I limiti del distacco - Il Diritto Amministrativo

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I limiti del distacco - Il Diritto Amministrativo
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IL DISTACCO DEI LAVORATORI TRA IMPRESE
A cura di Federica Federici
L’art. 30 del d.lgs. 276/2003, di attuazione della legge delega n. 30/2003 (c.d. “legge
Biagi”) disciplina il fenomeno del distacco di lavoratori tra imprese recitando: 1)“L'ipotesi
del distacco si configura quando un datore di lavoro, per soddisfare un proprio interesse, pone
temporaneamente uno o più lavoratori a disposizione di altro soggetto per l’esecuzione di una determinata
attività lavorativa.
2)In caso di distacco il datore di lavoro rimane responsabile del trattamento economico e
normativo a favore del lavoratore.
Il porre uno o più lavoratori a disposizione di un altro soggetto per l’esecuzione di una
determinata attività lavorativa, al fine di soddisfare un proprio interesse, significa, primi di
tutto, che il datore di lavoro distaccante, pur rimanendo responsabile del trattamento
economico e normativo a favore del lavoratore, trasferisce il proprio potere organizzativo
e direttivo sul prestatore in capo al distaccatario, ergo pone il lavoratore alle dipendenze e
sotto la direzione di un altro datore di lavoro che, pertanto, riceve la prestazione
utilizzando la risorsa lavorativa altrui come se fosse propria.
Secondo la giurisprudenza, in ipotesi di distacco del lavoratore presso altro datore di
lavoro, mentre il beneficiario delle prestazioni lavorative dispone dei poteri funzionali
all’inserimento del lavoratore distaccato nella propria struttura aziendale, permangono tra
distaccante e lavoratore i vincoli obbligatori e di potere-soggezione, mantenendo il
distaccante, uno su tutti, il potere di licenziare.
Ciò significa che il lavoratore distaccato, pur rimanendo formalmente dipendente dal
datore distaccante, risulta, tuttavia, inserito funzionalmente nell’organizzazione
distaccataria (legame organico), in quanto interamente organizzato e diretto da
quest’ultima; tanto che, secondo la giurisprudenza, il terzo beneficiario del distacco, può
stipulare condizioni diverse e più favorevoli con il lavoratore distaccato, talché si viene ad
instaurare, accanto all’originario unico rapporto di impiego, un ulteriore rapporto
collaterale ad esso collegato, che trae occasione dalle vicende relative al rapporto di
distacco e che soggettivamente intercorre tra il terzo e il lavoratore distaccato.
I limiti del distacco
Due sono però i limiti giustificanti la liceità del distacco: l’interesse del datore di lavoro
distaccante e la temporaneità del distacco.
A questi due limiti deve aggiungersi (in base alle altre disposizioni scaturenti dai primi due
commi dell’art. 30 e da altre disposizioni collegate e logicamente connesse e conseguenti),
in presenza di particolari situazioni, il consenso del lavoratore distaccato: recita infatti il
3° comma dell’art. 30, che “Il distacco che comporti un mutamento di mansioni deve
avvenire con il consenso del lavoratore interessato. Quando comporti un trasferimento a
una unità produttiva sita a più di 50 Km da quella in cui il lavoratore è adibito, il distacco
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può avvenire soltanto per comprovate ragioni tecniche, organizzative, produttive o
sostitutive”.
a) l’interesse del distaccante
Il primo limite alla stipulazione del distacco è costituito dall’interesse del distaccante.
L’interesse in questione dovrà essere inerente l’esercizio dell’attività imprenditoriale
propria del distaccante e, pertanto, coincidere con una qualsiasi motivazione tecnica,
produttiva, ed organizzativa dello stesso, purché effettivamente esistente, lecita, rilevante
e, comunque, sempre distinta dalla finalità direttamente lucrativa che caratterizza invece,
la somministrazione professionale di manodopera.
