Stefano Rodotà - Privacy, libertà, dignità Discorso conclusivo della

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Stefano Rodotà - Privacy, libertà, dignità Discorso conclusivo della
Stefano
Rodotà
-
Privacy,
libertà,
dignità
Discorso conclusivo della Conferenza internazionale sulla protezione dei dati
Noi pensiamo di discutere soltanto di protezione dei dati, ma in realtà ci occupiamo del destino delle
nostre società, del loro presente e soprattutto del loro futuro. Abbiamo cominciato questa conferenza
discutendo di sicurezza interna e internazionale, poi abbiamo rivolto la nostra attenzione al
funzionamento del mercato ed all'organizzazione dell'impresa, al sistema dei media ed ai problemi della
globalizzazione, al rapporto tra tecnologie e politica ed al modo in cui i cittadini fanno i conti con il loro
passato. L'intero orizzonte dei temi di questi tempi difficili è davanti a noi. Emerge un legame profondo
tra libertà, dignità e privacy, che ci impone di guardare a quest'ultima al di là della sua storica definizione
come diritto ad essere lasciato solo.
Senza una forte tutela delle informazioni che le riguardano, le persone rischiano sempre di più d'essere
discriminate per le loro opinioni, credenze religiose, condizioni di salute: la privacy si presenta così come
un elemento fondamentale dalla società dell'eguaglianza. Senza una forte tutela dei dati riguardanti le
convinzioni politiche o l'appartenenza a partiti, sindacati, associazioni, i cittadini rischiano d'essere
esclusi dai processi democratici: così la privacy diventa una condizione essenziale per essere inclusi nella
società della partecipazione. Senza una forte tutela del "corpo elettronico", dell'insieme delle
informazioni raccolte sul nostro conto, la stessa libertà personale è in pericolo diventa così evidente che:
la privacy è uno strumento necessario per difendere la società della libertà , e per opporsi alle spinte
verso la costruzione di una società della sorveglianza, della classificazione, della selezione sociale..
Anche nella lotta al terrorismo non bisogna mai perdere la memoria di quel che è avvenuto nei regimi
totalitari, dove violazioni profonde dei diritti fondamentali sono state possibili proprio grazie a massicce
raccolte di informazioni che hanno consentito un controllo continuo, capillare e oppressivo della stessa
vita quotidiana: la privacy si specifica così come una componente ineliminabile della società della
dignità : parola, questa, scritta all'inizio della Costituzione tedesca proprio come reazione alla logica
nazista e che, oggi, apre la Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea.
Ma il titolo di questa conferenza ci ha soprattutto proposto una associazione assai impegnativa, quella tra
privacy e dignità. Ci obbliga così a considerare tutti i problemi specifici in un contesto caratterizzato dalla
preminenza della persona e dei suoi valori, della sua libertà e autonomia.
Questa non è una forzatura. Già a metà dell'Ottocento uno scrittore, Robert Kerr, descriveva la società
dell'Inghilterra vittoriana parlando di un "diritto ad essere lasciato solo", quarant'anni prima del saggio
famoso di Warren e Brandeis; e analizzava il significato della privacy, individuando la sua caratteristica
essenziale nel "rispetto reciproco e l'intimità". Centocinquant'anni dopo quel libro, la parola "respect"
mantiene tutta la sua forza simbolica, tanto da dare il titolo all'ultimo saggio di un sociologo assai noto
come Richard Sennett.
Questi due termini, intimità e rispetto, consentono di avvicinarsi al tema della dignità cogliendone le
complesse sfaccettature. L'intimità ci parla di qualcosa di inviolabile e di inalienabile. Il rispetto ci parla
del rapporto di ciascuno con tutti gli altri. La dignità congiunge questi due dati, uno individuale ed uno
sociale, e contribuisce a definire la posizione di ciascuno nella società.
Questa impostazione non è estranea alla materia della protezione dei dati. Nel notissimo Census Act Case
tedesco si sottolineava proprio che "al centro del sistema costituzionale sta il valore della dignità della
persona, che deve poter agire autonomamente come componente di una società libera". Si potrebbe
osservare che questa conclusione è stata resa possibile dal fatto che il Grundgesetz tedesco fa un
esplicito riferimento alla dignità già nel suo primo articolo. Ma questo argomento appare ormai superato:
ad esempio, l'art. 1 della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea (ora seconda parte del Trattato
costituzionale) afferma che "la dignità umana è inviolabile. Essa deve essere rispettata e tutelata".
