Non solo vino e moda. Anche le armi sono un,eccellenza italiana
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Non solo vino e moda. Anche le armi sono un,eccellenza italiana
settimanale left avvenimenti poste italiane spa - SPED. abb. Post. - D.L. 353/2003 (conv. in l. 27/02/2004 n. 46) ART. 1, COMMA 1 DCB roma - ann0 XXv - ISSN 1594-123X politica Maggioranze sciiti vs sunniti Chi vuole scienza Il grafene, in laboratorio la plastica del futuro dividere i musulmani avvenimenti N. 12 | 30 marzo 2013 left + l’unità 2 euro (0,80+1,20) da vendersi obbligatoriamente insieme al numero di sabato 30 marzo de l’Unità. Nei giorni successivi euro 0,80+il prezzo del quotidiano made in italy Non solo ,vino e moda. Anche le armi sono un eccellenza italiana. Peccato le comprino dittatori e stragisti di Davide Illarietti e Sofia Basso settimanale left avvenimenti poste italiane spa - SPED. abb. Post. - D.L. 353/2003 (conv. in l. 27/02/2004 n. 46) ART. 1, COMMA 1 DCB roma - ann0 XXv - ISSN 1594-123X la settimanaccia 2 left.it 30 marzo 2013 left left.it left Direttore editoriale Donatella Coccoli [email protected] Direttore responsabile Giommaria Monti [email protected] vicedirettore Manuele Bonaccorsi [email protected] caporedattore cultura e scienza Simona Maggiorelli [email protected] Redazione Via Luigi Turchi 17, 00153 - Roma Sofia Basso [email protected], Paola Mirenda [email protected], Cecilia Tosi [email protected], Rocco Vazzana [email protected] Tiziana Barillà (segreteria di redazione) [email protected] progetto grafico Newton21 Roma Lorenzo Tamaro [email protected] GrAFICA Gianluca Rivolta [email protected] photoeditor Arianna Catania [email protected] INFORMATION DESIGNER Martina Fiore [email protected] Editrice DElL’altritalia soc. coop. 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Tutti, a Bruxelles, si sono affrettati a smentire le dichiarazioni del ministro “nordico”. Hollande ha ribattuto che la garanzia dei depositi bancari è «un principio assoluto e irrevocabile». Non è un mistero, però, che in cuor loro i tedeschi pensino a quello di Cipro come un ottimo accordo, da spendere anche nella campagna elettorale di Berlino (si voterà a maggio per il rinnovo del Parlamento). Centrata sul tema del rapporto tra un Nord Europa virtuoso e il Sud spendaccione. Anche con qualche venatura antieuro. L’Italia non c’entra nulla con Cipro, si sono affrettati a ripetere da Bruxelles e Roma. Conviene però chiedere ai tedeschi che ne pensino, dato che le fila dell’euro continuano a tenerle loro. Inutile chiedere a quelli di “Alternativa per la Germania”, neonata formazione politica che propone l’uscita degli straccioni mediterranei dall’Euro. Rivolgiamoci al più paludato Deutsche instituts fur wirtschaftsforschung, che dietro il nome impronunciabile nasconde uno dei più influenti centri studi tedeschi, con sede a Francoforte. Questa estate l’istituto proponeva per risolvere l’emergenza debito italiano una cura in stile cipriota: «Una tassa speciale pari al 10 per cento dei redditi che porterebbe in cassa qualcosa come 230 miliardi di euro». Una patrimoniale shock, quindi. Da investire non nella crescita o nella riduzione della diseguaglianze o nel welfare (per cui l’Italia è ormai fanalino di coda in Europa). Ma per ripagare i debiti con la finanza. E levare ai tedeschi il problema di raffreddare il rosso del debito italiano. In quel periodo il vicepresidente dell’Spd Poß proponeva: «Prima che altre misure di aiuto vengano accordate, ci si può aspettare che un Paese in crisi mobiliti la propria ricchezza nazionale». Appunto. Aggiungiamo qualche dato. Il recente Documento di finanza pubblica italiana vaticina per il 2013 una nuova recessione, pari al -1,3 per cento. Disoccupazione quasi al 12 per cento, pressione fiscale record al 44 per cento, ma entrate in riduzione per 15,7 miliardi (la crisi fa ridurre le tasse versate allo Stato, anche se aumenta l’aliquota pagata). Riuscirà l’Italia a mantenere in ordine i suoi conti, nonostante l’ennesima gelata? Sembrerebbe di sì: insieme alla Germania, il Belpaese dovrebbe essere l’unico socio Ue a rispettare gli stringenti dogmi dell’austerity dettati dal fiscal compact. Pagando, però, un prezzo sociale altissimo. Se poi la recessione dovesse indebolire ancora i conti, dal Nord ci arriva una voce chiara: i vostri debiti pagateveli voi. Nessun allentamento della stretta monetaria, nessun eurobond. Ognuno per sé: è l’Europa unita. Ora, questo problema resta in piedi, qualsiasi sia il governo che uscirà dal Quirinale o dalle prossime elezioni. E ogni piano shock per tornare a crescere - che sia di Bersani o Grillo, di Cgil o Confindustria deve scontrarsi con la Troika e il freddo di Berlino. A meno che non si proponga di uscire dall’euro. In quel caso, però, smetteremmo di pagare pensioni e stipendi pubblici e di esportare il nostro made in Italy. Neppure nel M5s - che giustamente attacca i partiti sull’approvazione del pareggio di bilancio e del fiscal compact hanno il coraggio di proporlo chiaramente. Il dubbio, amletico, è semplice: perché l’Italia non discute di questo, invece che solo degli stipendi dei parlamentari? 3 [email protected] spigolature left.it Un supermercato per disoccupati gattopardo senza veli A 50 anni dall’anteprima mondiale al Barberini di Roma dello storico film di Visconti, Operazione Gattopardo - un libro di Alberto Anile e Maria Gabriella Giannice - scopre alcune scene tagliate dal Gattopardo, tratto dal romanzo di Giuseppe Tomasi di Lampedusa. Come quando Don Fabrizio in una stanza d’albergo amoreggia con una cocotte, o Tancredi esorta don Calogero a usare i militari contro i contadini. 28 % La percentuale dei consumi elettrici italiani coperta dalle fonti rinnovabili nel corso del 2012. A renderlo noto Comuni rinnovabili, il rapporto 2013 di Legambiente. Sono 27 i Comuni 100% rinnovabili che coprono interamente i fabbisogni dei residenti. 4 ok Magdi Allam lascia la Chiesa cattolica perché «troppo debole con l’Islam». L’Europa dovrebbe trovare «la lucidità e il coraggio di denunciare l’incompatibilità dell’Islam con la nostra civiltà», ha aggiunto. Guerrafondaio. ko Pompieri contro carabinieri L’Usb Vigili del fuoco chiede al ministro Cancellieri di aprire un’inchiesta sui fatti del 25 marzo. Quando, a Padova, due carabinieri in borghese chiedono a una squadra di pompieri in servizio di poter indossare le loro divise per arrestare dei presunti spacciatori di droga. Il caposquadra accetta e, all’ingresso nell’appartamento, si scatena un parapiglia. «Se fosse scattato un conflitto a fuoco, il nostro personale sarebbe stato privo di protezione», spiega Antonio Jiritano di Usb. «È gravissimo. Condanniamo l’uso improprio di un Corpo che non deve svolgere operazioni di ordine pubblico». t.b. avvenimenti abbonati a left. la versione web a 40 € l’anno vai su www.left.it o scrivi ad [email protected] 30 marzo 2013 left © Monaldo / LaPresse Si chiama Emporio Portobello, si trova a Modena ed è il primo supermercato del baratto: si paga la spesa prestando lavoro. Come? Semplice, il prezzo non è indicato in euro ma in punti. Ogni famiglia è dotata di una tessera e di bollini con i quali poter “fare la spesa”. L’idea, del Centro servizi per il volontariato modenese, si rivolge a 450 famiglie in difficoltà economica scelte in base al quoziente Isee, in collaborazione con i servizi sociali. «Un emporio sociale contro la crisi», come si autodefiniscono sul loro sito. «La risposta concreta del volontariato modenese ai bisogni delle famiglie in difficoltà». Inaugurazione ufficiale nel t.b. mese di maggio. «Era ora che i governi ascoltassero chi opera nel sociale». A dirlo è Luigi Ciotti di Libera che, dopo l’incontro con Bersani, afferma anche di non essere interessato alla carica di ministro. «Lo sono da 40 anni per la Chiesa». Coerente. left.it left.it sommario ianno XXV, nuova serie n. 12 / 30 marzo 2013 copertina politica medio oriente Una fiera con 45mila visitatori e un fatturato da 5 miliardi. Il più grande distretto mondiale di armi leggere è a Brescia. Qui si producono le armi olimpioniche ma anche quelle di stragisti e dittatori. Vendute senza controllo. Grazie alle pressioni della Farnesina. Negli ultimi vent’anni molti governi nati senza avere i numeri sulla carta. Il primo esecutivo Berlusconi nel ’94 e quello guidato da Prodi nel ’96 si presentarono alle Camere senza una maggioranza certa. Ecco cosa deve affrontare Bersani per uscire dall’impasse. Si approfondisce la divisione tra sciiti e sunniti all’interno del mondo musulmano. E i gruppi jihadisti si dedicano sempre più alla guerra settaria, abbandonando gli obiettivi occidentali. Che ringraziano, alimentando la retorica di un Islam diviso. Eccellenza italiana 16 la settimana 02 03 04 06 La settimanaccia La nota Spigolature fotonotizia l’incontro 12 Lella Costa: ridere sul serio di Sofia Basso copertina maggioranze di minoranza 24 islam contro islam 36 IDEE RUBRICHE di Alberto Cisterna di Emanuele Santi a cura della redazione Interni a cura della redazione Esteri 08 In punta di penna 10 altrapolitica di Andrea Ranieri 11 Ti riconosco di Francesca Merloni 54 TRASFORMAZIONE di Massimo Fagioli 16 Eccellenza italiana di Davide Illarietti 22 La diplomazia delle armi di d.i. 23 L’Europa sfida gli Usa di Sofia Basso 33 Calcio mancino 34 Cose dell’altritalia 44 newsglobal 58 puntocritico cinema di Morando Morandini arte di Simona Maggiorelli libri di Filippo La Porta 60 bazar il personaggio, buonvivere, tendenze, docufilm 61 in fondo di Bebo Storti 62 appuntamenti a cura della redazione Cultura società 24 28 30 32 Maggioranze di minoranze di Rocco Vazzana Decreto inganna malati di Simona Maggiorelli I tappabuchi di Donatella Coccoli Libera nos a mafia di don.coc. mondo 36 Islam contro Islam di Cecilia Tosi 40 Cipro non contagerà la Ue di Alfonso Bianchi left 30 marzo 2013 42 Orgoglio polare di Paola Mirenda cultura e scienza 48 La scommessa del grafene di Pietro Greco 52 Roma, ritorno al futuro di Vittorio Emiliani 54 La doppia vita di David Bowie di Michele Manzotti Chiuso in tipografia il 27 marzo 2013 5 fotonotizia 6 left.it 30 marzo 2013 left left.it Benvenuta primavera Trionfo dei colori durante l’Holi Hindu, festività nazionale che in tutta l’India celebra l’arrivo della primavera. Chiamato anche Festival dei colori, cade nel giorno di luna piena del mese di marzo. L’entusiasmo di decine di milioni di persone si manifesta attraverso il lancio di fiori e di acqua e polvere colorate, come rappresentazione della gioia per la rinascita della natura, il prevalere del bene sul male e la vittoria leggendaria sul demone Holika. (Kumar Singh/Ap photo) left 30 marzo 2013 7 in punta di penna di Alberto Cisterna il taccuino Cariche pubbliche per interessi personali Serve una legge che imponga regole non solo per Silvio Berlusconi. C’è un circuito molto più forte e impermeabile della vituperata casta dei partiti D a un paio di decenni si discute di conflitto d’interessi, parolina magica che ha un destinatario pressoché scontato, il solito Silvio Berlusconi. L’argomento è tra i primi 8 punti del programma di Bersani e tra i 20 del M5s. Verrebbe da chiedersi come mai, visto che il Cavaliere ha chiaramente detto che la vicenda non lo riguarda più avendo ceduto da un pezzo tutte le imprese ai propri figli. In verità anche nel centrosinistra, al di là della necessità di contenere la spinta grillina e di tacitare l’ala più dura, ci sono tentennamenti e perplessità sulla scelta di mandare a casa il leader del Pdl con qualche marchingegno giuridico. I più sono convinti che l’unico modo per smacchiare il giaguaro sia sempre lo stesso, batterlo alle elezioni, e che le scorciatoie siano pericolose. In nessun Paese civile - per giunta nel bel mezzo di una corsa più o meno lunga verso nuove elezioni - due minoranze potrebbero pensare di coalizzarsi per far fuori la terza minoranza con la bacchetta magica del conflitto d’interessi. Le leggi ad personam sono oscene, ma quelle contra personam sono orribili e riportano l’orologio della storia a tempi bui. Proviamo, allora, a leggere la questione da un’altra prospettiva. Può darsi che Bersani e Grillo guardino allo stesso obiettivo pur partendo da valutazioni profondamente diverse. Grillo ha certamente il problema di portare a casa un risultato su una questione che infuria come nessun’altra sul web e che, primo retropensiero, metterebbe in difficoltà Bersani e il suo rapporto con il Quirinale. Il leader del Pd, invece, potrebbe guardare alla questione per affrontare e risolvere un problema che certo lo assilla ben più del Cavaliere: dare un colpo alle élite del Paese che si riconoscono in Monti, stabilendo anche per loro un bel mucchio di regole. Obiettivo cui, peraltro, potrebbe non essere indifferente al M5s. Ma spieghiamoci meglio. Può darsi che Bersani e Grillo parlino di una legge severa sul conflitto d’interessi guardando (anche) all’esperienza del governo Monti, considerata da molti una parentesi negativa nella storia politica e istituzionale del Paese. A dire il vero, salvo pochissime eccezioni (la Cancellieri e Barca in primo luogo), i ministri tecnici hanno avuto pagelle molto basse e sono rimasti parecchio al di sotto delle aspettative, mostrando i limiti evidenti delle élite amministrative e imprenditoriali. Una legge sul conflitto d’interessi non potrebbe non prendere in considerazione l’ultimo anno, e sia al centrosinistra che al M5s deve sembrare urgente ricondurre le classi dirigenti del Paese in circuiti d’influenza accettabili. La salita al potere dei montiani è stato l’apogeo di una traiettoria che ha svilito, per carità spesse volte a ragione, la politica e la sua credibilità, ma che ha anche mostrato l’inadeguatezza di alcuni grand commis, pubblici e privati, a governare un Ci sono funzionari, prefetti, generali, che fanno la spola dalle istituzioni al privato senza che nessuno fiati 8 30 marzo 2013 left Paese complesso e da modernizzare come l’Italia. Paradossalmente siamo la nazione europea che ha più bisogno di (buona) politica per rifondare il patto costituente tra i cittadini, ma anche la nazione che ha più duramente preso a sberle i politici e si è affidata a un rassemblement di tecnici: un suicidio che ha spianato la strada alla contestazione e al risentimento. I sopravvissuti al ciclone Grillo lo hanno capito al volo e la questione del conflitto d’interessi è finita immediatamente tra le priorità del futuro governo: in piena luce si legge Berlusconi, ma in filigrana c’è scritto Monti e il suo dicastero. Ad esempio è sotto gli occhi di tutti cosa sia successo con la storia dei marò e, forse, non dovrebbe ripetersi che un ex ambasciatore, come il ministro Terzi, si occupi della sorte di un altro ambasciatore finito in balìa della giustizia indiana. Per carità siamo tutti sereni e oggettivi, abbiamo tutti a cuore gli interessi supremi della Repubblica, ma le leggi sul conflitto d’interessi stanno lì a evitare le tentazioni. In verità ci sono funzionari pubblici, uomini di partito, prefetti, generali, ambasciatori che fanno la spola tranquillamente da incarichi pubblici a prebende private o viceversa senza che nessuno fiati. Si dimettono e finiscono in Consigli d’amministrazione, comitati di controllo, collegi sindacali, uffici legislativi e di pubbliche relazioni o in assessorati, commissariati straordinari e cose del genere. Costoro hanno costituito una sorta di inner circle in cui si scambiano favori, incarichi, nomine, un circuito chiuso, molto più forte e impermeabile della vituperata casta dei partiti, che una legge sul conflitto d’interessi potrebbe intaccare. Qualcuno, con grande efficacia, l’ha paragonato alla Camera Stellata creata da Enrico VII Tudor, un blocco chiuso composto da oligarchie munite di privilegi feudali in cambio del servizio ai monarchi. Se non fosse che oggi in Italia i monarchi mordono la polvere e che i tecnici hanno provato a defenestrarli per sempre, mancando il bersaglio solo per l’inatteso successo del M5s che, a ben guardare, potrebbe addirittura aver salvato la politica in Italia da scorciatoie impervie e insicure, mettendo nuovamente al centro la vita parlamentare e non i salotti. È probabile, quindi, che si porrà mano a questo problema, magari riprendendo la questione a partire dagli stipendi dei manager pubblici e privati e dai loro benefit, argomento che la gente non disdegna in tempi di crisi. Le norme sulle incompatibilità delle élite pubbliche e private sono tutte da scrivere e hanno ormai molto a che vedere anche con l’incarico di primo ministro o di ministro o di parlamentare. Lì si annida un grumo di potere quasi intangibile che sopravvive a cambi di governo, di partito, di coalizione e che sembra paralizzare la vita repubblicana. Ecco qui effettivamente ci vorrebbe una bella legge che metta in riga i tanti gattopardi e gli sciacalli della nazione; quanto al giaguaro, per chi ci tiene, vedrete ci sarà un’altra elezione per provare a smacchiarlo. Paradossalmente il M5s potrebbe aver salvato la politica parlamentare da scorciatoie tecniche left 30 marzo 2013 9 altrapolitica di Andrea Ranieri il taccuino Lettera aperta a Beppe Grillo Proprio chi oggi non ne può più della crisi e della cattiva politica chiede un nuovo esecutivo. Che possa invertire subito la rotta seguita negli ultimi anni C aro Beppe Grillo, mi ha molto colpito una sua dichiarazione il giorno dopo le elezioni, resa a una pressante giornalista tv proprio davanti all’ingresso di casa tua. Spiegava che il suo movimento non aveva ancora il 100 per cento perché molti nella crisi galleggiano e pensano di potere continuare a farlo, e proprio per questo potevano permettersi di votare ancora per i partiti. Penso che ci fosse del vero nella sua affermazione. Che il tono moderato della campagna elettorale del centrosinistra non abbia colto la disperazione di quanti non riescono più a stare a galla. Gli operai e i padroni delle fabbriche che chiudono perché lo Stato non onora i suoi debiti, i giovani senza futuro, gli anziani che vedono diminuire ogni giorno il valore della loro pensione. E quanti sentono come l’emergenza più grande il consumo di terra, di acqua e di aria di un’economia basata sullo spreco sistematico di uomini e cose. Esasperati da una politica i cui costi sono aumentati in maniera proporzionale al crescere della sua impotenza. Ma, caro Beppe Grillo, non le viene in mente che oggi sono proprio quelli che non riescono più a galleggiare che sentono la necessità di misure urgenti, di svolta, che diano un po’ di ossigeno alle loro vite. Segnali concreti di un nuovo modo di praticare la politica, per ridare dignità e trasparenza all’amministrazione della cosa pubblica? E che forse il dibattito fra i suoi sostenitori più che il frutto di qualche hacker al servizio del potere, rifletta una divisione vera fra chi può permettersi di galleggiare e chi proprio non ce la fa più - per ragioni materiali e morali - ad aspettare? Il vicepresidente del parlamento siciliano Giancarlo Cancelleri si schiera risolutamente contro la fiducia a qualsiasi governo, affermando che se in Sicilia si sono ottenuti importanti risultati, coerenti col programma 5 stelle, è perché la vostra affermazione ha costretto i partiti a misure che da soli non avrebbero mai prese. Le concedo anche questo. La politica dei partiti, anche di sinistra, si è dimostrata in questi anni incapace di autoriformarsi. Ma i primi risultati concreti della vostra azione sono stati possibili perché in Sicilia un governo c’è e ha dovuto fare i conti con voi. Può essere la “fiducia” un ostacolo insormontabile? È proprio impossibile trovare una strada, che pur mantenendo fino in fondo la vostra diversità, consenta all’Italia di avviarsi su una strada diversa da quella sciagurata degli ultimi anni? Di rialzare la testa rispetto all’Europa del debito? Caro Beppe Grillo, so che lei avrebbe preferito un governissimo che lasciasse i 5 stelle soli all’opposizione. Ma non le dice niente che questa via sia ritenuta impraticabile dalla stragrande maggioranza della sinistra? L’insofferenza verso un certo modo di fare politica è penetrata anche nelle nostre fila. È il nostro popolo a chiedere cambiamenti radicali. Dovrebbe rallegrarsene, piuttosto che chiudersi in uno sdegnoso rifiuto. Gettando discredito sui primi risultati - l’elezione di Boldrini e Grasso, le prime misure sui costi del Parlamento - frutto dello scossone che la politica ha ricevuto a febbraio. Ancora convinto che si possa aprire una strada alla speranza, con (non illimitata) simpatia Il popolo di sinistra dice no a un governissimo. Perché l’insofferenza verso i partiti è penetrata anche nelle nostre fila 10 30 marzo 2013 left ti riconosco di Francesca Merloni il taccuino Dalla parte di chi guarda Lo sguardo di chi parla è affilato. Ma non basta più. Il mondo è rotto e lo riaggiustiamo ogni volta. Non riconosciamo il percorso né il luogo. L’altro è straniero e ogni parola scordata «S ì, però...» ma non è più difficile stare dalla parte di chi guarda, piuttosto che dell’essere guardati? Si hanno meno strumenti, si è disarmati, si dispone solo di uno sguardo. Di un’apertura, di una possibilità di credere. Si possiede solo la vitale, disperata voglia di credere. In qualcosa di vero, finalmente. Di guardabile. Di tutto intero. E invece il tessuto della nostra notte è costellato di mancati appuntamenti con il giorno. Ma non sono buchi di luce. Manca un’alba. E manca da molto tempo. Non è più difficile stare dalla parte di chi guarda, ancora una volta? Che possibilità ha, chi guarda, se non quella di riconoscere o rimanere deluso, ancora una volta? Prendere o lasciare. Lo sguardo è affilato, ma non basta. È innocente, ma non basta. È scaltro, è informato, è bambino. Ma non basta più. Il mondo è rotto e lo riaggiustiamo ogni volta. È commovente questa forza di riaggiustare, di fare tutto nuovo di nuovo. Di guardare le stesse cose con altri occhi. O è forza inerziale? Questo pensavo l’altra sera ascoltando dire che è difficile sostenere gli sguardi in cui si legge: «Sì, però...». Certo. È doloroso. Ferisce e butta a terra, un peso quasi impossibile da portare. Ma, chiedo, non è infinitamente più doloroso stare dalla parte di chi quello sguardo non sa più dove posarlo? Quando una immagine si frantuma come in un caleidoscopio e parti di essa si scindono e si sovrappongono e non si compongono, non ha scelta chi guarda. «Ho vissuto ogni parola che ho scritto», dice un mio amico poeta. E ne abbiamo, insieme tutti noi, fatto il credo di questa pagina. Forse ci hanno tirati su così. Ci hanno cresciuti a pane e parole. E di ogni parola abbiamo fatto gesto, un mondo certo, un tratto di noi e del nostro ambito, che abitiamo e nel quale è possibile venirci a cercare, trovarci. Riconoscerci. Quando le azioni che conseguono alle parole le allineano, esse vanno a formare struttura. Altrimenti disperdono tutto in un caos inenarrabile. Da cui è possibile ricominciare, dal quale si riparte sempre per un inizio di nuovo, ma è più difficile e richiede tempo. Prima si deve comprendere, ripulire tutto e per bene. Le parole ci fanno. E i gesti ci fanno. Poi è nel mancato allineamento delle traiettorie, delle linee essenziali e portanti, che si crea distorsione di immagine e di messaggio. Che non si comprendono più le parole. Le opere, le intenzioni. Di queste case non è rimasto Le omissioni. Penso a un amico che parla e io gli credo. E poi si venche qualche de. Il silenzio scende. Accoglie, ripara. Fornisce tempo. Dimentibrandello di muro. ca. Poiché le persone che conoscevamo - o era proiezione di noi?