A. Lindiner, Il contratto di rivelazione di diritti successori

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A. Lindiner, Il contratto di rivelazione di diritti successori
JUS CIVILE
ANTONIO LINDINER
Dottorando di ricerca – Università di Palermo
IL CONTRATTO DI RIVELAZIONE DI DIRITTI SUCCESSORI
SOMMARIO: 1. La decisione della S.C. – 2. Il contratto atipico e il giudizio di meritevolezza nelle riflessioni della dottrina. – 3. (Segue) e nell’applicazione giurisprudenziale. – 4. Inquadramento e disciplina del contratto
atipico di rivelazione di diritti successori. – 5. Il rapporto contrattuale di fatto, l’ingiustificato arricchimento e
la gestione di affari altrui quali fonti di una pretesa in danaro a favore del cercatore d’eredi.
1. – La sentenza in esame è, a quanto consta, la prima pronuncia di legittimità nel nostro ordinamento in ordine ad un contratto atipico che, aderendo alla formulazione proposta in dottrina, si può denominare «contratto di rivelazione di diritti successori» 1. Fattispecie (ancora?)
scarsamente diffusa in Italia, ma ben più nota in altri paesi, come la Francia e gli Stati Uniti, può
descriversi, richiamando le parole della S.C., come l’accordo «mediante il quale un operatore
economico, dopo aver raccolto informazioni vantaggiose per qualcuno (circa lasciti ereditari,
donazioni, premi, assegnazione gratuita di azioni societarie, ecc.) offra di rivelarne gli estremi
agli ignari beneficiari, dietro promessa di un compenso» 2.
La sentenza della Corte conclude la vicenda giudiziaria 3 sorta tra una società attiva nel setto1 Così A.M. BENEDETTI e L. GUERRINI, Meritevolezza e arricchimenti (in)giustificati: il “contratto di rivelazione
di diritti successori”, nota a Trib. Genova, 7 novembre 2008, in Contr., 2/2010, p. 364 ss.
2 Punto
5.1. della motivazione.
3 Nel
caso concreto, una società operante nel settore della cosiddetta ricerca genealogica, dopo aver accertato, a
seguito di un’indagine su un’eredità giacente, la presenza di alcuni successibili ex art. 572 c.c., li informava della loro
qualità e offriva di rivelare loro l’identità del de cuius e di assisterli nella fase dell’accettazione, a fronte di un compenso. Alcuni concludevano l’accordo con la società, altri rifiutavano immediatamente, mentre un chiamato (di seguito “X”) dichiarava di non esservi interessato. Nonostante il rifiuto, la società, in occasione del procedimento di cui
agli artt. 481 c.c. e 749 c.p.c., notificava anche ad X un atto contenente l’identificazione del lascito ereditario e poiché
quest’ultimo lo accettava, inviava una richiesta di pagamento del compenso sull’assunto che l’accettazione dell’eredità era stata resa possibile solamente dall’indagine da essa svolta. Poiché la pretesa veniva disattesa, la società adiva
il Tribunale di Torino per ottenere la condanna al pagamento del compenso o, in subordine, che le venisse liquidata
un’equa somma di danaro, da determinarsi in applicazione dell’art. 932 c.c. o in relazione all’arricchimento che X
aveva tratto dall’attività di ricerca da essa svolta. Il Tribunale rigettava le richieste precisando che la società aveva
notificato l’atto di cui all’art. 481 c.c. nel proprio interesse, per potere condurre a termine l’incarico affidatole dagli
altri eredi e che X si era limitato ad esercitare il proprio diritto di succedere senza formulare alcuna adesione alla proposta avanzata dalla controparte e senza tenere altro comportamento idoneo a dare origine ad una sua responsabilità
precontrattuale. Nel giudizio successivo, la Corte di appello di Torino (30 aprile 2010, n. 1445, inedita) confermava
la sentenza di primo grado precisando che la domanda di arricchimento senza causa era inammissibile perché non
tempestivamente illustrata in atto di citazione, avendone i ricorrenti esplicitato la causa petendi, i presupposti e le
allegazioni fondanti solo in comparsa conclusionale. La società proponeva allora ricorso per Cassazione, impugnando la
sentenza di secondo grado nella parte in cui aveva ritenuto inammissibile la domanda di ingiustificato arricchimento.
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re della ricerca genealogica e un privato ed individua, nell’ipotesi in cui le parti non siano addivenute alla conclusione del contratto prima richiamato, alcuni degli strumenti attraverso i quali
l’ordinamento potrebbe tutelare l’attività svolta dal cercatore d’eredi, nell’ipotesi in cui la comunicazione dei relativi esiti al chiamato si configuri quale unico elemento che abbia reso possibile l’accettazione del lascito.
Con specifico riferimento al contratto di rivelazione di diritti successori, il Supremo Collegio, dopo averne rilevato la diffusione nel mondo degli affari dell’esperienza nord americana, in
adesione, come si vedrà meglio nel prosieguo, a quell’orientamento ermeneutico che ravvisa
nella tipicità sociale di un determinato contratto atipico un indice legittimante della sua rilevanza giuridica 4, ne fornisce la descrizione sopra riportata e, condividendo le argomentazioni prospettate in ambiente statunitense, afferma che in via generale un simile accordo sia assistito «da
valida causa» qualora «l’acquisizione dell’informazione sia frutto di un’attività deliberatamente
organizzata a tale scopo dal proponente, il quale viene così ad offrire al destinatario un vero e
proprio servizio» 5. Lo stesso non potrebbe dirsi, invece, nell’ipotesi in cui il reperimento dell’informazione avvenga fortuitamente e non sia frutto delle indagini appositamente svolte dal
“cercatore di eredi”: in tal caso, infatti, mancherebbe la commutatività tra le prestazioni delle
parti, e la pretesa del compenso, da parte di chi fornisce l’informazione ottenuta in modo casuale, risulterebbe «inidonea ad integrare giusta causa del trasferimento di ricchezza di cui alla
promessa di pagamento». In altri termini, ad avviso della Corte, affinché il contratto di rivelazione di diritti successori presenti un’idonea giustificazione causale, non sarebbe sufficiente la
mera reciprocità delle prestazioni (informazione vs. corrispettivo), ma sarebbe ulteriormente necessario che il dato conoscitivo si configurasse come il risultato di un’indagine che abbia comportato il dispendio di risorse, in modo che il compenso in danaro pagato dal chiamato possa effettivamente intendersi quale corrispettivo per i sacrifici patiti dalla società nell’attività di ricerca.
Si tratta, peraltro, di considerazioni riferite ad un ipotetico contratto di «rivelazione di diritti
successori», atteso che la questione specificamente sottoposta al vaglio dei giudici di legittimità
concerne la sussistenza dei presupposti dell’azione di arricchimento ingiustificato 6, il cui esperimento la Corte, insieme al ricorso alla teorica del rapporto contrattuale di fatto, prospetta quale
strumento astrattamente idoneo a giustificare una pretesa in danaro (consistente in un indennizzo nella prima ipotesi e in un vero e proprio compenso nella seconda) a favore del cercatore
d’eredi nel caso in cui, come nella fattispecie in esame, il chiamato abbia in un primo momento
rifiutato di concludere il contratto di rivelazione con la società ed abbia poi riscosso il lascito
4 Così,
nella manualistica si v., ad es., A. TORRENTE, P. SCHLESINGER, Manuale di diritto privato22, a cura di F.
Anelli e C. Granelli, Giuffrè, 2015, p. 519.
5 Punto
5.1. della motivazione.
6 Nel
caso di specie il S.C., confermando le statuizioni della sentenza della Corte d’appello, rigetta il ricorso osservando che la società avrebbe dovuto dedurre in giudizio, illustrare e dimostrare, fin dall’atto di citazione, la sussistenza dei presupposti giuridici e di fatto per l’accoglimento della sua domanda ed in particolare «l’entità del suo impoverimento (…) e l’entità dell’arricchimento della controparte»: punto 5.1. della motivazione.
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ereditario solamente grazie all’informazione ricevuta. Specularmente a quanto osservato in merito alle condizioni che consentono di ritenere giustificato il diritto al compenso della società
che abbia fornito l’informazione vantaggiosa, il S.C. sembra ritenere non fondato il beneficio
conseguito dalla controparte in assenza di un suo sacrificio economico.
Sul contratto atipico in esame e sulle questioni nascenti dal rapporto che si instaura tra il cercatore d’eredi e i chiamati all’eredità risultano edite ad oggi, in ambiente italiano, due pronunce
di merito 7. In tali occasioni gli interpreti hanno risolto la questione della meritevolezza di tale
contratto secondo due prospettive differenti. Se la sentenza del giudice torinese sembra aderire,
come si vedrà meglio in seguito, all’orientamento che intende il giudizio di cui all’art. 1322,
comma 2°, c.c., quale giudizio volto a verificare la compatibilità della pattuizione privata con i
valori dell’ordinamento, la pronuncia del giudice genovese si attesta invece tra quelle che ritengono il contratto atipico comunque meritevole se non illecito.
La decisione in esame offre dunque spunto per riflettere sulla figura del contratto di rivelazione di diritti successori saggiandone ammissibilità e rilevanza nel nostro ordinamento e delineandone alcuni dei tratti peculiari in vista della individuazione della disciplina applicabile. In
seconda battuta, l’analisi sarà volta a scrutinare se e quali strumenti possano individuarsi per
apprestare tutela al soggetto che, in assenza di apposita convenzione, abbia fornito ad un chiamato ex lege l’informazione vantaggiosa, consistente nell’identificazione del de cuius, della
quale il destinatario si sia avvalso avendo riscosso il lascito altrimenti ignoto. Tema, questo, che
costituisce l’oggetto della controversia sottoposta all’esame del S.C. che, tuttavia, come accennato, si concentra nella prima parte dell’articolato motivazionale sul contratto atipico di rivelazione di informazioni vantaggiose affermandone la validità e vincolatività in presenza dei caratteri sopra delineati 8.
2. – La pronuncia esorta, quindi, a ripercorrere, sia pur brevemente, il dibattito sul tema
dell’atipicità del contratto, che tanto ha impegnato la scienza giuridica già dall’entrata in vigore
del codice civile del 1942.
Come è noto 9, l’art. 1322, comma 2, c.c. riconosce ai privati la facoltà di concludere contrat7 Si
tratta di Trib. Torino, 27 gennaio 2005, in Giur. it., 2006, p. 1184 ss., con nota di R.W., e Trib. Genova, 7 novembre 2008, in Contr., 2/2010, p. 364 ss., con nota di A.M. BENEDETTI e L. GUERRINI, cit.
8 Nel
caso concreto i giudici hanno reputato che ciò valesse per i chiamati che avevano accettato la proposta contrattuale della società operante nel settore delle ricerche genealogiche, essendosi pacificamente obbligati a versare il
compenso richiesto. Essi osservano altresì che, specularmente, non fosse dovuto alcun compenso alla società da ulteriori eredi i quali non avevano conferito alcun incarico alla stessa, né avevano ricevuto l’informazione suo tramite.