Questo articolo non è soltanto la riproduzione del modello tedesco. In esso si riflette una complessa
evoluzione che in questi ultimi anni ha caratterizzato il diritto di molti paesi, dove il riferimento alla
dignità ha assunto rilevanza crescente, riprendendo le chiare indicazioni contenute nel Preambolo e
nell'art. 1 della Dichiarazione universale dei diritti dell'uomo del 1948, dove la dignità è indicata
esplicitamente come componente essenziale della persona umana e condizione di libertà ed eguaglianza .
Basta considerare le evoluzioni recente dei più diversi sistemi costituzionali, dalla Freancia alla Polonia,
dalla Germania al Brasile, dalla Svizzera alla Finlandia, da Israele al Sudafrica . Norme nuove, come l'art.
16 del codice civile francese o l'art. 2 del Codice italiano sulla protezione dei dati, parlano esplicitamente
della dignità, e lo stesso fanno documenti internazionali, come la Convenzione del Consiglio d'Europa sui
diritti dell'uomo e la biomedicina, che si apre con un riferimento alla dignità o la Dichiarazione universale
sul genoma umano dell'Unesco. Si può, dunque, concludere che la nozione di dignità costituisce ormai un
riferimento universale, essenziale ed ineludibile, anche se da valutare sempre negli specifici contesti
culturali.
Partendo proprio da quest'ultima constatazione considerazione, si potrebbe però osservare che, come
hanno sostenuto diversi studiosi soprattutto americani, nella tradizione della cultura occidentale si
contrappongono due diversi modi di concepire la privacy: uno, appunto europeo, sostanzialmente fondato
sull'idea di dignità; l'altro, tipico soprattutto degli Stati Uniti, fondato invece sull'idea di libertà. Ma le
dinamiche legislative e culturali di questi anni dimostrano che, proprio nella materia della protezione dei
dati, quella contrapposizione frontale non è più proponibile.
Nella Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea, infatti, il diritto alla protezione dei dati è
collocato proprio nella parte riguardante la libertà. Anche qui si riflette una importante evoluzione di
questi anni, che ha trasformato l'antico diritto ad essere lasciato solo in una precondizione per l'esercizio
di altri diritti e libertà fondamentali. La forte tutela dei dati sensibili è divenuta una componente
essenziale dell'eguaglianza, per evitare che la raccolta di queste particolari informazioni possa
trasformarsi in uno strumento di discriminazione delle persone. Ma la tutela dei dati sanitari o genetici è
anche la condizione per realizzare il diritto alla salute, così come la tutela dei dati sulle opinioni diventa
una premessa per esercitare la libertà di espressione, comunicazione, associazione, culto. E la condizione
di lavoratore, l'accesso al credito e alle assicurazioni dipendono sempre di più dall'intensità di tutela delle
informazioni personali. Nel modello europeo l'associazione tra privacy e libertà diviene sempre più
stretta.
Se, d'altra parte, consideriamo le dinamiche americane, troviamo che nelle stesse definizioni della privacy
si introducono elementi che possono essere ricondotti al conceptual framework della dignità. Si parla,
infatti, della privacy come "tutela delle scelte esistenziali contro il controllo pubblico e la
stigmatizzazione sociale" o "come la richiesta di strumenti sociali che ci mettano al riparo dal rischio
d'essere semplificati, oggettivati e giudicati fuori contesto".
Questi sintetici riferimenti a complesse vicende culturali mostrano che la contrapposizione ricordata non è
oggi proponibile. Soprattutto non è proponibile una estraneità della dimensione della libertà al modello
europeo di privacy. Questo, anzi, si è progressivamente evoluto, affiancando alla tutela dell'intimità e
della segretezza l'obiettivo di contrastare possibili discriminazioni, di rendere effettiva l'eguaglianza. Così
cambia profondamente la funzione socio-politica della privacy, che si proietta ben al di là della sfera
privata, divenendo elemento costitutivo della cittadinanza del nuovo millennio.
Se, a questo punto, si torna allo specifico tema della dignità, si può osservare che proprio la prospettiva e
l'esperienza della nuova nozione di privacy possono contribuire ad eliminare una ambiguità messa in
evidenza tutte le volte che si analizza questo concetto. E' vero, infatti, che il termine "dignità" viene
impiegato tanto per esprimere una forte carica di rispetto dell'autonomia della persona e dei suoi diritti,
quanto per sostenere la pretesa di un controllo delle persone e dei loro comportamenti in nome di valori
che si vogliono imporre agli individui.