- in Di tanti che mi corrispondevano quelle parole discordanti che dipartono dal centro come schegge, non è rimasto non le troviamo più. E non sono più neppure nei gesti che accompaneppure tanto. gnano il loro andare, sia esso stanco o furioso o necessario. Non riMa nel cuore conosciamo più il percorso né il luogo. Siamo confusi. L’altro è stranessuna croce manca. È il mio cuore niero e non c’è casa. Ogni parola scordata. Ed è straniera e scordata il paese più straziato. la parte in noi che l’altro chiama. C’è dolore, allora. Straniamento. E pochissima poesia in tutto questo. Giuseppe Ungaretti, San Martino del Carso, 1916 [email protected] left 30 marzo 2013 11 l’incontro 12 30 marzo 2013 left l’incontro left.it Ridere sul serio di Sofia Basso Illustrazione di Alessandro Ferraro lella costa. L’esordio nella Milano da bere, la scelta dell’ironia e dell’impegno. L’attrice, che l’8 aprile sarà a Roma con Ferite a morte, si racconta. E a Bersani dice: «Mi piacerebbe che leggesse Auden e capisse che è il momento di “passare il pacchetto”» L’ unica differenza tra la Lella Costa sul palcoscenico e quella che abbiamo incontrato nel suo luminoso soggiorno milanese è la mise. Per il resto, la stessa ironia, la stessa passione, lo stesso interesse per il bene comune che ha sempre catterizzato il suo teatro. Un’avventura nata per caso e decollata negli anni della Milano da bere. Su battaglie sempre attuali. «Ricostituire un senso di comunità è la vera mission impossible di oggi», avverte l’attrice e scrittrice. «Perché abbiamo consentito che venisse corrotto e corroso profondamente». Com’è nato il teatro di Lella Costa? La mia è stata una scoperta di vocazione sicuramente anomala, perché non avevo mai pensato di fare l’attrice. Quando ero al primo anno di Lettere a Milano - ho fatto tutti gli esami ma non mi sono laureata: come Giannino? No, come Steve Jobs - facevo parte di un gruppo di psicoterapia alternativa perché ero convinta che si dovesse curare anche la salute dell’anima. Soprattutto se si voleva fare una vera rivoluzione, e noi un po’ ci abbiamo creduto. Volevamo aprire un consultorio popolare all’ospedale di Niguarda e dovevamo simulare dei colloqui. Io ho interpretato una paziente schizofrenica e ho avuto un successone: tutti a dirmi che dovevo andare avanti. Io non avevo mai pensato di fare l’attrice, ma avevo avuto una tale sensazione di interezza, con tutti i pezzi della mia vita che erano andati a posto, che mi sono detta: proviamo! Meglio fare errori che avere rimpianti. All’epoca vivevo già da sola e facevo i lavori più bizzarri possibili per campare. Così mi sono iscritta all’Accademia dei filodrammatici, l’unica che mi permetteva di conciliare questo tipo di vita. Era una scuola molto tradizionale, ma di notte facevo i seminari di Grotowski. Dopo qualche anno ho capito che non mi interessava mettermi in ga- left 30 marzo 2013 ra come interprete: volevo provare a dire qualcosa, a modificare una relazione col teatro che passasse anche attraverso la comicità e l’ironia. Così, dopo qualche esperienza in spettacoli di altri, ho cominciato a scrivere, complice anche il fatto che nella seconda metà degli anni Ottanta c’era Craxi al governo e si poteva solo ridere. Gli anticorpi alla Milano da bere sono nati in luoghi come Zelig e il Grand hotel pub. Perché va bene ridere, ma conta anche di cosa. Infatti la sua cifra è sempre stata l’impegno. Per me davvero ci sono cose sulle quali forma e sostanza non possono non coincidere. Il primo spettacolo che ho fatto da sola è stata una rassegna di comicità femminile al Grand hotel pub. Rappresentava il partire da sé degli anni dell’autocoscienza: la militanza femminista per me è stata un percorso di formazione. Certo, sono cambiate le modalità, forse anche i punti di vista. Ma, anche se il Sessantotto e gli anni successivi mi hanno dato molto, considero il femminismo la mia storia. Ho cominciato a parlare di donne perché era il tema che avevo più vicino. Ma non mi interessava fare spettacoli da donna di-a-da-in-con-su-per-fra-tra le donne. Infatti ho preso subito coautori maschi. Spesso mi dicono che ai miei spettacoli vengono soprattutto le donne. Forse è vero. Ma i dati dicono che il 70 per cento del pubblico che va a teatro è costituito da donne. Alla serata milanese di Ferite a morte, una Spoon River del femminicidio nata da un’idea di Serena Dandini, i biglietti sono andati a ruba e il pubblico era in grandissima maggioranza femminile. Non che ci dispiaccia, però è un po’ un peccato, perché questo spettacolo è per gli uomini, visto che la violenza sulle donne è un problema degli uomini. Siccome crediamo fortemente che ci debba essere un cambiamento culturale, la presa di voce maschile è indispensabile. Non 13 l’incontro © PIRRONE/LaPresse © samuele pellecchia left.it Non lo dico per me, che non ho mai chiesto una lira, ma senza sostegno pubblico i teatri chiudono tanto la condanna, il dito puntato, ma il disprezzo, la presa in giro. Un uomo che usa violenza a una donna non è più forte: è più debole. Detto così è uno slogan, ma bisogna farlo capire. È importante che ci sia una condivisione. Quindi è doloso dire che siamo separatiste, che siamo contro gli uomini. Noi cerchiamo di cambiare la situazione. E le vittime in genere non possono fare più di tanto... Ironia e battaglie civili, insomma? Sì è un po’ la chiave che ho scelto. Nel 1996 ho fatto uno spettacolo sulla guerra che purtroppo oggi posso rifare identico. Anche allora ho usato la chiave dell’ironia e del grottesco. Non puoi dire quelle enormità senza dare un sollievo, senza permettere di riconoscersi in te, perché la guerra è quella che si fa con le armi, ma anche il conflitto che sta dentro di noi. Quindi parlare di guerre e vittime, ma anche del conflitto tra madre e figlia o degli scontri di coppia, è un modo per raccontare una storia potente, rendendola compatibile con l’assimilazione del pubblico, ma anche per seminare nel pubblico il piccolo dubbio che, se vuoi arrivare a dire di no a quella roba lì, devi passare dentro di te. Che è l’antica pratica di noi femmine. A ottobre partirà come tournée Ferite a morte, che sinora abbiamo fatto solo come evento. Dopo Palermo, Genova, Bologna e Milano, il 5 aprile saremo a Firenze, l’8 a Roma, il 12 a Torino. Lo spettacolo è costruito su testimonianze di donne da tutte le parti del mondo. Tutte storie estremamente coinvolgenti, toccanti, alcune veramenti devastanti. Alterna anche momenti di ironia e grottesco, perché altrimenti c’è l’effetto paradosso, come nei romanzi di Verga. La risata deve essere consentita in qualche modo. 14 Com’è fare teatro in tempi di crisi? Il teatro è considerato un fatto superfluo, non indispensabile. E magari in una crisi economica la gente ci va un po’ meno. Il problema è che i teatri non riescono più a sopravvivere. Di certo è stato sbagliato l’assistenzialismo a pioggia di cui oggi paghiamo il prezzo. Ma senza un sostegno pubblico, i teatri chiudono. E lo dico io che, avendo scelto di essere una piccolissima compagnia completamente autonoma, non ho mai chiesto una lira di soldi pubblici. La destra e i grillini dovrebbero essere pazzi di me. Comunque quando mi capita di fare repliche il teatro è pieno, quindi vuol dire che c’è bisogno. Forse ancora di più. Siamo tutti in grande sofferenza. Quest’anno non ho fatto produzioni nuove e sto portando in scena Arie, uno spettacolo antologico con alcuni miei lavori più o meno recenti cuciti insieme. Il filo conduttore è la musica, visto che il mio lavoro è sempre stato molto legato all’interazione coi musicisti. Ivano Fossati, Stefano Bollani e Paolo Fresu hanno scritto per me. Con loro ho fatto spettacoli in cui la mia voce era come un altro strumento. In Arie ci sono tutti i miei temi: memoria, punto di vista delle donne, guerra, percezione del mondo, follia. Finisco col discorso di Pericle agli ateniesi perché volevo un pezzo attuale... A proposito di attualità: cosa pensa della situazione politica, tra exploit di Grillo e vittorie dimezzate? Provo un grande smarrimento, che mi viene dalla sensazione di non aver capito il mio Paese. Sicuramente faccio fatica a farmi un’idea del Movimento di Grillo, perché penso che al suo interno abbia istanze condivisibili che la politica tradizionale avrebbe dovuto cogliere prima. Bersani sta facendo bene, con i suoi otto punti, però ti viene da dire: adesso?! Bisognava capirlo prima perché il tempismo è tutto. Il Pd ha fatto cose grandi in questa fase, dalle primarie in giù, però ci sarebbe voluto un po’ più di coraggio. Molti miei coetanei, 30 marzo 2013 left l’incontro persone colte e preparate, hanno dato almeno un voto a Grillo perché non ne potevano più. È chiaro che la responsabilità della mancata scossa non è dei cittadini. Comunque faccio fatica a rapportarmi ai movimenti leaderistici: non mi fido, mi fanno paura. Ma non è questo. Quello che mi ha suscitato lo sconforto vero è il numero di voti che il Pdl è riuscito a prendere comunque. Il 25 per cento al Pdl è troppo: non perché è di destra, ma perché è quella roba lì. Purtroppo continuiamo a essere un Paese senza una destra con cui relazionarci. Monti ha avuto quello che si meritava. Ho trovato la sua scorrettezza e la sua incoerenza veramente brutte. Non ti puoi candidare dopo che un quarto d’ora prima avevi detto che non facevi parte del circolo della politica. Mi sembra un quadro molto preoccupante e io c’ho il magone fisso dal giorno dei risultati. In Lombardia il centrosinistra ha perso anche la sfida per il Pirellone... Da lombarda non riesco proprio a perdonare al Movimento di Grillo e a Monti di non aver avuto il coraggio di capire che puoi anche stare all’opposizione, ma non puoi pensare che Maroni e Ambrosoli siano la stessa cosa. Il candidato del centrosinistra era l’unico personaggio completamente nuovo. Così la Lega ha perso ma si ritrova in mano la Regione. Pur rispettando l’autonomia di voto, ritengo che i motivi che li hanno spinti ad appoggiare il loro candidato sapendo perfettamente che non avrebbe vinto siano quanto di più vecchia politica si possa immaginare: io penso alla mia visibilità personale e me ne frego del bene comune. Allora non ci credo più tanto. Purtroppo Ambrosoli ha avuto pochissimo tempo. Molta gente, soprattutto fuori dalle città, non ha preso neanche in considerazione l’ipotesi di guardare quanto di nuovo e benefico c’era nella sua proposta. Sono andati di là tranquilli, convinti di difendere i propri interessi. Purtroppo non si è vigilato abbastanza ed è passato il concetto che si fa politica per difen- left 30 marzo 2013 © PIRRONE/LaPresse © napolitano/LaPresse left.it dere i propri interessi. È saltato il concetto del bene comune. Siamo diventati un Paese di evasori, perché molti non pagano le tasse sostenendo che tanto non hanno niente in cambio. Credo che ricostituire un senso di comunità sia la vera mission impossible, perché abbiamo consentito, o siamo stati costretti a consentire, che questo tessuto venisse corrotto e corroso profondamente. E adesso è più difficile da recuperare. Mi spiego anche in questo senso il successo di un movimento come i 5 stelle, che è più complesso e ricco dello stesso Grillo. Sono sicura che dentro non ci sia soltanto arroganza. Però sentire ancora quella violenza verbale adesso che hanno vinto non me lo spiego. Potevate restare movimento, come hanno fatto Occupy e gli Indignados. Invece avete fatto una scelta parlamentare, avete avuto dei risultati straordinari, adesso contribuite. Se no, perché? Ai media vorrei chiedere di smettere di dire che Grillo ha vinto senza andare in tv. Si è sottratto alla sua liturgia - quindi nessun dibattito, nessuna domanda, nessuna risposta - ma è stato così bravo da essere sempre in tv. Da sinistra: Lella Costa all’Ambra Jovinelli a Roma nel 2006 con Alice una meraviglia di Paese; sul palco con lo spettacolo Arie; in piazza per la pace a Roma nel 2003, e una manifestazione del 2006 a favore dei Pacs Il quadro è preoccupante. Dal giorno dei risultati elettorali c’ho il magone fisso Il centrosinistra dopo questa sberla capirà? Con enorme affetto per Bersani dico che non si può governare un cambiamento e poi restare. Anche se hai tutti i diritti e tutto il merito. Governi il cambiamento e poi, è amaro, ma devi andare via. C’è una meravigliosa poesia di Auden nello spettacolo The history boys di Alan Bennet. Il concetto è “passate il pacchetto”: tenetelo un po’, ma poi passatelo avanti, perché non è per me né per voi, è per qualcun altro, da qualche altra parte. Mi piacerebbe che leggessero Auden e capissero che questo è il momento di passare il pacchetto. E non è detto che fai un regalo a chi lo riceve, perché oggi il pacchetto può essere esplosivo. 15 copertina copertina 30 marzo 2013 left copertina eccellenza italiana di Davide Illarietti A rmi, un mare di armi. Centinaia di migliaia: leggere, economiche, a canna lunga, corta, rigata, liscia. Per tutti i gusti e tutte le tasche: da difesa, da borsetta, da comodino, da museo, per cacciatori, marines, sceicchi e maestre di scuola. La polvere innesca l’esplosione che scaglia il proiettile a 300 metri al secondo, lungo una traiettoria più o meno rettilinea. Il principio è sempre lo stesso, a fare la differenza non è dove va a finire il proiettile. Purché l’arma sia made in Italy. Come il vino o gli abiti firmati. Sì, perché la produzione di pistole&fucili è un’ec- left 30 marzo 2013 cellenza italiana a pieno titolo. Ingiustamente trascurata. Paragonabile a moda e gastronomia, per qualità e per fatturati: il settore vale 5,2 miliardi di euro l’anno, le cifre della produzione sono seconde solo a quelle degli Stati Uniti, in crescita costante. Un mercato che non conosce crisi, anzi: è in pieno boom. Per accorgersene, basta fare un giro alla fiera di Brescia. Qui, dove ha sede il 90 per cento delle imprese italiane di armi, dal 13 al 16 aprile si tiene la più grande esposizione mondiale del settore. È Exa, il salone dell’arma sportiva e a uso civile. Superiore, per numero di visitatori - oltre © Schulz/ap/lapresse Una fiera con 45mila visitatori. Un fatturato da 5 miliardi l’anno. In costante crescita. A Brescia, in Val Trompia, c’è il più grande distretto mondiale delle armi leggere. Qui si producono quelle dei tiratori olimpici. Ma anche quelle usate in molte stragi. E negli eserciti di numerosi dittatori. Vendute senza alcun controllo copertina copertina left.it 45mila in tre giorni - a quelle di Las Vegas e Norimberga. Un must per gli appassionati di mezzo mondo e per le ben 120 aziende del distretto, che sforna ogni anno il 60 per cento della produzione Ue. Il “boom” del settore «La crisi economica? Non ci tocca, anzi. È proprio nei momenti di crisi che il mercato cresce di più», spiega Franco Rebecchi, presidente del Banco di prova, l’anagrafe nazionale delle armi leggere con sede in provincia di Brescia, dove vengono registrate tutte le armi prodotte in Italia, prima di essere immesse nel mercato. «Nel 2012 abbiamo registrato 840mila armi, l’11 per cento in più rispetto alle 760mila dell’anno scorso. Sono numeri di gran lunga superiori a qualsiasi altra anagrafe armiera nel mondo. Un record senza precedenti nella storia del settore. Non ci possiamo lamentare». Anche perché con il boom - confermato da un +15 per cento di espositori nelle ultime due edizioni di Exa - sono venute meno persino le contestazioni. «La mossa vincente è stata quella di mettere in risalto l’aspetto sportivo», spiega Marco Citteri, ad di Exa. «Risultato: da qualche anno è cessata ogni azione di disturbo. Niente più biciclettate antifiera o lanci di carne marcia alle inaugurazioni. Oggi Exa è un motivo di orgoglio per la città». Ma Exa è molto di più: è il tripudio esibizionistico di un distretto che per tradizione - e per un’attitudine tutta bresciana - è laborioso quanto discreto. Abituati alla poca pubblicità - televisione e giornali sono off limits per il settore - i signori dell’arma made in Brescia hanno collaudato canali di promozione di sicura efficacia. All’insegna dell’operosità silenziosa. La prova è nel testo di una convenzione che, a pochi giorni da Exa e a migliaia di chilome- «La recessione? Non ci tocca. Anzi, è proprio nei momenti di crisi che il mercato cresce di più» 18 © Settonce/ap/lapresse Stoeger Cougar L Prodotta da Stoeger per Beretta, la semiautomatica Cougar (“puma” in inglese) è una calibro 9 di ultima generazione. Economica, elegante e compatta, sta in un taschino ed è capace di abbattere un cinghiale da 60kg. Chiusura geometrica, corto rinculo e canna rototraslante. È venduta a corpi di polizia e guardie giurate, ma anche come arma civile per la difesa personale. È stata utilizzata dall’imprenditore perugino Andrea Zampi, dotato di una licenza sportiva, per uccidere due impiegate della Regione Umbria, il 7 marzo scorso (foto a destra). Prezzo: 500 euro 30 marzo 2013 left copertina left.it tri di distanza, l’assemblea delle Nazioni unite ha approvato in via provvisoria la settimana scorsa. Si tratta dell’Arms trade treaty, lo storico trattato sul commercio d’armi internazionale con cui 193 Paesi hanno stabilito una serie di condizioni per l’esportazione, a garanzia dei diritti umani. Ma c’è la sorpresa: una clausola, inserita all’ultimo momento su pressione dell’Italia, esenta dal trattato «le armi usate per attività ricreative, culturali, storiche e sportive». Quelle prodotte, insomma, dal distretto armiero bresciano. Una mossa inaspettata per cui il portavoce di Control arms, Jeff Abramson, ha accusato l’Italia di «aver fatto un passo indietro solo per proteggere i propri interessi». La valle del piombo La Val Trompia è una striscia di fabbriche lunga 50 km incuneata fra le Prealpi bresciane. Qui si produce l’80 per cento del made in Italy «esentato» dal trattato Onu. «Ci chiamano la Valle d’Oro, facciamo da soli il Pil della Basilicata», spiega Michele Gussago, sindaco Pd di Gardone Val Trompia. «Ma anche la Stalingrado delle Alpi, per la cinquantennale tradizione operaia e di sinistra», vanta il sindaco. «Non importa cosa faccia la gente con le armi, qui andiamo fieri del nostro lavoro». Il lavoro prima di tutto: «In assenza di una normativa internazionale rigorosa sulle armi, se non le facciamo noi le fa qualcun altro», spiega Stefano Ghirardi della Fiom Val Trompia. «Per noi l’importante è mantenere la produzione tra le nostre montagne». Perché è da qui, dagli stabilimenti Beretta, Tanfoglio, Benelli, che il fiume delle armi scorre, abbeverando la popolazione di 20 Comuni con 7 miliardi di euro di indotto. Per sfociare infine a Brescia sui banchi di Exa 2013. © Maurer/ap/lapresse Ottenere una licenza per uso sportivo è molto facile. «Poi non importa cosa ne faccia la gente» left 30 marzo 2013 Beretta 92 fs La 92 Fs (o M9, in versione militare) è il pezzo più famoso di casa Beretta. Chiusura geometrica con blocco oscillante, caricatore da 15 colpi calibro 9. Spara alla velocità di 365 km/h e può uccidere fino a una distanza di 100 metri. Dal 1985 in dotazione alle forze armate Usa, è l’“arma letale” utilizzata da Mel Gibson nel film omonimo, da Bruce Willis in Die Hard e più di recente, da Tim Kretschmer, il killer 17enne autore nel 2009 della strage nella scuola di Winnenden, in Germania (foto a sinistra). Prezzo: 800 euro 19 copertina left.it © spada/lapresse Una scena dell’Exa, la fiera delle armi made in Italy, nel 2012 Fucili sportivi e da difesa, rivoltelle e munizioni, nuovi modelli e vecchi “pezzi forti”. La grande attrazione, naturalmente, è lei: la semiautomatica Beretta 92. Quella di Bruce Willis in Die Hard, l’“arma letale” usata da Mel Gibson nell’omonima serie. E, più di recente, da Tim Kretschmer, il killer 17enne autore nel 2009 della strage nella scuola di Winnenden, in Germania: 16 morti, tutti minorenni. Il gioiellino della Beretta, simbolo del made in Italy come la Ferrari o la moca Bialetti, in dotazione alle forze dell’ordine italiane e all’esercito Usa: «Non sei