Il ghetto di Roma
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Il ghetto di Roma
Storia del ghetto di Roma, IV E Il nome ghetto si riferisce a un'area nella quale persone di un determinato retroterra etnico, o unite da una determinata cultura o religione, vivono in gruppo, volontariamente o involontariamente, in regime di reclusione più o meno stretta. La parola storicamente si riferiva alle zone abitative per gli ebrei; comunque attualmente indica anche qualsiasi area urbana degradata. I primi ghetti apparvero in Germania, Spagna e Portogallo, nel XIII secolo, ma alcuni autori usano lo stesso termine per indicare le città di destinazione in cui l'Impero Romano deportava gli ebrei tra il I e il IV secolo. Il termine ghetto deriva dal Ghetto di Venezia del XIV secolo. Prima che venisse designato come parte della città riservata agli ebrei, era una fonderia di ferro (getto), da cui il nome. Altre etimologie suggeriscono che la parola derivi da borghetto, "piccolo borgo" o dall'ebraico get, letteralmente "carta di divorzio". La comunità ebraica di Roma è considerata la più antica al mondo, poiché se ne conosce l'esistenza sin dal tardo II secolo a.C., quando giungevano schiavi dalla Palestina, allora sotto il dominio romano. Sia nei primi secoli che durante tutto il medioevo, gli ebrei romani non avevano difficoltà di convivenza con la locale popolazione cristiana, e il commercio era la loro principale attività. Ma i tempi si fecero duri nel Rinascimento quando la Chiesa di Roma, dopo lo scisma protestante, diede un grosso giro di vite nei confronti della popolazione non cristiana. Il neoeletto papa Paolo IV decise di rinchiudere l'intera comunità ebraica entro un'area molto ristretta, e impose severe leggi discriminatorie. Il quartiere, conosciuto come il ghetto, comprendeva le poche strette vie situate fra piazza Giudea (oggi piazza S.Maria del Pianto), i resti del Portico d'Ottavia (cfr. I 22 Rioni, Sant'Angelo per i dettagli), e la riva del Tevere davanti all'Isola Tiberina. Sotto le arcate del suddetto portico, appena fuori del ghetto, si teneva un mercato del pesce, dal quale la piccola chiesa limitrofa prese il nome di S.Angelo in Pescheria. In seguito alla bolla di Paolo IV, intitolata Cum nimis absurdum (cioè "quando il troppo è inopportuno"), i circa 3000 membri della comunità ebraica furono costretti a risiedere all'interno del ghetto, menzionato nei testi dell'epoca come recinto degli Ebrei, la cui superficie totale era di circa 3 ettari. I residenti potevano lasciarlo solo durante il giorno; poi, dal tramonto all'alba successiva, i tre accessi al quartiere venivano serrati a mezzo di grosse porte. Quest'ultime ora non esistono più, ma sono ancora visibili nelle vecchie piante della città. Per chi si attardava e rimaneva chiuso fuori, la giustizia papalina non aveva riguardi. L'unica risorsa di acqua potabile del ghetto era una fontana situata in piazza Giudea, fuori dei confini del recinto, e dunque le condizioni igieniche all'interno erano spaventose. Anche il rischio di subire lo straripamento del vicino Tevere era un'altra costante minaccia. Fuori del ghetto gli ebrei maschi dovevano indossare un pezzo di stoffa gialla sul berretto, mentre le donne dovevano portare uno scialle o un velo dello stesso colore, per essere facilmente identificabili. Non era permesso loro di possedere beni immobili; le case dove abitavano venivano prese in affitto da proprietari non ebrei, che le affittavano ai membri della comunità a prezzi calmierati da una legge chiamata Ius Gazzagà. Di norma, il contratto di affitto passava in eredità ai discendenti del primo locatario, e quindi molti appartamenti venivano occupati dalle stesse famiglie per varie generazioni. La popolazione ebraica, però, continuava a crescere rapidamente, anche perché gli ebrei di altre città dello Stato Pontificio venivano costretti ad emigrare a Roma: nella seconda metà del XVII secolo gli abitanti del ghetto erano divenuti circa 9000. Il recinto dovette essere leggermente allargato, e venne aggiunta