La Cupola di Santa Maria del Fiore a Firenze
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La Cupola di Santa Maria del Fiore a Firenze
La Cupola di Santa Maria del Fiore a Firenze Il 19 agosto 1418 a Firenze l’Arte della Lana bandisce il concorso per la realizzazione del modello della Cupola di Santa Maria del Fiore. Partecipano al concorso, in quanto prescelti, Filippo Brunelleschi, coadiuvato da Donatello e Nanni di Banco, e Lorenzo Ghiberti. In questo bando si chiedevano idee e proposte per la Cupola, per le armature e per i ponteggi, sotto forma di modelli e disegni. Nel dicembre del 1419 viene emanata un delibera con la quale si chiede a Brunelleschi la costruzione di una cupola in miniatura, ma con le medesime caratteristiche costruttive della futura grande Cupola e nello stesso documento viene fissato il pagamento di quarantacinque fiorini d’oro quale compenso per il nuovo modello (un primo modello ligneo era già stato realizzato nel 1418). Costruito tra il campanile di Giotto e il Duomo, lì rimase fino al 1431; questo secondo modello doveva sciogliere tutti i dubbi della committenza, in realtà per il secondo concorso del 1420 vengono chiamati alcuni esperti per esprimere pareri, questa volta su un oggetto concreto di grandi dimensioni e in questo anno Brunelleschi e Ghiberti sono nominati provveditori alla costruzione della cupola. Solo dopo tre anni, nel 1423, Filippo Brunelleschi è riconosciuto “inventore e governatore della cupola maggiore” e nell’atto di conferimento dell’incarico si legge “…a dì deto (26 aprile), soldi 46, denari 8, per tre fiaschi di vino bianco e due di vermiglio e pane e melarancie e baciagli, per la cholezione de la matina e del dì, dè maestri de la Cupola”. (1) Facciamo un passo indietro e arriviamo al 1401 anno in cui l’Arte della Lana bandisce il concorso per la seconda porta del Battistero di Firenze scegliendo come tema “il sacrificio di Isacco”. Poco più che ventenni Ghiberti e Brunelleschi hanno la stessa formazione culturale di stampo umanista, assieme coltivano il ritorno all’antico ma i rispettivi principi compositivi li portano a una diversa impostazione spaziale e temporale del tema. La formella presentata da Brunelleschi La formella presentata da Ghiberti Ghiberti si aggiudica il concorso non per proprio merito ma per il semplice motivo che Brunelleschi si rifiuta di pagare l’iscrizione all’Arte della Lana e quindi non può aggiudicarsi l’incarico. In realtà Filippo di Ser Brunellesco era persona sgradita alla grande committenza; in particolare ai grandi mercanti che lo consideravano rozzo e illetterato, come ebbe a scrivere più tardi Giorgio Vasari ed egli anziché cercare in qualche modo di far cambiare idea a questi personaggi pareva si impegnasse a farsi disprezzare e allontanare in malo modo da palazzi e case signorili. Sempre il Vasari scriveva di Ser Filippo “molti sono creati dalla natura piccoli di persona e di fattezze, che hanno l’animo pieno di tanta grandezza et il cuore di si smisurata terribilità, che se non cominciano cose difficili e quasi impossibili, e quelle non rendono finite con maraviglia di chi le vede, mai non danno requie alla vita loro…perciò che e’ si sforzano di abbellire la bruttezza del corpo con virtù dell’ingegno,come apertamente si vide in Filippo di Ser Brunellesco” (2) Rilievo di rovine romane Rilievo dal vero della pianta del Pantheon Rilievo dal vero del prospetto del Pantheon In quegli anni la riscoperta del testo del trattato di Vitruvio la sua rapida diffusione furono determinanti per orientare anche il pensiero architettonico verso l’ammirazione, lo stupore e il desiderio di far rivivere lo spirito classico, che furono i caratteri peculiari del Quattrocento fiorentino. L’interesse e lo studio degli architetti della Rinascenza si concentrò soprattutto su Roma. Molti studiosi, storici ma soprattutto architetti sentirono la necessità ed il bisogno di toccare con mano le rovine dei monumenti antichi. Per tutto il XV secolo fu consuetudine di tanti architetti, dopo il periodo in bottega, recarsi a Roma per completare la propria formazione ed il proprio apprendimento. A Roma si recarono Brunelleschi, Donatello, Leon Battista Alberti, Simone Del Pollaiolo, Bramante, Palladio, ecc. Dopo il concorso per le formelle della Porta del Battistero, Brunelleschi unitamente a Donatello si reca a Roma e qui attraverso la ricerca delle misure e delle proporzioni, trova l’ispirazione al classico. Egli studia le proporzioni e le tecniche costruttive, i materiali e gli ordini architettonici; rileva dal vero la maggior parte degli edifici di epoca romana ed in particolare si sofferma sul Pantheon che disegna con cura maniacale, in particolare è attirato dalla cupola che in quel periodo è la più grande struttura in muratura esistente al mondo. L’affresco della Trinità in Santa Maria Novella a Firenze Al suo ritorno a Firenze dopo alcuni anni intorno al 1415 l’Arte della Seta gli commissiona un orfanotrofio, iniziato nel 1419. Lo Spedale dell’Innocenti è il primo edificio classico dopo la fine dell’era antica nel quale Brunelleschi mette in pratica quanto rilevato e studiato durante il viaggio a Roma, in particolare egli si sofferma sulle proporzioni legate alle dimensioni comandate dal misura del diametro della colonna,un braccio fiorentino, circa 48 cm, rapportandolo con l’altezza della colonna stessa e con la luce dell’arco. Nel ventennio che va dal 1415 al 1435 Brunelleschi riceve gli incarichi delle principali costruzioni cittadine: il nuovo San Lorenzo, lo Spedale, il Palagio di parte Guelfa, la Sagrestia Vecchia. In quegli anni grandissima importanza ebbe la scoperta della prospettiva. Quella scoperta e la prima codificazione, sia pur imperfetta della regola prospettica, risalgono agli inizi del XV secolo e sono attribuite dagli studiosi a Brunelleschi, a Paolo Uccello, Ghiberti, l’Alberti e a Piero della Francesca che addirittura codifica il primo metodo scientifico di esposizione della regola nel trattato De prospectiva pingendi. Gli studi più recenti tendono tuttavia ad assegnare all’opera di Brunelleschi l’assoluta priorità. Nel 1425 Brunelleschi collabora con Masaccio per la realizzazione dell’affresco prospettico di Santa Maria Novella nel quale per la prima volta si applicano le regole prospettiche della prospettiva studiate e codificate da Brunelleschi con l’esperimento delle due tavolette: una davanti alla Porta del Battistero e la seconda in Piazza della Signoria. La regola prospettica oggetto di studio da parte di Brunelleschi, secondo quanto scrive E. Battisti nel suo bellissimo volume dedicato al grande architetto, si può considerare un corollario ai suoi studi di ottica. Parrebbe che Ser Filippo con l’esperimento delle due tavolette voglia conoscere che rapporto intercorra tra la visione naturale e l’imitazione, ovviamente perfetta, di essa. Posizionandosi tre braccia all’interno della porta del Duomo, egli mostra all’osservatore il dipinto del Battistero che ha realizzato su una superficie riflettente, attraverso un foro posto su un seconda tavoletta. L’immagine però era riflessa da uno specchio in modo che se tirava vento si potevano veder passare le nuvole. Lo specchio si poteva togliere da suo basamento e chi in quel momento osservava attraverso il foro non si rendeva conto se l’immagine che gli appariva fosse il vero Battistero o il dipinto riflesso. Brunelleschi in questo modo conferma la sua teoria secondo la quale tutte le linee di costruzione convergono n un unico punto di fuga che in questo caso è rappresentato dal foro sulla tavoletta posteriore. Il sistema costruttivo delle due tavolette è mobile, cioè consente la traslazione trasversale, da destra a sinistra, ma soprattutto la traslazione longitudinale; come in una macchina fotografica, agendo sullo zoom il soggetto si avvicina e si allontana. Analogamente facendo traslare la tavoletta dove è posizionato lo specchio avanti e indietro l’immagine si ingrandisce e si rimpicciolisce fino a quando il vero Battistero e quello dipinto coincidono perfettamente in tutte le misure ed in ogni parte. In tempi più recenti è stato riproposto l’esperimento delle due tavolette,seguendo fedelmente le indicazioni del biografo di Brunelleschi con una differenza: il sistema è stato tenuto in mano e non appoggiatosi uno stativo. Non conosco il motivo di questa variazione, forse una interpretazione diversa dalle indicazioni del testo quattrocentesco nel quale si legge:”…per chi l’avesse a vedere, e con una mano s’accostassi allo occhio et nell’altra tenesse uno specchio piano al dirimpetto, che vi si veniva a specchiare dentro la dipintura; e quella dilatazione nello specchio dall’altra mano veniva ad essere la distanza vel circha di braccia piccoline quanto a braccia vere del luogo, dove mostrava essere a ritrarlo, per insino al tempio di Santo Giovanni; che al quardarlo con altre circostanze detto dello ariento brunito et alla piazza…e io lo (ho) avuto in mano e veduto più volte a miei dì e posson rendere testimonianza”. Parrebbe che lo strumento si stato tenuto in mano al contrario di ciò che si vede nelle illustrazioni di fianco, ad ogni buon conto dall’esperimento di recente applicazione i risultati comprovano l’esattezza del resoconto del biografo. La tavoletta che corrisponde alla veduta reale misura mezzo braccio quadrato con la base di circa 36 cm e l’altezza di circa 45 cm, l’angolo visivo di circa 45°, il dipinto risulta