Da “Keats_ The progress of the Odes

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Da “Keats_ The progress of the Odes
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Fiocco Annalisa 0533223
Il canto dell’usignolo: un conflitto tra realtà e
immaginazione
Introduzione
I poeti romantici inglesi ed in particolare Keats
Il genere che predomina nel Romanticismo inglese è la poesia. I poeti romantici
inglesi sono divisi in modo convenzionale in due generazioni. La prima generazione
include William Wordswoth e Samuel Taylor Coleridge; mentre la seconda comprende
Gorge Gordon Byron, Percy Bysshe Shelley e John Keats.
Essi sono i primi a trovarsi di fronte ad un moderno processo di
industrializzazione. Furono ben consapevoli di vivere con profonda angoscia il dramma
di una società impegnata in una rapida trasformazione che stava sovvertendo alcuni
antichi ritmi di vita, sgretolando tradizionali nuclei comunitari, schiacciando
fondamentali diritti e valori umani, in una convulsa ricerca di produzione, profitto,
crescita economica. A volte troviamo in loro incertezza sul ruolo della poesia all’interno
della nuova società, ma altre volte essi si identificano decisamente con precise cause e
categorie, mettendo la loro voce al servizio dei gruppi sociali che stavano subendo un
violento processo di sfruttamento nel rapido e sgretolato sviluppo industriale.
Il tentativo di comunicare specificatamente con lettori popolari induce ad un
recupero di forme metriche elementari e di un linguaggio comune, pregno di ritmi
parlati e colloquiali, stadio del rinnovamento di una tradizione poetica diventata alla
fine del settecento eccessivamente raffinata. Nei poeti romantici inglesi, c’è una lucida
consapevolezza del costo che può comportare il processo di industrializzazione, una
coscienza che si identifica spesso con un deciso rifiuto dell’Inghilterra della
Rivoluzione Industriale. C’è in loro la coscienza che sta scomparendo, o è in estremo
pericolo, la qualità civile della vita, specialmente della vita comunitaria.
L’amore per l’Italia come terra e come civiltà è molto sentito nella seconda
triade dei poeti romantici, Byron, Shelley e Keats. L’Italia diventa per loro un mito, in
perfetta armonia tra ambienti naturali e splendori architettonici, in ciò è implicito il
contrasto con la nuova città-inferno dell’era industriale.
Mentre gli aspetti più esteriori del gusto romantico erano divulgati dappertutto
dai poemi di Byron e dai romanzi di Scott, gli aspetti più intimi della sensibilità
romantica trovarono espressione, dopo Coleridge, nell’esotismo classicheggiante di
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Keats. L’entusiasmo per l’arte dell’antica Grecia, orientò la sensibilità romantica del
poeta nel senso di un esotismo classicheggiante, che contiene talora in embrione, talora
in pieno sviluppo, tutti gli elementi del tardo romanticismo, e del decadentismo della
fine dell’ottocento. Keats amava abbondantemente la Bellezza, come un’amante, ed è
per questo motivo che approfondisce la sua ispirazione nei magnifici versi del 1819, ed
in particolar modo nelle Odi, dove trova piena espressione l’”io lirico”. In esse più
intensamente attraverso il presentimento della morte, il poeta sente la Bellezza che,
immortale, impassibile assiste al travagliato vanire delle vicende umane: generazioni e
generazioni di uomini si inebriano per un istante del canto eterno dell’usignolo,
dell’armonioso lineamento dell’urna eterna, e salutano morituri la perenne imperatrice.
In questa sua accezione e dedizione ad una Bellezza che placa l’ansia dell’anima
dinnanzi al mistero del mondo, si esalta il motivo dominante della vita di Keats. Le
sensazioni che il poeta chiede all’amore, sono sensazioni di narcosi; desidera che la
lettera alla fidanzata sia come una porzione di oppio. È anche questo il motivo dell’Ode
to a Nightingale.
Keats segna quel limite, quel rapporto del senso alla ragione, che ignorato non
può non corrompere il senso stesso, cioè la poesia. E questa che ne sembra umiliata,
invece si esalta, perché diviene la condizione necessaria, la radice prima della verità,
che non può sorgere se non sopra di essa.
Il metodo poetico di Keats è ancora comune di tutta la poesia europea: non più di
umanità greca o latina, ma di una umanità più vicina.
Il Keats delle opere più giovanili è un poeta dal vocabolario incerto ed ibrido,
cioè di visione ancora tremula e confusa. Fin dal principio egli riscrive e l’imprecisione
della sua opera è una prova del suo coraggio e della sua spontaneità. Le cose cambiano,
quando arriva il periodo delle grandi Odi, dove non è cambiato il metodo, ma la
potenza. Ogni eco è sommerso nel flusso dell’ispirazione e le parole di origine lontana,
si inseriscono in un discorso poetico che ha un linguaggio pieno di un vigore naturale e
costante. Ciò che Keats chiedeva alla poesia era di stupire il suo soggetto.
Tra i poeti della seconda generazione Keats è il più oggettivo, la sua lirica non è
mai personale e biografica, ma sorge da una regione più profonda, in cui il poeta, privo
come egli stesso dice di attributi particolari, non è se non un occhio che vede e un
orecchio che ascolta viste e musiche universalmente umane. La sua poesia è pura e
remota. Keats per alcuni versi può essere considerato il meno romantico tra tutti i poeti
romantici della sua generazione, fatta eccezione per il sentimento nostalgico e quel «
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male del ritorno » che determina la scelta della materia e
degli elementi che
compongono il suo mondo. Tutta la sua poesia consiste in un suono vicino e in una
risonanza più lontana; in una luce viva su uno sfondo d’ombra. Quell’indefinito di cui ,
nelle sue opere giovanili, cercava di soddisfare il desiderio e il presentimento, attraverso
l’uso degli astratti, lo esprime giunto alla sua maturità come carattere e tono intrinseco
della sua visione fantastica. Da questo punto di vista, molto significativa è la malinconia
che caratterizza l’ultima strofa dell’ Ode ad un usignolo:
The same that oft-times hath
Charm’d magic casements, opening on the foam
Of perilous seas, in faery lands forlon
Il primo abbozzo di questi tre versi hanno subito una modifica rispetto alla
versione definitiva, infatti il termine “magic” ha sostituito “the wilde” e “perilous”,
“keelless”. Con i due termini precedenti si può facilmente penetrare nel segreto di
quella visione e vedere l’immagine dilatarsi e approfondirsi, riempirsi di un più largo
respiro e trovare insieme la parola e il suono, la forma e la musica.
Tutta l’ode è caratterizzata da questa immagine nostalgica. Se per un attimo
abbandoniamo questa visione, possiamo risalire al motivo centrale, il ritorno a cui il
poeta agogna non è più verso qualcosa di materiale o qualche condizione di vita, ma è il
passaggio dalla vita alla morte, o meglio il viaggio verso l’immortalità. Ciò che affligge
il poeta è la caducità della giovinezza, della bellezza e dell’amore. Già prima egli ha
desiderato morire, ma ora la morte nel canto dell’usignolo, non è soltanto la fine dei
mali, ma è essa stessa un bene eterno.
La poesia, ha il compito di aprire le porte a questa beata eternità inconsapevole;
per essa egli comunica con un dominio su cui la morte non ha più potere.
Molti critici si sono dibattuti sull’immortalità dell’usignolo, altri sostenevano
che Keats intendeva rivolgersi all’immortalità della specie e altri ancora replicavano
dicendo che anche l’uomo è in questo senso immortale, o addirittura che l’uomo sia
immortale a maggior ragione. Ma forse la cosa che non hanno tenuto in considerazione
è che il concetto di immortalità è dato principalmente alla Natura, che è un essere
particolare ed è ciò che è, mentre lo spirito è ciò che diviene. Ma il divenire è qualcosa
di transitorio e doloroso, così il poeta cerca rifugio in una bellezza immutabile la quale,
per altro, trae il suo valore proprio dal contrasto di quei tormenti a cui serve di sfondo e
di conforto, con le lacrime di Ruth e i perigliosi mari. Tale è l’aspetto che nel punto più
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alto delle poesia di Keats, prende il motivo fondamentale, non soltanto in questa poesia,
ma in tutte le altre, ossia il tema dell’eternità.