Mentre restava aperta la questione in ordine all’ipotesi, oggetto di controversia, in cui l’erede, rifiutata l’offerta dell’informazione e correlativamente l’impegno di corrispondere il compenso, se ne fosse di fatto avvantaggiato, avendo
ricevuto notizia del lascito ed avendolo materialmente riscosso «solo per effetto dell’attività svolta dalla società»
(punto 5.1 della motivazione).
9 La
letteratura in argomento è sconfinata. Qui ci si limita a segnalare, tra la dottrina più risalente, R. SCOGNAMI-
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ti differenti rispetto ai tipi disciplinati dal legislatore purché siano diretti a realizzare interessi
meritevoli di tutela secondo l’ordinamento giuridico.
La libertà dei privati di stipulare contratti atipici comporta che i soggetti di diritto non vedano circoscritto il proprio agire negoziale al novero dei tipi contrattuali dei quali il legislatore ha
positivamente valutato l’ammissibilità e la rilevanza decidendo di disciplinarli 10, potendo bensì
creare altri e diversi schemi negoziali ritenuti più idonei al perseguimento dei loro interessi. Il
limite a questa libertà è costituito, come stabilito al capoverso dell’art. 1322 c.c., dalla circostanza che i contratti atipici siano volti al perseguimento di interessi meritevoli di tutela secondo
l’ordinamento giuridico.
Con particolare riferimento alla meritevolezza del contratto atipico di rivelazione di diritti
successori la Corte, come si è prima accennato, esprime un giudizio favorevole alla sua sussistenza in base alla considerazione che il contratto in esame sarebbe noto e diffuso nella prassi
degli Stati Uniti. Se quello della diffusione del contratto atipico nell’esperienza degli affari è
certamente un argomento pacificamente accolto e cui spesso la giurisprudenza fa riferimento,
tuttavia, come si vedrà meglio, non può considerarsi dogmaticamente appagante, posto che
l’enunciato codicistico in esame ha una portata che non può esaurirsi nell’estremo richiamato.
Relativamente alla identificazione dell’interesse meritevole di tutela secondo l’ordinamento,
appare evidente nel dibattito successivo all’entrata in vigore del codice civile del 1942 una costante che ha legato intimamente le riflessioni maturate intorno al giudizio di meritevolezza,
proprio dei contratti atipici, a quelle svolte in tema di causa del contratto. Ciò in ragione del fatto che il controllo causale 11, così come quello attinente alla meritevolezza degli interessi, riguarda le condizioni della rilevanza e della tutelabilità del contratto concluso dai privati da parte
dell’ordinamento 12.
GLIO,
sub art. 1322, in Commentario del Codice Civile, a cura di A. Scialoja e G. Branca, Zanichelli editore-Soc. ed.
del Foro italiano, 1970, p. 24 ss.; in quella più recente, U. BRECCIA, sub art. 1322, in Commentario del codice civile,
diretto da E. Gabrielli, Utet, 2011, p. 59 ss.
10 Sul
punto, per tutti, G. DE NOVA, Il tipo contrattuale, Cedam, 1974.
11 Tra
le trattazioni che si sono occupate del tema della causa si segnala, nella dottrina più risalente, S. PUGLIATTI,
Precisazioni in tema di causa del negozio giuridico, in Diritto civile. Metodo-Teoria-Pratica, Giuffrè, 1951, p. 105
ss.; M. GIORGIANNI, voce Causa, in Enc. dir., VI, Giuffrè, 1960, p. 565 ss.; R. SCOGNAMIGLIO, Contributo alla teoria
del negozio giuridico, Jovene, ristampa ed. 1969, p. 87 ss.; in quella più recente, C. M. BIANCA, Diritto civile, Il contratto, Giuffrè, 2000, p. 447 ss.; V. ROPPO, Causa concreta: una storia di successo? Dialogo (non reticente, né compiacente) con la giurisprudenza di legittimità e di merito, in Riv. dir. civ., 4/2013, p. 957 ss.; M. BARCELLONA, Della
causa. Il contratto e la circolazione della ricchezza, Wolters Kluwer-Cedam, 2015.
12 Sul punto si v., per tutti, G.B. FERRI, Causa e tipo nella teoria del negozio giuridico, Giuffrè, 1968, p. 71 ss., il
quale mette in evidenza come il riconoscimento ai privati dell’autonomia negoziale comporti la necessità di assicurarsi della rispondenza delle regole elaborate ai precetti dell’ordinamento giuridico.
È noto che il Codice civile del ’42 presenta il giudizio causale e quello di meritevolezza come controlli distinti
ancorché il primo, per il portato dell’art. 1323 c.c., attenga anche ai contratti atipici. Nel Progetto preliminare, invece,
la meritevolezza costituiva una specificazione qualitativa della causa del contratto, dato che l’art. 183 recitava: «La
causa del contratto deve essere lecita e idonea. La causa è idonea quando il contratto è diretto a realizzare interessi
meritevoli di tutela secondo i princìpi della Carta del lavoro e dell’ordinamento giuridico dello Stato»: MINISTERO DI
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Com’è noto, la prossimità tra i due giudizi trova riconoscimento anche nella Relazione al codice civile ove, a proposito della causa del contratto, al n. 613, si afferma che la «causa richiesta
dal diritto non è lo scopo soggettivo, qualunque esso sia, perseguito dal contraente nel caso concreto (ché allora non sarebbe ipotizzabile alcun negozio senza una causa), ma è la funzione economico-sociale che il diritto riconosce rilevante ai suoi fini e che sola giustifica la tutela dell’autonomia privata». Si precisa che tale funzione «deve essere non soltanto conforme ai precetti
di legge, all’ordine pubblico e al buon costume, ma anche, per i riflessi diffusi dell’art. 1322,
secondo comma, rispondente alla necessità che il fine intrinseco del contratto sia socialmente
apprezzabile e come tale meritevole della tutela giuridica». La definizione della causa quale
funzione economico-sociale 13 si fondava sulla considerazione che l’autonomia contrattuale non
veniva tutelata in quanto tale ma solo se ed in quanto rispondente al soddisfacimento di bisogni
sociali. Il requisito della apprezzabilità sociale del fine intrinseco del contratto lasciava così
propendere per una funzionalizzazione dell’autonomia contrattuale agli interessi generali di cui,
invece, almeno nella visione moderna dei rapporti tra autonomia privata e ordinamento, si fa
portatore quest’ultimo.
La Relazione, oltre ad estendere il perseguimento dell’utilità sociale – icona rappresentativa
dell’ideologia dell’epoca – anche ai contratti tipici attraverso il riferimento all’elemento della
causa, pone un’ulteriore questione: quella del tipo contrattuale. Questione la cui trattazione, negli studi sull’autonomia contrattuale, accompagna le riflessioni su meritevolezza e causa del
contratto 14.
La critica all’impianto della Relazione sul tema della causa si è mossa su entrambi i piani, tra
loro interdipendenti: sia su quello attinente alla definizione del concetto di causa, sia su quello
concernente la funzionalizzazione del contratto al perseguimento di finalità generali. RelativaGRAZIA E GIUSTIZIA, Lavori preparatori per la riforma del Codice civile. Osservazioni e proposte sul progetto del
libro quarto. Delle obbligazioni, I, Roma, 1940, p. 218 ss. Il Progetto definitivo di un nuovo codice civile abbandonerà il requisito della “idoneità” della causa caducando quindi l’esigenza di un vaglio di meritevolezza degli interessi
perseguiti.
13 In
questa linea di pensiero è sicuramente da annoverare E. BETTI che rileva come «l’autonomia privata non è tutelata se non in quanto persegua funzioni utili socialmente e rispondenti all’economia nazionale e all’ordine pubblico,
non essendo più sufficiente, come in regime liberale, il limite puramente negativo che la causa del negozio non sia
illecita», in Sui principi generali del nuovo ordine giuridico, in Riv. dir. comm., 1940, I, 222 ss. Dello stesso A. si v.
pure Teoria del negozio giuridico, nel Trattato italiano di diritto civile, diretto da F. Vassalli, Utet, 1960, 170 ss.
14 L’analisi
del problema del tipo contrattuale nella letteratura giuridica italiana si è sviluppata principalmente
lungo due direttrici. Lungo la prima si sono mosse le trattazioni che hanno avuto, quale oggetto di indagine primaria,
quello di evidenziarne il diverso ambito di operatività rispetto all’elemento della causa e segnatamente rispetto alla
sua lettura in termini di funzione economico-sociale, sottolineando come il tipo, inteso quale schema contrattuale,
non fosse altro che un assetto di interessi astrattamente considerato e di per sé neutro, un modo come un altro di organizzare gli strumenti di negoziazione nei rapporti tra i privati. Su questa linea si v. G.B. FERRI, Causa e tipo, cit., p.
220 ss. Lungo la seconda si sono sviluppate le riflessioni che hanno analizzato il tipo sotto il profilo della qualificazione del contratto concluso dai privati, ai fini della individuazione della disciplina ad esso applicabile. A tali studi,
svolti in aperta critica con gli alternativi metodi di qualificazione coevi (e rappresentati dalla sussunzione, dall’assorbimento, dalla combinazione e dall’analogia), si deve la paternità del metodo tipologico. Cfr., in argomento, G. DE
NOVA, Il tipo, cit., p. 126 ss.
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mente a quest’ultimo profilo, la dottrina ha manifestato profonde preoccupazioni in ordine agli
effetti limitativi derivanti all’autonomia privata dalla concezione causale fatta propria dalla Relazione, timori che, parallelamente al mutato assetto ordinamentale avvenuto a seguito dell’entrata in vigore della Costituzione italiana, hanno condotto gli studiosi al superamento di una
concezione della causa fondata su una stretta funzionalizzazione degli interessi privati al servizio dell’utilità generale.
La censura più incisiva mossa alla tesi della causa intesa come funzione economico-sociale è
stata formulata da quella dottrina che, come è noto, l’ha definita in termini di funzione economico-individuale, rappresentandola quale elemento che «tecnicamente collega l’operazione
economica, cui il negozio dà vita, intesa nella sua globalità, ai soggetti che ne sono gli autori» 15.
Secondo tale indirizzo dottrinale, la precedente qualificazione della causa, oltre ad essere alimentata da un evidente sostrato ideologico, sottintenderebbe un’indebita sovrapposizione con il
piano del tipo contrattuale e cioè con lo schema negoziale astrattamente considerato 16, facendo
così della causa un fattore statico ed identico per tutti i contratti appartenenti ad un tipo 17.
L’affrancamento della causa dal tipo 18, derivante dalla adozione di una visione del giudizio causale rivolta all’apprezzamento degli interessi perseguiti in concreto dai contraenti, ha influito
sulle soluzioni elaborate dalla scienza giuridica in merito al giudizio di meritevolezza cui sottoporre i contratti atipici.