una quarta porta. Leggi speciali, che assai spesso cambiavano col succedersi dei vari papi, limitavano le attività che i membri della comunità potevano ufficialmente svolgere; in alcuni periodi, l'unico lavoro permesso fu la vendita degli stracci. Di sabato, gli ebrei erano costretti ad assistere alle cosiddette prediche coatte, il cui scopo era di convincerli a convertirsi al cristianesimo; questi sermoni si tenevano presso la piccola chiesa di S.Gregorio (ora dirimpetto alla grande sinagoga eretta nel 1904), e presso il minuscolo Tempietto del Carmelo di via S.Maria in Publicolis. All'interno del ghetto, comunque, agli ebrei era consentito professare la propria religione: un edificio dell'enclave ospitava cinque scuole, una per ciascuna confessione ebraica a cui apparteneva la popolazione locale. Oltre alle discriminazioni, gli abitanti del ghetto dovevano sottostare a diverse tradizioni e rituali umilianti. Per esempio, durante le feste del Carnevale Romano, un certo numero di ebrei anziani veniva fatto correre lungo l'arteria centrale della città, mentre la folla li beffeggiava e lanciava ogni sorta di rifiuti; questa tradizione fu poi trasformata nella corsa dei cavalli barberi. Attorno al 1820 il pontefice concesse un ulteriore allargamento dei confini del ghetto, ma non fu prima del 1870, anno in cui il governo papale cadde, che le porte dell'odioso recinto vennero abbattute, seguendo gli ideali della Rivoluzione Francese;ma il nazismo le reistituì prima e durante la seconda guerra mondiale in Europa Orientale. Ironicamente, non c'erano mai stati ghetti in Europa Orientale, prima che i nazisti li creassero. Durante la seconda guerra mondiale i ghetti servirono come contenitori in un forzoso processo di concentramento della popolazione ebraica, che ne facilitava il controllo da parte dei nazisti. Gli abitanti dei ghetti dell'Europa Orientale furono tra i primi ad essere deportati nei campi di sterminio durante l'olocausto. Le autorità deportavano gli ebrei da ogni angolo d'Europa ai ghetti dell'Est o direttamente nei campi si sterminio. Qualche ristorante in zona mantiene viva la cucina giudaico romanesca, una tradizione vecchia di secoli che fonde tipici piatti ebraici con ricette romane, fra cui i famosi carciofi fritti "alla giudìa". I cosiddetti "fagottari", clienti che usavano portare il proprio pasto in un fagotto, e quindi ordinavano solo il vino, non si incontrano più; questa abitudine è ormai scomparsa. Nel ghetto anche la lingua subiva l'influenza della cultura di origine degli abitanti: il dialetto giudaicoromanesco, che una volta veniva parlato dai membri della comunità, non era troppo dissimile da quello classico romanesco, ma molte parole avevano un'origine ebraica. Nel ghetto anche la lingua subiva l'influenza della cultura di origine degli abitanti: il dialetto giudaico-romanesco, che una volta veniva parlato dai membri della comunità, non era troppo dissimile da quello classico romanesco, ma molte parole avevano un'origine ebraica. Oggi il giudaico-romanesco non è più parlato. Attorno al 1900, appena pochi anni dopo l'apertura del ghetto, alcune delle case originali del quartiere furono demolite, o pesantemente modificate, ma i vicoli superstiti di questa zona ancora conservano un'atmosfera magica, una miscela molto particolare di storia, architettura e tradizione. IL PASSATO … Può farci un breve riassunto della ghettizzazione degli ebrei e, più particolarmente, a Roma? “Nel 1500 gli ebrei furono radunati a Roma, nelle province del Lazio e della Campania per il volere del Papa, che desiderava tenerli sotto controllo. Fino al 1870, anno con cui coincide l’unità d’Italia, vissero in condizioni molto precarie, a causa delle malattie, della povertà e delle limitazioni che erano loro imposte. Nel 1870 vennero aperti i cancelli dei ghetti dentro cui erano relegati, e da quest’anno in poi la loro vita divenne uguale a quella di tutti gli altri italiani, naturalmente in dipendenza dei fattori economici. Ma la loro libertà non durò a lungo: nel 1928 furono promulgate