PRIGIONIERI DEL TEMPO Riflessioni per i manager che non

Transcript

PRIGIONIERI DEL TEMPO Riflessioni per i manager che non
PRIGIONIERI DEL TEMPO
Riflessioni per i manager che non trovano il tempo per generare “engagement”
Due recenti articoli pubblicati su Harvard Business Review hanno destato un mio forte
interesse perché in qualche modo toccano due temi a me cari, purtroppo intimamente
correlati. Parliamo di engagement e dell’utilizzo del tempo in azienda, specie per quanto
attiene ai manager, principali “ispiratori” o distruttori della ventilata priorità strategica di
disporre di collaboratori “engaged”.
Il primo articolo, Blue Ocean Leadership, e’ un importante contributo di W.Chan Kim e Renee
Mauborgne 1 che tratteggia un velleitario nuovo approccio allo sviluppo della leadership
fortemente enfatizzato dal richiamo al best seller degli stessi autori che ha indubbiamente
modificato molti paradigmi in campo di marketing e strategia aziendale (Blue Ocean
Strategy).
Il secondo e’ un contributo di Michael Mankins, Chris Brahm e Gregory Caimy 2 che in modo
specifico tratta del tema dell’utilizzo del tempo partendo da alcune riflessioni empiriche sul
costo di attività in cui in particolare i manager investono oggi la maggior parte del proprio
tempo.
La tesi da cui si dipana il nuovo approccio della Blue Ocean Leadership è ancora una volta il
recente studio di Gallup 3 sul livello di engagement nelle aziende americane dal quale sembra
desumersi quello che i due autori etichettano come un “triste” scenario: solo il 30% dei
collaboratori intervistati nel vasto campione sono attivamente “engaged”, il 50%
semplicemente onora l’orario lavorativo come atto dovuto, senza entusiasmo mentre il 20%
agisce in modo controproducente. Cioè lavora “contro” gli interessi della propria azienda,
influenzando tra l’altro negativamente gli altri addetti e penalizzando il livello di servizio.
Tutto ciò porta ad una perdita negli Stati Uniti di circa mezzo trilione di dollari ciascun anno.
Ebbene, partendo da Gallup, gli autori additano nello scarso livello di leadership la principale
causa di questa (drammatica) situazione.
Fantastico ! Ci sono arrivati anche i grandi strateghi ! A questo punto identificano una
modalità interessante ed abbastanza innovativa per agire “concretamente” sul tema della
leadership secondo alcuni paradigmi che definiscono nuovi e differenzianti percorsi rispetto a
molti contributi sin qui espressi da vari studiosi del tema.
In particolare gli autori sottolineano i seguenti elementi distintivi rispetto ad altri approcci:
1) Focus su azioni ed attività più che sullo sviluppo di competenze e di comportamenti
2) Coinvolgimento di varie componenti aziendali nel determinare un riassetto delle
attivita’ richieste ai leader (in quanto tali) tenendo conto delle richieste dei mercati e
delle esigenze di business.
3) Allargamento dell’ampiezza della leadership attraverso l’empowerment di differenti
livelli organizzativi
Questo approccio che non voglio assolutamente banalizzare ma che rimando all’attenta
lettura dell’articolo di cui sopra, parte comunque da un assunto chiave che si correla sia al
secondo contributo citato che al tema delle mie riflessioni: la modifica concreta di priorità di
azione tenendo conto dei vincoli temporali e della condivisa (a parole) crucialità del tema
dell’engagement nelle nostre organizzazioni. Attraverso l’utilizzo di una Leadership Grid sono
evidenziate, nell’ambito di un processo che coinvolge differenti attori e stakeholders
nell’organizzazione, attività rispettivamente da Eliminare, Ridurre, Incrementare e Creare ex
novo, fermo restando il tempo a disposizione.
Blue ocean Leadership di W.Chan Kim e Renee Mauborgne – Harvard Business Review – May 2014
Your Scarcest Resource di Michael Manking, Chris Brahm e Gregory Caimi – Harvard Business Review – May 2014
3 http://www.gallup.com/strategicconsulting/163007/state-american-workplace.aspx
1
2
Il secondo contributo di Michael Manking, Chris Brahm e Gregory Caimi si concentra in modo
specifico proprio sul tema della gestione della risorse più carente: il tempo.