Nella Relazione al codice civile le condizioni di rilevanza e tutelabilità dei contratti atipici da
parte dell’ordinamento giuridico consistevano nella ammissibilità del risultato pratico che i con15 Cfr.
G.B. FERRI, Causa e tipo, cit., 355 ss.; ID., La causa nella teoria del contratto, in G.B. FERRI e C. ANGELIStudi sull’autonomia dei privati, Utet, 1997, p. 97 ss. Relativamente alle pronunce giurisdizionali che hanno aderito a tale indirizzo, si v. Cass., 8 maggio 2006, n. 10490, in Corr. giur., 12/2006, p. 1718 ss., con nota di F. ROLFI;
Cass., 12 novembre 2009, n. 23941, in Nuova giur. civ. comm., 2010, I, p. 448 ss., con nota di C. DI LEO; Cass., 1
aprile 2011, n. 7557, in Giur. it., 2012, p. 543 ss., con nota di E. TAMBURRANO.
CI,
16 Per
una interpretazione che invece, denunciando un fraintendimento della tesi della funzione economico-sociale
di Betti, ritiene che la differenza tra causa e tipo fosse chiara allo studioso che nella sua elaborazione della causa ne
rileverebbe anche i caratteri soggettivi, si v. M. BARCELLONA, Della causa, cit., p. 80 ss.
17 È evidente, infatti, seguendo quella concezione, che l’affermazione secondo cui la causa del contratto di compravendita consiste nella funzione economico-sociale che tale tipo in astratto è chiamato a realizzare – e cioè lo
scambio di un diritto per il corrispettivo di un prezzo – finisce per comportare una equazione tra il piano della causa,
che trascende in questo modo lo scopo concreto che le parti si prefiggono con l’utilizzo di un determinato schema
contrattuale, e quello del tipo, determinando in tal modo un appiattimento degli interessi concretamente perseguiti sul
piano dello schema selezionato e dunque dello strumento utilizzato.
18 Il merito della dottrina che si è occupata del tema della causa sta dunque nell’averla emancipata dal tipo e
nell’avere evidenziato che, essendo necessario riporre l’attenzione sul concreto interesse perseguito dalle parti, l’utilizzo di un mero schema, quali sono le strutture tipiche disciplinate dal legislatore, non è idoneo ad escludere l’illiceità della causa del contratto, ben potendosi verificare che schemi tipici presentino in concreto una causa illecita. Si
v., in argomento, G.B. FERRI, Causa e tipo, cit., p. 358, ove l’A. afferma che «L’assunzione del tipo (…) nell’ordinamento giuridico non comporta che tutti i concreti contratti (…) siano meritevoli di tutela. Di fronte ad un contratto
concreto non è sufficiente rilevare che lo schema astratto, a cui esso corrisponde, è stato riconosciuto adempiere ad
una funzione socialmente utile, ma è necessario altresì valutare in concreto il modo in cui lo schema astratto è stato
utilizzato».
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traenti si proponevano di realizzare alla luce «della coscienza sociale e politica, dell’economia
nazionale, del buon costume e dell’ordine pubblico». Tale previsione trovava giustificazione
nella considerazione che l’ordinamento non poteva apprestare protezione «al mero capriccio individuale ma a funzioni utili che a[vessero] una rilevanza sociale e, come tali, merit[assero] di
essere tutelate dal diritto» 19.
In quest’ottica il controllo di meritevolezza andava congegnato in modo da demandare al
giudice il compito di esprimere un giudizio sui vantaggi che sarebbero derivati alla compagine
sociale dall’attribuzione della giuridicità ad un determinato negozio, evitando così la giuridicizzazione di convenzioni private lecite ma irrilevanti per lo sviluppo economico dello Stato 20.
L’affermarsi di una concezione della causa quale funzione economico-individuale ha condotto parte degli studiosi 21 a respingere, anche per i contratti atipici, l’orientamento favorevole ad
una funzionalizzazione degli interessi dei privati al servizio dell’ordinamento e a propendere per
una valorizzazione del carattere individuale da attribuire all’interesse ex art. 1322, comma 2°,
c.c. Il mutamento di prospettiva derivava dalla necessità di adeguare la funzione del giudizio di
meritevolezza al nuovo assetto ordinamentale ed in particolare ai nuovi principi costituzionali 22.
Se il rifiuto manifestato nei confronti di una funzionalizzazione degli interessi perseguiti dai
privati è un elemento costante che accomuna gli studiosi che si sono occupati del giudizio di
meritevolezza 23, le soluzioni proposte in ordine al ruolo da attribuire a tale controllo e alle mo-
19 Cfr.
20 Così
Relazione al Re del Ministro Guardasigilli al codice civile, n. 603.
M. COSTANZA, Il contratto atipico, Giuffrè, 1981, p. 24 ss.
21 Il
dibattito non è ripercorribile compiutamente in questa sede. Per una panoramica delle più significative tesi
elaborate in merito al giudizio di meritevolezza cfr., tra gli altri, M. COSTANZA, Il contratto, cit.; EAD. Meritevolezza
degli interessi ed equilibrio contrattuale, in Contr. impr., 1987, p. 423 ss.; A. GUARNERI, Meritevolezza dell’interesse
e utilità sociale del contratto, in Riv. dir. civ., 1994, I, p. 799 ss.; G.B. FERRI, Motivi, presupposizione e l’idea di meritevolezza, in Europa dir. priv., 2009, p. 331 ss.
22 In
questi termini, M. COSTANZA, Il contratto, cit., p. 30 ss., la quale sottolinea che i principi del nuovo ordine
giuridico non coincidevano più con il benessere della Nazione e con i valori di cui era espressione la Carta del Lavoro.
23 Ad
es. A. CATAUDELLA, L’uso abusivo di principi, in Riv. dir. civ., 2014, p. 747 ss., afferma che un’interpretazione dell’art. 1322, comma 2, c.c. favorevole ad una funzionalizzazione degli interessi privati condurrebbe ad una
sorta «di mini-rivoluzione copernicana», che rovescerebbe «la prospettiva dalla quale è stata tradizionalmente considerata l’autonomia privata». Ribadite le ragioni del riconoscimento dell’autonomia privata e in cosa essa consista,
l’A. precisa che in una prospettiva di libertà «i privati hanno il potere di regolare i propri interessi con atti di autonomia della cui operatività l’ordinamento giuridico, rendendoli vincolanti e fornendo i mezzi per garantire l’attuazione
dei vincoli, si rende strumento». Nella diversa prospettiva che invece comporta una finalizzazione dei negozi privati
al raggiungimento degli interessi perseguiti dall’ordinamento, «i privati diventano strumenti di attuazione di direttive
dell’ordinamento giuridico, che, proprio perché assai generiche, vanno concretate dai privati sotto il controllo del giudice, al quale si tende ad attribuire poteri integrativi». Secondo l’A. a quest’ultimo modo di vedere si frapporrebbe l’art. 41
Cost., in quanto i limiti da esso posti alla libertà di iniziativa economica sarebbero dei limiti esterni e non interni. In
quest’ottica, «l’autonomia privata che è strumento dell’iniziativa economica non può essere esercitata a danno di interessi costituzionalmente tutelati ma non può essere vista, essa stessa, come mezzo per realizzarli». Di ciò sarebbe prova anche il 3° comma dell’art. 41 Cost. che, stabilendo la possibilità di un indirizzo ed un coordinamento a fini sociali, pone,
al riguardo, una riserva di legge, escludendo che possa esservi spazio per autonomi interventi del giudice.
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dalità in cui congegnarlo, differiscono a tutt’oggi sia nell’individuazione degli elementi del contratto sui quali appuntare lo scrutinio, sia sul metro di valutazione da utilizzare per stabilire se
un contratto atipico sia degno di protezione da parte dell’ordinamento o meno, e, sebbene in
modo meno nitido, sulle conseguenze derivanti da un contratto (atipico) immeritevole.
Uno degli orientamenti più diffusi (che ritroviamo nella pronuncia in commento) è quello secondo cui affinché un contratto atipico possa essere ritenuto meritevole di tutela il giudice dovrebbe constatarne quanto meno la sua diffusione nella prassi, poiché l’utilizzo di un determinato contratto nella quotidianità dei traffici costituirebbe una conferma implicita in ordine alla sua
apprezzabilità sociale 24. Emblematica di tale indirizzo è la precisazione di chi ha affermato che
il giudice nazionale si guarderebbe bene dal privare di giuridicità un contratto atipico diffuso
nella realtà internazionale 25. Tale orientamento, come s’è detto, è quello accolto dal S.C. nella
decisione in esame 26.
Una tesi accreditata vuole che il giudizio di meritevolezza si appunti sulla causa del contratto
atipico, dovendo il giudice limitarsi a verificarne la dignità di protezione esclusivamente sulla
base della non contrarietà di tale elemento alle norme imperative, all’ordine pubblico e al buon
costume. In quest’ottica la immeritevolezza coincide con la nullità 27. Il controllo ex art. 1322,
comma 2, c.c. sarebbe un controllo sulla causa e non sullo schema (contrariamente a quanto altri
hanno sostenuto, come si vedrà meglio in seguito) perché il compito che il legislatore assegna a
tale elemento è quello di rendere possibile una valutazione dell’operazione negoziale alla luce di
come le parti l’hanno configurata per il raggiungimento dello scopo che esse intendevano rag-
24 Cfr.
25 F.
G. SICCHIERO, La distinzione tra meritevolezza e liceità del contratto atipico, in Contr. impr., 2004, p. 545 ss.
GALGANO, La globalizzazione nello specchio del diritto, Il Mulino, 2005, p. 97 ss.
26 L’orientamento
che ravvisa la meritevolezza di un contratto (atipico) guardando alla sua «tipicità sociale» sembra accoglibile in una versione “debole”, che consiste nel ritenere la diffusione di un determinato contratto o la sua
attitudine a divenire modello di future ed eventuali operazioni economiche solamente un indice, pur sicuro, della sua
tutelabilità e rilevanza. Sembra invece non armonizzabile con il principio che vede nel contratto lo strumento attraverso il quale i privati soddisfano i propri interessi singolari la versione “forte” di tale orientamento, che intende il
ricorso costante ad un determinato schema contrattuale o la sua fruibilità in divenire nel mondo degli affari un requisito per la sua tutelabilità. Tale modo di intendere il giudizio di meritevolezza, infatti, oltre a trasformare i soggetti di
diritto in necessari architetti di schemi negoziali utilizzabili su larga scala, comporta che l’archetipo di un contratto
atipico sia ritenuto degno di protezione da parte dell’ordinamento solo a seguito di un giudizio prognostico circa la
sua fruibilità successiva da parte di altri, non essendo possibile valutarne la pregressa diffusione nel mondo degli
scambi. Si ritiene che tale attitudine non sia un requisito previsto dall’art. 1322, comma 2, c.c.
