Catull. 69 Noli admirari, quare tibi femina nulla, Rufe, uelit tenerum

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Catull. 69 Noli admirari, quare tibi femina nulla, Rufe, uelit tenerum
Catull. 69
Noli admirari, quare tibi femina nulla,
Non stupirti perché nessuna donna,
Rufe, uelit tenerum supposuisse femur,
o Rufo, voglia stendere sotto di te le sue tenere cosce,
non si illam rarae labefactes munere uestis
neppure se tentassi di farla vacillare col dono di una
aut perluciduli deliciis lapidis.
rara veste o con l’attrazione di una pietra di trasparenza
laedit te quaedam mala fabula, qua tibi fertur 5
delicata. Ti nuoce una cattiva diceria, secondo cui si
ualle sub alarum trux habitare caper.
dice che nell’avvallamento delle tue ascelle abita un
hunc metuunt omnes; neque mirum: nam mala ualde selvaggio caprone.
est
Questo temono tutte, e non c’è da stupirsi: infatti è una
bestia, nec quicum bella puella cubet.
gran brutta bestia, con cui nessuna bella ragazza va a
quare aut crudelem nasorum interfice pestem,
letto. Per cui o uccidi quella crudele pestilenza per i
aut admirari desine cur fugiunt.
10
nasi, o smetti di stupirti perché le donne ti evitano.
3 Dedicatario dell’epigramma è lo stesso Rufo del c. 77, e forse il protagonista anonimo – ma sempre
caratterizzato dal fetore di capra – che si incontra nel c. 71. È discussa la sua identificazione con Marco Celio
Rufo, amico di Cicerone (che lo ha difeso nella Pro Caelio, 56 a. C.), amante di Lesbia e dunque rivale di
Catullo. L’epigramma ha una struttura simmetrica (4+4+2): i vv. 1-4 constatano gli insuccessi amorosi di Rufo, i
vv. 5-8 indicano le cause, il distico finale 9-10 tira la conclusione, concludendo ad anello l’epigramma, e
condensandone il contenuto Il v. 9 riassume i vv. 5-8, il v. 10 i vv. 1-4.
1. noli admirari: imperativo negativo. Il verbo e il sema della ‘meraviglia’ ritorna come elemento portante del
carme, cf. 7 mirum, 10 admirari.: sembrerebbe quasi un’ironica ripresa del principio protagoreo di mhdn
qaum£zein, un principio che si ritrova anche nella ¢qamb…a democritea e che incide sulla tradizione epicurea
dell’atarassia. Si ricordi l’incipit dell’epistola 1,6 di Orazio: Nil admirari prope res est una, Numici, / solaque
quae possit facere et seruare beatum.
quare … velit: interrogativa indiretta al cong. pres., secondo la consecutio temporum (= contemporaneità
rispetto ad un tempo principale). Si noti la ripresa con variazione della struttura sintattica al v. 10 (desine
admirari cur …).
Consecutio Temporum
Tempi Principali
Storici
contemporaneità
Pres
Impf
anteriorità
Perf
Ppf
posteriorità
Perifrast. Att. + sim
Perifrast. Att. + essem
Es. Quaero quid facias, quid feceris, quid facturus sis
Quaerebam quid faceres, quid fecisses, quid facturus esses
femina nulla: più generale di nulla puella e inoltre allitterante con femur (gen. Feminis, più raro femoris), al v.
2.
2. tenerum supposuisse femur: supposuisse con valore aspettuale compiuto (costrutto frequente con i verba
voluntatis, dalla lingua giuridica). L’espressione è frequente nell’elegia: cf. Ov. am. 3,7,10 lasciuom femori
supposuitque femur Tib. 1,8,25 Sed corpus tetigisse nocet, sed longa dedisse / oscula, sed femini conseruisse
femur.
3. non si: dopo la precedente negativa noli, con il senso di ‘neppure’ (= ne tum quidem si), è frequente in poesia,
in Lucrezio, in Catullo (cf. 48,5; 70,2 nulli … non si, 88,8 nam nihil est quicquam sceleris quo prodeat ultra /
non si demisso se ipse uoret capite “non c’è infatti altra colpa che sorpassi questa, neppure se, abbassato il capo,
te lo succhiassi da solo”) e negli augustei, più raro in prosa.
illam: sostituto metrico di eam.
labefactes: labefacto è frequentativo o iterativo, intensivo, verbo in -a# - derivato dal participio passato di
labefacio (a sua volta giustapposto di facio). Inizialmente durativi (in quanto derivati dal part. pass.), questi verbi
assumono valore di iterativo (cursito, iacto), intensità (quasso, rapto), consuetudine (cenito, lectito, scriptito), o
di conato, come in questo caso. Può avere valore fisico, concreto (‘scuotere, far vacillare’), ma anche psichico
(‘indebolire, far vacillare’), cf. Ter. Eun. 509 me ab ea astute uideo labefactarrer, Cic. Phil. 4,13 uirtus est una
… quae numquam ui ulla labefactari potest.
4. perluciduli deliciis lapidis: si noti la ripetizione del suono della liquida /l/, per cui v. 31,13 lucidae lacus
undae. Il diminutivo perlucidus è hapax legomenon: i diminutivi sono caratteristici della lingua di Catullo,
spesso con valore affettivo. In questo caso si tratta di una forma letteraria, determinata dal “concetto che la pietra
offerta in dono è deliciae per chi la riceve” (A. Ronconi, Il diminutivo, in Studi catulliani, Brescia 19712, 102).
L’espressione sarà ripresa da Seneca, epist. 90,45 perlucidos
lapides, ma al grado normale.
5. quaedam: agg. indefinito (pron. quidam, quaedam, quiddam agg. quidam, quaedam, quoddam, indica
persona o cosa individuata, ma non specificata ‘un tale, un certo’; diverso da 1) aliquis, aliquid (agg. aliqui,
aliqua, aliquod ), cosa o persona esistente, non individuabile, ‘uno, qualcuno, pur che sia, uno qualunque’; 2)
quispiam, quaepiam, quippiam (agg. quispiam, quaepiam, quodpiam) = persona o cosa la cui esistenza è
probabile ‘uno che forse c'è, un tale’ (frequente nella frase – quaeret fortasse quispiam); 3) quis quid (agg. qui,
quae, quod) con particelle eventuali, si, enclitico = persona o cosa ipotetica, indef. della possibilità, ‘uno,
qualcuno, se c’è’ [ma N.B. si aliquid oratoriae artis = se un po’ di arte oratoria pur che sia (senso attenuato,
‘una qualunque’) si quis amor est = se c’è un amore (mette in dubbio la sua esistenza)]; quisquam, quicquam
(agg. ullus, a, um) =persona o cosa la cui esistenza è improbabile, ‘uno, se pure c’è, che non dovrebbe esserci’, in
frase negativa per forma o significato.
6. ualle sub alarum trux habitare caper: la fama di cui gode Rufo è di avere le ascelle pregne di fetore di
caprone, come i tragom£scaloi, della commedia aristofanea, Pax 813 e Ach. 852s. dove si parla di Cratino,
“che brutalmente puzza dalle ascelle, come a suo padre, che è di Capronia”, Ózwn kakÕn tîn mascalîn /
patrÕj Tragasa…ou (con un gioco scherzoso tra tragos, il caprone e la località Tragase). Il topos, che risale
forse ad Ipponatte (fr. *196,8 Dg.), ricorre oltre che nella commedia, nell’epigramma; è già in Plaut. Pseud. 737s.
sed iste seruos ex Charysto qui hic adest ecquid sapit? / :: hircum ab olis, mentre Catullo riprende il tema
anche in 71,1 (forse a proposito di Rufo?) si cui iure bono sacer alarum obstitit hircus, “se giustamente la
tremenda puzza di caprone delle ascelle rende ‘esecrabile’”, e Orazio in epod. 12,4s. namque sagacius unus
odoror /… an grauis hirsutis cubet hircus in alis “perché col fiuto più sagace (di un cane) mi accorgo se sotto
le ascelle pelose si appiatta un fetido becco”, sat. 1,2,27 olet Gargonius hircum, epist. 1,5,29s. locus est et
pluribus umbris; / sed nimis arta premunt olidae conuiuia caprae, “c’è posto per più accompagnatori; ma il
lezzo di capra infesta i banchetti in cui si è troppo stipati” (un’allusione forse anche in epist. 1,13,12 ne forte sub
ala / fasciculum portes librorum, ut rusticus agnum); cf. anche Ov. ars 1,522; 3,193; Mart. 3,93,11. Una
rassegna completa in C. Neri, Il figlio di padre Caprese (Ar. Ach. 848-53), Lexis 15, 1997, 149-58.
ualle: dalla metonimia caper = odor caprum olens (sostituzione di una parola con un’altra di significato
contiguo, es. causa per l’effetto, l’autore per l’opera, il santo per la chiesa) si passa alla metafora della valle delle
ascelle, abitata da un caprone.
neque mirum: apostrofe della lingua d’uso e della comunicazione retorica, cf. 23,7 nec mirum.
7. mala valde: perifrasi per il superlativo con anastrofe (= valde mala), cf. 63,80 libere nimis.
8. mala … bestia: “brutta bestia”, allude da una parte al caprone, ma dall’altra all’ingiuria proverbiale e propria
della linguafamiliare “bestiaccia”, attestata fin da Plaut. Bacch. 55ss. Magis inlectum tuom quam lectum metuo:
mala tu's bestia. “mi spaventa di più il non essere adescato piuttosto che il tuo letto [da tavola]. Tu sei una mala
bestia!”, Poen. 1292s. male ego metuo miluos, / mala illa bestia est, “ho un gran timore degli avvoltoi. Quella lì
è una bestiaccia” Oltre al classico volume di I.Opelt, Die lateinische Schimpfwörter und verwandte sprachliche
Erscheinungen, Heidelberg 1965, cf. A. Traina, Belua e bestia come metafora di uomo, RFIC 112, 1984, 115s.
nec: = et … non
quicum: ablativo del pronome relativo, dal tema in -i-, tipica del pron. interrogativo quis, quid. Il due temi,
quello del pronome interrogativo Kwi- e quello del pronome relativo Kwo- (che ne ha tratto ad es. l’accusativo
masc.), si sono confusi: all’ablativo l’ablativo m/n si è affermato quo, ma talora negli autori arcaici si trova la
forma quei/qui per l’abl. del relativo (quo, qua e anche quibus), cf. Plaut. Aul. 502 vehicla qui vehar. Nella
forma quicum è più diffuso anche in età repubblicana (cf. Catull. 2,2 quicum ludere [riferito al passer]) cf. 66,77
quicum = ex quo vertice [come osserva N. Marinone, Berenice da Callimaco a Catullo, Bologna 1997, 196s.] e
augustea. Più raro tuttavia l’uso di quicum al femminile, Aen. 11, 822, quicum partiri curas [con Camilla].
bella puella: iunctura catulliana, cf. 78,3 Gallus homo est bellus nam dulces iungit amores / cum puero ut bello
bella puella cubet. Nei carmi brevi Catullo usa costantemente bellus (pulcher solo in un paio di casi), termine
popolare, di origine diminutiva (da bonus, che può avere valore fisico), e che si è conservato nelle lingue
romanze. Come ha osservato Ronconi (cit., 112, 115), per quanto nella lingua di tutti i giorni bellus, bella
fossero ormai disespressivizzati, avessero cioè perso la connotazione diminutiva, non è da escludere che in
Catullo, per la perseverazione continua dei diminutivi, riacquistassero un tono affettivo.
quare: introduce la conclusione, 2 soluzioni divergenti, indicate dai due imperativi disgiunti in polisindeto da
aut. (aut … interfice / aut … desine).
nasorum interfice pestem: in senso proprio è astratto per concreto, deve ‘uccidere il pestilenziale caprone’, la
bestia (l’espressione crudeli … peste è riferita nel c. 64,76 al Minotauro), in senso metaforico deve ‘porre fine al
flagello, alla rovina’.
cur fugiunt: interrogativa indiretta con l’indicativo di uso colloquiale, e presente nei comici, nell’epistolario
ciceroniano; cf. 61,76s. uiden ut faces / splendidas quantiunt comas? “Vedi come le fiaccole agitano le loro
chiome luminose?”.
Catull. 70
Nulli se dicit mulier mea nubere malle
quam mihi, non si se Iuppiter ipse petat.
Dicit; sed mulier cupido quod dicit amanti,
in uento et rapida scribere oportet aqua.