esattamente in scala 1:75, la distanza reale dell’osservatore dal Battistero è di 60 braccia, quella tra il dipinto e lo specchio , è perfettamente in scala, cioè un braccio. Ma torniamo ora al 1423 quando Filippo Brunelleschi è riconosciuto “inventore e governatore della cupola maggiore”. Secondo una definizione dettata dal Cancelliere della Repubblica fiorentina, il Marsuppini, oggi leggibile nella lapide posta, per chi entra in Duomo, in alto a destra, si legge:”…plures machinae divino ingenio ad eo adinventae…antiquate architecturae instaurator”. Vuol dire questo: “Filippo Brunelleschi mirabile architetto, eccezionale costruttore di macchine…..”, questo perché i fiorentini vedevano in Brunelleschi il grande ingegnere non il grande architetto, e questo lo dico con un po’ di amarezza essendo architetto e non ingegnere, per spirito di campanilismo poi certamente, perché era così bravo era anche un bravo architetto, ma a quella epoca era certamente il più grande ingegnere della piazza fiorentina. Ed in effetti prima di dedicarsi completamente all’architettura, Brunelleschi si era misurato con l’oreficeria, con l’ottica, con la scultura e con l’architettura militare per lo studio delle fortificazioni. L’epigrafe del Marsuppini dedicata a Brunelleschi posta sopra la sua tomba in Duomo L’invenzione e la applicazione della polvere da sparo e delle nuove armi comportava nuovi sistemi di difesa delle città, sistemi più tardi codificati e descritti da Francesco di Giorgio Martini nel suo Trattato (di architettura civile e militare) scritto presso la corte di Urbino nel 1482. Il contenuto del Trattato costituito da sette distinti trattati, descrive nel quinto Trattato “Forme di rocche e fortezze” le modalità di edificazione delle strutture a protezione della città coniugando perfettamente le esigenze dell’arte con quelle della tecnica bellica del suo tempo, e descrivendo con precisi riferimenti antropomorfi “…parmi di aedifiacare le città in guisa di corpo umano...” come bisognava costruire le mura per proteggersi dalle cannonate degli assedianti cioè inclinando verso l’interno il paramento murario e disponendo la muratura in modo che l’energia generata dalle palle dei cannoni venisse deviata ma non assorbita producendo così danni minori alla struttura protettiva. Una delle macchine per il sollevamento dei materiali da costruzione, ricostruita presso il laboratorio di Scienza delle Costruzioni della Facoltà di Architettura di Firenze. L’’ultima macchina fu esposta nell’occasione dei Medici del ‘500. Tutte erano già state esposte alla Sorbonna in un’altra esposizione, poi a Madrid, sono state esposte a Tel Aviv e hanno avuto un notevole eco. Credo che ora, questi modelli riposino in pace da qualche parte della facoltà, per lo meno quattro sono esposte nel museo di Vinci perché il collegamento tra Brunelleschi e Vinci e tutto l’ambiente scientifico fiorentino era così forte, così stretto, neanche da pensare che Leonardo da Vinci non abbia colto qualche cosa dell’attività di Filippo Brunelleschi. Certamente i fiorentini hanno celebrato come grande inventore di macchine, macchine che grazie agli studi di due studiosi italo americani che insegnano in università americane, Ladislao Reti e Giustina Scaglia, hanno scoperto che alcuni disegni di Leonardo non erano invenzioni leonardesche ma erano oggetti che Leonardo aveva visto da qualche parte e aveva rappresentato nei suoi quaderni. Dove li aveva visti questi oggetti? E la storia è uno strumento formidabile di indagine; li aveva visti nella piazza San Giovanni. C’erano le macchine, erano state lasciate li perché erano macchine gigantesche che non servivano più a nulla. Quelle macchine dopo la costruzione della cupola non avrebbero trovato più impiego. Furono abbandonate. Erano macchine nate per fare la cupola e di cupole simili, dopo quella di Santa Maria del Fiore, cupole così smisurate, si costruirà quella di San Pietro a Roma, ma passeranno 150 anni. Macchine di legno che si sarebbero deteriorate, quindi furono distrutte. Ma prima di essere distrutte Leonardo le rilevò nei suoi quaderni, le rappresentò in scala perfetta e oggi oltre che a Firenze sono visibili presso il Museo dedicato a Leonardo nella sua città di Vinci. E anche qui c’è una storia molto interessante: quelle macchine furono re-inventate solo nell’800, mentre Brunelleschi aveva inventato queste macchine capovolgendo completamente la tradizione dei meccanici greci e romani, tipo Vitruvio: l’ultimo libro dei dieci libri dell’architettura di Vitruvio è dedicato alle macchine da cantiere. Due delle macchine progettate de Brunelleschi e ricostruite presso la Facoltà di Architettura di Firenze dl Prof. S. DiPasquale Il testo fu ritrovato nel ‘400 mancante di disegni, non si sa neanche se ci sono mai stati questi disegni; i latini scrivevano così bene che non avevano bisogno di disegni, le parole erano sufficienti. I disegni furono aggiunti successivamente e quei disegni di macchine di Vitruvio le troviamo solo agli inizi dell’800. Brunelleschi invece inventa quelle macchine che passano come una meteora nel panorama scientifico e tecnico, ma scompaiono, perché non potranno essere utilizzate in nessun cantiere paragonabile a quello di Santa Maria del Fiore; perché non troveranno altre applicazioni. Queste macchine sono state ricostruite presso la facoltà di Architettura di Firenze dal prof. Salvatore di Pasquale e esposte in occasione di mostre e convegni ad iniziare dal 1977, sesto centenario della nascita di Brunelleschi. Più tardi gli stessi modelli sono stati esposti in Germania in occasione di una mostra itinerante e qualche anno dopo anche l’Istituto di Storia dell’arte dell’Università di Monaco di Baviera organizzò un seminario di studi dedicato agli antichi sistemi costruttivi in muratura. Nel 1979 a Parigi venne realizzata una sintesi della esposizione fiorentina del 1977 ed in quella occasione sotto il modello della Cupola furono esposti i modelli delle macchine. Ricostruzione in scala di una delle macchine ideate da Brunelleschi esposte al museo Di Vinci Dedicato a Leonardo. Nel 1985 i modelli delle macchine sono stati esposti all’Expo di Tsukuba in Giappone. Gli organizzatori stabilirono che il padiglione dedicato alla storia delle invenzioni italiane si aprisse con il modello della Cupola e con i modelli delle macchine brunelleschiane. Verso la fine degli anni ottanta sono state esposte a Sidney, presso la Facoltà di Architettura in occasione della mostra incentrata sull’opera di Brunelleschi. Avendo terminato gli studi nel 1987, non ho potuto seguire da vicino le vicende della Cupola e delle macchine fino al 1997, quando la Rai manda in onda il programma dal titolo “Il Rinascimento”. In quella trasmissione si parla della Cupola, ma se ne parla in maniera confusa ed imprecisa, il racconto non è per nulla soddisfacente sia dal punto di vista architettonico sia dal punto di vista tecnicocostruttivo. Solamente la parte condotta da Piero Angela, che parla dall’interno della intercapedine della Cupola, in un vano dove sono esposti alcuni macchinari ed arnesi utilizzati dagli operai del tempo, è degno di attenzione. In quella occasione Piero Angela mostra il modello in scala di una delle macchine di Brunelleschi. Piero Angela illustra il funzionamento delle macchine durante una puntata Speciale di Superquark dedicata al Rinascimento Quanto descritto potrebbe essere inutile se si pensa a quanto scrisse Michelangelo osservando la Cupola e a come la definì: “La grande macchina”. Allora Brunelleschi non è l’ingegnere grande inventore di macchine ma anche l’architetto grande inventore di cupole!!!! Scrive Giorgio Vasari riguardo al Brunelleschi: “...non aveva lettere, ma era dotato di mirabil memoria e ragionava con il naturale della pratica e dell’esperienza”.(3) Sulla costruzione della Cupola esistono numerose teorie; sul suo funzionamento statico, sugli accorgimenti costruttivi, sulle ipotesi della sua genesi costruttiva. In merito alla Cupola del Duomo fiorentino esiste una corposa bibliografia scientifica che parte dai primi studi del Nelli datati 1700 circa, passando per la grande opera ottocentesca dei tedeschi Geymuller e Durm, fino agli ultimi sviluppi più recenti. Pier Luigi Nervi, come si leggeva nella relazione del 1934, praticamente perduta dopo l’alluvione del 1966, ha effettuato degli studi sulla cupola e grazie alla sua opera è stato possibile analizzare l’intero apparato murario e soprattutto si è potuto constatare che la cupola è gravemente lesionata. Si è parlato di enigmi irrisolti e di misteri mai svelati supportati dal fatto che Brunelleschi non ha lasciato alcun disegno ne alcuna spiegazione e quel poco che sappiamo oggi lo dobbiamo al suo biografo che a suo tempo raccontò a Giorgio Vasari il quale lo scrisse nelle “Vite…”. Di certo c’è che i protagonisti della storia dell’architettura hanno avuto una genialità fuori dalla portata della nostra conoscenza e comprensione. In tutto questo c’è di vero il fatto che solo persone illuminate hanno potuto compiere imprese simili con mezzi limitati quali quelli del XV secolo. Le sei immagini mostrano la costruzione in scala del modella statico della cupola realizzato presso la Facoltà di Architettura di Firenze. E’ altresì vero che se il sistema costruttivo e tutte le fasi compositive resteranno per sempre un segreto (o meglio si possono formulare delle ipotesi senza però alcun riscontro reale che