27 Aderiscono a tale orientamento, senza pretesa di completezza, A. DI MAJO, Il controllo giudiziale sulle condizioni generali di contratto, in Riv. dir. comm., 1970, I, p. 211 ss.; G. SBISÀ, Contratti innominati: riconoscimento e
disciplina delle prestazioni, in Tipicità e atipicità nei contratti, Quaderni di giurisprudenza commerciale, Giuffrè,
1983, p. 117 ss.; R. SACCO, in R. SACCO, G. DE NOVA, Il contratto, nel Trattato di diritto civile, diretto da R. Sacco,
Utet, 1993, p. 445 ss.; ID., voce Interesse meritevole di tutela, in Dig. disc. priv., sez. civ., agg. ****, Utet, 2009, p.
318 ss.; ID., voce Motivo, fine, interesse, in Dig. disc. priv., sez. civ., agg.*******, Utet, 2012, p. 698 ss.; C. SCOGNAMIGLIO, Problemi della causa e del tipo, nel Trattato del contratto, diretto da V. Roppo, Il regolamento, a cura di
G. Vettori, Giuffrè, 2006, p. 200 ss.; V. ROPPO, Il contratto², nel Trattato di diritto privato, a cura di G. Iudica e P.
Zatti, Giuffrè, 2011, p. 402 ss.
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giungere 28. Sicché la causa si risolve nell’elemento unificatore di clausole, condizioni ed elementi accessori di cui il negozio si compone 29.
Attestata l’identità di ambito operativo rispetto al giudizio di liceità, parte della dottrina ha
affermato che la funzione che residuerebbe al giudizio di meritevolezza, a seguito di una interpretazione che lo intenda come coincidente, almeno nel risultato, a quello causale 30, ne farebbe
una inutile ripetizione dell’art. 1343 c.c. In questa direzione, parte degli studiosi ha sostenuto
che una norma inutile, in quanto meramente reiterativa di un principio già proprio dell’ordinamento, sia comunque da preferire ad una norma pericolosa ma innovativa che abbia «significati ripugnanti al sistema» 31. Nel tentativo di dotare il capoverso dell’art. 1322 c.c. di una qualche funzione precettiva è stato, allora, precisato che esso avrebbe una funzione minima e residuale che si sostanzierebbe nel costituire un monito che renda le parti edotte del fatto che l’osservanza delle norme imperative non può essere elusa dalla conclusione di contratti atipici che
non obbediscano ai divieti stabiliti per i contratti tipici 32.
Un’interpretazione differente afferma che, posto che il compito del giudizio di meritevolezza
è quello di verificare l’attitudine di uno schema contrattuale atipico ad assumere rilevanza
giuridica, sarebbe necessario verificarne la compatibilità con i principi generali dell’ordinamento e con i principi contenuti nella Carta costituzionale, «per una sorta di parallelismo fra
28 L’orientamento che individua, quale limite alla meritevolezza, l’illiceità è rispettoso della formulazione letterale di cui al capoverso dell’art. 1322 c.c. e tale precisazione sembra rilevante, posto che tra i canoni interpretativi ex
art. 12 Disp. prel. cod. civ., quello letterale costituisce il primo criterio ermeneutico che l’interprete è chiamato ad
utilizzare. Nello stabilire il principio della libertà dei privati di concludere contratti atipici, l’art. 1322, comma 2, c.c.
afferma infatti che tale libertà è condizionata alla realizzazione, da parte di tali contratti, di interessi meritevoli di tutela “secondo” l’ordinamento giuridico. Il legislatore ha utilizzato la preposizione impropria “secondo”, il cui significato sembra più prossimo alle locuzioni”in conformità” o “non in contrasto” piuttosto che a quella di “in attuazione”, locuzione che postula, non solo il mero rispetto di un limite (negativo) all’autonomia privata rappresentato dall’obbedienza all’ordinamento giuridico, e cioè dal non porsi in contrasto con lo stesso, bensì un elemento attivo teso
ad attuare ed implementare gli obiettivi perseguiti dall’ordinamento medesimo.
29 Cfr.
G.B. FERRI, Causa e tipo, cit., p. 371 ss.
30 La
coincidenza sul piano operativo è ravvisata da C. SCOGNAMIGLIO, Problemi, cit., p. 106 ss.; U. BRECCIA,
Causa, in Il contratto in generale, a cura di G. Alpa, U. Breccia e A. Liserre, nel Trattato di diritto privato, diretto da
M. Bessone, Giappichelli, 1999, p. 3 ss.; A. BARENGHI, Qualificazione, tipo e classificazione dei contratti, in Obbligazioni, Il contratto in generale, in Diritto civile, diretto da N. Lipari e P. Rescigno, coordinato da A. Zoppini, Giuffrè, 2009, p. 296 ss.; G. ALPA, Il contratto in generale. Fonti, teorie e metodi, nel Trattato di diritto civile e commerciale, già diretto da A. Cicu, F. Messineo e L. Mengoni, continuato da P. Schlesinger, Giuffrè, 2014, p. 161 ss.
31 Cfr.
V. ROPPO, Il contratto, cit., p. 402 ss.
32 Per
tutti si v. V. ROPPO, Il contratto, cit., ibidem. La tesi dell’A. non sembra, tuttavia, superare la constatazione
che gli artt. 1343 e 1344 c.c., che disciplinano la causa illecita e il contratto in frode alla legge, parlano genericamente, il primo di “causa” e il secondo di “contratto”, non facendo riferimento alcuno ai soli contratti tipici. Se anche
l’interpretazione dottrinale prima esposta si riferisse solamente ai particolari divieti previsti per i singoli tipi contrattuali, si potrebbe dire che, anche in questa ipotesi, costituendo quello specifico divieto una sicura norma imperativa,
la sua inderogabilità verrebbe assorbita dalla previsione dell’art. 1343 c.c. In questo senso sembrerebbe deporre anche
l’art. 1323 c.c., che stabilisce che tutti i contratti (e quindi sia quelli disciplinati dal legislatore che quelli atipici) sono
sottoposti alle norme generali contenute nel Titolo II del Libro IV del codice civile.
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limiti al potere normativo istituzionale e limiti dell’autodeterminazione privata» 33.
Se tale orientamento ha il pregio di dare luogo ad una valutazione della meritevolezza che
assume quale parametro di riferimento le norme costituzionali, introducendo in tal modo anche
nei rapporti tra privati una scala di valori da utilizzare per determinare l’ingresso di determinati
schemi nel mondo del diritto 34, tuttavia non precisa quali siano i casi in cui sia possibile rilevare
la contrarietà dello schema contrattuale atipico ai principi costituzionali o ai principi generali
dell’ordinamento, fuori dai casi di contratto privo di causa lecita.
La tesi che propende per una valutazione della meritevolezza in termini diversi rispetto al
controllo di liceità ha trovato adesione anche da parte di quegli studiosi che hanno ravvisato
nell’art. 1322, comma 2°, c.c. uno strumento che permette di individuare quei contratti che, senza essere utili o dannosi per la società, sono caratterizzati da una «neutralità sociale», che comporta l’indifferenza dell’ordinamento rispetto alla loro protezione 35.
Una prospettiva per certi versi simile è quella accolta da quegli autori che hanno sostenuto
che il giudizio di meritevolezza potrebbe risolversi in un espediente che consenta di distinguere
i casi in cui le parti abbiano voluto giuridicizzare il rapporto rendendolo coercibile, piuttosto che
assoggettarlo alle sole norme morali e della vita di relazione 36.
Ancora, tra gli orientamenti che scorgono nel giudizio di meritevolezza un controllo dai con33 Cfr.
M. COSTANZA, Meritevolezza, cit., p. 430.
Tale indirizzo interpretativo, che intende il giudizio di meritevolezza come giudizio sullo schema contrattuale e
non sulla causa, viene parzialmente condiviso anche da alcuni dei fautori della tesi che ritiene il controllo di cui
all’art. 1322, comma 2°, c.c. come giudizio coincidente con quello causale: in questo senso si v., per tutti, G.B. FERRI,
Motivi, cit., p. 366 ss., ove l’A. afferma come attraverso il capoverso dell’art. 1322 c.c. il legislatore tenti di far emergere un criterio di controllo e di valutazione ulteriore rispetto a quello della liceità, sebbene di tale criterio valutativo
non individui il contenuto, finendo così per richiamare le stesse norme rivolte alla verifica di illiceità.
34 M.
COSTANZA, Il contratto atipico, in Tipicità e atipicità nei contratti, cit., p. 39 ss.
35 Si
v. G. SICCHIERO, La distinzione, cit., p. 551, secondo il quale «la meritevolezza non è dunque solo assenza di
elementi di illiceità nel contratto atipico; consiste, invece, nella riconducibilità del contratto alla fisiologia dei rapporti
quotidiani, la cui mancanza viene sanzionata con il rifiuto di protezione da parte dell’ordinamento giuridico».
Sul punto va inoltre rilevato che l’orientamento che configura il giudizio di meritevolezza quale controllo idoneo
a verificare che il contratto atipico svolga una funzione per le parti che lo concludono, e non sia dunque “inutile”, ha
trovato adesione anche in giurisprudenza, benché tale scrutinio non sembri discostarsi dalla verifica sulla sussistenza
della causa del contratto. Si v. Cass., 2 aprile 2009, n. 8038, in Contr., 11/2009, p. 991 ss., sul c.d. “contratto preliminare di preliminare”, ove la Corte afferma che riconoscere come possibile funzione del contratto preliminare quella di
obbligarsi ad obbligarsi “darebbe luogo ad una inconcludente superfetazione non sorretta da alcun effettivo interesse
meritevole di tutela secondo l’ordinamento giuridico, ben potendo l’impegno essere assunto immediatamente: non ha
senso pratico il promettere ora di ancora promettere in seguito qualcosa, anziché prometterlo subito”. In senso favorevole alla meritevolezza del “preliminare di preliminare” si sono, invece, di recente pronunciate le sezioni unite della
S.C.: Cass., sez. un., 6 marzo 2015, n. 4628, reperibile su www.dirittocivilcontemporaneo.com, con nota di A. PLAIA,
Da “inconcludente superfetazione” a quasi contratto: la parabola ascendente del “preliminare di preliminare”.
36 Cfr.
F. GAZZONI, Atipicità del contratto, giuridicità del vincolo e funzionalizzazione degli interessi, in Riv. dir.
civ., 1978, I, p. 52 ss., ove l’A., in una prospettiva di valorizzazione del carattere patrimoniale della prestazione e dell’interesse del creditore ex art. 1174 c.c., afferma che l’art. 1322, comma 2, c.c. non adempirebbe ad alcuna funzione
autonoma e che esso possa risolversi, semmai, in uno strumento volto ad accertare la volontà delle parti di giuridicizzare il vincolo pattizio.