Nella materia della privacy l'accento è stato posto in maniera sempre più netta sulla necessità di eliminare
o ridurre l'ingerenza di soggetti esterni nella sfera privata delle persone. Siamo, dunque, di fronte non ad
una imposizione di valori, ma al suo opposto, alla possibilità di sviluppare liberamente la propria
personalità e di partecipare in mpodo autonomo alla vita politica e sociale. Si vuole evitare che le scelte di
vita siano condizionate da pressioni pubbliche e private, permettendo così a ciascuno di agire in piena
autonomia. Questo spiega perché le stesse esigenze di sicurezza pubblica non possano mai ridurre la
privacy in forme incompatibili con i caratteri propri di una società democratica; e perché la logica
economica non possa legittimare la riduzione a merce delle informazioni personali.
Proprio questo contesto contiene le premesse perché la doppia lettura, o l'ambiguità, del concetto di
dignità possano essere superate. Nel quadro della privacy, la dignità si precisa come un concetto
riassuntivo dei principi di riconoscimento della personalità e di non riduzione a merce della persona, di
eguaglianza, di rispetto degli altri, di eguaglianza, di solidarietà, di non interferenza nelle scelte di vita, di
possibilità di agire liberamente nella sfera pubblica. Ad essa è estranea la pretesa di imporre valori. Non si
impongono valori. Si pongono le premesse per l'autonomia ed il rispetto reciproco. Inoltre, l'art. 1 della
Carta dei diritti prevede che la dignità debba essere non solo "rispettata", ma anche "tutelata", secondo
uno schema già presente nel Grundgesetz tedesco. Questo vuol dire che i poteri pubblici non hanno solo
un dovere negativo di astensione, di non interferenza nelle sfere individuali. Devono anche agire perché
vi siano le condizioni positive che permettano a ciascuno di vivere in condizioni di dignità. Il diritto alla
privacy rappresenta proprio una di queste essenziali condizioni.
Proiettata nella società, questa ricostruzione dei rapporto tra privacy e dignità si presenta come un
fondamentale fattore di contrasto delle potenti logiche che premono per la trasformazione delle nostre
organizzazioni sociali in società, della sorveglianza, della classificazione, della selezione discriminatoria.
Un compito, tuttavia, che sembra divenire sempre più difficile.
Consideriamo il tema dell'eguaglianza. Stiamo assistendo ad una progressiva estensione delle forme di
controllo sociale, motivate soprattutto con esigenze di lotta al terrorismo. Siamo di fronte ad un profondo
mutamento sociale. La sorveglianza si trasferisce dall'eccezionale al quotidiano, dalle classi "pericolose"
alla generalità delle persone. La folla non è più "solitaria" e anonima: è "nuda" La digitalizzazione delle
immagini, le tecniche di riconoscimento facciale consentono di estrarre il singolo dalla massa, di
individuarlo e di seguirlo. Il data mining, l'incessante ricerca di informazioni sui comportamenti di
ciascuno, genera una produzione continua di "profili" individuali, familiari, territoriali, di gruppo. La
sorveglianza non conosce confini.
Con una interpretazione estrema di questo mutamento, alcuni studiosi statunitensi hanno sostenuto che il
passaggio da forme di controllo mirate verso singole persone e gruppi sociali ritenuti pericolosi ad un
controllo oggettivo e universale avrebbe un effetto di "democratizzazione", perché escluderebbe ogni
forma di selezione degli indagati e quindi di discrezionalità. Tutti eguali perché tutti controllati e schedati.
L'eguaglianza di fronte allo Stato sarebbe garantita solo dall'abbandono di ogni garanzia.
Ma questa eguaglianza da campo di concentramento ferisce la dignità, nega la libertà, mortifica la
democrazia. Certo, si può sostenere che si tratta di una ipotesi paradossale, da non prendere troppo sul
serio. Ma, in realtà, essa porta alle estreme conseguenze una argomentazione brutalmente realistica e assai
diffusa, che sostiene che non si può ricorrere al tradizionale bilanciamento tra valori e diritti diversi
quando è in questione la sopravvivenza stessa dello Stato. Questo significa che tutti diventiamo
potenzialmente, se non nemici, almeno sospetti, legittimando ogni forma di controllo di massa?
Dobbiamo, dunque, rassegnarci a veder modificato il concetto stesso di libertà?
Un altro storico diritto di libertà, quello di circolazione, è oggi messo in pericolo dalle tecniche di
videosorveglianza e di localizzazione delle persone. Anche qui la le possibilità di difesa sono affidate
all'intreccio tra privacy e dignità, che assume particolare rilevanza dopo alcune notizie del luglio scorso,
riguardanti in particolare l'applicazione alle persone delle tecnologie elettroniche della localizzazione.
In Messico, con una spesa di 150 dollari a persona, è stato impiantato un microchip nel braccio del Fiscal
general e di altri 160 suoi dipendenti per controllare il loro accesso a un importante centro di
documentazione e, eventualmente, per rintracciarli in caso di sequestro. Unico commento del Fiscal:
"l'impianto mi ha fatto un po' male".