una di queste possa essere stata percorsa), per quanto riguarda la struttura interna alcuni studi recenti consentono di arrivare a dati certi anche se non è possibile rilevare le parti interne data la struttura molto compatta ed integra. Certo che con sistemi invasivi come i carottaggi e i prelievi di materiale consentirebbero di formulare non solo ipotesi ma certezze.. Molto è stato scritto e documentato sulle parti visibili, poco o niente rimane delle parti interne della Cupola che contengono, dietro strati di intonaco e rivestimenti, il sistema costruttivo delle sezione resistente. Negli ultimi anni la Facoltà di Architettura di Firenze ha avviato un rilievo fotografico delle parti interne con scarsa possibilità di accesso e mai documentate prima e solo grazie ai moderni strumenti di rilievo è stato possibile ottenere alcune informazioni tecniche di assoluta importanza. Ricostruzione del modello ligneo predisposto da Brunelleschi conservato al Museo dell’Opera del Duomo. Un modello simile fu lasciato in Piazza del Duomo per mesi nel periodo che precedette la costruzione della cupola. Dal maggio del 2002 una équipe di studiosi munita di sofisticate attrezzature ha monitorato la Cupola all’interno e all’esterno e ha restituito in 3D le riprese fotografiche stereoscopiche. Una prima indagine geofisica con metodo Radar ha consentito di individuare e mappare l’esistenza di cavità e di elementi di consolidamento; la seconda indagine geofisica con metodo Radar è stata eseguita nel febbraio del 2004 sull’estradosso della Cupola interna. I risultati di queste indagini saranno pubblicati a breve. Nel 1423 Brunelleschi dovette superare non solo enormi difficoltà costruttive ma anche la diffidenza di chi gli aveva commissionato il progetto. Egli non solo si rifiutò di consegnare gli elaborati grafici, ma non lasciò trapelare alcun indizio sulla grande volta. Si narra che alla continua ossessiva richiesta di disegni e spiegazioni Brunelleschi propose alla committenza un patto: se fossero riusciti a tenere un uovo in equilibrio egli avrebbe consentito loro di prendere visione degli elaborati. Tutti i tentativi andarono a vuoto e allora Brunelleschi tagliò la parte bassa dell’uovo e lo pose in posizione verticale. Purtroppo questo permise a Brunelleschi di conservare i disegni e le formule e non consente a noi, oggi, di conoscere il sistema costruttivo della Cupola. Il merito di Brunelleschi è di aver progettato e costruito la Cupola anche se la scelta del profilo non è nato da una sua idea; stando a quanto scrive il Vasari detta forma gli fu suggerita probabilmente dal Ghiberti, anche se tra i due non correva buon sangue, il suggerimento su accettato. Sezione trasversale della sola Cupola. Rilievo di G.B. Nelli fine 600 circa. Per voltare la Cupola e per evitare l’impiego di una centinatura in legno troppo costosa e forse irrealizzabile, la volta doveva risultare autoportante in ogni sua fase di costruzione. Il profilo della calotta esterna è modellato su quello interno e ha lo scopo di proteggere la cupola interna dalle intemperie. Sezione longitudinale del Duomo. Rilievo di G.B. Nelli fine ‘600 Prospetto lato via Dei Servi. Rilievo di G.B. Nelli fine ‘600 Secondo Sanpaolesi Brunelleschi in principio aveva proposto una cupola a creste e vele poi forse su suggerimento di Ghiberti optò per il padiglione. Il fatto che il Ghiberti fosse riuscito a convincere Brunelleschi ad adottare alcune scelte di forma e che molte delle scelte progettuali da lui proposte venissero sottoposte al giudizio dell’altro rallentavano l’andamento dei lavori. Un cantiere di tal portata non poteva essere gestito da due progettisti, tant’è che Brunelleschi, secondo alcuni biografi del tempo, intraprese una azione di persuasione sugli operai del cantiere per convincerli a liberarsi del Ghiberti e allo stesso tempo per respingere le richieste delle maestranze a dover giustificare ogni scelta progettuale. Il fatto poi che il carattere di Brunelleschi non fosse per così dire socievole lo portò in diverse occasioni a combattere contro pregiudizi, abitudini e regole tradizionali, portandolo a doversi guadagnare con i fatti quel prestigio non ancora riconosciuto dalle istituzioni che solo molti anni dopo lo avrebbero celebrato come genio assoluto dell’architettura. Casseri in legno utilizzati per la costruzione dei mattoni Una carrucola per il sollevamento dei materiali Un caratteraccio dunque; Vasari nelle Vite racconta di quando, a lavori avanzati, gli operai iniziarono a protestare per la paga che a loro parere non era commisurata ai rischi che essi correvano in cantiere. Brunelleschi per niente intimorito dalla protesta licenziò gli operai ribelli e assunse maestranze lombarde. Dopo diverse settimane senza lavoro gli operai ribelli tornarono in cantiere pregando Brunelleschi di riassumerli, il quale”…così li tenne molti dì in su la corda de non li voler pigliare, poi li rimesse con minor salario che eglino non avevano prima; e così, dove pensarono di avanzare, persono, e con il vendicarsi contro a Filippo fecero danno e villania Comunque si sia svolto questo episodio evidenzia la personalità del Brunelleschi il quale nel 1436 entrò in rotta di collisione con la corporazione dei maestri pietra e legname rifiutandosi di pagare il tributo, sostenuto in questa azione dall’Opera del Duomo. La spuntò con la minaccia di abbandonare il cantiere e lasciare i lavori a metà; non solo: ottenne di assumersi tutte le responsabilità del cantiere. Comanda e pretende obbedienza, ma sa dimostrarsi comprensivo in diverse occasioni anche quando gli operai gli chiedono di poter mangiare sui ponteggi ed evitare così di scendere a terra. Brunelleschi acconsente ma prima si assicura che il vino degli operai sia sufficientemente annacquato onde evitare cadute dai ponteggi in quanto che gli operai che cadendo morivano, avevano diritto, per scelta di Brunelleschi, ad una cassa di legno e ad un funerale in prima classe. Nella biografia attribuita al Manetti questi si sofferma di sovente sulle difficoltà di comunicazione tra il Brunelleschi e gli esecutori; egli controllava ogni singola pietra ed ogni singolo mattone e se non gli andavano a genio li rispediva indietro. Controllava la calce con assoluta diligenza, andava alle fornaci per controllare personalmente i processi di cottura “…parea d’ogni cosa maestro…quando e’ ne parlava agli scalpellini, a nessuno modo lo potevano intendere…ora ai legnaioli con nuovi modi e fantasie e provvedimenti per vari rispetti di cose, che non si credeva che mai più persona fussino sute pensate…”(5) Per spiegarsi con gli operai Brunelleschi realizzava modelli, con argilla o terra molle con la cera, con pezzi di legno ed anche con rape grandi. Egli era sempre presente in cantiere o meglio “…soleva sporcarsi i calzari”. Entrando in Duomo, contrariamente a quanto si vede all’esterno, non si percepisce il volume della ”grande macchina”; si percorre la navata centrale e all’incrocio con il transetto si apre uno spazio unico, si ha la sensazione di essere piccolissimi e ancor più questo si sente percorrendo i ballatoi sopra il tamburo sotto i quali si apre un gran vuoto, che da sulla navata e nelle tra absidi. La volta affrescata dal Vasari e da Federico Zuccari tra il 1572 e il 1579, oggi dopo l’ultimo restauro, sapientemente illuminata, pare sospesa, staccata dalla muratura. Gli affreschi restituiscono involontariamente lo stato di salute della cupola la quale, come già detto è gravemente lesionata. Nel 1977 viene pubblicato dal prof. Salvatore di Pasquale un Primo rapporto sulla Cupola, frutto di 25 anni di ostinata indagine sulla sua concezione e la sua costruzione e sulla magistrale realizzazione senza armature. Nel 1978 il Ministero dei Beni culturali affida ad una equipe di studiosi il compito di analizzare lo stato di salute della Cupola. Di questa commissione fanno parte, tra gli altri, Carlo Cestelli Guidi e il prof. Salvatore di Pasquale. Gli studi terminarono dopo circa 5 anni e alla fine venne predisposta una accurata relazione tecnica che fu parzialmente illustrata agli studiosi durante una conferenza presso la Facoltà di Architettura di Firenze dal Di Pasquale. Quella relazione che io, studente di Architettura al quinto di corso di studi, ho registrato di nascosto su un nastro magnetico e che dopo qualche giorno di assiduo lavoro di sbobinamento ho trascritto su normali fogli A4 e l’ho fatta recapitare al prof. Di Pasquale. Non so se egli abbia apprezzato questo gesto, so solo che molto di ciò che lui aveva detto e di ciò che è scritto di seguito l’ho letto nel libro pubblicato nel 2004. Interno del Duomo di Firenze con vista sul coro Iniziò con queste parole : “La prima operazione è stata quella di tentarne una lettura, un rilievo, cioè capire e poi vedremo in che modo siamo riusciti a capire. Ecco io affermo una banalità dico una banalità proprio perché tale profondissima: a mio parere si rileva solo quello che si vede, sembra una battuta ma le cose che non si vedono non sono rilevabili. A questa battuta sono arrivato proprio studiando la cupola di Santa Maria del Fiore perché fino al 1976/77 credo tutti i rilievi della cupola a partire da Nelli, 1690 circa, e poi via, via tutti quelli che hanno copiato il Nelli, quindi tutta l’operazione che i tedeschi hanno fatto nell’800 Joseph Durm e il Geymuller che hanno fatto questi grandissimi rilievi, io vi mostrerò alcune immagini, sono tutti