In ogni opera il contributo dell’eternità è implicito per la natura stessa della
volontà creatrice; ma qui, esso è svelato e divenuto non solo carattere, ma anche oggetto
del canto. Così come accade nell’Ode all’usignolo anche nell’Ode su un’urna vi è la
contrapposizione tra la mortalità dolorosa e fuggitiva e la bellezza esente dalla sorte
comune delle passioni dell’uomo; alla bellezza immortale non più della natura, ma
dell’arte. In entrambe le due odi, la poesia canta finalmente se stessa e il beneficio che
ella elargisce agli uomini.
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Ode to a Nightingale
1
My heart aches, and a drowsy numbness pains
2
My sense, as though of hemlock I had drunk,
3
Or emptied some dull opiate to the drains
4
One minute past, and Lethe-wards had sunk:
5
'Tis not through envy of thy happy lot,
6
But being too happy in thine happiness, -
7
That thou, light-winged Dryad of the trees,
8
In some melodious plot
9
Of beechen green and shadows numberless,
10
Singest of summer in full-throated ease.
11
O, for a draught of vintage! that hath been
12
Cool'd a long age in the deep-delved earth,
13
Tasting of Flora and the country green,
14
Dance, and Provençal song, and sunburnt mirth!
15
O for a beaker full of the warm South,
16
Full of the true, the blushful Hippocrene,
17
With beaded bubbles winking at the brim,
18
And purple-stained mouth;
19
That I might drink, and leave the world unseen,
20
And with thee fade away into the forest dim:
21
Fade far away, dissolve, and quite forget
22
What thou among the leaves hast never known,
23
The weariness, the fever, and the fret
24
Here, where men sit and hear each other groan;
25
Where palsy shakes a few, sad, last gray hairs,
26
Where youth grows pale, and spectre-thin, and dies;
27
Where but to think is to be full of sorrow
28
And leaden-eyed despairs,
29
Where Beauty cannot keep her lustrous eyes,
30
Or new Love pine at them beyond to-morrow.
5
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31
Away! away! for I will fly to thee,
32
Not charioted by Bacchus and his pards,
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But on the viewless wings of Poesy,
34
Though the dull brain perplexes and retards:
35
Already with thee! tender is the night,
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And haply the Queen-Moon is on her throne,
37
Cluster'd around by all her starry Fays;
38
But here there is no light,
39
Save what from heaven is with the breezes blown
40
Through verdurous glooms and winding mossy ways.
41
I cannot see what flowers are at my feet,
42
Nor what soft incense hangs upon the boughs,
43
But, in embalmed darkness, guess each sweet
44
Wherewith the seasonable month endows
45
The grass, the thicket, and the fruit-tree wild;
46
White hawthorn, and the pastoral eglantine;
47
Fast fading violets cover'd up in leaves;
48
And mid-May's eldest child,
49
The coming musk-rose, full of dewy wine,
50
The murmurous haunt of flies on summer eves.
51
Darkling I listen; and, for many a time
52
I have been half in love with easeful Death,
53
Call'd him soft names in many a mused rhyme,
54
To take into the air my quiet breath;
55
Now more than ever seems it rich to die,
56
To cease upon the midnight with no pain,
57
While thou art pouring forth thy soul abroad
58
In such an ecstasy!
59
Still wouldst thou sing, and I have ears in vain -
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To thy high requiem become a sod.
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Thou wast not born for death, immortal Bird!
62
No hungry generations tread thee down;
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The voice I hear this passing night was heard
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In ancient days by emperor and clown:
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Perhaps the self-same song that found a path
66
Through the sad heart of Ruth, when, sick for home,
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She stood in tears amid the alien corn;
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The same that oft-times hath
69
Charm'd magic casements, opening on the foam
70
Of perilous seas, in faery lands forlorn.
71
Forlorn! the very word is like a bell
72
To toll me back from thee to my sole self!
73
Adieu! the fancy cannot cheat so well
74
As she is fam'd to do, deceiving elf.
75
Adieu! adieu! thy plaintive anthem fades
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Past the near meadows, over the still stream,
77
Up the hill-side; and now 'tis buried deep
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In the next valley-glades:
79
Was it a vision, or a waking dream?
80
Fled is that music: - Do I wake or sleep?
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Ode ad un usignolo
Il mio cuore soffre, e un sonnolento torpore affligge
i miei sensi, come se avessi bevuto della cicuta,
o avessi trangugiato un sonnifero pesante
un minuto è passato, e sono sprofondato nel Lete:
non è per invidia della tua felice razza,
ma per essere troppo felice nella tua felicità,
che tu, Driade degli alberi dalle ali leggere,
in melodioso recinto
di verdi faggi e innumerevoli ombre
canti dell’estate a pieni polmoni.
Oh, per un sorso di vino!che sia stato
rinfrescato da secoli nella profondità della terra,
saporoso di Flora e della verde campagna,
di balli, canti provenzali, e di gioia solare!
Oh! per una coppa piena del tiepido Meridione,
colma del vero, del rosato Ippocrene,
con perlate bolle occhieggianti sull’orlo,
e la bocca macchiata di porpora;
ch’o potessi bere e lasciare il mondo non veduto
e con te vanire nelle foreste oscure:
Sparire, dissolvermi, e dimenticare del tutto
Ciò che tu tra le foglie non hai mai conosciuto,
la stanchezza, la malattia e l’ansia
qui, dove gli uomini siedono e sentono gemere l’un l’altro;
dove il tremito agita gli ultimi, scarsi, tristi capelli grigi;
dove la giovinezza impallidisce, e come un fantasma, muore;
dove il pensiero stesso è riempirsi di dolore
e di disperazione dalle ciglia di piombo,
dove la Bellezza non può vedere i suoi occhi lucenti,
o il nuovo Amore si strugge per lui oltre il domani.
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Via! Via! Perché io voglio fuggire da te,
non trainato da Bacco e dai suoi leopardi,
ma sulle ali invisibili della Poesia,
benché la mente lenta, abbia perplessità ed indugi:
già con te! tenera è la notte,
e felice la Regina Luna è sul suo trono,
circondata dalle Fate stellate,
ma qui non c’è più luce,
se non quella che dal cielo è soffiata giù dal vento
nel buio verde e tortuoso di muschio.
Non posso vedere i fiori che ho ai miei piedi,
e neppure l’incenso dolce che imprende sui rami,
ma, nell’oscurità profumata intuisco ogni dolcezza
con cui il mese propizio rende ricca
l’erba, il bosco e i selvaggi alberi da frutta
il biancospino e l’arcadica englantina;
le violette, presto appassite, coperte tra le foglie;
e la figlia maggiore del maggio maturo
la veniente rosa muschiata, piena di vino di rugiata,
sussurrante dimora d’insetti nelle sere estive.
Nel buio ascolto; e, per molto tempo
Sono stato quasi innamorato della confortevole Morte,
l’ho chiamata con nomi teneri in molte meditate rime,
perché si portasse nell’aria il mio quieto respiro;
e mai come adesso mi è sembrato delizioso morire,
spegnersi a mezzanotte senza dolore,
mentre tu butti fuori l’anima
in una tale estasi!
Tu canteresti ancora, ed io avrei orecchie invano
al tuo alto requiem divenuto una zolla.
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Tu non sei nato per morire, Uccello immortale!
Le affamate generazioni non ti calpestano;
la voce che sento in questa notte fuggente fu ascoltata
nei giorni antichi dall’ imperatore e dal villano:
forse lo stesso canto che trovò sentiero
nel triste cuore di Ruth, quando malata di nostalgia,
pianse tra i campi stranieri;
la stessa che tante volte ha
affascinato magiche finestre aperte, aperte sulla schiuma
di pericolosi mari, in incantate terre deserte.
Deserte! La sola parola è come la campana
Che mi porta alla mia solitudine.
Addio! L’immaginazione non può più illudermi
Com’ella ha fame di fare, ingannevole elfo.
Addio! Addio! L’inno malinconico svanisce
Oltre i prati vicini, oltre il fiume quieto
Al di là del colle, ed adesso è sepolto
Tra i boschi della valle vicina:
è stata una visione o un sogno ad occhi aperti?
svanita è questa musica: sono sveglio o dormo?