le leggi razziali: l’antisemitismo portò ad una seconda ghettizzazione, e ad una discriminazione ancora più violenta. Il 16 ottobre del 1943 furono deportati da Roma in due ore 2000 ebrei, di cui solo 20 hanno fatto ritorno. Ricordo che mio nonno fu deportato il 27 maggio, una settimana prima che arrivassero gli Americani. Egli fu portato in un campo di concentramento e qui, subito, fu ucciso e messo nei forni, in quanto 80enne. Non gli hanno risparmiato neanche la fatica del viaggio… Fino al 1945 gli ebrei furono costretti a vivere in luoghi in cui la sanità era disastrosa (soprattutto a causa degli straripamenti del Tevere),ammucchiati in poche, piccolissime stanze situate in alti palazzi stretti che non permettevano alla luce di raggiungere le strada. Inoltre, gli unici lavori loro permessi erano lo stracciarolo e l’usuraio; altri, umilianti, erano costretti a praticarli: a spalare dalla sabbia gli argini del Tevere, ad esempio. Molta gente, privata del suo lavoro e della sua dignità, si suicidò.” Qualcosa di particolare che ricorda del tempo di guerra? Bettina- “Io, in tempo di guerra, andavo in una scuola la mattina frequentata da cattaloci e il pomeriggio solo da bambini ebrei. A volte capitava invece che, avendo gli stessi orari, ci tenevano separati per evitare che ci frequentassimo” Giorgio-: “un episodio che invece io ricordo risale al 1938, quando avevo 14 anni. Allora lavoravo al negozio di mio padre perché ero stato cacciato dalla scuola in quanto ebreo. Una sera, tornando dal cinema con degli amici, incontrai una squadra fascista vicino al ghetto, dove vivevo e dove la mia famiglia aveva un negozio di vestiti, che picchiava ogni ebreo che passasse di lì. Mio fratello Alberto fu picchiato mentre io, forse perché qualcuno mi conosceva, forse perché ero piccolo, fui lasciato passare: “Lascialo andare questo, che a casa c’è la mamma che lo aspetta col biberon”, dissero.” …E IL PRESE TE “Oggi, come ben sappiamo, la situazione è totalmente cambiata. A Roma gli ebrei sono circa 20000, compresa la comunità cacciata da Gheddaffi che si un po’ integrata con la nostra. I bambini sono come gli altri: provano le stesse emozioni, hanno amici di diverse religioni, e frequentano anche scuole non ebraiche. “ La religione è più sentita oggi o lo era più nel passato? Beh, oggi è sicuramente più sentita che in passato: il terrorismo e le guerre hanno infatti provocato un avvicinamento tra gli ebrei e soprattutto tra i più giovani. Inoltre riaccostarsi alla religione ebraica, ha permesso di ritrovare molti valori umani che in questo periodo sembrano andati perduti, che possono essere riassunti in una frase: “non fare agli altri ciò che non vorresti fosse fatto a te”. Sono questi valori che si costruiscono e che si comprendono col tempo e che aiutano te stesso e coloro che ti sono vicini, anche se non ebrei. Qual è la situazione del ghetto oggi? “Com’è naturale, oggi nel ghetto non vi sono più gli stessi negozi di una volta. Dell’antico centro commerciale che era sono rimasti, di tipico, solo una grande libreria, in cui sono venduti molti libri ebraici e di autori ebrei, i ristoranti e le pizzerie,le pasticcerie, i negozi di stoffe, di arte ebraica e quelli di carne. “ Perché? Cosa ha di particolare la carne? “A noi è vietato mangiare la carne col sangue, che rappresenta la vita. Quella che consumiamo è detta kasher e, anche in America, il suo marchio è considerato do alta qualità: le carni kasher sono infatti molto controllate, in quanto vengono lavorate davanti ad una persona del abbinato, una specie di sacerdote, che si accerta della giusta lavorazione dei prodotti. Non c’è mia qualcosa che possa risultare cattivo: viene sempre guardato il polmone, il cervello, il cuore dell’animale e, se qualcosa è malato, si butta tutto. Ciò previene molto anche le malattie che si possono prendere da carni,insaccati ecc. “ LE TRADIZIO I Sappiamo che esistono scuole ebraiche. Solitamente i bambini dove sono iscritti? “I bambini sono più spesso iscritti alle scuole ebraiche, che però molti