Il distacco deve realizzare, dunque, uno specifico interesse che consenta di qualificarlo
come atto organizzativo dell’impresa che lo dispone; solo in presenza di un simile
requisito è, infatti, possibile riconoscere nell’operazione concretamente realizzata una
mera modifica delle modalità di esecuzione della prestazione lavorativa capace di
salvaguardarne la validità, In varie pronunce la Cassazione ha ritenuto il distacco
legittimo, a condizione che le prestazioni del lavoratore distaccato siano dirette a
realizzare un rilevante interesse del datore di lavoro distaccante, pur non dovendosi
trattare necessariamente dell’attività principale dell’impresa, bensì anche di un’attività
complementare o persino straordinaria.
L’assenza poi, nella lettera della legge, di una qualificazione dell’interesse in termini
strettamente patrimoniali, sembra rendere ammissibile la coincidenza dell’interesse del
distaccante anche con un’utilità di natura non economica, bensì morale, solidale, ecc.,
purché rispondente ad una precisa esigenza dello stesso.
In una sentenza di merito (Trib. Roma 21 novembre 2007) è stato ribadito che l’interesse
del distaccante inerente l’esercizio della sua attività imprenditoriale, risulti: “specifico,
rilevante, concreto e persistente” (quali ad esempio l’esistenza di un contratto di fornitura
di beni o di appalto di servizi, l’esistenza di un collegamento societario, l’esistenza di un
vincolo solidaristico, il cui riscontro in concreto è necessario a distinguere l’interesse
legittimante il ricorso al distacco dal puro e semplice interesse al conseguimento del
corrispettivo della somministrazione di lavoro o da quello di aggirare una specifica
normativa posta a tutela dei lavoratori o altrimenti limitativa del ricorso ad essi). Per la
sussistenza di un interesse qualificato al distacco, il distaccante dovrà provare la
pattuizione di un’attività lavorativa determinata: nell’oggetto, nella collocazione spaziale e,
almeno tendenzialmente, nella durata, affidata al lavoratore distaccato.
b) La temporaneità
Il secondo limite è costituito dalla temporaneità del distacco. La giurisprudenza è ormai
unanime nel ritenere che la destinazione del lavoratore presso l’azienda distaccataria
debba avere una durata predeterminata, più o meno lunga, coincidente con quella
dell’interesse del datore di lavoro a che il proprio dipendente svolga la prestazione
lavorativa a favore del terzo.
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La stessa Cassazione ha affermato che la durata del distacco, ancorché la temporaneità sia
caratteristica essenziale di tale istituto, con il quale è incompatibile la definitività
dell’applicazione del lavoratore al servizio di un terzo, può essere anche non
predeterminata, dovendosi accertarla in relazione all’esistenza nel datore di lavoro
distaccante di un interesse al distacco. Il distacco potrà durare finché durerà l’interesse del
datore di lavoro allo svolgimento del lavoro da parte del prestatore presso il terzo. Non è
quindi la durata limitata del distacco a determinare l’interesse, ma è il perdurare di
quest’ultimo a condizionarne la temporaneità (temporaneità che non è necessariamente
sinonimo di brevità, anzi la Cassazione prevede che possa coincidere per ipotesi anche
con la cessazione del rapporto di lavoro).
I vincoli di forma
Nonostante l’assenza di una espressa previsione normativa, in relazione al momento in
cui il distacco inizia a produrre effetti, risulta necessario valutare l’opportunità di un sua
formalizzazione per iscritto (contratto o documento di distacco). La forma scritta, pur
non prevista come requisito di validità del distacco, appare, tuttavia utile non solo a
giustificare la presenza del distaccato in azienda, ma altresì a determinare le condizioni e
le modalità che regoleranno la svolgimento del rapporto e l’esecuzione della prestazione
di lavoro durante il distacco.
Il consenso del lavoratore
Prima dell’entrata in vigore del d.lgs. n. 276/2003, il consenso del lavoratore al suo
distacco presso il distaccatario era ritenuto totalmente irrilevante.
Attualmente l’art. 30, comma 3, del d.lgs. n. 276/2003, prevede la possibilità che il
consenso del lavoratore al distacco sia necessario solo se esso comporti un mutamento di
mansioni: il vincolo rappresentato dal consenso del lavoratore, “vale a ratificare
l’equivalenza delle mansioni nell’ipotesi in cui, pur in assenza di demansionamento, vi sia
una specializzazione e/o una riduzione dell’attività svolta con riguardo al patrimonio
professionale del lavoratore". In tal senso dispone la Circolare Min. Lav. n. 3/2004. Ed è
lo stesso Ministero del Lavoro che nel 2005 ha ribadito che il lavoratore può essere
distaccato solo con mansioni equivalenti a quelle normalmente svolte precedentemente
presso il distaccante e, soprattutto, previo suo consenso.