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Ketas: “Ode to a Nightinghale”
L’ode all’usignolo è stata scritta nel Maggio del 1819, durante il soggiorno che
Keats fece con il suo amico Charles Armitge Brown a Wentworth Place, Hampstead.
Circa venti anni dopo, lo stesso Brown, ha ricordato i particolare della composizione
con queste parole:
“Nella primavera del 1819 un usignolo aveva costruito il nido vicino casa mia.
Keats sentiva una tranquillità ed una gioia continua nel suo canto; e un giorno portò la
sua sedia dal tavolo della colazione in un campo d’erba, sotto un albero di susino, dove
rimase seduto per due o tre ore. Quando ritornò in casa, mi accorsi che aveva alcuni
pezzi di carta nella mano, e che li stava tranquillamente spingendo dietro i libri.
Cercando, ho trovato questi pezzi, quattro o cinque di numero, contenevano i sentimenti
poetici del canto del nostro usignolo. La scrittura non era ben leggibile; e fu difficile
sistemare i versi in così tanti pezzi. Con la sua collaborazione ci riuscii, nacque così
l’Ode all’Usignolo,, una poesia che è stata la gioia di tutti.”
Il manoscritto originale «scritto mentre il lavoro essenziale di composizione era
in progresso nel cervello del poeta» e pubblicato in fac-simile da Sir Sirney Colvin nelle
Montly Review nel maggio del 1903, non conferma in tutto la narrazione di Brown, che
si può però ritenere accurata nelle sue linee generali. L’ode appare per la prima volta
negli Annali of the Fine Arts, nel luglio del 1819 e poi nel volumetto del 1820. I critici,
in generale, sono d’accordo sul fatto che l’usignolo fu la seconda delle cinque grandi
odi del 1819 e i temi trattati sono riflessi nell’ode gemella Ode to a Grecian Urn.
Questa è forse l’ode più famosa di Keats, considerata come esemplificazione
dell’eroe/ poeta romantico, in conflitto con la realtà che tenta invano di identificarsi con
la natura, per sfuggire ad un mondo troppo doloroso da sopportare. È il periodo della
rivoluzione Industriale, in Inghilterra, che sta cambiando la fisionomia del mondo. La
natura comincia ad essere deturpata e quindi nasce l’esigenza di poter combattere contro
questo sopruso. Per molti anni, lo stesso Keats è stato identificato col poeta romantico
per antonomasia: un ragazzo sentimentale, dal grande talento, ma troppo debole e
permaloso, incapace di affrontare le critiche e le difficoltà terrene. Qui, invece, Keats
affronta il problema del fare poesia nei tempi moderni, nel periodo della crescente
industrializzazione. La poesia, in una società sempre più individualista e materialista,
rischia di diventare unicamente un modo per sfuggire alla realtà (ed egli lo sperimenta
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su di sé, facendo autocritica); poesia come droga, quindi, ebbrezza, oblio (vedi la
presenza della cicuta, del vino, dell’oscurità).
L’Ode ad un Usignolo è un’ode romantica di otto strofe formate da 10 versi
ciascuna, che parlano dei suoi bisogni di essere libero dalle realtà della sua vita. Uno dei
maggiori interessi riscontrati nell’Ode a un usignolo è la percezione di Keats del
conflitto naturale che è presente nella vita degli uomini, ad esempio, il misto di dolore e
gioia, vita e morte, concreto e ideale, separazione e connessione.
John Keats descrive una breve evasione personale da un’esistenza di sofferenza
che non può durare più a lungo. L’ode è scritta in prima persona, e l’io che parla otto
volte, non è un surrogato, ma è il poeta stesso. È un’opera autobiografica, dove non
trovano posto ambiguità e ironia.
Questa e la successiva Ode on a Gracian Urn, mostrano come il poeta sia diviso
tra
l’attrazione
di scappare dal mondo oppure di affrontarlo attraverso l’arte. Il
soggetto lirico in questi due odi, vive una battaglia cruciale e questo aiuta a determinare
la grandezza e la rilevanza della poesia. Ode to a Nightingale e Ode to a Grecian Urn
formano un gruppo separato con il ciclo delle odi in cui includono la ricerca artistica per
un valido concetto di bellezza.
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Analisi della poesia
I
1
My heart aches, and a drowsy numbness pains
My sense, as though of hemlock I had drunk,
3
Or emptied some dull opiate to the drains
One minute past, and Lethe-wards had sunk:
Con l’uso del presente Keats trasmette cosa si percepisce, coinvolgendo il lettore
in modo diretto e molto personalmente. Il ritmo quasi lento dell’apertura del verso
trasmette un senso di monotonia e stanchezza. L’immagine comunque non suggerisce
solo una condizione di letargo. La presenza dell’ossimoro1 “numbness pains” (v. 1) crea
un sentimento contraddittorio di sensi vigili e dormienti.
Il punto principale della poesia è la battaglia tra l’ideale e il reale: essa include
termini che contengono in modo più particolare l’antitesi di piacere e dolore,
immaginazione e ragione di senso comune, pienezza e privazione, natura ed essere
umano, arte e vita, libertà e schiavitù, veglia e sonno. Questi termini sono naturalmente
solo espedienti, sono i prodotti di quel potere secondario che indica distinzione.
Piacere e dolore sono deliberatamente elevati, e si incontrano in un’intensità
comune. Il dolore è la sequenza naturale della “troppa felicità”. Quella stessa felicità
che è permanente e passeggera nell’usignolo e perciò eccessiva nel poeta.
Nella spiegazione della sua sfortuna i due versi successivi formano una
connessione tra la descrizione dello stesso soggetto lirico e l’immagine che lui ha
dell’usignolo:
5
'Tis not through envy of thy happy lot,
But being too happy in thine happiness,
7
That thou, light-winged Dryad2 of the trees,
In some melodious plot
9
Of beechen green and shadows numberless,
Singest of summer in full-throated ease.
1
2
Ossimero (figura retorica)
Driade è una ninfa degli alberi.
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La triplice ripetizione dell’aggettivo “happy” indica che questa libertà dei
pensieri è considerata la più importante caratteristica dell’usignolo, in contrapposizione
al soggetto lirico che proietta in esso ciò che più manca nella sua stessa esistenza. Il
dolore, l’assenza del movimento, la pesantezza e la vicinanza alla morte sono sostituite
dalla leggerezza, dal movimento, dalla vitalità calorosa e da un’abbondanza di
vegetazione. Questo contrasto è parallelo a causa della grande varietà ritmica di questi
versi e dalla monotonia che caratterizzano l’apertura della poesia. L’ossimoro
“melodious plot” esprime il fatto che la natura stessa è d’accordo con l’armoniosa
contraddizione delle sue parti.
L’usignolo è la voce della natura e - come “Singest of summer in full-throated
ease” (v. 10) - implica lo stesso poeta. Lo sguardo all’uccello introduce un fascio di
luce a cui si aggiungono colore e movimento in “beechen green”(v. 9) e “shadows
numberless” (v. 9). La strofa che apre con un senso di angoscia, finisce con “ease”,
nella cui condizione il soggetto lirico spera di raggiungere se stesso.
La relazione tra il poeta e l’uccello è diventato il motivo principale nella
discussione critica di quest’ode. La maggior parte dei critici non vedono l’usignolo
come un uccello naturale in cui il soggetto lirico proietta la felicità che lui non riesce a
trovare nella sua stessa vita, ma piuttosto come un essere che trascende il mondo
terreno. Allora
viene postulata l’esistenza di
mondi scambievolmente unici, il
temporale e lo spirituale. Le conseguenze di una tale posizione devono essere
esaminate. Se veramente ci sono due mondi nella poesia - quello del soggetto lirico e
quello dell’usignolo - che non possono andare insieme, allora quello che la poesia stessa
può fare è tentare di entrare nel mondo dell’usignolo e nel suo ultimo fallimento. Molti
critici concordano con questa conclusione.
Keats non ha richiesto una separazione forte tra lo spirituale e il materiale.