Il 19 luglio il Primo Ministro del Regno Unito ha annunciato un programma in base al quale i cinquemila
più pericolosi criminali inglesi saranno "etichettati e seguiti" via satellite. Molti hanno messo in evidenza
le difficoltà tecniche di questo progetto. Ma è la forza simbolica del messaggio a dover essere presa
seriamente in considerazione.
Esso ha come premessa un profondo mutamento dello statuto giuridico e sociale della persona. L'aver
scontato interamente la pena non basterà più per riconquistare la libertà. Se una persona viene classificata
"ad alta propensione a commettere reati", perderà per sempre la libertà di circolazione e tutte le relative
forme di autonomia individuale, perché le sarà imposto di portare uno strumento elettronico che ne renda
possibile in ogni momento la localizzazione. E questa "etichettatura" delle persone pericolose potrebbe
essere realizzata inserendo sotto la loro pelle un microchip. Cambierebbe così la natura stessa del corpo
che, manipolato tecnologicamente, diverrebbe "post-umano".
Si può considerare questa prospettiva compatibile con il principio di dignità umana? Si può accettare
l'ardita semantica blairiana che ha ribattezzato "società del rispetto" questa ulteriore versione della
"società della sorveglianza"?
Preoccupandosi del futuro, è bene non perdere di vista un presente dove la videosorveglianza invade tutti
gli spazi e la digitalizzazione delle immagini rende possibile ricostruire i nostri percorsi. Le tecnologie
della videosorveglianza non solo incidono sulla libertà di circolazione, ma rendono "il passato visibile".
Questi effetti di controllo sulla localizzazione e di consegna ad una implacabile memoria di ogni nostro
comportamento sono altrettanto evidenti nell'ambito delle comunicazioni elettroniche. Qui l'allungamento
dei tempi di conservazione dei dati non solo sta cancellando il diritto all'oblio, ma moltiplica le possibilità
di una ininterrotta di produzione di ogni sorta di profilo.
Quale dignità rimane ad una persona divenuta prigioniera di un passato interamente in mani altrui, di cui
deve rassegnarsi ad essere espropriato?
Inoltre, l'irrompere della biometria propone nuovi intrecci tra corpo fisico e corpo elettronico. Il corpo
fisico sta diventando una password. Il corpo elettronico, l'insieme dei nostri dati, è oggetto di un data
mining sempre più aggressivo e capillare, motivato con esigenze di sicurezza o di mercato. La
sorveglianza sociale si affida a guinzagli elettronici sempre più sofisticati. Il corpo umano viene
assimilato ad un qualsiasi oggetto in movimento, controllabile a distanza con una tecnologia satellitare o
utilizzando le radiofrequenze.
Davanti a noi sono mutamenti che toccano l'antropologia stessa delle persone. Siamo di fronte a
slittamenti progressivi: dalla persona "scrutata" attraverso la videosorveglianza e le tecniche biometriche
si può passare ad una persona "modificata" da diversi strumenti elettronici, dall'inserimento di chip ed
etichette "intelligenti", in un contesto che sempre più nettamente ci trasforma in "networked persons",
persone perennemente in rete, via via configurate in modo da emettere e ricevere impulsi che consentono
di rintracciare e ricostruire movimenti, abitudini, contatti, modificando così senso e contenuti
dell'autonomia delle persone, e quindi incidendo sulla loro dignità.
Quest'opera continua di erosione delle prerogative della persona, fino a trasformarne lo stesso corpo,
convive in modo conflittuale non soltanto con la crescente attenzione per la dignità, ricordata all'inizio,
ma con una vera e propria costituzionalizzazione della persona, particolarmente evidente nella Carta dei
diritti fondamentali dell'Unione europea e di cui il nuovo e autonomo diritto fondamentale alla protezione
dei dati rappresenta un elemento essenziale.
"Non metteremo la mano su di te". Questa era la promessa della Magna Charta: rispettare il corpo nella
sua integralità: "Habeas corpus". Questa promessa sopravvive ai mutamenti tecnologici. Ogni trattamento
di singoli dati dev'essere considerato come se si riferisse al corpo nel suo insieme, ad una persona che
deve essere rispettata nella sua integrità fisica e psichica. E' nata una nuova concezione integrale della
persona, alla cui proiezione nel mondo corrisponde il diritto al pieno rispetto di un corpo che ormai è, al
tempo stesso, "fisico" ed "elettronico". In questo nuovo mondo la data protection adempie alla funzione di
assicurare quell'"habeas data" che i tempi mutati esigono, diventando così, com'è avvenuto con l'habeas
corpus, un elemento inscindibile dalla civiltà.
