, nel 1857 per la precisione, come fu anche riconosciuto dalla corte americana, ma questo non impedì a Bell di creare la più grande industria telefonica al mondo. Nel 1893, sedici anni dopo il primo esperimento, solo negli Stati Uniti, gli apparecchi della Bell Telephone Company erano già 250.000. Antonio Meucci Nonostante l’esito in giudizio in suo favore nella controversia legale con Bell, Antonio Meucci si era dissanguato economicamente a causa delle numerose e onerose spese processuali, e non riuscì a rinnovare il suo brevetto che divenne di pubblico domino, offrendo a Bell campo libero per creare la sua industria. Solo di recente una risoluzione del congresso americano ha riconosciuto a Meucci la totale paternità dell’invenzione. Il ricevitore a membrana di Bell ed il telefono in legno di Antonio Meucci. Guglielmo Marconi Utilizzando come veicolo le onde elettromagnetiche, scoperte nel 1887 da Henrich Rudolph Hertz, nel 1895 l’italiano Guglielmo Marconi nella sua casa di Pontecchio (Bolgna) sperimentava il primo telegrafo senza fili, inviando tre impulsi via etere al fratello Alfonso appostato con il ricevitore a qualche chilometro di distanza, il quale segnalò con un colpo di fucile l’avvenuta ricezione. Guglielmo Marconi a bordo della nave Elettra A meno di un anno di distanza, Marconi trasmetteva un segnale radio dall’isola di Wight verso la costa inglese distante 22 chilometri. Memorabile l’impresa in inviare un messaggio attraverso l’Atlantico da Poldhu, Cornovaglia fino a Newfoundland, Canada, a 2800 km di distanza. Nel 1903, Marconi inaugura la prima stazione stabile tra l’America e l’ Europa con un messaggio dettato dal presidente Theodore Roosevelt e indirizzato a re Edoardo VII d’Inghilterra. Qualche anno dopo verrà assegnato a Marconi il premio Nobel. Uno dei primi ricevitori marconiani Da notare, che fin qui si è parlato di telegrafo senza fili. La trasmissione in voce sarà possibile qualche tempo dopo con successive innovazioni apportate da altri ricercatori. Tra queste innovazioni, le valvole termoioniche che furono sviluppate dall’inglese J. A. Fleming nel 1904. Saranno le valvole a consentire di trasformare i suoni in onde radio viaggianti nell’etere e di nuovo trasformabili in onde sonore al ricevitore d’arrivo. In sintesi, il principio di trasmissione radio è molto simile al semplicissimo telefono a spago che tutti i ragazzi possono far da se mettendo un lungo spago teso tra due bicchieri di plastica che rappresentano il microfono e l’altoparlante allo stesso tempo. Lo spago teso tra i due bicchieri rappresenta invece l’onda radio che trasmette il messaggio Ma torniamo alla radio. Il microfono collegato al trasmettitore ha una membrana che raccoglie le vibrazioni acustiche della Un tubo termoionico Fleming voce, trasformandole per mezzo di processi elettronici in onde radio. Queste, trasmesse e captate a distanza dall’apparecchio ricevitore, vengono inviate sotto forma di vibrazioni elettriche, verso la membrana dell’altoparlante, che le trasforma di nuovo in onde sonore udibili all’orecchio. Un sistema molto simile al telefono, come già abbiamo visto. A sinistra , un minerale di galena. A destra, una valvola molto semplice che si utilizzava per costruire le radio a galena. Sotto a destra, una telescrivente Olivetti del 62. La telescrivente rappresenta la naturale evoluzione del telegrafo anche se i segnali Morse erano sostituiti dal testo scritto. La radio a galena, di facile costruzione ha rappresentato in passato una interessante alternativa alla radio a valvole termoioniche. Una radio a galena L’enorme utilità della radio è fuori discussione. Lo stesso Marconi partecipò alla realizzazione di regolari stazioni di tipo divulgativo in tutto il mondo, inclusa la Radio Vaticana che all’inizio trasmetteva tra San Pietro e la residenza papale di Castel Gandolfo. Nello stesso periodo vennero istituiti numeroso servizi radio tra costa e navi per la sicurezza dei naviganti. Fu merito della radio se i superstiti del Titanic si salvarono. Probabilmente neanche ci sarebbe stato il famoso disastro se il comandante avesse dato il