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torni più ampi di quello che si risolve nella mera valutazione in termini di liceità, si iscrive un
indirizzo interpretativo recente, ancorché non del tutto nuovo in quanto costituisce una specificazione della tesi che lo ritiene volto a verificare la compatibilità del contratto atipico con i
principi dell’ordinamento e con quelli costituzionali, che ravvisa come immeritevole il contratto
che leda interessi di soggetti estranei al rapporto 37. In questa visione, all’art. 1322, comma 2,
c.c., occorrerebbe dare un’interpretazione che qualifichi come immeritevoli di tutela quei contratti che siano «socialmente dannosi», ove per dannosità sociale si intenda quella situazione in
cui gli interessi perseguiti dalle parti contrastino con «interessi generali della comunità» e dei
«terzi maggiormente meritevoli di tutela». Tale dottrina individua negli atti di cui all’art. 2645
ter c.c. un esempio in cui sarebbe ravvisabile una «dannosità sociale» del contratto tutte le volte
in cui l’interesse ivi sotteso esprima un valore morale o sociale che non sia «maggiormente meritevole di tutela» rispetto a quello economico della garanzia patrimoniale dei creditori. Sarebbe
proprio il contrasto con gli interessi generali della comunità a rendere il contratto privo di una
causa meritevole di tutela, discrasia che ne comporterebbe la nullità pur in assenza della violazione di norme imperative, dell’ordine pubblico e del buon costume 38.
3. Segue. – Sotto altro versante, volgendo l’attenzione al modo in cui la clausola di meritevolezza viene interpretata dalle Corti, sembra possibile rilevare come anche il formante giurisprudenziale, al di là delle ipotesi in cui trova nella tipicità sociale l’elemento che assicura conforto allo scrutinio in discorso, propenda per un giudizio coincidente con quello di liceità della
causa del contratto atipico 39. Emblematica di questo approccio è l’affermazione del S.C. secondo cui «possono dirsi diretti a realizzare interessi meritevoli di tutela secondo l’ordinamento
giuridico ex art. 1322 c.c. tutti i contratti atipici non contrari alla legge, all’ordine pubblico e al
buon costume» 40.
Le sporadiche pronunce in cui i giudici, pronunziatisi sulla validità della causa del contratto
atipico oggetto di valutazione, ne rilevano l’immeritevolezza in base a parametri diversi da quel37 V.
U. BRECCIA, sub art. 1322 c.c., cit., p. 121 ss., ove l’A. rileva che nel nostro ordinamento manca una disposizione che fornisca i criteri del controllo cui sottoporre tutti gli accordi atipici che, ancorché non intrinsecamente illeciti, siano contraddistinti dal primato di interessi diretti a pregiudicare i terzi e che per tale ragione non possono ritenersi meritevoli di tutela.
38 Si
v. C.M. BIANCA, Diritto civile, cit., p. 432 ss.; ID., Causa concreta del contratto e diritto effettivo, in Riv. dir.
civ., 2014, p. 252 ss.
39 Un esempio delle pronunce in cui l’interprete, rilevato un contratto atipico, ne analizza la meritevolezza in base
ai parametri su cui si misura la liceità si trova in Cass., 6 giugno 1967, n. 1248, in Foro it., 1968, I, c. 1057 ss., ove la
Corte afferma che l’accordo che si risolve in «un prestito a tutto rischio» per il mutuante «è espressione lecita
dell’autonomia contrattuale delle parti, a norma dell’art. 1322 c.c., non urtando contro alcuna norma imperativa»; e in
Cass., 15 ottobre 1974, n. 2859, in Giur. it., 1975, I, 1, c. 1066 ss., in cui il S.C. rileva l’illiceità del patto di buona
entrata per violazione dell’ordine pubblico in quanto determinerebbe «la mercanteggiabilità del posto di lavoro».
40 Cass.,
6 febbraio 2004, n. 2288 in, Contr., 8-9/2004, p. 801 ss., con nota di A. PALMIERI.
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lo della liceità sono tuttavia particolarmente interessanti, in quanto espressione della tensione
degli interpreti, in punto applicativo, a dare specifico contenuto alla previsione del capoverso
dell’art. 1322 c.c.
Tra le decisioni in cui si è ritenuto immeritevole di tutela un contratto la cui causa era lecita,
si segnala una pronuncia in cui il S.C., dopo avere affermato che non potrebbe ritenersi idoneo,
sotto il profilo della meritevolezza, un contratto posto in essere in frode alle regole dell’ordinamento sportivo, ha rilevato che le violazioni delle norme di tale ordinamento si riflettono sulla
validità di un contratto concluso tra soggetti sottoposti a quelle regole anche con riferimento
all’ordinamento dello Stato, poiché se esse non ne determinano direttamente la nullità per violazione di norme imperative, incidono sulla idoneità del contratto a realizzare un interesse meritevole di tutela secondo l’ordinamento giuridico 41.
Tra i parametri cui la giurisprudenza fa riferimento al fine di sanzionare un accordo negandogli tutela, oltre al riferimento ad un ordinamento diverso (nel caso prima analizzato quello
sportivo), un ruolo di primo piano è attribuito al riferimento ai principi costituzionali. La S.C.
infatti, ha precisato che il fondamento costituzionale dell’autonomia negoziale va individuato
alla luce di molteplici supporti normativi, in ragione dei valori cui tali interessi sono riconducibili. La Costituzione offrirebbe all’interprete le indispensabili coordinate alle quali attingere per
esprimere, sui singoli e concreti atti di autonomia, i controlli di «meritevolezza di tutela degli
interessi» e di «liceità», giudizi che devono essere condotti alla stregua dell’art. 2 della Costituzione, norma che tutela i diritti inviolabili e che richiede l’adempimento dei doveri inderogabili
di solidarietà 42.
Il richiamo ai principi costituzionali, secondo la Corte di cassazione, sarebbe legittimato anche da un ampliamento del sistema delle fonti in cui rilevano le superiori norme di rango costituzionale 43 e sovranazionale, tra le quali spiccano i principi dell’Unione Europea e quelli desumibili dalla Convenzione europea dei diritti dell’Uomo posti a garanzia degli specifici interessi
perseguiti 44.
41 Cfr. Cass., 23 febbraio 2004, n. 3545, in Giust. civ., 2005, I, p. 495 ss. La Corte di Cassazione ha di recente
confermato il medesimo orientamento nella pronuncia del 17 marzo 2015, n. 5216, inedita.
Sull’autonomia del giudizio di meritevolezza rispetto a quello di liceità, tra le pronunce più risalenti, cfr. Cass., 6
luglio 1961, n. 1623, in Foro it., 1961, I, c. 1445 ss., ove i giudici, chiamati a scrutinare la meritevolezza del contratto
atipico con cui il marito prometteva alla moglie una somma di danaro affinché costei si sottoponesse alle ispezioni
corporali disposte dal magistrato nel giudizio di annullamento del matrimonio, ne negano la sussistenza ritenendo gli
interessi perseguiti «in contrasto con i principi generali del nostro ordinamento». Si v. anche App. Milano, 29 dicembre 1970, in Foro pad., 1971, I, p. 273 e ss. che, sebbene ricca dei riferimenti ideologici della Relazione al c.c., richiama la compatibilità del contratto atipico con la «tavola dei valori dell’ordinamento».
42 Così
43 In
Cass., 19 giugno 2009, n. 14343, in Corr. giur., 1/2010, p. 58 ss.
questi termini Cass., 1 aprile 2011, n. 7557, cit.
44 Cfr.
Cass., 8 febbraio 2013, n. 3080, in Riv. dir. ind., 6/2013, p. 357 ss. con nota di G. TASSONI. La decisione
affronta il tema della meritevolezza del contratto atipico con cui alcuni farmacisti regolavano la sospensione della
loro attività in determinati periodi dell’anno. L’immeritevolezza dell’accordo viene rilevata dal S.C. nel suo insito
contrasto con il principio della libertà della concorrenza.
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In definitiva, come si è tentato di illustrare, il dibattito in ordine al ruolo da attribuire al giudizio di meritevolezza continua ad essere articolato. L’attualità dell’interesse manifestato da
parte della dottrina e della giurisprudenza nei confronti del capoverso dell’art. 1322 c.c. è verosimilmente dovuta anche all’introduzione, nel non lontano 2005, dell’art. 2645-ter, al cui interno è stata richiamata espressamente la formula della «realizzazione di interessi meritevoli di tutela». Essa testimonia, pertanto, che nella considerazione del legislatore la valutazione di meritevolezza non si risolve integralmente in quella di liceità.
Le riflessioni maturate intorno all’art. 2645-ter c.c., e in particolare all’estremo ivi richiamato della meritevolezza dell’interesse, colorano tale giudizio di un ruolo ancora una volta nuovo.
Esso, nella prospettiva dominante, sembra convergere su un controllo di proporzionalità e di
adeguatezza tra i mezzi adoperati dall’autore dell’atto di destinazione, lo scopo perseguito e il
patrimonio residuo del conferente, nonché in una valutazione comparativa tra gli interessi del
beneficiario e quello generale di cui all’art. 2740 c.c. 45, in adesione all’orientamento prima richiamato che, in un’ottica generale, vede nel giudizio di meritevolezza il controllo deputato a
verificare la conformità dell’autonomia contrattuale ai principi ispiratori dell’ordinamento e a
sanzionarne l’eventuale esercizio abusivo nei confronti dei terzi.
4. – Pertanto, come sostenuto dalla S.C. nella decisione in esame, può ritenersi che il contratto di rivelazione di diritti successori superi positivamente il vaglio di cui al capoverso dell’art.
1322 c.c., non soltanto attesa la sua diffusione nel mondo dei traffici, specie in altri ordinamenti,
ma anche in considerazione della liceità della sua causa, e tenuto conto degli altri parametri che
possono venire in rilievo per lo scrutinio di meritevolezza. Quest’ultima sembra dimostrata, infatti, anche alla luce dell’orientamento, prima richiamato, che a questo scopo richiede una verifica di conformità ai principi generali dell’ordinamento 46. Il contratto atipico in commento, prevedendo il disvelamento di una informazione che permette ai successibili del de cuius – entro il
sesto grado – di venire a conoscenza della delazione e di ricevere assistenza per l’accettazione
dell’eredità, bene si armonizza, infatti, con le logiche alle quali, nel nostro ordinamento, è ispirata la successione legittima ed, in particolare, con la scelta di attribuire carattere residuale (e
necessario) alla vocazione dello Stato ex art. 586 c.c.
L’approccio seguito dal S.C. nella sentenza in esame è dunque diverso da quello fatto proprio dalla sentenza di appello 47 in cui i giudici, non soffermandosi sull’analisi del profilo della
meritevolezza, sembrano dare per scontato che il contratto, ove fosse stato concluso tra le parti
in causa, sarebbe stato ammissibile e valido. E, significativamente, si distacca anche rispetto ad
45 Si v. G. PERLINGERI, Il controllo di meritevolezza degli atti di destinazione ex art. 2645-ter c.c., in Not., 1/2014,
p. 11 ss.
46 Cfr.
M. COSTANZA, Meritevolezza, cit., p. 430.
47 App.
Torino, 8 ottobre 2010, cit., inedita.