Con un particolare enfasi sul tempo consumato in attività non sempre essenziali in buona
parte rappresentate dall’esplosione dei flussi di comunicazioni in rete, da riunioni e meeting
non sempre davvero indispensabili.
Gli autori partono dall’evidenza della crescita di input rappresentati da email, stimati negli
Usa oggi in una media di 30.000 comunicazioni all’anno per ciascun executive.
Per quanto attiene a riunioni e meeting si è calcolato che ciascun senior executive dedichi piu’
di due giorni a settimana in meetings che coinvolgono 3 o più colleghi o collaboratori.
Si è anche calcolato che il 15% del tempo speso in media negli uffici americani è
rappresentato da riunioni. Il problema secondo gli autori nasce dal fatto che la maggioranza
dei meetings è disfunzionale e destrutturato, con il 22% dei partecipanti che inviano tre o più
email nel corso del meeting stesso. Per non parlare della scelta spesso impropria dei
partecipanti.
In un grande gruppo multinazionale e’ stato calcolato che un meeting settimanale del senior
leadership team coinvolge 7000 ore di manager direttamente coinvolti all’anno mentre
considerando le catene di meeting che concorrono alla preparazione dello stesso si generano
addizionali 20.000 ore di altro personale chiamato in causa dai top manager. Il trattamento
delle informazioni per generare tali meeting prevede ulteriori 65.000 ore annue che a sua
volta generano a livelli più di dettaglio nelle varie funzioni coinvolte ulteriori 210.000 ore
annue. Alla fine si può dichiarare che l’organizzazione di meeting direzionali settimanali
generano circa 300.000 ore di lavoro all’anno.
Questa riflessione inevitabilmente correla tempi e costi, ma la riflessione più acuta è legata
alla riflessione dei costi indotti dall’inserimento in azienda di nuovi manager. Il consumo di
tempo generato da ciascuno direttamente ed indirettamente con il coinvolgimento di colleghi
e collaboratori e’ esponenziale e produce la necessità (potenziale) di nuove risorse. Un
manager junior genera lavoro per un 1/3 del tempo di un altro collaboratore mentre
all’estremo opposto uno senior executive genera lavoro per circa 3 altre persone.
La tesi a questo punto proposta dagli autori è quella di considerare il tempo, in quanto risorsa
carente, come variabile chiave da gestire con enfasi non inferiore alla pianificazione strategica
ed ai budget aziendali. Vengono quindi fornite metodologie per “indirizzare” l’azione in
particolare del management, che si sostanziano in 8 practices che spaziano dalla fissazione di
agende selettive per i meeting, all’utilizzo di zero-based budget del tempo, dalla
semplificazione organizzativa, dalla standardizzazione dei meccanismi decisionali a creare
una cultura dell’utilizzo appropriato del tempo in tutta l’organizzazione.
Interessante contributo, che come per il precedente non intendo svilire con facili sintesi ma di
cui consiglio la consultazione.
Queste autorevoli premesse ci portano invece dritti dritti al punto.
Il tema dell’adeguamento dell’azione del management in relazione al tempo a disposizione a
mio avviso sfiora un tasto davvero centrale per rispondere alle irrisolte questioni legate alla
difficoltà pratica di generare engagement e sviluppare le risorse malgrado enunciati e buone
intenzioni.
Se almeno in azienda emerge una consapevolezza della centralità del tema – quindi della
priorita’ delle azioni che un manager può attivare a livello comportamentale per influire su
engagement, clima aziendale, motivazione, fiducia, entusiasmo e sviluppo delle risorse –
siamo almeno ad un punto di partenza non banale. Di norma purtroppo sconfessato
dall’esplosione costante di “altre priorità” finalizzate al business (ed ai capricci del top
management o dell’imprenditore di turno). Il tempo che manca rientra pesantemente in gioco
ed eccoci fermi sulle buone intenzioni.
Personalmente non credo neppure così tanto a tecniche sofisticate di time management.
E’ certamente interessante la rifocalizzazione a cui si arriva nell’approccio della Blue Ocean
Leadership definendo dei leadership canvas che indicano una dinamica del riposizionamento
di azioni prioritarie nel comportamento di un manager (filtrato attraverso la Leadership Grid
di cui fatto accenno in precedenza) da uno stato “As is” ad uno stato “to be” condiviso in varie
modalità con peer, collaboratori e capi.