Con nessuno dice la mia donna che vorrebbe unirsi piuttosto
che con me, nemmeno se la corteggiasse lo stesso Giove.
Dice, ma ciò che dice la donna ad un innamorato
desideroso,si può scrivere nel vento e nell’acqua che scorre
Callim. Epigr. 25 Pf.
”Wmose Kall…gnwtoj 'Iwn…di m”pot' ™ke…nhj
›xein m”te f…lon kršssona m”te f…lhn.
êmosen· ¢ll¦ lšgousin ¢lhqša toÝj ™n œrwti
Órkouj m¾ dÚnein oÜat' ™j ¢qan£twn.
nàn d' Ð mn ¢rsenikù qšretai pur…, tÁj d tala…nhj
nÚmfhj æj Megaršwn oÙ lÒgoj oÙd' ¢riqmÒj.
Giurò Callignoto a Ionide che mai più di lei
Avrebbe avuto caro un amico o un’amica
Giurò. Ma dicono bene: i giuramenti d’amore
Non raggiungono l’orecchio degli dei.
Ora lui d’amore per un ragazzino brucia, e della povera
Fanciulla, come dei Megaresi, non si fa conto né stima.
Ignoti De Crassitio Epigramma, ap. Suet. Gramm. 18, FPL
p. 223 Bl.
Uni Crassitio se credere Zmyrna probavit
Desinite indocti coniugio hanc petere.
Soli Crassicio se dixit nubere velle
Intima cui soli nota sua extiterint.
La Smirna decise di affidarsi al solo Crassizio
Smettetela, ignoranti, di cercarla in sposa.
Al solo Crassizio disse di volersi unire,
Al quale solo si erano rivelate le sue caratteristiche più
profonde
Strettamente legato al c. 72, questo c. presenta una variazione sul tema topico del giuramento d’amore, sviluppato
in particolare da Callimaco, epigr. 25 Pf.: l’anafora dicit … dicit (vv. 1-3) riprende quella callimachea ”Wmose …
”Wmose. Allo stesso epigramma sembra rifarsi anche un epigramma anonimo che tratta di un commento di
Crassizio alla Zmyrna di Cinna (un’opera cui si riferisce anche il c. 95 di Catullo); è possibile – come ha supposto
Kroll – che l’epigramma callimacheo sia stato preso a base per un esercizio di sfida poetica.
La struttura è bipartita (2+2), bipartizione segnata dall’anafora DICIT … DICIT di ascendenza callimachea, ma
Catullo vi aggiunge nei due versi iniziali una doppia antitesi incentrata sulla prima persona, lui stesso, NULLI
/MIHI / IUPPITER (nulli è apo koinou tra le due antitesi), mentre in Callimaco, c’è l’opposizione tra due
persone, Callignoto e Ionide. Questa ‘personalizzazione’ dell’epigramma è evidente a partire dal mulier mea del v.
1. I vv. 3-4 passano ad una gnome di carattere più generale.
vv. 1-2
Nulli … dicit mulier mea,
se… nubere malle quam mihi
non si se Iuppiter ipse petat
Principale
sub. inf. ogg. 1° grado
sub ipotetica 2° grado
Le subordinate infinitive
La proposizione infinitiva è una sostantiva; corrisponde a una prop. soggettiva o oggettiva. In latino il sogg.
(sempre espresso) è in accusativo e il verbo all’infinito presente per l’azione contemporanea, perfetto per l’azione
anteriore, futuro per l’azione posteriore: es. dico me agere (dico che faccio); dico me egisse (dico che ho fatto); dico me
acturum esse (dico che farò); l’uso dell’infinito è lo stesso quando la principale ha un tempo storico:
dicebam/dixi/dixeram me agere (dicevo/dissi/avevo detto che facevo); dicebam/dixi/dixeram me egisse
(dicevo/dissi/avevo detto che avevo fatto); dicebam/dixi/dixeram me acturum esse (dicevo/dissi/avevo detto che
avrei fatto)
1. Nulli: al posto di ne#m"(n"#, cretico e quindi ametrico. L’uso pronominale di nullus è raro in età repubblicana, 1
volta nell’epistolario di Cicerone, 2 in Cesare; più frequente in età imperiale, in Livio e Tacito. È in opposizione
al mihi del v. 2: i pronomi risultano essere dunque collocati in posizione incipiraria, rilevata.
mulier: sia ‘donna’ che ‘moglie’: nel senso di donna, mulier (Dig. 34,2,26 mulieres omnes dicuntur quaecumque sexus
feminini sunt «si dicono mulieres tutte quelle che sono di sesso femminile») si oppone a uxor, la condizione legale
della sposa (Ter. Hec. 643 sed quid mulieris uxorem habes), a virgo (Quint. 6,3,75 Cicero obiurgantibus quod sexagenarius
Publiliam virginem duxisset: “Cras mulier erit” «Cicerone, a coloro che lo criticavano perché, sessantenne, aveva
sposato Publilia, una ragazza, (disse): «domani sarà donna»). Fa coppia con vir («uomo», ma anche «marito»).
Solitamente Catullo impiega mea puella in questo significato (ma c’è mulier nel senso di ‘donna’ anche nel c. 87
nulla potest mulier tantum se dicere amatam / uere quantum a me Lesbia amata mea est «nessuna donna può dire di essere
tanto amata, quanto la mia Lesbia è stata amata da me»): qui l’uso si spiega in relazione al v. 3 in cui il termine,
usato in senso generico, è appropriato.
nubere: è il verbo tecnico per ‘sposarsi’, detto di una donna (solamente nel latino volgare, dell’atellana – talora
come scherno – o in quello tardo, in Tertulliano, Girolamo e nella Vulgata è riferito ad un uomo), opposto a peto,
che indica l’uomo che chiede in sposa una donna (cf. v. 2 Iuppiter … petat). Qui ha significato erotico, di ‘unirsi’,
che è eccezionale, tanto che si può ipotizzare che questa sia una spia linguistica della psicologia di Catullo che
interpretava il suo rapporto come nuziale, il che è confermato da peto del v. 3 (Traina). Si noti infatti l’uso analogo
di Plaut. Cist. 42s. Heia, / haecquidem [meretrix] ecastor cottidie uiro nubit, nupsitque hodie, / nubet mox noctu – «Ah, questa
qui (una prostituta), per Castore, ogni giorno sposa un uomo: si è sposata oggi, si sposerà domani notte»,
ugualmente motivato dal fatto che poche righe più sopra si parla di nubere in senso proprio.
2. non si: = ne tum quidem si, ‘neppure se’, come in c. 69,3
Protasi di periodo ipotetico del II tipo, dipendente da dicit; l’apodosi è se… nubere malle; la forma indipendente
sarebbe nulli nubere malit, non si Iuppiter petat.
Periodo ipotetico
Distinguiamo tre tipi di periodo ipotetico: 1) di I tipo, o della oggettività, con apodosi all’indicativo (ma anche
all’imperativo o con i congiuntivi indipendenti) e protasi all’indicativo: si hoc dicis, erras «se dici questo, sbagli»; 2)
di II tipo, o della possibilità, con congiuntivo presente (più raramente perfetto) sia nell’apodosi che nella protasi
(si hoc dicas, erres «se dicessi questo, sbaglieresti»: è possibile che tu lo dica); 3) di III tipo o dell’irrealtà, con
apodosi al congiuntivo imperfetto, per il presente, piuccheperfetto per il passato, sia nella protasi che
nell’apodosi (si hoc diceres, errares, «se dicessi questo, sbaglieresti», ma non lo dici; si hoc dixisses, erravisses, «se avessi
detto questo, avresti sbagliato», ma non l’hai detto).
petat: congiuntivo presente in una protasi immaginaria, perché l’exemplum fictum rientra nella possibilità generica.
Per il valore, di ‘prendere in sposa’ detto di un uomo, cf. Verg. Aen. 12,42 natam et conubia nostra petentem , Latino
parla a Turno «(tu) che chiedi mia figlia e un sacro legame con noi».
Iuppiter: l’amore di Giove era un’iperbole frequente, che risale all’atellana e alla commedia, si pensi all’Anfitrione
di Plauto, e v. Plaut. Cas. 323s. Negaui enim ipsi me concessurum Ioui, / si is mecum oraret; . «ho detto che non la cederei
nemmeno a Giove, se mi pregasse». Ou. met. 7,801ss. nec Iouis illa meo thalamos praeferret amori, / nec, me quae caperet,
non si Venus ipsa ueniret, /ulla erat; aequales urebant pectora flammae «neppire le nozze con Giove ella avrebbe preferito
al mio amore, e non c’era nessuna che potesse sedurre me, neppure se fosse venuta Venere in persona; una
fiamma uguale bruciava i nostri cuori».
vv. 3-4
oportet
in uento et rapida scribere aqua (id)
quod… dicit amanti
principale
prop. sub. sogg. 1° grado
prop. sub. rel. 2° grado
3. dicit: riprende in anafora il dicit del v. 1 (come in Callimaco).
4. vento et aqua: è il topos tradizionale dei giuramenti d’amore.
Per il vento, motivo già presente nell’ Anthologia Graeca (5,133), cf. Catullo stesso, 30,9s. idem nunc retrahis te ac tua
dicta omnia factaque / uentos irrita ferre ac nebulas aerias sinis «ma tu ti tiri indietro e lasci che tutte le tue parole e le tue
azioni i venti e le aeree nubi li annullino e se li portino via» (un carme incentrato sul fallimento della fedeltà
dell’amicizia di Alfeno, immemor atque unanimis false sodalibus, “dimentico e traditore dei compagni di un solo
cuore”), 64,59 immemor at iuuenis fugiens pellit vada remis/ irrita uentosae linquens promissa procellae «il giovane immemore
fuggendo respinge coi remi le onde, lasciando le vane promesse in preda a tempeste di venti» (di Teseo che
abbandona Arianna, col consueto rovesciamento dei ruoli M/F) e 142, 65,17. Per l’acqua, v. già Soph. fr. 742 N.2
= 811 R. Órkouj œgw gunaikÕj e„j Ûdwr gr£fw, «i giuramenti di una donna, io li scrivo sull’acqua», ma
l’espressione è attestata come proverbiale nei paremiografi. I due elementi, acqua e vento, sono accostati v. poi
anche Prop. 2,28,8 quidquid iurarunt, uentus et unda rapit. «quanto hanno giurato, il vento e l’onda lo porta via», Ou.
am. 2,16,45 uerba puellarum / … inrita … ventus et unda ferunt «le parole delle ragazze, vane… il vento e l’onda le
portano via».
rapida: i latini sentivano il legame etimologico con rapio, rapax, ‘che porta via’.
Catull. 71
Si cui iure bono sacer alarum obstitit hircus,
aut si quem merito tarda poda#gra secat,
aemulus iste tuus, qui uestrum exercet amorem,
mirifice est †a te nactus utrumque malum.
nam quotiens futuit, totiens ulciscitur ambos: 5
illam affligit odore, ipse perit poda(gra.
Se giustamente la ‘esecrabile’ puzza di caprone delle ascelle fa
da ostacolo a qualcuno, o se a ragione la gotta che rallenta
affligge qualche altro, questo tuo rivale, che è occupato dal
vostro amore, stranamente ha contratto da te [per bene]
entrambi i mali. Infatti ogni volta che tromba, altrettante
volte punisce ambedue: quella la affligge col fetore, lui stesso
è straziato dalla gotta.