L’uccello è stato descritto come una parte integrale della natura e del suo regno, così
come è presentato in questa I strofa, è sia naturale ma anche sensuale. Queste sono le
qualità che attraggono il poeta. Il fatto che egli non può sentirsi un tutt’uno con la
natura, come l’uccello, indica che la sua esperienza di vita è una distorsione di cosa la
vita sarebbe, e perciò egli non è in armonia con la natura non essendo neanche un
tutt’uno con se stesso. La sensualità e l’armonia, che il soggetto lirico vede come
caratteristiche dell’usignolo e della natura, diventano quindi fattori determinanti nel tipo
di esistenza che cerca.
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All’inizio
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l’usignolo
è
presentato
come
un
uccello
particolare,
ma
successivamente, è trasformato in un mito, ciò è rappresentato dalla frase “That thou,
light-winged Dryad of the trees” (v. 7). Probabilmente Keats sta pensando alla specie, e
non all’uccello come singolo usignolo.
In questa prima parte, il poeta è molto depresso, a tal punto da volersi uccidere
con qualche veleno “hemlock” (v. 2) o“dull opiate” (v. 3). Solo così potrebbe liberarsi
dai sui problemi e sfuggire alle sofferenze. Forse per scappare da un mondo pieno di
dolore, il poeta prova a immetterci in un mondo di immaginazione.
II
La prima strofa si apre con la giustapposizione dei due modi di esistenza
antitetici, mentre nella seconda si esprime il volere di svanire nella foresta oscura in
compagnia dell’usignolo (“fade away into the forest dim”(v. 20). Il veicolo che
permette di scappare è il vino. L’espressione di volere negli ultimi due versi della strofa
è preceduta da un’evocazione sensuale del vino:
11
O, for a draught of vintage! that hath been
Cool'd a long age in the deep-delved earth,
13
Tasting of Flora and the country green,
Dance, and Provençal song, and sunburnt mirth!
La parola “draught” (v. 11) evoca una visione del bere profondo, mentre in
“vintage” il vino ha maturato la quintessenza dell’eccellenza. Questo termine viene
usato per evidenziare la delicatezza e la raffinatezza del vino e la connessione con la
natura. Tutti i sensi sono messi in gioco in modo da aumentare il tatto anticipato: il
termico (“Cool'd”), il tattile (“deep-delved”), l’autorità (“Dance”, “Provençal song”, “
sunburnt mirth”), il gusto e il visivo.
La dimensione visiva è marcata da un tocco di colore e movimento. Il calore del
Sud, “Provençal song”(v. 14) è messo in contrasto con la freschezza del vino ed è
intensificato in “ sunburnt mirth”(v. 14). Questo complesso multisensoriale indica che
il vino appartiene ad un’età radicalmente differente da quella che causa l’angoscia. La
descrizione del vino non solo piace ai sensi, ma porta con se la visione di una comunità
rurale che celebra la raccolta, di felicità e spensieratezza, e di persone che cantano.
15
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L’intera immagine serve sia ad estendere ed intensificare le connotazioni del mondo
dell’usignolo, sia a rappresentare nella strofa di apertura, l’arricchimento con una
dimensione sociale.
La corrente di vino,“The draught vintage”(v. 11), è uno strumento di
immaginazione, che simbolizza una fuga immaginaria dalla realtà. Il desiderio di
scappare nella foresta oscura (“fade away into the forest dim”(v. 20) che rappresenta un
altro modo per sfuggire, indica
una dissoluzione malinconica di cambiamento, e
rappresenta anche una decadenza fisica.
Keats in questa poesia fa uso più volte della sinestesia, in quanto combina
ripetutamente i diversi sensi, con tratti invertiti, in una sola immagine. Un esempio è
dato da “tasting of Flora” (v. 13), in quanto mescola il tatto, il gusto e l’olfatto, e
aggiunge l’elemento magico con la creazione dell’immagine di Flora , che è la dea dei
fiori. Ecco che si ha l’accostamento di due sfere sensoriali diverse. Il mondo
dell’usignolo ha creato un impatto sulla persona tale da non riuscire a distinguere i due
regni, e non si riesce a capire dove finisce uno e inizia l’altro. Vi è la contrapposizione
tra i sensi e il pensiero.
I successivi sei versi riaffermano la voglia del vino nella costruzione parallela
“O for a…”, aumentando l’intensità delle emozioni:
15
O for a beaker full of the warm South,
Full of the true, the blushful Hippocrene,
17 With beaded bubbles winking at the brim,
And purple-stained mouth;
19
That I might drink, and leave the world unseen,
And with thee fade away into the forest dim:
“Full of” sta ad indicare che la ricchezza rappresenta la caratteristica del mondo
dell’usignolo, un mondo che è stato creato fuori dalla voglia del soggetto lirico, che è a
sua volta nato da un’esperienza della vita definita dalla privazione, desolazione e
inadeguatezza.
La connessione vicina tra “warm South” (v. 15) e “blushful
Hippocrene” (V. 16) implica che l’integra vita umana è la vera sorgente dell’ispirazione
poetica.
L’attrazione del vino aumenta con il movimento della strofa - dalle profondità
della terra, alle persone che ci vivono e poi l’approccio dell’ampolla alla bocca. Qui il
16
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piacere concreto è evidenziato con l’utilizzo di un climax3: lo stesso vino riceve una
mano attiva nell’invito del soggetto lirico- “With beaded bubbles winking at the brim”
(V. 17). Nell’immagine conclusiva” And purple-stained mouth,” (v. 18) il vino è stato
consumato in modo fantasioso.
Sebbene sembrerebbe che gli ultimi due versi ella seconda strofa siano
sufficientemente chiari nel loro significato, il significato di questo verso nell’argomento
della lode è soggetto a molte controversie. Garrod, per esempio non vede una funzione
reale:
“Suppongo che ogni poeta riceve l’intossicazione delle sue stesse parole. Le ‘
beechen green and shadows numberless’ portano l’immaginazione di Keats ad oscurare
foreste lontane in cui svanirebbe con piacere , ‘leaving the world, unseen’. Ma lo
sviluppo del mondo è rimandato ad un’’intera strofa, da un’altra frase, ‘Singest of
summer in full-throated ease’”4 .
Similarmente Graham Hough non fa nessuna connessione tra ciò che opprime il
soggetto lirico nella sua propria esperienza di vita e il desiderato volo. Allora la seconda
strofa è rappresentata come la continuazione di un’”intossicazione” della prima:
“ Il ‘heart- ache’ e la ‘droesy numbness’ dei versi di apertura non descrivono
una mera depressione, ma una sorta di stato di droga, che può solo essere mantenuto
da un’ulteriore intossicazione (seconda strofa). Il vino è ciò che per tradizione calma
gli uomini, i significati tradizionali del prolungamento di uno stanco piacere sensuoso,
e Keats qualche volta dice di divertirsi con il vino rosso”.
Hough non vede conflitto nella prima strofa tra il modo di essere dell’uccello e
quello del soggetto lirico. Invece, ha suggerito l’essere desiderabile di questa “drugged
state” dell’apertura del verso. È per altro, appunto questo conflitto tra i due modi di
esistenza che conducono al desiderio di scappare con l’usignolo, la cui felicità stimola la
visione connessa al sorso del vino. Il fattore che unisce il mondo dell’usignolo e quello
degli abitanti del villaggio in contrasto a quello sperimentato dal soggetto lirico è un
piacere sensuale incondizionato. Così il desiderio di scappare deve essere compreso
come una voglia di sensualità aperta in un mondo impoverito, dove è negata. Questo
aspetto acquisterà un’importanza crescente nello sviluppo dell’ode.
Wasserman individua la funzione della seconda strofa come un tentativo di
scappare, ma trova che il soggetto lirico fallisce. Tutte le immagini connesse con
3
Climax: (figura retorica). È la successione di parole che hanno significati più intensi (climax ascendente) o
progressivamente meno intensi (climax discendente).
4
Graham Hough, The Romantic Poets, London, 1976 (p. 174)
17
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l’usignolo sono state terrene e legate ai sensi, piuttosto che essere spirituali e
ultraterrene. Le sue intenzioni emergono come opposte a quelle di Keats.