Il distacco parziale
Benché la disciplina di cui all’art. 30 del d.lgs. 276/03 non ne faccia menzione, il
problema dell’ammissibilità di un distacco parziale era già stato oggetto di riflessione da
parte della prassi ministeriale. Infatti, prima del decreto 276/03, in assenza di un quadro
normativo di riferimento e in presenza soltanto di pronunce giurisprudenziali, il
Ministero del lavoro, con una propria nota: la n. 5/25814/70/VA del 8 marzo 2001,
descriveva le condizioni di legittimità del distacco. Fra queste condizioni, recuperate in
buona parte dalla giurisprudenza maturata sull’argomento, troviamo anche l’ammissibilità
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del distacco parziale. La nota ministeriale afferma, in tal senso, che “il comando o
distacco disposto dal datore di lavoro presso altro soggetto destinatario delle prestazioni
lavorative è compatibile con il carattere parziale della prestazione presso il
destinatario”. Da tale affermazione, invero condivisibile, discende che, almeno a livello di
prassi ministeriale, risulta lecito anche un distacco a tempo parziale, il quale permetta al
distaccato di continuale a prestare il suo lavoro, mantenendo mansioni sostanziali ed
incarichi formali, per il proprio datore distaccante ed anche in momenti diversi, per il
datore distaccatario, ovvero per il datore presso cui è stato distaccato. Deve precisarsi che
non si tratta in alcun modo di un contratto di lavoro a tempo parziale, ovvero part-time,
bensì della parzialità del distacco, cioè dell’utilizzazione della prestazione di lavoro da
parte del distaccatario in modo parziale e non pieno.
Ne consegue che il lavoratore continuerà ad essere tenuto a fornire e per ciò retribuito,
una prestazione di lavoro a tempo pieno ma da svolgersi presso due datori di lavoro
diversi.
L’obbligo di sicurezza e salute
In base ai principi generali e per unanime interpretazione, il datore di lavoro presso il
quale il lavoratore viene temporaneamente dislocato è il principale destinatario degli
obblighi di cui all’art. 2087 cod. civ. Lo stesso d. lgs. n. 81/200 dispone che nel distacco
“tutti gli obblighi di prevenzione e protezione” (a partire dalla specifica valutazione dei
suoi rischi lavorativi e dall’individuazione delle misure che lo riguardano) “sono a carico
del distaccatario, fatto salvo l’obbligo del distaccante di informare e formare il lavoratore
sui rischi tipici generalmente connessi allo svolgimento delle mansioni per le quali viene
distaccato”. Tuttavia si deve ritenere che egli resti responsabile, quanto meno a titolo di
culpa in eligendo, qualora il destinatario della prestazione non sia fornito dei necessari
requisiti tecnico-organizzativi di sicurezza e salute sul lavoro.
Il trattamento economico-normativo ed i contributi previdenziali ed assistenziali
In forza dell’art. 30, comma 2, del d.lgs. n. 276/2003, in caso di distacco, il datore di
lavoro distaccante rimane responsabile del trattamento economico e normativo a favore
del lavoratore distaccato, anche se si ritiene ammesso il rimborso da parte del
distaccatario. In merito si sono pronunciate le Sezioni Unite della Cassazione nella
sentenza n. 1751 del 13 aprile 1989, affermando la non rilevanza della corresponsione del
rimborso al fine della qualificazione del distacco come non genuino. Giova ricordare
tuttavia che il rimborso non potrà però superare quanto effettivamente corrisposto al
lavoratore dal datore di lavoro distaccante, come specificato anche dalla già citata
Circolare ministeriale n. 3/2004.
Anche l’obbligo contributivo, così come l’assicurazione obbligatoria contro gli infortuni
sul lavoro e le malattie professionali, restano a carico del datore di lavoro distaccante,
mentre i premi INAIL andranno calcolati sulla base dei premi e della tariffa applicati al
distaccatario e non dal datore di lavoro distaccante.