un vero marine finché non hai mangiato acciaio italiano», recita un detto dei Navy Seals. Dello stesso produttore, due nuovi fucili di precisione, il parallelo 486 e il sovrapposto 692 (non fatevi ingannare dal look storico: le caratteristiche sono quelle di un arma da cecchini). E poi la semiautomatica Stoeger-Cougar calibro 9x21. La stessa con cui l’imprenditore di Perugia Andrea Zampi si presentò il 7 marzo scorso negli uffici della Regione Umbria, freddando due impiegate prima di uccidersi, per un finanziamento non concesso. L’aveva comprata il giorno prima grazie - manco a dirlo - a una licenza per il tiro sportivo. Licenza di uccidere Ed eccoci al punto. Le armi di Brescia sono strumenti sportivi o no? «L’arma ricreativa è più voluminosa, ingombrante e difficile da nascondere, ad esempio, per un malvivente», spiega Massimo Tanfoglio, proprietario dell’omonima azienda con sede in Val Trompia, tra i principali produttori mondiali di armi sportive. «È su questi modelli che 20 si gioca l’eccellenza. La Val Trompia ha mandato alle scorse Olimpiadi di Londra il 90 per cento delle armi da tiro, e la totalità di quelle medagliate». D’altronde, nei rendiconti presentati all’Ue dai governi Berlusconi prima e Monti poi, i modelli sportivi non sono conteggiati nei dati della produzione armiera. Forse perché la vera differenza tra armi ricreative e non, nel Belpaese, è proprio normativa. Ottenere il porto d’armi per la difesa personale e assai difficile: «Le prefetture ne rilasciano numeri irrisori - spiega Tanfoglio - occorre dimostrarne la necessità per motivi di sicurezza». Ma avere una licenza a uso sportivo è un gioco da ragazzi. Basta un test psicofisico, più il nulla osta della questura, e ci si porta a casa, per dirne una, una carabina sportiva Cx4 Beretta. Quella in uso ai miliziani di Gheddafi durante la Primavera araba. Lo stesso vale per il commercio estero. Se l’export delle armi da guerra (automatiche e di medio e grosso calibro) è sottoposto a controlli rigorosi dalla legge 185 del 1990, per quelle comuni vige invece il Testo unico delle leggi di Pubblica sicurezza del 1931. Varato la bellezza di ottantadue anni fa, un residuato prebellico di fabbricazione fascista. Che tra le altre cose rende quanto mai difficile “tracciare” i volumi delle vendite estere di armi civili e sportive. Non resta che affidarsi alle banche dati dell’Istat, considerate approssimative dagli esperti del settore. La lista nera dell’export In testa alla classifica dell’export italiano di armi (vedi la tabella) ci sono gli Stati Uniti, con 30 marzo 2013 left copertina © Curtis/ap/ LaPresse left.it Le vendite all’estero non sono tracciate. Tra i principali acquirenti Turchia, Bielorussia, Turkmenistan, Marocco. Nel 2010 boom di vendite in Egitto e Libia clienti illustri come Steven Spielberg, Clint Eastwood ma anche Jiverly Voong, autore del massacro all’ufficio immigrazione di Binghampton a New York (aprile 2009, 13 vittime). Del resto le stragi non guastano il mercato: anzi, il made in Brescia negli Usa è cresciuto di quasi il 100 per cento nel 2012. «Merito delle voci su possibili riforme restrittive del mercato da parte di Obama». spiega Pierangelo Pedersoli, valtrompino, presidente del Consorzio armaioli. «C’è stata una corsa alle provviste». Non è l’unico caso. La Turchia, ad esempio, in tre anni ha decuplicato gli acquisti, con una punta di ordini per 26 milioni di euro tra gennaio e settembre 2012. Proprio all’apice della carneficina nella vicina Siria. O il Libano (2,4 milioni di euro), altro punto di rifornimento d’armi per i ribelli siriani e per il regime di Assad. Nella lista spicca poi il Marocco del sovrano assoluto Mohammed VI con ordini per 4,1 milioni di euro negli ultimi due anni. Messico e Russia (rispettivamente 4,8 e 23 milioni nel 2011) sono validi sostituti di Libia e Egitto, off-limits dopo la Primavera araba. Anche se le imprese italiane avevano già fatto il pieno, nel bien- left 30 marzo 2013 nio 2009-10, con i regimi di Mubarak e Gheddafi. È nota la vicenda di una mega-partita non autorizzata, ordinata dal Colonnello nel 2009, di 8.200 pezzi tra fucili Benelli, pistole semi-automatiche e carabine Cx4 Beretta. Tutti modelli in mostra, anche quest’anno, nelle teche di Exa. Morto un cliente, del resto, se ne fa un altro. Nel 2011 è Aleksandr Lukashenko, «l’ultimo dittatore d’Europa», a ordinare armi valtrompine per circa 1 milione di euro. Spedite in Bielorussia con tempismo perfetto, tra aprile e il 20 giugno, giusto qualche giorno prima della dichiarazione dell’embargo Ue per violazione dei diritti umani. L’anno dopo tocca al Turkmenistan. «Paese autoritario», per il dipartimento di Stato americano, cliente d’oro per gli armaioli nostrani (consegne per 5 milioni, nel 2012). L’ultima frontiera è il Sud Africa, con 6,5 milioni di vendite. Non a caso, una delegazione di buyers sudafricani è arrivata in Val Trompia a fine febbraio, pochi giorni dopo la notizia shock dell’omicidio della modella Reeva Steenkamp da parte dell’atleta Oscar Pistorius (l’arma, ancora una volta, era una semiautomatica calibro 9). Perché business is business. Beretta Storm cx4 La carabina Storm Cx4 è l’avanguardia della difesa personale. Leggera come una calibro 9, spara a 380 km/h, in grado di uccidere fino a 200 metri. Caricatore da 20 colpi, rapidissima successione, la canna ha la precisione di un fucile da cecchini. Concepita per l’uso sportivo, unisce efficacia ed eleganza, con il design firmato Giorgietto Giugiaro. È stata acquistata in 1.900 pezzi dal regime libico nel 2009 e utilizzata dalle guardie di Gheddafi (foto in alto) durante la Primavera araba. Prezzo: 900 euro 21 copertina left.it La diplomazia delle armi di Davide Illarietti © Carson ap/lapresse Roma fa modificare il trattato Onu sul controllo dell’export. Per escludere dalle limitazioni fucili e pistole per “attività ricreative”, fiori all’occhiello del made in Italy. I pacifisti si infuriano. Ma il ministro dimissionario degli Esteri Giulio Terzi, autore del blitz, festeggia il successo. Al circolo della caccia C’ è mancato poco. Alla fine, però, il codicillo “ad hoc” è riuscito a infilarsi anche lì, nel trattato internazionale a cui l’Onu lavora dal 2003. È la sorpresa dell’ultimo minuto, alla conferenza sul commercio estero delle armi conclusasi giovedì 28 marzo, al Palazzo di Vetro di New York. La clausola, su pressione del governo italiano, esenta dai controlli introdotti per le esportazioni tutte le «armi usate per attività ricreative, culturali, storiche e sportive». Ossia, guarda a caso, proprio quelle prodotte nel distretto armiero italiano. Un successo di tutto rispetto, per il ministro degli Esteri dimissionario, Giulio Terzi di Sant’Agata, finito nell’occhio del ciclone per la vicenda marò. Non è stata una missione facile. La campagna Control arms, a favore della convenzione, è stata portata avanti per ben dieci anni con ostinazione dalle 120 organizzazioni promotrici, tra cui Amnesty international. Obiettivo: imporre a ognuno dei 193 Paesi membri dell’Onu indagini approfondite a tutela dei diritti umani, prima di approvare qualsiasi trasferimento di armi. La convenzione è stata più volte bloccata, ripensata, rimandata. Con la rielezione di Obama il passo definitivo sembrava a portata di mano. Ma nella bozza del trattato mancava la precisazione. Fatta inserire in fretta e furia dalla delegazione italiana, su indicazione del ministero degli Esteri, pochi giorni prima della fine dei lavori. Per il rotto della cuffia. Poche righe aggiunte al preambolo del testo: «Fatta eccezione per il commercio legittimo e il lecito utilizzo di specifiche armi convenzio22 30 marzo 2013 left copertina left.it L’Europa sfida gli Usa. E Monti trucca i dati dell’Italia di molti esecutivi. Se alcuni Paesi, tra cui Germania e Regno Unito, non hanno fornito le cifre sulle consegne effettive, il governo Monti le ha comunicate sbagliate: un miliardo invece dei 2,6 miliardi documentati nella Relazione della presidenza del Consiglio. Meno della metà. A denunciare l’incongruenza è stata la Rete italiana per il disarmo, che ha chiesto un formale chiarimento a Palazzo Chigi, ma non ha ancora ricevuto risposte. Il dubbio è che l’Italia volesse evitare «interrogativi imbarazzanti» sul fatto di essere diventato il secondo Paese europeo per esportazioni di armi, dopo la Francia (3,6 miliardi). Un business, quello delle armi, che ha sempre nali per attività ricreative, culturali, storiche e sportive, laddove l’utilizzo e il possesso di queste sia consentito dalla legge». Il gioco è fatto. Come spiega il rappresentante di Control arms Wim Zwijnenburg, che ha interpellato sull’argomento i membri della delegazione italiana: «Il vostro è stato l’unico Paese a chiedere l’inserzione di questa eccezione nel trattato. Ed è noto che la delegazione non prende posizioni senza il placet del ministro degli Esteri. La motivazione addotta - riferisce Zwijnenburg - è che le armi sportive non rientrano nella definizione di armi leggere data dal registro Onu. E l’Italia continua a opporsi all’eventualità che siano incluse». Un grande risultato per gli appassionati di armi sportive di cui l’Italia, e in particolare la provincia di Brescia, rifornisce il mercato europeo per circa l’80 per cento (vedi le pagine precedenti). Un po’ meno per le associazioni. Specie perché non tutte le armi sportive vengono usate per gioco. «Siamo dispiaciuti», spiega a left Jeff Abramson, portavoce di Control arms. «Avevamo sperato fin dall’inizio che la distinzione tra armi militari e sportive si potesse superare. Alcuni Paesi l’hanno abolita del tutto». Secondo l’attivista «l’Italia ha fatto un passo indietro per proteggere i propri interessi». Anche se «sono ancora molti i Paesi che sostengono l’Italia su questo punto. In generale, si è deciso di passarci sopra, per il bene delle trattative». E per il sollievo del responsabile dell’operazione diplomatica, il ministro del governo uscente Giulio Terzi Di Sant’Agata. Cosa avrebbero det- left 30 marzo 2013 più ombre. Tra i maggiori acquirenti dei sistemi militari “made in Europe”, infatti, spiccano i regimi autoritari della penisola araba, i Paesi del subcontinente indiano, del Medioriente e dell’Africa settentrionale. Da qui la richiesta delle associazioni pacifiste europee: la Relazione annuale sia discussa dal Parlamento di Bruxelles. Anche Roma non ha negato i suoi gioielli di guerra a Paesi come Algeria, Egitto, Turkmenistan e Gabon. Tra le commesse contestate dai pacifisti, quella di Alenia Aermacchi (Finmeccanica) che dovrebbe consegnare 30 jet M346 a Israele, nonostante la legge italiana limiti il commercio militare con Paesi belligeranti. Sofia Basso © Mostoller ap/lapresse Primato americano, addio. Negli ultimi anni la concorrenza europea è stata talmente agguerrita che nel 2010, con un export bellico di 31,7 miliardi di euro, i 27 Paesi dell’Unione hanno superato gli Usa. Ma, alla faccia della crisi economica, nel 2011 il mercato delle armi si è impennato. E Washington è tornata prima, triplicando le sue esportazioni fino alla cifra record di 51 miliardi di euro. Anche per il Vecchio Continente il 2011 è stata un’ottima annata, con giro d’affari di 37,5 miliardi. A fornire i dati per l’Europa è la XIV Relazione annuale, pubblicata a dicembre sulla Gazzetta ufficiale Ue. Un documento azzoppato dalle comunicazioni lacunose to, altrimenti, gli amici del “Circolo della caccia” di Palazzo Borghese? Il nobile ministro (è un marchese) è infatti uno dei più illustri soci di questo club aristocratico (e, si vocifera, massonico) fondato a Roma nel 1922 per la promozione delle attività venatorie? La caccia è uno sport per nobili, si sa. Anche se il “circolo”, oggi, è frequentato in buona parte da imprenditori, diplomatici, parlamentari: è lì, ad esempio, che Silvio Berlusconi, durante un pranzo, avrebbe negato a Terzi la candidatura nelle liste del Pdl. Così, per non giocarsi anche il rifugio da ambasciatore (incarico che ricopriva a Washington prima della nomina alla Farnesina, e della figuraccia sul caso marò), il marchese ha voluto dare prova della sua abilità diplomatica. E, questa volta, sembra proprio esserci riuscito. New Jersey, Usa, 25 marzo. Pistole e fucili recuperati in seguito a una campagna che invitava i cittadini a disfarsi delle proprie armi. Nella pagina accanto, il ministro dimissionario degli Esteri Giulio Terzi di Sant’Agata 23 società 24 left.it 30 marzo 2013 left società left.it Maggioranze di minoranza di Rocco Vazzana D ecidendo di uscire dall’aula, Grillo ha già fatto nascere un governo: quello guidato da Silvio Berlusconi nel 1994. Il 18 maggio di quell’anno, il neonato esecutivo di destra ottiene la fiducia grazie ad alcuni senatori che decidono di andare a farsi una passeggiata. Tra cui Grillo, che motiva così la sua scelta: «Con il voto di oggi si gioca la prospettiva di ripresa del Paese. Queste sono le attese dell’opinione pubblica». Ma è solo uno scherzo del destino. Un cinico caso di omonimia. A dare una mano al patron della Fininvest, quasi 19 anni fa, non è Beppe, ma Luigi Grillo, senatore del Partito popolare italiano, che insieme ad altri colleghi esce dall’aula e abbassa il quorum necessario per la fiducia. Un escamotage che difficilmente potrebbe funzionare adesso a far nascere un esecutivo a guida Bersani. Senza accordo col Pdl, infatti, neanche l’eventuale passeggiata alla buvette dei senatori del M5s al momento del voto aiuterebbe il Pd a raggiungere l’obiettivo. A largo del Nazareno, pallottoliere alla mano, i democratici continuano a fare conti. Ma somme e sottrazioni (di senatori) a Palazzo Madama diventano operazioni complicatissime. Di moltiplicazioni manco a parlarne. La camera presieduta da Piero Grasso è un rebus di difficile soluzione. Proprio come nel 1994. L’equilibrista di Arcore In quel caso l’uomo di Arcore riesce in un’operazione di altissima chirurgia istituzionale. Nel 1994 i left 30 marzo 2013 parlamentari a Palazzo Madama erano 326, visto l’eccessivo numero di senatori a vita: ben 11. Soglia minima per la maggioranza: 164 voti. Ma, tra assenze per malattia e ritirate strategiche, il 18 maggio si presentano in aula solo 315 parlamentari (314 votanti). Assenti per indisposizioni varie: 4 senatori a vita. Ritirati, tra gli altri, quattro iscritti al gruppo del Partito popolare: il già citato Luigi Grillo, Vittorio Cecchi Gori, Tommaso Zanoletti e Stefano Cusumano. È grazie a loro che la soglia per la fiducia si abbassa vertiginosamente quota 158. E Berlusconi passa: 159 sì e 153 no. Sui franchi tiratori del Ppi si scatena una bufera senza precedenti. Rosy Bindi dichiara sdegnata: «Dovrebbero dimettersi perché hanno tradito l’impegno con gli elettori». Nelle stesse ore, a poche centinaia di chilometri, undici volontari francesi dell’associazione Premiere urgence vengono liberati in Bosnia, dopo essere stati rapiti dai serbi a Sarajevo. La ex Yugoslavia è ancora una polveriera. Ma in Italia si combattono altre guerre. I ribelli del Ppi vengono sospesi dal partito. Alcuni di loro, come Grillo, trovano asilo politico in Forza Italia. Ma con maggioranze del genere, si sa, la stabilità non è garantita. Il 22 dicembre dello stesso anno Berlusconi è costretto a rassegnare le dimissioni al Presidente della Repubblica Oscar Luigi Scalfaro dopo i contrasti con la Lega nord. Mentre gli italiani guardano in tv il magnate delle televisioni salire al Colle, in Cecenia l’aviazione russa bombarda la città di Grozny uccidendo centinaia di civili. Boris Eltsin si dimostra incapace di fermare il massacro. A Roma, dopo quattro settimane, il 17 gennaio si insedia il governo tecnico guidato da © merlini/LAPRESSE Dal primo governo Berlusconi all’impasse di questi giorni. Passando attraverso l’esecutivo Prodi del 1996. La storia della Seconda Repubblica è fatta di presidenti del Consiglio che ottengono la fiducia senza numeri certi alle Camere. E che non riescono ad arrivare a metà legislatura In apertura, Pier Luigi Bersani 25 società © CARINO/imagoeconomica left.it Silvio Berlusconi scende in campo e diventa presidente del Consiglio nel 1994 Lamberto Dini. Resta in carica 406 giorni, anche il nuovo presidente del Consiglio è costretto a rassegnare le dimissioni prima della fine della legislatura. Scalfaro è convinto di avere un asso nella manica e, dopo un giro di nuove consultazioni, conferisce un mandato esplorativo per la formazione di un nuovo governo ad Antonio Maccanico che accetta l’incarico. Gli entusiasmi si esauriscono rapidamente, l’incaricato dovrà desistere sotto il fuoco incrociato di destra e sinistra. Al Presidente della Repubblica non resta che sciogliere le Camere. Il capo di Forza Italia ottiene la fiducia grazie a 4 senatori del Ppi che escono dall’Aula al momento del voto Il professore che desiste Il 21 aprile del 1996, a vincere le elezioni, per la prima volta nella storia repubblicana è una coalizione di centro sinistra guidata da Romano Prodi. L’Ulivo riesce a sbaragliare la concorrenza del Polo delle libertà. Il nuovo governo si insedia il 17 maggio. A differenza dell’esecutivo nato due anni prima, questa volta i pericoli non si annidano al Senato ma alla Camera. A Montecitorio, infatti, il professore ha una maggioranza “condizionata”. Tutto dipende da un alleato esterno alla coalizione vincente: Rifondazione comunista. Il partito guidato dal segretario Fausto Bertinotti e dal presidente Armando Cossutta ha stretto un accordo di desistenza con l’Ulivo, spiegato così dal leader rifondarolo più anziano: «Dove si presenta l’Ulivo non si presenta Rifondazione, dove si presenta Rifondazione non si presenta l’Ulivo. Ovviamente, nelle liste proporzionali, ognuno si presenta col proprio simbolo». In sostanza, l’alleanza non prevede alcun accordo di governo. È più una questione di fair play che di programma. Tecnicamente i numeri ci sono, nei fatti l’esecutivo passeggia sul filo del rasoio. La fragilità della nuova maggioranza è evidente da subito. Il 31 maggio, si vota la fiducia alla Camera. Prodi passa con 322 sì e 299 no. I 34 deputati di Rifondazione comunista sono determinanti. Anche in Israele si vota e la destra ultraconservatrice vince le elezioni. Benjamin Netanyahu è il primo ministro, ha battuto il laburista Shimon Peres (incline al dialogo con Arafat) alle politiche di giugno. La pace in Palestina è sempre più lontana. A Roma, invece, il governo sopravvive altri due anni tra mille tentennamenti. Rifondazione comunista vuole far valere il peso politico del proprio sostegno e chiede a Prodi la riduzione dell’orario di lavoro a 35 ore settimanali a parità di salario. «Lavorare meno, lavorare tutti» è lo slogan di questi giorni, rinvigorito dalla virata a sinistra del governo francese del socialista Lionel Jospin. Oltralpe, infatti, le 35 ore sono diventate legge. Ma l’Italia è un’altra cosa. Il 9 ottobre del 1998, i comunisti si spostano tra i banchi dell’opposizione. L’esecutivo del professore non ha più la fiducia alla vigilia della presentazione della manovra finanziaria: 313 voti contrari e 312 favorevoli. Rifondazione si spacca. Il grosso del gruppo parlamentare di fede cossuttiana (21 deputati) decide di continuare a sostenere Prodi nonostante la contrarietà della maggioranza del partito. I bertinottiani, invece, (13 deputati) votano contro il governo. Il le30 marzo 2013 left società left.it ©lapresse Romano Prodi, leader dell’Ulivo, guida il governo del centrosinistra dal 1996 al 1998 ader dell’Ulivo va a casa e da Rifondazione si stacca una costola che dà vita al partito dei Comunisti italiani, i cui parlamentari diventano indispensabili per i futuri governi D’Alema e Amato. Il giorno dopo la fine del governo Prodi, il 10 ottobre, viene arrestato a Londra il macellaio Augusto Pinochet, spietato dittatore cileno. Il puzzle del Pd Mentre scriviamo, tocca a Bersani trovare i numeri al Senato. Il Pd ha una pattuglia di 106 senatori, che sommati ai 10 del gruppo misto (7 eletti con Sel, 2 col Pd e Carlo Azeglio Ciampi) fanno 116. Ma per la fiducia servono 160 voti. Bersani ha chiesto al partito di seguirlo nel suo inseguimento al Movimento 5 stelle - che però non sembra intenzionato a cedere alle lusinghe degli 8 punti del segretario - ponendo una sola condizione: mai accordi col Cavaliere. E davanti all’ostile ostinazione grillina, non resta che rastrellare voti altrove. Il primo a farsi avanti è stato Mario Monti, un altro sconfitto di peso, che per soccorrere Bersani sarebbe disposto a offrire i suoi 21 senatori. Con la stampella di Lista civica, il Pd raggiungerebbe quota 137. Incoraggiante ma non sufficiente. Un altro gruzzolo di senatori, però, dovrebbe arrivare dal gruppo delle autonomie che porta in dote altri 10 preziosissimi sostenitori che farebbero balzare l’asticella del consenso a quota 147. Ma una montagna non si può scalare a metà e se non si arriva in cima è inutile esultare, rischiando di cascare nel burrone. E per arrivare sul cocuzzolo di Palazzo Madama, mancano ancora almeno 13 introvabili senatori. Ma in politica mai dire mai. Perché, a cercar bene left 30 marzo 2013 Nel ’96 Maccanico riceve il mandato esplorativo per formare un esecutivo. Ma torna al Colle a mani vuote e si rivota tra i banchi, qualcosa salta fuori sempre. Infatti c’è un nuovo gruppo parlamentare che luccica in queste ore: il Gal (Grandi autonomie e libertà). Nato pochi giorni fa, il gruppo sembra creato apposta per Bersani. Dieci senatori provenienti da Grande Sud (3), Pdl (3), Lega nord (2), Mpa (1), Lista Scopelliti (1) uniti da un solo scopo: offrire a caro prezzo i loro voti al leader del Pd. Il loro sostegno, unito a quello dei senatori a vita potrebbe far nascere un eventuale governo Bersani. Il problema è che il Gal è un gruppo di facciata, composto da uomini pronti a muoversi a solo a un cenno del capo di sempre: Silvio Berlusconi. Se i democratici vogliono i loro voti senza far la parte degli inciucioni dovranno comunque pensare a una contropartita importante da servire sul tavolo del sempreverde imprenditore di Arcore. In alternativa ci sono nuove elezioni o un governo di larghe intese. Sempre che il segretario del Pd non riesca a portare dalla sua parte almeno i senatori della Lega. La partita è aperta. Mentre la crisi lascia sul terreno un’altra vittima: Cipro. Per salvare il Paese dalla bancarotta, il governo dell’isola ha deciso di operare prelievi forzosi sui depositi superiori al 100mila euro. Un piano, concordato con la Troika, che potrebbe salvare Cipro. Ai ciprioti ci penserà qualcun altro. Un altro grillo nella testa di Bersani. 