frequentano fino alla terza media, per poi inserirsi nelle altre scuole. Qui, oltre all’italiano, l’inglese, la matematica, la storia, la geografia ecc., si studia l’ebraico. Alle medie si studia la stesse lingua che si parola in Israele: una lingua morta per più di 5000 anni e improvvisamente resuscitata ai primi del ‘900 proprio in Israele. “ Può parlarci delle tipiche feste ebraiche? “Le feste sono molto sentite, soprattutto dai bambini. Dietro ognuna c’è un racconto, che ai più piccoli piace molto ascoltare. Famosa è quella di Hannukkah: durante una battaglia, un tempio era stato distrutto ed era cos’ andato perduto l’olio speciale che serviva per accendere le candele di una settimana. Quando il tempio fu riaperto, si sperava che l’olio rimasto durasse almeno una sera: durò invece 8 giorni. In ricordo di questo miracolo,e della vittoria di Giuda Maccabeo (ebreo partecipante alla battaglia) poco prima di Natale festeggiamo la “festa delle luci”, accendendo ogni sera una candela dal candelabro a 8 braccia e facendo i regali ai bambini. Nella festa di Purim celebriamo invece il ricordo della regina Ester che salvò il suo popolo da un eccidio: ella era sposata col re Persiano Assuero, i cui seguaci, un giorno organizzarono un massacro contro gli ebrei. Il re non sapeva della fede della donna, che solo quel giorno gliela rivelò: gli disse che desiderava proteggere il suo popolo e che le accuse che gli erano state rivolte erano infondate. Capite le ragioni, Assuero fece uccidere colui che aveva organizzato il massacro e salvò gli ebrei. In questa occasione i bambini si mascherano, recitano a scuola la storia del re Assuero e ci si scambiano dolci speciali. Molto importante è Pesach, Pasqua, che ricorda la fuga dall’Egitto. Qui gli ebrei erano costretti a fare lavori pesantissimi, tra cui quello di fabbricare i mattoni, finchè un giorno il Signore Dio diede ordine a Mosè di portarli in un altro luogo, la Terra Promessa. Nella fretta della fuga, cui naturalmente il faraone era contrario, non fecero in tempo a far lievitare il pane. Quindi vagarono 40 anni nel deserto, poiché Dio intendeva dare la Terra a un nuovo popolo. In ricordo della fuga si mangia per una settimana il pane azzimo e nient’altro che sia lievitato (pane o pasta).I festeggiamenti si aprono la sera prima con il seder,la cena con i parenti, durante il quale si legge l’ haggadah. A tavola si apparecchia per una persona in più, simbolicamente nella speranza del ritorno del profeta Elia, che simboleggia l’annuncio dell’era messianica. Cibi emblematici particolari che si mangiano in questa occasione sono le erbe amare, per ricordare le amarezze vissute in Egitto e il charosset, una miscela di miele e noci che ricorda invece i mattoni. Altre feste importanti sono: Shavuot, la pentecoste, il Rosk hashanah, il nostro capodanno, yom Kippur, la festa dell’espiazione,in cui si digiuna 24 ore per parlare alla propria coscienza, quella dei tabernacoli Sukkot e le due feste civili Yom Hashoa e Yom Haazmant.” L’alimentazione “Noi non mangiamo mai carne e latticini insieme: la madre, rappresentata dalla carne, non essere mischiata col figlio, il latte. Non possiamo mangiare neanche i crostacei, pesci che non abbiano squame e pinne, animali carnivori . Tutto è dichiarato dalla Torah.” Qual è la motivazione di queste limitazioni? ”Si pensa che alcuni di questi cibi facciano diventare aggressivi, e stimola anche l’autocontrollo: è possibile cioè imparare a controllare gli istinti peggiori con un esercizio continuo. Ho avuto inoltre l’occasione di riscontrare anche l’utilità di ciò: una volte ho infatti incontrato una ragazza. Come me era diabetica e senza alcuna fatica rinunciava a ciò che le danneggiava l’organismo; quando le ho chiesto come facesse lei mi ha risposto semplicemente : “Sono ebrea, sono abituata”. Sapete, ho recentemente poi saputo che i divieti alimentari degli ebrei hanno fondamenti scientifici: ad esempio, ho scoperto, che coloro che sono stati circoncisi hanno il 30 % delle possibilità in meno di prendere l’AIDS