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Le modifiche di cui al d.lgs. 251/04, di correzione del D.lgs. 276/03
La disciplina del distacco si arricchisce di un nuovo comma, il 4-bis, che stabilisce che
quando il distacco avvenga in violazione di quanto disposto dal comma 1, il lavoratore
interessato possa chiedere, mediante ricorso giudiziale a norma dell’articolo cod. proc.
civ., notificato anche soltanto al soggetto che ne ha utilizzato la prestazione, la
costituzione di un rapporto di lavoro alle dipendenze di quest’ultimo.
Riassumendo quindi, affinché un rapporto di distacco sia valido e lecito ai sensi di legge
secondo le previsioni specifiche di questo istituto (art. 30 D.Lgs. 276/03), è necessario dal
punto di vista amministrativo che sussista un contratto di distacco (totale o parziale) dal
quale risultino in modo esplicito le seguenti condizioni:



un interesse del datore di lavoro, distaccante, a che il lavoratore presti la propria
opera presso il soggetto distaccatario che non sia quello meramente riferibile alla
prestazione stessa;
la temporaneità, intesa non come brevità, ma come " non definitività" della
prestazione di lavoro presso il distaccatario,
la titolarità in capo al distaccante del rapporto di lavoro, che permane quale
obbligo retributivo e contributivo, benché il potere direttivo, di controllo e
disciplinare passi al distaccatario.
Nel caso il distacco comporti un cambiamento di mansioni deve avvenire con il consenso
del lavoratore; se avviene ad una distanza superiore a 50 km può avvenire solo per
comprovate ragioni tecniche, organizzative, produttive o sostitutive.
Il ricorso all’istituto del distacco deve essere inoltre obbligatoriamente segnalato dal
distaccante in via telematica al centro circoscrizionale per l’impiego, entro 5 gg dalla
trasformazione del rapporto di lavoro, compilando il quadro/sezione “Trasformazione”
del modello “Unificato Lav”, entro i 5 giorni successivi alla trasformazione del rapporto
di lavoro. Con il D.lgs. 251/04, di correzione del D.lgs. 276/03, è stato introdotto il
comma 4bis, che recita: “Quando il distacco avvenga in violazione di quanto disposto dal comma 1,
il lavoratore interessato può chiedere, mediante ricorso giudiziale a norma dell’articolo 414 del codice di
procedura civile, notificato anche soltanto al soggetto che ne ha utilizzato la prestazione, la costituzione di
un rapporto di lavoro alle dipendenze di quest’ultimo.”
Nella prassi il distacco viene usato normalmente non solo in ambito nazionale, ma anche
per le missioni all'estero di proprio personale dipendente (multinazionali, gruppi
industriali, holding, società controllate o partecipate, ecc.): in tal caso va distinto dalla
trasferta e dal trasferimento. Dalla trasferta perché pur realizzando entrambi un
mutamento temporaneo del luogo di esecuzione della prestazione lavorativa, manca nella
trasferta la delega ad altro datore di lavoro - ancorché temporanea - del potere direttivo.
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Elemento che caratterizza, invece, il distacco. Nel trasferimento, invece, il mutamento si
caratterizza per la sua definitività. Il distacco si configura, pertanto, quando un datore di
lavoro, per soddisfare un proprio interesse, pone temporaneamente uno o più lavoratori a
disposizione di altro soggetto per l'esecuzione di una determinata attività lavorativa.
Per distaccare in ambito comunitario un cittadino italiano, ovvero un cittadino
comunitario assunto e retribuito da una Società italiana non è richiesta, alcuna specifica
autorizzazione amministrativa. In ambito comunitario vige infatti il principio della libera
circolazione (Direttiva 2004/38/Ce e Reg. 492/2011 del 5 aprile 2011). L'unico
presupposto è il possesso della cittadinanza italiana ovvero, se a dover essere trasferito è
un cittadino comunitario, assunto in Italia, il possesso della cittadinanza di uno Stato
membro dell'Unione europea. I regolamenti comunitari assicurano, infatti, la parità di
trattamento in ambito comunitario ai lavoratori e alle loro famiglie. Una volta effettuata
regolarmente l'assunzione non vi sono nei confronti dei cittadini di tali paesi limitazioni al
diritto di circolazione e, quindi, all'invio all'estero in missione.