Il tema di questa strofa è la pienezza. L’usignolo canta “in full-throated ease”
(v. 10), l’ampolla è “full of the warm South, (v. 15)/ Full of the true” (v. 16). Questa
pienezza è in contrasto con la sazietà triste della strofa successiva “Where but to think is
to be full of sorrow” (v. 27) ed è adeguata nella “embalmend darkness” della V strofa.
III
21
Fade far away, dissolve, and quite forget
What thou among the leaves hast never known
Questi versi di apertura intensificano il desiderio espresso nella seconda strofa e
continuano a seguire il movimento dell’uccello che si sposta dal luogo in cui si trovava
e svanisce, fin quando si dissolve agli occhi del poeta. Il desiderio principale è quello di
dimenticare la condizione umana che opprime il soggetto lirico:
23
The weariness, the fever, and the fret
Here, where men sit and hear each other groan;
25
Where palsy shakes a few, sad, last gray hairs,
Where youth grows pale, and spectre-thin, and dies;
27
Where but to think is to be full of sorrow
And leaden-eyed despairs,
Where Beauty cannot keep her lustrous eyes,
30
Or new Love pine at them beyond to-morrow.
Con la parola “forget” torna la memoria di ogni cosa che il soggetto lirico
desidera cancellare dalla sua mente. L’ improvviso ritorno alla realtà potrebbe essere
immaginario, ma questo modo non reale di sfuggire al mondo reale chiaramente non è
sufficiente.
I versi 23 e 30 rappresentano la condizione umana alla fine del XIX secolo in
Inghilterra, e Keats lo sperimenta qui, usando l’avverbio “here”. Siamo ai tempi della
Rivoluzione Industriale, il mondo comincia a cambiare, la Natura viene deturpata e
soprattutto i poeti, gli unici dotati di maggiore sensibilità, si sento angosciati rispetto a
questi cambiamenti. Il pensiero della condizione umana degli uomini, afflitta dai dolori,
18
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intensifica il desiderio di scappare dal mondo e liberarsi della sua disgraziata
condizione.
Il verso 23 crea una tensione che è intensificata dall’uso delle parole con un
numero decrescente di sillabe (da tre a una: “weariness”,” feve”,” fret”). Tutto ciò
culmina nel passaggio dal verso 23 al verso 24: “fret/ Here” che trasmettono una
sensazione di urgenza. “Here “ riceve maggiore enfasi perché è il primo che apre il
verso qui, ed è un punto di forza per le successive cinque proposizioni relative che
seguono. Questo mantiene la tensione per le successive ripetizioni di “Where”.
C’è un ritorno all’immobilità, alla pesantezza e alla mancanza di colore
riscontrata nei versi di apertura della poesia. Tutta l’abilità di percepire con i sensi è
distorta - le persone invece di ascoltare la musica sentono i gemiti di quelli che soffrono
(“hear each other groan” (v. 24). Non c’è una comunicazione attiva tra loro. Il mondo
che è descritto qui, è l’opposto di quello della prima strofa. I colori sono sostituiti dal
pallore. Mentre l’immagine della vecchia età fissa una condizione quasi statica, il verso
6 mostra il deterioramento della gioventù nel suo progresso. Questo è il movimento
della morte nella vita e quello verso la stessa morte. “Dies” è il raggiungimento di
questo invertito e perverso movimento.
Robert Gittings, così come altri critici, ritiene che quando viene proposta
l’immagine della giovane morte, il riferimento potrebbe essere rivolto alla morte
precoce del fratello Tom, morto di tubercolosi.5
Le immagini che precedono
e susseguono sono di una natura altamente
generalizzata, considerando la società nella sua interezza. Il riferimento alla giovinezza,
a questo punto, chiarisce che non è meramente una descrizione di un processo di
invecchiamento triste ma naturale, ma è i effetti un’immagine di distruzione e
deterioramento del potenziale della vita.
L’idea espressa nei versi 27 e 28 è che il pensiero può solo riflettere le
condizioni dell’esistenza materiale, non “trionfa” su loro. La struttura parallela
“Where…” identifica questa immagine con la situazione umana come è raffigurata nei
versi precedenti.
“Leaden-eyed despairs”(v. 28) è recuperata dall’astrazione dell’aggettivo
sensuale. Questo contiene anche un doppio riferimento alle immagini precedenti. Per
primo, rinnova le sensazioni di pesantezza e immobilità; la sua combinazione con
“occhio” rinnova la distorsione del procedimento dei sensi.
5
Robert Gittings, John Keats, Boston/Toronto, 1968 (p.317)
19
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Il motivo degli occhi è ripreso di nuovo nel verso successivo: “Where Beauty
cannot keep her lustrous eyes” (v. 29). “Lustrous” contiene tutto l’immenso piacere
della gioia nella vita. Il contrasto effettuato dal confronto diretto di “leaden- eye” (v.
28) e “lustrous eyes” (v. 29) è approfondita dall’allitterazione6. Lo splendore degli
occhi non può resistere, proprio come la giovinezza non può farlo, in questo tipo di
ambiente. Quello che è importante, è che la Bellezza è mostrata per riaffermarsi essa
stessa, come la giovinezza. (Che però non è realizzata completamente attraverso il
presente).
Il desiderio dell’amore vissuto brevemente agli occhi della Bellezza corrisponde
la totale consapevolezza delle generazioni di emergere e appassire senza compimento.
Qui il processo di potenziale rinnovamento è comunicato in “new”. L’amore alla fine
mette in mostra la possibilità di rispondere in modo appropriato agli occhi brillanti della
Bellezza (“pine”). L’ambiente sociale, sperimentato dal soggetto lirico, tende a
distruggere la Bellezza e l’Amore - concetti che indicano una proprietà di sensualità
dell’esistenza umana.
Allora la terza strofa mostra che la contraddizione tra il mondo come sarebbe e il
mondo com’è, non è assoluta. La Bellezza e l’abilità a percepirla, che è essenziale alla
vita umana, ha la sua fonte nella vita.
Robin Mayhead concorda con la maggior parte dei critici nel non riconoscere la
vera natura del mondo dell’usignolo. Egli scrive:
“Ci accorgiamo ora perché Keats non ha avuto torto nell’attribuire la sua
depressione a ‘being too happy in thine happiness’. Si immagina che l’usignolo sia
felice perché non umano, perché non ha mai conosciuto ‘the weariness, the fever, and
the fret’ dell’esistenza umana. Il poeta sa troppo bene che la felicità che lui sente nel
seguire fantasticamente l’uccello nel suo mondo ‘among the least’ non può rimanere,
dopotutto è un essere umano, e ciò che è umano deve morire. La sua depressione è
allora implicita nella stessa felicità”.7
Si potrebbe essere certamente d’accordo con il punto di vista di Mayheadl’uccello è considerato felice per la sua non conoscenza della natura umana, così come
è rappresentato nella terza strofa.
Keats si occupa della condizione della morte nella vita, egli rappresenta due tipi
differenti di esistenza, uno che è basato sulla natura umana degli uomini e l’altro
6
7
L’allitterazione nei versi 28-29: “leaden- eye” e“ lustrous eyes” è la ripetizione della consonante “l”
Robin Mayhead, John Keats, Cambridge, 1967 (p. 72)
20
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sull’immortalità che attribuisce all’usignolo. La tensione che si viene a creare tra il
potenziale e l’attuale dà molto dinamismo all’ode.
IV
Abbiamo visto il primissimo tentativo di volo con l’usignolo attraverso il vino,
senza alcun successo. Questo tentativo si conclude nella seconda strofa con la visione
del mondo dell’uccello, visto da un osservatore estero e poi il distacco da esso è
presentato nella strofa successiva.
31
Away! away! for I will fly to thee,
Not charioted by Bacchus and his pards8,
33
But on the viewless wings of Poesy,
Though the dull brain perplexes and retards:
Questo è uno sforzo più determinato. “Away” indica un volo immediato e
veloce. La sua risolutezza è espressa dalla ripetizione delle esclamazioni. La posizione
all’inizio del verso trasmette l’impressione di un voluto tentativo di rompere dalla
riflessione della terza strofa.
