Il pozzo - Poesia a Carignano

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Il pozzo - Poesia a Carignano
Il pozzo
Quando ero cieca, dovuto a un problema al cuore, ero anche posseduta da un forte
sentimento di passione che non mi permetteva di vedere oltre dentro te e così ho passato un lungo
periodo della mia vita nell’oscurità assoluta.
A volte pregavo Dio e altre invece pregavo l’amore. Ma non ho mai pregato per vedere.
Io, in verità, pregavo te, la mia divinità assoluta, la cui mi sono devota con fedeltà e
adorazione, senza mai ribellarmi e senza mai disobbedire. Esattamente come una monaca invoca il
suo signore, io ero lì seguace dei tuoi desideri.
Tu, dio venerabile, unico e saggio nell’arte di profanare, potente e supremo. Il tuo profumo
inebriante era l’oppio che mi stordiva lasciandomi senza identità, senza lucidità e senza
pudore…carne da macello. Ogni giorno attraverso i tuoi insegnamenti mi plasmavi e mi rendevi
fragile ed incapace di distinguere il bene dal male. Tuttavia io mi sentivo immensamente felice.
Per tutto il tempo che abbiamo passato insieme, io soddisfacevo le tue necessità ed i tuoi
desideri profani. Ti ho seguito ovunque e per amore realizzavo tutto ciò che mi chiedevi malgrado
la mia cecità. Ho perfino colmato la tua anima lurida eseguendo sacrifici pagani e mentendo ad ogni
persona che trovavo davanti ai miei occhi chiusi.
Ma io amavo tutto questo, io adoravo te ed il tuo corpo, la tua pelle scura e lucida magari
dalla saliva delle tante monache altrettanto devote a te. Io amavo la tua essenza perchè credevo
fosse giusta per me, fino a quando un giorno senza un motivo tu mi hai abbandonata in fondo ad un
vecchio pozzo così profondo quanto era l’amore mio per te.
All’inizio mi dicevi che era una sorta di esperienza spirituale come prova di coraggio,
privandomi del cibo, dell’acqua ma soprattutto privandomi di te e del tuo amore. Ma più che il
vento soffiava nei lunghi capelli neri delle tue monache, tu di me ti scordavi sempre con più
frequenza ed io ero stravolta, senza un nome, senza un viso, distrutta ed esangue.
Stanca, mi sono seduta per terra dentro il pozzo della mia disperazione non potendo oramai
aspettarti in piedi. Avevo freddo, fame e paura. I giorni e le notti passavano lentamente e con loro il
mio desiderio di sapere quando saresti tornato a prendermi. Credevo stupidamente di aver superato
ogni limite, ogni sorta di dolore e le fobie più terrificanti ma è stato inutile perché poi è passato
tantissimo tempo, non so bene quanto ma forse il triplicarsi delle volte di cui gli insetti si
riproducono, già perché li ho visti in molti, vicino a me, sui muri e su la mia pelle putrefatta senza
le tue carezze.
Avresti dovuto vedere il colore fanghiglia della mia anima frantumata senza il tuo profumo.
Avresti dovuto vedere anche come i l mio sangue caldo che scorreva dalle mie ditta si
mescolava con la terra bagnata mentre io scrivevo il tuo nome sui muri del mio pozzo per tutti
questi lunghissimi anni.
Infine, avresti dovuto sentire come il dolore che incendia dentro il petto può per fino
sembrare ghiaccio quando si viene lasciati in cecità in un posto così orrendo senza luce, senza
acqua pulita e senza aria.
Li dentro ho vissuto con estrema sofferenza l’abbandono e la solitudine, la mancanza del tuo
amore e l’ultimo perché rimasto senza una risposta. Tutto quanto bastava per farmi arrivare alla
malattia e alla pazzia.
Io ti chiamavo, ti scongiuravo di venire a vedermi, di affacciarti, oh mio dio senza pietà, ma
tu non ti sei mai degnato. Eppure lo sapevi dove mi trovavo, ero giù in quel pozzo sotto loggia del
tuo tempio, passavi sempre davanti e facevi finta che non lo vedevi e che non mi sentivi….
Ma certo che mi sentivi! Non potevi non riconoscere la mia voce! Sono sicura che ti
arrivava con il vento dentro tuo cuore malvagio.
Fino a quando in una notte tempestosa qualcuno è riuscito a sentirmi! Io non vedevo
nessuno però e quindi ho gridato:
“Sei tu amore mio? Non ti vedo. Dai, aiutami ad uscire di qui, veloce, ti prego! Oh mio dio
grazie ai cieli sei tornato!”
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“No, io non sono lui, povera illusa che sei!” Rispose la voce. Era una voce femminile.
“Allora tu chi sei e che cosa vuoi qui? Questo pozzo è mio!” Ho detto io alla donna.
“Esci di li, adesso tocca a me starci.” Rispose ancora.
“E perché?” Ho chiesto a lei.
“Perché tu sei solo cieca ma se vuoi puoi ancora vedere invece io no, io sono malata di
tumore, oramai non posso più guarire. Ho passato lo stesso periodo di tempo, mentre tu eri qui in
questo bellissimo posto, ad amare e a sostenere lo stesso uomo. Ho visto e vissuto cose ancora più
brutte ed indescrivibili, non puoi immaginare. Ciò che hai passato non è nulla rispetto a me. Io ho
sacrificato il mio figlio per questo tuo dio profano e lui a me non ha dato niente. Non ha
riconosciuto la mia devozione in tutti questi anni e non sono mai riuscita ad essere la sua monaca
favorita. La rabbia e la delusione hanno preso il posto nella mia anima e sempre di più l’odio mi
consumava il corpo, il cuore e tutti gli organi. Il tumore si è ramificato in ogni parte di me. Adesso è
troppo tardi, non posso guarire, e non voglio guarire. Voglio stare qui ed aspettare di morire. Ed ora
esci per favore, questo pozzo mi appartiene!”
“Va bene, cederò il mio pozzo e ti auguro di morire felice ma ti voglio dire una sola cosa.”
Le ho detto.
“E che cosa?” Mi ha chiesto lei.
“Che in amore non si chiede ma si offre, donna senza fede.”
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