la terapia medica nella ischemia cronica degli arti

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la terapia medica nella ischemia cronica degli arti
LA TERAPIA MEDICA NELLA ISCHEMIA CRONICA DEGLI ARTI
INFERIORI
A.R. Todini, D. Cassiani, M.L. Paiella
Divisione di Angiologia Azienda Ospedaliera San Camillo- Forlanini
L’ischemia critica cronica (I.C.C) è una condizione clinica nella evoluzione della arteriopatia degli
arti inferiori per cui l’arto o gli arti sono a rischio di amputazione (6, 7).
Secondo la Consensus Conference del 1991 l’ischemia critica è stata definita oltre che dal punto di
vista clinico anche sotto il profilo emodinamico, in base ai seguenti criteri:
-
dolore a riposo persistente e ricorrente da almeno 2 settimane con necessità di assunzione di
analgesici
-
e/o ulcerazioni o gangrena del piede o delle dita
-
PA sistolica alla caviglia < 50 mmHg
-
pressione arteriosa sistolica digitale < 30 mmHg
-
pressione transcutanea di ossigeno (tcPO2) nell’area ischemica < 10 mmHg e che non aumenta
a seguito di inalazione di ossigeno.
-
assenza di flusso pulsatile nell’alluce (misurato mediante pletismografia strain-gauge o PPG
dopo vasodilatazione farmacologica o posturale o dinamica)
-
significative modificazioni strutturali o funzionali dei capillari cutanei nell’area ischemica.
Quali sono i metodi diagnostici e terapeutici ottimali per la diagnosi ed il trattamento dell’ischemia
critica cronica degli arti inferiori rimane ancora controverso.
Il primo ed il secondo Consensus Europeo sulla ischemia critica hanno suggerito in tal senso sia
delle ipotesi fisiopatologiche che delle linee guida terapeutiche tenendo conto anche delle
acquisizioni socio-economiche e di farmaeconomia per cui tutti i pazienti con I.C. dovrebbero
essere sottoposti a terapie atte a salvare l’arto sia per una migliore qualità di vita che per vantaggi di
tipo meramente economico, rispetto alla amputazione (10, 11).
Nonostante il perseguimento diffuso di questo tipo di politica, la maggiore disponibilità di farmaci
ed il miglioramento delle tecniche chirurgiche e radiologiche-interventistiche, la incidenza delle
amputazioni nell’ischemia critica rimane sempre molto elevata
(21)
. Basti pensare che solo nella
Regione Lazio, che è quella che ci riguarda più direttamente, i DRG attesi per Amputazione nel
1999 sono 350 per le amputazioni maggiori e 151 per le amputazioni minori.
L’incidenza della ischemia critica è calcolata intorno ai 500-1000 soggetti per milione per anno con
valori nei diabetici 5-10 volte superiori all’incidenza negli sclerotici; la prevalenza sulla
popolazione generale sopra i 55 anni è dell’1.5%.
Il destino degli amputati è pesante: la mortalità perioperatoria è del 15-20% se l’amputazione è
sopra il ginocchio e del 5-10% nelle amputazioni sotto il ginocchio.
In uno studio effettuato tra i pazienti ricoverati nel Reparto di Angiologia dal 1990 al 1996 per
ischemia critica, 470 donne e 151 uomini (età media 66 ± 15) sono stati sottoposti ad amputazioni
maggiori e minori. Il 19% dei pazienti amputati erano di sesso maschile, il 36% di sesso femminile
con una prevalenza di amputazioni di coscia nei pazienti con arteriopatia sclerotica ed al contrario
di amputazioni parcellari nei pazienti diabetici o con tromboangioite obliterante (24).
La terapia esclusivamente medica nella I. C. è indicata solo nei casi in cui non vi è indicazione alla
terapia chirurgica ed interventistica o quando queste hanno fallito.
Come terapia di sostegno è sempre indicata. Più che di terapia farmacologica nell’ischemia critica si
dovrebbe parlare di terapia conservativa, in quanto consta di varie misure terapeutiche che spesso
vengono trascurate.
I principi generali della terapia conservativa dell’I.C. sono:
1) Aumento della portata ematica distrettuale
2) Trattamento delle infezioni batteriche locali
3) Riduzione dell’edema
4) Riduzione del dolore
Il primo punto comprende la terapia farmacologica vera e propria. Il prerequisito è quello di una
buona circolazione generale e di una buona attività cardiaca.