L'analisi rigorosa delle minacce a privacy e dignità, dunque, non dev'essere conclusa con la rassegnazione
o il pessimismo, né con un invito luddista a rompere strumenti tecnologici che sono peraltro vie
straordinarie alla conoscenza ed alla partecipazione politica e sociale, fonti di benessere, mezzi per
interventi appropriati e proporzionati per la sicurezza individuale e collettiva. Ma non dobbiamo mai
dimenticare che la semplice disponibilità di una tecnologia non legittima qualsiasi sua utilizzazione, che
deve essere valutata in base a valori diversi da quelli offerti della tecnologia stessa. La privacy non è un
ostacolo, ma la via grazie alla quale le innovazioni scientifiche e tecnologiche possono legittimamente
entrare nelle nostre società e nelle nostre vite.
Non ho timore di usare parole troppo impegnative. Ma sono convinto che la riflessione sulla protezione
dei dati, su privacy e dignità, sia un passaggio ineludibile per comprendere la condizione dell'uomo in
questo millennio e per definire i caratteri che la democrazia sta assumendo.
Dobbiamo avere la consapevolezza di tutto questo, in tempi che sono e saranno molto difficili. Proprio
per questo il ruolo delle autorità indipendenti, costituzionalizzato dal Trattato costituzionale dell'Unione
europea, diviene più impegnativo, e cresce la loro responsabilità nei confronti delle opinioni pubbliche.
Le autorità per la protezione dei dati personali lavorano sulla sottile frontiera che separa gli interventi
corretti di bilanciamento tra la privacy e gli altri valori dalle limitazioni che possono snaturare i caratteri
della democrazia. Dobbiamo parlare chiaro. Dobbiamo agire congiuntamente, perché nessuna singola
autorità può fronteggiare adeguatamente fenomeni complessi e che si manifestano su scala globale.
Dobbiamo farlo utilizzando nel modo migliore gli strumenti disponibili, in primo luogo il Working Party
previsto dall'art. 29 della Direttiva europea 95/46.
Dobbiamo essere prudenti, capaci di dar risposte agli attacchi del terrorismo, ma soprattutto dobbiamo
essere coraggiosi e non perdere la memoria di un passato che ci ricorda forme intollerabili di
autoritarismo. Il rischio di interventi autoritari è di nuovo presente. La democrazia è un bene prezioso, ma
fragile, che non può ritenersi acquisito una volta per tutte.
Può darsi che non sempre sarà possibile fermare qualche deriva autoritaria. Proprio per questo è dovere
delle autorità indipendenti chiarire in ogni momento alle opinioni pubbliche quello che sta realmente
accadendo.
Questo non è solo un obbligo morale. E' l'unico modo per adempiere alla nostra funzione istituzionale,
come parte di quei poteri di bilanciamento necessari ad una vita sana della democrazia.
Stefano Rodotà - Privacy, Freedom, and Dignity
Conclusive Remarks at the 26th International Conference on Privacy and Personal Data Protection
We may believe that we are only discussing data protection; in fact we are dealing with the destiny of our
social organisations, their present and - above all - their future. We started the Conference by debating
domestic and international security; then we moved on to functioning of markets and business
organisation, the media system and globalisation issues, the relationship between technology and politics
and how citizens come to terms with their past. The whole gamut of the issues raised by the hard times we
are living in is spread before our eyes. One can appreciate the strong connection between freedom,
dignity and privacy, which requires us to consider the latter by going beyond its time-honoured definition
as the right to be left alone.
In the absence of strong safeguards for the information concerning them, people are increasingly in
danger of being discriminated against because of their opinions, religious beliefs, and health. Privacy is
therefore to be regarded as a key component of the equality society. In the absence of strong safeguards
for the data concerning political opinions or membership of parties, trade unions, and associations,
citizens run the risk of being excluded from democratic processes. Thus, privacy is becoming a
prerequisite for being included in the participation society. In the absence of strong safeguards for the
"electronic body", the set of information gathered in our respect, personal freedom as such is in danger.
Therefore, there is little doubt that privacy is a necessary tool to defend the society of freedom and
counteract the drive towards establishment of a society based on surveillance, classification, and social
selection.
Also in fighting terrorism, one should never forget what happened under totalitarian regimes - where
blatant violations of fundamental rights were made possible exactly by the massive collection of
information, which allowed continued, pervasive, and oppressive surveillance of everyday life. From this
standpoint, privacy can be defined as an indispensable component of the society of dignity - and "dignity"
is mentioned in the first sentence of the German Constitution exactly in opposition to Nazi logic, as well
as being referred to at the outset of the Charter of Fundamental Rights of the EU.