Il problema è vedere se al di là di enunciati piani di azione e “momenti” anche di “profonda”
riflessione in merito i manager nella realtà non diventino nella pratica di tutti i giorni di
nuovo prigionieri del tempo.
Vorrei a questo punto lanciare alcune suggestioni, provocazioni ed idee non tanto per
risolvere il problema dell’utilizzo del tempo in azienda (se avessi in mano soluzioni in merito
concorrerei al Nobel). Mi interessa invece sollevare dei semplici “pensieri” rispetto alle
sollecitazioni che di per stesse richiedono tempo dedicato ma che se non considerate
precludono qualsiasi chance di concorrere in modo costruttivo sullo sviluppo di engagement.
Parto quindi da una scomposizione “terra terra” delle opportunità di interazione con i
collaboratori. Perché senza interazione l’engagement non si genera per il soffio divino.
-
Il tempo per parlare con i collaboratori
Il tempo per dare feedback
Il tempo per l’auto sviluppo
Il tempo per formare e fare coaching
Il tempo per il coinvolgimento dei collaboratori
Il tempo per comunicare la vision e gli obiettivi
Il tempo per comprendere i silenzi
Il tempo per celebrare
Il tempo per riflettere su errori e sconfitte
Il tempo per scherzare
Il tempo per aiutare
Il tempo per gestire il tempo
Il tempo per parlare con i collaboratori
Spesso i collaboratori cercano i capi per condividere qualcosa.
Qualcosa che riguardi, di norma, l’operatività aziendale. O per avere chiarimenti o indicazioni
per procedere o per decidere.
Meno spesso i capi cercano i collaboratori. Li cercano certamente se hanno bisogno di
qualcosa e normalmente diventano anche impazienti ed irritabili se non li trovano.
Non li cercano in genere per scambiare impressioni momentanee, sensazioni, o per ricavare
consenso e condivisione su qualche progetto in corso.
I capi sono molto occupati ma se ci si pensa un po’ esistono “momenti” in cui si aprono
“varchi” comunicativi. Durante una giornata, diamine, fosse per un caffè, una breve riunione
estemporanea, una telefonata (se si e’ distanti).
Ho in mente comportamenti di top manager ed imprenditori, per definizione presissimi, che
dedicano “metodicamente” semmai 10 minuti al giorno al contatto con tutti i loro riporti.
E’ possibile, credetemi, non serve un corso di time management per interagire con chi, a volte,
non e’ poi così meno importante di un cliente ….
Il tempo per dare feedback
Su questo tema vi rimando ad un mio recente articolo sul tema del feedback. La gioia del
feedback. 4
Feedback può essere dato costantemente, e neppure in modo così destrutturato come si
potrebbe pensare.
Feedback è una espressione diretta e preferibilmente senza “filtri” delle proprie percezioni
sull’operato e sul comportamento dell’altra persona. Circostanziato, non generico. Non
“sintesi” di una stima o non stima complessiva ma semplicemente soggettiva espressione di
quanto vedi il comportamento del tuo collaboratore in linea con le tue aspettative
(ovviamente premettendo che è aperto e gradito il contraddittorio).
Il tempo per dare feedback si può trovare metodicamente una volta al giorno, una volta alla
settimana, una volta al mese, certamente non (solo) una volta all’anno in sede di valutazione
della performance. Questa è burocratico espletamento di un compito che non ti interessa ed il
cui disinteresse si percepisce, di norma.
Si può dare invece sempre feedback, positivo o negativo, trovando quei famosi 10 minuti di
cui al punto precedente
Il tempo per l’auto sviluppo
Parliamo dell’auto sviluppo dei manager.
Certamente i manager imparano molto dall’esperienza, dai successi, dagli errori, ma non
dedicano che una minima parte del tempo a percorsi di sviluppo minimamente strutturati a
loro destinati. Che loro stessi ritengono “essenziali” e prioritari per crescere ed essere sempre
più efficaci nel proprio ruolo – ma che trovano purtroppo i soliti “vincoli temporali”.
Credo che sia possibile fare uno sforzo in più semplicemente con un pizzico di astrazione che
ponga il manager “osservatore” dei suoi stessi comportamenti sul campo.
