Trump attacca i giudici e difende Putin «Anche in America ci sono
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Trump attacca i giudici e difende Putin «Anche in America ci sono
Codice cliente: 8727381 5 Corriere della Sera Lunedì 6 Febbraio 2017 # Primo piano Stati Uniti Trump attacca i giudici e difende Putin «Anche in America ci sono assassini» Il leader russo come Bush con l’Iraq. «Se succede qualcosa colpa di chi ha sospeso il bando» La vicenda L’ordine Il 27 gennaio Donald Trump firma «un ordine esecutivo» che blocca l’entrata negli Usa di tutti i rifugiati per 120 giorni nonché dei cittadini appartenenti a 7 Paesi a maggioranza musulmana: Iraq, Siria, Iran, Libia, Somalia, Sudan, Yemen Le proteste In tutto il Paese le piazze si riempiono di gente che protesta contro il bando. Sabato 28 gennaio cinque tribunali federali dispongono la liberazione immediata di viaggiatori bloccati negli aeroporti Il giudice Il 4 febbraio il giudice federale di Seattle James Robat sospende il bando DAL NOSTRO CORRISPONDENTE «Vladimir Putin non è un killer?», chiede Bill O’Reilly, il conduttore più famoso della tv conservatrice Fox News. Sono le 16 di domenica: gli americani si preparano a vivere il Super Bowl, la partita di football e lo show di contorno più seguiti dell’anno. L’intervista a Donald Trump fa parte della grande attesa. Questa la risposta del presidente degli Stati Uniti: «Pensi che l’America sia così innocente? Anche da noi ci sono molti assassini». «Sì, ma qui stiamo parlando di un leader», replica il giornalista. Trump non arretra: «Anche noi abbiamo fatto tanti errori. Pensa solo alla guerra dell’Iraq. Quanta gente è morta». Ecco fatto: in due minuti Trump ha messo insieme un’equazione esplosiva. Le responsabilità di Putin sono, di fatto, accostabili a quelle di George W. Bush, il presidente che ordinò l’invasione dell’Iraq. Il resto dell’intervista sembra ormai routine, tra un avvertimento all’Iran e l’approccio verso Mosca: «Io rispetto Putin, è il capo del suo Paese. Non so se ci andrò d’accordo, questo si vedrà. Dico, però, che sarebbe meglio trovare un’intesa con la Russia piuttosto che litigarci. E se la Russia ci aiuta nella lotta contro l’Isis e il terrorismo islamico nel mondo, beh, allora questa è una cosa buona». Spianati dall’ennesima sorpresa, i vertici del partito repubblicano avevano già tentaNEW YORK Il personaggio to il recupero in mattinata, quando Fox aveva diffuso stralci del colloquio. Mitch McConnell, leader della maggioranza al Senato, aveva preso le distanze: «Putin è un ex agente del Kgb. È un criminale. È stato eletto in un modo che la maggior parte delle per- sone non considererebbe una votazione credibile. Non penso si possa confrontare il modo in cui agiscono i russi e quello degli Stati Uniti». Ma intanto Trump è già altrove, ad appiccare un altro incendio, via Twitter. Tema: l’ordine esecutivo che sospende, a tempo indeterminato, l’ingresso nel Paese dei profughi siriani e per 120 giorni l’accesso di tutti gli altri richiedenti asilo. Inoltre il bando blocca i viaggiatori in arrivo da sette Paesi musulmani: Siria, Libia, Iran, Iraq, Somalia, Sudan, Yemen. Ieri mattina la Corte © RIPRODUZIONE RISERVATA La parola MUSLIM BAN È il modo in cui viene chiamato l’ordine esecutivo firmato da Trump il 27 gennaio che prevede la sospensione della concessione del visto per 90 giorni ai cittadini di 7 Paesi a maggioranza musulmana. Il bando, secondo alcuni, è una discriminazione religiosa: un giudice l’ha revocato Insieme Il presidente Donald Trump e la Firt Lady Melania in Florida a un gala della Croce Rossa (Reuters/Carlos Barria) L’ora di Betsy, miliardaria che pensa di smantellare l’istruzione pubblica Usa Il Senato decide oggi se confermare la candidata- ministra Sbaglia chi dice che senza i soldi non sarei mai arrivata qui: in questi 30 anni ho lavorato molto a favore dei bambini e delle famiglie DAL NOSTRO CORRISPONDENTE La domanda-verità, in tutta la sua asprezza, è quella del senatore Bernie Sanders: «Non voglio essere maleducato, ma se lei non fosse una multi-miliardaria e se la sua famiglia non versasse 200 milioni di dollari al partito repubblicano, pensa che ora sarebbe seduta lì?». Martedì 17 gennaio, audizione in Senato di Betsy