Still, the title of the Conference refers, above all, to a very demanding task - associating privacy and
dignity. This requires all specific issues to be addressed against the background of the primacy recognised
to individuals and individual-related values, individual freedom and autonomy.
This is no strained association. Ever since the mid-19th century, a writer such as Robert Kerr described
Victorian English society by referring to the "right to be left alone" - forty years in advance of the wellknown essay by Warren and Brandeis. He analysed the meaning of privacy and found that its essence
consisted in "mutual respect and intimacy". One hundred and fifty years after his book, "respect" retains
all its symbolic value as a word - so much so that it was chosen as the title of the latest essay published by
a well-known sociologist, Richard Sennett.
These two words, intimacy and respect, allow addressing the dignity issue by remaining alert to all its
complexity and multifariousness. Intimacy has the flavour of something inviolable and inalienable;
respect has to do with everyone's relationships with everyone else. Dignity is the line connecting these
two sides - the individual and the social one - and contributes to defining everyone's social position and
standing.
Such an approach is far from alien to data protection issues. In the very well-known Census Act Case of
Germany, it was stressed exactly that "the focus of the constitutional order (…) is the value and dignity of
the person, who operates in self-determination as a member of a free society". One might argue that this
conclusion could be drawn because the German Grundgesetz expressly refers to dignity in its first Article;
however, this consideration is actually obsolete, as Article 1 of the Charter of Fundamental Rights of the
EU - which is currently Part II in the Constitutional Treaty - states that "Human dignity is inviolable. It
must be respected and protected".
This Article is more than a carbon-copy of the German model. It actually mirrors the complex evolution
experienced by domestic law in many countries, where increasing importance has been attached to
dignity. This is in line with the clear-cut guidance contained in the Preamble as well as in Article 1 of the
1948 Universal Declaration of Human Rights, which expressly refers to dignity as an essential component
of the human being and a condition for freedom and equality. As regards more recent constitutional
experiences, only consider France or Poland, Italy or Finland, Switzerland or Brazil, Israel or South
Africa. New provisions such as Article 16 in the French Civil Code or Article 2 in the Italian data
protection Code expressly mention dignity, and the same applies to international instruments such as the
Council of Europe's Convention on human rights and bio-medicine, which begins by re-affirming the
principle of human dignity, and UNESCO's Universal Declaration on Human Genoma. One can therefore
come to the conclusion that dignity is a universal, fundamental, and inescapable term of reference even
though it should always be seen against the specific cultural background.
Starting exactly from the latter consideration, one might argue, however, that there are two different ways
to address privacy issues in the Western cultural tradition - as maintained by several (mainly US)
scholars. There is the European approach, basically grounded on the dignity concept, and there is the
other one, which is mainly typical of the USA and rests on the freedom concept. Still, legislative and
cultural developments have shown over the past few years that this dichotomy is no longer applicable to
data protection.
Indeed, the right to data protection has been included exactly in the Part concerning freedom within the
Charter of Fundamental Rights of the EU. Again, this mirrors a major development that took place in the
past years, whereby what was formerly regarded as the "right to be left alone" turned into a pre-requisite
for exercising other fundamental rights and freedoms. The strong protection of sensitive data has
therefore become a fundamental component of equality in order to prevent the collection of these data
from turning into a tool used to discriminate against some individuals. And, the protection of medical or
genetic data is actually a condition to put the right to health into practice - just like safeguarding personal
opinions has become a prerequisite to exercise freedom of expression, communication, association, and
worship. Moreover, occupational status, access to credit and insurance are increasingly dependent upon
the degree of personal data protection. In the European model, there is an increasingly close association
between privacy and freedom.
On the other hand, looking at the developments in the USA one can see that the very definition of privacy
has come to include items that can be traced back to the conceptual framework of dignity. Indeed, privacy
is said to consist in "the protection of life-choices from public control and social disgrace" or "a claim
about social boundaries that protect us from being simplified and objectified and judged out of context".
This cursory reference to complex cultural situations shows that the dichotomy I mentioned before is no
longer acceptable. Above all, it is not acceptable that the European privacy model is considered to be
alien to freedom components. In fact, the European model has evolved by coupling the protection of
intimacy and confidentiality with the fight against any discrimination and the search for effective
equality. In this manner, the social and political function of privacy has changed dramatically; indeed
nowadays privacy goes well beyond the individual's private sphere and has become a component of
citizenship in the new millennium.