sbagliati. Sono tutti sbagliati dal punto di vista che ci interessa, sono tutti sbagliati nel senso che, se noi li confrontiamo sapendo certi fatti ci accorgiamo che non è vero…”(6) Parrebbe assai presuntuoso quanto letto sopra, invero anche gli ultimi studi già citati confermano che i rilievi di Giovan Battista Nelli verso la fine del 1600 sono frutto di aggiustamenti e regolarizzazioni mirate a dimostrare la teoria secondo la quale il modello ispiratore della Cupola doveva essere ricercato nel vicino Battistero in Piazza San Giovanni. Detti aggiustamenti e regolarizzazioni riscontrabili nello spazio tra le due cupole, nei disegni che rappresentano linee parallele ai lati dell’ottagono della cupola, non rispecchiano la realtà, sono completamente diversi da quanto emerso dall’analisi. E questo ha generato una proliferazione di rilievi, soprattutto tedeschi che hanno copiato quanto rilevato dal Nelli, i quali tedeschi, il Durm in particolare era stato il primo a tentarne una rappresentazione assonometrica nel tentativo di far apparire evidenti le particolarità costruttive che avevano consentito di realizzare la doppia cupola. Un altro aggiustamento fatto dal Nelli, ha nascosto a tutti coloro che negli anni a seguire hanno, chi più chi meno, riproposto un rilievo a partire dalla pianta dell’ottagono. Ebbene l’ottagono è un ottagono irregolare, quindi senza centro. Si consideri che le differenze tra gli otto lati dell’ottagono variano anche di 80 centimetri. Di conseguenza se si dovesse tentare di stabilirne il centro questo sarebbe impossibile in quanto i quattro diametri dell’ottagono si incontrano in sei punti diversi dando luogo a 6 diversi centri. Su queste rappresentazioni assonometriche mancano del tutto le linee di piegatura dei letti di posa dei mattoni in corrispondenza dei vertici dell’ottagono che sono venute alla luce in occasione della sostituzione di alcune tegole deteriorate; in occasione degli studi della Commissione nazionale era stata messa in luce un larga fascia di muratura sull’estradosso della Cupola che hanno evidenziato il fatto che i letti di posa dei mattoni non erano affatto orizzontali ma curvi con la concavità rivolta verso l’alto ovvero erano sezioni coniche generate dalla intersezione dei letti di posa dei mattoni con quella cilindrica della vela. Linee coniche simili ma rovesciate a quelle che si vedono quando si fa la punta alle matite colorate. La cupola impostata sull’ottagono è una cupola di rotazione come le cupole di epoca romana. Ma come si fa a costruire una cupola senza armatura? Non bisogna pensare a una cupoletta di 2 metri di diametro, una cupola come questa è ottagonale, ha il diametro del cerchio circoscritto all’ottagono interno a di 45 metri; quello circoscritto all’ottagono esterno è 54 metri. Allora come si fa a costruirla senza armatura? Si può pensare di fare prima un settore, poi un altro? Assolutamente impossibile. Bisogna farla per anelli successivi. Ricostruzione dei letti di posa dei mattoni che generano coniche con concavità rivolta verso l’alto Infatti le cronache parlano di otto squadre di operai che lavoravano contemporaneamente; otto sono i settori, otto le squadre di operai. Le otto squadre dovevano fare un’operazione di questo genere: un certo numero di persone sui ponti, tutte queste persone tutte insieme all’ordine di un capomastro, mettono una pietra per uno, in modo da chiudere un anello. Finché le pietre sono poste in posizione quasi orizzontale si possono mettere senza che un operaio si curi del vicino, se le ha messe o no, ma quando l’angolo di posa supera una certa inclinazione, anche se c’e la malta più potente di questo mondo, il mattone scivola; allora per non farlo scivolare, bisogna che tutti insieme chiudano un anello perché questi mattoni - potendoli tirare fuori dal loro alloggiamento - il mattone è più largo dietro e più stretto davanti perché il cerchio davanti è più piccolo, allora il mattone non può scivolare, quindi se la cupola è una piccola cupola, con 4 o 5 persone si potrebbe organizzare il lavoro e sincronizzarlo a dovere. I tre disegni rappresentano l’evoluzione dell’apparecchiatura dei mattoni a spina pesce Ma una cupola grande come quella, come si può pensare che 3000 persone, tutte insieme mettano 6000 mattoni con perfetto sincronismo? Impossibile pensarlo. Ci voleva un altro stratagemma. Inoltre bisogna ricordarsi che le condizioni meteorologiche non sempre erano favorevoli si iniziava a mettere mattoni, poi arrivava un temporale, un acquazzone, un fulmine, un operaio che cadeva dall’impalcatura e veniva meno in questa catena di montaggio: certamente si rischiava di rovinare l’opera. Quale è stata allora la grandissima invenzione di Brunelleschi che aveva visto le strutture romane, il Pantheon in particolare, e le aveva rilevate a mano libera? Brunelleschi deve aver fatto questa considerazione: immaginiamo di cominciare a costruire la Cupola mettendo due mattoni orizzontali e uno verticale – si inizia dal piano dove non ci sono problemi – si mette un mattone orizzontale e poi in fondo si vede il mattone verticale che esce fuori. Per quelli che sono sul piano orizzontale non c’è nessuna preoccupazione, si procede allora mettendone due orizzontali e uno verticale, e si conclude il primo giro. A questo punto si posizionano le seconde file di mattoni. Di conseguenza ad un certo punto si trovano gli spunzoni di mattoni che sono murati nella parte inferiore, e quindi anche se per un qualsiasi motivo è necessario sospendere i lavori non c’è pericolo che questi possano cadere perché ci sono quelli che escono da sotto, che vengono murati in continuazione e che impediscono, cioè fanno da spalla, impediscono alla parte dell’anello di scivolare. Ipotetica ricostruzione delle fasi costruttive della Cupola. Dal DVD ”I Medici nascita di una dinastia” Il disegno di Antonio da Sangallo conservato al gabinetto degli Uffizi, ha riportato questa tecnica. Cosa accade quando via via che si sale? Accade che la distanza tra mattone e mattone tende a diminuire; la distanza tra i due mattoni verticali, si stringe sempre di più. Arrivati in cima, il disegno dei mattoni è quello della spina pesce con la quale si fanno i pavimenti; una testa una testa, una testa una testa; è come se Brunelleschi avesse fatto tutti i suoi conti per partire, con mattoni fuori misura che a terra raggiungono 1,20 metri, sono mattoni di misure fuori norma, sono mattoni fatti apposta, evidentemente. Con questa tecnica si può fare la cupola rotonda. Ma si può applicare a una cupola ottagonale? E’ possibile applicare questa tecnica a una cupola che ha una base ottagonale? Si, a quanto pare si può fare non c’è dubbio. Va ricordato inoltre che la posa in opera dei mattoni, così confezionati ha reso possibile generare linee curve convesse verso l’alto e oblique verso l’interno. E’ ragionevole affermare che solo pochi eletti possono a prima vista distinguere una linea curva da una retta posta a 107 metri di altezza; ma è altresì vero che tra quelli cha hanno avuto la possibilità di osservarla da vicino, in pochi si sono accorti che quella linea di raccordo tra cupola e lanterna non è retta ma curva. (In questo disegno si sottolinea la descrizione della base della lanterna di H.Geymuller. La base della lanterna è rappresentata come una linea retta mentre è evidente una curvatura verso l’alto nel profilo inferiore forse per il deflusso delle acque meteoriche. E’ evidente che questo disegno è stato preso in toto dal rilievo del Nelli di fine ‘600.) Rappresentazione ipotetica delle fasi costruttive della Cupola dalla Rivista Focus Storia Se si prende un qualsiasi libro di Storia dell’Architettura meglio ancora se un libro per la cupola, quindi un libro che abbia l’ambizione di fare la storiografia del problema e quindi si guardano i rilievi che sono stati fatti si scopre che in tutti i prospetti della Cupola la base della lanterna cioè la base che raccorda i costoloni è rappresentata secondo una linea orizzontale cioè la cornice sarebbe una cornice orizzontale, non c’è uno che si sia accorto che quella cornice invece sembra come un ombrello capovolto. Linea curva all’attacco della cupola con la lanterna. Tutti i rilievi la rappresentano diritta: in realtà si vede chiaramente che è una linea curva generata dai letti di posa dei mattoni. In questo rilievo la linea di attacco tra cupola e lanterna è una linea dritta. “Si rileva solo ciò che si vede” (7) affermava Di Pasquale; se uno certe cose non le vede è impossibile che le rilevi. Singolarissimo caso proprio in quegli anni 1976/77 un docente della facoltà di ingegneria che era in querelle con il prof. Sanpaolesi, autore della assonometria della Cupola raffigurata in tutti i testi di Storia dell’Architettura, ebbene questo docente della facoltà di ingegneria fece un rilievo della cupola utilizzando strumenti elettronici quindi non era più l’uomo che doveva leggere ma era un raggio laser che veniva inviato, leggeva e disegnava. Quello è l’unico caso in cui la base della lanterna è letta come realmente è, ma dubito che questo docente abbia letto sul disegno la base curva, ma se uno non lo sa non legge neppure sul disegno che la base non è dritta ma è curva. In quegli anni molti laureandi in Architettura sceglievano la Cupola come tesi di laurea. Una serie non indifferente di tesi di laurea è servita all’interno dell’Istituto di Scienza delle Costruzioni della Facoltà di Architettura