1 si cui Calph.: qua V (al. quo R2) iure Palladius [ed. Veneta 1496]: uiro V sacer alarum Calph. : sacratorum O,
sacrorum GR 2 quem q: quam V secat z: secunt O, secum X 4 a te V [crucc. Kroll, Mynors, Eisenhut et all.]:
apte Oksala et all. [Thomson,Godwin recc.]:
Probabilmente il personaggio anonimo di cui si parla (cui, quem) è un rivale dello stesso Rufo del c. 69, che
come Rufo soffre di fetore ascellare e di gotta (a meno che non le abbia ereditate da lui, se si accetta a te), ma
destinatario del carme potrebbe essere anche Lesbia, che sopporta simili amanti.
vv. 1-3
si cui …. obstitit hircus,
aut si quem merito tarda poda#gra secat,
aemulus iste tuus… mirifice est nactus
qui uestrum exercet amorem
sub. ipotetica 1° grado (protasi del I tipo)
coordinata disgiuntiva (aut) all’ipotetica
principale (apodosi del I tipo)
sub. relativa 1° grado
1. Si cui: inizio comune di epigramma, cf. 76,1 si qua, 96,1; 102,1; 107,1 si quicquam. Correzione accettata dagli
editori moderni. Quis è qui pronome indefinito della possibilità.
iure bono: sinonimo metrico di merito (al v. 2).
sacer: nel senso di ‘esecrabile’, ‘maledetto’, cf. Verg. Aen. 3,56s. quid non mortalia pectora cogis, / auri sacra
fames? «o maledetta fame dell’oro, a cosa non spingi i cuori dei mortali?». Cf. anche Catullo, c. 14,12
horribilem et sacrum libellum. Ciò che è sacer appartiene alla sfera del divino (sanctus è qualcosa che viene
portato in quella sfera), e quindi non può essere toccato senza essere reso impuro. Può dunque indicare un
oggetto messo da parte per una divinità, o una persona ad essa dedicata, e quindi esclusa dal contatto umano. Di
qui doppio valore di ‘sacro’ e di ‘maledetto’. Un colpevole consacrato alle divinità infernali è sacer (sacer esto),
di qui il valore – comune nella lingua colloquiale – di ‘criminale’.
alarum: cf. 69,6 ualle sub alarum trux habitare caper.
2 tarda podagra: ripreso da Hor. sat. 1,9,32. L’aggettivo è usato in senso attivo, “che rallenta”. Secondo Lejay
si tratta di un uso facilitato da espressioni in cui l’epiteto deverbale esprimeva l’idea principale, come ad es. “il
rallentamento della podagra”, cf. anche lucidus ordo, “l’ordine illuminante”, da espressioni come “la chiarezza
che l’ordine produce”. Anche quello della podagra è un tema topico: gli spiacevoli effetti della malattia sono ben
descritti da Celso, 4,31 [debet aeger] si podagra est, interpositis temporibus exiguis, invicem modo sedere, modo
ingredi; tum antequam cibum capiat, sine balneo loco calido leniter perfricari, sudare, perfundi aqua
egelida; deinde cibum sumere ex media materia, interpositis rebus urinam moventibus; quotiesque plenior
est, evomere. «se c’è la podagra, il malato deve, a brevi intervalli di tempo, ora stare seduto, ora alzarsi; poi,
prima di assumere cibo, deve essere frizionato delicatamente in un luogo caldo, senza fare il bagno; deve
sudare, gli deve essere versata addosso dell’acqua fredda; quindi deve assumere del cibo mediamente
sostanzioso lasciando da parte gli alimenti che inducono ad urinare; ogni volta che è troppo pieno deve
urinare». Il sudore e il cattivo odore erano collegati alla podagra: foeda («repellenti») sono i corpi colpiti dalla
podagra in Tibullo 1,9,73s. (dove una fanciulla raffinata fugge il vecchio podagroso sed corpora foeda podagra /
et senis amplexus culta puella fugit). Si noti il diverso trattamento della muta cum liquida nella stessa parola
podagra qui e al v. 6.
seco: indica un dolore che fa a pezzi, cf. Mart. 9,92,9 podagra cheragraque secatur “è fatto a pezzi dalla
podagra alle mani e ai piedi”. Godwin fa osservare come seco possa significare anche ‘castrare’, e ci vede un
riferimento alla castità coatta di Rufo e del suo rivale.
3 aemulus: «il rivale». Thomson ipotizza che possa essere Catullo stesso.
uestrum exercet amorem: Exercere amorem = amore frui; “Exercere aliquotiens turpem habet sensum”
osserva R.Pichon, De sermone amatorio apud Latinos elegiarum scriptores, Paris 1902 = Index verborum
amatoriorum, Hildesheim 1966 s.v., p. 139. Cat. 61, 231: ualentem exercete iuuentam «mettete alla prova
(nell’amore) il vigore giovanile» cf. Cat. 68,69 domum nobis isque dedit … ad quam communes exerceremus
amores. «ci diede una casa in cui potessimo esercitare i nostri vicendevoli giochi d’amore». uestrum:
l’interpretazione cambia a seconda che si consideri il carme rivolto a Rufo, e allora vestrum è l’amore di Rufo e
del suo rivale per Lesbia; nel caso in cui invece destinataria sia Lesbia, vestrum è l’amore della ragazza (Lesbia) e
dell’amante (il rivale). In questo caso sostituisce tuus con il valore di mutuus.
4 mirifice: esprime la sorpresa, cf. 84,3 mirifice sperabat se esse locutum «si illudeva di esprimersi in modo
sorprendente», di Arrio che aspirava tutte le parole per fare colpo.
apte: congettura proposta da Oksala, Kaster e altri, e accolta ultimamente nel testo da Godwin e Thomson, in
luogo di a te, difeso da Lenchantin de Gubernatis: “il poeta malignamente insinua che il rivale possa aver
contratto (tale è il senso di nanciscor) indirettamente per mezzo dell’amante comune i mali dell’amico al quale
scrive fingendo di compiacersi delle disgrazie dell’emulo di lui”. Ma il senso è difficile, ed è meglio pensare che il
luogo sia corrotto.
vv. 5-6
nam quotiens futuit,
totiens ulciscitur ambos
sub. di 1°grado, temporale
principale
Subordinate temporali
1. Determinazione temporale generica: si colloca l'evento A nel tempo dell'evento B.
- cum + indicativo, «quando». Nella sovraordinata si può trovare tum, «allora».
- altri tipi di cum + indicativo sono: il cum iterativum (= quotiens) e il cum inversum
- cum con il congiuntivo (cum narrativum o historicum)
2. Determinazione temporale specifica: dati due avvenimenti, si intende:
che A, indicato dalla temporale, è anteriore a B: precedenza (semplice o immediata); dopo aver
studiato (A), mangiò (B)
che A è concomitante a B: concomitanza; mentre studiava (A), mangiava (B)
che A è successivo a B: successione, semplice o immediata. Prima di studiare (A), mangiò (B)
Le congiunzioni e i modi sono i seguenti:
A1) precedenza semplice: postquam + ind. perfetto di regola, più che perfetto se è indicato il tempo trascorso
tra i due eventi, «dopo che»: Dion, postquam Corinthum pervenit, bellum comparare coepit, «Dione, dopo che giunse a
Corinto, cominciò a preparare la guerra»; Cimon, post tertium annum quam expulsus erat, in patriam revocatus est,
«Cimone, dopo il terzo anno da che era stato cacciato, fu richiamato in patria».
A2) precedenza immediata: ut, ubi, ubi primum, ut primum, cum primum, statim ut, simul ac, simul ac
primum + IND., «non appena che»:
B) concomitanza: dum + presente indicativo: «mentre», «nel momento che» (primo dum);
dum, donec, quoad, quamdiu, con tutti i tempi dell'indicativo, «mentre», «per tutto il tempo che»
(secondo dum):
- dum Romae consulitur, Saguntum expugnatum est, «mentre a Roma si discuteva, Sagunto fu espugnata»;
- haec feci, dum licuit, «ho fatto questo, finchè mi fu lecito».
C1) successione semplice: antequam, priusquam + indic. (semplice rapporto di tempo); + cong.
(intenzionalità): haec dixi, antequam venisti, «ho detto questo, prima del momento in cui sei venuto»;
haec dixi, antequam venires, «ho detto questo, senza aspettare che tu venissi».
C2) successione immediata: dum, donec, quoad, con ind. o cong. come per antequam e priusquam:
exspecto, dum venias, «aspetto che tu venga», «aspetto finché tu vieni» (terzo dum)
5 quotiens … totiens: insistita correlazione con (quotiens o quotienscumque / totiens o totienscumque) a
sottolineare il valore iterativo-distributivo.
futuit: termine esplicito dell’atto sessuale, attestato principalmente nei graffiti (63 volte nei CIL), 7 volte in
Catullo, 49 in Marziale, quindi anche nei Priaepea. In Orazio solo 1 volta nelle Satire Materiali in J.N. Adams, Il
vocabolario del sesso a Roma, Lecce 1996, pp. 159ss.
ulciscitur: ulciscor è ‘vendicare’, ‘punire’: ulcus («piaga») può indicare la sofferenza d’amore, cf. la vivida
espressione lucreziana ulcus enim vivescit et inveterascit alendo «la piaga si fa più bruciante e diviene cronica
con il nutrimento» (4, 1068).
ambos: diverso da uterque: il primo considera i due elementi come unità, il secondo distingue.
6 affligo: verbo forte, fligo è ‘colpire’; affligo in senso proprio è ‘battere contro, gettare contro’, scopulis adfligi
è ‘essere sbattuto contro gli scogli’, di lì il valore di ‘abbattere’ in senso fisico e morale.
perit: pereo ha spesso il valore di ‘essere disperatamente innamorato’ (45,5), ma il ‘morire’ è, come il
‘combattere’ metafora
comune ad indicare il compiersi dell’atto sessuale (sinonimo del futuit al v. 5). Qui dunque perit indica
icasticamente l’amante che mentre fa l’amore ‘muore’ per la podagra. Che la podagra avesse degli effetti negativi
sul sesso è tema corrente, cf. Apul. met. 5,10 ego uero maritum articulari etiam morbo complicatum
curuatumque ac per hoc rarissimo uenerem meam recolentem sustineo “debbo digerirmi un marito così
sbilenco e rattrappito dalla gotta che è un miracolo se una volta ogni cent’anni gli viene voglia di avvicinarmi”.
Catull. 72
Dicebas quondam solum te nosse Catullum,
Lesbia, nec prae me uelle tenere Iouem.
dilexi tum te non tantum ut uolgus amicam,
sed pater ut gnatos diligit et generos.
nunc te cognoui: quare etsi impensius uror, 5
multo mi tamen es uilior et leuior.
qui potis est, inquis? quod amantem iniuria talis
cogit amare magis, sed bene uelle minus.
Dicevi un tempo che conoscevi solo Catullo, Lesbia, e
che a paragone di me non avresti voluto tenere Giove.
Ti volli bene allora non come ne vuole la gente ad
un’amante, ma come il padre ai figli e ai generi. Ora ti
conosco: perciò anche se più bruciante è la mia
passione, tuttavia tu vali molto meno per me. Come è
possibile, tu chiedi? Perché chi ama, un tale tradimento
lo costringe ad amare di più, ma a voler bene di meno.
6 mi tamen es A. Guarinus : ita me nec V 7 quod b : quam V
Il carme, indirizzato a Lesbia, si ricollega direttamente al c. 70, riprendendo il tema dei giuramenti d’amore. Ma,
mentre nel c. 70 il tempo impiegato è il presente dicit … dicit, qui l’amore è concluso (dilexi) e le sue promesse
sono distanziate nel passato (dicebas quondam), contrapposte al presente, in cui la passione è divenuta solo fisica, e
non più psichica (es uilior et leuior).
La struttura è bipartita, intorno ad una antitesi temporale, passato/ presente (quondam 1, tum 3 / nunc 5). L’antitesi
si fa però anche qualitativa, di sentimenti. Potremmo schematizzare in questo modo:
Tempo Sentimento
quondam / tum DILEXI
nunc
1) IMPENSIUS UROR > AMARE MAGIS
2) ES VILIOR > BENE VELLE MINUS
L’opposizione temporale passato/presente lascia il posto nel PRESENTE (vv. 5ss.) al venire meno del
sentimento amoroso mentre la passione permane. Mentre il passato era il tempo in cui amare era anche diligere, nel
presente l’amore si è “dissociato nelle sue componenti, in un conflitto di sentimenti” (Traina): l’amare fisicamente
si oppone al bene uelle, che è venuto meno. Se Catullo arde maggiormente di passione, tuttavia vuol meno bene a
Lesbia, antitesi che si condensa icasticamente nell’ultimo verso. All’antitesi temporale si aggiunge l’opposizione
tra il DILEXI iniziale e il BENE VELLE MINUS, secondo la solita struttura ad anello.
Dicebas quondam
princ.
solum te nosse Catullum
sub. inf. ogg. 1° grado
… nec prae me uelle tenere Iouem.
coord. all’ogg.