Pertanto, i cittadini comunitari hanno il diritto di soggiornare liberamente nel territorio
degli Stati membri mediante semplice iscrizione nei registri anagrafici. Per il cittadino
italiano (o cittadino comunitario assunto in Italia) che viene distaccato all'estero in ambito
comunitario la procedura di iscrizione negli uffici anagrafici e l'eventuale rilascio dei
documenti di identità validi quale titolo di libero soggiorno e circolazione nel Paese
comunitario va accertata di volta in volta con l'autorità di pubblica sicurezza del luogo di
destinazione. Al lavoratore distaccato in uno Stato membro della Comunità europea
continuerà ad applicarsi il sistema previdenziale e contributivo italiano per tutta la durata
del distacco (deroga al c.d. «principio di territorialità). Quando un lavoratore, assunto in
Italia, venga distaccato all'estero in ambito comunitario egli ha la possibilità, a determinate
condizioni, di mantenere il regime previdenziale del Paese di origine/residenza,
derogando al principio della territorialità per: 24 mesi per il primo periodo di distacco o
per un ulteriore periodo che di solito arriva a massimo cinque anni comprensivi degli altri
due, su accordo degli Stati membri.
Anche in ambito extracomunitario vige il principio della territorialità, principio in base al
quale i contributi previdenziali devono essere versati nel luogo di esecuzione della
prestazione lavorativa. È però possibile derogare al principio della territorialità nelle
ipotesi di distacco in forza di specifici accordi internazionali che consentono al cittadino
italiano di mantenere, durante il distacco, il regime previdenziale italiano, generalmente
più favorevole rispetto a quello di altri paesi. I datori di lavoro italiani operanti in Paesi
extracomunitari, indipendentemente che questi siano legati o meno con l'Italia da Accordi
di sicurezza sociale, ogni qualvolta intendano inviare all'estero, in un paese
extracomunitario, un proprio dipendente, devono richiedere apposita autorizzazione
preventiva al Ministero del lavoro, Direzione generale per l'impiego su apposita
modulistica diffusa dal Ministero (legge n. 398/1987 e D.M. 16 agosto 1988).
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Riferimenti normativi
D. lgs. 251/04
D. lgs. 276/03
D. lgs. 72/00
Legge n. 30/2003 (Legge Biagi)
Legge 3 ottobre 1987 n. 398
Legge 21 novembre 2000 n. 342
Circolare Min. Lav. n. 3/2004
Circolare 9//2009 Lavoro occasionale di tipo accessorio.
Legge 9 aprile 2009, n. 33 “Conversione del D.L. 10 febbraio 2009, n. 5, recante misure
urgenti a sostegno dei settori industriali in crisi”, pubblicata sul Supplemento Ordinario n.
49 della Gazzetta Ufficiale n. 85 dell'11 aprile 2009, in vigore dal 12 aprile 2009.
Modifiche art. 70, decreto legislativo 10 settembre 2003, n. 276.
Decisione 10 gennaio 1996 n. 96/71/CE
Direttiva CEE 29 aprile 2004 n. 2004/38/CE
Regolamento della comunità Europea 5 aprile 2011 n. 492/2011
Regolamento della comunità Europea 29 aprile 2004 n. 883/2004
Decreto ministeriale 16 agosto 1988
Decreto legge 31 luglio 1987 n. 317
Decreto Presidente della Repubblica 18 aprile 1994 n. 346
Decreto Presidente della Repubblica 31 luglio 1980 n. 618
Decreto Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986 n. 917
Riferimenti giurisprudenziali
Cass. Civ. sez. lav. n. 9694 del 23 aprile 2009
Cass. Civ. sez. lav. n.16165 del 18 agosto 2004
Cass. Civ. sez. lav. n. 7743 del 7 giugno 2000
SS.UU. Cassazione n. 1751 del 13 aprile 1989
Trib. Roma 21 novembre 2007