di Firenze, per effettuare il rilievo della cupola, rilievo che nessun altro ha poi fatto: tutti i mattoni visibili della cupola uno per uno, sono stati rilevati per contatto; quindi appoggiando dei grandi fogli sulle murature e molti laureandi pazientemente lo hanno fatto, hanno rimarcato le sagome di tutti i mattoni di modo da rendere possibile una ricostruzione in scala della cupola con le varie campionature dei mattoni riprodotti ugualmente in scala. (Rilievo a contatto dei mattoni disposti a spina pesce: vedi immagine accanto). Queste tesi sono state utilizzate dai componenti la Commissione Nazionale per la Cupola i quali attraverso le indagini dirette da essi stessi effettuate e dai dati contenuti nelle tesi di laurea sono giunti alla conclusione che la cupola è gravemente lesionata, che le lesioni hanno iniziato a manifestarsi qualche hanno dopo la conclusione dei lavori, che molte ipotesi non hanno avuto conferma, ma soprattutto e questo è molto importante, i segreti o presunti tali che hanno portato alla costruzione della Cupola sono stati quasi totalmente chiariti anche se gli ambienti Accademici rimasero ostili alla ipotesi proposta dalla Commissione. Un primo dato di fatto è che la sola cupola pesa circa 25000 tonnellate; la lanterna che è posta sopra pesa circa 800 tonnellate Non pochi storici dell’architettura, i quali pensavano e pensano tuttora che la stabilità della cupola derivi dalla lanterna sono stati ingannati da questa ipotesi. Alcuni pensano ancora che sia stato messo questo gran peso per stabilizzare la struttura; sciocchezze, perché la lanterna pesa soltanto 800 tonnellate. Si faccia il raffronto, 800 tonnellate la lanterna 25000 la Cupola quindi non c’è da fare paragoni. Nella figura A si possono vedere le buche pontaie al livello della sezione sul tamburo. Nella figura B una ricostruzione ipotetica di un ponteggio in legno che utilizza le buche pontaie per l’inserimento delle travi portanti. Le buche pontaie una volta liberate dalle travi del ponteggio, funzionavano come giunti di dilatazione, avevano la stessa funzione che oggi si può sentire, più che vedere, quando si transita su un viadotto, cioè il rumore delle gomme che passano sui giunti metallici posti tra le travi. Se le buche e i giunti si eliminano o nel peggiore dei casi se ne altera la fisionomia, la struttura collassa; le tensioni interne non si dissipano. La conseguenza è che si generano altre tensioni anomale che producono a loro volta lesioni e crepe nella muratura. Durante le fasi costruttive della Gabbia dei Grilli le travi che avrebbero dovuto reggere il ballatoio esterne furono infilate all’interno delle buche pontaie alterando definitivamente e in maniera irreversibile gli equilibri interni della struttura. Non è un caso, come si dirà dopo, che le lesioni più importanti siano state localizzate in corrispondenza della vela interessata all’intervento esterno. “Mi sembra una gabbia per grilli” fu il commento di Michelangelo Buonarroti... quando vide il ballatoio a loggiato con colonne di marmo bianco ai piedi della cupola di Brunelleschi. Era il 1506 quando venne affidata la rifinitura della grandiosa cupola a Baccio d’Agnolo. Egli aveva previsto un ballatoio a loggiato con colonne su tutti gli otto lati che formano la base della cupola. Alle parole di Michelangelo che così duramente aveva giudicato il suo operato Baccio offeso non terminò il lavoro che rimase come lo si vede oggi. Altra certezza riguarda lo stato di salute della”grande macchina” ; è gravemente malata o meglio è gravemente lesionata. Si dice impropriamente che la Cupola respira. Cosa significa che la Cupola respira? Semplicemente che a causa delle dilatazioni termiche d’inverno con il freddo i materiali si restringono, quindi le fessure si aprono; d’estate con il caldo i materiali si dilatano e quindi le lesioni si chiudono ma mai completamente. La Cupola poggia su una base ottagonale impostata all’incrocio con il transetto; la navata principale della chiesa termina con un grande arco al quale corrispondono due simmetrici ortogonali alla navata e un altro sull’abside maggiore, mentre invece sui lati che s’alternano a questi archi abbiamo altri piccoli archi diciamo di passaggio. In sostanza è come se avessimo la Cupola che poggia sopra, alcune zone, che sono quasi piene, su un lato dell’ottagono, mentre un’altra parte dell’ottagono sono vuote. Potendo schematizzarne si avrebbero degli appoggi, un appoggio si e uno no. La Cupola è divisa in 8 parti. Tutti parlano di 4 grandi lesioni, in realtà le lesioni sono 4000. In realtà essa è completamente fratturata. Le fratture più grandi si trovano secondo due piani ortogonali fra di loro passanti per il suo asse; immaginandola come una mezza arancia messa sotto sopra si tracciano due piani perpendicolari, è come se fosse spaccata ma non completamente perché le fratture arrivano per ora a 2/3 dello sviluppo della vela. La grande lesione nella vela in corrispondenza della Gabbia dei Grilli L’origine di queste fratture è un problema gravissimo al quale il Prof. Di Pasquale ha dato una risposta. Nella sezione fatta sull’asse maggiore della chiesa dove si vede chiaramente la caratteristica della Cupola di essere fatta con due strutture, una interna a una esterna e come scrisse Brunelleschi, nel documento firmato nel 1423, ove si legge che egli pensò di fare due cupole, sottolineando il fatto che il pericolo più grave per i mattoni era prodotto dalla umidità, dalle infiltrazioni dell’acqua e allora egli pensò di affidare le funzioni statiche alla Cupola grande interna, quella che ha lo spessore maggiore di 2 metri e 20 e poi attraverso una serie di archi disposti in piani verticali e di altri archi disposti grosso modo orizzontalmente, avrebbe fatto scaricare sulla struttura interna portante una cupoletta più sottile esterna, che ha uno spessore di 80 cm affidando a questa cupola esterna ricoperta a sua volta di tegole, il compito di proteggere la cupola interna. In questo prospetto della vela sovrastante la Gabbia dei Grilli risulta che mentre il primo camminamento è orizzontale, il secondo e il terzo hanno pendenze e differenze di spessore. Si nota inoltre la grande lesione che parte a sinistra della porta del secondo livello e si propaga in verticale fino all’intradosso del solaio del terzo livello. In alto il prospetto o vista frontale della vela senza guscio esterno. In basso una sezione sui ballatoi lungo la mediana verticale Per arrivare alla sommità della Cupola è necessario salire 465 scalini, si arriva prima ad un ballatoio, poi ad un secondo, si vede durante il percorso la muratura bianca di collegamento tra la cupola esterna ed interna e un ballatoio che gira intorno, un corridoio che gira intorno; su questo corridoio al centro della vela è ricavato all’interno della cupola interna un vano che termina con una piccola finestrina, della quale si vede l’interno del Duomo. Dal punto di vista statico una Cupola funziona secondo due schemi strutturali che sono dentro di essa: gli archi, che assolvono al compito del funzionamento principale, e le catene, cioè il funzionamento per anelli, che hanno compito di assorbire le trazioni, gli archi lavorano a compressione gli anelli, fino a una certa quota, partendo dal basso, lavorato a trazione. Di fianco la sezione lungo la mediana verticale della vela in corrispondenza della Gabbia dei Grilli. Dal rilievo è risultato che la calotta esterna va rastremandosi verso l’altro passando da circa 96 cm a circa 40cm; quella interna passa da 220 cm a circa 200. In basso si intravede una buca pontaia, poi i 5 camminamenti e la Gabbia del Grilli. Percorrendo il primo ballatoio, dopo essere usciti dalla scala interna elicoidale che dall’interno del Duomo porta sopra il tamburo, si arriva sotto gli affreschi e da questa quota si possono osservare le prime lesioni che l’ultimo restauro ha lasciato ben in vista. Si nota inoltre che in corrispondenza di molte di queste lesioni sono stati posizionati dei sistemi di monitoraggio che misurano l’apertura e la chiusura, le dilatazioni termiche delle lesioni, il respiro della Cupola. Nel 1979 ad uno studente laureando, oggi architetto, venne affidato il compito mettere in ordine i primi risultati emersi dall’analisi dei diagrammi degli apparecchi di misura che erano stati collocati all’intradosso della Cupola. Questo studente fece una considerazione di eccezionale importanza. Nel 1979 la Commissione si trovò davanti al problema delle datazione dell’inizio delle lesioni. Le cronache danno come inizio come, prima data, la fine del ‘500. In realtà le lesioni si manifestarono ancor prima di questa data e a questa conclusione si arrivò grazie alla considerazione di questo studente. Egli notò che agli angoli della Cupola, sul ballatoio interno, dove comincia la zona dipinta viene rappresentato alternativamente, un vaso e un dannato; gli storici non hanno dato grande peso a questa cosa, sbagliando. Quali siano le simbologie non le conosco, ma i dannati stanno proprio dove comincia la zona affrescata, nella parte inferiore della Cupola, dove c’è l’inferno, poi il purgatorio, poi Nostro Signore trionfante. Questi dannati hanno il corpo lacerato, si stanno disperando. Ebbene questo studente notò con notevolissima arguzia, che la lacerazione delle carni della pelle camminava esattamente sulla lesione. E’ chiaro quindi, che il pittore, l’ideatore di questi affreschi, avesse voluto sfruttare il