1. Dicebas: in posizione incipitaria, rimanda al dicit del c. 70. Più che valore di consuetudine, qui ha valore di
rimprovero, il cosiddetto “imperfetto dell’azione sospesa”, che non ha avuto effetto.
quondam: legato a quidam, è determinato, e riferito al PASSATO, “in un certo tempo” quondam ha per lo più un
valore nostalgico, indica ‘il buon tempo che fu’, in Catullo su 9 occorrenze, 7 volte ha valore di felicità perduta, in
contrasto con il nunc. Cf. 64,139 at non haec quondam blanda promissa dedisti voce mihi, / non haec miseram sperare iubebas
«ma non queste promesse mi facesti un tempo con voce dolce, non queste cose mi inducevi, misera, ad
aspettare» (è il tempo della felicità, delle passate promesse di Teseo ad Arianna, in opposizione al nunc del v. 143);
cf. anche 68,73; 8,3 fulsere quondam candidi tibi soles «brillarono un tempo per te giornate radiose», è Catullo che
parla di sé; anche in questo carme quondam si contrappone a nunc del v. 9 (dopo la ripetizione, al v.8, del v.3, ma
con qualche variazione: fulsere vere candidi tibi soles. / nunc iam illa non vult: tu quoque, impotens, noli «davvero brillarono
per te giornate radiose». Ora lei non vuole più: tu pure, che non puoi, non volere); altri avverbi di tempo derivati
dai pronomi sono olim, legato ad ille, che indica un tempo lontano e staccato dal presente, PASSATO e (raro)
FUTURO “in quel tempo” Fuit olim quidam senex ... “ci fu in quel tempo un vecchio”; inoltre aliquando, legato
ad aliquis, che indica un tempo indeterminato, per lo più riferito al FUTURO “qualche volta, una volta o l'altra”.
ed infine Non despero fore aliquem aliquando qui exsistat optimus orator, “non dispero che un giorno ci sia uno che
riesca perfetto oratore” (FUT.); cf. anche Tandem aliquando Catilinam ex urbe eicimus, “una buona volta abbiamo
cacciato fuori città Catilina” (PASS.);
nosse: forma sincopata = nouisse. Si tratta di un perfetto logico (“sono venuto a sapere”, quindi “conosco”),
come memini e odi. ‘Conoscere’ ha qui senso erotico (già biblico ‘non conosco uomo’), cf. 61,180 le donne sposate
che preparano le giovani spose sono dette bene cognitae feminae.
Catullum: qui l’antroponimo, Catullum – opposto a Lesbia al v. seguente – ha funzione espressiva al posto di me
che al v. 2 risponde al te del v. 1 con uno schema chiastico di pronomi e antroponimi (PAAP). D’altra parte i ai
vv. 1-2 gli antroponimi dislocati in incipit e in explicit (Catullum… Lesbia… Iouem) formano una sorta di
struttura triangolare.
2 tenere Iouem: cf. 70,2 non si se Iuppiter ipse petat. Anche teneo è verbo usato eufemisticamente per indicare
l’amplesso d’amore (Pichon, p. 276; Adams, p. 225). Cf. il c. 11,15ss. di Catullo pauca nuntiate meae puellae / non
bona dicta / cum suis uiuat ualeatque moechis / quos simul conplexa tenet trecentos / nullum amans uere sed identidem omnium /
ilia rumpens. «riferite alla mia ragazza poche, non buone, parole: viva pure e stia bene con i suoi amanti, che tiene
abbracciati insieme in trecento, senza amarne nessuno veramente, ma ugualmente spezzando a tutti la schiena».
Nel c. 72 il tono è meno marcato, come in Verg. ecl. 1,31 dum me Galatea tenebat «mentre Galatea mi abbracciava».
3 dilexi: Rispetto al greco che distingue tra lessico dell’amicizia e dell’amore, fil…a ed œrwj, file‹n ed ™r©n, il
latino è meno ricco: infatti mentre dalla radice *am- deriva sia l’idea di amor, amare, che quella di amicitia. Diligo,
indica invece una scelta razionale (dis- separativo + lego, scelgo), ma veeniva sentito come meno forte di amo:
Non. p. 682 L. scrive inter amare ac diligere hoc interest, quod amare uim habet maiorem, diligere autem est leuius amare «tra
amare e diligere c’è questa differenza: che amare ha più forza, diligere invece significa ‘amare meno intensamente’»;
Cic. ad Brut. 6,1,1 ripropone la stessa gradazione: Clodius … ualde me diligit uel, ut ™mfatikèteron dicam, ualde me
amat «Clodio… mi vuole molto bene, anzi, per dirlo con più enfasi, mi ama molto». Catullo specializza il valore di
diligo ad indicare il carattere affettivo del suo amore, puramente intellettuale, venuta meno la passionalità.
non tantum: nel senso esclusivo, opposito (non tanto questo, ma quello), piuttosto che in quello aggiuntivo
(non solo questo, ma anche quello).
amicam: eufemistico per amantem, come in Sen. epist. 75,2 aliter homines amicam, aliter liberos osculant «gli uomini
baciano in modo diverso la loro amante e i loro figli».
4. gnatos et generos: gnatos con grafia originaria da gnascor/nascor, ha un valore patetico più forte di filios. Per
l’affetto paterno trasferito al legame coniugale, i commentatori ricordano le parole di Andromaca, Iliade 6, 429s.
“Ettore, tu sei per me padre e madre e fratello, tu sei per me un giovane sposo” (“Ektor ¢t¦r sÚ mo… ™ssi
pat¾r kaˆ pÒtnia m”thr / ºd kas…gnhtoj, sÝ dš moi qalerÕj parako…thj): Catullo si proietta in
Andromaca (una donna, come Arianna del c. 64), assumendo un analogo sentimento di amore sublimato
nell’affetto fraterno.
5. cognovi: ripresa del nosse del v. 1, anche se con diverso valore semantico (qui indica la conoscenza
intellettuale) – e con cambio di tempo.
etsi: concessivo. Le subordinate concessive sono introdotte da a) quamquam, etsi, tametsi + indicativo = sebbene:
quamquam bonus es, sebbene tu sia buono [lo sei realmente]; b) licet + congiuntivo = sebbene; c) ut + congiuntivo
= quand’anche; d) quamvis +congiuntivo = per quanto: quamvis bonus sis, per quanto ti sforzi di essere buono.
inpensius: “largamente, con maggior spesa”, cf. impendo (in + pendo, «spendo»).
uror: metafora del fuoco d’amore (qui uror è Medio). Cf. Catull. 83,6 uritur et loquitur, 61,176s. pectore uritur intimo /
flamma.
6. uilior et leuior: vilis significa “di scarso valore”, costituisce coppia paronomastica con leuis. Cf. Tac. hist. 4,80,3
unde paulatim levior viliorque haberi, manente tamen in speciem amicitia «per cui era stimato molto meno, per quanto in
apparenza l’amicizia rimanesse».
7. qui: (= quomodo) ablativo strumentale dell’interrogativo. – dal suo tema originario in -i-, conservato. Il tema del
pronome interrogativo Kwi- si è confuso con quello del pronome relativo Kwo (che ne ha tratto ad es.
l’accusativo masc.), e si è affermato l’ablativo m/n quo, in luogo di quei/qui. Frequente nella prosa classica nelle
espressioni qui fit (Hor. sat. 1,1,1), qui possum (Cic. Att. 12,40,2 qui potest?)
potis est?: qui potis est? “come è possibile?”. Potis, pote è antico aggettivo (radice *pot-, cf. possum < potis sum, potui,
potior). Qui è neutro, come in 76,24 quod non potis est e in 115,3 cur non diuitiis Croesum superare potis sit. Altrove è
femminile (65,3): potis e pote, originariamente distinti per genere, sono divenuti allotropi metrici.
iniuria: qui il torto consiste nel tradimento del sanctae foedus amicitiae (109, 6): cf. Ter. Eun. in amore haec omnia
insunt uitia: iniuriae, / suspitiones, inimicitiae, indutiae, / bellum, pax rursum «nell’amore sono insiti tutti questi difetti:
tradimenti, sospetti, litigi, tregue, guerra, poi di nuovo la pace».
8. amare magis: contrapposto al bene uelle, in un verso iconico che riassume l’epigramma.
bene uelle: è il sentimento della stima e dell’amicizia, e dunque è unito solitamente a termini dell’ambito
dell’amicizia, Plaut. Pseud. 233 Iam diu ego huic bene et hic mihi uolumus et amicitiast antiqua «da tempo ormai ci
vogliamo bene, io ne voglio a lui e lui a me, e la nostra amicizia è di vecchia data»; difficile trovarlo assieme ad
amo, ma v. Plaut. Truc. 434ss.: pro di immortales, non amantis mulieris, / sed sociae únanimantis ,fidentis fuit / officium facere
quod modo haec fecit mihi, […] scio mi ínfidelem numquam, dum vivat, fore. / egone illam ut non amem? egone illi ut non bene
velim? “Dei immortali! Questo non è agire di una ganza qualsiasi, ma di un’amica strettissima, di una che ha piena
fiducia in me. […] So che per tutta la vita non mi sarà infedele. E non dovrei amarla? Non dovrei volere bene
profondamente?” (trad. Augello). Il bene uelle, concettualmente corrispondente all’iniziale dilexi, lascia così spazio
al solo amare: antitesi temporale e antitesi sentimentale nell’ultimo verso finiscono per coincidere (v. sopra).
Catull. 73
Desine de quoquam quicquam bene uelle mereri
Smetti di voler guadagnare la riconoscenza di qualcuno
aut aliquem fieri posse putare pium.
per un qualche beneficio, o di credere che qualcuno
omnia sunt ingrata, nihil fecisse benigne <est>,
possa mostrarsi pius. Tutto è ingratitudine, non serve a
immo etiam taedet, <taedet> obestque magis;
nulla aver fatto del bene, anzi provoca un senso di noia,
ut mihi, quem nemo grauius nec acerbius urget, 5
di noia e ancor più di fastidio, come a me, che nessuno
quam modo qui me unum atque unicum amicum perseguita più duramente e aspramente di chi or ora mi
habuit.
ebbe solo e unico amico.
3 est add. Friedrich 4 suppl. Avantius (Della Corte, Thomson) : immo etiam taede#t o(be#stque magisque ma(gis V
(contra metrum) : <prodest> immo etiam taedet obestque magis Puccius (Mynors, Eisenhut) 6 quae Birt
È il tema della amicizia tradita, trattato nei cc. 30 (ad Alfeno) e 77 (a Rufo), con toni analoghi a quelli – sul piano
amoroso –che ricorrono nel c. 76 (a Lesbia): qui manca tuttavia il referente, che resta anonimo.
1. Desine: apostrofe al lettore, di senso gnomico generale, come in 28,1 pete nobiles amicos, “vai a cercare degli
amici tra i nobili!” (in questo caso la struttura è bipartita, con una introduzione di carattere generale
sull’ingratitudine [vv. 1-4], e una conclusione che trasferisce su Catullo questo aspro sentimento [5-6]), o meglio,
con Godwin si può pensare ad una autoesortazione come nel c. 8 Miser Catulle, desinas ineptire …
de quoquam quicquam mereri: per la costruzione, cf. Verg. Aen. 4, 314ss. (l’ultimo incontro tra Didone ed
Enea): mene fugis? per ego has lacrimas dextramque tuam te / […] per conubia nostra, per inceptos
hymenaeos, /si bene quid de te merui fuit aut tibi quicquam /dulce meum, miserere domus labentis et istam, /
oro, siquis adhuc precibus locus, exue mentem. «mi eviti? Per queste lacrime e per questa tua destra… per la
nostra unione, per le nozze intraprese, se mai ho avuto qualche merito presso di te o ti è mai stato dolce qualche
cosa di mio, abbi pietà di questa casa che crolla e ti prego, se ancora c’è spazio per le preghiere: abbandona
questa idea». La ripetizione dell’indefinito (quisquam, quicquam, della frase negativa) in poliptoto è enfatica: cf.
67,11 nec peccatum a me quisquam pote dicere quicquam “nessuno può dire che io abbia commesso un
qualche errore”; frequente in Plauto, cf. Pseud. 133s. Exite, agite exite, ignaui, … / quorum numquam
quicquam quoiquam uenit in mentem ut recte faciant. «uscite, forza uscite, indolenti, tra i quali a nessuno mai è
venuto in mente di fare alcunché di giusto».
bene uelle mereri: bene determina mereri, come nel passo su citato di Virgilio (non uelle, come intende
Lenchantin “che la benevolenza meriti qualcosa”, anche se è vero che si tratta di espressione catulliana, la sintassi
qui non lo permette).