Se il manager ha maturato la forte convinzione che sia essenziale agire sul suo orientamento a
dare feedback, ecco che alcuni momenti di una giornata di lavoro possono diventare una
palestra – per fare ed osservare.
Questo approccio funziona molto bene se il manager si affida ad un coach. Caratteristica
fondamentale di qualsiasi coaching e’ di far sorgere nel coachee l’attenzione necessaria per
lavorare su se stessi nelle cose di tutti i giorni (che poi è la dimensione della realtà)
Il tempo per formare e fare coaching
Qui lo sforzo del manager può sembrare più grande ma se ci si pensa e’ possibile applicare il
concetto capovolto del punto precedente. Se il manager riesce ad essere coach può calibrare
nella vita di tutti i giorni distillati (non di insegnamenti) ma di ascolto ed osservazione del
comportamento dei collaboratori ed orientamento dello stesso a lavorare sul miglioramento.
Il manager coach è un bell’uovo di Colombo. Ovviamente deve diventare coach, semmai
pensando al vantaggio di non dovere più sentirsi in colpa per la scarsa formazione fornita ai
collaboratori ed all’efficiente uso del tempo nel generare miglioramento.
Il tempo per il coinvolgimento dei collaboratori - Il tempo per comunicare la vision e gli
obiettivi
Qui vanno messi insieme due punti. Un capo può dedicare anche pochissimo tempo ma
essenziale a “coinvolgere” le persone sulla direzione in cui si sta andando.
Fornire anche brevi ed estemporanei accenni alla vision ed agli obiettivi che si stanno
perseguendo è certamente più efficace che attendere “eventi” od occasioni formali e semmai
troppo “periodiche”.
4
La gioia del Feedback – di Tommaso Raimondi – Persone e conoscenze – Gennaio / Febbraio 2014 – Este Editore
Questo è senz’altro uno delle “attenzioni” che possono fare la “differenza” in termini di
engagement delle persone. Al contrario nulla è maggiormente demotivante che attendere,
semmai a lungo, che qualcuno ti mostri la strada da percorrere, mentre stai camminando (e
semmai camminando a fatica).
Coinvolgere è poi una azione che può essere compiuta costantemente senza stravolgere
nessuna priorità ma sapendo che trattasi della principale leva per essere seguiti. Non significa
dire cosa deve essere fatto ma soprattutto perché devono essere fatte cose per raggiungere
una finalità.
Questo punto necessariamente coinvolge un’altra importantissima opportunità. Si parla tanto
di orientamento all’innovazione ed alla creatività in azienda.
Ebbene, non c’è coinvolgimento più efficace che stimolare i collaboratori a fornire contributi
creativi e nuove idee. Coinvolgere persone su nuovi progetti ed in genere lo stimolo
all’innovazione è un portentoso strumento di engagement e dà all’azienda grandi opportunità,
generando una cultura mai così indispensabile nei contesti attuali …. con un uso del tempo
che si riduce, almeno all’inizio, nell’incitamento e in un po’ di ascolto.
Il tempo per comprendere i silenzi
Anche qui devo richiamare ad un mio recente scritto 5 Sul tema del silenzio che parla, della
difficoltà spesso di cogliere segnali deboli da parte dei collaboratori che parlano di
insoddisfazione, demotivazione o di altri problemi inespressi, che un capo non dovrebbe
ignorare o far finta di ignorare.
Ci sono tecniche fini per rompere i silenzi, comunque e sempre per rimanere nella semplicità,
fare domande aperte con una certa frequenza può dischiudere sintonie. E’ ovvio, in una
giornata di lavoro e semmai al mattino, non serve a molto chiedere al collaboratore “come va
?” Piuttosto provate a chiederlo a fine giornata.
Il tempo per celebrare / Il tempo per riflettere su errori e sconfitte
E’ indiscutibile che i successi vadano celebrati. Naturalmente i successi devono riferirsi a sfide
per definizione non banali, ma gli sforzi fatti e soprattutto i risultati ottenuti meritano precise
azioni di riconoscimento, al di là di possibili premi se previsti. E’ la dimensione del dare
importanza al successo del gruppo e del singolo, dimensione chiave e non manipolatoria (così
almeno dovrebbe essere) nel favorire lo sviluppo di engagement.