fatto oggettivo della rottura del materiale per trasformarlo anche in un fatto simbolico. Questo ha permesso allora di abbassare la data dell’inizio delle lesioni intorno al 1572, quando Giorgio Vasari preparò lo studio per gli affreschi. Dai rilievi e dalle foto si può seguire l’andamento delle lesioni. Il dannato che si lacera la carni. Il pittore ha affrescato la lacerazione in corrispondenza di una grande lesione In corrispondenza della Gabbia dei Grilli, visibile dall’esterno della Cupola, è l’opera di rivestimento del tamburo, a suo tempo è stato manipolato l’apparecchio murario per mettervi dentro le travi per sostenere dall’interno la Gabbia dei Grilli. Senza dubbio questa operazione ha avuto effetti disastrosi sulla Cupola, non a caso la più grande lesione si trova sulla parete dove c’è la Gabbia dei Grilli. Un’altra certezza consente di escludere qualunque difetto di fondazione; le lesioni sono tutte all’interno della Cupola, appartengono alla Cupola. I diagrammi frutto del monitoraggio sono rappresentati in nero e in rosso: in nero le lesioni al tempo della commissione in qui lavorava Pier Luigi Nervi, in rosso gli incrementi delle lesioni. E’ stata azzardata una ipotesi che queste lesioni arrivino alla base della lanterna. In 450 anni di vita hanno percorso 2/3 dell’altezza. Prima che vi arrivino, se vi arriveranno, alla base della lanterna, ci vorranno centinaia di anni. La Gabbia dei Grilli nascosta dalle impalcature durante uno dei periodici interventi di restauro e consolidamento Il risultato dei calcolo è di tutta tranquillità cioè la Cupola può rimanere nella situazione in cui è, lesionata, questo è un problema enorme come significato dal punto di vista del restauro dei monumenti perché vorrò vedere quali saranno quegli architetti o quegli ingegneri che decideranno di mettere le mani sulla cupola di Santa Maria del Fiore. La terapia, se si può prendere in considerazione l’ipotesi di tenere sotto terapia la Cupola, è una terapia molto elementare, cioè la Cupola deve essere lasciata come sta, bisogna soltanto pulire le fratture perché essendo soggette alle variazioni termiche, si aprono e si chiudono - la Cupola respira - quindi cadrà sempre qualche briciolina in terra che metterà in allarme il personale dell’opera del Duomo. Nel 1432 si discute la forma dell’anello di chiusura, si prepara un modello al vero e si decide per l’ottagono. Nel 1436 Brunelleschi prepara il modello della lanterna e nel 1438 iniziano i lavori con la preparazione degli elementi marmorei. Il montaggio inizia soltanto nel 1446, l’anno della morte di Brunelleschi e si conclude soltanto nel 1471. Brunelleschi non vide mai la sua opera conclusa. Nel gennaio del 1989 iniziano i restauri del più grande ciclo pittorico della Cristianità. Sfruttando le buche pontaie utilizzate per la costruzione nel 1424 e dalla Commissione nel 1978. I restauratori si sono trovanti davanti uno spesso strato di sporco generato dal fumo delle candele. L’acqua piovana che penetrava dalla base della lanterna e di alcune zone angolari, aveva creato danni evidentissimi in zone molto vaste dell’affresco. Le analisi che avevano preceduto l’intervento avevano evidenziato l’uso di diverse tecniche e di diversi materiali oltre ad alcune superficialità nel preparare la base per l’intonaco. In alcuni punti i pittori avevano addirittura utilizzato frammenti di legno e calce non spenta per preparare i supporti. E’ stato inoltre rilevato che gli affreschi realizzati da Giorgio Vasari erano stati eseguiti con pittura a tempera ed erano meglio conservati. I restauratori hanno effettuato il cosiddetto preconsolidamento nello zone dove l’intonaco non aderiva più alla muratura, poi la prima fase la pulizia con l’utilizzo di acqua deionizzata, poi è stata utilizzata una soluzione a base di idrossido di bario per il consolidamento della superficie pittorica. Infine in tre zone particolarmente danneggiate si è proceduto utilizzando la tecnica del distacco. I restauratori, con la tecnica del distacco asportano gli affreschi dall’intradosso della Cupola. Fotogramma catturato dallo Speciale di RAITRE realizzato in occasione della cerimonia di riconsegna alla cittadinanza e al mondo degli affreschi della Cupola. Una lesione con distacco dell’intonaco e della pittura. Fotogramma catturato dallo Speciale di RAITRE realizzato in occasione della cerimonia di riconsegna alla cittadinanza e al mondo degli affreschi della Cupola. La tecnica del distacco è un’operazione assai rischiosa che comporta l’utilizzo di sofisticate apparecchiature e di personale altamente qualificato. In questo caso, la scelta è stata obbligata dal fatto che in tre aree ben distinte le lesioni avevano provocato delle crepe talmente ampie da poter ospitare la testa di un restauratore. Ciò aveva comportato il distacco della base di appoggio dell’affresco e di conseguenza era necessario consolidare questa base per poter riattaccare l’affresco. Era un’operazione assai rischiosa che avrebbe potuto compromettere intere aree affrescate. I tecnici hanno quindi optato per il distacco che avviene in tre momenti differenti: nel primo si passa sulla zona da distaccare una colla vegetale; nel secondo si fissa una sorta di garza che fungerà da supporto; nella terza fase la colla seccandosi unitamente alla garza genera una trazione controllata che consente il distacco dopo averlo tagliato con una lama rotante simile a quella utilizzata in sala operatoria. A questo punto l’area interessata viene distaccata, portata in laboratorio e inizia la fase di realizzazione di un nuovo supporto dove appoggiare l’affresco; si consolida l’intonaco, si riprendono i colori e una volta terminato il tutto viene inserito nel suo alloggiamento. Infine con l’ausilio di acqua demineralizzata si scolla la garza. I restauri sono durati circa 8 anni e affreschi indietro di 400 anni al tempo di Vasari e Zuccari. Nel 2007 sono iniziati i lavori di restauro e consolidamento statico della Gabbia dei Grilli tuttora in corso. Nel 2009 il sindaco di Firenze Matteo Renzi ha deciso di chiudere al traffico, pubblico e privato, l’area intorno al Duomo nonostante che i fiorentini chiamati ad esprimersi sul progetto di far transitare la metropolitana di superficie, Sirio, a doppio binario intorno al Duomo avessero risposto positivamente!!!!!!!! Poco prima di morire, il 2 novembre del 2004, il prof. Salvatore di Pasquale ha rilasciato una intervista a Cinzia Torricelli poi pubblicata sul periodico Costruire in laterizio. Ecco una sintesi del suo pensiero. Salvatore Di Pasquale A colloquio con Salvatore Di Pasquale – Intervista di Cinzia Torricelli Uscirà a breve il libro di Salvatore Di Pasquale, Brunelleschi, la cupola, le macchine, editore Marsilio, nel quale l’Autore darà alle stampe gli esiti di anni di ricerca, colta e curiosa, sulla concezione e la costruzione della Cupola di Santa Maria del Fiore in Firenze. Indagine sui documenti, ricostruzione di modelli, ma anche l’attenta e appassionata lettura del De Architettura di Leon Battista Alberti e degli altri suoi scritti, il “De Pictura” e il “De Statua”, per scoprire, nelle parole del trattatista amico di Brunelleschi, la regola che, codificando una tecnica costruttiva, ne dà l’interpretazione strutturale. L’arte del costruire si muove fra conoscenza e scienza, come dice il titolo del precedente libro di Di Pasquale. Le regole del buon costruire sono la riflessione sulla fenomenologia del costruito. Mancano di analisi delle cause? Ma non si può per questo pensare che non costituiscano una interpretazione dei fenomeni costruttivi. Queste ricerche di Di Pasquale supportano le sue posizioni sul ruolo delle discipline costruttive nella formazione dell’architetto; la preoccupazione per la formazione da parte di un docente che insegna queste discipline da quaranta anni nelle Facoltà di Architettura cercando di dare unità a linguaggi scientifici, tecnici e umanistici. Salvatore Di Pasquale, da anni tu conduci una appassionata e ostinata indagine sulle architetture voltate in muratura e, in particolare, sulla Cupola di S. Maria del Fiore del Brunelleschi. Su questa è annunciata a breve l’uscita di un tuo libro che capovolgerà molte delle precedenti interpretazioni sulla sua concezione e costruzione. Abbiamo avuto alcune anticipazioni in articoli, conferenze e lezioni; ne ricordo una recente, condotta quasi esclusivamente con l’ausilio dei gesti, del gesso e della lavagna, e rivolta agli studenti del primo anno. Vuoi parlarcene? Quello che io ho fatto è stato leggere attentamente Leon Battista Alberti. Nessun “costruttore” lo ha letto; solo letterati si sono cimentati con la sua opera. E così nessuno ha capito l’importanza di quello che ha scritto Leon Battista Alberti. Un personaggio come l’Alberti ha scritto che Brunelleschi ha impostato sull’ottagono del tamburo di base una cupola di rotazione, perché non c’era altro modo costruttivo e strutturale, e nessuno l’ha capito. Certo è difficile interpretare il suo latino e il suo scrivere sintetico. Nell’Ottocento Joseph Durm, nel suo libro sulla Cupola, è l’ultimo a sostenere l’idea che questa fosse stata fatta a somiglianza del vicino Battistero di S. Giovanni, seguendo cioè la forma di una piramide rovescia, con i mattoni posati su letti che si piegano a formare le facce di una piramide. In questa sua ipotesi ci sono dei problemi costruttivi insormontabili. Nell’angolo fra due facce di una piramide succede un