27 società left.it © fotolia Decreto inganna malati di Simona Maggiorelli Il ministro della Salute Balduzzi apre al metodo Stamina e la comunità scientifica insorge. «Non ci sono evidenze che funzioni. Questa non è medicina», dice l’esperta Elena Cattaneo A driano Celentano ha chiesto pubblicamente che la piccola Sofia, affetta da una grave patologia neurodegenarativa, potesse continuare con i rimedi della Stamina Foundation, la onlus di Davide Vannoni (laureato in Lettere e filosofia) nonostante i suoi metodi non siano stati validati scientificamente. E quell’intervento, rilanciato in tv da Le Iene, ha portato a un tam tam pro Stamina. Impossibile non essere solidali con Sofia e con tutti quei bimbi che sono affetti da malattie per le quali manca ancora una cura. Ma metterli nelle mani del team di Stamina che somministra “terapie” a base di staminali significa davvero aiutarli? O non siamo piuttosto di fronte a un nuovo caso Di Bella, a uno sciagurato mercato della speranza? La domanda sorge se si ripercorrono le tappe di questa complicata storia: nel maggio 2012 l’Agenzia italiana del farmaco (Aifa) bloccò il metodo Stamina, perché non conforme ai protocolli internazionali. Il procuratore Guariniello ha avviato nel frattempo un’inchiesta su Stamina e, al contempo, si è assistito a una ridda di provvedimenti contrastanti: due giudici hanno autorizzato la piccola Celeste a Venezia e Smeralda a Ca28 tania a proseguire con Stamina. Poi lo stop del Tar. Per tutta risposta la onlus di Vannoni è stata “convenzionata” e accolta nei locali della Asl Spedali civili di Brescia. Il suo inserimento in questa struttura sanitaria pubblica ha fatto scattare un’inchiesta del ministro Balduzzi, affidata a Iss, Nas e Aifa. Più di recente, come accennavamo, è emerso il caso di Sofia, affetta da leucodistrofia metacromatica, che attacca il sistema nervoso. Il tribunale di Firenze le ha imposto di interrompere le “terapie” di Stamina a base di infusioni di staminali mesenchimali (estratte dallo scheletro), in base all’ordinanza Aifa, ma il 21 marzo il ministro Balduzzi ha presentato un decreto in cui la si autorizza a proseguire sulla strada avviata. Un provvedimento che è stato accolto con sconcerto dalla comunità scientifica e in particolare da quegli scienziati di fama internazionale (Cattaneo, Garattini, Cossu, De Luca, Bianco, Garattini ecc.) che in una lettera avevano raccomandato al ministro di non aprire al metodo Stamina perché «non esiste nessuna prova che queste cellule abbiano efficacia nelle malattie per cui sarebbero impiegate». Pena «lo stravolgimento dei fondamenti scientifici e morali della medicina» e un disconoscimento «della dignità del dramma dei malati. Una condizione che ci motiva empaticamente a produrre e garantire risultati attendibili, visibili e pubblici, senza i quali nessuna ipotesi diventerà mai cura». Dopo la presentazione del decreto Balduzzi abbiamo chiesto un commento all’ordinario di Farmacologia Elena 30 marzo 2013 left società left.it © Scrobogna / LaPresse Lo storico della medicina Corbellini: «Ho letto il brevetto e sentito gli specialisti: questo metodo è una truffa» Cattaneo, che da anni lavora con le staminali: Nel metodo Stamina «di scientifico non c’è nulla», afferma. «Se i dati e la strategia seguita fossero messi a disposizione, come tutti noi facciamo per sottoporre i nostri piani e risultati alla valutazione dei colleghi, si potrebbe valutare, confrontare, discutere. In genere quando nulla è messo a disposizione è perché non c’è nulla di cui discutere. Quindi non è scienza e non è medicina». Professoressa Cattaneo rischiamo un nuovo caso Di Bella? «A me pare addirittura peggio. Qui i tribunali decidono che è terapia da somministrare a esseri umani ciò che i medici specialisti non possono definire terapia per evidenti mancanza di prove». Quanto al decreto del ministro Balduzzi «per me è scioccante - dice -. È un decreto che sembra ripudiare la pratica scientifica e medica che impone la verifica dell’efficacia e della sicurezza di un preparato prima della somministrazione all’uomo. È un decreto che rinnega anche le disposizioni, contrarie al trattamento, emesse dalle stesse agenzie ministeriali deputate al controllo oltre a contravvenire alle regole degli enti regolatori europei, recepite anche dall’Italia, in materia di impiego di staminali nella medicina rigenerativa». Ma c’è di più. «Questo decreto - denuncia Elena Cattaneo - impone anche alla collettività di farsi carico di trattamenti non provati. E apre all’eventualità che ognuno possa esigere dallo Stato la terapia che (purtroppo) non c’è e che ciascuno riterrà più idonea per sé. Dimentica che le scorciatoie in medicina non esistono e che i trattamenti non provati sono anche pericolosi. Il decreto inganna la speranza dei malati. Non contiene nessuna etica medica». Nettissimo è anche il parere di un altro firmatario della lettera, Gilberto Corbellini, storico della medicina de La Sapienza: «Ho letto la descrizione del metodo riportata nel brevetto, ho parlato con colleghi che studiano la biologia della cellule mesenchimali e - dice a left - sono giunto alla conclusione che: è una truffa!». I media come hanno left 30 marzo 2013 trattato la questione? «Quelli italiani credo siano tra i peggiori d’Occidente, inseguono i luoghi comuni e speculano sulle sofferenze. Creano le notizie e si guardano dal fornire ai lettori informazioni documentate e istruzioni per capire, alimentando incomprensioni tra mondo scientifico e società». Quanto al decreto Balduzzi, dice Corbellini, «se fosse stato emanato in un altro Paese occidentale, i dirigenti delle agenzie regolatorie e degli anti di vigilanza sulla sicurezza e l’appropriatezza delle terapie di quel Paese si sarebbero dimessi. E le società medico-scientifiche si sarebbero sollevate. Quel decreto - conclude - è vergognoso e offende la memoria e il lavoro di coloro che dopo il processo di Norimberga ai medici nazisti hanno cercato di fondare la medicina solo su solide basi etiche, sottraendola a un pericoloso paternalismo che giustificava l’inganno... per il bene dei pazienti». E sono proprio i malati a prendere la parola attraverso l’Associazione Luca Coscioni. «Le notizie che arrivano sono di bambini che muoiono e che peggiorano, dall’altro lato ci sono tante famiglie di bimbi malati che vogliono accedere alle cure: sperano per i propri figli», dice l’avvocato Filomena Gallo che guida l’Associazione. «Avevamo chiesto al ministro che facesse solo il suo dovere di applicare le norme italiane in linea con quelle comunitarie, fare chiarezza, pretendere i dati pre clinici con un rapporto di confidenzialità. Non è stato fatto ed è inammissibile. Dal punto di vista scientifico gli esperti dell’Istituto superiore di sanità e dell’Aifa hanno dato parere negativo. Se questi importanti organi tecnici non hanno alcun valore per il ministro Balduzzi ci dica allora per quale motivo sono stati consultati». Il decreto Balduzzi conclude Filomena Gallo «sembra ancor più fumoso del provvedimento con cui ha autorizzato le terapie sottolineando che non erano state ottenute in conformità agli standard di sicurezza. Qui la contraddizione riguarda persino l’accesso che discrimina fra chi ha iniziato e chi deve iniziare, quasi fosse una questione di ordine cronologico». Un sostenitore del movimento Militia Christi in una manifestazione a favore della Stamina Foundation. A sinistra, il ministro della Salute Renato Balduzzi 29 società left.it Lo Stato abbandona welfare e servizi pubblici. Per risolvere i problemi arrivano loro, i volontari dell’Auser. Un esercito di 300mila iscritti. Anziani, ma molto attivi. Che non vogliono essere rottamati. Ecco le loro buone pratiche i tappabuchi © 123rf di Donatella Coccoli A Ferrara custodiscono i musei, a Crotone aggiustano le sedie a rotelle, a Siena cucinano pizze per chi è solo, a Treviso dialogano con gli immigrati. Ma ci tengono a dire che no, loro non vogliono diventare le stampelle d’Italia. Sono i volontari dell’Auser che nel loro congresso a Riccione, dal 20 al 22 marzo, hanno raccontato l’Italia degli anziani, stufa di essere sbeffeggiata dai rottamatori e umiliata dalla povertà. Un’Italia che non ci sta: reclama diritti e vuole ricostruire il futuro. È significativo che la fotografia di questa fetta del Paese venga dall’associazione fatta nascere 24 anni fa da Cgil e Spi, rivolta agli anziani ma ormai aperta a tutta la società. «Contaminata», precisa il presidente uscente Michele Mangano che ha lasciato il posto a Enzo Costa, fino a ieri segretario generale della Cgil sarda. L’Auser è un’associazione vivace, combattiva. «Tanti provengono dalla Cgil, ma poi sono cambiati, non hanno più steccati ideologici», racconta 30 uno dei 350 delegati. Per forza di cose. C’è chi vota Lega, chi Grillo, chi viene da altri sindacati, ci sono disoccupati, immigrati, giovani che nelle sedi Auser svolgono il servizio civile. Tantissime donne: il 56,4 per cento dei soci. In tutto sono 300mila iscritti, 48mila volontari, 1.500 sedi. Un piccolo esercito a stretto contatto con la solitudine, la malattia e i buchi di un welfare sempre più debole. Specie per gli anziani. In Italia sono oltre 12 milioni gli over 65 e di questi, 5 milioni vivono soli. Tra i 7 milioni di poveri, oltre due sono over 65. La crisi economica la si tocca con mano. «Il potere d’acquisto delle pensioni è crollato di un terzo dal 2008 a oggi», spiega Mangano. E poi ci sono i tagli al welfare, che è diventato sempre più un lusso: «Un arretramento continuo dell’intervento pubblico nei servizi sociali». Non si assumono più educatori, assistenti sociali, psicologi, come si legge nella Rilevazione 30 marzo 2013 left società left.it nazionale sul rapporto tra enti locali e Terzo settore commissionata proprio da Auser. Tra 2010 e 2011 le assunzioni sono scese del 65 per cento. E se lo Stato si ritira, i vuoti vengono riempiti dalle cooperative e delle associazioni di volontariato. «Ma non vogliamo sostituirci al pubblico». Bruno Tassone ha un sorriso amaro mentre racconta le gesta dei volontari dell’Auser a Crotone, in Calabria, una delle regioni più dissestate in campo sanitario. «I dializzati ci chiamano “i nostri angeli”». Senza i 46 volontari Auser che li trasportano tra casa e ospedale la loro vita sarebbe un inferno. Ex professore di tecnica, poeta, appassionato di dialetto, Tassone ha creato anche un centro di recupero di materiale per disabili. «Visto che i soldi non ci sono, abbiamo chiesto di portare qui le carrozzine e le stampelle rotte. Noi le aggiustiamo e le riconsegniamo gratis. Abbiamo già fatto 62 noleggi con un risparmio di 42mila euro». «A Ferrara abbiamo per fortuna un welfare corposo», racconta Antonio Turola, andato in pensione da giovane con «vent’anni di amianto» alle spalle, un uomo che si definisce «di sinistra, non di centrosinistra». Ma anche nell’efficiente Emilia c’è qualche buco da tappare. Sono 260 i volontari dell’Auser che nella città degli Estensi provvedono alla vigilanza del Palazzo dei Diamanti e di tutti i musei. «Lo facciamo da 15 anni, ma non portiamo via neppure un posto di lavoro. Il Comune non ha i fondi per i custodi». Turola, oltre a essere vicepresidente dell’Auser di Ferrara è anche semplice volontario al suo paese, Poggio Renatico. Qui l’Auser, grazie a una convenzione col Comune, copre il servizio di trasporto pubblico: ogni anno sono 8mila le persone “accompagnate” dall’Auser. «Metà del paese», dice Turola con orgoglio. Poi c’è il magazzino per gli ausilii per i disabili: dalle sedie a rotelle ai sollevatori fino ai letti. Tutto gratis. «I nostri volontari non percepiscono un centesimo. L’anno scorso abbiamo ricevuto 200mila euro di rimborsi. Cosa ne facciamo? Li mettiamo in banca e li reinvestiamo nelle nostre attività». Lontani dai grandi centri, in campagna, la vita è doppiamente difficile se si è anziani e soli. In provincia di Siena, a Radicofani - il borgo medievale reso celebre dal bandito medievale Ghino di Tacco e da Bettino Craxi - Giovanna Megna è la responsabile dell’Auser: 200 tesserati su mille abitanti. Giovanna è una giovane donna venuta dal- left 30 marzo 2013 la Calabria in cerca di lavoro. Oggi è disoccupata. «Noi facciamo volontariato puro. Organizziamo una pizzeria la domenica, per l’ultimo dell’anno mandiamo la cena a casa di chi non si può muovere. Poi le serate da ballo, le feste, le manifestazioni turistiche». Una fotocopiatrice comprata dall’Auser regalata alla scuola media è una grande conquista. E il sogno è «ripulire e gestire gratis lo storico bosco Isabella, coi suoi alberi secolari». Tra i militanti dell’associazione: giovani del servizio civile, immigrati e tantissime donne Ma l’attività dell’Auser significa anche apertura verso i nuovi italiani. Daniela Anghel viene dalla Moldavia, ha sposato un cittadino rumeno, ha una bambina piccola e lavora come traduttrice e interprete. Ha idee molto chiare sul ruolo degli stranieri. «Il termine clandestino, l’ho imparato qua in Italia, da noi gli immigrati sono considerati un gradino più su rispetto agli autoctoni». Arrivata in Italia dieci anni fa a Treviso ha avuto «il primo contatto con una istituzione italiana attraverso l’Auser» e da allora non l’ha più lasciata. Adesso è presidente di due associazioni rivolte ai cittadini di origini straniere. Tanti i progetti con l’obiettivo comune dell’integrazione. «Uno di questi si chiama “Apriamo le case”. Facciamo incontrare famiglie italiane e straniere. I bambini a scuola sono amici, ma i loro genitori non si conoscono affatto». Nonostante la moltitudine di storie e attività sparse in Italia l’obiettivo dell’Auser resta uno solo. «L’anziano non è un peso per la società. Noi vogliamo sconfiggere questo luogo comune», spiega il presidente uscente Michele Mangano. Il suo successore, Enzo Costa, propone all’associazione un ulteriore salto di qualità: «Vogliamo diventare sistema all’interno delle reti del terzo settore». Il popolo dei volontari chiede valorizzazione e riconoscimento del ruolo svolto all’interno della società. Né tappabuchi dello Stato né missionari dell’assistenza. «Se un progetto lo si fa insieme, anziani e giovani, l’economia sociale può far nascere anche opportunità di lavoro», conclude Mangano. Invecchiamento attivo è la parola d’ordine. Come del resto recita la legge della Liguria, un modello da esportare in tutto il Paese. Obiettivo: realizzare «per tutto l’arco della vita un progetto gratificante, socialmente dignitoso, dotato di senso per sé e per tutta la comunità di appartenenza». 31 società left.it Libera nos a mafia © Baiamonte/LaPresse di Donatella Coccoli Parte da Tunisi la carovana contro la criminalità organizzata. Un percorso che poi toccherà le maggiori città italiane dal Sud al profondo Nord L la carovana su left Dal prossimo numero pubblicheremo il diario di bordo settimanale della carovana internazionale antimafie. In alto, 23 maggio 2012, la nave della legalità salpa da Palermo verso Napoli 32 a mafia più pericolosa? È quella della zona grigia. Quella che non uccide ma che si insinua nei territori ricchi e vi mette radici. Sale giochi, ristoranti, aziende agricole fanno molta gola. Dall’Emilia Romagna alla Toscana, e poi sù sù nel “profondo” Nord. Le cronache giornalistiche come quelle di Giovanni Tizian (finito sotto scorta per le minacce subite dopo i suoi articoli) e le inchieste della magistratura ogni giorno testimoniano il “salto di qualità” delle cosche che hanno lasciato la manovalanza al Sud per sbarcare in giacca e cravatta nella pianura padana. Svelare e raccontare questa realtà è l’obiettivo della carovana internazionale antimafie, al via il 30 marzo da Tunisi, per poi passare in Sicilia (il 2 aprile la tappa è a Pizzolungo, il luogo della strage dell’85) e risalire la penisola chiudendo il 6 giugno a Milano, Firenze e Roma. «Tre città legate dalle bombe del ’93, quelle che fecero le stragi di via Georgofili a Firenze e di via Palestro a Milano», afferma Alessandro Cobianchi, coordinatore della iniziativa promossa da Arci, Libera, Avviso Pubblico, Cgil, Cisl e Uil, Banca Etica e da la Ligue de l’insegnaiment, un’associazione francese per l’educazione popolare. I “carovanieri” dei due furgoni si daranno il cambio ogni 15-20 giorni e andranno nelle scuole, nei circoli Arci, nelle sedi sindacali. «Siamo dei narratori, raccontiamo, spieghiamo. E allo stesso tempo verifichiamo di persona la percezione che si ha della mafia nei vari luoghi d’Italia. Una campagna a tappeto. Meno alberghi, più piazze, è il nostro slogan» continua Cobianchi. Le tappe fuori Italia servono ad allargare il campo, a fornire conoscenze ai nostri vicini. «A Tunisi terremo un workshop sulla corruzione che riguarda tutti i Paesi del Mediterraneo e che prolifera nei momenti di crisi», dice Cobianchi. Mentre in Francia sono previste tappe autunnali (a Marsiglia, Nizza, Tolone, Bastia) per parlare di mafia là dove ancora pensano che sia un fenomeno di esportazione mentre invece anche il semplice spaccio di droga è in mano alle multinazionali della criminalità. Un vero e proprio impero degli affari. In Italia ammonta a 500 miliardi il “fatturato” proveniente dalle attività mafiose, dalla corruzione e dall’evasione fiscale. Un tesoro che potrebbe toglierci dalla recessione. Ma la legge 109 del 1996 sul riutilizzo per fini sociali dei beni sequestrati si trova in una situazione di empasse. E pensare che sono circa 13mila gli immobili e le aziende confiscati, con la Sicilia in testa (5.515, il 42,60 per cento) e la Lombardia prima al Nord con 1186 sequestri. «I beni confiscati sono strumenti per sconfiggere le mafie, perché toccano la “roba”, e hanno quindi un valore simbolico oltre che economico - conclude Cobianchi -. La legge però ha bisogno di modifiche: bisogna investire con più risorse e impedire che i beni vengano abbandonati. Perché altrimenti servono solo alle “anime belle” dell’antimafia». 30 marzo 2013 left calcio mancino società left.it Il 10 maggio 1981 il Napoli passa al Sinigaglia e la Juve blocca la Roma a Torino Quel Palo sul lago di Como Q uel ramo del lago di Como che volge a mezzogiorno, e non finisce a Lecco, termina la corsa proprio a Como dove, a pochi passi dall’acqua, sorge lo stadio Sinigaglia. È qui che nella stagione ’80-’81, la neopromossa squadra lariana gioca le gare casalinghe del sesto campionato di serie A della sua storia. In porta c’è William Vecchi, protetto da due colonne come Vierchowod e Fontolan: uno terzino destro e uno stopper. Terzino sinistro è Roberto Galia e libero Piero Volpi da Milano: maturità classica e laurea in medicina. A centrocampo: capitan Lombardi, l’abruzzese Centi e il veneto Renzo Gobbo da Castelfranco. Massimo Mancini e Cavagnetto sono le ali e Marco Nicoletti il centravanti. L’esordio tra le mura amiche è stato rovinato dalla Roma e, dopo l’amara trasferta sul campo della Juve, alla terza giornata arrivano i primi due punti ai danni dell’Inter scudettata di Bersellini. Sarà dura salvarsi per i ragazzi di Pippo Marchioro che, al giro di boa, possono comunque guardare ben sei squadre dall’alto di una classifica corta dove il solo Perugia appare ormai spacciato dopo essere partito da -5 insieme a Bologna e Avellino per gli illeciti della stagione passata che la Federazione aveva voluto cancellare riaprendo le frontiere. Sebbene Como si trovi qua- di Emanuele Santi sostituisce Musella con Francesco Palo, promettente centravanti della primavera all’esordio in serie A. Ma la musica non cambia: ancora 0-0 come al Comunale di Torino dove arbitro e guardialinee annullano al giallorosso Maurizio Turone il gol del sorpasso. Al Sinigaglia, invece, Claudio Pellegrini da Primavalle difende l’ultimo pallone prima del triplice fischio e lancia Guidetti che tira in corsa da destra. Il missile rasoterra è respinto da Vecchi che si allunga in tuffo. Fontolan protegge il portiere ma alle sue spalle sbuca proprio il ventunenne Palo che tocca al volo in rete e fa esplodere mezzo stadio. Juve 40, Roma 39, Napoli 38. La domenica successiva c’è NapoliJuve e la Roma ospita la Pistoiese retrocessa. Palo entrerà sempre nella ripresa al posto di Musella, ma non sfugge né a Gentile né a Prandelli. La Juve vince e vola verso il diciannovesimo scudetto. Il Como perde anche a Brescia ma vince l’ultima in casa col Bologna. Si salva grazie alla classifica avulsa con altre quattro squadre a pari merito che condanna proprio il Brescia. È il maggio dell’81. Lo straniero più famoso d’Italia non è né Brady né Falçao né Krol, ma un certo Alì Agca e il referendum ha appena respinto l’aggressione alla Legge 194 da parte del Movimento per la vita. [email protected] Lo stadio Sinigaglia di Como Quell’anno i lariani si salvano grazie alla classifica avulsa. Lo straniero più famoso è Ali Ağca left 30 marzo 2013 si sul confine, il presidente Brambilla rinuncia alla facoltà di tesserare il suo straniero. La lotta al vertice vede il Napoli di Krol spodestare l’Inter di Prohaska dal ruolo di outsider dietro alla Juve di Brady e alla Roma di Falçao. Il 10 maggio fa caldo. In riva al lago arriva proprio il Napoli in maglia bianca: Castellini, Bruscolotti, Marangon, Celestini, Krol, Ferrario; Damiani, Vinazzani, Musella, Guidetti, Pellegrini. Arbitra Menicucci di Firenze. La classifica dice: Juve 39, Roma 38, Napoli 36. I tifosi locali, sorpresi dall’invasione ospite, firmerebbero col sangue per un pareggio che, a tre turni dalla fine, vale oro. A Torino si gioca Juve-Roma, piove, e l’unica notizia di rilevo nel secondo tempo è l’espulsione di Furino per il tentato omicidio di Maggiora. Quando manca mezz’ora alla fine, l’allenatore partenopeo Rino Marchesi 33 cose dell’altritalia società left.it 1 ROMA Cocaina e ’ndrangheta vanno a nozze Nella Capitale lo spaccio si fa in famiglia Il 26 marzo, la Dda di Roma ha smantellato un’organizzazione criminale dedita al traffico di sostanze stupefacenti. Un cartello del narcotraffico composto da due famiglie: i Gallace, ’ndranghetisti del catanzarese, e i Romagnoli, criminali capitolini. Due famiglie che avevano creato un sodalizio anche grazie alle nozze tra il boss della ’ndrina e la figlia del capo del clan romano. Perché droga e ’ndrangheta nella Capitale vanno a nozze. O meglio, ci andavano prima che la Squadra mobile eseguisse i dieci fermi richiesti dalla Procura antimafia per il concreto pericolo di fuga dei membri delle due organizzazioni. Il reato contestato: associazione a delinquere finalizzata allo spaccio di stupefacenti. Lo spaccio al dettaglio era gestito dai Romagnoli che a loro volta ricevevano la cocaina dai Gallace. Piazze di riferimento: Torre Maura e San Basilio, con ramificazioni e basi logistiche sul litorale laziale. Numerosi beni riconducibili alla cosca sono stati sequestrati. I fermi sono il frutto di una lunga attività investigativa che ha permesso agli agenti di scoprire tutte le fasi del traffico della cocaina. Intercettazioni ambientali e telefoniche, pedinamenti e osservazioni sono state eseguite dalla Squadra narcotici nella Capitale e nel territorio compreso tra Anzio e Nettuno. 