Osservatorio Romano - Associazione il Cuore

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L’OSSERVATORE ROMANO
POLITICO RELIGIOSO
GIORNALE QUOTIDIANO
Non praevalebunt
Unicuique suum
Anno CLIV n. 192 (46.734)
Città del Vaticano
lunedì-martedì 25-26 agosto 2014
.
All’Angelus l’appello di Papa Francesco nel giorno in cui si celebra la festa nazionale
Mentre continuano le violenze
Pace per l’Ucraina
Si lavora per una tregua
nella Striscia di Gaza
Il Papa torna a invocare «pace e serenità» per l’Ucraina, dove il perdurare di «una situazione di tensione e
di conflitto» provoca «tanta sofferenza tra la popolazione civile».
All’Angelus di domenica 24 agosto,
giorno in cui il Paese celebra l’anniversario dell’indipendenza, il Pontefice ha rivolto il suo pensiero a quella «amata terra» e ha invitato i fedeli in piazza San Pietro a recitare
un’Ave Maria alla «Regina della pace», pregando in particolare «per le
vittime, per le famiglie e quanti soffrono».
In precedenza, riferendosi al brano evangelico della liturgia domeni-
cale che racconta la professione di
fede di Pietro, il vescovo di Roma
aveva ricordato che nel disegno di
Gesù la Chiesa è «un popolo fondato non più sulla discendenza, ma
sulla fede».
Di questa comunità «la pietra
fondamentale è Cristo»; da parte
sua, «Pietro è pietra, in quanto fondamento visibile dell’unità». Ma, ha
puntualizzato Francesco, «ogni battezzato è chiamato a offrire a Gesù
la propria fede, povera ma sincera,
perché lui possa continuare a costruire la sua Chiesa».
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Blindati russi varcano il confine
Combattimenti
senza sosta
KIEV, 25. Non accennano a diminuire i combattimenti nell’Ucraina
orientale. Stamane sono infatti stati
registrati violenti scontri armati tra
le guardie di frontiera ucraine e
una colonna di blindati arrivati
dalla Russia, che hanno attraversato il confine nei pressi di SherbakNovoazovsk, non distante dal porto di Mariupol, nel mare di Azov.
Lo ha detto alla stampa il portavoce della Sicurezza di Kiev,
Leonid Matyukhin. «Il confine
ucraino è stato violato da un convoglio di diverse decine di carri armati e veicoli blindati — ha precisato — e la battaglia è in corso». Al
momento non sono segnalate vittime. Ieri, invece, almeno cinque civili sono morti durante un bombardamento che ha colpito un ospedale e una chiesa — durante la messa
— nella regione di Donetsk.
Nella città roccaforte dei separatisti, l’artiglieria ha centrato, dopo
lo stadio dello Shakhtar (la squadra di calcio campione d’Ucraina),
anche un altro ospedale, fortunatamente senza provocare vittime.
E mentre a Lugansk, secondo
bastione filorusso, è cominciata la
distribuzione degli aiuti umanitari
portati venerdì da una colonna di
camion russi, il ministro degli Este-
ri di Mosca, Serghiei Lavrov, ha
fatto sapere che a breve verrà inviato un secondo convoglio di assistenza per le popolazioni dell’est
dell’Ucraina. Lo stesso capo della
diplomazia russa ha poi detto che
l’atteso incontro di domani a Minsk tra i leader dell’Unione doganale (Russia, Bielorussia e Kazakhstan), di Kiev e dell’Ue sarà focalizzato sulla soluzione politica
della crisi ucraina. Lavrov ha precisato che Mosca è pronta a negoziati «in qualsiasi formato» per fermare la guerra civile in Ucraina, non
escludendo che a Minsk possa avvenire un faccia a faccia tra Vladimir Putin e Petro Poroshenko.
Ma sulla crisi si è innescato un
nuovo focolaio di tensione. La Federazione russa, a differenza degli
anni precedenti, non è infatti stata
invitata al summit della Nato, in
programma il 4 e 5 settembre prossimi in Galles. Lo ha confermato
una fonte dell’Alleanza Atlantica
da Bruxelles, confermando quanto
anticipato ieri dal quotidiano russo
«Kommersant». Nei mesi scorsi, la
Russia era già stata sospesa dal G8,
mentre l’Australia, presidente di
turno del G20, sta considerando
l’ipotesi di non invitare Mosca al
summit in programma a novembre.
Stragi quotidiane di migranti nel Mediterraneo
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Come
una guerra
Gommone carico di migranti alla deriva (Ansa)
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Una donna in lacrime durante il rito funebre per le vittime di combattimenti a Donetsk (Reuters)
TEL AVIV, 25. La guerra a Gaza va
avanti, anche se sembrano aprirsi
spiragli per una nuova tregua. Diverse fonti — principalmente i media israeliani — parlano di un possibile accordo tra Israele e Hamas
basato su un piano ideato dal presidente palestinese, Mahmoud Abbas. Questi avrebbe l’intenzione
fondamentale di rendere più internazionali gli sforzi di pace affidandoli alle Nazioni Unite e ad altre
organizzazioni. Di questa intenzione Abbas intenderebbe parlare con
il segretario di Stato americano,
John Kerry, dato in arrivo nella regione nelle prossime settimane.
Nella notte sono proseguiti i lanci di razzi palestinesi contro Israele
— solo ieri ne sono stati esplosi 117
— così come le azioni di rappresaglia israeliana con i raid aerei.
Nella Striscia di Gaza non si ferma, seppur tra mille difficoltà, la
ricostruzione. Ieri dovevano ripartire le scuole, ma la riapertura è stata rimandata per le condizioni di
sicurezza e per la presenza degli
sfollati in molte aule. In risposta ai
razzi di Hamas l’aviazione israeliana ha bersagliato la Striscia con
raid che hanno procurato vari morti: tredici, secondo fonti palestinesi,
e decine di feriti. In un attacco a
Beit Lahya, nel nord di Gaza, sono
stati uccisi una madre e i suoi tre
figli che — almeno secondo una testimonianza — si trovavano per
strada nelle immediate vicinanze.
In un altro attacco — secondo un
portavoce militare — è stato colpito
Mohammed al-Oul, indicato da alcune fonti come «il responsabile
per conto di Hamas delle transazioni finanziare». Centrato anche
un palazzo che — sempre secondo i
militari israeliani — ospitava la sede
di un comando di Hamas.
Nel frattempo, Israele si è vestita
a lutto ieri per i funerali del piccolo Daniel Tregerman di quattro anni e mezzo, ucciso venerdì scorso
nel kibbutz di Nahal Oz, nel Neghev occidentale, da un colpo di
mortaio sparato dalla Striscia di
Gaza. Le esequie si sono svolte alla
presenza del capo dello Stato Reuven Rivlin.
Sul piano diplomatico, mentre la
comunità internazionale cerca di
trovare una strategia comune per
riportare le due parti al tavolo dei
negoziati, il premier israeliano,
Benjamin Netanyahu, non ha
escluso che l’operazione contro
Hamas possa continuare anche nelle prossime settimane. «Ci stiamo
organizzando — ha riferito al suo
Governo, ieri, nella consueta riunione domenicale — nell’eventualità
che prosegua anche dopo l’inizio
dell’anno scolastico», ossia dopo il
primo settembre. Netanyahu ha anche avvisato che «gli abitanti di
Gaza devono lasciare immediatamente tutti i siti da dove Hamas
conduce le sue operazioni» perché
rischiano di essere colpiti da Israele. «Non ci può essere — ha aggiunto — alcuna immunità verso
chi spara contro di noi. E ciò vale
per tutti i fronti».
Le milizie costrette alla difensiva in Iraq mentre in Siria guadagnano territorio
Il duplice conflitto del Fronte islamico
DAMASCO, 25. La crisi in atto in Iraq
e in Siria resta prioritaria nell’attenzione internazionale, mentre si susseguono gli ammonimenti a non cadere nella pericolosa e falsa semplificazione di considerare quanto sta accadendo una guerra lanciata dall’islam
contro il cristianesimo.
In questo senso è tornato a esprimersi ieri, in un’intervista rilasciata
al quotidiano italiano «La Stampa»,
il cardinale Pietro Parolin, segretario
di Stato. Il porporato, citando rapporti del nunzio in Siria, ha sottolineato come tanti musulmani di quelle aree siano fortemente solidali con
i cristiani e le altre minoranze e rifiutino i metodi «brutali e inumani»
delle milizie islamiste, più volte condannati da Papa Francesco, che ha
insistito sulla necessità di un coinvolgimento dell’intera comunità internazionale nell’impegno a fermarli.
In quest’ottica, il cardinale ha
espresso la speranza che anche da
parte del mondo musulmano «si
sappia dire una parola in questo senso e quindi distinguere tra ciò che si
può fare e ciò che non si può fare».
Sul piano militare, intanto, le milizie dello Stato islamico (Is), in fase
di difesa in Iraq, dove l’appoggio
dell’aviazione statunitense favorisce
la controffensiva curda, hanno invece fatto segnare un successo strategico in Siria, con la conquista, dopo
una settimana di combattimenti, della base aerea militare di Tabqa, considerata l’ultimo bastione delle forze
governative nella provincia di ArRaqqah.
Secondo l’Osservatorio siriano per
i diritti umani (Ondus), l’organizzazione con sede a Londra espressione
dell’opposizione in esilio al presidente Bashar Al Assad, tra i miliziani islamisti ci sarebbero stati almeno
346 morti, a fronte dei 170 caduti tra
le forze governative. Su tali dati non
è possibile avere conferme indipendenti, ma le fonti ufficiali siriane
hanno confermato il ripiegamento
dalla base di Tabqa, pur non facendo alcun riferimento alle perdite subite. Sempre l’Ondus ricorda comunque che con la conquista della
base aerea l’Is avrebbe ottenuto un
immenso bottino. Tabqa era infatti
uno dei maggiori arsenali di armi
pesanti siriane — non solo aerei ed
elicotteri da guerra, ma anche carri
armati, cannoni e munizioni — e non
è chiaro se le forze in ritirata siano
state in grado di portarle con sé o di
distruggerle.
Sempre in Siria, è stato rilasciato
ieri il giornalista statunitense Peter
Theo Curtis, sequestrato nell’ottobre
del 2012 ad Antakya, nel sud della
Turchia, e poi trasferito in territorio
siriano. Il giornalista è stato preso in
consegna dai caschi blu dell’O nu
nel villaggio di Al Rafid, nelle alture
del Golan. In un comunicato l'Onu
si è limitata a rendere noto di aver
favorito le operazioni di rilascio. Secondo fonti citate anonimamente
dall’emittente «Al Jazeera», la liberazione dell’ostaggio sarebbe avvenuta grazie a una non meglio precisata mediazione condotta dal Qatar.
La notizia è arrivata cinque giorni
dopo la diffusione del feroce video
della decapitazione in Iraq del giornalista statunitense James Foley da
parte di un miliziano dell’Is del quale sembra accertata la nazionalità
britannica. Curtis era invece prigio-
Messa in suffragio
del giornalista ucciso dai miliziani
WASHINGTON, 25. Una messa in
suffragio di James Foley, brutalmente ucciso nei giorni scorsi in
Iraq, è stata celebrata domenica
24 nella chiesa di Rochester,
frequentata dai familiari del giornalista statunitense.
Al termine del rito, presieduto
dal vescovo di Manchester Peter
Libasci, è stato letto un messaggio inviato da Papa Francesco
che, unendosi alla preghiera dei
familiari e degli amici del giornalista, ha invitato a pregare «per la
fine della violenza insensata e per
un’alba di pace e riconciliazione
tra tutti i membri della famiglia
umana».
niero del Fronte Al Nusra, anch’esso
sunnita come l’Is, ma già più volte
entrato in conflitto con quest’ultimo
nei tre anni e mezzo del conflitto siriano.
Sul fronte iracheno, si segnala che
i peshmerga curdi hanno conquistato ieri la città di Algraj, uno dei centri abitati dell’area di Makhmour, situata a novanta chilometri a sud-est
di Mossul. Fonti locali hanno riferito che la conquista è avvenuta senza
scontri: i miliziani dello Stato islamico hanno subito ripiegato e si sono
arresi. E sulla crisi irachena è intervenuto oggi l’Alto commissario
dell’Onu per i diritti umani, Navi
Pillay, che ha accusato i miliziani di
compiere «una pulizia etnica e religiosa», e ha chiesto di giudicare i responsabili di eventuali crimini contro l’umanità. Ieri il cancelliere tedesco, Angela Merkel, aveva affermato
che nel Paese «si sta assistendo a un
genocidio che è sotto gli occhi di
tutti». Merkel ha detto che i jihadisti «agiscono con modalità terroristiche contro tutti quelli che la pensano diversamente da loro». Per questo motivo la Germania ha deciso di
inviare armi ai curdi iracheni: una
decisione presa dopo un intenso dibattito.
Sempre ieri è giunto a Baghdad,
per una visita non ufficiale, il ministro degli Esteri iraniano, Javad Zarif. Una visita che mira a fare il punto della situazione, hanno detto fonti del ministero degli Esteri di Teheran. Nell’occasione Zarif ha incontrato il premier iracheno designato
Haider Al Abadi: entrambi hanno
parlato della possibilità di rafforzare
le relazioni tra i due Paesi, anzitutto
sul piano economico e della sicurezza.
Presentata la partita di calcio
in programma il 1° settembre
allo stadio Olimpico di Roma
Scommessa
per la pace
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L’OSSERVATORE ROMANO
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lunedì-martedì 25-26 agosto 2014
Il gruppo nigeriano diffonde le immagini di brutali esecuzioni sommarie dopo la conquista di una città
Intesa formale tra Frelimo e Renamo
Sul web la ferocia di Boko Haram
Il Mozambico
consolida
la scelta della pace
ABUJA, 25. All’uso di internet per
diffondere le immagini di ferocia e
terrore ha incominciato a ricorrere
anche Boko Haram, il gruppo nigeriano di matrice fondamentalista
islamica responsabile da quattro anni a questa parte dell’uccisione di
migliaia di persone, in massima parte civili, in attacchi armati e attentati
terroristici.
Mutuando linguaggi e sistemi già
sperimentati da altri gruppi islamisti
in aree diverse del mondo, Boko
Haram ha messo in rete un video girato dopo la conquista di Gwoza,
nello Stato nordorientale del Borno,
considerato la sua principale roccaforte, che si conclude con la brutale
esecuzione sommaria di una ventina
di persone. Nel video, che dura 52
minuti, il leader dell’organizzazione,
Abubakar Muhammad Shekau, annuncia la costituzione di un califfato
nell’area. «Noi non ce ne andremo
da questa città. Noi siamo venuti
qui per rimanerci», ha detto il capo
di Boko Haram, apparso come già
in precedenti filmati in tenuta militare e con un mitra in spalla affiancato
da cinque uomini armati e mascherati e con tre fuoristrada alle spalle.