“I will fly to thee” è più deciso di “That I might drink…/And with thee fade
away...”. il cambiamento da “with” a “to” porta maggiore dinamismo. La distanza tra
il soggetto lirico e l’uccello è aumentata dalla I e II strofa. Il mondo del lavoro si trova
tra loro.
Le idee
espresse nei primi quattro versi della strofa
sono più esplicite,
sembrano essere più consapevoli di quelle proposte nelle immagini dei primi versi. Il
veicolo attraverso cui scappare - la Poesia – non è evocato con amore, come invece si
faceva prima. Questo è dato dalla consapevolezza del primo fallimento, ed è per questo
che ora il successo richiede che la stessa ode dia “forma materiale” al nuovo veicolo
attraverso cui poter scappare. Ciò significa che l’ode deve diventare per ora poesiaevasione ma per evadere dal mondo, essa deve escludere il pensiero. Questa conoscenza
allude a “viewless wings of Poetry” (v. 33). “Viewless” non si riferisce solo alle ali
dell’immaginazione invisibile e leggere, in contrapposizione con la pesantezza e il vino
8
Bacco era il dio romano del vino, nelle immagini è raffigurato con un carro trainato da leopardi.
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che è dato dalla terra, o alla figura corpulenta di Bacco, ma punta ad un’importante
qualità di poesia- fuga: essa non vede il mondo. È il cervello che minaccia di ritardare
ed impedire la fuga, dovuta alla sua inevitabile riflessione sulla realtà. Il cervello ha
funzionato in questo modo nel rende il soggetto lirico consapevole della miseria che lo
circonda.
Con il verso 5 il poeta realizza la desiderata unione con l’usignolo:
35
Already with thee! tender is the night,
And haply the Queen-Moon is on her throne,
37
Cluster'd around by all her starry Fays;
here there is no light
39
Save what from heaven is with the breezes blown
Through verdurous glooms and winding mossy ways.
Forse la luna felice (“haply”) non è sul trono – il soggetto lirico non può vedere,
perché non c’è luce (“here there is no light” (v. 38). Egli si trova chiaramente
nell’oscurità di una foresta, ma ciononostante, le qualità che sono attribuite alle tenebre,
sono positive. È qualcosa di attraente, di sensuale e appagante, vi è una sensazione di
benessere e di tranquillità. È proprio il fatto che non riesce a vedere che è una chiave
importante del verso che segue. Qualche luce è soffiata nell’oscurità; in “here there is
no light, Save what from heaven is with the breezes blown” (vv. 38-39) Keats, ancora
una volta, fa uso deliberatamente di un verbo non visivo per esprimere questa
percezione di senso (sinestesia). Pochi raggi di luce, filtrate attraverso il movimento
delle foglie spinte dal vento, sono sufficienti per dare una dimensione spaziale alla
foresta, che emerge nell’ultimo verso “Through verdurous glooms and winding mossy
ways” (v. 40). L’impressione che viene data è di una complessità sensoriale in aumento.
In questa strofa, il poeta ha finalmente intrapreso la fuga dal mondo (“Already with
thee”( v. 35).
È importante capire che il soggetto lirico riesce per un periodo a stare con
l’usignolo e sperimenta il suo mondo. La foresta di cui si parla è intensa e intima,
eppure naturale e leggera.
22
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V
La quinta strofa continua a esplorare l’oscurità della vegetazione che è presenta
già nella strofa precedente:
41
I cannot see what flowers are at my feet,
Nor what soft incense hangs upon the boughs,
43
But, in embalmed darkness, guess each sweet
Wherewith the seasonable month endows
45
The grass, the thicket, and the fruit-tree wild;
Questa foresta estrae l’essenza di tutta la bellezza dei sensi che è associata al
mondo dell’usignolo.
Il soggetto lirico è capace di collegare i sensi a questa bellezza. Tutti – fatta
eccezione della vista - sono “sforzati” a comprendere e visualizzare i dintorni naturali.
Ancora una volta c’è un momento di agitazione “I cannot see…”. Ma il fatto che senta
i fiori ai suoi piedi si volge come un tentativo di immagine visiva. Una tecnica simile è
utilizzata nei versi successivi, vi è una rienfatizzazione del non visivo, si fa riferimento
principalmente all’olfatto e alla percezione (“incense”, “embalmed”). Si ha qui un altro
esempio di sinestesia “soft hangs apon the boughs” (v. 42), in cui si combinano due
diversi sensi: il tatto (“soft”) e l’olfatto (“incense”).
I diversi profumi inducono il soggetto lirico a intuire ogni dolcezza (“guess each
sweet”), allora l’immagine relativa alla vista emerge con una crescente chiarezza. Sul
livello realistico- naturalistico gli occhi si abituano all’oscurità quando il poeta cammina
nella foresta e nelle stagioni. Il tipo di piante che incontra divengono sempre più
complesse. Questa gradazione semantica è supportata da un accumulo nel numero delle
sillabe, “The grass, the ticket and the fruitore wild”. La strofa, poi, continua:
46
White hawthorn, and the pastoral eglantine;
Fast fading violets cover'd up in leaves;
48
And mid-May's eldest child,
The coming musk-rose, full of dewy wine,
50
The murmurous haunt of flies on summer eves.
23
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La
precisione
nella
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descrizione
visiva
aumenta
con
gli
aggettivi
“white”,”pastoral”e “fast fading”.
Il processo della Natura è introdotto all’interno dell’immagine della Violetta
“fast fading”, “cover'd up in leaves”, il ciclo della natura, incluso il mutamento e la
decomposizione, è parte di essa. La morte è qui un processo della vita.
In questa strofa si ha al verso 48 (“And mid-May’s eldest child”) un’altra figura
retorica, la personificazione, in cui il riferimento è rivolto ai fiori. Ancora una volta
ritorna l’avvicinamento alla Natura e alle sue bellezze.
La stagione di cui si parla è la primavera (la rosa muschiata, che è la figlia più
grande del maggio, non è ancora sbocciata). Tuttavia Keats fa riferimento all’estate e lo
dice espressamente sia nella prima strofa, quando parla del canto dell’usignolo, che qui
per evidenziare la presenza degli insetti nelle sere d’estate. Nella progressione delle
stagioni, si verificano una serie di cambiamenti, la primavera porta allegria, gli alberi
rifioriscono e la natura si risveglia dal letargo dell’inverno, quindi c’è un sentimento di
armonia, e l’estate, invece, è la continuazione e il completamento di tale risveglio ma
allo stesso tempo si prepara per l’autunno che porta appagamento e raccolta.
L’immagine finale, descritta negli ultimi tre versi, è la più intensa. La rosa
muschiata è rappresentata perfino più duramente nel suo ciclo naturale rispetto alla
violetta, che si prolunga nel suo germogliare a metà estate. Una caratteristica dello
sviluppo della strofa è l’enfasi data alla coerenza organica della natura come un
tutt’uno. Qui le cose non esistono separatamente dall’uno all’altro. In questa immagine
complessa del processo naturale troviamo la metafora più comprensibile di cosa tutta la
vita sarebbe e potrebbe essere: ciò è il vero potenziale della vita, la realtà legata,
l’utopia a cui fa riferimento Keats.
Il poeta e il lettore sperimentano questa utopia, il potenziale umano della vita,
attraverso i sensi della mente, diviene parte del loro mondo interiore come le altre cose
della bellezza.
L’arte e la sua migliore espressione rinforza la nostra fiducia nel potenziale
umano e nel futuro dal renderlo tangibile. D’altra parte è solo in queste condizioni di un
“mondo migliore” in cui il poeta si integra nella V strofa che può cantare “of summer in
full-throated ease”. Per fare questo, deve volontariamente distogliere gli occhi da una
riflessione del mondo attuale. Ciò rivela la duplice natura della fuga. Quindi il poeta
entra nel mondo dell’usignolo con l’esclusione dell’attuale. Egli non può creare un
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mondo non reale, allora crea un’utopia che è decisamente radicata nella vita. Keats sta
penetrando nel principio centrale della natura.