5 2 SARDEGNA Il popolo ha fame? Diamogli il Sardex Se non avete più un euro in tasca potete passare al Sardex. È il progetto presentato dal governatore della Regione Sardegna Ugo Cappellacci, che prevede l’erogazione di 500 euro di crediti al mese a beneficio di 10mila giovani disoccupati tra i 25 e i 35 anni. Il tutto con una spesa di massimo 20 milioni di euro in tre anni. I crediti Sardex (che avranno lo stesso valore degli euro) potranno essere spesi in oltre mille aziende che partecipano all’iniziativa. Il paniere dei beni acquistabili verrà adattato alle esigenze dei giovani disoccupati (alimentari, librerie, cura persona, svago, ecc.). Agli iscritti, selezionati dalla Regione anche attraverso un meccanismo di rotazione, verrà chiesto in cambio di impiegare il proprio tempo in progetti che saranno definiti dalle comunità locali attraverso una piattaforma di e-democracy. Si va dall’implementazione della segnaletica turistica, alle lezioni di inglese al miglioramento complessivo della qualità della vita. 34 2 3 CATANIA Togliete la laurea a Caltagirone Una petizione online per chiedere la sospensione della laurea ad honorem conferita a Francesco Bellavista Caltagirone, imprenditore finito in carcere il 19 marzo per truffa. Ad avviarla un gruppo di docenti dell’università di Catania, l’Ateneo che nel 2009 gli aveva attribuito l’onorificenza. La decisione dell’allora rettore Antonino Recca era stata molto contestata: «Per riparare alla brutta figura non ci resta che chiedere che la laurea venga sospesa, in attesa che si verifichino le responsabilità penali del sig. Francesco Gaetano Caltagirone», queste le parole dei primi firmatari della petizione. L’uomo d’affari romano è stato arrestato con l’accusa di frode in pubbliche forniture, appropriazione indebita e trasferimento fraudolento di denaro, a seguito di un’indagine della procura di Civitavecchia sulla realizzazione del porto turistico di Fiumicino. 30 marzo 2013 left cose dell’altritalia left.it società 4 REGGIO CALABRIA Quel prete al summit di mafia Un prete al tavolo coi boss della ’ndrangheta. Al processo “Meta”, in corso a Reggio Calabria, emergono strani particolari su un summit della criminalità organizzata svoltosi a Gambarie d’Aspromonte, cui avrebbero partecipato, tra gli altri, Domenico Passalacqua e Stefano Vitale, ritenuti organici alle cosche. La circostanza è emersa nell’udienza in cui hanno sfilato all’interno dell’aula bunker i sottoufficiali del Ros di Reggio Calabria. I militari, partendo dalle investigazioni per la cattura del superboss Pasquale Condello, erano riusciti a tracciare, sotto il coordinamento del pm Giuseppe Lombardo, i nuovi assetti delle grandi cosche reggine. A riferire dell’incontro a Gambarie è uno dei marescialli del Ros. Il quale, rispondendo alle domande dell’accusa e della difesa, ha dato atto della presenza di un uomo di una certa età, con i capelli bianchi, in abito talare. Impossibile sapere, al momento, se quell’individuo fosse davvero un “uomo di Dio”. Oppure un semplice affiliato che, astutamente, si sarebbe travestito per non essere riconosciuto. 5 5 FERRARA Il Consiglio in catene per protesta Giunta e Consiglio comunale di Ferrara si incatenano durante la seduta come protesta contro le decisioni del Parlamento sull’allocazione del gettito Imu. Da quest’anno il gettito Imu degli immobili destinati ad attività produttive, infatti, andrà direttamente allo Stato, senza passare per le casse comunali. La decisione vanifica la scelta dell’ente ferrarese di ridurre al minimo l’aliquota sui fabbricati destinati a nuove attività produttive. «Era l’unica arma fiscale che la nostra Repubblica ci metteva a disposizione per mettere in atto un embrione di politica industriale», è il rammarico dell’assessore al Bilancio Luigi Marattin. Ma la scelta virtuosa del Comune si è dovuta scontrare con una lettera datata 4 febbraio arrivata dal ministero dell’Economia. La missiva invi6 tava il Comune ad abolire le agevolazioni Imu previste. Il 25 marzo il Consiglio era chiamato a ratificare la vecchia delibera con la quale si prevedevano le agevolazioni, destinate ora a rimanere lettera morta. «Questo Consiglio viene umiliato nella sua capacità decisionale e dignità», aggiunge Marattin. «Noi non siamo passacarte ministeriali». 1 6 BARI Obiettori all’unanimità 4 3 left 30 marzo 2013 Duro colpo alle Legge 194 e ai diritti delle donne, a Bari. Tutti i ginecologi e le ostetriche dell’ospedale San Paolo si sono dichiarati obiettori di coscienza. Dallo scorso 18 marzo è così diventato impossibile, per una donna, sottoporsi all’interruzione volontaria di gravidanza presso la Asl barese, che contava sul San Paolo come ultimo presidio a garanzia del servizio. Nell’attesa di vederci chiaro l’azienda sanitaria ha inviato nel nosocomio un nuovo ginecologo non obiettore, che comunque avrà non poche difficoltà a sbrigare, da solo, l’ingente mole di lavoro. L’ipotesi è, però, che le convinzioni morali c’entrino poco con la vicenda. La scelta dei medici e del personale sanitario potrebbe essere scattata in segno di protesta per le condizioni di lavoro al limite della sopportazione cui erano costretti. In mezzo, però, ci vanno le donne. 35 mondo Islam contro Islam di Cecilia Tosi 36 La divisione tra sunniti e sciiti tormenta il mondo musulmano. Tra vecchie guerre e nuovi attentati, i nemici non sono più gli occidentali miscredenti, ma i fratelli che hanno corrotto la vera fede. Un’interpretazione che fa comodo a tutti. Meno che al popolo 30 marzo 2013 left © Adil /AP/lapresse mondo Karachi, Pakistan, folla sul luogo di un’autobomba che la notte del 4 marzo 2013 ha devastato la zona. Obiettivo? Gli sciiti left 30 marzo 2013 37 mondo left.it H Islamabad, Pakistan, una donna sciita protesta contro l’attentato del 17 febbraio. I residenti chiedono la protezione del governo 38 a premuto il pulsante ed è esploso. La bomba che portava in corpo ha risucchiato nel vortice più di 250 persone, uccidendone 84 e ferendone 169. Uomini, donne, bambini. Tutti musulmani, proprio come l’attentatore. In Pakistan il jihad non miete vittime cristiane, perché i terroristi combattano dentro l’Islam. Il kamikaze che ha colpito Quetta il 16 febbraio era sunnita e ha voluto sterminare una comunità sciita. Nati nel settimo secolo dopo Cristo, i due rami dell’Islam si separarono per questioni di discendenza: alla morte di Maometto gli sciiti seguirono Ali, il cognato del Profeta, mentre i sunniti preferirono il califfo, raccogliendo la maggior parte dei consensi. È stata questa maggioranza a forgiare la storia e le successive divisioni tra i due gruppi, altrettanto fedeli al Corano. I sunniti hanno dettato legge e gli sciiti sono rimasti minoranza, costretti a scappare e difendersi, in attesa di un imam che prima o poi verrà a ristabilire la giustizia in terra. E in questo momento ne avrebbero davvero bisogno, visto i colpi che stanno prendendo: vittime di attentati in Pakistan e in Iraq, schiacciati dal regime in Bahrein, in fuga dalle frange estremiste della rivolta siriana contro Bashar al Assad. Dopo che le Primavere arabe hanno stravolto gli equilibri politici del Medio Oriente, la guerra di religione si è trasferita dentro l’Islam. I terroristi agiscono a casa loro e i ricercatori americani si dedicano a studiare il nuovo scontro. Sarà un caso se l’Occidente è uscito dal mirino? «Il conflitto tra sette - intese come divisioni interne all’Islam - sostituirà la guerra israelopalestinese nel cuore degli arabi». Lo sostiene una delle più esperte conoscitrici della materia, Geneive Abdo, che in Usa lavora per lo Stimson center. Per gli occidentali presi di mira da al Qaeda sembra un sogno diventato realtà. Soprattutto per gli israeliani, che non speravano altro dal ’46. Gioiscono regimi dittatoriali arabi e teocrazie del Golfo. Tutti hanno interesse a dividere l’Islam. Tutti, tranne il popolo musulmano. Ci sono i regimi in caduta libera, come quello siriano, che hanno dipinto ribelli pacifici come sunniti fondamentalisti in cerca di vendetta. C’è il sultano del Bahrein, che ha appena fatto con- dannare otto manifestanti alla pena di morte per aver alimentato l’odio religioso. C’è soprattutto l’Arabia Saudita, che da secoli teme un’insurrezione della sua minoranza sciita, dominante nell’area dei pozzi petroliferi. Il suo nemico è l’Iran, ma non solo quello degli ayatollah, perché i petroldollari finanziavano anche gli oppositori allo shah. La scusa religiosa serve per fare propaganda, ed evitare che si formi un polo di potere avverso in Medio Oriente. L’incubo di una macroregione nemica vede Teheran coagulare intorno a sé gli sciiti di Pakistan, Iraq, Bahrein, Siria e Libano. «I sauditi hanno speso 75 milioni di dollari per contribuire alla diffusione della loro ideologia di Islam Deobandi - “puritano” - nel resto del mondo musulmano», spiega Reza Aslan, studioso di origini iraniana dell’università della California, autore di No god but God, the origins, evolution and future of Islam (Ramdon House). «Ora lo scontro tra sciiti e sunniti è diventato una questione politica, come lo era quello tra protestanti e cattolici a Belfast negli anni Settanta». In Irlanda del Nord, però, chi si suicidava lo faceva digiunando in carcere. In Pakistan, invece, ci si uccide per sterminare il nemico. «Gli attacchi contro gli sciiti in Baluchistan - ha spiegato Bruce Riedel del più quotato think tank del mondo, Brookings institution - sono raddoppiati dal 2011 al 2012, raggiungendo quota 45. Eppure appartenevano a questa minoranza anche il fondatore del Pakistan e la madre di Benazir Bhutto. Non c’è mai stato odio settario prima degli anni Ottanta. Poi è arrivata la dittatura sunnita di Muhammed Zia ul Haq, amico degli Usa, che si è alleato coi sauditi. E i sauditi hanno sostenuto la creazione di milizie anti sciite, per colpire il nemico iraniano». Una di queste, Lashkare-Jangvi, ha rivendicato gli ultimi attentati. Ufficialmente illegale, è in realtà alleata dei servizi segreti pakistani. Il loro leader Malik Ishaq è stato rilasciato nel 2011 nonostante fosse indagato per 44 casi di omicidio: i testimoni morivano prima di arrivare in tribunale. Il suo gruppo ha ucciso centinaia di hazara, la comunità sciita che discende dai profughi afgani. Gli americani usano i loro droni per attaccare i terroristi in Pakistan, ma non 30 marzo 2013 left mondo © Mizban/ap/lapresse left.it per difendere gli hazara: il loro obiettivo sono i gruppi talebani che fioriscono ai confini con l’Afghanistan, altra latitudine e altra posta in gioco. Nessun americano invece sui cieli della Siria, un altro Paese dove i musulmani si stanno uccidendo tra di loro. Il presidente Bashar al Assad e il suo entourage fanno parte della minoranza alawita, che si identifica solo in parte con la famiglia sciita e che ha sempre assunto posizioni più laiche degli alleati iraniani. Le proteste del 2011 non chiedevano di passare il potere alla maggioranza sunnita, ma di aprire alla democrazia. Il regime ha cambiato le carte in tavola, etichettando i ribelli come nemici dell’integrazione tra culti diversi, e ha trovato la sponda dei salafiti, gli integralisti sunniti. Oggi a Damasco sono arrivati jihadisti da tutto il mondo islamico e gli americani sostengono di non poter intervenire proprio perché il conflitto è diventato religioso. «L’unico modo di fermare la guerra è emarginare Teheran, perché sono gli iraniani a fomentare la destabilizzazione», sostiene l’ambasciatore Frederic C. Hof, consigliere per la Siria del dipartimento di Stato Usa. Sciiti contro sunniti, è questa la lettura più semplice (e utile) della guerra a Damasco. La alimenta la solita Arabia Saudita, che arma i ribelli sperando in un futuro regime amico. «Eppure non credo proprio che gli alawiti cederanno il potere ai sunniti», sostiene Reza Aslan. «Faranno dimettere Bashar, ma lo sostituiranno con uno dei loro. Gli sciiti hanno resistito a 14 secoli di persecuzioni, non si arrenderanno adesso».Ecco che fine hanno fatto i sogni dei giovani che hanno lottato per la democrazia: inscatolati in categorie che fanno comodo solo agli altri. La guerra interna all’Islam serve anche agli ame- left 30 marzo 2013 Karbala, Iraq, fedeli sciiti durante il festival musulmano di Arbaeen del gennaio 2013 ricani per dividere le filiali di al Qaeda: quelle “cattive” ancora impegnate a lottare contro gli occidentali, quelle “buone” concentrate ad assassinare gli sciiti (indebolendo l’Iran nucleare). «I gruppi terroristi pakistani - ci spiega Raza Rumi, analista di Islamabad - si ispirano all’ideologia Deobandi e sostengono che chiunque non sia sunnita sia corrotto. Vogliono che gli sciiti vengano riconosciuti come “non islamici”. E questo apre alla prospettiva che anche l’Iran venga espulso dal consesso musulmano». Non importa che centinaia di pakistani dopo gli ultimi attentati abbiano sfogato su twitter la loro frustrazione: «Voglio solo essere islamico, non sunnita o sciita». I loro governanti non sono d’accordo, e isolano sempre più il governo di Teheran. Al Summit di febbraio dell’Organizzazione della Conferenza islamica tutti si sono schierati su linee settarie: l’Iran ha cercato di difendere il regime siriano, Arabia Saudita e Turchia hanno dichiarato di sostenere i ribelli. Il presidente iracheno al Maliki ha fatto mille giravolte, evitando di schierarsi per non distruggere il precario equilibrio tra sunniti e sciiti a Baghdad. L’Egitto, in cerca di un ruolo di mediatore, ha scelto un’analoga equidistanza. Ma negli stessi giorni, ospitando per la prima volta i presidente iraniano al Cairo, ha dovuto frenare le contestazioni dei salafiti, che accusavano Ahmadinejad di alimentare la corruzione dell’Islam. E lo stesso Sheik Ahmed al-Tayeb di al Azhar, la più autorevole università islamica, ha accolto il leader iraniano solo per ammonirlo a non fomentare l’odio contro i sunniti e ricordargli che gli sciiti insultarono i compagni del Profeta. Il nemico è alle porte. L’esperta: «Lo scontro tra sette sostituirà il conflitto israelopalestinese nel cuore degli arabi» 39 mondo left.it © Giannakouris/ap/lapresse Cipro non contagerà lA ue di Alfonso Bianchi da Bruxelles La crisi dell’isola dimostra che l’Europa ha bisogno di una unione bancaria. Con un’efficace vigilanza e norme severe, si sarebbe potuta evitare. Parla il commissario europeo al Mercato interno Michel Barnier «D ata la complessità della questione di Cipro e date le circostanze, quella messa in campo è la migliore delle soluzioni possibili». È soddisfatto del “piano di salvataggio” per Nicosia il commissario europeo al Mercato interno, Michel Barnier, perché a suo dire «dà al Paese la possibilità di ritrovare la sua stabilità finanziaria e alla zona euro di preservare la sua integrità». L’accordo raggiunto dalla Troika (Commissione, Bce e Fondo monetario), prevede un prestito di 10 miliardi di euro condizionato a un programma di consolidamento dei conti, riforme strutturali e privatizzazioni, che dovrebbero permettere di ricavare i restanti 6,7 miliardi necessari a salvare l’economia nazionale. Gli interventi più pesanti si concentreranno sui due principali istituti dell’isola, colpiti gravemente dalla crisi. La banca Laiki sarà divisa in una bad bank che fallirà e una good bank con asset sani che finiranno nella Banca di Cipro. I conti più ricchi di quest’ultima subiranno però prelievi del 30 per cento. 40 Questa volta i piccoli risparmiatori non verranno toccati. Ci sono le leggi europee che proteggono i depositi bancari inferiore a 100mila euro. Sono lieto che questo accordo confermi la protezione dei correntisti. Una protezione che non deve più essere messa in discussione. Molti dei conti più ricchi della Bank of Cyprus, che saranno tassati fino al 30 per cento, contengono soldi russi. Il primo ministro Dmitrij Medvedev ha parlato di “saccheggio”. Gli interessi di Mosca nell’isola sono importanti ma l’accordo non è discriminatorio. Interesserà tutti gli obbligazionisti, gli azionisti e i depositanti, indipendentemente dalla loro nazionalità. Così abbiamo trovato una soluzione europea alla crisi dell’isola. Questo non esclude ulteriori incontri bilaterali tra le autorità cipriote e quelle russe. Ne avete discusso direttamente con Mosca? Quando sono stato in Russia la scorsa settimana (per il summit Russia-Ue, ndr) i miei interlocutori hanno capito la situazione che stavamo affrontan30 marzo 2013 left mondo © Mayo/ap/lapresse left.it do. Abbiamo spiegato le difficoltà e deciso di rimanere in stretto contatto. Anche all’interno dell’Ue ci sono state critiche all’accordo. Ho sentito tra i critici chi ha detto che il piano ha indebolito l’operazione di unione bancaria. Questo è sbagliato, anzi quello che è successo dimostra più che mai che l’Europa ha bisogno di una unione bancaria. Con un’efficace vigilanza e norme severe in materia di capitalizzazione delle banche, la gestione di questa crisi sarebbe stata più facile. Crede che se fosse già stata in vigore la supervisione unica sarebbe stato diverso? Penso che la crisi sarebbe stata semplicemente evitata. L’accordo raggiunto la scorsa settimana su una vigilanza unica è un primo e fondamentale passo verso un’unione bancaria vera e propria, che deve ristabilire la fiducia nelle banche della zona euro e garantire la solidità e l’affidabilità del settore. Ciò contribuirà a rafforzare il mercato unico e a garantire la stabilità finanziaria. Il garante di questa stabilità diventerà la left 30 marzo 2013 Banca centrale europea. Il ruolo della Bce sarà anche quello di presidiare gli istituti della zona euro. Credo fermamente che se la Bce fosse stata il supervisore unico già pochi anni fa già, non avrebbe lasciato che la situazione di Cipro evolvesse nel modo in cui vediamo. Sarebbe intervenuta presto per prendere le misure necessarie a porre rimedio alla situazione. Quali sono i rischi che il fenomeno si ripeta in altri Stati Ue? Il caso di Cipro è molto specifico, lì c’è stata una vera ipertrofia del sistema finanziario che si è sviluppata senza alcun legame con l’economia reale del Paese. Le autorità non sono state vigili e hanno permesso l’accumulazione di una vera e propria bolla finanziaria la cui fragilità appare oggi chiara. Però altri colossi bancari sono in difficoltà e nazioni, come il Lussemburgo, in cui gli asset delle banche sono superiori al Pil del Paese. Attenzione alle risposte troppo semplicistiche: non esiste una correlazione diretta tra le dimensioni di una banca o di un sistema bancario e la probabilità di una crisi. Ci sono molti fattori in gioco: in particolare la presenza di una supervisione e di un controllo adeguato ed efficace. Un settore bancario più piccolo, ma che prende un sacco di rischi e in cui vi è scarsa supervisione, può essere più pericoloso di uno molto ampio ma ben regolamentato e controllato. Cosa state facendo per assicurare che una crisi del genere non si ripeta più? La mia priorità è fornire il settore bancario di regole solide. Solo questa settimana abbiamo rafforzato la solidità delle banche migliorando la qualità del capitale e stabilendo regole severe sui bonus ai banchieri per evitare speculazioni esagerate. Abbiamo inoltre migliorato la supervisione dei grossi istituti europei unificandola sotto il controllo diretto della Bce. Siete sicuri che questo sarà sufficiente? Per certe banche dobbiamo andare oltre perché la situazione è complessa, soprattutto per quanto riguarda il rapporto tra dimensioni e struttura della banca e l’assunzione di rischi. Dobbiamo prendere in considerazione ad esempio la separazione tra le attività rischiose e non, come suggerito anche dal gruppo Liikanen (gruppo di esperti di alto livello della Commissione