I farmaci comunemente impiegati sono gli emoreologici (defibrinogenanti e destrano), i vasoattivi,
la L-propionil-carnitina (PLC), gli antiaggreganti piastrinici, gli anticoagulanti, i profibrinolitici ed i
fibrinolitici, i prostanoidi (PGE1, PGI2).
L’arteriopatia obliterante è associata ad un aumento della viscosità ematica e ad una diminuzione
della deformabilità eritrocitaria. I farmaci defibrinogenanti e l’emodiluizione
(2, 3, 4)
agiscono sulla
viscosità ematica totale mentre alcuni farmaci “vasoattivi” quali la pentossifillina ed il buflomedil
agiscono maggiormente sulla deformabilità eritrocitaria. Il ruolo dei farmaci defibrinogenanti è
ancora da stabilire anche se vari studi sono stati effettuati con l’Ancrod e la Batroxobina, enzimi
purificati estratti dal veleno di vipera.
La modalità d’azione dei farmaci “vasoattivi” non è univoca, pertanto sono di difficile
classificazione. Essi hanno un effetto comune vasodilatatore che si esplica con differenti
meccanismi: 1) effetto simpaticolitico globale o blocco dei recettori alfa 1 ed alfa 2; 2) stimolazione
specifica dei recettori beta 2; 3) effetto miorilassante o papaverinico. Le altre proprietà sono
l’azione antiaggregante, antiserotoninica, calcioantagonista, anti-radicali liberi, la capacità di
aumentare la deformabilità eritrocitaria e di diminuire la viscosità ematica.
L’emoreologico più utilizzato è il Destrano
(1)
a basso peso molecolare. Il Destrano è un polimero
del glucosio a P.M. 40.000 daltons; diminuisce la viscosità ematica, interferisce sui fenomeni
relativi al potenziale di membrana inibendo l’aggregazione piastrinica ed eritrocitaria. L’effetto
principale è l’emodiluizione dovuta essenzialmente alla azione di richiamo di liquidi dai tessuti
verso il sangue a causa degli effetti sull’equilibrio oncotico-osmotico. Viene generalmente
somministrato per fleboclisi, alla concentrazione del 10% in soluzione fisiologica o glucosata. Va
tuttavia usato con cautela per la possibilità di effetti collaterali talora anche gravi: sovraccarico di
circolo, insufficienza renale, sindromi psudoallergiche (P.A.R. = Pseudo-allergic reactions),
analogamente a quelle provocate dai mezzi di contrasto iodati, ASA, FANS, sostituti del plasma ed
emoderivati, alimenti, anestetici locali. Le PAR hanno una sintomatologia analoga alle sindromi
allergiche, che va dal rush cutaneo allo shock, dalle quali tuttavia si differenziano per il
meccanismo extraimmunologico. Nel caso del destrano si tratta di reazioni qualitativamente
abnormi, imprevedibili, dipendenti dalla dose e dalla velocità di somministrazione. Pertanto è
consigliabile, prima di intraprendere un trattamento terapeutico con destrano, valutare l’eventuale
ipersensibilità del soggetto al farmaco tramite un test predittivo di tolleranza che consiste nella
somministrazione di una o due gocce del farmaco diluito in 10 cc di soluzione fisiologica per via
e.v. lenta, premunendosi di fiale di cortisone a forti dosi, dopamina ed adrenalina.
I farmaci vasoattivi, supportati da una larga sperimentazione sono la Pentossifillina ed il
Buflomedil.
La Pentossifillina provoca un aumento della deformabilità dei globuli rossi tramite l’incremento di
intracellulare di ATP; inibisce l’aggregazione e la produzione di ossidanti da parte dei leucociti;
possiede inoltre una modesta attività antiaggregante piastrinica e fibrinolitica. Viene somministrata
per via infusionale endovenosa o per via orale. Possibili effetti collaterali sono i disturbi
gastroenterici (nausea, vomito, flatulenza); eventuali controindicazioni: infarto miocardico recente
ed emorragie gravi.
Il Buflomedil possiede una azione calcioantagonista-simile a livello delle fibrocellule muscolari
lisce degli sfinteri precapillari che contrasta lo spasmo arteriolare. Inibisce l’aggregazione
piastrinica ed incrementa la deformabilità eritrocitaria. Viene somministrato, analogamente alla
pentossifillina, per via infusionale endovenosa e per via orale.