Da aprile i miliziani di Boko Haram hanno conquistato numerose località e controllano intere zone del
nord-est nigeriano. L’ultima loro rivendicazione in questo senso, pochi
giorni fa, è stata quella dell’occupazione della cittadina di Budi Yadi,
nel confinante Stato dello Yobe.
L’esercito nigeriano ha diffuso ieri
un comunicato nel quale ha definito
Nigeriani in fuga dalle violenze di Boko Haram ricevono aiuti nel campo di Madagali (Afp)
senza senso il proclama di Boko Haram, affermando che la sovranità e
l’integrità territoriale della Nigeria
sono intatte.
Tuttavia, già dopo la caduta di
Gwoza, i vescovi nigeriani avevano
denunciato il cambiamento di strategia del gruppo islamista che sembra
approfittare dell’inerzia dell’esercito
e del Governo federale del presidente Goodluck Jonathan, per control-
lare spazi sempre più vasti del territorio nigeriano.
Ora giunge la rivendicazione appunto di un califfato, sebbene non
vengano ripetuti gli annunci di vicinanza a quanto sta accadendo in
Iraq. In un video del 13 luglio, Shekau aveva inneggiato ad Abubakr Al
Baghdadi, il leader dello Stato islamico (Is), il gruppo armato attivo in
Iraq e in Siria, mentre nel filmato
Tokyo pronta a fornire una cura sperimentale per combattere il virus
Kinshasa
conferma la presenza di ebola
KINSHASA, 25. Il Governo di Kinshasa ha confermato ieri la presenza
del virus ebola anche nella Repubblica Democratica del Congo. «I risultati delle analisi sono positive e il
virus ebola è confermato nella provincia dell’Equateur» ha dichiarato
il ministro della Sanità, Félix Kabange Numbi. La febbre emorragica
ha già ucciso tredici persone nel
Paese. Intanto l’O rganizzazione
mondiale della Sanità ha annunciato che un proprio esperto, un epidemiologo, ha contratto il virus in
Sierra Leone, tra i Paesi più colpiti
insieme alla Guinea e alla Liberia.
Finora si contano 1427 vittime: 624
in Liberia, 406 in Guinea e 392 in
Sierra Leone.
Per
fronteggiare
l’emergenza
l’Unicef ha approntato un piano
d’azione in particolare in Liberia,
che prevede l’invio con aerei cargo
di sessantotto tonnellate di forniture
sanitarie e igieniche nella capitale
Monrovia. Il carico è partito ieri dal
centro mondiale Unicef di Copenaghen, contiene aiuti e indumenti di
emergenza di base utili anche agli
operatori sanitari impegnati in prima linea a proteggere loro stessi e
prevenire la diffusione dell’infezione. Gli aiuti includono ventisette
tonnellate di cloro concentrato per
disinfettare e depurare l’acqua,
450.000 paia di guanti in lattice, sali
per la reidratazione orale e kit per
cibo terapeutico per nutrire i pazienti sottoposti a trattamento.
L’Unicef sta inoltre schierando
squadre di comunicatori per diffondere messaggi di prevenzione nelle
comunità in tutta la Liberia: nello
stesso tempo sta realizzando materiale informativo e programmando
attività nelle radio per sensibilizzare
l’opinione pubblica sulla diffusione
della malattia.
Intanto, riferisce la France Presse,
il Giappone si è detto pronto a fornire una cura sperimentale per combattere il virus (per il quale ancora
non esiste un vaccino). Il segretario
generale del Governo, Yoshihide
Suga, ha detto che le autorità di Tokyo sono pronte a mettere a servizio
di chi ne ha bisogno questo tipo di
cure, in collaborazione con l’O rganizzazione mondiale della Sanità.
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diffuso ieri non fa alcun cenno al califfato mediorientale.
Nel video, descritto dall’agenzia
di stampa France Presse, dopo un
monologo di più di 25 minuti nel
quale Shekau alterna l’uso dell’arabo
a quello dell’haussa, la principale
lingua del nord della Nigeria, si vedono miliziani che dai fuoristrada
sparano raffiche con armi pesanti
nelle strade deserte di Gwoza.
Seguono le scene più feroci: nelle
immagini appaiono una ventina di
uomini in abiti civili distesi a terra,
le mani legate dietro la schiena, trucidati uno dopo l’altro con un colpo
d’arma da fuoco sparato a bruciapelo alla testa.
La caduta di Gwoza nelle mani di
Boko Haram e quella dell’altra cittadina di Damboa, che l’esercito sostiene di aver ripreso, avevano provocato l’ennesima fuga di civili terrorizzati. Più di 11.000 abitanti di
Gwoza avevano cercato scampo nella foresta o dirigendosi con qualunque mezzo a disposizione, a centinaia anche a piedi, verso il sud del
Paese.
MAPUTO, 25. Il Mozambico conferma la scelta della pace, messa a rischio negli ultimi due anni da una
ripresa di violenze tra le forze del
Governo, espressione del Fronte di
liberazione del Mozambico (Frelimo) fin dall’indipendenza dal Portogallo, e quelle degli ex ribelli
della Resistenza nazionale mozambicana. Dopo oltre un anno di negoziati, la Renamo ha annunciato
di aver firmato l’accordo definitivo
per la fine delle ostilità con il Frelimo. L’intesa pone fine anche formalmente — dopo diversi accordi
parziali in questa direzione già annunciati nelle scorse settimane — a
una recrudescenza nelle regioni
centrali mozambicane della guerra
civile che aveva devastato il Paese
per decenni dopo l’indipendenza
dal Portogallo.
Come noto, a mettervi fine era
stato un accordo di pace firmato il
4 ottobre 1992 a Roma, dopo una
lunga mediazione condotta non solo da protagonisti tradizionali della
diplomazia internazionale, ma soprattutto
dalla
Comunità
di
Sant’Egidio. L’accordo del 1992
aveva retto per vent’anni, fino al
recente riaccendersi della crisi.
I positivi sviluppi dei negoziati
per porre fine a questa ripresa di
tensioni e violenze erano apparsi
evidenti all’inizio del mese, quando
la Commissione elettorale nazionale aveva deciso di non escludere alcun partito dalle prossime legislative che si terranno a ottobre, in
concomitanza con le presidenziali.
Già a fine luglio, comunque, dopo sessantasei tornate di colloqui,
il Governo di Maputo e la Renamo
avevano annunciato un accordo per
porre fine alle violenze nelle province centrali di Sofala, principale
roccaforte degli ex ribelli, Manica,
Tete e Zambezia, dove i combattimenti di quella che molti commentatori avevano definito una nuova
guerra civile, sia pure cosiddetta a
bassa intensità, avevano provocato
decine di morti e la distruzione di
numerose infrastrutture.
La settimana scorsa, poi, il presidente del Mozambico e leader del
Frelimo, Armando Emilio Guebuza, aveva promulgato l’amnistia per
tutti i crimini commessi durante gli
scontri tra l’esercito e gli ex ribelli
della Renamo riesplosi circa dopo
oltre vent’anni di sostanziale pacificazione. Tra i primi a essere scarcerati c’era stato Antonio Muchanga,
il portavoce della Renamo detenuto da luglio in una prigione di
massima sicurezza dopo essere stato accusato di incitamento alla violenza e possesso illegale di armi.
L’amnistia aveva fatto seguito
all’impegno sottoscritto da Frelimo
e Renamo di negoziare fino a mettere definitivamente termine alle
ostilità. Il Frelimo, fra l’altro, aveva
accolto la richiesta di inquadrare i
guerriglieri della Renamo nelle forze di sicurezza nazionali.
Al tempo stesso, a conferma di
uno sforzo per ripristinare la concordia nazionale, il Governo aveva
condotto in porto in maggio i negoziati con i sindacati sul salario
minimo. Aumenti compresi fra il 3
e il 20 per cento erano stati approvati per legge. I più consistenti riguardano i lavoratori dell’agricoltura: il loro salario minimo aumenterà da 2.500 a 3.010 meticais al mese
(da circa 58 a 70 euro).
Colpite le maggiori compagnie
In Tunisia
tasse sul petrolio
Controlli per la prevenzione dell’ebola a Monrovia (Reuters)
Il presidente del Sud Africa
in missione a Mosca
MOSCA, 25. Il presidente del Sud
Africa, Jacob Zuma, è arrivato ieri
a Mosca per una visita di sei giorni durante la quale avrà approfonditi colloqui con il suo omologo
russo Vladimir Putin. «La visita
permetterà di rafforzare e consolidare le eccellenti relazioni bilaterali e di aprire nuove prospettive
di collaborazione e di sviluppo
con scambio di tecnologie, commerci e investimenti», si legge in
un comunicato diffuso dal Governo sudafricano alla vigilia della
partenza di Zuma.
Il Sud Africa e la Russia formano insieme con la Cina, il Brasile
e l’India, il cosiddetto Brics, il
gruppo dei Paesi emergenti, un
blocco attivo soprattutto sul versante economico, ma spesso con
GIOVANNI MARIA VIAN
direttore responsabile
Carlo Di Cicco
vicedirettore
Piero Di Domenicantonio
posizioni di vicinanza anche sui
temi politici. Il testo aggiunge, infatti, che i due presidenti si concentreranno anche sull’esame dei
più recenti sviluppi delle questioni internazionali di interesse comune «tra le quali — ma non solamente — la situazione in Siria, la
questione israelo-palestinese, così
come l’Ucraina che è vicina della
Russia». Come noto, il Sud Africa si astenne lo scorso marzo in
una votazione all’Onu volta a
contestare l’annessione della Crimea alla Russia.
Il comunicato precisa che i colloqui con Putin ci saranno negli
ultimi giorni della visita di Zuma.
Questi in precedenza incontrerà i
responsabili delle principali aziende economiche russe.
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TUNISI, 25. Il Governo tunisino imporrà nuove tasse per le compagnie
petrolifere. Lo ha detto in una conferenza stampa il direttore per gli studi
e la normativa del dipartimento delle
Finanze, Habiba Louat.
Il funzionario ha sottolineato che
le imprese dovranno pagare una tassa
del 10 per cento sul fatturato della
seconda metà del 2014, con una soglia minima di imponibile pari a cinquantamila euro per le aziende non
produttrici.
Le imprese individuali dovranno
versare un’imposta da duecento euro
in due tornate: la prima in settembre
e la seconda in dicembre. Anche le
società che hanno segnalato perdite
rientrano nel nuovo piano fiscale,
con una tassa agevolata basata sul 50
per cento dell’imposta minima.
Segreteria di redazione
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Tipografia Vaticana
Editrice L’Osservatore Romano
don Sergio Pellini S.D.B.
direttore generale
E Tunisi ha indetto per il prossimo
8 settembre una importante conferenza internazionale sull’energia. Il convegno — «Investir en Tunisie, startup pour la démocratie» — è stato organizzato per rilanciare l’economia
del Paese e sarà l’occasione per discutere delle opportunità di investimento in Tunisia nei vari settori
dell’industria, energia, agricoltura,
commercio e delle nuove tecnologie.
In una nota, il primo ministro, Medhi Jomaa, ha dichiarato che l’obiettivo è quello di fare riacquistare la fiducia nella Tunisia da parte degli investitori nazionali e stranieri.
A Tunisi saranno presenti personalità del mondo dell’economia di trenta Stati diversi oltre che numerosi
primi ministri e ministri degli esteri
dei vari Paesi.
Tariffe di abbonamento
Vaticano e Italia: semestrale € 99; annuale € 198
Europa: € 410; $ 605
Africa, Asia, America Latina: € 450; $ 665
America Nord, Oceania: € 500; $ 740
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Per il Governo
centroafricano
compito difficile
BANGUI, 25. Si annuncia difficile
il compito del nuovo Governo
della Repubblica Centroafricana, varato nel fine settimana
scorso dal primo ministro
Mahamat Kamoun e che comprende anche rappresentanti
delle milizie armate che si combattono da mesi nel Paese. Tre
ministri, infatti, sono riconducibili alla Seleka (alleanza, in lingua locale sango) e uno ai cosiddetti antibalaka (balaka, sempre in sango, significa machete,
in riferimento all’arma usata dai
loro avversari). La scelta di dare
vita a un Esecutivo di unità nazionale aperto anche ai gruppi
armati continua ad alimentare
tensioni e polemiche, anche perché non ci sono ancora segnali
concreti della volontà delle due
parti di mettere fine al conflitto
civile che devasta il Paese e che
ha assunto con il tempo anche
una componente confessionale,
tra i musulmani della Seleka e
gli antibalaka, in prevalenza cristiani. Né a fermare le violenze
è valsa finora la presenza dei
circa seimila uomini della Misca,
la missione dispiegata dai Paesi
dell’area e destinata nelle prossime settimane a essere avvicendata dai caschi blu dell’Onu, e
quella di un contingente di duemila soldati inviato autonomamente dalla Francia.
Figlia del conflitto, in un certo senso, può essere considerata
anche la sciagura mineraria che
giovedì scorso ha provocato
ventisette morti a Ndassima, nei
pressi della città di Bambari, nel
centro del Paese. La miniera di
Ndassima, infatti, era controllata
proprio dalla Seleka, che la
sfruttava senza alcuna misura di
sicurezza per quanti erano costretti a lavorarvi.
In attesa del dispiegamento
dei caschi blu, la speranza — e
la dichiarata intenzione della
presidente ad interim, Catherine
Samba-Panza, e dello stesso Kamoun — è che la collaborazione
di Governo metta fine al conflitto inaspritosi dopo che la Seleka, autrice del colpo di Stato
che nel marzo 2013 rovesciò il
presidente François Bozizé, era
stata costretta a cedere il potere
dalle pressioni internazionali.
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Stragi quotidiane di migranti nel Mediterraneo
Si moltiplicano gli attacchi delle milizie islamiche
Come
una guerra
La Libia sprofonda nel caos
ROMA, 25. Un’ecatombe senza fine:
nel Mediterraneo si sta combattendo una nuova, silenziosa guerra.
Quella dell’immigrazione. Sono
quasi 4.000 i migranti salvati e recuperati tra venerdì e domenica.
I 18 cadaveri recuperati due giorni fa a bordo di un gommone dagli
uomini della Marina militare italiana a 120 miglia a sud dell’isola du
Lampedusa, vanno ad aggiungersi
ai circa duecento dispersi che la
guardia costiera libica sta ancora
cercando. E al dramma dell’immigrazione ha fatto riferimento anche
il presidente della Repubblica
italiana, Giorgio Napolitano, che
in un messaggio rivolto ai partecipanti al Meeting di Rimini l’ha annoverato tra «le manifestazioni più
dolorose e acute della complessità
Incarico
al premier francese
Valls
PARIGI, 25. Il primo ministro francese, Manuel Valls, si è dimesso
questa mattina in seguito alle polemiche legate alle dichiarazioni
del ministro dell’Economia, Arnaud Montebourg. Successivamente il presidente francese, François Hollande, ha incaricato Valls
di formare un nuovo Governo che
sarà annunciato domani. In questo fine settimana il ministro
dell’Economia aveva usato parole
molto dure contro l’austerità imposta dalla Germania. Citato
dall’agenzia Agi, Montebourg ha
dichiarato: «La Francia non ha alcuna intenzione di allinearsi agli
assiomi ideologici della destra tedesca». Il ministro dell’Economia
non ha risparmiato nemmeno la
Banca centrale europea, la quale,
a suo dire, «deve cambiare marcia
e mettersi a fare quello che fanno
tutte le banche centrali del mondo, in particolare quelle dei Paesi
che hanno saputo far ripartire la
crescita».