VI
Le prime parole della sesta strofa segnalano il cambiamento verso la riflessione:
51
Darkling I listen; and, for many a time
I have been half in love with easeful Death,
53
Call'd him soft names in many a mused rhyme,
To take into the air my quiet breath;
La foresta lucente della poesia è scomparsa e il soggetto lirico rimane
nell’oscurità. Per reintrodurre le tenebre , ancora una volta, è utilizzato “I listen” che è
un verbo che indica l’ascolto e, di conseguenza, non fa riferimento ad un senso visivo.
Allo stesso tempo questo “sentire “ è un indizio che ci permette di ristabilire l’idea della
distanza tra il soggetto lirico e l’usignolo, di cui sente solo il suo canto. Anche il
linguaggio subisce una modifica, non è tanto sensuale come quello della prima. La
riflessione su questa situazione è indotta deliberatamente da una descrizione “ che non
fa riflettere”.
La riflessione della morte è causata dall’esperienza descritta nella V strofa,
l’allontanarsi dal pensiero e perciò, tendenzialmente, anche un allontanarsi dalla realtà.
É stato raggiunto un punto di culmine e
55
Now more than ever seems it rich to die,
To cease upon the midnight with no pain,
57
While thou art pouring forth thy soul abroad
In such an ecstasy!
“Now” è carico di una particolare pesantezza, che indica la tensione emotiva al
punto in cui sembra impossibile ottenere un’unità con l’uccello. “Rich” (v. 55) che è un
attributo della vita, ed è riferito al suo opposto, ossia la morte. Questa visione della
morte è anticipata in “easeful”(v. 52) e “quite breath”(v. 54). L’espressione
travolgente di questa strofa è l’attrazione della morte, intesa come un cambiamento
appena distinguibile dall’apice della realizzazione poetica. A questo punto nell’ode la
25
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morte sembra il solo modo si veder realizzato l’ultima unione con l’usignolo. Essa
sembra promettere qualcosa delle qualità del mondo dell’usignolo, mentre di fatto
sarebbe una irreversibile fine per entrambi. L’abbondanza della bellezza sensuale e la
sensazione imparziale di esso distingue questo mondo; la canzone può continuare, ma la
morte sospende la sua percezione:
59
Still wouldst thou sing, and I have ears in vain –
To thy high requiem become a sod.
Qui il soggetto lirico realizza pienamente ciò che era stato indicato in “seems it
rich to die”(v. 55), perché ancora una volta, si è quasi innamorato della morte. È la
consapevolezza della perdita di percezione della bellezza della terra che gli fa rinnegare
la morte come una soluzione.
Naturalmente, la maggior parte delle discussioni di questa strofa pone
l’attenzione sul problema della morte. Bate, che immagina che il tentativo del volo
attraverso la poesia finisce dopo due versi nella IV strofa e che però è trattato in tutta la
V per avere un ritorno al mondo attuale, scrive:
“L’accettazione del processo, naturalmente, include l’accettazione della morte,
come illustra in particolar modo l’ode serena ‘To Autumn’; e mentre la canzone
ipnotica dell’uccello continua, il pensiero della morte, prima quasi insopportabile
(“Where youth grows pale, and spectre- thin, and dies”), diventa adesso “easeful”.9
Come un’identificazione dei diversi concetti della morte incontrati nell’ode è
abbastanza attuale la pratica critica. Questa supposizione si presenta in modo logico
dalla falsa premessa che Keats si occupa generalmente delle mortalità umana.
VII
Seguendo il pensiero dell’uccello che canta il suo requiem10, il soggetto lirico
appare in una canzone di lode, un inno solenne alla vita per l’usignolo:
61
Thou wast not born for death, immortal Bird!
9
W.J.Bate (ed.), Keats. A Collection of Critical Essay, New Jersey, 1964. (p. 506)
Il requiem è una messa secondo il rito liturgico della chiesa eseguita e celebrata in memoria del defunto. Può essere
anche utilizzata come servizio funebre, in particolare nel caso dei funerali solenni; c'è anche l'uso di eseguirla come
parte della liturgia nel giorno dei Defunti.
10
26
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No hungry generations tread thee down;
Questa condizione è in contrasto con la stessa esperienza del soggetto lirico, di
un’esistenza in cui le persone sono nate per la morte, non per la vita. Mentre nella
società umana, la vita è dominata dalla morte, un individuo arriva al suo culmine
naturale come il risultato e la condizione della realizzazione del ciclo vitale, la natura
continua ad andare avanti. L’immortalità dell’usignolo è anche realizzata attraverso il
compimento del suo essere, il cui canto lo rappresenta, e quindi la sua immortalità è di
un tipo che sarebbe anche dentro la ricchezza dell’essere umano.
Il desiderio ardente che appesantisce queste generazioni non solo è
un’espressione di uno stato attuale di volere fisico, ma anche del loro desiderio che sta
mancando in qualità. In questi versi e in quelli che seguono, Keats mostra un profondo
senso della storia. La storia umana è stata deviata dalla natura per lungo tempo. Le
affamate generazioni sono sia prigionieri di un volere e preservatori della bellezza, il
canto dell’usignolo. Allora il verso che comincia a celebrare l’immortalità dell’uccello
dimostra egualmente l’immortalità umana. Il riconoscimento della bellezza ha aiutato
l’umanità a sopravvivere attraverso tutte le generazioni affamate. Quindi la voce
dell’usignolo unisce il soggetto lirico a tutto il passato:
63
The voice I hear this passing night was heard
In ancient days by emperor and clown:
65
Perhaps the self-same song that found a path
Through the sad heart of Ruth, when, sick for home,
67
She stood in tears amid the alien corn;
The same that oft-times hath
69 Charm'd magic casements, opening on the foam
Of perilous seas, in faery lands forlorn.
La prima immagine indica un’ampiezza e una diversità sociale: il canto
dell’usignolo tocca il cuore umano. Gli si riferisce a due classi sociali opposte
“Emperator and clown”(v. 63) al cui interno sono racchiuse tutte una serie di polarità,
date dalla differenza sociale, ma nello stesso tempo anche di comunità.
Le successive immagini specifiche di Ruth, più estese ed immaginative, indicano
la profondità dell’effetto del canto. L’attenzione si focalizza sul livello sociale generale
che vuole essere un’immagine familiare per il lettore. La bellezza dei sensi è percepita
attraverso il cuore umano. La comune emozione che si stabilisce tra Ruth, il soggetto
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lirico, Keats e il lettore è realizzata attraverso il potere dell’evocazione. “Sad heart” (v.
65) aggiunge un a dimensione altamente personale alla familiare storia biblica. Con un
semplice cambio di ordine in “sick for home” (v. 65) - più potente di “homesick”Keats prepara un modo carico di emozioni per il verso finale dell’immagine, raffigura
l’intera solitudine di Ruth con cui il soggetto lirico può facilmente identificarsi.
L’ultima immagine di questa strofa si differenzia qualitativamente dalle prime
due. Mentre quelle aumentavano la consapevolezza dell’umanità comune, l’immagine
conclusiva indica che c’è anche una risposta al canto che ha il potere di allontanare
l’umanità nei posti aridi. Malgrado ciò essi esercitano un fascino magico, ecco perché
sono così “perilous”. Questa è un’altra funzione possibile del canto dell’usignolo, il
quale assume delle qualità: pericoloso, attraente, “sedizioso”.
Il soggetto lirico inizialmente era anche attratto dalla promessa di terre “fatate”.
Egli è sempre pronto a saltare nella schiuma. Solo adesso con “forlon”(v. 70),
l’incantesimo è spezzato e il poeta diventa pienamente cosciente delle implicazioni del
suo tentativo di volo. Questo è il passo finale che fa tornare alla realtà. Il volo con
l’usignolo causa separazione dall’umanità e questo, in un modo complesso, significa
perdita della percezione sensuale della bellezza della vita. La bellezza nonostante la
minaccia costante della sua decadenza è radicata in modo inestricabile nell’esistenza.
Con il desiderio di lasciare il mondo, la canzone dell’uccello ha stimolato
l’immaginazione del soggetto lirico nella visione creatrice del potenziale della vita,
l’utopia, che sconfigge le mancanze della realtà storica. In ultima analisi, questa visione
utopica serve a legare più vicino alla vita il soggetto lirico, e il lettore e contribuisce alla
consapevolezza che la bellezza e la vita materiale sono inseparabili.