Altri farmaci utilizzati nel trattamento della I.C. sono i nitroderivati, i calcioantagonisti, gli alfabloccanti, i beta-agonisti; possono essere impiegati nel caso in cui le arterie mantengono un
modulo elastico anche se la loro efficacia nella ischemia critica può essere inficiata da una
condizione di vasodilatazione massimale che caratterizza questa condizione patologica.
La L-propionil-carnitina (PLC), farmaco recentemente utilizzato nella pratica clinica, rappresenta
uno dei più potenti analoghi della L-carnitina. Riconosce il suo razionale terapeutico nella
alterazione del metabolismo della carnitina descritta nella arteriopatia ostruttiva degli arti inferiori.
Somministrata per via orale o parenterale viene captata dalle cellule muscolari ischemiche dove, a
livello mitocondriale, viene scissa in carnitina libera e propionil-CoA; quest'ultimo, trasformato in
succinil-CoA, può essere utilizzato nel ciclo di Krebs come substrato energetico, nelle condizioni di
ridotta disponibilità di acetil-CoA, come nella ischemia a basso flusso.
La L-carnitina libera, a sua volta, incrementa la disponibilità di Coenzima A non esterificato,
necessario per l'utilizzazione dei lipidi e dei carboidrati.
E' stata inoltre dimostrata una azione protettiva sull'endotelio e sulla muscolatura liscia vasale da
parte della L-propionil carnitina.
Dal punto di vista clinico tale farmaco è stato dimostrato efficace nell'incrementare la autonomia di
marcia e nella riduzione dei tempi di guarigione delle lesioni trofiche nei pazienti arteriopatici (8, 16,
17)
.
Gli antiaggreganti piastrinici più utilizzati sono: l’acido acetilsalicilico (ASA), il dipiridamolo, la
ticlopidina, l’indobufene. Sono finalizzati a contrastare la progressione della malattia aterosclerotica
e le possibili complicanze trombotiche.
L’acido acetilsalicilico a basse dosi, blocca
irreversibilmente la ciclossigenasi, enzima che interviene nella sintesi del trombossano A2, potente
aggregante e la prostaciclina, potente antiaggregante; l’effetto sulla prostaciclina si manifesta
tuttavia solo con dosi più elevate di ASA ed è reversibile. Il dipiridamolo agisce bloccando la
fosfodiesterasi piastrinica, enzima preposto alla degradazione dell’AMP ciclico, la cui
concentrazione intrapiastrinica viene in tal modo incrementata e con essa la sua attività
antiaggregante. La ticlopidina provoca una inibizione irreversibile della adesività ed aggregabilità
piastrinica inducendo un marcato aumento del tempo di emorragia. L’indobufene inibisce in modo
reversibile la ciclossigenasi piastrinica interferendo essenzialmente sulla sintesi di trombossano.
L’uso degli anticoagulanti (eparina, anticoagulanti orali) nella ischemia critica è finalizzato,
analogamente agli antiaggreganti piastrinici, a contrastare l’eventuale occlusione trombotica vasale.
Tra i profibrinolitici ricordiamo il defibrotide, attivatore dell’attivatore tissutale del plasminogeno,
finalizzato ad incrementare la fibrinolisi spontanea.
Infine i prostanoidi, farmaci di recente introduzione, analoghi delle prostaglandine PGE1 e PGI2,
possiedono una potente azione vasodilatatrice ed antiaggregante. La loro azione si esplica tramite
una inibizione della attivazione piastrinica, della adesività leucocitaria, un incremento del
potenziale trombolitico dell’endotelio vascolare ed una inibizione dell’azione vasospastica indotta
sulla parete arteriolare da parte di leucotrieni, serotonina, trombossano A2 (TXA2) e fattori
vasocostrittori di derivazione endoteliale (EDCF). Tuttavia la loro efficacia, sebbene indiscutibile,
ha disatteso le aspettative inizialmente riposte in questi farmaci.
Le infezioni batteriche sono il fattore più importante per la estensione delle lesioni ulcerative e
possono fermare il processo di guarigione. D’altra parte un tessuto ischemico è a forte rischio di
infezione batterica che è naturalmente aggravato nei pazienti diabetici.