Summit al Cairo dei ministri degli Esteri della regione
e della fragilità del quadro internazionale».
L’ultima strage si è scoperta appunt0 due giorni fa, quando un
elicottero ha avvistato a cinquanta
miglia dalla Libia un gommone carico di disperati in navigazione da
due giorni. Il mezzo era senza motore, imbarcava acqua e alcuni migranti erano già finiti in mare: un
paio d’ore al massimo e sarebbe
andato a fondo. Dall’elicottero
hanno così lanciato delle zattere di
salvataggio per consentire agli immigrati di attendere l’arrivo di nave
Sirio, la più vicina alla zona del
naufragio. Quando sono arrivati,
gli uomini della Marina militare
italiana sono riusciti a mettere in
salvo 73 persone, tutti uomini provati dalle fatiche del viaggio, che
hanno detto di provenire dal Mali
e dal Senegal. Sono stati recuperati
i cadaveri di altri 18 di loro: i corpi
erano sul fondo del gommone, probabilmente uccisi dalla sete, dalla
fame o dalle esalazioni della benzina. Ai militari, i migranti hanno
raccontato di essere partiti in 99:
ciò significa che almeno otto persone mancano all’appello. «È possibile che vi siano dei dispersi — ha
confermato il comandante di nave
Sirio Marco Bilardi — noi siamo rimasti in zona tutta la notte e abbiamo controllato la zona anche
con gli aerei. Ma purtroppo non
siamo riusciti a trovare nessuno».
In questo fine settimana gli uomini della Marina e della Guardia
costiera hanno salvato 3500 persone. A Reggio Calabria è arrivata la
nave Fasan con a bordo i 1373 migranti soccorsi nei giorni scorsi. A
bordo un altro cadavere: quello —
dicono fonti di stampa — di un uomo ucciso a colpi di spranga da
uno scafista.
I numeri dei morti nel Mediterraneo sono dunque ormai quelli di
una guerra. Intanto, il commissario
Ue per gli Affari Interni, Cecilia
Malmström, ha annunciato che la
prossima settimana vedrà il titolare
del Viminale, Angelino Alfano,
«per meglio definire le priorità e
fornire assistenza all’Italia» e ai
Paesi del Mediterraneo che si trovano «a far fronte ad una accresciuta pressione migratoria e di asilo: l’Europa deve prendere in mano
la questione».
La carcassa di un aereo colpito durante gli scontri a Tripoli (Reuters)
L’annuncio del presidente uscente Karzai
Il 2 settembre
il nuovo capo di Stato afghano
Allo studio un maxipiano per rilanciare l’economia
Juncker prepara la svolta
BRUXELLES, 25. Il presidente nominato della Commissione Ue, JeanClaude Juncker, prepara la svolta:
dare un impulso decisivo alla produzione industriale europea con un
maxipiano che possa fare da volano
per tutti i settori dell’economia.
Nel Consiglio Ue di questo fine
settimana Juncker intende annunciare il varo dal febbraio 2015 di un
piano di investimenti da trecento
miliardi di euro in tre anni che, attraverso finanziamenti pubblici e
privati, dia una spinta alla crescita
e all’occupazione del vecchio continente. Perché, come ha detto lo
stesso Juncker nel suo discorso di
insediamento, «in Europa c’è un
ventinovesimo Stato, ed è quello
abitato dai disoccupati e vorrei che
questo diventasse un normale Stato
membro».
Lo scopo del piano, che, secondo diverse fonti, dovrebbe concretizzarsi attraverso il ricorso alla
Banca europea degli investimenti e
al bilancio europeo, è quello di ridare slancio, con un’iniziativa di
vasta portata, alla crescita, finora finanziata troppo dai debiti, secondo
lo stesso Juncker.
«Abbiamo bisogno di investimenti, di un pacchetto di investimenti e un programma con un
obiettivo: mettere le persone al centro della società» ha spiegato di recente Juncker, parlando di fronte al
Parlamento Ue per presentare il
suo piano, da finanziare con i fondi
strutturali a disposizione e misure
mirate, che potrebbero anche attrarre capitali privati.
Si parla di investimenti coordinati nella banda larga, nelle reti energetiche, nelle infrastrutture e trasporti. Ma anche di investimenti
nel settore industriale, con particolare riferimento al comparto della
ricerca e sviluppo. Un settore parti-
colarmente caro all’ex premier lussemburghese è quello delle energie
rinnovabili «che sono la premessa
per l’Europa del domani».
E certamente, uno dei nodi cruciali con cui Juncker dovrà avere a
che fare nel corso del suo mandato
sarà quello dei rapporti con
Londra. Il quotidiano britannico
«The Time» scrive che il premier
conservatore, David Cameron, è
fermamente intenzionato a rinegoziare i fondamentali della relazione
tra la Gran Bretagna e l’Unione
europea.
KABUL, 25. Sembra essere sulla procedura d’arrivo il tormentato percorso del ballottaggio presidenziale
afghano. Ieri il capo di Stato
uscente, Hamid Karzai, ha annunciato che il 2 settembre s’insedierà
il prossimo presidente. Dunque il
popolo afghano, tranne imprevisti
dell’ultim’ora, dovrebbe conoscere
presto se a guidare il Paese sarà l’ex
ministro delle Finanze, Ashraf Ghani, o l’ex ministro degli Esteri, Abdullah Abdullah.
Il ball0ttaggio si è svolto lo scorso 14 giugno. Successivamente la situazione si è ingarbugliata, con le
denunce di brogli da parte di Abdullah che hanno portato a rivedere
il totale riconteggio dei voti, più di
otto milioni. Si è arrivati a questo
compromesso grazie all’opera di
mediazione del segretario di Stato
americano, John Kerry, che nell’arco di dieci giorni si è recato in missione a Kabul per seguire di persona il complesso evolversi della situazione.
E ieri il presidente statunitense,
Barack Obama, ha avuto un colloquio telefonico sia con Ghani che
con Abdullah, i quali si erano precedentemente incontrati.
Non molto è trapelato dal colloquio tra i due candidati: sembra comunque, riferiscono fonti diplomatiche, che si sia discusso in particolare delle funzioni del chief executi-
ve, una sorta di carica di premier
che sarà assegnata al candidato
confitto.
Dal canto suo il presidente Obama ha invitato Ashraf e Ghani a
mostrare senso di responsabilità in
questo delicato passaggio della storia del Paese che, tra l’altro, è sempre alle prese con l’azione destabilizzante portata avanti dai talebani.
Nella generale incertezza che carat-
terizza lo scenario afghano, un elemento, comunque, sembra dare garanzie: ovvero entrambi i candidati
hanno promesso che se eletti firmeranno l’accordo sulla sicurezza con
gli Stati Uniti per il dopo 2014. Si
tratta di una intesa dal forte valore
strategico che durante il Governo
di Karzai non si è riusciti a stilare a
causa delle divergenze tra il presidente uscente e Washington.
Fallito il negoziato tra Governo e ribelli sciiti
Nulla di fatto nello Yemen
SAN’A, 25. Si sono conclusi con un
nulla di fatto i negoziati intavolati
dalle autorità dello Yemen con i
ribelli antigovernativi sciiti, attivi
nel Paese della penisola arabica (a
maggioranza sunnita). Lo ha annunciato un portavoce degli emissari del presidente yemenita, Abd
Rabbo Mansour Hadi, al tavolo
della trattativa. Questi avevano offerto un accordo che prevedeva la
formazione di un Governo tecnico, ma secondo fonti governative,
gli insorti hanno respinto tutte le
proposte.
Nei giorni scorsi, migliaia di
militanti antigovernativi, spesso
armati, hanno allestito numerosi
blocchi nei pressi delle principali
arterie stradali che collegano la
capitale, San’a, al resto del Paese.
I sit-in di protesta sono stati indetti per chiedere le dimissioni
dell’intero Governo e la revoca del
recente aumento del prezzo del
carburante. A luglio, i ribelli erano arrivati alle porte della capitale, occupando la città di Omran,
da dove in seguito hanno accettato di ritirarsi.
I funerali del giovane ucciso dalla polizia mentre proseguono le indagini
Ferguson piange Michael Brown
Cittadini di Ferguson in raccoglimento nel luogo dov’è stato ucciso Brown (Afp)
WASHINGTON, 25. È una calma carica di tensione quella che si respira nelle strade di Ferguson, la città
del Missouri segnata da gravi violenze nelle scorse settimane a causa
della morte del diciottenne nero
Michael Brown, ucciso mentre era
disarmato dai sei colpi esplosi da
un agente bianco.
Sono in programma per oggi i
funerali del giovane Brown. La cerimonia si terrà nella vicina St. Louis, nel Friendly Temple Missionary Baptist, che può ospitare fino a
5.000 partecipanti.«Tutto ciò che
desidero è la pace mentre mio figlio andrà a riposare. Lasciate che
tutto ciò avvenga nel silenzio» ha
detto il padre del giovane. Al funerale prenderanno parte anche esponenti dei diritti civili.
Le circostanze in cui è morto
Michael Brown sono ancora tutte
da chiarire. Così come sono da
chiarire ancora le responsabilità degli scontri e delle violenze delle ultime settimane: alcuni media hanno
infatti attribuito quanto accaduto
all’azione di gruppi di violenti provocatori, e non ai manifestanti. Sui
fatti di Ferguson, comunque, stanno indagando anche il dipartimento di Giustizia e l’Fbi.
Intanto, si è appreso dal quotidiano «The Washington Post» che
l’agente bianco accusato di aver ucciso Brown lavorava tre anni fa nel
dipartimento di polizia di Jennings, una piccola città del Missouri.
Quel dipartimento fu smantellato in seguito a diversi episodi che
innalzarono il livello della tensione
tra la comunità nera e quella bianca. Gli agenti del dipartimento furono tutti licenziati.
TRIPOLI, 25. Precipita la situazione
in Libia, dove si moltiplicano gli attacchi delle milizie islamiche contro
le autorità di Tripoli, di cui contestano la legittimità. Nelle ultime ore, i
miliziani di Misurata hanno conquistato l’aeroporto internazionale di
Tripoli, dopo settimane di scontri, e
attaccato una televisione privata vicina ai rivali di Zintan.
A peggiorare la già precaria situazione, l’ex Assemblea, il Congresso
generale nazionale a maggioranza
islamista, ritenuto responsabile da
gran parte dell’opinione pubblica
del disastro post-Gheddafi, ha deciso ieri di riconvocarsi a Tripoli, su
richiesta delle milizie filo-islamiche,
nonostante l’insediamento a Tobruk
del nuovo Parlamento, eletto il 25
giugno con l’incoraggiamento delle
cancellerie occidentali. Lo ha annunciato il portavoce del Congresso generale, Omar Ahmidan.
Le milizie filo-islamiche — riunite
nella formazione Alba — accusano
l’attuale Camera dei rappresentanti
di «complicità» con l’Egitto e gli
Emirati, responsabili, a loro dire, dei
raid aerei sui combattenti. Il Cairo
ha smentito categoricamente ogni
suo coinvolgimento negli attacchi
aerei, che restano, al momento, senza una rivendicazione ufficiale.
D all’altro canto, il nuovo Parlamento ha accusato le milizie islamiche di Tripoli e il gruppo jihadista
Ansar Al Sharia, che controlla gran
parte di Bengasi, di «terrorismo» e
di volere rovesciare «il potere legittimo» della nuova Camera dei rappresentanti. E nel tentativo di trovare
soluzioni alla grave crisi politico-istituzionale che sta gettando il Paese
nel caos, i ministri degli Esteri della
Libia e dei sei Paesi vicini si riuniranno oggi al Cairo. Lo rende noto
il ministero degli Esteri egiziano. Al
vertice parteciperanno i responsabili
della diplomazia di Algeria, Tunisia,
Sudan, Ciad, Niger, Egitto e Libia.
Terremoti
in Perú
e in California
LIMA, 25. Una forte scossa di terremoto — di magnitudo 6,9 sulla scala
Richter — ha colpito oggi la zona
centrale del Perú, secondo quanto
reso noto dall’Istituto americano di
ricerche geologiche. Al momento
non risultano vittime o gravi danni.
L’epicentro del terremoto è stato localizzato a circa quaranta chilometri
dal villaggio di Coracora, nel dipartimento di Ayacucho, dove vivono
oltre quindicimila persone, ha precisato l’istituto geofisico peruviano. Il
sisma si è verificato a 467 chilometri
a sud-est di Lima, a una profondità
di poco più di cento chilometri.
La violenta scossa è stata avvertita
distintamente anche nella capitale,
dove vivono otto milioni di persone.
Ad Ayacucho, la popolazione è scesa
in strada, mentre in molte zone
dell’area sono stati segnalati grossi
problemi di comunicazione. Si è invece ulteriormente aggravato il bilancio — ancora provvisorio — della
scossa di terremoto di magnitudo 6
che ieri ha colpito il cuore della Napa Valley, in California, una delle
più prestigiose aeree vinicole degli
Stati Uniti, a nord di San Francisco.
I feriti sono infatti più di centoventi,
di cui sei gravi, incluso un bambino.
Lo riferisce la Cnn. Il forte sisma,
che ha fatto rimanere per ore decine
di migliaia di persone senza elettricità, ha provocato allagamenti, a causa
delle tubature distrutte, e incendi innescati dalla rottura delle tubature
di gas, ed è stato seguito da oltre
sessanta scosse di assestamento.
L’epicentro è stato localizzato a dieci chilometri a sud della città di Napa, che ha subito i danni maggiori,
con diversi edifici danneggiati — o in
parte crollati — e migliaia di botti e
bottiglie andate distrutte nelle cantine delle aziende e dei collezionisti.
Proprio in quella zona, il governatore della California, Jerry Brown, ha
dichiarato lo stato di emergenza. Si
tratta del terremoto più forte registrato dal 1989 nella zona settentrionale di San Francisco.
L’OSSERVATORE ROMANO
pagina 4
La nostra concezione del mondo
si è modificata molto più per l’influsso delle teorie scientifiche
che non di quelle filosofiche
E oggi si assiste a una svalutazione delle domande essenziali
lunedì-martedì 25-26 agosto 2014
Leone in arenaria rinvenuto
ad Abu Erteila
Norberto Bobbio e l’asimmetria tra filosofia e scienza
Non restiamo mai
senza domande
spensione di giudizio che per necessità deve seguire a esse. Certo
noi possiamo trarre sempre nuova
linfa da questo interrogare e interrogarci. Ma di fronte a un «perché» così ultimo, di fronte a una
«richiesta di senso» che «rimane
senza risposta» c’è bisogno di un
ulteriore passaggio, di una ulterioNuove scoperte archeologiche in Sudan
re specificazione, «di una risposta
— come egli dice — che mi pare
difficile chiamare ancora filosofica». È proprio infatti a partire da
queste «grandi risposte» mancate
della filosofia che si
apre davanti all’uomo
uno spazio ulteriore,
Il rischio è quello di farsi
quello della religione:
«La religione c’è...
schiacciare solo da alcune risposte
perché la scienza dà rie di non andare al cuore
sposte parziali e la filosofia pone solo delle
dei grandi perché
tale dell’impero cinese, la codi ROSSELLA FABIANI
domande senza dare le
smopolita Xi’an.
che contraddistinguono l’uomo
risposte».