2. aliquem: qualcuno la cui esistenza si ritiene possibile (a differenza di quisquam del v. 1): Pascoli osserva
“aliquem più forte di quemquam che qui s’aspetterebbe”. Il Fordyce, 366, cita per il valore di aliquis e di
quisquam Sen. Marc. 9,5 cuivis potest accidere quod cuiquam potest! “a chiunque può capitare ciò che può
capitare a qualcuno” (qui il valore è della improbabilità, frase di senso quasi negativo); Cic. post Red. in Sen. 30
difficile est non aliquem, nefas est quemquam praeterire, “è difficile non dimenticare qualcuno, ma è un male
dimenticare ogni persona”.
pium: aggettivo difficile da tradurre (qui Pascoli traduce “grato”), come del resto la pietas, che si esplica in due
direzioni, nei confronti della divinità, come rispetto del lovo volere, e nei confronti degli uomini, come
osservanza dei doveri sociali e famigliari, sanciti dalla legge divina. Pius sarà soprattutto Enea (v. il commento di
Pease ad Aen. 4,393 e la voce pietas dell’Enciclopedia Virgiliana). Qui ha lo stesso valore di 76,2: la gratitudine
dovuta per i benefacta (76,1) di chi osserva il foedus (nec sanctam violasse fidem dice al v. 3 dello stesso
carme).
nihil … <est>: “non vale nulla, non si ottiene nulla”, espressione colloquiale (cfr. J.B.Hofmann, La lingua
d’uso latina, Bologna 19852, 395) per cui Fordyce ricorda Plaut. Cas. 286 nihil est me cupere, «non conta nulla
che io voglia», è integrazione di Friedrich che facilita il senso (e costituisce parallelo rispetto al sunt del 1°
emistichio) anche se Fordyce la ritiene non indispensabile.
3. omnia sunt ingrata: “ogni gentilezza resta senza gratitudine” (piuttosto che il senso più generale “tutto il
mondo è ingratitudine”); cf. 76,6 ex hoc ingrato amore e soprattutto 76,7ss. nam quaecumque homines bene
cuiquam aut dicere [possunt / aut facere haec a te dictaque factaque sunt / omnia quae ingratae perierunt
credita menti “tutto ciò che di bene gli uomini possono dire o fare per un altro, questo è stato detto e fatto da te;
e tutto è andato perduto, affidato ad un animo ingrato”. Kroll ricorda anche Plaut. Asin. 136s. Ingrata atque
inrita esse omnia intellego / Quae dedi. «capisco che è vano e resta senza ricompensa tutto ciò che ho dato».
4. Il testo di V immo etiam taede#t o(be#stque magisque ma(gis è contra metrum: gli editori hanno espunto
[magisque] e integrato con un verbo. Le soluzioni sono sostanzialmente 2. La prima, proposta dal Puccius, e
adottata da Mynors, Eisenhut, integra <prodest> ad inizio verso, e fa un’unica frase con il v. precedente: nihil
fecisse benigne, / <prodest> immo etiam taedet, obestque magis, “non giova a nulla aver fatto del bene, anzi
…”, soluzione che ha dalla sua il fatto che prodest e obest costituiscono una coppia antonimica comune: cf. ad
es. Cic. Mil. 34 non modo igitur nihil prodest, sed obest etiam Clodi mors Miloni «la morte di Clodio non
solo non giova a Milone, ma gli nuoce anche». La seconda, proposta dall’Avantius, che integra <taedet> dopo
il primo, consiste nel postulare una caduta per aplografia della seconda di 2 parole uguali: immo etiam taedet,
<taedet> obestque magis. In questo caso il v. 3 è sintatticamente autonomo, e costituito da 2 proposizioni
sinonimiche , esattamente come il v. 4. Perfettamente in linea con lo stile di Catullo appare anche la ripetizione di
taedet (cf. ad es. 107,4-5 te restituis Lesbia mi cupido / restituis cupido atque insperanti, “ritorni a me che lo
desideravo, Lesbia, ritorni a me desideravo, e non lo speravo”.
taedet: taedet, pertaesum est, taedere, “essere stanco, annoiarsi”, verbo impersonale, come miseret, miseritum
est, miserui “provar vergogna”, paenitet, paenituit, paenitere “pentirsi”, piget, piguit, pigere “sentire
rincrescimento”, pudet, puditum est (puduit), pudere “vergognarsi”.
La persona che prova il sentimento va in accusativo (Me taedet).
La cosa che suscita sentimento: 1) sostant. e pron. al genitivo: Me uitae taedet; me eius miseritum est , “sono
stanco della vita, ebbi compassione di lui”). 2) pronome neutro al nominativo Id quod pudet facilius fertur
quam id quod piget, “Si sopporta meglio ciò che fa vergogna di ciò che rincresce”. 3) verbi all’infinito: Me
paenitet uiuere. “Sono scontento di vivere”. 4) proposizioni possono essere costruite con a) quod + cong. /
ind.; b) accus. + inf.; c) interr. indir. Esempi: a) An paenitet uos quod classem hostium profligauerim? "O vi
rammaricate che io abbia sconfitto la flotta nemica?"; b) Pudeat te ausum illum esse incedere tamquam tuum
competitorem "Ti vergogneresti che egli abbia avuto il coraggio di farsi avanti come tuo competitore?"; c) A
senatu quanti fiam, minime me paenitet "Non mi lamento della stima che ha il senato per me".
N.B. Se uniti ad un verbo servile, gli impersonali si collocano all’infinito, mentre il servile passa alla 3a pers.
sing. (Neque me tui neque tuorum liberorum misereri potest, “non posso avere compassione né di te, né dei
tuoi figli”). Ma i verbi Malo, nolo, uolo,cupio, studeo, hanno la costruzione personale: Illius malo me quam mei
paenitere, “preferisco essere scontento di lui che di me”.
magis: correttivo, nel senso di “piuttosto” (da cui l’italiano avversativo ‘ma’), cf. 68,5 non est turpe, magis
miserum.
grauius nec acerbius: coppia sinonimica fissa (acerbus è legato alla radice di acer, “aspro, crudele”, e quindi
spesso “prematuro”), cf. Liv. 21,13 haec, quamquam sunt gravia atque acerba, fortuna vestra vobis suadet, «la
vostra sorte vi convince di queste cose, benché siano dure e crudeli». Caes. ciu. 1,5,4 grauissime acerbissimeque
decernitur «si decide nel modo più duro e più crudele ».
6. qui: alcuni studiosi hanno corretto il masc. in quae, riferendo così il carme a Lesbia, e facendone una
premessa al c. 76.
unum et unicum: altra coppia sinonimica pleonastica, che ricorre negli autori di gusto arcaizzante, come Gellio
18,4,2 unumet unicum lectorem, Apul. met. 4,31 idque unum et pro omnibus unicum … effice.
Catull. 74
Gellius audierat patruum obiurgare solere,
siquis delicias diceret aut faceret.
hoc ne ipsi accideret, patrui perdepsuit ipsam
uxorem et patruum reddidit Harpocraten.
quod uoluit fecit: nam, quamuis irrumet ipsum 5
nunc patruum, uerbum non faciet patruus.
Gellio aveva sentito lo zio che era solito biasimare
chi prendeva le gioie dell’amore a parole o coi fatti.
Perché non capitasse anche a lui, si lavorò a dovere
proprio la moglie dello zio, e rese lo zio zitto come
Arpocrate.
Ha ottenuto quello che voleva: infatti ora, anche se lo
metterà in bocca anche allo zio, lo zio non dirà una sola
parola.
Primo di un ciclo di 7 carmi (74, 80, 88, 89, 90, 91, 116) indirizzati a Gellio, cui vengono rinfacciati oltre
all’adulterio con la moglie dello zio, l’incesto con la madre e la sorella, ed altri vizi. Gellio era non solo un rivale
di Catullo nell’amore di Lesbia (cf. il magnus amor di 91,6), ma anche un rivale in poesia, come pare di potere
evincere dal carme 116, in cui in cambio di epigrammi di Callimaco offerti da Catullo, Gellio gli risponde con dei
tela, forse degli epigrammi. È stato identificato con L. Gellio Publicola, ricordato da Valerio Massimo per
l’adulterio con la matrigna.
vv. 1-2
Gellius audierat
Princ.
patruum obiurgare solere
sub. infinitiva 1° grado, ogg. (apodosi )
siquis delicias diceret aut faceret.
sub. ipotetica 2° grado (protasi I tipo).
1. patruus: lo zio, tradizionalmente ha il ruolo del noioso seccatore, dell’obiurgator. Di qui il proverbio raccolto
da Erasmo ne sis patruus mihi, come sinonimo di “non essere severo” (del tema si occupa M. Bettini, Antropologia e cultura romana. Parentela,tempo, immagini dell’anima, Roma 1986, 27-49). Se l’identificazione con L.
Gellio Publicola è corretta, da Cicerone sappiamo che questo zio era legato a Clodio, e che aveva sposato la figlia
di un liberto.
obiurgare: “rimproverare, biasimare”: composto di iurgo, termine della lingua popolare, forse derivato da ius,
come litigo da lis.
2. siquis: l’indefinito della possibilità, cf. supra, 69,5 e 71,1.
diceret aut faceret: ipotesi dell’oggettività; il cong. si spiega con la dipendenza infinitiva (forma indipendente::
patruus obiurgare solebat, si quis … dicebat).
delicias: apo koinou tra i due verbi diceret e faceret. Indica eufemisticamente i piaceri erotici (in relazione a
faceret): cf. i passi catulliani 6,1ss. delicias tuas … uelles dicere «vorresti parlare del tuo amore»; 45,24 in
Septimio fidelis Acme / facit delicias libidinisque «la fedele Acme col solo Settimio si prodiga in effusioni e
piaceri», e anche Cic. Cael. 44 che parlando degli amori di Clodia li definisce amores et deliciae quae uocantur
«gli amori, e quelli che sono definiti piaceri».
3. Hoc: cioè patruum obiurgare se, perché lo zio non se la prendesse anche con lui.
Ne accideret: finale negativa. Nelle proposizioni finali si può incontrare: 1) ut + cong. (negaz. ne): legati
uenerunt ut pacem peterent, “gli ambasciatori vennero per chiedere pace” (per la consecutio temporum si ha di
regola un rapporto di contemporaneità.); 2) quo + cong., in presenza di un comparativo: legati uenerunt quo
aequiorem pacem peterent “gli ambasciatori vennero per chiedere una pace più giusta”; 3) ad+ acc. del gerundio
o gerundivo: legati uenerunt ad pacem petendam; 4) causa, gratia + gen. del gerundio o gerundivo: legati
uenerunt pacis petendae gratia; 5) supino in -um, con verbi di moto: legati uenerunt pacem petitum.
perdepsuit: per+ depso , “impastare, conciare, sbattere”: il prefisso ha valore perfettivo “conciare a dovere”.
Eufemismo per futuit. La tradizione (V) conserva perdespuit, sputare, che qui non ha senso: la correzione è
umanistica.
ipsam / uxorem: in enjambement tra i 2 versi del distico. Si contrappone a ipsi.
Is e i suoi composti idem, ipse sono determinativi. a) is di regola rinvia ad altra persona ed è detto quindi
“anaforico”. Unito a et, atque, -que può aggiungere una determinazione a un'idea già espressa: rem tibi narro
pulcram eamque singularem, “ti racconto una cosa bella e per giunta non comune”; b) idem è pronome di
identità, stabilisce identità tra due termini, eodem die, “nello stesso giorno”. Con et, atque, -que ha gli stessi
valori di is: rarum est felix idemque senem, “è cosa rara un uomo fortunato e nello stesso tempo vecchio”. c)
ipse, pronome enfatico, sottolinea un termine a differenza dagli altri: eo ipso die, “proprio in quel giorno” (e non
in un altro). Ipse può tenere il posto di un pronome personale (venit ipse, “è venuto lui stesso”) o
accompagnarsi ai pronomi personali in frasi del tipo se ipse laudat, “si loda da sé stesso” o se ipsum laudat,
“loda se stesso”.
4. Harpocratem: forma grecizzata della divinità greco-egizia Oro, fanciullo associato al culto di Iside e Serapide
(madre e padre), rappresentato con l’indice della destra alla bocca, talora confuso nel mondo greco-romano con
Eros, è il dio del silenzio (Varro, ling. 5,57 Harpocrates digito significat ut taceas). L’espressione ritorna nel c.