giusto peso al messaggio radio arrivato a bordo qualche ora prima della collisione che segnalava il pericolo di iceberg in quella zona di mare. Il marconista del dirigibile Italia Biagi che riuscì a trasmettere l’SOS Anche l’SOS lanciato dai superstiti del dirigibile Italia finito sui ghiacci del Polo Nord, fu raccolto in extremis da un radioamatore, permettendo ai soccorsi di trarre in salvo gli uomini della famosa tenda rossa e con essi anche il comandante Nobile. Dai tempi del Titanic ad oggi, le vite salvate dalla radio si possono contare a milioni. In mancanza della registrazione magnetica, non ancora perfezionata, le trasmissioni radiofoniche venivano sempre eseguite in diretta con grande abilità degli attori e dei tecnici rumoristi che dovevano improvvisare al momento i vari rumori d’ambiente. Le radio commedie e i notiziari erano allora seguiti in religioso silenzio da tutta la famiglia ma anche da vicini sprovvisti di radio che si facevano ospitare per l’occasione. Trasmissione di una commedia radiofonica degli anni trenta presso gli studi EIAR divenuta in seguito RAI. Un ricevitore radio Geloso degli anni 50 Le fiabe della nonna o le storie del nonno accanto al focolare, le peripezie dei messaggeri a cavallo, i piccioni viaggiatori, il postino camminatore che con il caldo o le tempeste recapitava cartoline ovunque sono cose passate che appartengono ad un’epoca romantica e inconcepibile alle nuove generazioni. Solo i nati all’inizio dell’era industriale hanno potuto assistere all’eccitante quanto scioccante trapasso dal mondo antico all’età moderna come mai si era verificato prima nella storia, trapasso che ha generato nel bene e nel male sconvolgimenti culturali profondissimi da mettere in pericolo l’antico bisogno di socializzazione dell’essere umano. Dalle storie del focolare dove ci si guardava in faccia, si è passasti alle orecchie attaccate alla radio e quindi alle famiglie della Zap generation davanti alla TV. Così il nonno profetizzava l’arrivo della TV: “Adesso alla radio si sente solo la voce che viene da lontano, ma gli americani alla radio ci stanno facendo una finestra con tanti pupazzetti che ti fanno vedere quello che si sente.” Il cantastorie svolgeva in passato la stessa funzione che oggi ricoprono radio e TV. Non è dunque un caso che questo antichissimo mestiere si sia estinto quasi del tutto proprio nella seconda metà del novecento a causa dell’alfabetizzazione obbligatoria e la comparsa dei ritrovati multimediali. Lo stesso Gesù e San Francesco si servirono dei predicatori come unico mezzo per diffondere la loro parola senza la mediazione della scrittura, decifrabile solo a pochi eruditi. La cronaca ordinaria si diffondeva lentamente per passa parola con tutte le distorsioni che ne potevano derivare. Poteva capitare che un piccolo gesto eroico venisse elevato, dalla fantasia popolare, ad impresa epica o che un piccolo dramma venisse trasformato in tragedia da narrare le sere d’inverno per secoli e secoli. Solo la conservazione di scritti originali poteva garantire la realtà dei fatti come fecero e ancor oggi fanno i libri assieme ai moderni CD, videocassette e le informazioni in rete. Quasi ogni attività umana è legata alla radio, basti citare i servizi bordo/terra su aerei e navi, i sistemi di radionavigazione su mare e cielo ed ogni altro tipo di telecomunicazione, primi tra tutti i normali programmi divulgativi. La stessa televisione, assieme alle antenne satellitari, rappresenta l’aspetto più innovativo della radio. Senza la radio, le esplorazioni spaziali sarebbero state semplicemente impossibili. Un’invenzione importante come la radio però non poteva non stimolare gli appetiti distruttivi del cosiddetti signori della guerra, che di essa si servirono e tuttora si servono per costruire armi sofisticate, ricavandone immensi profitti e potere, distruggendo popoli e cose. Ma è pur vero che la radio e i suoi derivati hanno contribuito alla cosiddetta globalizzazione avvicinando culturalmente tutti i popoli della terra o quasi. Che la globalizzazione sia un bene o un male dipenderà dall’atteggiamento più o meno