Malgrado
Tutto ciò oggi è più che mai
Se l’egittologia, scienza relativatutti i processi di demente giovane, è stata influenza- reso evidente dagli scavi, alcuni
mitizzazione, di secolata dagli scritti greci e romani, da più che trentennali, che gli arsottolineare che questi due piani, rizzazione, tutte le affermazioni
qualche tempo alcuni studiosi — cheologi italiani stanno portanquesti due livelli non sempre (o della morte di Dio, che caratterize in Italia l’apripista in questa do avanti in Sudan. Scavi prestiquasi mai) oggi sono in relazione zano l’età moderna e ancor di più
direzione è stata l’egittologa Lui- giosi come quelli al Gebel Bartra di loro: «La nostra concezione quella contemporanea, «l’uomo —
sa Bongrani, la prima in Europa kal (la “montagna pura”) o
del mondo si è venuta modifican- dice Bobbio — rimane un essere
ad avere una cattedra di Antichi- quelli alla città reale di Meroe
do molto più per l’influsso delle religioso, proprio perché le grandi
(entrambi patrimonio Unesco).
teorie scientifiche che non delle risposte non sono alla portata delMa oltre agli scavi nella zona di
teorie filosofiche».
la
nostra
mente»
(p.169).
Hillat al-Arab, nella località di
Oggi è il modello scientifico a Nell’esperienza religiosa le grandi
Al Khidai e nei siti di Kassala,
Una missione italo-russa
prevalere con le sue domande e le grandi risposte troMersa Gawasis e ultimamente di
costruzioni e le sue so- vano una corrispondenza, una arha individuato
Mahal Teglinos, una missione
luzioni che rischiano monizzazione, una compensazione
congiunta italo-russa diretta da
il sito di Abu Erteila
di schiacciare l’uomo senza con ciò nulla togliere alla
Eugenio Fantusati e da Eleonosulle risposte facendo- drammaticità
del
questionare
Dove i reperti riconducono
ra Kormysheva, con l’architetto
gli dimenticare le sue umano sui problemi di sempre:
Maria Rita Varriale e la ceramoal culto del dio leone
“domande”, quelle del- «Perché la sofferenza? Perché la
loga Svetlana Malykh, ha scola sua destinazione, del morte?... Perché l’essere e non il
perto un sito, Abu Erteila, posto
suo posto nel mondo e nulla? Perché l’essere che diventa
a nord est di Shendi e nove chinella storia, per dirlo nulla?» e sull’incapacità e impostà nubiane all’università di Ro- lometri più a sud di Meroe.
con una parola sola, sibilità dell’uomo di dare delle rima La Sapienza — hanno sentito
Da poco è stata pubdel suo “perché”. È sposte definitive in termini logici
l’esigenza di rileggere le fonti e blicata una nuova carta
questo lo spettacolo e razionali.
di guardarle con un occhio più
della nostra contempoIl «religioso» di cui Bobbio
attento. A lungo si è creduto che
raneità in cui si assiste parla è proprio questa sintesi inefl’Egitto avesse dato origine a
costantemente a una
fabile che tiene in vita le grandi
culture a esso confinanti come
svalutazione delle dodomande dell’uomo senza ucciquella nubiana, in realtà analizmande essenziali, delle
zando i reperti che negli anni
«grandi
domande», derle con una spiegazione ed è insieme
questa
apertura
al
mistero
sono emersi dagli scavi si è visto
come le chiama Bobche per alcuni aspetti, come
bio che è «compito in cui è possibile sentire l’indicibiquello della regalità, è stata la
della filosofia tenere in le delle grandi risposte. Si tratta
di
un
mistero
«che
l’uomo
ha
con
stessa Nubia a influenzare il fuvita» e di sollecitare
turo regno faraonico. Futuro
per corrispondere a la propria intelligenza rischiarato,
perché i reperti ritrovati sono
quella «domanda di ma nonostante l’enorme cammino
percorso,
la
parte
scura
prevale
e
più antichi di quelli caratterizzasenso» che da sempre
ti dalla stessa iconografia e ritroabita l’uomo e che ne continuerà a prevalere su quella
vati in terra egiziana.
fa per natura, come os- chiara» (Lettera del 18 dicembre
1999).
A
questo
limite
anche
Questa anteriorità e questo
servava Aristotele, un
rapporto non subalterno ma, alfilosofo (cfr. Metafisic, l’esperienza dell’uomo sulla terra,
René Magritte, « La grande guerra» (1964)
Il viale delle sfingi del
meno per i primi tempi, di
A, 980a).La filosofia che si riconosce nella dimensione
ulteriore
e
oscura
del
mistero,
riscambio tra Egitto e Nubia, lo si
come scienza delle domande ci insegna che sulta profondamente modificata e
ritrova anche nel filo sottile ma
antichissimo che lega Roma e geografica della regione realizzasempre una domanda ulteriore, l’uomo è tale solo se tiene desto resa più autentica perché formata
non appagarsi mai della risposta, questo bisogno di interrogarsi al- su un’apertura che può dare un siKhartoum, o per meglio dire ta dall’Istituto archeologico gerper quanto ardita e geniale, dello trimenti la sua esperienza su que- gnificato più profondo a ogni vita
Roma e Kerma, Napata e Me- manico dove per la prima volta
scienziato» (pp. 168-169). Il com- sta terra e la sua stessa vita ri- strappandola a quel senso di vuoroe, i vari centri di civilizzazione è indicata la località di Abu Erpito della filosofia per Bobbio è schiano di impoverirsi e di anni- to e a quella sorta di indifferenza
del grande impero di Kush teila. Nemmeno in Sudan il sito
quello di interrogare, di porre chilirsi malgrado tutte le scoperte «che non sa che farsene di queste
dell’antica Nubia. Non solo. Il era noto perché Abu Erteila è il
questioni, di ricercare, ma in una scientifiche che egli può fare. Tut- domande...», che svaluta ogni infilo che si dipanava andava da nome di un piccolissimo villagdirezione diversa da quella ricerca tavia la filosofia non può andare terrogarsi e che «è veramente la
Roma fino ai lontanissimi mer- gio rurale che si trova nel deserscientifica. Essa in un certo modo al di là del suo stesso domandare. morte dell’uomo».
cati indiani e ai porti e alla capi- to orientale. Il significato del
contrasta le risposte che danno le Sicuramente il suo interrogarsi è
nome è dibattuto, qualcuno lo
tecnoscienze, a fronte infatti di fecondo tanto più in un’epoca che
riferisce a una contrazione del
una loro linea evolutiva sempre tende a dare presto e subito risposostantivo “riteila” dal nome di
contrassegnata dal segno più, ste a qualsiasi richiesta. Ma le sue
insetti abbastanza diffusi nella
sempre progressiva, la filosofia ci tante domande devono per forza
zona e particolarmente accaniti
ricorda con le sue domande che arrestarsi di fronte alle questioni
contro gli animali. Per gli abirispetto ai grandi temi dell’umani- ultime che essa può porre rispetto
Dal 4 settembre il festival internazionale MiTo
tanti del luogo il sito archeolotà riguardo alla natura, all’esisten- all’individuo: «Perché il dolore e
gico è Howsh al-Kufur, “il reza dell’uomo e alla possibile pre- non anche il piacere e non soltancinto dei miscredenti”. La missenza o assenza di Dio il pensiero to il piacere? Perché la sofferenza
sione ha infatti ritrovato tracce
umano, oggi come ai tempi dei non soltanto la gioia? Perché l’indella presenza di una chiesa olprimi filosofi, non può formulare felicità e non soltanto la felicità?»;
tre a sepolture di epoca cristiana
Un palcoscenico di diciotto giorni lungo circa centocinquanta
un giudizio decisivo in senso af- rispetto alla storia: «Perché l’opcome è stato annunciato dallo
chilometri:
dal
4
al
21
settembre
prossimi,
infatti,
le
città
di
Torino
fermativo o negativo. L’orizzonte pressione e non soltanto la liberstesso Fantusati durante la quare Milano saranno invase dai circa duemiladuecento musicisti che
aperto e infinito entro cui si collo- tà? Perché la guerra, la violenza,
ta Giornata di studi nubiani
animeranno il MiTo, festival internazionale della musica giunto
cano questi problemi fa sì che la le stragi e non soltanto la pace, il
tenutasi la scorsa primavera a
quest’anno all’ottava edizione. Grandi orchestre, complessi da
filosofia necessariamente finisca benessere e la fraternità?»; rispetRoma.
camera e solisti provenienti da circa trenta Paesi che si esibiranno
per porre domande alle quali non to all’universo: «Perché l’essere e
Allo stato attuale ciò che
in sale da concerto, chiese, piazze, cortili, musei, palazzi, carceri e
può dare risposte perché, come non il nulla... Perché ci sono cose,
emerge dagli scavi riguarda sostabilimenti industriali. Il tutto in una ricca alternanza di generi:
egli dice, «nessuna mente umana animali, piante, stelle, galassie, in
prattutto l’insediamento meroitidall’antica musica alla classica e alla contemporanea, dal jazz alle
una parola il mondo e non invece
può abbracciare la totalità».
co di Abu Erteila che comprenespressioni più innovative dell’elettronica. Protagonista di questa
È evidente a questo punto il non-mondo?».
deva un grande palazzo e un
edizione 2014, Johannes Brahms, a cui il festival dedica un’intera
Alla filosofia, fa notare Bobbio,
l’asimmetria prospettata da Bobtempio. Un’associazione, quella
rassegna. Le sue quattro sinfonie saranno eseguite da tre grandi
bio nella quale si costruiscono e ed è questo il punto cruciale della
di tempio e palazzo, che si ritroorchestre: la Budapest Festival Orchestra, diretta da Iván Fischer,
crescono il sapere scientifico e la sua riflessione, mancano necessava in tutti gli insediamenti arl’Orchestra Filarmonica di San Pietroburgo, diretta da Yuri
ricerca filosofica: da una parte le riamente «le grandi risposte». Le
cheologici che da Begrawija arriTemirkanov, e l’Orchestra Sinfonica Nazionale della Radio Polacca
risposte limitate delle tecnoscien- sue tante e grandi domande si deze, che vertono «su aspetti molto vono arrestare di fronte alla sodi Katowice, diretta da Alexander Liebreich.
vano fino a Shendi. «È noto —
di LUCIO CO CO
uando a Norberto Bobbio — di
cui
quest’anno
ricorre il decimo
anniversario della morte (9 gennaio 2004) —
venne richiesto di fare un intervento su «che cosa fanno oggi i
filosofi», ebbe a dire che «il compito della filosofia è non lasciare
mai l’uomo senza domande» (il
testo è apparso nel volume collettivo Che cosa fanno oggi i filosofi,
Bompiani, Milano, 1982). La
scienza dà risposte sempre parziali, offre soluzioni, lavora su spazi
molto parcellizzati; il suo è il
mondo dei problemi da risolvere,
gli infiniti e gli infinitesimi di cui
trattano i suoi numeri sono solo
prestati al suo linguaggio e alla
sua logica, ma certo non è compito della scienza interrogarsi sulla
totalità, sull’essere, sul senso. Gli
stessi modelli che il sapere scientifico adotta per inquadrare un determinato problema sono sempre
falsificabili e quindi soggetti a essere abbandonati per altri paradigmi ugualmente vulnerabili.
Solo la filosofia, dice Bobbio,
«può fare intendere che al di là
delle risposte della scienza c’è
Q
parziali della realtà», e dall’altra
l’interrogarsi del filosofo e le sue
«grandi domande» ma il non potere dare nessuna risposta: «La filosofia è quella forma di sapere
che pone domande senza risposta,
perché al momento in cui hanno
una risposta, queste domande...
non sono più domande filosofiche». In positivo ci sarebbe da
notare da un lato l’utilità delle risposte dello scienziato e dall’altro
la fecondità delle domande del filosofo, ma è lo stesso Bobbio a
Il ruggito
di Apedemak
Centocinquanta chilometri di palco
ci dice Fantusati — che i sovrani
meroitici in occasione della loro
intronizzazione compivano un
viaggio di incoronazione attraverso i maggiori siti del regno.
Durante questo viaggio avevano
dei punti di sosta. L’ipotesi è
che un sovrano meroitico possa
in qualche periodo storico avere
usato Abu Erteila proprio per
questa finalità».
I materiali rinvenuti si riferiscono tutti a un edificio templare: colonne, architravi, cavetti,
un amuleto rappresentante un
disco solare con doppio ureo,
frammenti d’intonaco dipinto e
due piccoli leoni in arenaria alti
venti centimetri. Tutti oggetti
che riconducono a un’area cultuale probabilmente riferibili ad
Apedemak, il dio leone, i cui
principali luoghi di culto erano
Naga, che dista appena 40 chilometri, Basa e Musawwarat esSufra.
Ma la ricerca archeologica riguardante il grande impero di
Kush è ancora agli inizi e purtroppo questo patrimonio corre
il grave rischio di sparire. «I
forti legami che hanno contraddistinto Meroe e Roma, devono
essere ben consolidati e vivi anche oggi», tiene a sottolineare
l’ambasciatrice sudanese in Italia, Amira Hassan Daoud Gornass, che sta pensando a una serie di eventi da organizzare a
Roma «per promuovere e far
conoscere il Paese in modo da
incoraggiare turismo e investimenti».
Grandi progetti culturali annuncia anche il direttore generale della National Corporation
for Antiquities and Museums di
Khartoum, Abdel Rahman Ali,
che soprintende non soltanto alle attività delle missioni archeologiche in Sudan, ma anche a
tutta l’attività museale archeologica del Paese. «Stiamo programmando la realizzazione di
nuovi musei archeologici. Il più
tempio di Amon a Naga
importante nella zona di Wadi
Halfa, appena sotto il confine
tra Egitto e Sudan. In questo
modo, come Assuan ha il suo
museo della Nubia, un altro verrebbe realizzato in terra sudanese. E un altro museo si vorrebbe
aprire a Naga. A Kerma è stato
aperto un piccolo museo dove
sono esposte le statue rinvenute
da Charles Bonnet a Dukki Gel.
A Musawwarat es-Sufra c’è un
piccolo museo che conserva pezzi in arenaria, statuaria ed elementi architettonici rinvenuti
nell’area».
Un entusiasmo quanto mai
giustificato perché da poco la
gestione dei musei sudanesi ha
siglato un protocollo d’intesa
con il Qatar. L’emirato si è infatti proposto di finanziare la
ricerca archeologica in Sudan
mettendo a disposizione delle
antichità cento milioni di euro.