La visione incantatrice è creata dall’immaginazione. Ma se questa immagine è
parte o particella del messaggio dell’ode, deve poi contribuire in un modo o nell’altro
all’argomento. La VII strofa, e in particolare questo messaggio finale, inducono il
soggetto lirico ad abbandonare il suo desiderio di lasciare il mondo. Questo non può
essere determinato da una mera qualità immaginativa astratta, perché queste immagini
sono così attraenti che non hanno un tale potere nel sedurne uno per tornare agli
interessi umani e quindi alla bellezza dinamica della vita.
Wasserman fa una considerazione su “faery lands”:
“Le terre incantate sono ‘deserte’ perché devono essere dimenticate dagli
uomini come è nel mondo mortale. Esse sono il mistero, ma non possono essere
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popolate da mortali, l’esistenza umana include un’ignoranza del mistero anche se il
mistero è il principio centrale della vita degli uomini”11
Donald Westling cerca un’analisi marxista per concentrarsi sull’aspetto storico
del linguaggio simbolico:
“In un primo tempo nella storia Europea, il menestrello- artista aveva un
pubblico combinato di imperatori e servi, ma adesso una tale audience si è frantumata.
Keats procede poi più lontano fino alla storia biblica. Ma egli fa luce su Ruth, non su
una figura della costituzione sociale (Isacco o Giacobbe)ma su qualcuno di in
convenzionale, una persona dislocata (…). La regressione nel tempo e nello spazio è
completa. Tuttavia ‘perdute’:perdute sono quelle terre lontane perché inabitate da
uomini reali, e in loro non ci può essere la creazione della consapevolezza e della
coscienza, nessuna creazione stessa. Nell’VIII strofa, poi, il ritorno è inevitabile alla
critica stessa e il decadimento di ‘facy’”.12
VIII
La ripetizione di esclamazione di “forlon” identifica in modo emozionante il
momento critico finale della poesia.
71
Forlorn! the very word is like a bell
To toll me back from thee to my sole self!
Tutti i suoni delle parole indicano il rintocco del suono della vita. La ripetizione
di “Adieu” nel verso 5 indica una chiara rottura con l’usignolo. Il soggetto lirico
contempla la sua partenza in modo filosofico:
73
Adieu! the fancy cannot cheat so well
As she is fam'd to do, deceiving elf.
75
Adieu! adieu! thy plaintive anthem fades
Past the near meadows, over the still stream,
77 Up the hill-side; and now 'tis buried deep
In the next valley-glades:
11
12
Earl R. Wasserman, The Finer Tone, Baltimore, 1967 (p. 211)
Donald Westling, The dialectical Criticism of Poetry. An Istance from Keats, Mosaic, V, 2, 1972 (p. 89)
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79 Was it a vision, or a waking dream?
Fled is that music: - Do I wake or sleep?
L’affermazione riguardo all’inabilità dell’immaginazione (“facy”) ad ingannare,
così anche la frase “she is fam’d to do” (si dice sia solita fare) (v. 74) è altamente
ironica, e rafforza la stessa distanza emozionale.
Le successive immagini dimostrano la crescente rimozione spaziale dell’uccello.
Non sta andando scomparendo l’usignolo, ma il suo canto. Con la partenza del canto, il
punto di referenza attorno cui ruota la battaglia dell’ode, scompare anche. Essa non è
tanto necessaria e il soggetto lirico non è tanto attratto da essa. Trova se stesso in un
nuovo giorno. Su questo livello può essere rintracciato anche lo sviluppo della poesia.
L’importanza della Vi strofa nella battaglia interna, è sottolineata dal riferimento alla
mezzanotte. La VII strofa è associata all’inizio della notte che inizia e finisce in “this
passing night”. La descrizione visiva della scomparsa del canto, infine, è possibile solo
all’alba.
L’usignolo e il canto sono fuggiti, così è la grande attrazione che loro
mantengono per il soggetto lirico. La musica della stessa ode arriva ad una fine con
questa partenza. La finalità di ciò è accentuata dall’enfasi data a “Fled”(v. 80).
La più comune delle premesse critiche che riguardano questa strofa finale è la
perdita del soggetto lirico, di ritornare alla realtà da un “mondo migliore”. Wasserman
scrive:
(…)se immaginiamo che la vita vera stia sperimentando la condizione della
meta del paradiso, allora l’usignolo ‘vive’ sulla terra ma il poeta non può; e il ritorno
del poeta al suo mondo è perciò un ‘morire’ che è annunciato dallo stesso ritocco
funebre della morte che lo convoca a ciò che la maggior parte degli uomini chiamano
“vita”.13
Di fatto l’ode ha mostrato che il poeta non si rassegna alla condizione della
morte nella vita. La tensione tra il mondo attuale e il mondo come potrebbe essere
indica la necessità e la possibilità di cambiare le condizioni umane con il diventare
consapevole del suo potenziale. La possibilità di cambiare lo lega con la stessa vita. Ciò
emerge nella III strofa, dove la sola vita esibisce Bellezza ed Amore, persino se non
possono servire per lungo tempo. Il poeta come un amante del piacere sensuale della
bellezza deve odiare il mondo che serve la bellezza solo per distruggerla. Ma come la
bellezza e il suo apprezzamento sono radicati nel mondo attuale, egli non può fuggire da
13
Earl R. Wasserman, The Finer Tone, Baltimore, 1967 (p. 220)
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esso. È la bellezza del mondo che penetra e acquista le visioni della II e V strofa,
contraddicendo e sovvertendo tutti gli sforzi per scappare. L’immagine dell’”altro”
mondo, portato dal desiderio di scappare, sono di fatto uniti al reale, al mondo
materiale.
L’ode si conclude con le due domande finali:
79
80
Was it a vision, or a waking dream?
Fled is that music: - Do I wake or sleep?
Come l’inizio della poesia suggeriscono una reazione di sconfitta ad una
esperienza carica di troppo potere per essere padroneggiata, mentre tali domande
esprimono un tentativo di controllare e di capirla. “Was it a vision, or a waking
dream?” è il problema della verità dell’immaginazione, che aggiunge una ulteriore
tensione ai vari sforzi tra l’attuale e l’ideale. Keats stesso scrive:
“ Non sono certo di niente ma della santità degli affetti del cuore e la verità
dell’immaginazione. Ciò che l’immaginazione carpisce come bellezza deve essere
verità”14.
L’ode è un’essenza, non un’imitazione della realtà. I dettagli sono scelti per la
più grande intensità di concentrazione.
14
The Letters of John Keats, ed. M. B. Forman, London University Press, 1947 (p. 67)
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Conclusioni
Il primo sentimento che ho provato quando ho letto l’ode per la prima volta, è
stato di malinconia. Ma dopo aver più volte esaminato la poesia, si scopre che il tema
principale è il viaggio verso l’immortalità.
L’usignolo, che all’inizio viene rappresentato con un uccello normale, si carica
alla fine di una dimensione immortale. Ma questa immortalità di cui il poeta parla, è la
Natura stessa, e lo strumento che ci viene dato attraverso cui possiamo raggiungerla è la
Poesia. Ritorna qui l’idea dei poeti romantici secondo cui, essi sono gli unici dotati di
maggiore sensibilità in grado di capire i disagi causati in Inghilterra della Rivoluzione
Industriale.
I versi finali sembrano avere la funzione di una reazione alla sconfitta. È come
se il poeta avesse voluto reagire alla delusione di non potersi ricongiungere con
l’usignolo e quindi con la stessa Natura, allora reagisce con delle domande che servono
a controllare la situazione. Keats non si rassegna alla sconfitta della Bellezza e al fatto
che questa può svanire a causa della morte. La poesia è un mezzo attraverso cui
scappare da questa consapevolezza della realtà.
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Bibliografia
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Iperone . Odi e sonetti. Versione con testo a fronte.
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(vol. II)
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Earl R. Wasserman, The Finer Tone, Baltimore, 1967
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John Booth, M.A. Notes on Keats’ Poetry, Toronto 1973
Jennifer Farrell Keats – The Progress of the Odes. Unity and Utopia.
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