Ue promosso da Barnier, ndr). Ma non c’è tempo da perdere e perciò sul tema faremo delle proposte entro l’estate. In apertura, Nicosia, Cipro, 26 marzo, una manifestazione contro la crisi. In alto, il commissario europeo al Mercato interno Michel Barnier 41 mondo left.it Orgoglio polare di Paola Mirenda ©PETERSEN/ap /Lapresse Né Copenaghen né Pechino. Gli abitanti della Groenlandia eleggono una premier indipendentista, che promette di non piegarsi agli interessi cinesi. Che vogliono sfruttare le immense risorse del sottosuolo T ra i ghiacci della Groenlandia e la Muraglia cinese ci sono più di 8mila chilometri. Eppure le elezioni del 12 marzo nell’isola artica hanno raccolto l’attenzione di Pechino. Perché per 40mila votanti non si trattava solo di scegliere un governo. Nel mettere la scheda nell’urna, i groenlandesi hanno implicitamente risposto alla domanda che ha dominato l’intera campagna elettorale: «Sei disposto a vedere 5mila lavoratori cinesi invadere l’isola?». E la risposta è stata «no». Aleqa Hammond, che presto diventerà la prima donna a capo di un esecutivo “artico”, ha vinto grazie a Pechino, o meglio grazie alla paura che ha saputo abilmente alimentare. Nessuno slogan razzista, no. La sua propaganda politica ha fatto breccia perché ha esaltato i valori fondanti delle comunità inuit, le loro tradizioni, il loro passato, mesco42 lando a questo l’idea di una indipendenza anche economica dalla Danimarca, che conserva ancora la sovranità sull’isola. Hammond sostiene che darà più autonomia alla Groenlandia, senza però passare, come ha fatto il governo precedente, da accordi capestro con Pechino o con le multinazionali del settore estrattivo. È bastato questo slogan per farle conquistare la maggioranza quasi assoluta, con un balzo di oltre 16 punti percentuali rispetto alle consultazioni del 2009. Adesso la Cina è più lontana, e i membri del Consiglio artico (Paesi Scandinavi, Canada, Russia e Usa) possono tirare un sospiro di sollievo. Ma i problemi sono ancora qui. A cominciare da quelli che porterà l’uranio. Perché la Hammond ha promesso che ne ammetterà l’estrazione, sia pure in misura ridotta, per recuperare i minerali preziosi che all’uranio sono associati . Ce n’è abbastanza da far imbestialire il go30 marzo 2013 left mondo left.it verno di Copenaghen, talmente anti nucleare da aver fatto chiudere una centrale atomica agli svedesi perché troppo vicina al confine. Ma il modello danese qui non funziona. A Nuuk, capitale della Groenlandia, si vive ancora di pesca di gamberetti e caccia alle foche. I primi non portano chissà quali introiti, le seconde sono diventate specie protetta, mettendo in crisi metà degli abitanti. Invano la sezione locale di Greenpeace spiega che i groenlandesi si comportano bene e che i veri “cattivi” sono i canadesi, che delle foche hanno fatto un business miliardario: uccidere questi animali è un delitto mediatico, e chiunque lo compia mette a rischio l’economia dell’isola . La Groenlandia, che nel 2009 ha ottenuto una forte autonomia dalla Danimarca, non è ancora autosufficiente, tanto da dover dipendere dagli aiuti di Copenaghen per metà del suo fabbisogno economico, circa 6 miliardi di euro. Un legame che non piace alla maggior parte degli abitanti, come ribadito in queste elezioni: nel complesso i partiti pro indipendenza hanno conquistato più dell’80 per cento dei voti. Ma per vincere davvero, i secessionisti hanno bisogno di trovare una strada finanziaria che non passi per Copenaghen. E Pechino finora è sembrata la fermata più vicina. L’ex premier Kuupik Kleist ha lasciato che la Cina ottenesse decine di licenze estrattive, soprattutto grazie alla London Mining, società basata a Londra ma con capitali di Pechino. I cinesi hanno puntato gli occhi su un sito a poca distanza da Nuuk, in grado di produrre ferro a sufficienza (fino a 15 milioni di tonnellate) per tutti gli eredi di Mao. Ma perché il prezzo del materiale sia conveniente, è necessario “essere competitivi”, spiegano dalla Greenland development, società pubblica-privata pagata dagli imprenditori stranieri che investono in Groenlandia (in primis Alcoa) per decantare le virtù del libero mercato. E possibilmente assumere manodopera straniera, come quella impiegata da due società che hanno da poco conquistato gli appalti per due dighe idroelettriche. I lavoratori, cinesi come le due aziende appaltatrici, accettano un salario pari alla metà di quello previsto dal sindacato groenlandese. «È la legge della concorrenza», spiegava Greenland development. «È sfruttamento non sostenibile», ribatteva il sindacato. Alla fine, nel dicembre 2012, il Parlamento ha dato il proprio benestare alle aziende orientali. left 30 marzo 2013 Sotto i ghiacci si trovano le terre rare, ricche di minerali introvabili altrove Ora i groenlandesi temono che le loro immense risorse si trasformino nello strumento per azzerare i loro diritti. Arriveranno i cinesi, coi loro stipendi poveri, le loro case da dividere in dieci, i loro pasti inviati via cargo dalla madrepatria, e se ne andranno la tutela ambiente, la protezione delle coste, la pianificazione urbanistica a misura d’uomo, l’economia da filiera corta, persino la pesca, simbolo dell’isola. Lo scioglimento dei ghiacci mette già in crisi la caccia, con la superficie diventata così sottile che non tiene più il peso di una slitta. Gli abitanti dell’isola sanno che quello verso lo sfruttamento del suolo e delle acque è un passaggio obbligato, ma non sono ancora pronti ad accettarlo. Mentre gli imprenditori, locali e stranieri, hanno fretta di intaccare le ricchezze della Groenlandia. Foto di gruppo al largo di Nuuk, capitale della Groenlandia. Al centro, l’attuale premier Aleqa Hammond I gioielli di questa fetta d’Artico non sono tanto gli idrocarburi, ma i minerali nascosti nelle cosiddette terre rare, così rare che stanno praticamente in sue soli posti: la Cina, che ne possiede il 90 per cento, e la Groenlandia, dove c’è il restante 10. I geologi danesi si spingono oltre, e sostengono che sotto la calotta ci siano tanti minerali preziosi da soddisfare un quarto della domanda mondiale. Firmare un contatto per gestirne lo sfruttamento garantirebbe a Pechino il dominio di questi elementi, mettendo il resto del mondo in una condizione di sudditanza. Non è quindi un mistero se Antonio Tajani, commissario Ue alla Concorrenza, nel 2012 si è precipitato a Nuuk pochi giorni prima che a Copenaghen arrivasse il presidente cinese Hu Jintao. Bruxelles voleva una rassicurazione che l’Europa non sarebbe stata esclusa dalla corsa ai minerali preziosi, e che nessuna esclusiva fosse data a Pechino. Ha ottenuto una lettera di intenti, ma non una rassicurazione definitiva. Allora sono arrivati gli americani, sempre pronti a contestare l’“invadenza” cinese, e in quegli stessi giorni hanno spedito l’allora segretario di Stato Hillary Clinton in Groenlandia per capire cosa stesse succedendo in questa parte del mondo. Un’estate infuocata, in attesa delle elezioni. E ora che il voto c’è stato, qualcuno si è sentito rassicurato. Perché la grande perdente, a conti fatti, potrebbe essere proprio la Cina. 43 newsglobal mondo left.it sfida post mortem 30milioni La cifra in dollari pagata da Yahoo al 17enne Nick D’Aloisio. Il liceale è diventato milionario grazie alla sua invenzione Summly, un’app che fa il riassunto di testi lunghi in poche frasi, facili da leggere sull’iPhone. Un Bignami 2.0 © Cubillos/ap/lapresse Il leader dell’opposizione venezuelana Henrique Capriles, candidato alla presidenza, tenta la rimonta. Ma gli ultimi sondaggi realizzati per conto di Barclays bank assegnano a Nicolas Maduro, il vice di Chavez, un vantaggio di almeno 15 punti percentuali alle prossime elezioni del 14 aprile. trivelle Il Perù si ferma La foresta amazzonica peruviana è al collasso. Il governo di Lima ha dichiarato lo stato d’emergenza per i livelli shock di bario, cromo e piombo - usati per l’estrazione del petrolio - che hanno contaminato il terreno. Novan- ta i giorni di stop alle attività inquinanti previsto dal decreto gover- nativo per ristabilire le condizioni di sicurezza. L’argentina PlusPetrol, che ha sfruttato il sottosuolo dal 2001 a oggi, viene indicata come la principale responsabile dell’inquinamento. Insieme all’americana Occidental Petroleum, che ha trivellato la zona nei decenni precedenti. crisi della settimana In Yemen crescono le tensioni tra separatisti del Sud e forze di sicurezza. Lo scontro non raggiungeva questa violenza dall’inizio del 2012. In Corea del Nord i militari hanno dichiarato di avere attivato il segnale di “allerta massima” ai propri sistemi missilistici e di artiglieria. Pyongyang si prepara a colpire la Corea del Sud, ma anche gli Stati Uniti, in particolare le basi Usa nelle Isole delle Hawaii. 44 30 marzo 2013 left mondo left.it © US Navy photo russia alla riscossa La Russia rinuncia a Cipro ma non al Mediterraneo. Mosca rilancia la sua presenza nel Mare nostrum con la promessa di ricostituire una flotta navale nella regione. Gli europei temono intenzioni aggressive del Cremlino, che ha già dato il via alle esercitazioni con 60 missili e varia artiglieria sottomarina. Ma oltre a dover dimostrare la sua potenza, la Russia deve far quadrare i conti: dopo aver speso miliardi per rinnovare la Marina, infatti, deve pur mettere le nuove navi da qualche parte. il tabacco fa male all’orgoglio Le multinazionali del tabacco piangono. E non solo per i milioni di dollari che l’ultima sentenza della corte Usa le costringerà a sborsare: questa volta il giudice distrettuale Gladys Kessler le ha condannate a finanziare una campagna pubblicitaria che metterà nero su bianco le bugie create per ingannare i fumatori. Philip Morris Usa, Reynolds Tobacco e gli altri big della nicotina dovranno scrivere sui cartelloni: «Le compagnie del tabacco hanno ingannato il pubblico in relazione agli additivi presenti nelle sigarette», «hanno progettato le sigarette in modo da renderle più efficaci nel creare dipendenza», e «il fumo uccide 1.200 americani. Ogni giorno». Le holding l’hanno definita una “confessione pubblica forzata”, finalizzata a “infangarle e umiliarle”. Ma la decisione della Corte è presa. la curiosità Se a sposarti ci pensa Kirk In Scozia la nuova legge sui matrimoni potrebbe consentire ai fedeli di Star Trek di sposarsi nel Tempio dello Jeti. I seguaci della saga infatti, hanno già attenuto che il loro credo venga assimilato a una religione e ora stanno affilando le spade laser per celebrare le nozze. In Gran Bretagna i devoti dello Jeti sono la settima Chiesa per numero di fedeli, dopo Cristianesimo, Islam, Induismo, Sikh, Ebraismo e Buddismo. centrafrica «Raccoglieremo ogni tipo di dato e lo memorizzeremo per sempre» I Mali non finiscono mai Dopo il Mali, la Francia invia nuove truppe nelle sue ex colonie: questa volta tocca alla Repubblica Centro Africana, dove i ribelli del Seleka hanno preso il controllo della capitale Bangui e costretto il presidente Bozizé a fuggire in Camerun, uccidendo decine di soldati sudafricani mandati da Pretoria per garantire l’ordine. Ma lo scarso interesse strategico del Paese fa la differenza: solo 350 i soldati schierati da Parigi a protezione dell’aeroporto (contro i 4.000 mandati in Mali), nonostante le richieste di aiuto da parte del Sudafrica. Gus Hunt, capo della sezione tecnologia della Cia, illustrando lo storico accordo da 600 milioni di dollari firmato con Amazon per la creazione di un cloud illimitato per l’immagazzinamento di ogni informazione che viaggia attraverso i social network ©ap/lapresse 45 left 7 giorni su 7 Abituati a volere di più. Ogni sabato left+l’Unità 2 euro. Nei giorni successivi euro 0,80 + il prezzo del quotidiano che e la seconda vita 48L’innovazione viene dal grafene 52L’Auditorium Roma del futuro 54Ladi David Bowie Il Medio Oriente è protagonista a Firenze dal 3 all’8 aprile con la IV edizione di Middle East Now, il festival di cinema, documentari, arte, incontri ed eventi che quest’anno presenta 44 film di cui 37 prime nazionali al cinema Odeon. Da segnalare, in particolare, la mostra dell’artista marocchino Hassan Hajjaj (in foto una sua opera) con la sua prima mostra personale in Italia, dal titolo VogueArabe, negli spazi della Aria Art Gallery. cultura scienza scommessa L’Europa investe un miliardo di euro sulla “plastica del futuro”. Si tratta di un materiale universale straordinariamente leggero, trasparente e duttile. E trasmette gli elettroni meglio del silicio. A livello internazionale è già partita la lotta per controllarne la produzione è il primo “progetto bandiera” di ricerca scientifica e sviluppo tecnologico dell’Unione europea. Scelto insieme allo Human Brain Project, il progetto che intende simulare il cervello dell’uomo, dopo una lunga selezione tra molti altri il 28 gennaio scorso, durerà dieci anni. Avrà un miliardo di euro di dotazione. Sarà guidato dal finlandese Jari Kinaret, professore di Fisica presso la Chalmers Tekniska Högskola (il politecnico) di Göteborg in Svezia. Vedrà la partecipazione di centoventisei diversi gruppi di ricerca pubblici e privati di diciassette diversi Paesi, tra cui molti italiani, a iniziare dal Cnr, che è tra i promotori dell’iniziativa. Sarà diviso in almeno quindici diverse aree strategiche. E avrà per protagonista assoluto lui: il grafene. L’unico cristallo in 2D. O, più correttamente, l’unico ma30 marzo 2013 left a grafene di Pietro Greco teriale che cristallizza in due dimensioni. Da un punto di vista chimico il grafene non è che un singolo strato di grafite, uno dei quattro stati allotropici (dette in parole semplici, uno dei quattro stati) del carbonio. È, dunque, un velo molto sottile, il più sottile possibile. Gli atomi di carbonio sono disposti a esagono. È stato ottenuto per la prima volta nel 2004 da due fisici russi, Andrej Konstantinovic Gejm e Konstantin Sergeevic Novosëlov, trapiantati a Manchester presso la locale università, che hanno ricevuto per questo nel 2010 il premio Nobel. Le proprietà del grafene sono straordinarie. Il sito del Graphene future emerging technology flagship, il progetto europeo, lo definisce, non senza una certa enfasi, come il mate- left 30 marzo 2013 riale più affascinante e versatile che l’uomo abbia mai conosciuto. E, in effetti, il grafene risulta più duro del diamante (un altro degli stati allotropici, sì insomma delle forme, che può assumere il carbonio), leggero e flessibile, trasparente e impermeabile, elastico, capace di trasportare elettroni meglio del silicio e un milione di volte meglio del rame, capace di catturare la luce e trasformarla in elettroni a qualsivoglia frequenza e via enumerando. Se solo alcune di queste proprietà troveranno una concreta ed economica applicazione, il grafene diventerà ben più che «la plastica del futuro», come qualcuno lo ha battezzato. Diventerà una sorta di materiale universale. Chi controllerà il grafene, controllerà i materiali innovativi del XXI secolo. In questa corsa l’Eu- I cristalli esagonali del grafene 49 scienza left.it ropa è partita avvantaggiata. Il grafene è stato ottenuto in Inghilterra e la ricerca scientifica più avanzata è stata condotta nei laboratori del Vecchio Continente (compresi alcuni laboratori italiani). Ma poi lo sviluppo tecnologico è stato condotto, a tappe forzate, altrove. Lo dimostrano i brevetti finora richiesti e ottenuti (dati aggiornati al 2012). A fronte dei 500 europei, ve ne sono 1.100 della Corea del Sud, 1.700 degli Stati Uniti e 2.200 della Cina. Insomma, il timore - non del tutto infondato - è che la scienza del grafene viene fatta in Europa, ma le applicazioni vengono elaborate altrove, con i conseguenti ritorni economici. Di qui la proposta - qualcuno sostiene, la necessità - di un progetto europeo volto in maniera specifica allo sviluppo tecnologico e alla commercializzazione del grafene e del suo indotto. Così quando l’Unione ha varato il programma per le Future and emerging technologies e ha deciso di puntare su due grandi progetti flagship (aggettivo inglese che significa portabandiera, ammiraglio, faro) di scienza applicata e di sviluppo tecnologico in grado di restituire al Vecchio Continente il ruolo guida nell’economia della conoscenza, quello sul grafene ha vinto alla grande. Battendo nella corsa finale a sei, progetti come FuturICT (le tecnologie innovative nel campo dell’informazione e della comunicazione), Guardian angels (senso- Sono già stati richiesti e ottenuti 500 brevetti in Europa, 1.700 negli Usa e 2.200 in Cina ri per il monitoraggio della salute e dell’ambiente), IT Future of medicine (uso di dati sanitari per costruire un modello personalizzato al computer per 500 milioni di europei) e RoboCom (lo sviluppo della robotica di servizio). L’obiettivo del Graphene flagship è dunque chiaro: fare dell’Europa non solo la frontiera avanzata della nuova conoscenza scientifica su questo peculiare materiale, ma anche la frontiera delle sue applicazioni, che almeno sulla carta sono senza precedenti. In realtà, il grafene ha già mostrato in concreto ciò di cui è capace. Per esempio, è stato utilizza- All’Enea si studiano già le applicazioni legate all’energetica e ai sensori È partita la road map che porterà anche l’Italia alla produzione del grafene all’interno del progetto europeo Horizon 2020. Costituito da uno strato di atomi di carbonio, è considerato il materiale più sottile del mondo. Basta dire che per raggiungere un millimetro di spessore servirebbero tre milioni di fogli. «Il grafene è duecento volte più forte dell’acciaio ed è un conduttore 50 di elettricità più efficiente del rame e un eccezionale conduttore di calore. È quasi trasparente, ma è così denso che, opportunamente trattato, non può essere attraversato neanche dall’elio» ha spiegato il professor Andrea Ferrari, direttore del Cambridge graphene centre, durante l’incontro che si è tenuto il 25 marzo al Centro ricerche Enea di Portici e in cui si sono confrontati, a porte aperte, ricercatori Enea e Cnr sulle rispettive attività di ricerca e per delineare le tappe e l’organizzazione del contributo italiano alla Flagship grafene, il progetto portabandiera su cui l’Unione europea ha deciso di puntare con importanti investimenti. Come è noto la scoperta del grafene è avvenuta quasi per caso osservando come si sfoglia la grafite 30 marzo 2013 left scienza left.it © SUPER/ap/lapresse I due premi Nobel per la Fisica 2010 Andre Geim,e Konstantin Novoselov. Sotto, un materiale flessibile e ultra trasparente derivato dal grafene. Nella pagina accanto, due studenti della Georgia Tech osservano il processo di produzione del grafene negli Stati Uniti © gary meek «Il grafene è un cristallo unico. Con enormi potenzialità d’innovazione». Parola del premio Nobel per la Fisica Novoselov to per produrre nuovi e più avanzati transistor. Ma attenzione, sostengono il premio Nobel Novosëlov e un gruppo di suoi colleghi in un articolo review pubblicato sulla rivista Nature lo scorso mese di ottobre: «Il grafene è un cristallo unico, nel senso che possiede molte proprietà superiori, da quelle meccaniche a quelle elettroniche. Tutte le sue enormi potenzialità potranno essere espresse non semplicemente sostituendolo ai vecchi materiali ma con nuove applicazioni, specificamente progettate per lui». Insomma c’è bisogno di creatività. Di immaginare nuove applicazioni. Di qui alcune critiche al Graphene flagship e all’intero impianto del Future and emerging technologies. È giusto puntare tutte le fiches dell’innovazione su due soli progetti - il grafene e il modello di cervello di una matita quando la appuntiamo con un banale temperino. Poi la scommessa è stata riuscire a separare fogli di grafite pura non più larghi di un atomo. Le attività di ricerca ora hanno come principale obiettivo cercare di ottenere il massimo rendimento dalle particolari proprietà fisiche e chimiche del grafene applicandole a nuovi prodotti di mercato. La speranza è quella di poter dare un nuovo impulso alla competitività tecnologica left 30 marzo 2013 umano - che certo sono promettenti, ma su cui non c’è garanzia di successo? Le grandi innovazioni sono, in genere, imprevedibili a priori. Avvengono non per caso, ma attraverso percorsi inattesi e tortuosi. Per cui sarebbe meglio puntare, anche nella scienza applicata e nello sviluppo tecnologico, non su uno o due petali, ma su un’intera corolla di idee. Questo è vero, sostengono i fautori del programma d’innovazione europeo. Tuttavia un forte investimento in un settore, ma con grande possibilità di esplorare aree ignote, può diffondersi anche in quei percorsi inattesi e tortuosi e, in ogni caso, avrà enormi ricadute - per così dire - di “innovazione normale”. Insomma, quello sul grafene sarà in ogni caso un buon investimento. Solo il tempo ci dirà chi ha avuto ragione. e commerciale dell’industria europea proprio grazie alle numerose possibilità di impiego del grafene. L’Enea, in particolare, ha messo a disposizione le sue competenze e le sue infrastrutture di ricerca nell’ambito delle applicazioni legate alla energetica ed alla sensoristica, settori in cui ha acquisito un riconoscimento a livello europeo. Nei laboratori dell’Enea dei Centri ricerca di Casaccia e di Portici sono già avviate attività di ricerca dedicate allo sviluppo di metodi di sintesi e di integrazione del grafene in dispositivi di tipo energetico, come le celle solari, e per la salvaguardia dell’ambiente, come i sensori. A più largo raggio si potranno realizzare con il grafene dispositivi elettronici miniaturizzati (dai computer ai telefonini), touch screen e celle solari, pannelli luminosi flessibili, sensori per ambiente e biomedici. E molto altro ancora. Laura Morelli 51 Roma ritorno al futuro Da area irreggimentata da Mussolini a spazio delle