«È l’investimento più grande
mai realizzato nell’ambito della
ricerca archeologica in Sudan.
E senza dubbio rappresenta
una grande opportunità per il
Paese». Intanto già fervono i
lavori per la grande mostra archeologica di reperti sudanesi
prevista per il prossimo anno a
D oha.
L’OSSERVATORE ROMANO
lunedì-martedì 25-26 agosto 2014
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Predicazione per le strade
delle Villas miserias
Il microchip contraccettivo voluto da Bill Gates
Anche
senza il consenso
della donna
A pochi chilometri
dal centro della città
dove la Chiesa e i preti
sono pressoché
l’unico presidio
di umanità
di ANDREA POSSIERI
a casa di Cristo non si
spiega, si vive». Così è
scritto a caratteri cubitali nella grande sala-refettorio del centro San Alberto
Hurtado di Villa 21-24, in una
delle tante strutture sorte nelle
baraccopoli di Buenos Aires e
che fanno parte del progetto
«Hogar de Cristo» voluto dal
cardinale Jorge Mario Bergoglio
quand’era arcivescovo della capitale argentina. Ed è in una di
queste strutture — a metà strada
tra l’opera sociale, l’oratorio, il
refettorio, il doposcuola e il centro d’accoglienza — che si possono rintracciare alcune di quelle
che Pierfrancesco De Robertis ha
«L
di LUCETTA SCARAFFIA
Nelle Villas miserias di Buenos Aires
Ospedale
da campo
«compagna abituale delle giornate dei baraccati — scrive De Robertis — e la maggior parte dei
giovani è devastata dal flagello
del paco, una droga per i poveri
ottenuta con i residui della fabbricazione della cocaina».
In «questo inferno umano»
che, paradossalmente, dista solo
pochi chilometri dal centro della
città e dalla Casa Rosada, lo Sta-
Il cardinale Bergoglio durante una celebrazione in piazza a Buenos Aires
chiamato in un suo libro che
uscirà questa settimana, «le pecore di Bergoglio» (Le pecore di
Bergoglio. Le periferie di Buenos
Aires svelano Papa Francesco, Bologna, Emi, 2014, pagine 112, euro
13). Ovvero quei preti di strada,
catechisti, missionari e laici che
vivono le periferie di Buenos Aires e che danno vita, concretamente, a quella Chiesa come
«ospedale da campo» che non si
stanca mai di annunciare il Vangelo ai poveri e che si prende cura delle sofferenze degli ultimi
che abitano ai margini della società.
A partire dalla grande crisi
economica del 1929, infatti, attorno a Buenos Aires si sono formate distese di bidonville in cui si
sono ammassate migliaia di persone provenienti soprattutto dalla
Bolivia, dal Paraguay, dal Perú e
dalle zone più povere dell’Argentina. Una serie di baraccopoli che
spesso non hanno nemmeno una
denominazione che li identifichi,
ma solo un numero che le distingue dalle altre. Sono le cosiddette Villas miserias, il cui nome ha
origine da un romanzo pubblicato nel 1957 da Bernardo Verbitsky,
Villa Miseria también es América,
nel quale viene descritta la vita
degli immigrati interni del Paese.
Nelle villas le condizioni di vita sono durissime. Le case sono
fatiscenti, spesso con un pannello
di lamiera a fare da tetto. Le
fognature sono quasi sempre a
cielo aperto. L’acqua corrente e la
luce elettrica sono disponibili solo in alcuni momenti della giornata. Le strade non sono asfaltate
e sono popolate da ragazzini
scalzi che giocano a calcio, cani
randagi che circolano ovunque e
automobili che sfrecciano a grande velocità. La morte è una
to è assente e «la Chiesa e i preti
sono pressoché l’unico presidio di
umanità».
È in questi quartieri abbandonati che la Chiesa argentina ha
piantato le sue radici. Ed è in
questi luoghi che è nata l’esperienza dei curas villeros, i preti
delle baraccopoli, che vivono insieme in piccoli gruppi, «per con-
dividere la quotidianità, le esperienze e unire le forze». I nomi
di questi preti, come Pepe di
Paola, Gustavo Carrara e Charly
Olivero, sono forse sconosciuti
all’opinione pubblica ma invece
notissimi tra gli abitanti delle baraccopoli.
Percorrendo le strade e le sale
parrocchiali delle villas, infatti,
non ci sono molte immagini di
Papi o di santi, ma sono invece
presenti quelle dei preti che hanno prestato la loro opera tra le
baracche. L’immagine più ricorrente è forse quella di Carlos
Mugica, il prete di Villa 31 nel
quartiere Retiro, ucciso dai paramilitari nel 1974 «perché accusato
di propaganda comunista». Oppure è viva la memoria di padre
Daniel de la Sierra — chiamato a
Barracas come el angel de la bicicleta — che alcuni anni fa morì investito da un autobus durante
uno dei suoi spostamenti. La sua
bicicletta oggi è appesa come un
monumento in una sala della parrocchia della Virgin de Caacupé.
Accanto a questi sacerdoti di
strada si accosta poi l’opera e il
servizio di molti laici. Come Gustavo Vera, fondatore e presidente
dell’associazione La Alameda, la
maggiore ong argentina che lotta
contro il traffico di esseri umani,
sfruttati sia per il lavoro che sessualmente. Oppure come Nancy
Miño, ex agente della polizia federale che con le sue denunce
contro la tratta degli esseri umani
«ha fatto emergere un incredibile
spaccato di corruzione e malaffare all’interno del corpo di cui faceva parte». O infine come Sergio Sánchez, presidente di una
cooperativa di cartoneros, di coloro cioè che con la crisi del 2001
hanno perso tutto e che sono sta-
ti costretti «all’umile lavoro di reciclador», frugando nei rifiuti e
nell’immondizia alla ricerca di
cartone, metallo o altri materiali
riciclabili.
La missione nelle baraccopoli
è, dunque, una «missione totale»
perché mira a servire le persone
in tutti gli aspetti della vita. Prima di tutto, per i curas villeros,
viene sempre l’annuncio del Vangelo attraverso la testimonianza
dell’amore di Dio e della sua protezione nei confronti di ogni essere umano. Subito dopo, però, è
fondamentale cercare un rimedio
ai grandi problemi sociali, come
la droga, l’alcolismo, lo sfruttamento e la prostituzione, che caratterizzano drammaticamente la
vita nelle villas. Un rimedio che
passa doverosamente anche attraverso la scuola, come testimoniato dall’opera del teologo José
María del Corral, direttore del
grande progetto della Escuela de
vecinos, una rete educativa per
gli adolescenti che vivono ai margini della società. «L’azione della
Chiesa inevitabilmente tocca gli
«La casa di Cristo non si spiega
si vive»
Così è scritto a caratteri cubitali
nel refettorio del centro
San Alberto Hurtado di Villa 21-24
interessi delle organizzazioni criminali», sottolinea De Robertis,
perché «educare i ragazzi, aiutarli
a ricevere un’istruzione, fare in
modo che escano dal degrado significa liberare pesci dalla rete
dei narcos».
Padre Andrés Tello, uno dei
quaranta cappellani che compiono il loro ministero con la gioia e
con la sicurezza di chi compie
un’opera grande negli ospedali di
Buenos Aires, sintetizza alla perfezione il significato profondo
della missione tra i poveri e gli
ultimi che vivono nelle periferie:
«Non bisogna smarrire mai il tema della persona, è fondamentale
nella concezione cristiana della
vita e della fede. Il cardinale Bergoglio ci chiedeva proprio questo: vedere le persone non solo
per un aspetto, ma come battezzati, nel loro insieme».
i sono ricorsi storici che
stupiscono e fanno
pensare. Negli anni
Cinquanta e Sessanta
del Novecento era soprattutto la fondazione Rockfeller a
sostenere finanziariamente e mediaticamente la campagna contro l’aumento demografico, agitando la minaccia della cosiddetta “bomba
umana” che giustificò per anni interventi anche non consensuali di
sterilizzazione o contraccezione sulle donne, in particolare del Terzo mondo. Oggi l’ossessione antiprocreazione
è stata ereditata da
un altro miliardario
americano, Bill Gates. Questi, insieme
alla moglie — che
sta continuando la
sua opera — ha investito i suoi capitali nella ricerca di un
preservativo migliore e anche di un
nuovo tipo di anticoncezionale, somministrato attraverso
un microchip.
Si tratta di un minuscolo distributore che può essere inserito in
una parte del corpo da dove rilasciare, nella quantità e secondo i
tempi stabiliti, la dose di farmaco
necessaria. L’erogazione può essere
controllata dall’esterno, sospesa o
aumentata, a seconda delle necessità. È stata un’idea di Gates — che
ha poi pagato perché venisse realizzata la relativa ricerca — quella di
utilizzare questo sistema di somministrazione come un nuovo anticoncezionale femminile, che adesso è
pronto per essere sperimentato e
poi sottoposto alla trafila burocratica di accettazione sul mercato.
La durata di attività di questo
microchip arriva a quindici anni,
cioè circa la metà della vita fertile
di una donna. La contraccezione,
così, farà parte di quell’insieme di
microchip che dovrebbero essere
inseriti nel corpo umano per migliorarne le prestazioni fisiche e intellettuali: la contraccezione considerata quindi come una sorta di
perfezionamento del corpo femminile che, ahinoi, ha il difetto di
procreare. Secondo la Cbs News,
«la Fondazione Bill y Melinda Gates ha investito dei fondi per realizzare la sperimentazione di un microchip controllato da chi lo utilizza, che può prevenire con efficacia
C
le gravidanze non desiderate, a
partire dai sedici anni. Questo nuovo metodo di controllo delle nascite potrà essere sul mercato a partire
dal 2018».
L’aspetto più inquietante di questa nuova terapia — che fa della
contraccezione una costante sempre
attiva nel corpo femminile, in un
certo senso snaturalizzandolo completamente — è che il microchip
può essere attivato anche da altri,
estranei al corpo in cui è stata inserita. Attraverso questo congegno,
insomma, il corpo delle donne può
essere controllato da entità esterne,
anche senza tener conto dei loro
desideri.
Pensando alla simpatia sempre
mostrata da Gates nei confronti
dell’eugenetica — anche qui una
coincidenza con Rockfeller, grande
finanziatore degli eugenisti americani — c’è il fondato timore che possa
venire messa in atto una nuova forma di controllo della procreazione
a fini selettivi, decisa da un potere
scientifico e politico. La tentazione
di diminuire le spese della sanità,
garantendo la procreazione solo
agli individui sani, e di controllare
l’aumento della popolazione indigente, quella bisognosa di assistenza, sono sempre state infatti le
“buone intenzioni” di chi voleva
“migliorare” l’umanità intervenendo
in modo costrittivo per impedire la
nascita di esseri umani “difettosi”.
Nell’iniziativa “umanitaria” della
fondazione Gates si celano dunque
molti pericoli: oltre a quelli che
corre la salute femminile, mai ben
garantita, si assiste a una manipolazione seria del corpo della donna
che si può attivare anche senza il
suo consenso. Speriamo che le donne si accorgano di quanti pericoli
nasconde questa innovazione scientifica, che viene diffusa ammantata
dall’aura mitica di una nuova iniziativa per facilitare la libertà sessuale femminile.
Settant’anni fa
iniziava a trasmettere la France Presse
Domenica 20 agosto 1944, qualche ora
dopo l’avvio dell’insurrezione di Parigi,
l’agenzia di stampa France Presse lanciava il suo primo dispaccio: un appel-
Il primo dispaccio dell’Afp, datato 20 agosto 1944
lo «A tutti i giornali liberi di Parigi».
Dopo quattro anni di censura e di propaganda, infatti, l’unico desiderio era
quello di riconquistare la libertà. Anche quella di informazione. E la vicenda della rinascita dell’agenzia di stampa ne divenne, insieme, il motore e
l’emblema.
Con il nome di Agence des feuilles
politique, correspondance générale,
l’agenzia era stata fondata nel 1835, a
Parigi, dal banchiere Charles-Louis
Havas: si trattava della prima agenzia
di stampa al mondo. Con gli anni ne
nacquero altre, ma fino a tutta la prima metà del Novecento l’Agence
Havas (come venne ribattezzata dal
nome del fondatore) dominò l’informazione politica globale. Poi però le cose
si fecero difficili: a seguito dell’occupazione tedesca della Francia, infatti, l’agenzia — con il nuovo nome di
Office français d’information — divenne l’organo istituzionale di informazione del Governo di Vichy. Tutto cambierà nuovamente — e definitivamente
— con la liberazione di Parigi, quando,
dopo la fusione con agenzie della resi-
stenza, l’agenzia, finalmente autonoma,
prenderà il nome
con cui la conosciamo oggi, Agence
France Press (Afp)
appunto.
Nelle prime ore
del mattino di quel
20 agosto di settant’anni fa, otto
giornalisti — tra cui
Claude Martial-Bourgeon, che sarà poi il
Durante la settimana di insurrezione dal 19 al 26 agosto 1944
primo direttore gea Parigi iniziarono a circolare i primi giornali liberi (foto Afp)
nerale dell’Afp — si
ritrovarono dinnanzi
al civico 13 di Place
de la Bourse, sede dell’agenzia. I nazi- noi ne prendiamo possesso”». Riaccese
sti erano ancora presenti in molte zone le telescriventi, con quel dispaccio N° 1,
della capitale, ma gli otto moschettieri la stampa libera riaccendeva le speransapevano che il momento era arrivato. ze del popolo francese.
«Sono entrato nell’agenzia dove avevo
Ai due secoli di storia dell’agenzia
fatto anni prima il mio debutto come Xavier Baron, già giornalista dell’Afp,
giovane giornalista — racconterà poi ha dedicato il libro Le monde en direct
uno di loro, Gilles Martinet — e ho (Paris, La Découverte, pagine 300, euesclamato: “In nome della Repubblica, ro 21), in uscita il 28 agosto.
L’OSSERVATORE ROMANO
pagina 6
lunedì-martedì 25-26 agosto 2014
Nota dell’episcopato peruviano in vista delle elezioni regionali e municipali del 5 ottobre
Per un voto
cosciente e responsabile
L’arcivescovo di Dakar ai laici
Fecondi e non silenziosi
DAKAR, 25. Occorre da parte dei
laici una maggiore apertura verso
la società per garantire una presenza cristiana «feconda» e non «silenziosa» poiché essi «sono la punta di diamante della Chiesa nella
società». È questo l’invito — riferisce Radio Vaticana citando il portale www.seneglise.sn — rivolto dal
cardinale Théodore-Adrien Sarr,
arcivescovo di Dakar, al consiglio
diocesano del laicato incontrato nei
giorni scorsi.
Il porporato senegalese ha sottolineato che l’organismo ha un ruolo assai importante nel dialogo intra-ecclesiale, poiché favorisce la
concertazione e la collaborazione
fra le diverse strutture della Chiesa
locale. Per questo ha esortato i suoi
membri a essere più presenti e
attivi, soprattutto a far sentire la
loro voce.