pasticcio terribile. Come si collegano i mattoni all’angolo fra i due piani inclinati delle facce contigue della piramide? Sanpaolesi, seguendo l’ipotesi di Durm, diceva che erano stati utilizzati, nella Cupola, per fare l’angolo, dei mattoni piegati a libro, con un’angolatura che varia ad ogni corso di mattoni, dal momento che, man mano che sale, l’angolo fra le facce della piramide si riduce. Questa è un’assurdità dal punto di vista produttivo e costruttivo. Probabilmente nel 1419 il panorama di Firenze si presentava così ovviamente senza l’edificio che ospita la Biblioteca Nazionale, in basso a destra, la cupola delle Cappelle Medicee dietro il campanile di Giotto e le tribune morte alla base della cupola. La Cupola inserita nel tessuto urbano. Panorama di Firenze da Piazzale Michelangelo Quando nel 1976, per rifare il manto della Cupola, sono state tolte le tegole in cotto, è stato possibile vedere l’apparecchiatura dei mattoni e l’ipotesi di una apparecchiatura secondo facce piramidali è risultata evidentemente smentita. Se vuoi evitare gli angoli, invece di murare secondo una piramide devi comunque posare i mattoni in cerchio, anche se la struttura si imposta su un ottagono e ha la forma di una cupola a padiglione. Leon Battista Alberti lo aveva scritto, ma è difficile da spiegare senza disegni e Leon Battista Alberti, a differenza di Leonardo, non disegna. In tre righe, non di più, lui afferma che si può fare qualsiasi costruzione a cupola senza armature di sostegno, a patto che idealmente sia possibile inscrivere, all’interno dello spessore della costruzione, una ideale superficie rigorosamente di rotazione. Per superficie di rotazione si deve intendere quella generata dalla rotazione di una qualsiasi linea contenuta in un piano che ruota intorno ad un asse verticale. Nella cupola di rotazione, tracciando un ideale cono rovescio che ha il vertice al centro della cupola, ad un’altezza qualsiasi, e interseca la cupola, i letti dei mattoni sono messi in cerchio, posati inclinati secondo la superficie del cono, ed hanno ad ogni letto tutti la stessa inclinazione, che è la condizione per la stabilità di ogni anello. Ma se la cupola deve essere a padiglione e raccordarsi con il poligono di base del tamburo su cui si imposta, cosa succede per mantenere idealmente nel suo spessore il disegno di una cupola di rotazione? Alcuni punti, in relazione ai vertici delle vele, sono più distanti dal centro, ma poiché i corsi dei mattoni devono essere messi su letti circolari senza interruzione e secondo una inclinazione ad ogni letto costante, si tratterà di realizzare corsi di spessore diverso, dall’angolo dell’ottagono al centro di ogni lato, e in prospetto il cerchio dei corsi apparirà come una spezzata di archi. Ma questa è solo una illusione ottica. Prendi una classica matita rossa e blu a forma di prisma ottagonale e appuntala con il cono del tempera matita:il cerchio della sezione del cono nel raccordo con il prisma appare come una spezzata di archi capovolti. Così nel 1976 io vidi l’apparecchio dei mattoni della cupola, a conferma della loro posizione su letti circolari. Su questa ipotesi abbiamo, qui al Dipartimento, costruito dei modelli, che ti posso far fotografare per la rivista; il discorso risulterà più chiaro. Leon Battista Alberti nel 1432 era a Firenze. Grande amico di Brunelleschi, gli dedica il suo De Pictura con un prologo nel quale gli dice: “ma come è possibile che questa tua idea, così semplice, di voltare in tal modo la Cupola di S. Maria del Fiore non sia stata pensata da altri?” L’indagine sulla Cupola di Brunelleschi, oltre che essere affascinante per la sua intrinseca rilevanza, è di grande attualità nel riproporre la riflessione sulla relazione fra progetto e costruzione. La costruzione in quanto mestiere, tecnica, processo del costruire informa il progetto, la sua concezione. Per la Cupola del Brunelleschi questa affermazione è assolutamente vera. Ma è ancora attuale nella pratica di oggi? C’è un altro aspetto di cui ti parlo volentieri: il ruolo di Leon Battista Alberti nel pervenire ad una concettualizzazione scientifica della tecnica. Nel mio precedente libro, L’arte del costruire. Tra conoscenza e scienza, io affermo che con Galileo ha avuto inizio una rivoluzione epocale nel pensiero strutturale; nasce la scienza delle strutture, il sapere che anticipa il fare, mentre prima la conoscenza si basava sull’esperienza, una “conoscenza senza fondamenti teorici. Per il ruolo di Leon Battista Alberti questa affermazione non è del tutto vera. Egli ha innescato una specie di regolamentazione per le costruzioni, una normativa ante litteram, e così traduce in un concetto il fare, trasforma una particolare tecnica costruttiva in una regola generale, dà una interpretazione strutturale. Nella regola c’è la concettualizzazione scientifica della tecnica. In questo lo aiuta il suo esporre gli argomenti con le parole, imponendosi una trattazione logica che il disegno non richiede; il disegno significa percezione, intuizione, sensazione, permette un altro percorso conoscitivo. Leon Battista Alberti si è assunto il ruolo di codificare, non è semplice, una tecnica costruttiva. Tra Vitruvio e lui non c’è nulla. Ci sono sì i “Commentari” di Lorenzo Ghiberti, una cosa folle addirittura. Vitruvio con i suoi libri del “De Architettura” aveva stabilito i codici per costruire, ma si era fermato prima delle grandi costruzioni imperiali a cupola. Leon Battista Alberti vede le grandi cupole dell’impero romano, guarda quello che fa il suo amico Brunelleschi e salda l’anello interpretativo. Le cupole romane sono monolitiche, grazie alla massa concretizia di ciottoli di pietra e pozzolana. Brunelleschi lavora con la muratura. La stabilità generale ad ogni corso, apparecchiato senza l’ausilio di centine, è assicurata dall’anello di mattoni affiancati che si chiude su se stesso. Durante la costruzione i settori di arco del cerchio sono contrastati, per una stabilità locale, da mattoni messi a lisca di pesce, che collegano verticalmente un corso con quello precedente. Una volta rispettate queste regole costruttive, la forma può essere quella ricercata architettonicamente. Per motivi di efficienza costruttiva il muro può essere parzialmente cavo, presentare dei cunicoli, purché il cerchio che stabilizza la cupola sia inscritto nelle sua sezione complessiva. Sempre Leon Battista Alberti, nel De statua, insegna il metodo per passare da una piccola statua ad una gigantesca e inventa uno strumento che è lo stesso che serve per passare dal modello della cupola che Brunelleschi aveva in bottega, al cantiere. Dalla bottega al cantiere, dal modello all’opera, Brunelleschi controllava le dimensioni, adeguava il modello agli scarti dimensionali della cattedrale preesistente (nel tamburo i lati dell’ottagono non sono uguali fra di loro: dal più grande al più piccolo c’è uno scarto di 70 cm). La logica di avanzamento dei lavori seguiva le esigenze strutturali (la stabilità locale e generale, l’indurimento della malta) e veniva riportata sul modello. Il rapporto fra concezione e costruzione è ancora forte nell’opera di alcuni grandi pionieri delle strutture in cemento armato, ideatori, progettisti e costruttori ad un tempo, come furono Nervi, Morandi, Freyssinet. Ma oggi, non solo la realtà produttiva, ma forse ancor di più l’organizzazione delle scuole per la formazione nel settore dell’architettura e dell’ingegneria sembrano accentuare ogni separazione fra le diverse competenze che intervengono nel progetto di un’opera e nella sua realizzazione. Tu hai insegnato dagli anni Sessanta, gli anni delle avanguardie e della rivoluzione del Sessantotto, e ancora oggi insegni negli anni dell’eclettismo e della riforma universitaria. Quale è oggi il ruolo delle discipline costruttive nella formazione dell’architetto? Oggi, almeno nelle dichiarazioni programmatiche, si e consapevoli della necessità di assumere come obiettivi della riorganizzazione degli studi il fare e il saper fare: al centro della struttura didattica ci sono i laboratori. L’insegnamento della Scienza delle Costruzioni, disciplina cardine di tutte le Facoltà di Ingegneria, dall’atto della loro fondazione, e delle Facoltà di Architettura, che l’avevano presa a parziale modello all’atto della loro nascita, è oggi in crisi. Questa crisi è motivata dal fatto che essa ha esaurito il campo delle possibili ricerche sui problemi normali. Tuttavia la tecnica costruttiva ha introdotto variazioni sui terni della normalità degli edifici, e quindi sulla loro concezione originaria, che richiedono conoscenze di altra natura, maturate prevalentemente nei cantieri. Il percorso didattico tradizionale, Statica, Scienza delle Costruzioni e Tecnica, faceva precedere la teoria alle applicazioni, e per far ciò richiedeva le premesse necessarie costituite da tutta la strumentazione analitica che confluisce negli esami di Analisi Matematica. Oggi, con la costituzione dei laboratori, come luoghi deputati all’insegnamento della praxis, dove contemporaneamente si svolgono materie di progettazione architettonica e tecnologica costruttiva, viene eliminata nei fatti la fase dell’episteme, della conoscenza scientifica, come fondamento rigoroso della prassi. Le conseguenze di questo profondissimo mutamento non mi pare siano state recepite da chi è nato, è cresciuto ed è stato educato a credere nel valore assoluto della conoscenza razionale. Ma ci sono altre