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altre decisioni emesse in materia di contratto di rivelazione di diritti successori. Segnatamente,
dalla sentenza del Tribunale di Torino 48 che, pur vedendo il giudizio di meritevolezza come
controllo volto a verificare la compatibilità del contratto atipico rispetto ai principi dell’ordinamento, rimane però nell’ottica della Relazione al c.c., esplicitamente richiamata 49. E dalla
sentenza del Tribunale di Genova 50, che si limita all’osservazione della non illiceità della causa
del contratto.
Concentrando adesso l’attenzione sul contratto di rivelazione di diritti successori, al fine di
qualificarlo ed individuarne così la disciplina applicabile, si può affermare che, analizzato in
astratto, è un contratto bilaterale, consensuale, oneroso, a forma libera e ad effetti obbligatori.
Tenuto conto della qualità soggettiva delle parti, ove, come tipicamente avviene nelle fattispecie
scrutinate, il cercatore d’eredi sia un imprenditore, il contratto può inquadrarsi tra quelli tra professionista e consumatore, applicandosi, ove sussistano gli estremi oggettivi, le norme dedicate
a tale categoria di contratti e contenute, in primo luogo, nel cosiddetto Codice del consumo.
Si tratta di un contratto sinallagmatico dalla cui conclusione sorge per il cercatore d’eredi
l’obbligo di eseguire due prestazioni di fare consistenti nella comunicazione dell’identità del de
cuius, dato conoscitivo reperito mediante un’indagine precedentemente ed autonomamente intrapresa, e nella prestazione della assistenza necessaria all’accettazione dell’eredità da parte del
chiamato. In capo a quest’ultimo sorge l’obbligazione di corrispondere una somma di danaro,
generalmente determinata nella percentuale di un terzo e il cui preciso ammontare è ancorato al
valore del lascito che il chiamato percepirà a seguito dell’accettazione.
Il meccanismo di determinazione del compenso, utilizzato nella prassi, secondo quanto risulta dalle decisioni in argomento, sollecita alcune riflessioni.
Innanzitutto viene in rilievo sotto il profilo, richiamato dalla Corte, della commutatività del
contratto, in quanto, se si stabilisce che il valore del compenso cui ha diritto il cercatore d’eredi
non si basi sulla complessità dell’attività di ricerca affrontata e sulle spese sostenute in quella
occasione, ma vada calcolato con riferimento al valore della quota ereditaria, esso sembra smarrire, almeno nella modalità di calcolo, il carattere di “compenso per l’attività prestata” o “per il
servizio reso” della prestazione così remunerata. La Corte di cassazione, invero, limitando lo
spettro del proprio giudizio al principio della domanda, non affronta esplicitamente tale interrogativo. Tuttavia, è opportuno rammentare che il S.C., nella decisione in esame, afferma che il
diritto al compenso è giustificato solamente qualora l’informazione sia stata acquisita a seguito
di un’attività svolta professionalmente ed ordinata all’acquisizione del dato conoscitivo, non essendo dovuto alcun compenso nel caso in cui il cercatore abbia reperito l’informazione in modo
casuale. La soluzione che il diritto vivente fornirà alla questione precedente chiarirà se la previ48 Trib.
Torino, 27 gennaio 2005, cit.
49 La
sentenza riprende testualmente l’impianto motivazionale espresso da App. Milano, 29 gennaio 1970, in Riv.
dir. comm., 1971, II, p. 81 ss., con nota critica di G.B. FERRI, Meritevolezza dell’interesse e utilità sociale.
50 Trib.
568
Genova, 8 ottobre 2008, cit.
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sione di un sacrificio nella sfera del soggetto che si ritenga titolare di un diritto al compenso sia
rilevante solo dal punto di vista del an, o anche da quello del quantum, nel senso di instaurare
una correlazione tra l’entità del sacrificio economico patito e quella del compenso preteso 51.
Il meccanismo di determinazione del compenso prima descritto comporta, inoltre, che il
chiamato sia edotto dell’esatto ammontare della propria prestazione solo al momento dell’accettazione dell’eredità. Con riferimento a tale profilo, in particolare, può osservarsi che l’art. 33,
comma 2, lett. n), d.lgs. n. 206 del 2005 presume vessatoria, fino a prova contraria, la clausola
che abbia per oggetto o per effetto quello di «stabilire che il prezzo dei beni o dei servizi sia determinato al momento della consegna o della prestazione». Se scopo della norma è quello di garantire al consumatore il diritto di conoscere l’esatto ammontare della propria controprestazione
quantomeno al momento della conclusione del contratto, evitando che nella sua determinazione
vi possano essere elementi di “opacità”, nel caso in esame il carattere vessatorio della clausola
sembra potersi astrattamente desumere dalla circostanza che la prestazione del chiamato sarà
esattamente quantificata solo dopo l’accettazione dell’eredità: in un momento successivo quindi,
sia rispetto alla esecuzione della prestazione principale, consistente nella rivelazione, sia rispetto
a quella dell’assistenza.
La previsione, invalsa nella prassi di tale contratto atipico, di ancorare la misura del compenso del professionista al valore della quota ereditaria che il chiamato otterrà non rileva solamente
quale metodo di determinazione dell’ammontare della prestazione del chiamato ma instaura una
condizione sine qua non tra accettazione dell’eredità ed esistenza del diritto al compenso. Ciò
comporta che nel caso in cui, per circostanze di varia natura (si pensi all’accettazione dell’eredità da parte di un successibile ex lege di ordine privilegiato rispetto a quello che ha concluso il
contratto con la società), il chiamato non possa accettare l’eredità – perché la sua chiamata è stata caducata –, al cercatore d’eredi non sarà dovuto alcun compenso. Più complesso è il caso in
cui, ottenuta la quota ereditaria, si verifichino delle circostanze che ne comportino la restituzione. Si pensi all’ipotesi di una dichiarazione giudiziale di paternità, intervenuta a distanza di anni
dall’apertura della successione, o alla scoperta di un testamento contenente il riconoscimento di
un figlio 52.
In questa particolare evenienza, guardando al principio stabilito dalla Corte nella decisione in
esame, – ove venga esperita vittoriosamente da parte dei figli riconosciuti l’azione di petizione
51 In
ambiente francese il giudice, in un caso, ha ridotto l’entità del compenso del genealogista risultato manifestamente sproporzionato rispetto al servizio reso: Cour de cassation, 6 giugno 2012, n. 11-10052, reperibile su
www.legifrance.gouv.fr.
52
In simili circostanze la giurisprudenza ha chiarito che per i figli il cui rapporto di filiazione rispetto al genitore
venga accertato giudizialmente, il termine decennale di accettazione dell’eredità inizia a decorrere “dal passaggio in
giudicato della sentenza di accertamento del loro status, trovandosi essi fino a tale accertamento nella impossibilità
giuridica, e non di mero fatto, di accettare l’eredità". Orientamento confermato recentemente da Cass., 5 settembre
2012, n. 14917, in Fam. dir., 2013, p. 682 ss, che, tra l’altro, ha sancito l’impossibilità di far valere nei confronti dei
figli che esperiscano l’azione di petizione d’eredità, gli effetti dell’intervenuta usucapione.
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dell’eredità – l’erroneamente chiamato che abbia dovuto restituire il lascito potrebbe chiedere la
restituzione della somma pagata al cercatore d’eredi.
Volgendoci, ora, all’individuazione della disciplina applicabile, seguendo, anche sulla scia
della giurisprudenza 53, il metodo tipologico 54, può rilevarsi che il contratto prima sommariamente analizzato presenta aspetti di affinità con l’appalto di servizi (art. 1655 ss. c.c.). In particolare depongono in questo senso, oltre a quanto si dirà in seguito sul contenuto della prestazione, l’organizzazione imprenditoriale e la gestione a proprio rischio: elementi che vengono in rilievo quando l’attività di ricerca degli eredi viene eseguita da un imprenditore. Nell’esperienza
statunitense, in cui lo schema contrattuale prima descritto ha una diffusione ampia, la giurisprudenza ha posto l’accento sul servizio offerto al chiamato 55. Una formulazione più precisa è stata
fornita dalla giurisprudenza francese che lo ha definito come contrat de prestation de service 56.
Va peraltro osservato che l’inquadramento della fattispecie come appalto di servizi sembra
ipotizzabile nell’evenienza in cui sia il soggetto che si ritenga chiamato ad una successione a rivolgersi al cercatore d’eredi affinché questi, dopo avere svolto indagini, gli comunichi l’identità
del de cuius alla cui successione il committente è chiamato. Nel caso in esame, invece, poiché
l’attività di ricerca culminata nell’acquisizione dell’informazione è svolta prima della conclusione del contratto, e oggetto di scambio tra cercatore e chiamato è soltanto il disvelamento
dell’identità del de cuius – dato conoscitivo che costituisce per il chiamato un’indubbia utilità –
l’opzione qualificatoria più corretta sembra essere quella di considerare il contratto concluso tra
53 Tra
le tante, Cass., 26 febbraio 2004, n. 3863, in Foro it., 2004, I, c. 2132 ss.
54 Su
cui, nel nostro sistema, si v., per tutti, G. DE NOVA, Il tipo, cit., p. 126 ss. Come è noto, secondo l’A., la base
di partenza da cui deve muovere l’interprete è offerta dal complesso di norme dedicato a regolare un contratto speciale affine a quello di cui si tenta la qualificazione, mutuandone la disciplina, se del caso, tra più tipi legali, in quanto la
definizione che di un contratto fornisce il legislatore non sarebbe sufficiente per ricostruirne il tipo. Successivamente,
dovrebbe operarsi anche il confronto tra la disciplina del tipo legale e quella pattizia (in quanto la reiterata deroga nella prassi ad una norma dispositiva sarebbe spesso indice del fatto che la disciplina legale è ispirata ad un tipo diverso). Infine il procedimento di qualificazione dovrebbe tenere conto anche dell’apporto delle riflessioni della dottrina e
della giurisprudenza sulla fattispecie oggetto di analisi.
55 Cfr. sul punto Washington Supreme Court, 22 giugno 1995, No. 61932-8, Nelson v. McGoldrick (127 Wn.2d
124; 896 P.2d 1258; 1995 Wash. LEXIS 172; 37 U.C.C. Rep. Serv. 2d (Callaghan) 937).
Sulla liceità di tale contratto, si v. Court of Appeals of Wisconsin, 9 ottobre 1990, No. 89-1960, In re Estate
Katze-Miller (158 Wis. 2d 559; 463 N.W. 2d 853; 1990 Wisc. App. LEXIS 1005), in cui la Corte riconosce anche la
validità di una corresponsione del compenso al ricercatore d’eredi espressa in termini percentuali rispetto al valore
dell’eredità. Cfr., sulla stessa linea interpretativa, Court of Appeal of California, 1 agosto 2008, No. B197196, Estate
of Molino-Boldt-O’Grady (165 Cal. App. 4th 913; 81 Cal. Rptr. 3d 512; 2008 Cal. App. LEXIS 1189).