Per il cardinale Sarr, compito del
Consiglio diocesano del laicato è
anche quello di individuare le iniziative da intraprendere nel mondo
di oggi, identificando le sfide attuali e quelle future.
L’organismo è stato presentato
all’arcivescovo di Dakar all’indomani dell’incontro di formazione
su alcuni aspetti della teologia della Chiesa e della teologia del laicato. Al porporato, la presidente,
Marie Clémentine Diop, ha illustrato i progetti in cantiere: l’istituzione della giornata dell’apostolato
dei laici, incontri di formazione,
l’interazione con movimenti, associazioni e gruppi di apostolato, la
cura delle comunicazioni e una più
ampia collaborazione con sacerdoti
e religiosi.
Da parte sua il cardinale ha elogiato e messo in evidenza gli sforzi
del consiglio diocesano che si materializzano a livello regionale e
continentale. Una riflessione destinata a creare un vero e proprio forum per il dialogo che può crescere
come struttura continentale dei laici, in collaborazione con il simposio delle conferenze episcopali di
Africa e Madagascar. L’organismo
— ha sottolineato Sarr — è dunque
importante per il dialogo intra-ecclesiale e il confronto tra i membri
di strutture diverse, per il flusso di
informazioni, per la consultazione
e la collaborazione, facenti parte di
un unico corpo ecclesiale.
Nell’arcidiocesi di Dakar una tale impostazione incoraggerà i laici
a prendere il loro posto nella Chiesa. E in tal senso il consiglio dovrà
prendere in considerazione tutte le
azioni, per identificare le sfide attuali e future.
Aperto a Torre Pellice il Sinodo delle Chiese metodiste e valdesi
Servizio e solidarietà
come cura ai mali del mondo
TORINO, 25. Seguire la strada del
discepolato e del servizio verso l’altro, senza lasciarsi affascinare dalle
logiche di potere: questo, in estrema sintesi, l’appello lanciato dal
pastore Claudio Pasquet nella predicazione pronunciata ieri, domenica, durante il culto di apertura del
Sinodo delle Chiese metodiste e
valdesi, che si svolge, fino a venerdì 29, a Torre Pellice, in provincia
di Torino.
Al Sinodo è giunto il «saluto
fraterno» di Papa Francesco. In un
messaggio a firma del cardinale segretario di Stato, Pietro Parolin,
letto dal moderatore della Tavola
valdese, pastore Eugenio Bernardini, il Pontefice assicura ai partecipanti la sua «vicinanza spirituale»
e «prega il Signore di concedere a
tutti i cristiani di progredire nel
cammino verso la piena comunione, per testimoniare il Signore Gesù Cristo e offrire la luce e la forza
del suo vangelo agli uomini e alle
donne del nostro tempo».
Partendo dal brano evangelico di
Marco 10, 42-45 — nel quale alla richiesta dei discepoli di occupare i
posti d’onore nel suo Regno, Gesù
risponde esortandoli a diventare
«servi di tutti» — Pasquet ha sottolineato come la Chiesa sia tale solo
se si raccoglie attorno al suo Signore che le indica una via diversa
e alternativa a quella dei «prìncipi
delle nazioni che dominano su di
esse». Ma chi sono i prìncipi delle
nazioni, si è chiesto Pasquet nella
predicazione. Sono «quanti hanno
anteposto la finanza alla salute, allo stato sociale, al lavoro dei giovani. Sono prìncipi delle nazioni
quelli che, in nome di Dio, vogliono imporre la loro religione agli altri con terrorismo e violenze».
Quella che Gesù offre ai suoi discepoli è la strada di una libertà
cristiana che si esprime prima di
tutto nel servizio, nella critica alle
logiche di questo mondo e alla
brama di potere che opprime i deboli. «Ai mali del mondo, come le
guerre che anche oggi ci minacciano e sono le terribili metastasi di
tumori chiamati potere, prestigio e
denaro, vi è la sola cura del servizio e della solidarietà», ha ribadito
Pasquet.
Nel corso del culto di apertura —
informa un comunicato — è stato
consacrato al ministero diaconale
Demetrio Canale e presentato il
pastore Tim Macquiban, della comunità metodista di Gran Bretagna, il quale si appresta a svolgere
il suo ministero presso la chiesa
metodista di Ponte Sant’Angelo a
Roma. Al culto era presente il vescovo di Pinerolo, monsignor Piergiorgio Debernardi, oltre a numerosi rappresentanti di Chiese evangeliche italiane e straniere.
I lavori sinodali sono entrati nel
vivo oggi con la lettura della rela-
zione della cosiddetta Commissione d’esame che nel mese di agosto
ha valutato l’operato della Tavola
valdese
(organo
esecutivo
dell’Unione delle Chiese metodiste
e valdesi). Stasera si terrà, nel tempio valdese di Torre Pellice, un incontro dal titolo «I diritti di tutti e
di tutte», al quale parteciperanno,
fra gli altri, il pastore Eugenio Bernardini e Alessandra Trotta, presidente dell’Opera per le Chiese
evangeliche metodiste in Italia.
Il Sinodo affronterà vari temi,
dalla missione delle Chiese nell’Italia e nell’Europa caratterizzate dalla crisi alla formazione giovanile e
l’interculturalità, dalla libertà religiosa alla preparazione del cinquecentenario della Riforma.
LIMA, 25. Lottare contro la corruzione, conoscere i bisogni delle persone, sapere chi è il candidato, valutare il suo piano di governo, fare attenzione alle promesse in campagna
elettorale: sono i cinque criteri «per
un voto cosciente e responsabile»
proposti dai vescovi peruviani nel
comunicato intitolato «Servidores
del bien común», riflessione pastorale sulle elezioni regionali e municipali in programma il 5 ottobre. Alle consultazioni parteciperanno, per
la prima volta, due milioni di giovani. Venti milioni di peruviani eleggeranno, tra più di centomila candidati, circa tredicimila amministratori
in tutto il Paese per governare nei
prossimi quattro anni distretti, province e regioni. «Questa elezione —
scrive l’episcopato — è cruciale e decisiva per il consolidamento delle
istituzioni in modo da permettere
una democrazia matura e durevole.
Tuttavia, vediamo nelle nostre comunità sfiducia e insoddisfazione
nei confronti di alcuni politici e della politica in generale».
I presuli si dicono preoccupati
per lo scenario elettorale in un contesto sociale con gravi segnali di
corruzione, espresso anche dall’alto
numero di candidati i cui comportamenti morali hanno dato luogo nel
passato a denunce e a condanne penali. «Genera poi ancora maggiore
preoccupazione il tentativo di settori connessi al traffico di droga,
all’estrazione mineraria illegale, al
contrabbando, al traffico di esseri
umani e ad altre attività illecite, di
collocare persone strettamente legate a essi fra le autorità locali, provinciali e regionali. È inaccettabile
— si afferma — essere arrivati
all’estremo dell’eliminazione fisica
degli avversari politici».
I vescovi peruviani ricordano che
solo la politica con senso etico è degna di credito. E citano l’Evangelii
gaudium di Francesco, quando chiama i cristiani a prendere sul serio
questo servizio: «La politica, tanto
denigrata, è una vocazione altissima,
è una delle forme più preziose della
carità, perché cerca il bene comune»
(205). Gesù, spiegano, «ci insegna
che il servizio agli altri, specialmente ai più deboli e bisognosi, è un
dono, al contrario del dominio e
dello sfruttamento degli altri per i
Cordoglio
in India
per la morte
di padre Mennini
NEW DELHI, 25. «Un missionario
zelante, un vero testimone del Vangelo»: con queste parole — contenute in un telegramma e rese note da
Radio Vaticana — l’arcivescovo Salvatore Pennacchio, nunzio apostolico in India e in Nepal, ricorda padre Piergiorgio Mennini, il missionario gesuita scomparso il 16 agosto
a Ranchi, capoluogo dello Stato indiano di Jharkhand.
Ricoverato in ospedale dal luglio
scorso, dopo una grave caduta, il
sacerdote si è spento all’età di 76
anni. Fratello dell’arcivescovo Antonio Mennini, nunzio apostolico in
Gran Bretagna, e di Paolo Mennini,
presidente dell’Associazione Tincani, padre Piergiorgio si trovava da
quarantacinque anni in India, dove
aveva prestato servizio come direttore spirituale, guida e consigliere fedele per migliaia di giovani in formazione a Pune, Chennai, New Delhi, Hazaribagh, Jharna e Ranchi.
Le esequie si sono svolte il 19
agosto nella cattedrale di Santa Maria a Ranchi e sono state presiedute
dall’arcivescovo della città, il cardinale Telesphore Placidus Toppo, il
quale ha sottolineato che la morte
di padre Mennini è «una perdita irreparabile per la Chiesa in India».
Dopo il funerale, la salma del missionario gesuita è stata sepolta a
Jharna, presso il Centro di spiritualità dei gesuiti.
propri scopi nell’esercizio del potere
di governare per la comunità». Per
questo il Papa prega il Signore affinché «ci regali più politici che abbiano davvero a cuore la società, il
popolo, la vita dei poveri» (ibidem).
E per questo i vescovi vedono nella
lotta alla corruzione il primo crite-
rio: «Attraverso il voto dobbiamo
esprimere che tipo di rappresentanti
vogliamo e punire, negando il nostro voto, chi ha deluso le nostre
aspettative, perché non ha fatto
quanto promesso, perché si è dimostrato corrotto o perché ha fatto solo i suoi interessi».
I presuli boliviani sulla campagna per le presidenziali
Uguaglianza
e trasparenza
LA PAZ, 25. Una «evidente disuguaglianza» emerge nella campagna elettorale per il voto delle
presidenziali e legislative in programma il 5 ottobre in Bolivia: è
l’opinione della Conferenza episcopale espressa in un documento a firma del segretario generale,
Eugenio Scarpellini, vescovo di
El Alto. La Chiesa osserva
«l’enorme disponibilità di risorse
degli uni e la scarsa disponibilità
da parte di altri». Una disuguaglianza che «mina la credibilità e
le istituzioni democratiche».
L’episcopato boliviano — riferisce la Misna — deplora inoltre
che il partito di governo argomenti «un falso dilemma fra gestione pubblica e propaganda politica, quando è evidente che si
usano risorse dello Stato» per fi-
Re del Bahrein
dona terreno
per la cattedrale
MANAMA, 25. Sarà intitolata a
Nostra Signora d’Arabia la
cattedrale che verrà costruita
in Bahrein, su un terreno donato personalmente dal sovrano. Lo rende noto monsignor Camillo Ballin, vicario
apostolico dell’Arabia del
Nord, che ha espresso apprezzamento per questo gesto
di distensione, in un momento in cui in diverse regioni
del Medio 0riente le minoranze religiose si trovano sotto attacco. «Il Re del Bahrein
— ha detto il presule a Radio
Vaticana — si è dichiarato disposto ad aiutare duecento
famiglie cristiane di Mosul,
ed era anche disposto a riceverle in Bahrein. Questo dimostra la sua generosità nei
confronti dei cristiani».
ni elettorali. I vescovi chiedono
«trasparenza nella campagna,
presentazione dei piani e dei programmi in funzione del bene comune, dignità per tutti e imparzialità da parte del Tribunale supremo elettorale» per «il rispetto
che meritano la libertà di coscienza e l’intelligenza della cittadinanza». I presuli lamentano altresì che sinora la campagna sia
stata caratterizzata da denunce,
insulti, discredito reciproco fra
alcuni candidati lasciando da
parte «problemi strutturali e realmente delicati come la povertà
persistente, la crescita dell’insicurezza cittadina, un’amministrazione della giustizia lacunosa, l’aumento del narcotraffico e il ristagno dei servizi educativo e sanitario».
Un capitolo della nota è dedicato al ruolo dei mezzi di informazione. Essi, dando spazio a
tutti, devono evitare «ogni eccesso, manipolazione e spettacolarizzazione» e promuovere invece
una comunicazione «veritiera e
responsabile». I vescovi esortano
a continuare questo lavoro, «un
compito non facile», indispensabile per il successo di un vero
processo democratico.
L’OSSERVATORE ROMANO
lunedì-martedì 25-26 agosto 2014
pagina 7
Cento anni della famiglia paolina
Cuore grande
e mente aperta
di VINCENZO BERTOLONE
Sono bastati trentatré giorni ad Albino Luciani, eletto vescovo di Roma il 26 agosto 1978, per lasciare la
sua impronta nella Chiesa e additare
lo stesso cammino tracciato dai Papi
del concilio, Giovanni XXIII e Paolo
VI, dei quali aveva scelto di portare
con il nome lo stile. E con la morte
improvvisa di Giovanni Paolo I la
sera del 28 settembre si chiudeva un
ventennio che si potrebbe definire
trittico dell’umiltà, formato da Angelo Giuseppe Roncalli, che divenne
Papa il 28 ottobre 1958, da Giovanni
Battista Montini, eletto il 21 giugno
1963, e infine, per poco più di un
mese, quasi un supplemento d’anima, da Luciani.
Davvero un inno all’umiltà, che
resta. «La Chiesa, in questo sforzo
comune di responsabilizzazione e di
risposte ai problemi lancinanti del
momento, è chiamata a dare al mondo quel “supplemento d’anima” che
da tante parti si invoca e che solo
può assicurare la salvezza». Nelle
parole pronunciate da Luciani il 27
agosto, all’indomani dell’elezione,
riecheggia l’incipit della costituzione
dogmatica conciliare Gaudium et
spes: «Le gioie e le speranze, le tristezze e le angosce degli uomini
d’oggi, dei poveri soprattutto e di
tutti coloro che soffrono, sono pure
le gioie e le speranze, le tristezze e
le angosce dei discepoli di Cristo»
ed è per questo che «la comunità
dei cristiani si sente realmente e intimamente solidale con il genere umano e la sua storia».
Le condizioni dell’uomo d’oggi
sono invariate: gioie e tristezze, speranza e angoscia; le risposte della
comunità dei credenti, della Chiesa,
le medesime: dare al mondo quel
supplemento d’anima a cui allude il
Papa. A questo è chiamata la Chiesa, e il mondo «questo attende da
essa, avendo raggiunto un crinale
oltre cui c’è la vertigine dell’abisso».
La tentazione è infatti quella di
sempre: «Sostituirsi a Dio con l’au-
Il 26 agosto 1978 l’elezione di Luciani
Supplemento
d’anima
tonoma decisione che prescinde dalle leggi morali».
Ecco i pericoli e le conseguenze
individuate da Giovanni Paolo I, ma
al contempo gli ambiti umani entro
i quali i cristiani possono e devono
dare il loro supplemento d’anima.
Anch’egli elenca le tragiche conclusioni della rimozione di Dio: «Porta
l’uomo moderno al rischio di ridurre
la terra a un deserto, la persona a
un automa, la convivenza fraterna a
una collettivizzazione pianificata, introducendo non di rado la morte là
dove invece Dio vuole la vita».