102,4 factum me esse puta Harpocratem, ed è parodiata in AL 159,6 R. (cf. Otto, Sprichwörter, s. v.
Harpocrates, p. 160 nr. 701.
vv. 5-6
fecit (id)
Princ.
quod uoluit
Sub. rel 1° grado.
nam patruus uerbum non faciet
Princ.
quamuis irrumet ipsum ….patruum,
Sub. concessiva 1° grado
5. Quod uoluit fecit: raggiunse lo scopo di non essere biasimato dallo zio, anzi gli tappò la bocca:
quamuis irrumet: concessiva col congiuntivo, v. a 72,5.
irrumet: irrumo è l’azione di imporre una fellatio, un rapporto orale, e irrumator (c. 10,12) è chi la impone (fello
è invece il verbo di chi la subisce). In poesia si trova solo in Catullo (e non solo in senso metaforico di
ingannare), Marziale e nei Priapea, è frequente nelle iscrizioni, cf. Adams, Il vocabolario del sesso, p. 166-172.
6. Nunc: contrapposto al tempo di audierat.
patruum … patruus: notare l’insistenza sul termine 4 volte in tutto il carme, e qui variato in poliptoto.
uerbum non faciet patruus: lo scherzo osceno ha un doppio senso. In senso proprio Catullo gli ha tappato la
bocca (come spiega il Poliziano, eoque pacto tacere coegit, quoniam loqui fellator non potest), ma più in
generale egli non osa più parlare dopo l’offesa patita.
Catull. 75
Huc est mens deducta tua# , me(a( Lesbia, culpa#,
atque ita se officio perdidit ipsa suo,
ut iam nec bene uelle queat tibi, si optima fias,
nec desistere amare, omnia si facias.
A tal punto [mi] si è ridotta l’anima, o mia Lesbia, per
colpa tua, e così si è perduta per avere compiuto il suo
dovere, che non può più né volerti bene, anche se
diventassi la migliore delle donne, né cessare di amarti,
qualunque cosa tu faccia.
Variazione del c. 72, sul motivo del bene uelle e dell’amare.
Il c. è strutturato in 2 distici, il primo (vv. 1-2) per le cause (culpa, officio), il secondo (vv. 3-4) per le
conseguenze: lo snodo sintattico huc … ut … (a sua volta bipartito huc … atque ita / ut nec … nec) sottolinea
questo rapporto causa-effetto.
vv. 1-4
Huc est mens deducta … culpa :
princ.
atque ita se officio perdidit ipsa suo:
coord. alla princ.
ut iam nec bene uelle queat tibi:
sub. cons. 1° grado (apodosi)
si optima fias
sub. supp. 2° grado (protasi)
nec desistere amare (queat):
coord. alla cons. (apodosi)
omnia si facias
sub. supp. 2° grado (protasi)
1. deducta: c’è l’idea di degradazione, cf. per il senso e per la sintassi Cic. Att. 3,18,2 universa res eo est
deducta spes ut nulla sit. «la situazione nel suo complesso si è ridotta a un punto tale che non c’è nessuna
speranza».
mens: la capacità raziocinante, parte della psiche, l’animus, cf. Plaut. Cist. 210 nubilam mentem animi habeo
«ho la mente annebiata».
mea Lesbia: così interpungono Della Corte, Eisenhut, Thomson, facendo di mea aggettivo di Lesbia. Mea
infatti può essere o vocativo con Lesbia o nominativo con mens (Mynors, Fordyce, Ronconi, che quindi
interpungono mens deducta tua mea,Lesbia). Ci sono due ragioni che fanno preferire la prima soluzione, una
d’ordine stilistico, il nesso mea Lesbia, mea puella è usuale, e qui assume valore ancora più forte, giacché Catullo
anche nel momento della disillusione chiama l’amata mea. L’altro è d’ordine metrico: mea Lesbia risulta separato
dalla cesura semisettenaria, mentre tua, riferito a culpa in clausola, è isolato tra trocaica e semisettenaria.
hu@c est me@ns | dedu@cta| tua@, |mea Lesbia, culpa
A q
B |qFw |wG |ww Jww Kq
Troc.
Semisett.
A favore dell’altra soluzione sta l’opposizione chiastica di aggettivi e sostantivi tra mens tua# mea( culpa# (ma
anche nel caso del vocativo si avrà tua, mea Lesbia, culpa con un chiasmo casuale).
culpa: è il tradimento, cf. 11,21ss. nec meum respectet ut ante amorem / qui illius culpa cecidit uelut prati /
ultimi flos praetereunte postquam / tactus aratro est. «più non si volga, come un giorno, a cercare il mio amore,
che per sua colpa è caduto come fiore sul ciglio del prato, reciso dopo che sopra è passato l’aratro».
officium: dal valore originario di ‘attività’ (cf. opi-ficina > officina), si è sviluppato quello di ‘compiti di una
carica’, pubblica o privata, i doveri in senso filosofico, o i ‘servizi fatto ad un amico’, nel campo dell’amicizia (cf.
68,41s. non possum reticer, dea,e qua me Allius in re /iuuerit aut quantis iuuerit officiis «non posso tacere, o
dee, in quali frangenti Allio mi abbia soccorso, e con quali grandi servigi mi abbia aiutato», dove l’officium è
stato quello di fare incontrare Lesbia e fare innamorare il poeta). Catullo trasferisce il vocabolo al lessico
dell’amore: è la fides, il rispetto del foedus. Officio … suo (con la solita terza persona, l’autoallocuzione a
Catullo) si contrappone chiasticamente tua … culpa: nel primo distico ci sono 2 cause della degradazione di
Catullo, 1 negativa, la colpa di Lesbia, 1 positiva, la propria coerenza.
ut nec queat … nec: consecutiva. Le consecutive sono introdotte da ut/ut non + congiuntivo.; spesso nella
sovraordinata si ha un elemento prolettico come ita, sic, “tanto”... (che). Di regola il congiuntivo è in valore
proprio, senza relazione temporale con la reggente. Quando questa relazione esiste, si vuole sottolineare la
relazione di conseguenza: Romani tam potentes fuerunt, ut multos populos subigerent “i Romani furono tanto
potenti, da sottomettere molti popoli” (l'accento è posto sul fatto che “furono tantopotenti da ...”,
indipendentemente dal fatto che li abbiano sottomessi o no); Romani tam potentes fuerunt, ut multos populos
subegerint “i R. furono tanto potenti che sottomisero molti popoli” (si sottolinea il fatto che effettivamente li
hanno sottomessi). In questo caso è compresa anche l'espressione di un fatto presente, conseguenza di uno
passato: Lucullus murenam adeo dilexit, ut exanimatam flesse credatur, “Lucullo amò tanto una murena che si
crede che ne abbia pianto la morte”. N. B. In tantum abest ut cuncter, ut etiam properem, la principale è
tantum abest; da essa dipende la soggettiva ut cuncter, che a sua volta regge la consecutiva ut etiam properem.
La traduzione letterale sarebbe “è tanto lontano il fatto che io indugi che anzi mi affretto”, quindi in italiano si
dirà: “sono tanto lontano dall'indugiare che anzi mi affretto”.
se perdidit: sottolinea la colpevolezza del soggetto, impiegando il riflessivo e non periit.
3. queat: queo, quis, quivi / quii, quitum, quire, è verbo anomalo intransitivo, “riuscire, essere capace di”.
Verbo difettivo, che si declina come un composto di eo, forse il suo valore di “potere” deriva da una forma
impersonale neque it “non va”. Queo si sarebbe formato per falsa separazione da ne-queo.
si optima fias: ipotetico-concessivo, protasi di periodo ipotetico eventuale. Per l’idea di riamare, che è sottintesa
a questo “diventare la migliore”, cf. c. 76,23s. non iam illud quaero contra me ut diligat illa / aut quod non
potis est esse pudica uelit. «ormai non vi rivolgo più quella preghiera: che ricambi il mio amore, oppure (cosa
che non è possibile), che voglia restarmi fedele».
4. omnia si facias: in antitesi ad optima. Le due protasi si optima fias / omnia si facias presentano verbi e
oggetti allitteranti. Alla doppia causa dei vv. 1-2 corrisponde una doppia conseguenza, espressa dal polisindeto
nec … nec (cui si lega la doppia ipotesi si … si …). La simmetria pone in risalto l’antitesi.
Catull. 76
Siqua recordanti benefacta priora uoluptas
est homini, cum se cogitat esse pium,
nec sanctam uiolasse fidem, nec foedere in nullo
diuum ad fallendos numine abusum homines,
multa parata manent in longa aetate, Catulle, 5
ex hoc ingrato gaudia amore tibi.
nam quaecumque homines bene cuiquam aut dicere
possunt aut facere, haec a te dictaque factaque sunt.
omnia quae ingratae perierunt credita menti.
quare cur tete iam amplius excrucies?
10
quin tu animum offirmas atque istinc te ipse reducis
et dis inuitis desinis esse miser?
difficilest longum subito deponere amorem,
difficilest, uerum hoc qua libet efficias:
una salus haec est, hoc est tibi peruincendum, 15
hoc facias, siue id non pote siue pote.
o di, si uestrumst misereri, aut si quibus umquam
extremam iam ipsa in morte tulistis opem,
me miserum aspicite et, si uitam puriter egi,
eripite hanc pestem perniciemque mihi,
20
quae mihi surrepens imos ut torpor in artus
expulit ex omni pectore laetitias.
non iam illud quaero, contra me ut diligat illa,
aut, quod non potis est, esse pudica uelit:
ipse ualere opto et taetrum hunc deponere morbum. 25
o di, reddite mi hoc pro pietate mea!
Se c’è un conforto (voluptas) per l’uomo che ricorda il
bene che ha fatto, quando pensa di essere pius, di non
avere violato la santa fede, di non avere in alcun patto
spergiurato sugli dèi per ingannare gli uomini,
molte gioie ti restano pronte in un lungo avvenire,
Catullo, da questo amore infelice.
Perché tutto il bene che gli uomini possono dire o fare
per un altro, tu lo hai fatto e lo hai detto.
E tutto hai perduto, affidandolo a un animo ingrato.
E allora, perché tormentarti più a lungo?
Perché non indurisci il tuo cuore, o non ti stacchi da lei,
e se gli dei non lo vogliono, finisci di soffrire?
È difficile rinunziare di colpo a un lungo amore
ma devi farlo ad ogni costo.
Questa è la sola salvezza, questa è la vittoria definitiva
questo devi fare sia che lo possa, sia che non lo possa.
O dèi, se è da voi aver pietà, o se mai ad alcuno in
punto di morte portaste un ultimo aiuto,
guardate la mia miseria. E se la mia vita fu pura,
strappatemi questo male mortale
che serpeggiando come una paralisi in fondo alle
membra ha scacciato dal mio petto ogni gioia di vivere.
Non vi chiedo più che lei ricambi il mio affetto
o, cosa impossibile, che voglia essere onesta.
Io desidero guarire e liberarmi da questa crudele
malattia. O dèi, concedetemelo in cambio della mia
pietas. (trad. A. Traina)
1. Siqua recordanti … uoluptas: si noti il lungo periodo iniziale (vv. 1-6), che oltrepassa la misura del distico,
procedimento evitato dagli elegiaci.
Siqua uoluptas… est homini
sub. ipotetica 1° grado (protasi I tipo)
recordanti benefacta priora
part. congiunto a homini
cum … cogitat
sub. 2° grado temp.
se esse pium
sub. 3° grado inf. ogg.
nec sanctam uiolasse fidem
coord. all’ogg.
nec foedere in nullo diuum numine abusum (esse)
coord. all’ogg.
ad fallendos …. homines,
sub. 4° grado finale (ad + gerundivo)
multa parata manent in longa aetate… tibi.
princ. (apodosi I tipo)
Per l’idea del ricordare, tipica della vecchiaia (ma Catullo ha 30 anni), cf. Cic. Cato 9 conscientia bene actae
vitae multorumque bene factorum recordatio iucundissima est «la consapevolezza di una vita ben vissuta e il
ricordo di molte buone azioni sono piacevolissimi»; Gell. 1,3,2 (a proposito del saggio Chilone)‘Dicta’ …‘mea
factaque in aetate longa … omnia fuisse non paenitenda, fors sit ut vos etiam sciatis. Ego […] non fallo me
nihil esse quicquam commissum a me, cuius memoria <mihi> aegritudini sit. «forse anche voi sapete che la
nella mia lunga vita non ho dovuto pentirmi della maggior parte delle mie parole e delle mie azioni. E certo non
mento dicendo che non ho commesso alcuna azione il cui ricordo mi arrechi dispiacere».