Now, getting back to the issue of dignity, one might argue that exactly the perspective and experience
applying to the new privacy concept can allow doing away with the ambiguity pointed out whenever this
concept is taken into consideration. Actually, "dignity" is used both to convey the need for absolutely
respecting an individual's autonomy and rights and to support the claim to controlling individuals and
their behaviour for the sake of values that someone plans to impose on other individuals.
In dealing with privacy, emphasis has been put increasingly on the need for eliminating or reducing
external interference with an individual's private sphere. Therefore, it is not a matter of imposing alien
values, but rather to make possible the full development of the personality and the autonomous
participation into the social and political life. The aim is to prevent one's life choices from being
conditioned by public and/or private influence so that everyone can be free to act autonomously. This is
why not even public security requirements can ever downsize privacy in a way that is incompatible with
the features of a democratic society, and business logic cannot legitimate the commodification of personal
information.
Seen in this perspective, the dual construction - perhaps the ambiguity - of the dignity concept can
actually be overcome. Dignity as related to privacy is a concept summarising principles such as
recognition of an individual's personality and non-commodification of the individual, equality, respect for
other people, solidarity, non-interference with another's life choices, possibility to act freely in society
and in the political arena. There are no values to be imposed on others. Actually, the foundations are laid
to ensure autonomy and mutual respect. Moreover, Article 1 of the Charter of Fundamental Rights
provides that dignity is to be not only "respected", but also "protected" - after the pattern followed in the
German Grundgesetz. This means that public authorities are required not only to refrain from tampering
or interfering with an individual's private sphere, but also to take steps actively in order to bring about the
conditions allowing individuals to live with dignity. The right of privacy represents exactly one of these
essential conditions.
Seen in the social perspective, this construction of the privacy-dignity relationship can be considered as a
fundamental tool to fight the powerful drive aimed at transforming our social organisations into
surveillance / classification / discriminatory selection societies. However, this fight would appear to
become increasingly difficult as shown by many examples quoted in the course of this Conference.
Let us consider the equality issue. We are facing the stepwise extension of social control on the grounds,
basically, of the need to fight terrorism. We are experiencing deep-ranging social changes. Surveillance is
becoming the rule instead of being the exception, its focus being shifted from "dangerous" individuals to
people at large. No crowd is "solitary" and anonymous any longer: crowd is "naked". Image digitisation
and facial recognition allow extracting the individual from the crowd, identifying and tracing his
movements. Data mining, i.e. the unrelenting search for information on individual behaviour, is
continuously generating individual, family, territorial and group "profiles". Surveillance knows no
boundaries.
Stretching the interpretation of these changes to the extreme, some US scholars have maintained that the
shift from control targeted to individuals and social groups regarded as dangerous towards objective,
universal forms of control would produce "democratisation" effects as it would rule out any selection, i.e.
any discretion, in respect of the persons under investigation. In other words, all would be equal because
all would be controlled and on file. In this sense, equality before the State could only be ensured by
relinquishing all safeguards.
However, this concentration field-style equality violates dignity, denies freedom, and thwarts democracy.
Sure, one might argue that this is a paradoxical view and should not be taken too much in earnest. In fact,
it is the extremised version of a widely held, down-to-earth view according to which you cannot strike a
balance between different values and rights in the customary way whenever it is the very survival of a
State that is at stake. Does it mean that we all will become if not potential enemies, certainly potential
suspects - which gives the green light to all manners of mass control? Are we to make do with a modified
version of freedom itself?
Another historically fundamental freedom right, i.e. the freedom of movement, is currently jeopardised by
video surveillance and location techniques. Again, all hopes of defence rest on the privacy-dignity
interaction, which has become especially important after some reports published in July concerning, in
particular, application of RFID devices to individuals.
It appears that microchips were implanted into the arms of Mexico's Fiscal General and 160 Fiscal's
employees to control their access to an important documentation centre and possibly track them in case of
kidnapping - at a cost of 150 $ per implant. The Fiscal only commented that "it hurt a bit".
On Jule 19th, the UK Prime Minister announced a programme whereby the five thousand most dangerous
UK criminals would be "tagged and tracked" via satellite. Many have pointed out the technical difficulties
related to this project; however, it is the symbolic value of the message that should be taken into account
very earnestly.
Indeed, there is a dramatic change in the legal and social status of individuals underlying this approach.
Having served a sentence in full will not be enough to regain freedom. If an individual is classed as
"highly crime-prone", he or she will be deprived for life of his or her freedom of movement and all the
attending forms of personal autonomy, because he or she will be obliged to carry an electronic device to
allow being located at any time. And this "tagging" of dangerous individuals could also be implemented
by inserting underskin microchips. The very nature of our body would thereby end up being modified,
because the body would become a "post-human" body that has undergone technological manipulation.