Il creato, la vita umana, la famiglia, la società sono ancor oggi questioni non solo irrisolte, ma ancora
più critiche. Alla Chiesa spetta il
compito di rianimare, illuminare,
formare le coscienze sui principi
fondamentali che garantiscono una
civiltà vera e una fratellanza reale
fra i popoli: rispetto del prossimo,
della sua vita e dignità, sollecitudine
per il progresso spirituale e sociale,
«pazienza e volontà di riconciliazio-
ne nell’edificazione tanto vulnerabile
della pace», dice il nuovo Papa il 31
agosto ai membri del corpo diplomatico.
Homo sum, humani nihil a me alienum puto scrisse Terenzio. Certo,
non ci sono soluzioni facili per problemi difficili, «non abbiamo soluzioni miracolose per i grandi problemi mondiali», ma la comunità cristiana ha una sua dote particolare,
anzi «veramente preziosa» dice il
Pontefice il 4 settembre: «Uno spirito che aiuti a sciogliere questi problemi e li collochi nella dimensione
essenziale, quella della carità universale e dell’apertura ai valori trascendenti, vale a dire l’apertura a Dio.
Proveremo a svolgere questo servizio
con un linguaggio semplice, chiaro,
fiducioso».
Questi i termini del supplemento
d’anima che la Chiesa e ogni fedele
hanno l’obbligo di portare in ogni
ambito d’azione; specialmente nella
famiglia, «Chiesa domestica» (Lumen gentium, 11). La famiglia, nono-
stante i venti contrari, resta una comunità d’amore e l’amore coniugale
genera nuova vita ed è il riflesso
dell’amore di Dio. Compito della
Chiesa è dunque sostenere e tutelare
la famiglia, fortificandola «nella fedeltà alla legge di Dio e della Chiesa. Non dobbiamo avere alcun timore nel proclamare le esigenze del
mondo di Dio, perché Cristo è con
noi e dice oggi come allora: Chi
ascolta voi, ascolta me».
Fondamentale dunque è «l’indissolubilità del matrimonio cristiano;
anche se questa parte del nostro
messaggio è difficile, dobbiamo proclamarla con convinzione, perché è
parola di Dio e mistero della fede.
Ma, allo stesso tempo, siamo vicini
al nostro popolo, ai suoi problemi e
alle sue difficoltà. Deve sempre sapere che noi lo amiamo», dice il Papa a un gruppo di vescovi statunitensi il 21 settembre. Ripartire dalla
famiglia: questo è «l’ordine di precedenza dei nostri compiti» e «la santità della famiglia cristiana è certamente il mezzo più idoneo a produrre quel sereno rinnovamento della Chiesa che il concilio così ardentemente auspica», si dovesse pure
andare contro corrente ed essere una
voce minoritaria.
Papa Luciani nella sua umanità
era conscio che non è facile coniugare libertà e autorità: il cavallo della pagina di Giobbe «che salta come
una cavalletta e sbuffa» e il cavaliere
«prudente, che monta il cavallo e,
ora con la voce soave, ora lavorando
saggiamente di speroni, di morso e
di frustino, lo stimola, oppure ne
modera la corsa impetuosa, lo frena
e lo trattiene», come dice durante la
presa di possesso della basilica di
San Giovanni in Laterano il 23 settembre. La condizione indispensabile di questo accordo sta nel seguire
la parola e la legge di Dio, secondo
la quale «non si può fare del bene a
qualcuno, se prima non gli si vuole
bene». Sta in questa semplicità di
cuore e di servizio il supplemento
d’anima di Albino Luciani.
Don Giacomo Alberione
CUNEO, 25. Era il 20 agosto 1914
quando don Giacomo Alberione,
insieme a due adolescenti, dava
inizio alla Scuola Tipografica Piccolo Operaio.
Si gettava allora il primo seme
di quel grande albero che sarebbe
diventata la Società San Paolo e
l’intera famiglia paolina. L’episodio è stato ricordato, nel giorno
del centenario, dal vescovo di Alba, Giacomo Lanzetti, che, presso
la casa madre dei paolini, ha presieduto la messa in ricordo del
beato Alberione.
Si è trattato di un’occassione
per esprimere «riconoscenza», a
nome della Chiesa tutta — ha detto il presule — «per l’opera della
famiglia paolina, per la fedeltà al-
la sua vocazione e ai carismi del
fondatore, declinata con coraggio
e inventiva in cento anni spesso
non facili».
E per rivolgere l’invito a coltivare due particolari doti di don
Alberione: «Una mente aperta e
un cuore grande». Tra gli eventi
promossi in occasione dell’anniversario, due case editrici — Paoline Editoriale Libri e San Paolo
Edizioni — propongono «100
piazze per il Vangelo», un’iniziativa itinerante che toccherà le
principali città italiane per condividere il carisma e l’opera voluta
dal fondatore: annunciare la Parola di Dio nella cultura della comunicazione.
Ricordo di Mariano Magrassi
Si sentiva stancamente bene
di FRANCESCO CACUCCI
Dalle sue mani ho accolto il pastorale, la sera dell’8 settembre 1999. Era
il pastorale del vescovo che ero stato
chiamato a succedere sulla cattedra
della Chiesa di Bari-Bitonto, ma per
me era anche il “testimone” di colui
che è stato per me padre, pastore,
amico e fratello. Gli assicurai, di
fronte al Signore, durante la mia
consacrazione episcopale, la volontà
di essere per lui quello che Timoteo
fu per Paolo. Ho goduto delle sue
frequenti confidenze, dei suoi consigli, ma soprattutto della familiarità
di un confronto che non ha mai
creato soggezione, ma rinsaldava
una sorta di fraternità tesa sempre al
bene della comunità diocesana che,
in ruoli diversi, abbiamo entrambi
servito. E nell’intensità degli incontri, la figura del monaco, del maestro e del pastore affioravano costantemente e si amalgamavano in modo
mirabile.
Padre Mariano, infatti, è sempre
stato profondamente monaco, grazie
alla lettura degli scritti dell’abate
Marmion, così come ha spesso raccontato di sé, seppur attraverso un
percorso articolato, passando attraverso il seminario vescovile, l’ordinazione presbiterale, il viceparrocato in
una parrocchia della diocesi di Tortona, per poi approdare in modo
provvidenziale nell’ambìto porto benedettino. Il suo vescovo aveva quasi voluto “provare” la sua vocazione,
non gli aveva impedito l’ingresso in
monastero, ma gli aveva chiesto solo
qualche anno di impegno in diocesi
e poi, «se quella era la volontà di
Dio...». Era la volontà di Dio.
Quando raccontava il suo ingresso
in monastero gli occhi di padre Mariano scintillavano di gioia, fresca
come quella del primo momento.
L’abito benedettino era la sua seconda pelle, lo aveva sempre saputo. E
così ha vissuto l’esperienza monasti-
Quell’osmosi tra vita e sacramenti
di MARIO CASTELLANO
Nei suoi scritti e nei suoi interventi, il monaco prima
e poi il vescovo Magrassi ritornava continuamente
sull’idea che la vita cristiana non è altro se non una
«esperienza viva del mistero di Cristo». Era ben convinto di dover curare una liturgia che fosse davvero
evangelizzatrice, con una ritualità fatta di segni veri e
autentici, «finestre aperte sul mistero di Dio», che
non soffrisse per la frattura con la vita, ma aprisse naturalmente alle esigenze dell’impegno cristiano.
Per l’arcivescovo era ben chiaro che è «dal sacramento» che scaturisce «l'impegno morale», conseguenza per una vita plasmata dalla grazia ricevuta.
Egli pertanto richiamava il dover «vivere in modo
conforme al dono divino», abbracciando tutta la vita
cristiana, morale e ascetica. Di quel dono l’atto liturgico pone un germe che esige di essere sviluppato.
Era così espressa «la dimensione esistenziale del mistero», che è anche «la dimensione impegnativa della
liturgia». Essa non presenta un insieme di norme, ma
un ideale «vivente», una persona, Cristo, di cui lasciarsi rivestire per conformare alla sua immagine tutta la propria vita.
Egli, in continuità con il cammino ecclesiale tracciato dall’episcopato italiano, richiamò sempre e con
forza la «circolarità tra fede, rito e vita», nella profonda convinzione che la Chiesa per essere «comunità viva» deve collocare al centro l’Eucaristia e realiz-
zare una vera «osmosi tra catechesi, liturgia e carità».
Il rapporto tra fede e vita non è automatico ma deve,
necessariamente, essere mediato dalla liturgia. Questo
convincimento accompagnò sempre la sua attività di
maestro e di pastore.
Come pastore, padre Mariano era consapevole della necessità di formare comunità ecclesiali composte
da «credenti adulti» e «maturi nella fede», che sapessero intercettare anche i più “lontani”. Sostenne la necessità di una rinnovata evangelizzazione e, al suo interno, l’importanza di un’azione rituale non estranea
alla realtà, ma fortemente legata al vissuto, capace di
mettere continuamente in relazione il mistero di Dio,
attinto alle fonti della Scrittura e della liturgia, e il
«mistero dell'uomo», immerso in un fenomeno di secolarizzazione sempre più ambiguo e complesso.
La sua visione non era quella di una Chiesa ripiegata su se stessa, né compiaciuta delle sue belle cerimonie ma che, forte di una vitalità attinta dalla Parola e dai Sacramenti, doveva sentire il bisogno di raggiungere tutti, divenendo comunità “missionaria” ed
“ecumenica”, aperta a tutte le componenti della cristianità. Da subito il pastore pose nel giusto ordine
gli elementi costitutivi della pastorale, collocando “al
centro” la liturgia e ribadendo che, se è intorno all'annuncio che la Chiesa si costruisce, il luogo in cui questo “annunzio” risuona col massimo di efficacia è la
celebrazione eucaristica, cuore della Chiesa e della
pastorale.
ca con una fecondità tale che ha segnato gli anni del suo ministero sacerdotale ed episcopale. Genova e
poi Noci rappresentano il preludio
di una presenza luminosa che ha irradiato l’intera Chiesa italiana. La
sua predicazione, i suoi corsi di eser-
cizi spirituali, le sue lezioni magistrali erano un punto di riferimento
autorevole e ispirato. Ancor oggi,
presentandomi come suo successore,
colgo che a lui si associa Afferrati da
Cristo, il corso di esercizi spirituali
predicati in Vaticano alla presenza di
Monaco e pastore
A dieci anni dalla morte, avvenuta il 15 aprile 2004, l’arcidiocesi
di Bari-Bitonto ricorda il suo antico pastore (1977-1999), figura tra le
più significative della Chiesa in Italia negli ultimi decenni del
Novecento, con un volume a cura di Salvatore Palese e Michele
Bellino (Mariano Andrea Magrassi. Arcivescovo di Bari-Bitonto. Monaco,
maestro, pastore, Bari, Edipuglia, 2014, pagine 576, euro 40).
Pubblichiamo ampi stralci della prefazione a firma del suo successore
alla guida dell’arcidiocesi pugliese e l’estratto di uno scritto che
ricorda la particolare attenzione che monsignor Magrassi ha sempre
riposto nella pastorale liturgica.
Paolo VI, durante la quaresima del
1977, poco prima della sua nomina
ad arcivescovo di Bari.
Era tangibile una vita spirituale
profonda e un amore allo studio che
lo ha accompagnato sempre e che
lui sapeva tradurre in una divulgazione fascinosa ed entusiasmante.
Alla radice, poi, emergeva una curiosità quasi fanciullesca, una capacità
di stupore, un desiderio di scoprire e
una innata disponibilità ad accogliere, frutto maturo di una sensibilità
spirituale davvero raffinata.
Monaco e maestro, dunque, ma
anche profondamente pastore. I ventidue anni di episcopato sono stati
una grazia per la diocesi di Bari-Bitonto e per la Chiesa italiana. Il suo
magistero pastorale, di ampio respiro, ha attraversato tutte le corde della vita della comunità da quelle spirituali a quelle sociali, a quelle culturali: dalla mirabile Lettera pastorale sul Battesimo (Diventa quello che
sei) all’opzione per l’evangelizzazione degli adulti, per approdare, attraverso i tre convegni ecclesiali diocesani (su Evangelizzazione e promozione umana, sulla Catechesi, sulla
Liturgia), al Sinodo diocesano. Il
suo magistero, di cui i volumi pubblicati sono solo un frammento, è la
testimonianza autorevole della vita
di un pastore profondamente dedicata al gregge a lui affidato. Non si risparmiava in nessuna circostanza e,
talvolta, visibilmente provato, a chi
gli domandava di come si sentisse,
rispondeva: «Stancamente bene».
Sapeva parlare al cuore di tutti, perché comunicava con il cuore e con
una parresia che mi ha segnato indelebilmente. Ho accolto dalle sue mani il pastorale, quasi quindici anni
fa, e lo custodisco come prezioso
viatico in un cammino da lui sapientemente tracciato e nel quale mi sono sforzato di inserirmi, sostenuto
del suo esempio e dalla sua preghiera. Sono particolarmente debitore a
lui della scelta mistagogica, che segna il cammino pastorale di oggi.
L’OSSERVATORE ROMANO
pagina 8
lunedì-martedì 25-26 agosto 2014
re Gesù e alla Madonna l’intera Nazione e preghiamo uniti soprattutto
per le vittime, le loro famiglie e
quanti soffrono. Ho ricevuto una
lettera di un Vescovo che racconta
tutto questo dolore. Preghiamo insieme la Madonna per questa amata
terra di Ucraina nel giorno della festa nazionale: Ave Maria... Maria,
Regina della pace, prega per noi!
All’Angelus il Pontefice ricorda che la comunità cristiana si fonda sulla fede di ogni battezzato
Le pietre della Chiesa
La «pietra angolare e unica»
della Chiesa è Cristo, ma tutti
i battezzati sono chiamati a essere
«pietre vive» della comunità
con la loro fede «povera ma sincera».
Lo ha ricordato il Papa all’Angelus
di domenica 24 agosto, in piazza
San Pietro.
Cari fratelli e sorelle, buongiorno!
Il Vangelo di questa domenica (Mt
16, 13-20) è il celebre passo, centrale
nel racconto di Matteo, in cui Simone, a nome dei Dodici, professa la
sua fede in Gesù come «il Cristo, il
Figlio del Dio vivente»; e Gesù
chiama «beato» Simone per questa
sua fede, riconoscendo in essa un
dono speciale del Padre, e gli dice:
«Tu sei Pietro e su questa pietra edificherò la mia Chiesa».
Fermiamoci un momento proprio
su questo punto, sul fatto che Gesù
attribuisce a Simone questo nuovo
nome: “Pietro”, che nella lingua di
Gesù suona “Kefa”, una parola che
significa “roccia”. Nella Bibbia questo termine, “roccia”, è riferito a
Dio. Gesù lo attribuisce a Simone
non per le sue qualità o i suoi meriti
umani, ma per la sua fede genuina e
salda, che gli viene dall’alto.