DeVos, 59 anni, designata come ministro dell’Istruzione da Donald Trump. È forse la più ardente sostenitrice delle «charter school»: scuole finanziate dal denaro dei contribuenti, ma gestite da privati. La portabandiera dei «voucher»: soldi pubblici concessi agli studenti per poter scegliere istituti alternativi, religiosi innanzitutto, alle scuole di Stato. Idee dirompenti NEW YORK d’appello di San Francisco ha confermato la sentenza del giudice James Robart di Seattle, respingendo il ricorso presentato dal Dipartimento di Giustizia. Risultato: il provvedimento restrittivo firmato dal presidente il 27 gennaio scorso resta inapplicabile. La battaglia legale e lo scontro istituzionale tra magistratura e Casa Bianca continuano. Trump lo alimenta con i suoi tweet: «È incredibile come un giudice possa mettere il nostro Paese in un così grave pericolo. Se succede qualcosa, prendetevela con lui e il sistema giudiziario». E ancora: «Ho dato istruzioni al ministero della Sicurezza interna di controllare le persone che entrano nel nostro Paese con grande attenzione. I tribunali stanno rendendo il nostro lavoro molto difficile». Giuseppe Sarcina per il sistema educativo Usa. Troppo non solo per Sanders e per i sindacati degli insegnanti. Ma, a quanto pare, anche per diversi senatori repubblicani. Oggi si vota per la ratifica: l’esito è in bilico, anche se il Grand old Party ha la maggioranza: 52 contro 48. Basterebbe anche il pareggio. Le senatrici repubblicane Lisa Murkowski, Alaska, e Susan Collins, Maine, hanno già annunciato che voteranno contro. Betsy ha speso il fine settimana a telefonare ai parlamentari conservatori, foraggiati così generosamente dalla sua famiglia. La candidata-ministro è figlia di Edgar Prince, un industriale miliardario del Michigan, e moglie di Dick DeVos, numero 88 nella classifica delle persone più ricche d’America, erede del co-fondatore della Amway, multinazionale nel Chi è Betsy DeVos, 59 anni: la sua famiglia ha versato 200 milioni di dollari al partito repubblicano largo consumo. DeVos aveva risposto così a Sanders: «Beh senatore, penso che ci sarebbe stata comunque una possibilità. In questi 30 anni ho lavorato molto a favore dei bambini e delle famiglie». Betsy si è laureata in Business administration e in Scienze politiche al Calvin College, nel Michigan, il territorio dove è nata e ha vissuto mescolando interessi economici e impegno sociale. Ha fondato con il marito una società di investimento nelle startup tecnologiche. Ha fatto politica attiva, ricoprendo anche la carica di presidente del partito repubblicano nel Michigan. Ha coltivato la fede religiosa nella Chiesa Cristiana riformata del Nord America, con una preferenza per la dottrina neocalvinista. E, infine, ha messo in piedi, sempre nel 1989 una fondazione non profit che si occupa di educazione e di sostegno. Partendo da qui è diventata un punto di riferimento nazionale per i sostenitori dell’istruzione privatizzata. Fino a diventare presidente dell’«American federation for children», l’influente associa- zione, di fatto una lobby, che propone «la rivoluzione educativa abbattendo le barriere che impediscono alle famiglie la libera scelta della scuola per i figli». È una figura un po’ più complessa, quindi, rispetto alla facile caricatura della miliardaria annoiata, ingolosita da un incarico-passatempo nel governo. Eppure l’audizione al Senato è stata disastrosa: i democratici l’hanno ridicolizzata con domande su leggi e regolamenti. DeVos non ha saputo rispondere a tono neanche su questioni sensibili come il sostegno agli studenti disabili. Ma proprio questo è il punto: Betsy è una «outsider» convinta di poter smantellare la macchina dell’istruzione pubblica. Non conosce per disprezzo «i vincoli» imposti da Washington: un’affinità elettiva con Donald Trump, il suo nuovo sponsor. Ma distruggere non è sufficiente. Quali sarebbero i programmi di studio nel modello dominato dalle «charter school» e dai «voucher»? Come sarebbe garantito il pluralismo culturale? DeVos ha più volte detto che l’educazione scolastica deve essere uno strumento «per far avanzare il regno di Dio». Vedremo oggi se ci saranno almeno 50 senatori disposti ad accettare questo principio. G. Sar. © RIPRODUZIONE RISERVATA