2. cogitat esse pium: “grato”, cf. 73,1s. e n. ad l.
3. nec sanctam uiolasse fidem … foedere: per l’accostamento dei due termini (qui in poliptoto), cf. 87,1-3
Nulla potest mulier tantum se dicere amatam / uere, quantum a me Lesbia amata meast. / nulla fides ullo fuit
umquam in foedere tanta, / quanta in amore tuo ex parte reperta meast, «nessuna donna può vantarsi di essere
stata amata così sinceramente, quanto la mia Lesbia fu amata da me. Nessun patto fu mai rispettato così
fedelmente, come, per tutto il tempo che ti amai, io per conto mio l’ho rispettato». Fides è il principio di lealtà e
la divinità che tutela la lealtà, nell’amicizia, cf. c. 30 Alfene immemor atque unanimis false sodalibus, / […] / iam
me prodere, iam non dubitas fallere, perfide? / num facta impia fallacum hominum caelicolis placent? /[…]
quid faciant, dic, homines, cuiue habeant fidem? / […] si tu oblitus es, at di meminerunt, meminit Fides, /
quae te ut paeniteat postmodo facti faciet tui. «Alfeno che non hai memoria, che tradisci gli amici concordi,
[…], ormai non esiti più a tradirmi, a ingannarmi, traditore? Forse gli dei del cielo approvano i sacrilegi degli
uomini che mancano alla parola data? […] dimmi, che dovrebbero fare gli uomini? Di chi dovrebbero avere
fiducia? […] se tu hai dimenticato, gli dei ricordano, ricorda la dea Fedeltà, che farà in modo che in futuro ti
penta di quanto hai commesso». Foedus è il legame matrimoniale, cf. 64,335 nullus amor tali coniunxit foedere
amantes, / qualis adest Thetidi, qualis concordia Peleo «nessun amore legò con altrettanta fedeltà due
amanti, come la concordia che lega Tetide, che lega Peleo»; 64,373; cf. perfide riferito a Teseo: 64,132s. sicine
me patriis auectam perfide ab aris /perfide deserto liquisti in litore Theseu. «così tu, traditore, toltami al
focolare domestico, o traditore Teseo, mi abbandonasti su una spiaggia deserta»; 64,143s. nunc iam nulla
uiro iuranti femina credat / nulla uiri speret sermones esse fideles «E non vi sia più donna che creda ai
giuramenti di un uomo, che speri sincera la parola di un uomo».
sanctam: sancta fides è una locuzione formulare: Cic. Verr. 4,6, Publil. 5,9, Verg. Aen. 7,365.
uiolasse: fallere è il verbo atteso, altrove si incontra damnare, rumpere. Violare indica l’offesa fatta alla santità
dell’oggetto, esprime l’intenzione di “profanare, offendere”, ed è distinto da laedere, “guastare l’integrità di un
oggetto – anche senza volontà – danneggiare, ledere”; offendere, che indica il “dare scandalo, urtare”, contro
l’inclinazione di un altro (cf. Sen. ira 3,28 Quid, quod pleraque eorum, propter quae irascimur, offendunt nos
magis quam laedunt? «Che dire del fatto che la maggior parte delle cose per cui andiamo in collera ci urtano
più che danneggiarci?»).
nec foedere in nullo: nullo è testo di V accolto da Mynors, cf. Löfstedt, Syntactica II 213), ullo di q edd.
potissimum vetustiores, ma anche Ellis, Riese, Kroll, Thomson. Questa forma di negazione pleonastica è
frequente nella commedia, cf. Plaut. Rud. 359 nec te aleator nullus est superior «nessun giocatore di dadi ti è
superiore», Pseud. 136 nec ego homines magis asinos numquam uidi «non ho mai visto uomini più somari».
In Catullo, cf. ancora 48,4 nec numquam uidear satur futurus «né mi parrebbe di essere mai sazio» (la
costruzione attesa è in 87,3 già citato sopra nulla fides ullo fuit umquam foedere).
4. diuom numine abusum: abutor può avere 2 valori: 1. in usum consumare, “usare completamente di”. Cf.
exeundum in aciem abutendumque errore hostium. (Liv. 27,46,11) «bisogna scendere in campo e sfruttare fino
in fondo l’errore dei nemici». 2. “abusare”, “stornare l’uso a proprio vantaggio”. Cf. il termine retorico abusio,
kat£crhsij e Cic. de domo sua 125 ementiri, fallere, abuti deorum immortalium numine ad hominum
<metum> timoremque uoluisti? «come hai tu voluto mentire, ingannare, abusare del potere degli dei
immortali per spaventare gli uomini?».
numine: il cenno della divinità (deus guarda allo splendore), dunque il potere divino, la divinità. Da nuo, fare
cenno col capo: Numen quasi nutus dei et potestas dicitur scrive Fest. 178,9, mentre Varro, ling. 7,85 numen
dicunt esse imperium, dictum ab nutu, <quod cuius nutu> omnia sunt, eius imperium maximum esse
uideatur. «dicono che numen significa potere, detto così da nutus (= cenno), perché potere più grande sembra
appartenere a colui dal cui cenno tutte le cose dipendono».
5s. multa parata manent in longa aetate, Catulle, / ex hoc ingrato gaudia amore tibi: si noti l’iperbato (multa
… gaudia) dovuto alla collocazione ad incastro con l’ossimoro di ingrato – gaudia. Le marche personali si
corrispondono verticalmente in clausola.
5. in longa aetate: “in un lungo avvenire”. Alcuni studiosi (Marmorale) hanno voluto vedere in questo avvenire
un futuro ….. misterico, ma v. A. Traina, Catullo e gli dei, in Poeti latini (e neolatini), I. Per il vocabolo
‘tempo’ il latino disponde di tempus, il termine più generico (che indica il tempo segmentato, cf. gr. tšmnw), di
aetas e aeuom, un tempo come durata unitaria (in particolare aetas per l’individuo è la vita, per una generazione
un secolo); aeuom è stilisticamente più elevato.
6. hoc: indica (come sottolinea Kroll) la continuità. Catullo non dice illo, ma “questo, in cui sono ancora
coinvolto”.
ingrato: “senza frutto in cambio, non corrisposto” (passivo, ma al v. 9 è attivo, “che non corrisponde”), cf. 73,3
omnia sunt ingrata, nihil fecisse benigne <est> e relativi esempi.
1) quaecumque homines … dicere possunt aut facere: sub 1° grado rel.
haec a te dictaque factaque sunt.
princ.
2) Omnia
princ. ellittica del verbo
quae perierunt
sub 1° grado relativa
ingratae… credita menti
part. congiunto.
3) quare cur tete iam amplius excrucies?
Princ. interrogativa diretta.
4) quin tu animum offirmas
Princ. interrogativa diretta.
atque istinc te ipse reducis
coord alla princ.
5) et … desinis esse miser?
coord alla princ.
7. quaecumque: indefinito relativo, introduce una sub. relativa.
cuiquam: indefinito negativo qui usato in frase positiva come altre volte in Catullo.
7s. aut dicere … / aut facere, haec a te dictaque factaque sunt: coppia verbale frequente, cf. 30,9 dicta …
factaque.
9. omnia quae … perierunt: omniaque V (recc. Müller, Lenchantin, Lafaye – da intendersi come -que
avversativo): omnia quae degli Itali è adottato dalla maggior parte degli editori moderni (cf. ad es. Mynors,
Thomson), riassuntivo, è di tono prosastico, ma cf. Catull. 14,198 quae quoniam …; 68,25 cuius ego interitu;
68,37 quod cum ita sit …, ma soprattutto 64,66 omnia quae toto delapsa … e Lucr. 2,321.
ingratae … menti: attivo, “che non riama”.
perierunt credita: propr. «sono andate perdute, affidate» espressione del linguaggio finanziario, indica il
denaro che non ha fruttato, cf. col sinonimo conlocata, Sen. ben. 1,1,1 Sequitur enim, ut male conlocata male
debeantur; de quibus non redditis sero querimur; ita enim perierunt, cum darentur, “ne consegue che, quel
che abbiamo dato malamente ci è poi dovuto di malanimo, ed è troppo tardi lamentarsi che non ci siano stati
restituiti quei benefici: infatti erano già perduti nel momento in cui erano dati”:
10. quare cur tete iam amplius exrucies?: V aveva Qua#re# cu#r te# ia#m || a#mpli(u(s, con iato in dieresi,
conservato da Eisenhut. Il testo qui seguito è quello di Goold, Baehrens e Thomson, che hanno cercato di
evitare lo ianto sostituendo te con tete; sempre allo scopo di evitare lo iato altri hanno corretto mutando l’ordo
verborum: qua#re# ia#m te# cu#r || amplius (Ellis, Mynors, Quinn). In effetti casi simili di iato si trovano in 68,158
primo || omnia; 97,2 culum || olfaceres; 99,8 abstersti || omnibus e 67,44. Secondo Fordyce sono tutti casi da
correggere, ma il fenomeno non sembra così isolato da poter intervenire. excrucies: propr. «dovresti
torementarti?» l’immagine sottointesa è quella della crux, strumento di tortura. Il verbo passa nel linguaggio
amoroso già con Plauto Curc. 170 PA. Ipsus se excruciat qui homo quod amat uidet nec potitur, dum
licet «si tormenta da sé l’uomo che vede l’oggetto del suo amore e non ne prende possesso finché è
possibile»; Catullo lo impiega anche in 85,2; 99,12; usa invece discrucior in 66,76; dopo Catullo il verbo è
evitato. Sul piano sintattico si tratta di un congiuntivo indipendente dubitativo. Il congiuntivo dubitativo è un
congiuntivo della possibilità (negazione non), esprime incertezza; per il presente usa il presente quid agam?,
«cosa dovrei fare»; per il passato usa l'imperfetto: quid agerem?, «cosa avrei dovuto fare?».
11. Quin tu animo offirmas: quin (qui# -ne), introduce una interrogativa retorica volitiva, equivalente ad un
invito o comando. Quin taces?, “Perché non stai zitto?” = “Taci!”.
animo offirmas: costruzione più comune animum offirmare, qui sarà un ablativo locale, “rafforzare nella
mente”, con il verbo usato intransitivamente (cf. Plaut. Stich. 68 quid agimus, soror, si offirmabit pater
aduorsum nos? «che facciamo sorella se il padre si fisserà contro di noi ?»).
istinc te ipse reducis: così Thomson con Ellis: istincteque O : instinctoque X : istinc teque reducis Heinsius.
Con la soluzione di Heinsius si ha una difficile struttura: quin tu offirmas ATQUE …. –QUE …REDUCIS …. /
ET … DESINIS (“e … sia ti allontani … sia smetti”).
12. desinis esse miser: «smetti di essere infelice» miser è l’infelice in amore; cf. Ovid. rem. 157 odio qui finit
amorem, / aut amat, aut aegre desinet esse miser. «colui che pone fine all’amore con l’odio, o continua ad
amare, o cesserà con fatica di essere infelice». L’ aggettivo è tipicamente catulliano, cf. 30,5 me miserum deseris
«mi lasci infelice», 8,1s. miser Catulle, desinas ineptire … nec miser uiue «infelice Catullo smetti di essere
pazzo… e non vivere infelice».
13 difficile est: «è difficile» in anafora col v. 14; il soggetto è l’infinito deponere.
longum subito: l’aggettivo indica la lunga durata, l’avverbio significa «d’un tratto»; ossimoro nel mezzo del
verso a ponte della cesura. Per il senso, cf. Men. 726 K.-Th. = K.-A. œrgon ™st…, Fan…a, / makr¦n sun”qeian
brace‹ làs' ™n crÒnJ. «è una fatica, Fania, interrompere in breve tempo una lunga relazione».
14. qua lubet = qualibet «nel modo in cui (qua, avv. rel.) si voglia (libet)», ossia «comunque», «ad ogni
costo»; efficias: cf. facias, v. 16. cong. esortativo al posto dell’imperativo, cf. 8,1 miser Catulle, desinas
ineptire «infelice Catullo, smetti di essere pazzo».