Gesù sente nel suo cuore una
grande gioia, perché riconosce in Simone la mano del Padre, l’azione
dello Spirito Santo. Riconosce che
Dio Padre ha dato a Simone una fede “affidabile”, sulla quale Lui, Gesù, potrà costruire la sua Chiesa,
cioè la sua comunità, cioè tutti noi.
Gesù ha in animo di dare vita alla
“sua” Chiesa, un popolo fondato
non più sulla discendenza, ma sulla
fede, vale a dire sul rapporto con Lui
stesso, un rapporto di amore e di fiducia. Il nostro rapporto con Gesù
costruisce la Chiesa. E dunque per
iniziare la sua Chiesa Gesù ha bisogno di trovare nei discepoli una fede
solida, una fede “affidabile”. È questo che Lui deve verificare a questo
punto del cammino.
Il Signore ha in
mente l’immagine del
costruire, l’immagine
della comunità come
un edificio. Ecco perché, quando sente la
professione di fede
schietta di Simone, lo
chiama “roccia”, e manifesta l’intenzione di
costruire la sua Chiesa
sopra questa fede.
Fratelli e sorelle, ciò che è avvenuto in modo unico in san Pietro, avviene anche in ogni cristiano che
matura una sincera fede in Gesù il
Cristo, il Figlio del Dio vivente. Il
Vangelo di oggi interpella anche
ognuno di noi. Come va la tua fede?
Ognuno dia la risposta nel proprio
cuore. Come va la tua fede? Come
trova il Signore i nostri cuori? Un
cuore saldo come la pietra o un cuore sabbioso, cioè dubbioso, diffidente, incredulo? Ci farà bene nella
giornata di oggi pensare a questo.
Se il Signore trova nel nostro cuore
una fede non dico perfetta, ma sincera, genuina, allora Lui vede anche
in noi delle pietre vive con cui costruire la sua comunità. Di questa
comunità, la pietra fondamentale è
Cristo, pietra angolare e unica. Da
parte sua, Pietro è pietra, in quanto
fondamento visibile dell’unità della
Chiesa; ma ogni battezzato è
chiamato ad offrire a Gesù la propria fede, povera ma sincera, perché
Lui possa continuare a costruire la
sua Chiesa, oggi, in ogni parte del
mondo.
Anche ai nostri giorni tanta gente
pensa che Gesù sia un grande profeta, un maestro di sapienza, un modello di giustizia... E anche oggi Gesù domanda ai suoi discepoli, cioè a
noi tutti: «Ma voi, chi dite che io
sia?». Che cosa risponderemo? Pensiamoci. Ma soprattutto preghiamo
Un apprezzamento per il cammino compiuto da Assisi a Roma è
stato rivolto da Papa Francesco ai circa seicento giovani
bergamaschi che domenica pomeriggio, 24 agosto, hanno
partecipato alla messa celebrata dal vescovo Francesco Beschi
all’altare della Confessione nella basilica vaticana. Ricordando
che il cammino è immagine della vita e che occorre essere
sempre in movimento, il Pontefice ha rivolto un saluto
particolare al gruppo di alpini che accompagnavano i giovani. E
ha confidato in proposito che anche un suo cugino faceva parte
delle penne nere: dal loro esempio, ha affermato, si ricava una
vera e propria lezione di vita. Da qui l’invito a salire sempre: si
può anche cadere, ha detto, ma l’importante è rialzarsi ogni
volta. Dopo aver salutato i presenti, il Pontefice ha posto la sua
firma alla base della grande croce di legno che i giovani hanno
portato con loro durante il pellegrinaggio.
Dio Padre, per intercessione della
Vergine Maria; preghiamolo che ci
doni la grazia di rispondere, con
cuore sincero: «Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente». Questa è una
confessione di fede, questo è proprio
“il credo”. Ripetiamolo insieme per
tre volte: «Tu sei il Cristo, il Figlio
del Dio vivente».
Al termine della preghiera mariana il
Pontefice ha rivolto il suo pensiero
«all’amata terra d’Ucraina, di cui
ricorre oggi la festa nazionale»,
invitando i fedeli a pregare soprattutto
il mio pensiero oggi va in modo particolare all’amata terra d’Ucraina, di
cui ricorre oggi la festa nazionale, a
tutti i suoi figli e figlie, ai loro aneliti di pace e serenità, minacciati da
una situazione di tensione e di conflitto che non accenna a placarsi, generando tanta sofferenza tra la popolazione civile. Affidiamo al Signo-
II
Spazio alla bellezza
Giovanni Paolo II resta nella memoria di tutti come «un Papa innamorato di Cristo», della famiglia e
della vita, capace di trasmettere al
mondo quella «gioia che è un elemento centrale dell’esperienza cristiana e la vocazione della Chiesa».
È con queste parole che il cardinale
segretario di Stato Pietro Parolin ha
ricordato Papa Wojtyła durante la
celebrazione per l’inaugurazione del
santuario all’aperto a lui dedicato a
Lorenzago di Cadore, nel pomeriggio di domenica 24 agosto. Nella
località veneta, infatti, Giovanni
Paolo II ha trascorso cinque soggiorni estivi tra il 1987 e il 1996. Il
suo insegnamento, ha affermato il
porporato, è ancora oggi di grande
attualità soprattutto nella prospettiva del Sinodo dei vescovi per la famiglia, come anche nell’impegno
per la difesa della vita e per la pace
specialmente in Medio oriente.
È stata la gioia il filo conduttore
dell’omelia del cardinale che, anzitutto, non ha mancato di ringraziare il Creatore per «la bellezza delle
montagne e dei boschi, una bellezza che porta in sé la visibilità
dell’invisibile». Motivo particolare
di gioia, ha spiegato, è proprio «la
memoria di san Giovanni Paolo II,
Scommessa per la pace
conta — ci siamo resi conto insieme che la pace è
la priorità e che forse anche il calcio poteva dare
un suo contributo diffondendo un messaggio positivo. Ecco perché questa partita è un punto di
partenza e non un’idea fine a se stessa». Anche
per questo il ricavato andrà al progetto «Un’alternativa di vita» in favore dei bambini. A sostenerlo le associazioni Scholas Occurrentes, particolarmente cara a Papa Francesco, e Fondazione
Pupi, quest’ultima promossa dallo stesso Zanetti
con la moglie Paula.
Insomma, aggiunge il campione argentino,
«giocheremo a pallone proprio per testimoniare
un messaggio di pace, di fraternità e di unità,
mostrando che le diversità di religione e di razza
sono ricchezze che uniscono e non elementi di
divisione». Ma anche «per invitare a fare gesti
concreti in favore di chi ha più bisogno». Zanetti
parla con lo stile schietto del centrocampista «che
non si tira mai indietro quando c’è da costruire
qualcosa di importante». E prima di fare i nomi
che comporranno i due dream team — probabilmente le più forti squadre della storia del pallone
— spiega che «non conta la partita in sé, chi se-
Cari fratelli e sorelle,
A Lorenzago di Cadore il segretario di Stato inaugura il santuario dedicato a Giovanni Paolo
Presentata la partita di calcio in programma il 1° settembre allo stadio Olimpico di Roma
È «un’ulteriore scommessa per la pace», secondo
Papa Francesco, la partita interreligiosa che si
giocherà lunedì 1° settembre, alle ore 20.45, allo
stadio Olimpico di Roma. Lo sport, e segnatamente il calcio per la sua popolarità, può essere il
collante del «binomio scuola-educazione che tanto sta a cuore al Pontefice». A delineare così il significato dell’incontro amichevole di calcio voluto
da Papa Francesco è stato monsignor Guillermo
Javier Karcher, che intervenendo alla conferenza
stampa di presentazione lunedì mattina, 25 agosto, nella sede di Radio Vaticana, ha portato «il
ringraziamento e il saluto benedicente» del Pontefice.
C’è, dunque, «la cultura della pace, dell’incontro, della solidarietà, dell’integrazione, della fraternità» nell’idea di questo match, che intende
anche facilitare «uno scambio di progetti educativi» mirati espressamente «ai bambini disagiati
che vivono nelle periferie esistenziali». A organizzare l’iniziativa, «mettendoci anima e corpo», l’ex
calciatore argentino Javier Zanetti, che il 25 aprile
2013 ha avuto un lungo e cordiale incontro con il
Pontefice. «Parlando con Papa Francesco — rac-
per le popolazioni che soffrono a causa
del perdurare di tensioni e conflitti.
Quindi ha salutato alcuni dei numerosi
gruppi presenti in piazza.
Saluto cordialmente tutti i pellegrini romani e quelli provenienti da
vari Paesi, in particolare i fedeli di
Santiago de Compostela (Spagna), i
bambini di Maipù (Cile), i giovani
di Chiry-Ourscamp (Francia) e
quanti partecipano all’incontro internazionale promosso dalla diocesi di
Palestrina.
Saluto con affetto i nuovi seminaristi del Pontificio Collegio Nord
Americano, giunti a Roma per intraprendere gli studi teologici.
Saluto i seicento giovani di Bergamo, che a piedi, insieme al loro Vescovo, sono giunti a Roma da Assisi,
cioè “da Francesco a Francesco”, come è scritto lì. Ma siete bravi voi
bergamaschi! Ieri sera il vostro Vescovo, assieme a uno dei sacerdoti
che vi accompagna, mi ha raccontato come avete vissuto questi giorni
di pellegrinaggio: complimenti! Cari
giovani, tornate a casa con il desiderio di testimoniare a tutti la bellezza
della fede cristiana. Saluto i ragazzi
di Verona, Montegrotto Terme e della Valle Liona, come pure i fedeli di
Giussano e Bassano del Grappa.
Vi chiedo, per favore, di non dimenticarvi di pregare per me. Vi auguro buona domenica e buon pranzo! Arrivederci.
gnerà il gol o chi farà una bella azione, quanto la
capacità di diffondere l’idea contagiosa di pace e
di solidarietà». Ma intanto, confida, si allunga la
lista di giocatori, ex giocatori e allenatori che saranno presenti alla partita. A oggi hanno assicurato la loro partecipazione, tra gli altri, Messi,
Maradona, Neymar, Buffon, Zidane, Batistuta,
Baggio, Totti, Pirlo, Inzaghi, Nesta, Nagatomo,
Eto’o, Ronaldinho, Muntari, Shevchenko, Benayoun, Muslera, Podolski, Ozil, Simeone, Nainggolan, Rodríguez, Heinze, Trezeguet, Mascherano, Palacio, Álvarez, Schelotto, Campagnaro,
Cambiasso, Lavezzi, Icardi, Toni e Carrizo.
Alla conferenza stampa, insieme ad alcuni protagonisti e sostenitori dell’iniziativa, sono intervenuti anche i calciatori Iturbe, della Roma, e Ledesma, della Lazio, entrambi argentini, che si sono stretti simbolicamente la mano. È previsto
inoltre un momento musicale con l’attrice e cantante argentina Martina Stoessel, molto popolare
tra gli adolescenti di tutto il mondo per la sua interpretazione di Violetta, e il cantautore italiano
Nek. L’evento ha un sito internet (www.matchforpeace.org) e un account facebook e twitter.
al quale dedichiamo questo santuario all’aperto» in un luogo a lui
particolarmente caro. «Dieci anni fa
— ha ricordato — era ancora in mezzo a noi e noi eravamo con lui. Dopo la sua morte, umile e gloriosa,
siamo stati spettatori della sua beatificazione, il 1° maggio 2010, e della sua canonizzazione, il 27 aprile
2014». E la gioia, ha proseguito il
cardinale ricordando l’insegnamento del Pontefice polacco, è proprio
«un elemento centrale dell’esperienza cristiana e la vocazione della
Chiesa».
Per questa ragione «egli fu un innamorato di Cristo» e «ciò che rende unica la sua personalità è la profonda, davvero radicale, sequela cristiana: la dedizione di Karol
Wojtyła a Cristo è alla
radice di tutto ciò che
ha fatto nella sua vita». Cristo «era il grido della sua fede, era
l’incipit del suo pontificato». E «ha avuto il
coraggio di dire apertamente la fede in Gesù in un’epoca di apostasia silenziosa da
parte dell’uomo sazio,
che vive come se Dio
non esistesse. Ha elargito al mondo intero
la gioia di essere prete, la gioia di appartenere a Cristo e di
spendersi totalmente
per la causa del suo Regno».
A Lorenzago, ha affermato il cardinale Parolin, «Giovanni Paolo II
incontrava Dio. Nel silenzio, nella
contemplazione e nella preghiera
riusciva non solo a riposarsi fisicamente, ma a trovare momenti per
pensare alla sua vita spirituale, a
Cristo Gesù e alla santa Chiesa che
serviva instancabilmente». Del resto
fin da giovane cercava spazi per lasciarsi dietro alle spalle «un mondo
rumoroso e frenetico, per immergersi in un rapporto unico e singolare
con la bellezza del creato».
Giovanni Paolo II, ha detto ancora il porporato, «è stato per ventisette anni il Papa dei nostri giorni e
noi vogliamo onorarlo con questo
“segno santo”, che si unisce alla
bontà e alla bellezza di questi luoghi meravigliosi che cantano la gloria di Dio». Portando il saluto e la
benedizione di Papa Francesco, il
segretario di Stato ha sottolineato
l’attualità della testimonianza di
Giovanni Paolo II soprattutto nella
prospettiva dello sviluppo della
missione della Chiesa. «Papa Fran-
cesco, nel giorno della canonizzazione del suo predecessore, lo presentava come il Papa della famiglia» ha evidenziato, rimarcando
come in effetti sia stato davvero «il
Papa del Vangelo della vita» e come la difesa della famiglia sia
«strettamente legata a quella della
vita».
Il porporato ha fatto notare come proprio «famiglia e vita» siano
«due temi che stanno a cuore a Papa Francesco». E ha richiamato in
proposito il concistoro del febbraio
scorso, le due prossime assemblee
sinodali e l’incontro mondiale delle
famiglie in programma a Philadelphia nell’ottobre 2015. «Di fronte a
una cultura globalizzata, che ha
perduto in questi ultimi decenni il
sapore della famiglia, del matrimonio cristiano, dell’amore, dell’educazione alla fede e ai valori, della
gioia dei figli, della presenza dei
nonni e delle nonne, del donarsi
senza ritorno, la Chiesa — secondo
il cardinale Parolin — ha il dovere
di spiegare la forza trainante del
Vangelo della famiglia e della vita.
Nella proclamazione e nella accoglienza delle verità, che toccano il
fondamento del vivere insieme, noi
troveremo la giusta strada per costruire la civiltà dell’amore, come
diceva nel lontano 1975, a chiusura
dell’Anno santo, Papa Paolo VI,
prossimo beato».
«Questa civiltà — ha detto ancora
— siamo chiamati tutti a costruirla.
Non la morte, ma la vita; non
l’odio ma il perdono, non la tristezza ma la gioia; non l’egoismo, ma
la condivisione. Lo spettacolo di
morte, che, ancora una volta, con
dolore, abbiamo toccato con mano,
volgendo il nostro sguardo orante
sulla Terra santa, ci invita a compiere ogni sforzo perché vinca la
pace».