56 Cour de cassation, 1 aprile 2015, n. 14-11.008, reperibile su www.legifrance.gouv.fr. In essa la Corte analizza il
contratto con cui un notaio, dopo l’apertura della successione, si rivolge ad una società per l’individuazione dei chiamati all’eredità. Si v., inoltre, Cour de cassation, 10 maggio 1989, n. 87-18729, reperibile su www.legifrance.gouv.fr,
secondo cui la causa di tale contratto risiede nel fatto di informare della sua qualità un chiamato ad un’eredità ignaro
di esserne beneficiario. La giurisprudenza francese ha inoltre ritenuto che se tale contratto viene concluso fuori dai
locali commerciali (nel caso di specie, presso l’abitazione di uno dei chiamati) esso deve contenere menzione del diritto di recesso previsto dall’art. L. 121-23 del codice del consumo, pena la nullità del contratto: così Cour d’appel de
Toulouse, 23 ottobre 2008, n. 06-05760, reperibile su www.legifrance.gouv.fr.
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le parti come accordo atipico avente in sé elementi della cessione a titolo oneroso e del contratto
di mandato.
La rivelazione dell’identità del de cuius, se inquadrata quale prestazione di dare (il bene immateriale costituito dall’informazione vantaggiosa) per il corrispettivo di un prezzo (il compenso
promesso alla società che comprende anche l’assistenza legale), sembra poter essere intesa come
cessione onerosa di una informazione che, sostanziandosi nella notizia dell’apertura della successione, costituisce l’unico presupposto (insieme alla qualità positiva di essere uno dei chiamati ex
lege e a quella negativa di non essere incorsi in uno dei casi di indegnità di cui all’art. 463 c.c.) per
l’esercizio di un diritto, di cui si è già titolare, qual è quello di succedere. Si tratterebbe di una cessione a titolo oneroso solo parzialmente assimilabile alla compravendita, considerati i riferimenti
che l’art. 1470 c.c. fa al «trasferimento della proprietà di una cosa» o al «trasferimento di un altro
diritto», non acquistando – in senso stretto – i chiamati altro diritto di cui già non fossero titolari.
In questo senso, l’attività di ricerca compiuta dalla società prima della conclusione del contratto
dovrebbe essere intesa non come attività negoziale, ma come attività preparatoria all’acquisizione
del bene-informazione che poi dovrebbe costituire oggetto di cessione a titolo oneroso.
Senonché, sembra necessario interrogarsi sulla qualificazione dei diritti sul “bene-informazione” e sulla relativa titolarità in capo al cercatore d’eredi, requisito che appare indispensabile
al fine di un eventuale trasferimento di tale diritto ad altri soggetti in ossequio al principio nemo
plus iuris ad alium tranferre potest quam ipse habet.
Come è noto, l’inquadramento del bene-informazione tra i beni in senso giuridico non costituisce una soluzione accolta pacificamente dalla dottrina italiana 57. Le divergenze in ordine alla qualificazione da attribuire all’informazione derivano principalmente dal convincimento che il concetto di bene sia intrinsecamente collegato al suo godimento esclusivo 58. Parte della dottrina, criticando tale orientamento, ha sostenuto che la nozione di bene ex art. 810 c.c. postula la sua idoneità
ad essere oggetto di diritti tout court e non già soltanto di diritti dominicali 59. In quest’ottica
s’inscrive quell’orientamento interpretativo che ha affermato che il sistema che tendeva ad identificare il concetto di bene con le cose materiali non apparirebbe più attuale a fronte di uno sviluppo
economico che apprezza i beni o, almeno una parte di essi, non per la loro idoneità fisicoapplicativa, ma per il valore che essi manifestano nella prospettiva circolatoria o dello scambio 60.
57 Per un approccio problematico al tema si v. T.O. SCOZZAFAVA, I beni e le forme giuridiche di appartenenza,
Giuffrè, 1982, p. 340 ss.; A. BELFIORE, I beni e le forme giuridiche di appartenenza. A proposito di una recente indagine, in Riv. crit. dir. priv., 1983, p. 855 ss.; In senso favorevole si v. V. ZENO ZENCOVICH, voce Cosa, in Dig. disc.
priv., sez. civ., IV, Utet, 1989, p. 438 ss.; ID., voce Informazione, in Dig. disc. priv., sez. civ., IX, Utet, 1993, p. 420
ss.; A. GAMBARO, I beni, nel Trattato di diritto civile e commerciale, già diretto da A. Cicu, F. Messineo e L. Mengoni, continuato da P. Schlesinger, Giuffrè, 2012, p. 62 ss.
58 Si
v. P. PERLINGERI, L’informazione come bene giuridico, in Rass. dir. civ., 1990, p. 330 ss.
59 P.
PERLINGERI, L’informazione, cit., ibidem.
60 F.
ALCARO, Riflessioni vecchie e nuove in tema di beni immateriali. Il diritto d’autore nell’era digitale, in Rass.
dir. civ., 2006, p. 942 ss.
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Poiché bene sarebbe allora «il lato oggettivo di qualsiasi interesse protetto» 61, può ritenersi che
l’informazione possa assurgere a bene giuridico oltre che per la sua idoneità a costituire oggetto
di scambio, proprio per l’utilità che la sua conoscenza ha per il successibile ex lege, ignaro della
propria qualità di chiamato.
Tralasciando le pur rilevanti questioni sorte in ordine alla configurabilità di diritti reali sul
bene-informazione in quanto defettibili nel caso in esame (soprattutto per quanto riguarda il
predicato dell’esclusività 62 posto che, per il cercatore d’eredi, la conoscenza dell’identità del de
cuius rileva necessariamente solo nel caso in cui riesca a cedere, tramite corrispettivo, tale dato
a colui al quale l’ordinamento riconosce la qualità di chiamato – all’unico soggetto cioè che
tramite l’utilizzazione dell’informazione può trarne un’utilità autonoma (perché derivante non
da un’ulteriore cessione, ma dallo sfruttamento diretto di tale bene, che si esplica nella possibilità di trarne i vantaggi che la sua acquisizione comporta, e cioè di accettare l’eredità) – sembrano
applicabili al contratto in esame, con riferimento alla comunicazione dell’identità del de cuius,
le norme dettate per i contratti di scambio. Mentre, per quanto attiene alla prestazione di assistenza nella fase dell’accettazione, sono richiamabili le norme sul mandato se l’attività svolta si
connota come collaborazione nell’attività giuridica 63, ovvero quelle dell’appalto di servizi 64.
La circostanza che lo schema contrattuale creato dalle parti nel caso in esame non si lasci
integralmente ricondurre ad alcuno dei tipi disciplinati dal legislatore, se non ha delle conseguenze in ordine alla validità del negozio, comporta, in ogni caso, in omaggio al disposto
dell’art. 1323 c.c., l’operatività delle norme generali regolatrici dei contratti di cui al titolo II
del libro IV.
In conclusione, al contratto di rivelazione di diritti successori, nella sua astratta configurazione, potranno applicarsi, oltre alle già richiamate disposizioni del codice civile sul contratto in
generale, ove non sia sufficiente il riferimento a quelle sui contratti di scambio unitamente a
quelle sul mandato e/o sull’appalto di servizi, anche le regole dettate per i “contratti del consumatore” qualora ricorrano i presupposti oggettivi e soggettivi contemplati nel codice del consumo e negli altri testi normativi che disciplinano tale categoria negoziale.
61 A.
GAMBARO, I beni, cit., p. 61.
62 V.
ZENO ZENCOVICH, voce Cosa, cit., rileva che «manca nel nostro ordinamento positivo una norma o un principio generale che consentano ad un soggetto di affermare un proprio diritto esclusivo su ogni messaggio comunicabile ad altri attraverso un mezzo qualsiasi, anche quando egli ne sia autore».
63 In
questo senso si è espresso, in un caso analogo, Trib. Torino, 27 gennaio 2005, cit., p. 1184.
64 Suggerisce
questa soluzione R.W., Nota a Trib. Torino, 27 gennaio 2005, cit., p. 1186, sulla base del condivisibile argomento che la prestazione dedotta nel contratto di ricerca di successori legittimi in cambio di quota di eredità
giacente (così indicato nel caso deciso), essendo costituita da atti di reperimento degli eredi e di informazione
dell’esistenza dell’eredità giacente suscettibile di accettazione, sarebbe da ricondurre all’appalto di servizi e non piuttosto al mandato, avendo questo come contenuto il compimento di atti giuridici per conto o in nome del mandante.
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5. – Rimane da verificare se l’ordinamento presti tutela al soggetto che abbia fornito autonomamente (fuori cioè da qualsivoglia convenzione o incarico) ad un chiamato ad un’eredità
l’informazione vantaggiosa (consistente nella identificazione del de cuius) attraverso la teorica
del rapporto contrattuale di fatto o sulla base dei principi in tema di arricchimento ingiustificato,
secondo quanto prospettato, sia pure in via ipotetica, dalla S.C. nella decisione in commento.
La Corte, infatti, relativamente alla richiesta del compenso avanzata dal cercatore d’eredi nei
confronti del chiamato all’eredità che non ebbe ad accettare la sua proposta contrattuale, afferma che «la domanda di pagamento del compenso potrebbe trovare la sua causa di giustificazione o ravvisando nella fattispecie una sorta di rapporto contrattuale di fatto, venutosi a creare per
effetto del contatto sociale fra la società – che ha comunicato al chiamato gli estremi dell’eredità
– e quest’ultimo che, accettando l’eredità, ha consapevolmente utilizzato a suo vantaggio le informazioni ricevute; oppure sulla base dei principi in tema di arricchimento senza causa» 65. La
prospettazione del rapporto contrattuale di fatto tuttavia è puramente ipotetica, non essendo stata
sollevata dal ricorrente, che ha fatto riferimento esclusivamente all’arricchimento senza causa.
La decisione in esame, confermando la sentenza di secondo grado, che sul punto si era ampiamente diffusa, esclude però che nella specie si possa invocare l’art. 2041 c.c. 66.
Tornando alla prima figura, come è noto, la teorica dei rapporti contrattuali di fatto 67, fondata sulla possibilità di contrahere senza consentire, svalutando l’importanza dell’elemento del
consenso in una realtà dei traffici dominata dalla velocità degli scambi, dà rilevanza all’affidamento suscitato da determinati comportamenti. La dottrina, tuttavia, si mostra cauta nel riconoscere gli elementi di sussistenza di una condotta «a significato sociale tipizzato» e, correlativamente, un apprezzabile affidamento in ordine all’avvenuta instaurazione – in fatto – di un
rapporto negoziale in mancanza degli estremi del consenso che invece la normativa codicistica
pone alla base della disciplina del contratto 68. Non potendo, dati i limiti di questo lavoro, analizzare funditus la tematica in discorso, può tuttavia rammentarsi che, in accordo con l’orientamento interpretativo maggioritario, requisito necessario perché si configuri un rapporto contrattuale di fatto è l’assenza della protestatio 69, ossia che il destinatario della prestazione eseguita non si sia opposto alla esecuzione della medesima da parte dell’altro “contraente di fatto” 70.