intelligente con il quale l’umanità si porrà di fronte a questa nuova situazione. L’astronave MIR. Sotto un aereo di linea Un intercettore militare Anche la radio, come l’automobile e altri ritrovati tecnologici hanno segnato i costumi e la cultura della nostra società Dall’inizio della civiltà umana fino alla prima metà del nostro novecento, la comunicazione degli eventi avveniva, nel tempo: tramite tradizione orale e scritta, e nello spazio: tramite corrieri o segnali a distanza. diranno che i bambini saranno sempre più obesi e drogati di patatine fritte etc. etc. etc. In realtà, come ormai tutti sanno, quando lo stolto si appropria di una qualsiasi meraviglia tecnologica, che sia essa l’automobile, la TV o il telefonino, riesce sempre a trasformarla, con l’abilità di un Fregoli, in una trappola nella quale invischiarsi. Fermiamo per questo la ricerca? Non sarebbe invece ora che la scuola tra le sue materie inserisse, una volta tanto, una seria educazione non dico alla frugalita’ ma almeno all’uso saggio e ponderato dei prodotti mediatici? L’informatica VR diverrebbe allora una realtà affascinante per creare mondi fantastici così, solo per fare quattro passi nel cyber-spazio di tanto in tanto, come una rilassante passeggiata in parco la domenica dopo pranzo, realizzando l’antico anelo dell’umano di entrare nello specchio dove c’è il sogno, liberandosi così dai vincoli terreni e fluttuare con la propria fantasia oltre i limiti del mondo materiale in barba alle forze gravitazionali. Ormai le distanze sono annullate a tempo reale, sia pure in modo virtuale. . .Vedremo. Sovrapponendo le due immagini, incrociando gli occhi, vedrete in 3D stereo La cosiddetta realtà virtuale prossima ventura creerà, speriamo di no, famiglie dove ogni singolo componente se ne starà nel proprio angolino, nascosto sotto gli occhialoni stereoscopici, a godersi viaggi in mondi fantastici attraverso realtà che le industrie dei media ci serviranno precotti sopra un dischetto come contributo alla ‘fast-foodificazione culturale’ già in atto. I soliti catastrofisti faranno previsioni apocalittiche sull’avvento della VR. Diranno che l’orda di popolo globale non vede l’ora di portarsi in casa la miss dell’anno, diranno che il turismo si annichilirà a fenomeno da sofà, diranno che ognuno se ne starà in disparte per cavoli suoi nascosto sotto il casco virtuale a sorseggiarsi il cervello immerso fino al collo dentro stupidissimi video game, Sopra una “stereocoppia che attraverso un casco virtuale produce l’illusione fortemente realistica di entrare dentro l’immagine In conclusione I popoli primitivi misuravano il tempo e lo spazio in ‘lune’, utilizzando come riferimento temporale le fasi lunari a cadenza quindicinale. Contare solo i giorni senza le fasi lunari si correva il rischio di saltarne qualcuno, perdendo così il senso del tempo e delle distanze da coprire, per esempio, in due lune di viaggio. La distanza tra due punti geografici in passato veniva espressa secondo il parametro riferito alla velocità dell’uomo a piedi o a cavallo, senza la necessità di specificare se a piedi, in auto o aereo, ad esempio: “Milano dista 6 giorni da Roma” si diceva nei secoli passati in riferimento alla sola velocità del cavallo. Oggi si deve specificare Milano dista 6 giorni a cavallo, a sei ore d’auto o 50 minuti d’aereo da Roma. L’automobile ha dunque avvicinato le distanze reali così come la radio ha avvicinato le distanze virtuali non solo sulla terra, ma anche nello spazio interplanetario. Proverbiale lo stupore degli emigranti che nella prima metà del nostro secolo partivano con un lungo viaggio in nave verso l’America per poi scoprire, viaggiando in aereo in tempi recenti, che l’Italia è solo ad un tiro di schioppo, ritrovando così, come in un sogno, la patria e gli affetti che si erano lasciati alle spalle pensando d’averli perduti per sempre. Roberto Soldati DI STANZ E R AVVI C I NATE L’automobile e la radio, protagonisti di un secolo veloce In collaborazione con: Alda Dalzini, Domenico Marrelli, Catherine Green ed il Parco Musei Piana delle Orme di Latina Distanze ravvicinate termina qui