Indispensabili sono le medicazioni giornaliere delle lesioni ulcerative, lo sbrigliamento di zone
necrotiche e suppurative facendo attenzione a non ledere il tessuto sano, a non diffondere le
infezioni, a non seccare troppo le lesioni granuleggianti o non umidificarle troppo onde evitare
macerazioni. Qualora necessario si praticano medicazioni a piatto che prevedono una detersione a
base di Dakin oppure soluzione fisiologica, a seconda della presenza o meno di infezione. Utile la
terapia antibiotica generale previo tampone con antibiogramma. Nel caso la lesione presenti una
patina di fibrina si procederà alla applicazione di pomate proteolitiche.
La presenza di edema impedisce non solo la guarigione delle ulcere ma ne favorisce la comparsa.
I pazienti affetti da ischemia critica traggono beneficio dalla posizione assisa od eretta che
comportano un aumento della pressione idrostatica nelle regioni ischemiche acrali degli arti
inferiori ove esiste già una alterazione della permeabilità per cui si forma ed si accresce l’edema.
L’edema può essere controllato solo dalla posizione orizzontale che causa un peggioramento del
dolore. Importante quindi è la sedazione del dolore che, se non risponde alla comune analgesia per
via orale o intramuscolare o intravenosa, va trattato con la stimolazione peridurale cordale
(SCS)(18, 25) o con la simpaticectomia lombare chimica. La prima consiste nell’impianto per via
percutanea, di elettrodi collegati ad uno stimolatore,nello spazio peridurale. Attualmente numerosi
studi clinici dimostrano che la stimolazione cordale spinale risolve la sintomatologia dolorosa a
riposo, incrementa il flusso ematico a livello microcircolatorio e facilita la risoluzione di lesioni
trofiche nei pazienti affetti da ischemia critica.
Al momento abbiamo in commercio anche il Fentanil cerotto con cui in molti casi il dolore
recede.
Molti fattori influenzano la scelta terapeutica nei pazienti con ischemia critica. Se l’ischemia critica
è veramente critica bisogna essere aggressivi nella diagnosi e nel trattamento.
La scelta dell’indirizzo terapeutico da seguire nella ischemia critica, sia esso chirurgico (15), PTA (9,
12, 19)
o terapia medica conservativa
(13, 20)
schematizzati:
•
Fattori propri del paziente
-
condizioni generali
-
condizioni cardiovascolari
-
mobilità
-
trattamenti terapeutici precedenti
, dipende da una serie di fattori che possono essere così
•
•
•
consenso
Fattori propri della arteriopatia
-
ischemia acuta
-
ischemia acuta su quadro cronico
-
ischemia cronica
Fattori anatomici
-
localizzazione della lesione arteriosa
-
estensione della lesione arteriosa
-
tipo di lesione arteriosa
-
accoglimento periferico del flusso (run off)
Disponibilità dei presidi
-
radiologia vascolare
-
chirurgia vascolare
-
possibilità di approccio multidisciplinare
Attualmente molte speranze vengono riposte sulla nuova terapia genica delle malattie
cardiovascolari; è una terapia ancora sperimentale, ma sono già in corso i primi trials clinici. Sui
pazienti affetti da arteriopatia cronica ostruttiva degli arti inferiori la terapia genica in generale si
basa sulla capacità di indurre alcune linee cellulari alla sintesi ed alla secrezione di alcune proteine
che sono codificate in una sequenza di acido nucleico, detto “plasmide”. L’introduzione del
“plasmide” nel citoplasma cellulare avviene attraverso numerose tecniche: dalla semplice
incubazione del tessuto bersaglio con il solo segmento di DNA o lo stesso associato ad agenti
lipofili/idrofobici che ne facilitano il passaggio attraverso la membrana cellulare, all’uso di vettori
virali. Sono usati vettori virali ricombinanti modificati in maniera tale da non potersi replicare nella
cellula bersaglio. Sono stati utilizzati sia retrovirus che adenovirus ricombinanti, questi ultimi
sembrano promettere maggiore sicurezza per l’uso clinico ed una maggiore capacità di trasfezione.
Tutti i vettori virali possono però innescare una risposta immunitaria umorale e cellulare da parte
dell’ospite contro le proteine virali.
La via di introduzione più efficace dei vettori di espressione è ancora in studio; sono in via di di
sperimentazione la via intrarteriosa locale, l’inoculazione muscolare nell’arto ischemico, la via
sistemica e persino l’utilizzo del palloncino di un catetere da angioplastica rivestito da una
sospensione di idrogel con plasmidi di cDNA codificanti il fattore di crescita dell’endotelio
vascolare (VEGF165). I campi di applicazione della terapia genica nell’ambito della terapia
sperimentale della patologia vascolare periferica sono molteplici. Il progetto più audace è quello di
ottenere una “angiogenesi terapeutica” (Hockel 1993) attraverso l’introduzione per via sistemica e
locale di fattori di crescita (FGF e VEGF165) che hanno la capacità di stimolare la proliferazione e la
differenziazione delle cellule endoteliali fino alla formazione di nuove strutture capillari al fine di
promuovere lo sviluppo di circoli collaterali in territori ischemici (14).