arti. L’esempio felice dell’Auditorium indica alla futura Amministrazione capitolina la strada da seguire M olti aspiranti al Campidoglio. Poche idee, per ora, per quell’ente molto speciale che sarà la Città metropolitana e Roma Capitale insieme. Quella Roma che Quintino Sella, gran regista liberale dopo il 1870, voleva «Capitale della scienza e delle cultura», idea giusta per la quale, fra l’altro, rilanciò alla grande l’Accademia dei Lincei. Capitale però senza «una soverchia agglomerazione operaia» che turberebbe la serenità del dibattito politico. La Comune di Parigi è là che fiammeggia ancora. Niente industrie quindi. In realtà, la stessa Roma papale aveva già un po’ di industrie. Notevolmente sviluppate nella seconda parte del ’900 in specie col terziario avanzato. Malgrado il “no” di 52 di Vittorio Emiliani Mussolini: alle fabbriche e ai tram (capillari allora!) che contrastano col “carattere imperiale”. Sì invece agli sventramenti nei rioni storici (già avviati in periodo umbertino) e al consumo dell’Agro Romano per le grandi opere di regime. Strade epocali: via dell’Impero, dritta fino al Colosseo dal “suo” balcone di Palazzo Venezia, oppure via della Conciliazione (inaugurata nel ’50) nata e rimasta “morta”. L’E42, la futura EUR. Il duce impugna il piccone e, sotto le cineprese del Luce, sotto gli scatti dei fotografi, piccona la zona dei Fori (molti “sovversivi” vengono deportati a Primavalle). Piccona la Spina di Borgo prima di San Pietro. E, basco sulla pelata e maglio30 marzo 2013 left cultura ne a scacchi, “prende il piccone e ne fa fragorosamente cadere alcuni colpi sul cornicione di una vecchia casa” vicino all’Augusteo, la lignea, bella, sonora sede dei concerti di Santa Cecilia. È il 22 ottobre 1934. Illuso da archeologi e sventratori servili, pensa di recuperare chissà che dal Mausoleo di Augusto nascosto là, sotto l’antica arena del marchese Correa sulla quale è stato poi edificato l’Auditorium. In realtà, nei secoli, il Mausoleo è stato, non spogliato, ma scorticato. Per contro Roma rimane senza una grande sala da musica. Complice la guerra, il dopoguerra e le mille indecisioni del ceto politico, dc soprattutto (che governa Roma fino al 1976, fino ad Argan sindaco di una giunta Pci-Psi), ne rimarrà priva sino al 2000, cioè per ben 44 anni. Pochi, dopo il piccone mussoliniano, ritengono possibile un nuovo Auditorium degno della straordinaria tradizione musicale di Roma e di Santa Cecilia. Il balletto delle sedi si ferma, dopo anni, nel posto sbagliato: Borghetto Flaminio, sotto Villa Strohl Fern, costipato da depositi Atac, carrozzieri abusivi, bocciofile, e senza spazi per i parcheggi. Nel ’72 il grande urbanista Luigi Piccinato l’ha bocciato: è angusto, al più ci sta una sala. Sentenza inascoltata dai “borghisti”. Nel novembre del 1990 un architetto poco più che trentenne, Francesco Ghio, figlio di Mario e di Vittoria Calzolari, maestri dell’urbanistica, individua nel maxi parcheggio di via de Coubertin la possibile alternativa a Borghetto Flaminio. Me ne parla. Andiamo da Antonio Cederna che ne è subito entusiasta. Con Giovanni Pieraccini, presidente degli Amici dell’Opera, assiduo a Santa Cecilia, organizziamo la prima presentazione insieme ad un’altra area del tutto improbabile. Una furbata a fin di bene. Quando il sindaco Franco Carraro fissa per l’11 giugno 1991 la data entro cui decidere in Consiglio l’area, scoppiano polemiche tanto disinteressate quanto accese fra “borghisti” (sostenuti da Repubblica e Mes- left 30 marzo 2013 Nonostante Alemanno, il progetto di Renzo Piano ha rivitalizzato l’intero quartiere saggero) e “flaministi”. L’affascinante perorazione di Antonio Cederna in Campidoglio, il forte intervento di Renato Nicolini e il lavoro politico fra le quinte di Bettini, Salvagni, Borgna e altri del Pds, creano le condizioni per l’inatteso, largo “sì” all’area del Flaminio. Una foto dell’anfiteatro dell’Auditorium di Roma, durante uno spettacolo estivo E ora, come andare oltre? Giovanni Pieraccini propone con forza il concorso internazionale a inviti solo fra quanti hanno già costruito auditorii. Insorgono polemici gli architetti (ricordo Franco Purini). Ma la proposta passa: in Comune c’è un commissario e il suo vice per la Cultura è il docente di architettura Lucio Barbera. Adesso bisogna trovare 2 miliardi e mezzo per invitare dieci progettisti da tutto il mondo e insediare una giuria di ferro... Ce li mette l’Ufficio di Roma Capitale diretto da Nicola Scalzini convinto che sia una buona idea. La giuria, presieduta da Roman Vlad, premia il progetto di Renzo Piano (ora raccontato nel volume Roma III millennio, Hoepli ndr). Siamo al 1994-95. Francesco Rutelli, sindaco dal ’93, ha sempre sostenuto con energia l’Auditorium al Flaminio. Ma non ha soldi. Il “ribaltone” di Bossi porta al governo tecnico di Dini nel quale i Lavori pubblici e l’Ambiente vengono assegnati a Paolo Baratta, musicofilo come pochi. Che riesce a far finanziare interamente allo Stato il progetto di Piano: 254 miliardi di lire, prelevati da Roma Capitale, in tre soli anni. Col ragioniere generale dello Stato, Monorchio, costernato. Il Comune, oltre a metterci l’area, impegna il resto della somma necessaria ed è indubbiamente abile (sindaco Rutelli, assessore alla Cultura Borgna, ai Lavori pubblici, Cecchini e Montino) nel condurre l’appalto e soprattutto il complesso riappalto. Sarà Veltroni a completare l’opera e a varare la gestione delle tre sale e della cavea con Musica per Roma, presieduta, in modo meritorio, da Bettini prima e Borgna poi, direttore generale Carlo Fuortes, presidenti di Santa Cecilia, Bruno Cagli, Luciano Berio, di nuovo Cagli. Un’entusiasmante avventura che, malgrado Alemanno, continua e che ci insegna - per tornare alle imminenti elezioni - che ci vogliono progetti e giuste ambizioni. Ci vuole un’idea di Roma. 53 trasformazione Massimo Fagioli, psichiatra L’identità umana razionale ha sempre avuto il terrore di pensare la nascita umana L’ALTRO oltre me stesso, esiste N on sanno, ma credono che la vita umana inizi dalla prima cellula, detta zigote, che deriva dall’unione del gamete maschile con quello femminile. Fanno finta di credere che la vita umana sia semplice fatto biologico senza nessuna realtà non materiale, ovvero il pensiero. Eppure è evidente che, nell’essere umano, esiste una realtà non materiale. Viene detto pensiero e si manifesta, in modo palese, nel linguaggio articolato. Vidi, da adolescente, che il pensiero che non era coscienza veniva sempre ignorato dai sapienti del linguaggio articolato. E guardavo le opere d’arte, e mi domandavo da dove venisse l’arte di creare immagini. Tutti dicevano che era razionalità cosciente ma, forse, non li credetti mai. Forse, senza coscienza, avevo pensato che venivano dal mondo del sonno, nella notte. I sogni erano stati relegati, dai sapienti, nel mondo delle favole che, dicevano, erano frutto di una mente che non aveva nessun rapporto con la realtà e, pertanto, non avrebbe mai avuto la conoscenza della verità della realtà umana. I sogni, dicevano, erano mandati dagli dei, ed in essi Apollo parlava attraverso la possessione di una donna, detta pitonessa. Pensai che i presocratici e le “tre menti giganti”, che avevano spinto il pensiero verbale della conoscenza della natura, avevano eliminato le figure degli dei che tentavano di spiegare i fatti che accadevano in essa. Ma il pensiero verbale così ottenuto riuscì a portare al sapere dell’uomo la realtà materiale della natura non umana e del corpo umano, ma non riuscì a liberare la mente dall’emergenza, da esso, delle immagini quando la coscienza non c’era. Così la creazione dell’identità umana come razionalità fu una vittoria, che fece un uomo sciancato, su ciò che veniva detto non pensiero perché non razionale. Esistevano soltanto i due terzi di vita in cui, nella veglia, la coscienza è presente e sempre angosciata da quel “male” interno che, ora, viene detto irrazionalità e pazzia, che la ragione non può conoscere. E la memoria, come una leggera nube bianca che entra nella mente come il demone di Socrate o la sostanza aliena dei film di fantascienza, abbozza uno schizzo di poche linee che indicano in silenzio un termine verbale, nascita, che compare sulla carta bianca come se fosse la parola distruzione. E non so né come né quando comparve nella mente il pensiero informe che balbettava “la violenza umana che produce alterazioni della realtà materiale che vanno verso il «non essere», chiamate distruzione non potrà mai vedere la verità della realtà umana non percepibile dai cinque sensi della coscienza”. Non so quando, non so come, giunsi a pensare che il termine distruzione era un linguaggio articolato imparato senza che fosse compreso. Poi, timoroso di diventare superbo, vidi che neppure i poeti, salvo Montale in «Un mattino andando...» avevano compreso che il senso, nella parola distruzione, non c’era. Ricordo, che vidi il termine sparizione nel lavoro di interpretazione dei sogni, anche se avevo sempre guardato con sospetto la storia del rocchetto che spariva al di là della sponda del lettino, raccontata in Al di là del principio del piacere. Rilevai subito che la storia che lessi dell’ “istinto di morte” come “vescichetta che si rompe”, ovvero si distrugge, era molto stupida. Era interessante che il bambino, dopo la morte della madre, davanti allo specchio si accucciava e «faceva sparire se stesso». E vidi che sparire non era distruggere. Il termine, esistente nella sua forma percepibile, non era parola perché non aveva mai parlato della realtà non materiale. Non avevo mai udito né letto una composizione del linguaggio articolato che avvicinasse il termine sparizione a “rendere non esistente”. E mai neppure una allusione ad un nesso tra questi termini ed il termine pulsione. Compresi presto che non c’era mai stata una mente che fosse riuscita a separarsi dal pensiero umano della veglia e della coscienza. Non so perché. Ma so con certezza che vidi il termine credere: credere alla non esistenza di una realtà umana che esiste. E vennero le parole: fantasia di sparizione. Ha negato, alterandolo, il termine trasformazione 54 30 marzo 2013 left left.it Monstrum del nulla che toglie la vita l’uno all’altro e l’altro all’uno. Fantasia, parola che fa comparire, si accompagna alla creazione del «non», sparizione. Non so quando, non so come venne alla mente cosciente il movimento che, avvicinando i due termini verbali creò una parola nuova. Fondendoli l’uno all’altro li faceva sparire entrambi nel loro significato. Nella differenza dall’animalità dava un senso alla vita umana nel suo essere natura e non più esistenza per la “creatività” di un “essere” che non è umano. Non so perché ma sono certo che, nella ricerca, va sempre ricordato quel momento in cui una ferita, che poteva essere vissuta come sfregio del volto per la lesione all’occhio sinistro, diventò ricreazione della mente che sentiva e “vedeva”, senza parola, l’invisibile alla coscienza. E, nel passare degli anni, compresi la realizzazione del bambino che a pochi mesi di vita, riconosce se stesso allo specchio. Poi vidi che le alterazioni della realtà visibile del volto potevano essere vissute, senza che la coscienza se ne rendesse conto, come alterazioni dell’identità che si crea alla nascita. E, con la logica che rischia di diventare astratta, penso che l’inconscio del coetaneo violento che diceva che, quando si masturbava dal suo pene usciva pus, avesse voluto ledere la realtà mentale che si crea alla nascita dalla realtà biologica. E così, più di quarantadue anni fa, scrissi: fantasia di sparizione e inconscio mare calmo. Dissi, in linguaggio articolato, la verità della nascita umana sempre vista nella sua realtà biologica, mai pensata nella sua realtà del pensiero. Poi scrissi: movimento, tempo, pulsione, fantasia di sparizione. È il linguaggio articolato che tenta di unirsi alle realtà invisibili della mente umana per dare quel “conosci te stesso” che è l’obbligo di essere, esseri umani. Spesso, da qualche anno, sento voci grosse e dolci che mi dicono: “Non ho capito il momento della nascita umana su cui hai detto le quattro parole cambiando il loro posto”. Ed è ormai difficile trovare un corso di parole che potrebbe essere più chiaro. Là, in quel mondo umano surreale della seduta di psicoterapia di gruppo, potrei fare l’interpretazione, qui non è lecita, che la domanda che sembra un lamento, è una negazione. La reazione violenta alla realizzazione che, dopo quaranta anni di violenze ed insulti, le idee sulla nascita umana si sono confermate valide. Altrimenti dovrò pregare un poeta, le cui parole esprimono il senso e non il significato degli oggetti percepiti ed emettono un suono... senza immagine, di trasformare in parole i termini verbali che la negazione della nascita umana ha reso sterili. Non è stato mai possibile fare l’immagine della nascita, come creazione del pensiero. Abbiamo realizzato la conoscenza della nascita con la ricreazione dell’inconoscibile, primo momento della vita che diventerà linea La memoria ricrea le immagini che lo studente di medicina aveva formato. E sono memorie-fantasia dell’esperienza vissuta con le donne. Ma il pensiero verbale prevarica la fantasia che parla per immagini, e pensa alla fantasia di sparizione. Sono parole e non riesco a pensare “memoria-fantasia dell’esperienza avuta”. E viene alla mente soltanto la parola: pulsione. Essa, forse, sta “prima” della memoriafantasia. Forse Trieb, perché nell’Italia catto-fascista nessuno aveva pensato che l’essere umano non ha istinti, e la parola pulsione aveva vissuto una esistenza senza vita. Tutti pensavano che la nascita era «essere gettato nel mondo». Ma anche Trieb non aveva mai vissuto nella lingua straniera che non era neolatina. Non era stata mai distinta da istinto, ovvero dalla realtà animale ovvero non umana. Ed io scrissi: Istinto di morte e conoscenza, perché sapevo che non era distruzione. La pulsione fa vivere la vita dell’essere umano con l’essere che è sapienza senza linguaggio articolato. È indifferenza verso il mondo non umano perché non è uguale a se stesso. L’unica verità è la certezza dell’esistenza di un essere umano come se stesso. La conoscenza diventa così parola elevandosi oltre la ragione che capisce soltanto la realtà materiale della natura. ...la nascita umana è fare una biologia “altra” rispetto a quella del feto... left 30 marzo 2013 55 cultura left.it laseconda vita delDuca Bianco di Michele Manzotti da Londra Dopo sei anni di silenzio, a 66 anni David Bowie torna con un disco che guarda al futuro. E con una mostra al Victoria and Albert Museum che ripercorre tutte le sue metamorfosi di artista I cultori degli anni Settanta possono finalmente ammirare da vicino quella che è la sua divisa più nota: il costume di Ziggy Stardust del 1972 disegnato da Freddie Burretti. Oppure le creazioni dello stilista giapponese Kansai Yamamoto per il tour di Aladdin Sane del 1973, esotiche e affascinanti. Mentre i fan delle copertine dei dischi vengono “catturati” dal cappotto con la Union Jack disegnato da Alexander Mc Queen per l’album Earthling del 1997. Stiamo parlando di David Bowie, uno dei più importanti artisti e interpreti rock dei nostri tempi oltre che fenomeno di costume. Proprio per questo, Bowie è degno protagonista di una mostra inaugurata da poco al Victoria and Albert Museum di Londra e che durerà fino all’11 agosto (orari e informazioni www. vam.ac.uk). Un’occasione per esplorare, grazie a immagini e materiale di vario genere il processo creativo del Duca bianco (così è spesso soprannominato) come innovatore musicale e icona culturale, ricostruendo l’evoluzione del suo stile con la costante del cambiamento attraverso cinquant’anni di attività. I curatori della mostra Victoria Broackers e Geoffrey Marsh hanno selezionato più di 300 oggetti dagli archivi di Bowie, che per la prima volta 30 marzo 2013 left cultura left.it saranno riuniti e visibili nello stresso luogo. Nelle stanze del museo londinese sono stati raggruppati testi scritti a mano, costumi originali, foto, film, video musicali, bozzetti oltre agli strumenti dello stesso Bowie e il lavoro sulle copertine degli album. Un modo per capire come il look e la musica dell’artista hanno influenzato e sono stati a loro volta influenzati da un vasto numero di movimenti artistici, di design e di cultura contemporanea in genere. «David Bowie - spiega Martin Roth, direttore del Victoria and Albert Museum che si è avvalso del marchio Gucci come partner - è una vera a propria icona. E lo è in modo ancora più rilevante oggi per la cultura popolare. Più che negli anni passati. La sua innovazione radicale attraverso la musica, il teatro, la moda e lo stile compare ancora oggi nel design e nella cultura visiva e continua a ispirare artisti in tutto il mondo. Siamo veramente orgogliosi di presentare la prima mostra in assoluto che prende il materiale dagli archivi di Bowie». Tra le curiosità che si incontrano lungo il percorso espositivo ecco le foto scattate da Brian Duffy, Terry O’Neill, Masayoshi Sukita (il fotografo di “Heroes”), gli artwork delle copertine degli album disegnate da Guy Pellaert ed Edward Bell, estratti visivi da film ed esibizioni dal vivo tra cui quelle da The man who fell the earth (1976) e dal Saturday night live (1979), video musicali come Boys keep swinging (1979) e Let’s dance (1983) e bozzetti di scenografie creati per il tour di Diamond Dogs (1974). Dagli archivi privati sono spuntati fuori anche soggetti inediti, scalette dei concerti scritte a mano e testi di canzoni così come spartiti e annotazioni fatte giorno per giorno che mostrano l’evoluzione di alcune idee musicali. Ma c’è anche un aspetto che sicuramente incuriosirà il visitatore, quello che mostra l’attività del giovane David Robert Jones (questo il nome di Bowie, nato nel quartiere londinese di Brixton nel 1947) prima del grande successo di Space oddity del 1969. Da bravo musicista che comincia l’attività negli anni sessanta del secolo passato, il giovane David si muove attraverso vari stili: da quello Mod al folk, dal Rhythm’n’Blues alla congiunzione tra musica e mimica, tutti elementi che confluiranno nelle sue canzoni. Oltre alle foto di quel periodo e delle prime formazioni di Bowie (The Kon-rads e The King Bees), sono stati selezionati anche gli Lp dei suoi eroi musicali, left 30 marzo 2013 a partire da Little Richard. Infine la Bbc ha dato il suo contributo con un documentario che sarà trasmesso dal secondo canale dell’emittente nel prossimo maggio e basato sul materiale della mostra oltre che focalizzato su cinque anni (1971, 1975, 1977, 1980 e 1983) fondamentali per la sua attività. Un ritratto del regista Patrice Leconte. E alcune immagini del suo ultimo film di animazione, La bottega dei suicidi La mostra del Victoria and Albert Museum coincide con l’uscita del disco The next day, che ha già raggiunto il primo posto delle classifiche di vendita in Gran Bretagna (l’ultimo numero uno del Duca bianco risaliva al 1993, con “Black tie white noise”). Un album molto atteso a dieci anni dall’ultima produzione, lanciato a gennaio dal singolo “Where are we now?” e con il video di un altro brano (“The Stars”) interpretato con l’attrice Tilda Swinton. Il successo quasi istantaneo del disco può essere spiegato non solo dal grande nome dell’artista, ma dal fatto che paradossalmente The next day è un album tutt’altro che semplice. Si tratta infatti di quei prodotti da apprezzare ascolto dopo ascolto, tipici dei grandi artisti che non amano riposare sugli allori e dove convivono in uguale misura passato e presente. Inciso a New York con la produzione di Tony Visconti e con la copertina che rimanda a quella di Heroes, l’album ha un carattere prevalentemente rock, con un pizzico di sperimentazione (si ascolti “If you can see me” e la divertente “Dancing out in Space”) e qualche traccia di anima punk (“Dirty boys”). Ma c’è anche il Bowie delle grandi ballate dall’ispirata melodia come la già citata e intimista “Where are we now?” e “You feel so lonely you could die dal carattere soul”. Per arrivare a un finale di grande effetto quale è “Heat”, una sorta di inno dark che al tempo stesso guarda al futuro. Le sessioni di registrazione per The next day hanno infatti generato ben 29 brani e forse non dovremmo aspettare altri dieci anni per un nuovo album di Bowie. David Bowie in una foto recente e in alto in una serie di ritratti anni Settanta e Ottanta puntocritico cultura left.it arte di Simona Maggiorelli Restituire l’arte ai cittadini Due fotogrammi dal film Gli amanti passeggeri di Almodovar cinema di Morando Morandini Sul pazzo aereo di Almodovar G li amanti passeggeri è la storia di un altro aereo più pazzo del mondo all’insegna di una claustrofobia di tipo catastrofico. Sul volo 2549 intercontinentale della compagnia spagnola Peninsula, in partenza da Barajas e diretto a Città del Messico, un guasto tecnico a un carrello mette a rischio la vita dei passeggeri e dell’equipaggio. I viaggiatori sono stati drogati: in Economy, la classe più affollata, tutti sono addormentati, in preda agli ansiolitici; in Business hanno provveduto con una vecchia combinazione anni 80 (champagne, vodka, succo di aranci), mischiata a una dose mescaline sintetiche, miscela che rende la gente più socievole, disinibita. Ma intuiscono che sta succedendo qualcosa, anche se l’equipaggio ha avuto un ordine tassativo di tacere. In questa commedia irrealista, metaforica e succinta succede di tutto, anche un cellulare che sfugge di mano a una donna che sta per buttarsi da un grattacielo e va finire nel cestino della bici di una ragazza carina, ex innamorata dello stesso uomo della suicida. Secondo Pedro Almodovar - di cui Gli amanti passegeri è l’opus n. 20 - la