65 Punto
66 Cfr.
5.1. della motivazione.
supra, note 3 e 6.
67 Si
v. sul tema E. BETTI, Sui cosiddetti rapporti contrattuali di fatto, in Jus, 1957, p. 353 ss.; L. RICCA, Sui cosiddetti rapporti contrattuali di fatto, Giuffrè, 1965; G. STELLA RICHTER, Contributo allo studio dei rapporti di fatto
nel diritto privato, in Riv. trim. dir. proc. civ., 1977, p. 150 ss.; V. FRANCESCHELLI, Premesse generali per uno studio
dei rapporti di fatto, in Rass. dir. civ., 1981, p. 662 ss.
68 Così, nella manualistica, A. DI MAJO, Conclusione del contratto, in AA.VV., Istituzioni di diritto privato20, a
cura di M. Bessone, Giappichelli, 2013, 530 ss., p. 537 ss.
69 Cfr.
R. SACCO, voce Contratto di fatto, in Dig. disc. priv., sez. civ., agg. *****, Utet, 2010, p. 432 ss.
70 In
questo senso si esprime V. FRANCESCHELLI, voce Rapporto di fatto, in Dig. disc. priv., sez. civ., XVI, Utet,
1997, p. 272 ss.
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Alla luce di tali considerazioni, ritenere giustificato, nel caso di specie, il diritto al compenso della società, significherebbe che una proposta contrattuale che non riceve adesione da
parte dell’oblato, ma anzi un netto rifiuto, come in effetti avvenuto, se è seguita dall’esecuzione della prestazione da parte del proponente, fonda comunque il diritto al corrispettivo.
Tale soluzione non si ritiene condivisibile in quanto il fulcro del principio dell’autonomia
contrattuale non consiste solamente nella libertà di scelta fra i diversi tipi di contratti previsti
dalla legge o dalla libertà di determinare, entro i limiti imposti dalla legge, il contenuto del
negozio, ma anche, e forse in primo luogo, nella libertà di non essere spogliati dei propri beni
o «costretti ad eseguire prestazioni a favore di altri contro o, comunque, indipendentemente
dalla propria volontà» 71.
Quanto, invece, alla configurabilità degli estremi dell’ingiustificato arricchimento ex artt.
2041 e 2042 c.c., sebbene non si possa negare come vi sia un nesso tra il beneficio conseguito e
la comunicazione dell’informazione, sembra mancare uno dei presupposti necessari per l’esperimento della relativa azione, rappresentato dall’«arricchimento a danno di un’altra persona» di
cui parla l’art. 2041 c.c. 72. Ciò trova ragione nel fatto che il comportamento del chiamato è stato
quello di limitarsi ad esercitare un proprio diritto, e tale circostanza sembra inidonea a costituire
un danno per il cercatore d’eredi. La dottrina ritiene inoltre necessaria, perché l’azione di arricchimento ingiustificato possa essere esperita, la presenza di una correlazione tra arricchimento e
danno, l’unicità del fatto causativo e che il rapporto di causalità tra arricchimento e danno sia
diretto ed immediato 73.
Esclusa, quindi, la possibilità di ricorrere all’azione di cui agli artt. 2041 ss. c.c., si potrebbe infine sondare se le norme in materia di gestione di affari altrui possano condurre a ritenere
giustificato non un compenso bensì un indennizzo delle spese sostenute dalla società nell’at71 Così
F. GALGANO, Trattato di diritto civile, II, Cedam, 2010, p. 161.
72 Va
tuttavia sottolineato che in altra decisione su un caso analogo il Tribunale di Genova (7 novembre 2008,
cit.) ha rinvenuto gli estremi della fattispecie dell’arricchimento senza causa nella circostanza in cui i chiamati abbiano accettato il lascito ereditario solamente grazie all’informazione comunicata dal “cercatore d’eredi”. In particolare,
i giudici hanno identificato l’arricchimento di cui all’art. 2041 c.c. nell’incremento patrimoniale ottenuto dal chiamato a seguito dell’accettazione dell’eredità e, correlativamente, l’impoverimento della società nella mancata remunerazione dell’attività di ricerca eseguita. Essi hanno altresì ritenuto che sussistesse un nesso di causalità diretto tra
l’attività di ricerca e l’impoverimento. Hanno poi ravvisato l’assenza di giusta causa nella inesistenza di un vincolo in
forza del quale il cercatore dovesse comunicare al chiamato l’informazione relativa all’identità del de cuius, e precisato inoltre che la causa dello spostamento patrimoniale non potesse essere qualificata come antigiuridica. Su tali
conclusioni v., però, i rilievi critici di A.M. BENEDETTI, L. GUERRINI, Meritevolezza, cit., p. 369 s.
73 Si v., tra gli altri, A. TRABUCCHI, voce Arricchimento, in Enc. dir., III, Giuffrè, 1958, p. 52 ss.; E. MOSCATI, voce Arricchimento nel diritto civile, in Dig. disc. priv., sez. civ., I, Utet, 1987, p. 447 ss.; P. GALLO, Arricchimento
senza causa e quasi contratti, nel Trattato di diritto civile, diretto da R. Sacco, Utet, 2008, p. 29 ss.; S. DI PAOLA, R.
PARDOLESI, voce Arricchimento, in Enc. giur., II, Treccani, 1988, p. 3 ss., ove gli AA., riprendendo la costruzione di
P. Trimarchi (in L’arricchimento senza causa, Giuffrè, 1962), sottolineano che «quante volte l’arricchimento promani
da un’attività dell’impoverito, l’azione sarà accolta solo se l’attività stessa sia stata eseguita in buona fede, ovvero
l’arricchito vi abbia consentito o l’abbia positivamente ricevuta, o ne abbia tollerato l’esecuzione diretta nell’ambito
del proprio dominio patrimoniale».
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tività volta alla individuazione dei chiamati all’eredità. Tale via è stata seguita infatti, in una
vicenda analoga a quella in esame, dal Tribunale di Torino 74. Tuttavia, anche l’inquadramento
dell’attività di ricerca dei chiamati, temporalmente prodromica rispetto alla proposta contrattuale, nella figura della gestione di affari altrui non sembra convincente. Affermare che la
società sia da trattare alla stregua del negotiorum gestor significherebbe, per il portato normativo dell’art. 2028 c.c., sostenere che la stessa, qualora avesse voluto, non avrebbe potuto
interrompere a proprio piacimento l’intrapresa attività di ricerca degli eredi, con un’evidente
menomazione della libertà di impresa. Presuppone, inoltre, senza una spiegazione adeguata,
che i chiamati si trovino nella impossibilità di pervenire autonomamente alla conoscenza della apertura della successione e della loro qualità di eredi ex lege, ravvisando cioè, ma qui
senza fondamento, quel requisito necessario della gestione di affari altrui che è l’absentia
domini 75.
Da non trascurare è anche la circostanza che nel caso in esame la società, nel rivelare al
chiamato – che non abbia accettato l’offerta di un contratto di cessione dell’informazione o di
un servizio di assistenza – l’identità del de cuius, non ha svolto un’attività per prendersi cura
degli affari che questi non poteva gestire (a causa di una particolare situazione della vita in cui
si trovava), ma per portare a termine l’incarico affidatole dagli altri chiamati che, invece, avevano accettato la proposta. La scelta di comunicare l’identità del de cuius al chiamato che non
aveva accettato la proposta contrattuale sembra costituire infatti un espediente utilizzato dal cercatore d’eredi per evitare che durante il procedimento di cui agli artt. 481 c.c. e 749 c.p.c. il successibile ottenesse comunque il disvelamento dell’informazione che gli avrebbe permesso di accettare l’eredità senza dovere alcunché alla società.
In definitiva, alla luce di tali considerazioni, si ritiene che nessuna attribuzione patrimoniale
sia dovuta al cercatore d’eredi da parte del chiamato che non ha voluto concludere il negozio di
74 Il
Tribunale di Torino, nella sentenza del 27 gennaio 2005, cit., 1184, pone l’accento sul fatto che la società di
ricerche genealogiche avesse svolto nella fattispecie concreta «un’attività negoziale complessa», da distinguere in due
fasi: una di ricerca del probabile erede ignaro dell’eredità giacente; l’altra di conclusione del contratto. Ha poi individuato nella prima fase gli elementi sia dell’utile gestione d’affari di cui agli artt. 2028 e ss. c.c., sia della scoperta del
tesoro in fondo altrui, di cui all’art. 932, comma 2, c.c.
Riportando tali considerazioni al caso qui in esame, pur volendo tralasciare l’assenza del nesso di equivalenza o
similarità tra tesoro ed eredità (cfr. sul tema G. TARELLO, L’interpretazione della legge, nel Trattato di diritto civile e
commerciale, già diretto da A. Cicu e F. Messineo, continuato da L. Mengoni, Giuffrè, 1980, p. 351 ss.), poiché quest’ultima non si configura sempre come cosa “di pregio” (e di ciò offre una conferma la previsione dello strumento
dell’accettazione con beneficio di inventario), va osservato come l’art. 932, comma 2, c.c. non sembri riferibile
all’attività di ricerca svolta dalla società. Infatti, anche prescindendo dal tenore letterale del primo comma del citato
articolo, che definisce il tesoro come «qualunque cosa mobile di pregio, nascosta o sotterrata di cui nessuno può provare di essere proprietario», l’attribuzione della metà del valore del tesoro al “ritrovatore” è dovuta a condizione che
il tesoro «sia stato scoperto per solo effetto del caso»: circostanza incompatibile con l’attività di indagine genealogica
svolta dal cercatore d’eredi, che ostacola l’applicabilità in via estensiva o analogica di tale disposizione alla fattispecie in discorso.
75
Cfr. P. GALLO, voce Gestione di affari altrui, in Dig. disc. priv., sez. civ., VIII, Utet, 1992, p. 698 ss.
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rivelazione di diritti successori. Tale soluzione sembra confermata inoltre dal fatto che la società
di ricerca genealogica, nel caso di specie, ha già ricevuto un compenso da parte dei chiamati che
hanno stipulato il contratto 76.
76 Che
il dato conoscitivo cui l’attività di ricerca era ordinata non sia stato poi oggetto di scambio nei confronti di
tutti i chiamati all’eredità, sembra essere un dato insito nell’attività di impresa svolta dal cercatore d’eredi, la quale si
caratterizza per l’assunzione del rischio da parte di quest’ultimo che, investendo su una determinata attività, non può
essere certo del margine di lucro che vi potrà trarre.
Per un analogo rilievo in una fattispecie corrispondente v. A.M. BENEDETTI, L. GUERRINI, Meritevolezza, cit., p.
369.
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