Can this be considered compatible with the human dignity principle? Should one accept the audacious
wording who termed this latest version of the "surveillance society" as "society of respect"?
While one should be concerned with one's future, one should not lose sight of the present, where video
surveillance is all-pervasive and image digitisation allows tracking our movements. Video surveillance
not only affects freedom of movement, but also makes the past "visible".
The effects produced by location control and merciless storing of individuals' behaviour are equally clearcut if one considers electronic communications. Here, the extended data retention periods are doing away
with the right to oblivion and actually enhance the opportunities for unrelentingly producing all kinds of
profiles, which carries deep-ranging consequences in terms of social selection and discrimination.
What dignity may be left to an individual who has become a prisoner of his past, which is held wholly by
others and of which he has been dispossessed without being able to object?
Furthermore, the new driving force of biometrics is giving rise to new combinations between the physical
and the electronic body. Our physical body is becoming a password. Our electronic body, meaning the set
of data concerning us, is the subject of increasingly aggressive and pervasive data mining on grounds of
security or else for market purposes. Social surveillance avails itself of increasingly sophisticated
electronic leashes. The human body is being equated to a moving object that can be controlled remotely
via satellite, or by means of electronic devices.
We are confronted with changes that have to do with the anthropological essence of individuals. There is
a stepwise shift in progress - after being "observed" via video surveillance and biometrics, individuals are
being "modified" via various electronic devices, underskin chips and "smart" tags to such an extent that
they are increasingly turned into "networked persons". We are always connected and can be configured
differently so that from time to time we can transmit and receive signals allowing movements, habits and
contacts to be traced and defined. This is bound to modify meaning and contents of individuals'
autonomy, therefore to affect their dignity.
This unrelenting erosion of personal prerogatives - getting as far as transforming the body - co-exists not
only with the growing attention paid to dignity - as mentioned at the beginning of my contribution -, but
also with the veritable constitutionalisation of the individual, as shown most clearly by the Charter of
Fundamental Rights of the EU of which the new, autonomous fundamental right to data protection is a
basic component.
"We shall not lay hand upon thee". This was the promise made in the Magna Charta - to respect the body
in its entirety: Habeas Corpus. This promise has survived technological developments. Each processing
operation concerning individual data is to be regarded as related to the body as a whole, to an individual
that has to be respected in its physical and mental integrity. This is a new all-round concept of individual,
and its translation into the real world entails the right to full respect for a body that is nowadays both
"physical" and "electronic". In this new world, data protection fulfils the task of ensuring the "habeas
data" required by the changed circumstances - and thereby becomes an ineliminable component of
civilisation, as has been in the history for the habeas corpus.
Thus, a stringent analysis of the threats affecting privacy and dignity should not result into resignation or
pessimism, nor should it lead to a luddite call for destroying technological devices that are actually
excellent means to enhance knowledge and political/social participation as well as being sources of
welfare and channels of personal and social security. Still, one should never forget that availability of a
technology as such does not imply that all uses of such technology are permissible; in fact, all uses have
to be assessed in the light of values other than those conveyed by technology itself. Privacy is no
hindrance; it is actually the way through which scientific and technological innovations can lawfully
become a part of our society and lives.
I am not afraid of using highly evocative words. I am convinced that a thorough analysis of data
protection, of the relationship between privacy and dignity, is fundamental to get a really firm grasp of
man's condition in this millennium and identify the pattern according to which democracy is being
modelled.
We must be aware of all this at a time when things are and will be quite difficult. This is just why the role
of independent authorities, which has been constitutionalised via the Treaty adopting a Constitution for
Europe, is becoming more demanding and requires them to assume increased responsibilities before
public opinion.
Data protection authorities operate along the thin line separating the appropriate balancing of privacy
against other values from the imposition of limitations that may distort the features of a democracy. We
should speak out. We should act together, because no single authority can adequately cope with complex
issues that arise in a worldwide context. And, we should do this by making the most of the available tools
- first and foremost, the Working Party set up under Article 29 of Directive 95/46/EC.
We should be cautious and capable to respond to the attacks coming from terrorism; above all, we should
be brave and never forget our past, which reminds us of insufferable forms of authoritarianism. We are
actually in danger of being exposed, once again, to authoritarian measures. Democracy is a valuable good,
but it is fragile and should not be taken for granted once and for all.
Perhaps it will not always be possible to stop this authoritarian drift. This is exactly why independent
authorities have the duty to explain what is really happening to the public opinion.
It is not merely a moral duty. In fact, it is the only way for us to fulfil our institutional tasks as parts of the
balancing powers that are necessary to the soundness of democratic life.