Baumgartner et al, in un recente studio condotto su 9 pazienti affetti da ischemia critica, hanno
indotto, tramite inoculazione intramuscolare di DNA plasmide, una neovascolarizzazione
collaterale controllata mediante arteriografia (5).
La terapia genica viene inoltre utilizzata per l’inibizione del fenomeno dell’iperplasia intimale che è
la causa principale della ristenosi dei vasi arteriosi sottoposti ad angioplastica transluminale o a
tromboendoarteriectomia. Il danno endoteliale provocato da queste metodiche provoca l’adesione
delle piastrine e dei leucociti che stimolano la produzione dei fattori di crescita locali che provocano
a loro volta la proliferazione e la migrazione delle cellule muscolari lisce dalla media all’intima,
causa della ristenosi vasale. L’inibizione della proliferazione delle cellule muscolari lisce può essere
ottenuta a livello genico in svariati modi tra i quali l’induzione dell’enzima sintetizzante ossido
nitrico o attraverso l’uso dei fattori di crescita endoteliale (VEGF) che inducono una rapida
endotelizzazione della parete vasale sottoposta ad una angioplastica o ad una TEA.
Anche i bypass in safena autologa possono essere preservati da una ristenosi trattando il segmento
venoso con adenovirus codificante una forma di VCAM - I, che inibisce l’adesione dei monociti
all’endotelio bloccando così l’iperplasia intimale.
L’utilizzo della terapia genica diretto verso il controllo dei fattori di rischio è ancora agli inizi; si
stanno studiando le possibilità di stimolare l’espressione di recettori per le lipoproteine a bassa
densità (LDL) nei pazienti con anomala deficienza degli stessi; con una siffatta terapia si otterrebbe
una drastica riduzione dei livelli lipidici nel sangue.
A latere della terapia farmacologica è indispensabile il controllo e l’eliminazione di alcuni fattori di
rischio nel trattamento delle arteriopatie periferiche. Il fattore di rischio più importante per l’AOP è
il fumo sia che privilegiamo il fattore età od il numero di sigarette fumate.
I meccanismi con i quali il tabacco interviene nel determinismo della AOP consistono nell’aumento
del rilascio delle catecolamine, dell’ossidazione delle LDL con conseguente potenziamento della
adesione monocitaria, nell’aumento del fibrinogeno plasmatico, della adesività piastrinica, del
fattore di von Willebrand e nella riduzione della sintesi endoteliale di ossido nitrico.
In letteratura negli studi retrospettivi il tabagismo si riscontra nel 90-98% degli arteriopatici contro
il 70% della popolazione generale. Negli studi prospettici più importanti, Framingham, Paris,
Glostrup, l’incidenza della vasculopatia nei fumatori è risultata in media superiore di 3-4 volte
rispetto ai non fumatori. Lo studio più recente, VAHIT (1988), condotto su 2531 pazienti ha messo
in correlazione il fumo con gli altri fattori di rischio della AOP evidenziando una maggiore
prevalenza della malattia nei pazienti fumatori affetti da diabete mellito, ipertensione arteriosa ed
entrambe le affezioni rispetto a pazienti con gli stessi fattori di rischio ma non fumatori (31.4% nei
diabetici fumatori contro l’ 8.8% nei diabetici non fumatori; 14.7% negli ipertesi fumatori contro
l’8.0 negli ipertesi non fumatori; 21.1% negli ipertesi, diabetici fumatori contro il 13.7% negli
ipertesi, diabetici, non fumatori.
Il miglior trattamento della ischemia critica è spesso la combinazione di varie modalità terapeutiche
chirurgica, PTA, medica, trombolisi, variamente combinate
(22, 23)
. E’ ovvio che la decisione giusta
dipende dalla collaborazione tra chirurgo vascolare, radiologo, angiologo (26).
Per concludere possiamo dire che per porre una giusta scelta terapeutica in ogni paziente è
d’importanza vitale avere un team multidisciplinare con esperienza in tutte le modalità di
trattamento.
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