considerazioni. La costruzione dell’architettura richiede l’uso di materiali e l’invenzione di forme, rispondenti a esigenze sulle quali gli architetti hanno costruito tutta la loro cultura e che Vitruvio aveva sintetizzato nelle tre categorie della concinnitas, della firmitas e della venustas. Cultura tecnico—scientifica, cultura letterario—umanistica, cultura artistica. Non so se i padri delle Facoltà di Architettura si fossero resi conto della vita difficile cui la creatura tricefala era destinata fin dalla nascita. Questa è, da sempre, la difficoltà della laurea in Architettura, perché è estremamente difficile trovare giovani disponibili ai tre linguaggi. Inoltre mancano ancora molti elementi per avere un quadro sufficientemente completo: per esempio tra il sapere ed il saper fare c’è la necessità di formare al saperfarfare, sapere chiedere ad altri di fare, sapere gestire il progetto, il cantiere. Nel tuo insegnamento, oltre che nelle tue ricerche, tu hai sempre dato rilevanza al ruolo della storia. La storia delle tecniche costruttive e della tecnologia. Pensi che questo ruolo sia oggi ancora importante nell’epoca della fine delle certezze? Galileo ha svolto un’azione importantissima. Ma per noi oggi sono necessari altri processi cognitivi. Dalla conoscenza delle cause derivo la conoscenza degli effetti; ma se le cause non hanno la possibilità di avere una definizione precisa e rigorosa, come si fa ad arrivare alla conoscenza degli effetti? Ci sono altri tipi di conoscenza; siamo stati messi in mano a Cauchy, ma quella strada non è la sola. Si devono rivalutare altre forme di conoscenza che derivano da altri modi di apprendimento, e certo in questo la storia della tecnologia è uno strumento importante. E non intendo tanto la storia come descrizione delle tecniche del passato, come rilettura dei fatti costruttivi nelle epoche passate, ma la storia come interpretazione di ciò che in un’epoca è accaduto, di ciò che oggi sta accadendo. Occorre, intendo dire, prima di impartire conoscenze di fatti storici, formare alle categorie della storia nel progetto. La storia delle costruzioni è stata fino al XIX secolo la storia delle murature e della carpenteria lignea. Quali innovazioni sono oggi possibili nella tecnica delle murature? Alcune cose che possono apparire nuove in realtà sono spesso soltanto dimenticate e riscoperte. Per esempio, dopo il terremoto del 1908 a Reggio Calabria e Messina (ricordo il bel libro di Aricò Milella Ricostruire dopo il terremoto) furono banditi dei concorsi per sistemi anti-sismici e si inventò anche il sistema di costruire con mattoni armati. Ma la muratura armata non è altro che un’estensione del cemento armato: in Francia nasce, nel contesto delle sperimentazioni del beton armé, il brique armé di Anatole de Baudot. Quello che è diverso è la tecnica costruttiva, un materiale gettato e un materiale murato, non la concezione e il funzionamento strutturale. I materiali, con la loro capacità di sopportare tensioni di trazione e/o compressione, sono un vincolo alla innovazione delle tecniche costruttive e delle conseguenti forme dell’architettura. Facendo un ragionamento a partire dal materiale, se esso reagisce solo in compressione o solo in trazione è difficile trovare una soluzione strutturale che possa andargli sempre bene. Se invece ha questa doppia possibilità si possono inventare più forme, la complessità formale mette in gioco le due resistenze. Questo spiega il motivo della permanenza nelle strutture voltate in muratura delle forme della tradizione? La forma di un’architettura voltata in muratura è vincolata dalla capacità della muratura di lavorare quasi esclusivamente in compressione e, conseguentemente, per assicurare questo funzionamento, deve mantenersi sotto le diverse azioni, ed essere garantita dalla connessione stretta di tutti i pezzi di cui la muratura è fatta. Il guscio invece, con le sue diverse possibili configurazioni, per sua natura nasce come struttura in cemento armato. Tuttavia è possibile introdurre nella muratura voltata degli elementi discontinui che sopportino le trazioni e permettano maggiori libertà di forma: è il principio della catena in ferro negli archi in muratura. Questa possibilità non è certo sfruttata formalmente nelle strutture ad arco del Padiglione del Futuro di Peter Rice alla esposizione di Siviglia. Lì la pietra, come materiale strutturale, è utilizzata a compressione in una struttura ad arco a tutto sesto che per essere libera, reticolare e sottile, ha bisogno di essere stabilizzata da un’altra struttura in acciaio che l’affianca lavorando prevalentemente a trazione, e obbligando la pietra a lavorare in compressione. È la tradizionalità della tecnica costruttiva, con tutte le sue esigenze di qualità del mestiere, che spiega lo scarso ricorso oggi nel mondo occidentale alle strutture voltate in muratura? Le tecniche tradizionali hanno sì problemi di mestiere, ma ci sono ora macchine automatiche per tagliare le pietre e comunque penso che, più che di problemi di tecnica costruttiva, si tratti di problemi di garanzie di sicurezza che la società moderna vuole e che le strutture voltate non sono in grado di assicurare, in particolare in zone sismiche. Se è il materiale ad essere portatore di una sua specificità costruttiva e strutturale, l’innovazione passa attraverso l’invenzione di nuovi materiali, l’ingegneria dei materiali? È questa la strada anche per le murature? La risposta può essere più semplice di quanto si possa immaginare. Se tu lasci fare al materiale ciò che gli è consentito di fare, le forme strutturali sono quelle e sono immodificabii. Non puoi fare una trave in muratura. Ma se tu intervieni sul comportamento del materiale modificandolo, ad esempio con un artificio qualunque lo metti in condizione di reagire a trazione come non poteva, i suoi campi applicativi e la sua concezione strutturale possono ampliarsi. Non è tuttavia detto che si debba intervenire sulla natura dello stesso materiale, che si debbano creare per forza materiali innovativi, materiali compositi ad esempio. Si può ancora lavorare sulle tecniche costruttive, riscoprire ad esempio le antiche tecniche di “messa in forza”, per cui il materiale non è solo la sua struttura fisico—chimica, ma anche il suo stato di coazione, indotto allo scopo di resistere a determinate tensioni in opera. Quando Vitruvio descrive un architrave in muratura di mattoni parallelepipedi suggerisce di ricorrere all’architrave subcuneatus. Cosa significa? I letterati hanno tradotto non ti dico come, ma è molto semplice: poiché un architrave tende a passare dalla posizione rettilinea a quella inflessa, l’inserimento in mezzeria, all’intradosso dell’architrave, di un cuneo lo rende capace di sopportare la crisi. E la precompressione della muratura che annulla le tensioni di trazione, là dove esse si manifestano. Direi che per le murature si può ancora lavorare sulla tecnica costruttiva, sul modo di connettere il materiale tradizionale per far partecipare la maggior parte possibile della costruzione nella funzione strutturale. Si pensi ancora, ad esempio, agli elementi strutturali di rinforzo, una costola sporgente su una parete in muratura: questi possono anche rappresentare punti di debolezza. Se l’azione agisce direttamente sulla costola si manifesteranno delle fratture ai lati, là dove essa si raccorda alla parete e si concentrano le tensioni: natura non facit saltum. Bisognerebbe che la costola di rinforzo si raccordasse senza spigoli vivi alla parete; ma con i mattoni e la muratura questi raccordi non sono facili da realizzare. La solidarietà di tutte le parti nella muratura è limitata sì dalla non resistenza a trazione,ma anche dalla discontinuità fra i diversi elementi costruttivi che costituiscono il sistema. BIBLIOGRAFIA 1 - C. Guasti, Santa Maria del Fiore…Firenze 1887 – Ed. Ricci (2) – G. Vasari, Le Vite de più eccellenti architetti, pittori et scultori, Firenze 1550 – Ristampa Einaudi 1991 (3) – Giorgio Vasari, op.cit, pag 352 (4)– L. Benevolo, Storia dell’Architettura del Rinascimento, Bari, Ed. Laterza, 1978 (5) – A. Manetti, Vita di Filippo di Ser Brunellesco (6) – Dalla registrazione da me effettuata nel 1985 presso la Facoltà di Architettura di Firenze dipartimento di Storia dell’architettura. In questa occasione il prof. Salvatore di Pasquale ha esposto davanti ad una platea composta da studenti, docenti della Facoltà, studiosi italiani e d esteri, il risultato degli studi effettuati dalla Commissione per la Cupola. (7) idem come sopra Altre fonti bibliografiche sono: E. Battisti – Brunelleschi – Electa Editrice Milano 1976 L. Vagnetti - L’architetto nella storia dell’Occidente Ed. Teorema Firenze 1973 F. Fanelli – Firenze - Le città nella storia d’Italia – Ed. Laterza Bari 1981 S. Di Pasquale - Brunelleschi, La costruzione della Cupola di Santa Maria del Fiore – Ed. Marsilio, Venezia 2002 Le immagini sono state prese da diversi libri di Storia dell’Architettura, da trasmissioni televisive quali Superquark, da pubblicazioni su CD e DVD quali: Le meraviglie del Rinascimento, Focus Storia I Medici: nascita di una dinastia – DVDTECA Storica del quotidiano “Il Giornale” Milano 2003 La foto delle macchine sono state scattate de me al museo dedicato a L. da Vinci a Vinci e nel Duomo di Firenze. Arch. Sergio M. Rizzi docente di Costruzioni e Tecnologia delle Costruzioni presso l’Istituto Tecnico per Geometri “G. M. Devilla” di Sassari