Tornando ai vincoli temporali è possibile trovare spazi per la celebrazione smorzando
sicuramente la connessa enfasi organizzativa, ovvero di norma non è necessario investire in
eventi ma sfruttare semmai una pausa pranzo o un fine giornata. L’importante è veicolare tra
partecipanti adeguati e nel contesto adeguato corretti messaggi che evidenzino il successo
individuale e di gruppo ed esprimere quindi un apprezzamento sincero e sentito.
Nello stesso tempo in gruppo (se il gruppo ha contribuito) o a livello individuale, è
fondamentale fermarsi un istante per ragionare su insuccessi, sconfitte ed errori. Un manager
che celebra successi e sorvola su insuccessi non è comunque credibile. Rientriamo nel tema
del feedback, il feedback positivo o negativo è comunque apprezzato ed è condizione
imprescindibile del miglioramento e dell’engagement.
Il tempo per scherzare
Dave Ulrich 6 dedica un capitolo intero nel suo libro THE WHY OF THE WORK al tema della
Gioia, l’ultima delle 7 leve cardine del fornire “significato” alle persone in un contesto
organizzativo appagante.
Il non detto in azienda di Tommaso Raimondi– Newsletter di Economia e Management – Sda Bocconi / RCS - 2013
Dave Ulrich e Wendy Ulrich – Il perche’ del lavoro – Franco Angeli 2012 / John H. Zenger - Joseph R. Folkman – Il leader straordinario – Ed. Franco
Angeli, 2010 /
5
6
Non voglio banalizzare sulla correlazione tra scherzo, gioia, buon umore e motivazione.
Comunque sia le persone in azienda di norma apprezzano “momenti” in cui la tensione si
smorza e la componente umana, relazionale denota un “avvicinamento” da parte del manager.
Anche qui potremmo aprire lunghe discussioni, comunque un manager a mio avviso dovrebbe
trovare e non casualmente momenti che io chiamo di “smollamento” in cui intanto si pone su
un piano diverso e nel contempo costruisce positività intorno a sé. Non dico gioia, ma almeno
positività.
Il tempo per aiutare i collaboratori
Quante volte un vostro collaboratore vi ha chiesto (non una domanda né un consiglio) ma
“aiuto” ? Aiuto sul lavoro, aiuto anche extra lavoro.
Forse poche volte, perché la richiesta di aiuto si cela spesso dietro il non detto di cui sopra.
Quando invece la richiesta è mal celata o del tutto esplicita il nostro manager si trova di fronte
a gestire “una emergenza” o una “eccezione” e come tale difficilmente può sottrarsene, anche
in considerazione della “complessità” della richiesta di aiuto. Tipicamente scattano in questi
casi creativi ricorsi a terzi, delega a colleghi, conoscenti ed amici. Va bene tutto, purchè sia
chiara una cosa, l’interesse vero e non di convenienza rispetto alla situazione di difficoltà.
Come mostrare questo interesse ? Come al solito, facendo domande e dimostrando di avere
perlomeno “compreso” l’esigenza. Se questo manca, al di là della risoluzione del problema, la
risorsa è spesso “persa” in termini di fiducia ed engagement.
Il tempo per gestire il tempo
Chiudo ricollegandomi ad alcuni spunti emersi dagli articoli iniziali.
I manager possono agire sull’engagement al di là di dedicare anche frammenti mirati e
convinti del loro tempo agli stimoli suddetti, dimostrando di essere interessati alla gestione
della risorsa più scarsa, proprio il tempo.
Non si tratta solo banalmente di pianificare attività e fissare priorità, occorre invece dare
dimostrazione di agire in modo “strutturale” in un cambio di approccio da parte di tutti
proprio tenendo conto da una parte delle esigenze di potere continuare a fornire risposte
efficienti e “veloci” alle richieste di business, dall’altra di essere in grado di “tagliare” tanti
orpelli formali e rituali che regolano il lavoro in molte organizzazioni.
Su questo punto si aprirebbe una profonda discussione che per il momento lascio in sospeso.
Quello che mi interessava ora sottolineare è che esistono dimensioni molto semplici ma
concrete in cui una attenzione alle richieste esplicite o implicite provenienti dalle risorse
gestite è possibile cominciando a dedicare intervalli temporali semplicemente “pensandoci un
po’ su …. “
Riusciremo primo o poi a liberare questi “prigionieri del tempo ?”
Tommaso Raimondi
Luglio 2014