vita tra le nuvole è complicata come lo è sulla Terra per le solite due ragioni sostanziali: il sesso e la morte. Tra i passeggeri c’è una coppia di sposi novelli, due coatti sfiniti dai bagordi della loro festa di nozze; un finanziere truffatore senza scrupoli, un padre infelice per l’abbandono della figlia; un seduttore incallito con la coscienza sporca, intento a scaricare alcune fra le tante sue sedotte; veggente rurale; una specialista di cronaca rosa, una matura vergine, che profitta della situazione per non esserlo più, un messicano na58 sconde un segreto inconfessabile. Tutti hanno progetti di lavoro o di fuga a Città del Messico; quasi tutti hanno, o sembra che abbiano, un segreto da nascondere, l’impotenza di fronte al pericolo provoca tra i passeggeri equipaggio una catarsi generali che diventa un modo di sfuggire al pensiero della morte, ma non a quello del sesso. Secondo il ministro madrileno dei Trasporti in Spagna esistono 17 aeroporti inutili, senza senso né uso. Uno è quello de La Mancha, vicino a Toledo che, però, ha una pista molto lunga. I due piloti ricevono l’ordine di atterrarvi. Perciò, dopo un’ora e mezzo, l’aereo comincia a girare a 5mila metri di altezza nel cielo di Toledo in attesa che a terra siano pronti ad accoglierlo. Dentro l’aereo l’azione si svolge in quattro zone: a) la cabina di pilotaggio, ogni tanto invasa da qualche passeggero ansioso e preoccupato; i due piloti sono i soli a non aver perduto la calma; uno dei due è un bisessuale con famiglia, l’altro un seduttore di donne: concordano nel dirsi che con un uomo è meglio; b) il gallery, spazio ridottissimo per tre giovani steward froci, uno dei quali è un alcolizzato che non può mentire; c) l’Economy; d) la Business dove Almodovar recupera il suo strambo umorismo degli anni 80, aggiornandolo alla Spagna del primo Duemila. Gli amanti passeggeri è una commedia svitata e lunatica in cui Almodovar ha per modello certi film hollywoodiani anni 30, ma possiede anche una morale: i personaggi rimangono uguali, ma imparano qualcosa su se stessi e non mentono più a se stessi né agli altri. Non perdere i titoli di testa e fare attenzione alle luci delle fotografie di José Luis Alcaine. U na legislatura vissuta pericolosamente. Dalla scuola, dall’università ma anche e soprattutto dal patrimonio d’arte. Così Tomaso Montanari racconta, con lingua viva e tagliente, ciò che è accaduto in Italia sotto l’egida del ministro dei Beni culturali Lorenzo Ornaghi «l’unico ministro incompetente di un governo tecnico», che, per giunta «ha moltiplicato intorno a sé l’incompetenza come fossero pani e pesci» scrive lo storico dell’arte dell’università di Napoli nel suo nuovo libro Le pietre e il popolo, restituire ai cittadini l’arte e la storia delle città italiane (Minimum Fax). Un volume che stigmatizza il vuoto culturale e la mancanza di strategie che ha connotato il governo Monti. Che ha finito per proseguire sulla strada dello smantellamento del bene comune perpetrata dal governo Berlusconi e dalla “finanza creativa” di Tremonti con famigerate cartolarizzazioni (per far cassa), scandalosi condoni e svendite di interi pezzi di patrimonio pubblico. Ne Le pietre e il popolo Montanari ci mostra come questo tipo di scellerata politica che attacca l’articolo 9 della Costituzione e il Codice dei beni culturali sia stata praticata anche dal governo tecnico, in doppio petto e nascosto sotto il credito internazionale. Un esempio per tutti. Il ministro Ornaghi nel 2012 ha nominato direttore della biblioteca Il sindaco Renzi alla ricerca della Battaglia di Anghiari 30 marzo 2013 left cultura left.it Girolamini di Napoli tal Marino Massimo De Caro, con alle spalle molteplici lavori fra cui anche l’aver gestito una libreria antiquaria a Verona e intimo amico di Marcello Dell’Utri. Nel capitolo “La danza macabra di Napoli”, Montanari tratteggia il suo incontro con l’improbabile direttore preposto alla tutela della biblioteca dove andava a studiare Vico: fra cani che si aggiravano con ossi in bocca fra rari incunaboli e bionde presenze sgattaiolate al suo arrivo. Ma soprattutto racconta come a poco a poco il suo lavoro di storico dell’arte sia diventato quello di un giornalista d’inchiesta che riesce abilmente a mettere insieme tutti i pezzi del puzzle della clamorosa truffa che, poche settimane fa, ha portato alla condanna di De Caro a sette anni di carcere per aver sottratto duemila libri alla Girolamini. Ma l’appassionato lavoro di difesa del patrimonio d’arte e del suo valore civico che Montanari svolge da diversi anni parallelamente alla sua attività accademica e di studioso del Seicento si concretizza in questo libro anche in ficcanti pagine di denuncia delle privatizzazioni mascherate che passano, per esempio, attraverso la creazioni di Fondazioni (vedi il museo Egizio di Torino e il rischio che corre Brera). Da questo punto di vista va detto che la vena più caustica e corrosiva di Montanari si appunta sull’amministrazione della sua Firenze. In pagine che non esiteremmo a definire esilaranti, se non fosse tragico il senso che ci trasmettono. Alla sbarra c’è l’improvvida politica di valorizzazione dei beni culturali ridotta a mero marketing da parte del sindaco Matteo Renzi, che oltre ad aver bucherellato gli affreschi di Vasari alla ricerca di lacerti della Battaglia di Anghiari di Leonardo e ad aver pensato di sostituirsi a Michelangelo nel completare la facciata di San Lorenzo, ha affidato il suo pensum, sui beni culturali «petrolio d’Italia» a un imbarazzante libro come Stil Novo (Rizzoli), soprattutto ha eletto a suo Ganimede il vicesindaco Dario Nardella che, come ci ricorda Montanari, «dal 2003 caldeggia la cessione degli Uffizi a una fondazione». left 30 marzo 2013 libri di Filippo La Porta In Magna Grecia con Adele N ei miti greci c’è già tutto quel che si deve sapere sulla condizione umana. Adele Cambria, grande giornalista, ha scritto un libro bello e utilissimo che ripercorre i miti dell’antichità: In viaggio con la zia (Città del Sole). Attraverso un viaggio nella Magna Grecia con due nipotine, Cambria ci racconta di nuovo le storie di Core e Demetra, di Pentesilea e Achille, di Hera, di Aretusa e Alfeo, di Didone ed Enea, fino alla Grande Dea, figura primigenia che prima del pantheon maschile presiedeva al cosmo. Una mini enciclopedia di miti, riletti con uno sguardo femminista (esplicitamente “ideologico”) e alla luce del presente (ad es. sulla spiaggia di Erice le madri troiane sono paragonate alle donne curde), seguendo il magistero di studiosi come Graves (per il quale il matriarcato domina fino al 400 a.C.), Hillmann, Bachofen, Kereny e poi citando i libri fondamentali di Kleist, Wolf, D’Arrigo, Yourcenar. Le due ragazzine, Nora (sua nipote) e la russa Yelena (ricalcata su una ragazzina reale, polacca, figlia della badante della madre di Adele, e alla quale lei leggeva le fiabe di Calvino), ogni tanto prendono in giro la “zietta” («zia Cassandra»): sono a lei devote ma irriverenti: contestano la storia di Persefone perché accetta di sposare il suo rapitore, Ade. Il tocco dell’autrice è lievissimo: riesce a dire anche cose gravi, o drammatiche, con una pronuncia giocosa, a volte persino frivola. Ed è una donna del Sud. Non c’è riga che non esprima un amore per la vita “meridiano”, sensuale, pagano, un senso della felicità tragico e solare, accecante ed estatico (il «vaporoso celeste» dello Jonio, che dilaga fino all’orizzonte sconfinato, ricorda Camus). Il viaggio è pieno di sorprese. Così ci imbattiamo in una suora di clausura laureata in Sartre che spiega come le due imposizioni sulla donna - il velo (Islam) e il nudo come merce (Occidente) - rispondono a un desiderio femminile (degradato): il velo per proteggersi dall’offesa dello sguardo maschile che fruga le donne in pubblico e il denudamento come piacere di esibirsi. Infine: accennavo all’ideologia rivendicata dall’autrice, al suo mescolare impegno e filologia. Citando Nosside, poetessa del III secolo a.C. scopriamo che a Locri le principesse greche avevano instaurato una “ginecograzia”: esercitavano il potere non con le armi ma con la poesia. L’eredità di antigone di Riccardo Michelucci, Odoya, 278 pagine 18 euro Il prezzo della disuguaglianza di Joseph E. Stiglitz, Einaudi, XXXVI-476 pagine 23 euro FRESCO SULLE LABBRA FUOCO NEL CUORE di Hanan Al-Shaykh, Piemme, 294 pagine 17,50 euro scaffale Dall’Afghanistan agli Usa, dall’Argentina al Sudafrica. E oltre. Michelucci ci guida in un appassionante viaggio facendoci scoprire le storie di donne che, nei vari angoli del mondo, hanno lottato per i diritti civili e la libertà, affrontando e sfidando l’antico conflitto tra imperativo morale e potere. Con una prefazione di Emma Bonino. L‘America è oggi il Paese avanzato con la maggiore disuguaglianza del pianeta. In questi ultimi anni gli interessi consolidati dell’1 per cento della popolazione hanno prevaricato quelli del 99 per cento. Il Premio Nobel Joseph Stiglitz spiega le ragioni e le conseguenze di questa disuguaglianza. Dalla scrittrice libanese, autrice de La sposa ribelle, un romanzo che racconta l’emigrazione nella multietnica Londra, a partire da un volo durante il quale la protagonista incontra una ragazza marocchina, un inglese studioso di arti islamiche, un mondo variegato che le fa sperare in un futuro diverso e più aperto al dialogo. 59 bazar cultura left.it buonvivere Il personaggio di Elena Pandolfi Marco scala il K2 Marco Bocci che ha interpretato Walter Bonatti nella fiction di Rai1 D i attori belli, con gli occhi verdi e i capelli scompigliati ce ne sono tanti, ma Marco Bocci ha qualcosa di diverso. Lo sguardo, apparentemente torvo, tradisce un’inclinazione all’esuberanza, trasmettendo anche spontaneità e stupore. Le fan lo rincorrono. Marco scappa. Spesso torna a Marsciano, in provincia di Perugia, dove è nato. È giovane ma ha già molta esperienza. L’esordio con Pupi Avati ne I cavalieri che fecero l’impresa, poi con più successo nelle serie televisive come Incantesimo, Ho sposato uno sbirro e Romanzo criminale. La popolarità l’ha raggiunta con il personaggio del vicequestore Domenico Calcaterra, nella fiction di Canale 5 Squadra antimafia. E adesso la fiction K2 la montagna degli italiani in onda su Rai1, dove ha interpretato Walter Bonatti l’alpinista che partecipò nel 1954 alla storica impresa capitanata da Ardito Ardesio. Il set del film era a 3.500 metri sul ghiacciaio tirolese di Solden. Chi era Walter Bonatti? Era un eroe naturale, un semplice e un ottimista. Un uomo coraggioso sia nell’approccio alla vita che nella sfida continua nel raggiungimento dei suoi obiettivi. Ho imparato tanto da lui. Avvicinandomi all’alpinismo, ho capito bene cosa voleva 60 dire Bonatti quando raccontava la sensazione straordinaria che provava nell’essere su quella montagna. Quando sei lassù, a quelle temperature, sotto lo zero, e con tutte le difficoltà, devi avere un controllo perfetto del corpo e della mente. Bisogna imparare a dosare le emozioni senza entrare nel panico, e soprattutto fare le scelte giuste. Così come nella vita, sapere che ogni scelta porta delle conseguenze. Sembra banale, ma nelle situazioni estreme lo capisci meglio. Sta ultimando le riprese di Squadra antimafia. Come si può combattere la criminalità? È una battaglia dura ma non impossibile. Ho conosciuto tante persone che fanno questo mestiere nella vita reale: questori, commissari, marescialli. Rappresentano una speranza. Sono persone che dedicano la vita a questa missione. Per l’otto marzo ha partecipato alla campagna di sensibilizzazione contro la violenza sulle donne. Pensa che queste iniziative servano a cambiare le cose? Una fotografia (era con Gigi Buffon e Matteo Marzotto con i tacchi a spillo, ndr) non basta, è solo un modo per farci riflettere un po’. In realtà bisogna cambiare la mentalità a partire dall’educazione al rispetto per tutti, soprattutto per le donne. In questo momento di crisi come giovane e attore pensa di poter fare qualcosa? Io adesso mi sto dando molto da fare per il mio lavoro, non mi fermo un attimo. Non credo che da solo un individuo possa risollevare le sorti dell’Italia, ma anche solo fare bene il proprio mestiere con entusiasmo, correttezza e disciplina, può in qualche maniera contribuire a rendere migliore tutto il resto. L’etica individuale è molto importante per cambiare la mentalità di un Paese. di Giulia Ricci Pago con il tempomat C on la crisi il denaro, è vero, non c’è. Ma potrebbe anche non essere necessario. Basterebbe pagare in un altro modo... Esiste una moneta invisibile e universale. Il tempo. L’idraulico ha impiegato un’ora per riparare un rubinetto? Bene, può essere ricompensato con una lezione d’inglese per il figlio, o un taglio di capelli. E così via, lavoro in cambio di lavoro. E finalmente rispettando il concetto di uguaglianza, perché «l’ora di un avvocato è uguale a quella di un operaio», dice Leonina Grossi, assessore della Provincia di Rimini che nel ‘95 ha dato vita ad una delle prime banche del tempo in Italia e che fa parte del direttivo dell’associazione nazionale. Il tempo assume ancora più valore. Così anche il lavoro. E poi si socializza. Mica male, di questi tempi... (Elenco delle sedi e modalità di adesione su www. associazionenazionalebdt.it). Tendenze di Sara Fanelli Coloriamoci L a primavera-estate 2013 si prospetta leggera, spensierata e rilassata, almeno in fatto di moda. Voglia di lasciarsi alle spalle i colori e i pensieri plumbei dell’inverno. L’aria sarà all’insegna del colore e della gioia. Vizi, vezzi e frivolezze. C’è bisogno di semplicità. Tutto ritorna in chiave decisamente contemporanea. Il bianco farà da padrone. Tutto sarà costellato da trasparenze, veli, ricami e sovrapposizioni. E poi anche i colori vivi, pieni, brillanti, squillanti: il giallo, l’arancio, il verde e il fucsia. Ogni anno viene pubblicato il Fashion color 30 marzo 2013 left cultura left.it di Bebo Storti il taccuino Docufilm di Camilla Bernacchioni In fondo. Espulsi e offesi «C i dicono di tornare a casa ma noi non vogliamo, nel nostro Paese ci opprimono». Storie di ordinarie frustrazioni e violenze psicologiche e non solo si intrecciano nel potente Vol spécial del regista Fernand Melgar che dopo il pluripremiato La Forteresse sulle condizioni di accoglienza dei richiedenti asilo in Svizzera, sposta l’attenzione sui rimpatri forzati degli stranieri in situazione irregolare. Distribuito con metodo “civile” da ZaLab, che organizza proiezioni fuori dai circuiti commerciali onnivori e lampo, è il primo documentario in Europa realizzato all’interno di una struttura di detenzione amministrativa, quella di Frambois, a Ginevra, uno dei 28 centri di espulsione per sans papiers elvetici. Girato in tre mesi dopo sei di sopralluoghi nella struttura, il documentario mostra immagini di vita quotidiana Un’immagine del documentario Vol spécial del personale, ma soprattutto le storie dei reclusi in attesa di espulsione e gli assurdi ingranaggi amministrativi. Alcuni di loro sono in Svizzera da anni, quasi tutti africani, hanno una famiglia, lavorano, versano i contributi e mandano i figli a scuola. Fino a che un giorno i servizi cantonali di immigrazione decidono arbitrariamente di chiuderli in carcere per garantire il loro rientro nei paesi di origine dove la maggior parte di loro non vuole tornare perché perseguitato. Han- report di Pantone, uno studio tecnico che rintraccia e prevede le tonalità di moda in una particolare stagione. Anche per il 2013 è stato individuato un gruppo di dieci tonalità che “coloreranno” il guardaroba primaverile: Monaco Blue, Dusk Blue, Emerald, Grayed Jade, Linen, Poppy Red, African Violets, Tender Shoots, Lemon Zest e Nectarine, saranno le nuance più alla moda. Vietati alle timide, alle pallidine. Ma consigliatissimi a tutte le altre. Per la sera, via libera a paillette, strass e pietre colorate. Vanno alla grande anche i colori pastello: rosa cipria, beige, verde menta e glicine. Alternateli come in un bouquet flo- left 30 marzo 2013 no tre possibilità: il rilascio, una partenza da liberi oppure un viaggio di ritorno, sotto scorta e blindato, ai luoghi di origine. E al loro rifiuto di partire vengono legati e ammanettati, costretti a indossare elmetti e pannolini, imbarcati a forza su un aereo. Melgar, regista, produttore indipendente e autodidatta, osserva la realtà, non giudica, ma con la forza delle immagini riesce a risvegliare le coscienze. Per organizzare una proiezione scrivere a: [email protected]. reale. Per quanto riguarda i volumi, copritevi con abiti extralong ed extralarge, ampi e leggeri. In tinta unita, in pizzo di sangallo, in stampa fantasia. Ciò che conta è che accarezzino il suolo. Un must sarà poi lo smoking con rever bianco a contrasto. Per quanto riguarda le decorazioni, potete vincere la partita del trend più cool, accaparrandovi sostanzialmente: righe, soprattutto in versione macro, tipo sdraio di Riccione anni 70, le ruches e la stampa pitone, anche e soprattutto in versione patchwork o colorfull. Infine per le più estrose che amano l’Oriente, kimono e obi a go-go, da vere geishe metropolitane. Cari elettori, il tempo delle illusioni sembra finito. Chi di voi aveva, dopo il voto, nutrito delle aspettative, sarà lì che se la mena e se la rimena “ma perché ho votato il tapparella (Bersy)ma perché ho votato un comico, e ho subito smesso di ridere” e via così, ma le cattive notizie non arrivano mai sole, e così oggi veniamo a sapere che uno, che si è beccato 7 anni per mafia, ha fondato un partito di plastica e ha detto di un pluriomicida che era un eroe, può andarsene a casa e dormire fra 4 guanciali, tanto in galera non ci andrà mai. Di aggiunta però, per compensare, ora sappiamo che se ti fai fare un servizietto, strapagato, da una minorenne, la puoi tirare lunga, se poi te lo fanno anche due ministre e una consigliera regionale, arriva uno e ti propone per un premio per la tua lotta contro la mafia. Anche se avevi uno stalliere assassino. Di contro, ci solleva sapere che se uno ha un figlio che non capisce una ceppa ha la reattività di un tonno morto e l’intelligenza di una vongola, lo può mettere come vice di Bersani, se parte l’inciucione, chiaro. Per carico da 11, basta mandare dei pullman nella provincia di Roma, cacciare 60 euri a persona, scrivere dei cartelli tutti uguali, affittare una piazza, e sembri ancora vivo. Anche se ormai anche a Lourdes si toccano i maroni quando ti vedono arrivare. Quindi elettori diletti cosa hanno prodotto 300 milioni di euri e aver votato? Che avremo un governo sempre in bilico con 5stelle,formato da Alfano Ruby la Minetti e Balotelli. Beh, poteva andare peggio, potevano riesumare Menghele Rasputin e Landrou. 61 [email protected] cultura BOLOGNA Festival Monster Dal 12 al 17 aprile, torna l’atteso Future film festival dedicato alle nuove tecnologie applicate all’animazione e ai media. I mostri sono il tema di questa XV edizione della kermesse che come ogni anno non mancherà di lanciare mode e tendenze. Il motto c’è già: Tweet the monster. tORINO milano VENEZIA La favola di Psiche Palazzo Barolo ospita dal 27 marzo al 16 giugno la mostra Amore e Psiche, che propone un percorso alla scoperta delle rappresentazioni iconocrafiche che gli artisti hanno dedicato a questa millenaria favola di Amore e Psiche. Con la geniale invenzione di Canova. ROMA cuneo L’Ulisse di Bob Wilson Tutto Stingel a Palazzo Grassi Il teatro Strehler ospiterà, dal 3 al 24 aprile, Odyssey, l’ultimo spettacolo teatrale firmato da Robert Wilson. Dopo cinque mesi di repliche ad Atene, arriva anche in Italia l’allestimento del poema epico, nella versione in greco moderno tratta dal testo del poeta inglese Simon Armitage. E qui la figura di Ulisse permette di affrontare temi modernissimi. Lo spettacolo nasce da una collaborazione col Teatro nazionale di Grecia. GENOVA Un’importante personale del pittore Rudolf Stingel a Palazzo Grassi. La mostra, curata dallo stesso artista, è la più completa monografica a lui dedicata in Europa. Saranno esposte circa quaranta opere - tutti dipinti - alcune di proprietà dell’artista, altre provenienti dalla collezione François Pinault e da collezioni private internazionali. La mostra sarà aperta al pubblico dal 7 aprile al 31 dicembre. PADOVA Magie di Salgado Cucina è arte? Food, Philosophy and Art - Cibo, Filosofia e Arte è il convegno organizzato dall’università di Scienze gastronomiche di Pollenzo dal 4 al 5 aprile. Il rapporto tra cucina, estetica e arte sarà discusso da filosofi, semiologi e cuochi. 62 Apre al pubblico dal 15 maggio presso il museo dell’Ara Pacis la mostra Genesi. Fotografie di Sebastiao Salgado. In mostra oltre 200 fotografie, frutto del lavoro di Salgado, andato alla ricerca di parti di mondo ancora incontaminate, non sfigurate dall’uomo. Aperta fino al 15 settembre, catalogo Contrasto. Genova fiorisce Obiettivo Padova La città della Lanterna vive al meglio la primavera. Dal 9 marzo è stato inaugurato Wow! Genova science centre, il primo Science centre in Italia. La prima mostra visitabile è Brain, the world inside your head, dedicata al cervello umano. A Palazzo Ducale fino al 7 aprile due mostre di grande rilievo: Mirò. Poesia e luce, con oltre 80 lavori; e l’allestimento fotografico Steve McCurry. Viaggio intorno all’uomo. Si apre il Padova fotografia festival. Il tema scelto per la prima edizione è Alone Inside. Through Society. Guarda alle relazioni contradditorie tra uomo, identità e luoghi, viste attraverso la macchina fotografica. Fino al 6 aprile è possibile visitare numerose mostre oltre a workshop, incontri, letture di portfolio. Un festival giovane e indipendente che presenta, tra i tanti, autori come Valentina Vannicola, Carlo Bevilacqua, Alessandro Serranò, Michael Frank. 30 marzo 2013 left