15. Una salus haec est | hoc tibi pe#rui#nce#ndu#m: rara clausola spondiaca (solo 12 nei 373 esametri dei distici,
30 nei 408 del c. 64) e chiusa quadrisillabica, dà un’idea di pesantezza. Cf. Verg. Aen. 2,354 una salus uictis
nullam sperare salutem «una sola la speranza per i vinti: non sperare nessuna salvezza». Per la grammatica, si
noti la perifrastica passiva:
La costruzione perifrastica passiva è composta dal gerundivo in unione al verbo sum; essa implica un’idea
di necessità; il c. d’agente è espresso in dativo (e solo in casi particolari con a /ab + abl.): es. hoc faciendum
est tibi «devi fare questo». Con i verbi intransitivi e con i transitivi usati assolutamente la perifrastica passiva
ricorre solo alla terza persona singolare:es. moriendum est «si deve morire».
16. siue id non pote siue pote: (sottinteso es “che tu sia in grado”/ est fieri “che sia possibile”). Preferibile est,
ma Catulllo usa indistintamente pote come masch. o neutro, cf. 72,7 qui potis est, inquis (neutro); per
l’esortazione a fare l’impossibile, cf. Sen. Med. 567 incipe / quicquid potes,Medea, quicquid non potes
«intraprendi, Medea, tutto ciò che puoi, tutto ciò che non puoi».
vv. 17-20
Si vestrumst misereri: sub. supp. 1° grado, protasi I tipo
et… eripite… mihi: coord. alla princ., apodosi I tipo
aut si … tulistis opem: coordinata alla supp.
si vitam puriter egi: sub. supp. 1° grado, protasi I tipo
me aspicite: princ., apodosi I tipo.
17. o di, si vestrum est misereri: «o dèi, se è da voi avere pietà» vestrum è nom. neutro del possessivo,
impiegato per esprimere il compl. di pertinenza quando il referente è un pron. personale (meum est «è mio
compito/ una mia caratteristica», «è da me» ); negli altri casi si usa il genitivo di pertinenza: consulis est «è proprio
del console» ); per la costruzione di miseret, cf. 73,4. Per la preghiera, cf. Verg. Aen. 1,603-5 di tibi, si qua pios
respectant numina, si quid / usquam iustitiae est et mens sibi conscia recti, / praemia digna ferant; «se i numi
guardano ai devoti, se in qualche luogo vi è giustizia e una mente consapevole di quanto è retto, gli dèi ti rechino
degna ricompensa» 2, 689-91 Iuppiter omnipotens, precibus si flecteris ullis, / aspice nos, hoc tantum, et si
pietate meremur, / da deinde auxilium, pater, atque haec omina firma.«Giove onnipotente, se sei piegato da
qualche preghiera, proteggici, e se abbiamo qualche merito per la nostra devozione, concedi, o padre, solo
questo aiuto e conferma questo presagio».
19. puriter egi: forma arcaica dell’avverbio (class. pure), per lo stile della preghiera.
Eripite hanc pestem…mihi: princ.
subrepens… artus : part. cong.
quae… exspulit … laetitias: sub 1° grado rel.
20. pestem perniciemque: “rovina e peste”, cf. Cic. Rab. 2 pestem ac perniciem ciuitatis, Cat.1,38. Coppia
sinonimica e allitterante, come spesso nella preghiera, cf. Stolz-Debrunner-Schmid, p. 61, con citazione dalla
preghiera in occasione di una processione espiatoria intorno ad un terreno, uti tu morbos uisos inuisosque,
uiduertatem uastitudinemque, calamitates intemperiasque, prohibessis defendas auerruncesque, utique tu
fruges frumenta uineta uirgultaque grandire beneque euenire siris. «possa tu tenere lontani, respingere e
stornare le malattie, visibili e invisibili, la sterilità e la devastazione, le calamità e le intemperie, permetti che le
messi, il grano, i vigneti, i germogli crescano e si sviluppino bene»
21. subrepens: (repsi, reptum, -ere), trascinarsi, caminare lentamente, donde il tardo reptilis. È lo strisciare dei
nemici sotto le mura urbis moenia), ma anche dei vizi (Sen. epist. 90,6 subrepentibus uitiis), cf. anche c. 77,3
Sicine subrepsti mei…
torpor: letargia, cf. Sen. epist. 104,1 febrem subrepentem. È il ueternus, l’apatia dei vecchi, di Hor. epist. 1,8,10.
La metafora dell’amore come malattia ha il suo archetipo in Saffo 31, 6ss. V., ripreso da Catull. 51, 9-13.
22. laetitias: plurale perché sono tutti gli effetti della gioia.
vv. 23-25
Non iam illud quaero: princ.
aut… esse pudica velit: coord. all’epesegetica
… ut diligat illa: sub. 1° grado sost. epesegetica
quod non potis est: sub 2° grado rel.
contra … diligat: ricambiare in amore è il lat. redamo, (gr. ¢ntifile‹n), ma soprattutto contra amare, Plaut.
Amph. 655 quae me amat, quam contra amo, «(lei) che mi ama, che io amo a mia volta» Merc. 919.
Ut…. diligat, sotantiva epesegetica (riprende e spiega illud).
Le subordinate SOSTANTIVE si possono dividere secondo le funzioni in 1) soggettive, se fanno da soggetto: bene
est te hoc facere; 2) oggettive, se fanno da oggetto: scio te hoc facere; 3) epesegetiche, se costituiscono la epesegesi di
un pronome neutro soggetto o oggetto: illud bene est, te hoc facere; hoc scio, te hoc facere
Secondo la forma in 1) infinitive con l'accusativo o il nominativo + infinito; 2) dichiarative con quod + ind.; 3)
sostantive + cong., che a loro volta possono essere a) volitive in dipendenza da moneo, suadeo...ut/ne (quaeso, ut mihi
scribas quam saepissime, "ti prego di scrivermi il più spesso possibile"; hortor ne quid temere facias, "ti esorto a non
far alcunché a caso"); b) in dipendenza dai verba timendi: timeo, metuo, uereor ne/ ne non (ut) (timeo ne hostis
adueniat, "temo che il nemico sopravvenga"; timeo ut (=ne non) uincam, "temo di non vincere"); c) in dipendenza da
verba impediendi e non impediendi (impedio (te) ne, quominus; non impedio (te) quominus, quin (impedio ne,
quominus ueniat, "impedisco che venga"; non impedio quominus, quin ueniat, "non impedisco che venga"); d) in
dipendenza da non dubito quin ed espressioni affini (nullum dubium est, quis dubitet... quin) (non dubito quin res ita
sit, "non dubito che la cosa stia così", non dubito quin id dixeris, "non dubito che tu abbia detto ciò"); e) con il
congiuntivo della circostanza di fatto, in dipendenza da espressioni come fit, accidit, euenit ut/ ut non (fit ut mihi uerba
desint, "accade che mi manchino le parole"; non putaui fieri posse ut mihi uerba deessent, "non avrei mai creduto che
potesse accadere che mi mancassero le parole"); 4) interrogative indirette + congiuntivo.
potis est: sottinteso fieri (“non è possibile che avvenga”, costruzione impersonale) oppure facere (“non è
possibile che faccia”, Lesbia, costruzione personale).
Valere «stare in salute», continua la metafora amore = malattia, cf. anche taetrum… morbum
26. pro pietate mea: «in cambio della mia devozione», cf. v. 2 esse pium.
Catull. 77
Rufe mihi frustra ac nequiquam credite amice
Rufo, che senza frutto e invano ho creduto un amico
(frustra? immo magno cum pretio atque malo),
(senza frutto? Anzi con grave perdita e danno), così ti
sicine surrepsti mi, atque intestina perurens
sei insinuato in me, e bruciando il mio cuore, oh, a me
ei misero eripuisti omnia nostra bona?
infelice hai sottratto tutto il mio bene? Lo hai sottratto,
eripuisti, eheu nostrae crudele uenenum 5
ahimè, crudele veleno della nostra vita, ahimè, rovina
uitae, eheu nostrae pestis amicitiae!
della nostra amicizia.
ei Lachmann : si V : sic z (recent. ann. 1460)
Il componimento è indirizzato a Rufo, probabilmente Celio Rufo, amante di Lesbia (e che era stato in seguito
accusato di veneficio e difeso da Cicerone nella Pro Caelio). Il tema è quello dell’amicizia tradita, tema svolto in
particolare nel c. 30, dedicato ad Alfeno; qui il tradimento nasce dalla rivalità ammorosa: cf. la frase eripuisti
omnia nostra bona, “a me infelice hai sottratto tutto il mio bene”, che potrebbe riferirsi a Lesbia. L’andamento è
per riprese successive: v. 2: frustra riprende frustra del v. 1; v. 3: mi riprende mihi del v. 1; v. 4: misero riprende
sintatticamente mi del v. 3 (inoltre, se al posto di ei suggerito da Lachmann si legge sic con la tradizione
recenziore, c’è anafora rispetto al v. 3); v. 5: eripuisti riprende eripuisti del v. 4; v. 6: eheu riprende eheu dal v.
5: un’ulteriore connessione tra i due vv. è data da vitae (v.6) in enjambement rispetto a nostrae (v. 5), e
dall’allitterazione uenenum (v.5) / uitae (v.6). Al v. 6 amicitiae rimanda in Ringkomposition ad amice del v. 1;
l’omeoptoto uitae – amicitiae ai due estremi del verso sottolinea l’identità vita – amicizia.
1. Rufe: vocativo in incipit come nel c. 30,1 Alfene; credite amice sono vocativi in apposizione a Rufe.
frustra: «senza frutto», non col valore tradizionale di “invano”, come nequiquam; ma il significato di frustra è
deducibile dal v. 2: magno cum pretio atque malo. Dunque frustra non va ricondotto a sine effectu
«inutilmente», ma al termine fraus, originariamente «danno», poi «frode», e quindi ha il valore di «con danno, in
perdita». Il primo valore guarda alla frustrazione del soggetto, il secondo all’oggetto, ossia al danno, alla perdita.
2. immo: correttivo. La risposta che corregge “frustra?” risponde alla figura retorica dell’epanortosi (=
correzione).
magno: in comune tra pretio e l’allitterante malo.
3. sicine: «così» formatosi da sic - ce (deittico), con l’aggiunta di -ne (esclamativo-interrogativo) ad indicare la
disillusione.
subrepsi: forma contratta da subrepi#sti (is è in sillaba chiusa tonica, e quindi lunga) per aplologia tipica dei verbi
sigmatici, cf. in Catullo 66,21 lusti (lusisti), 91,9 duxti (duxisti). Il semplice repo indica lo strisciare del rettile,
sub- il movimento dall’alto in basso, un movimento furtivo, è lo “strisciare di nascosto”, di qualcosa che si
insinua.
intestina: la cavità del petto, la sede del cuore, tanto è vero che subrepo è in unione con pectus in 76,21s. quae
mihi surrepens imos ut torpor in artus / expulit ex omni pectore laetitias.
omnia … bona: cf. 68,158
4. ei misero: correzione di Lachmann per si /sic dei codici: sic potrebbe essere consigliato dall’anafora con il
sicine del v. 3 (considerando che tutto il carme è caratterizzato da una serie di riprese). La correzione di
Lachmann introduce una interiezione di lingua d’uso a formare un’espressione sterotipata comica (Plaut. Aul.
200 Ei misero mihi! «oh, me infelice»; Cas. 574; 661; 848; Most. 549a, etc.) e tipica di Catullo, cf. ad es. 68,92s.
ei misero frater adempte mihi. / ei misero fratri iucundum lumen ademptum. «Oh, fratello rubato a me
infelice! Oh luce del giorno rubata al fratello infelice!».
5. eripuisti: la ripresa del v. 4 è dovuta allo schema domanda – risposta.
eheu: altra interiezione, poi ripresa al v. 6, a sottolineare la disperazione di Catullo.
6. pestis: “rovina” cf. a 69,9 nasorumm interfice pestem, sinonimo di uenenum.
Catull. 78
Gallus habet fratres, quorum est lepidissima coniunx
alterius, lepidus filius alterius.
Gallus homo est bellus: nam dulces iungit amores,
cum puero ut bello bella puella cubet.
Gallus homo est stultus, nec se uidet esse maritum, 5
qui patruus patrui monstret adulterium.
Gallo ha due fratelli: di questi uno ha una sposa molto
bella, l’altro ha un bel figlio.
Gallo è un uomo gradevole; infatti favorisce l’unione di
dolci amori, che con un bel ragazzo si unisca una bella
ragazza. Gallo è un uomo sciocco, e non si avvede di
essere un marito, egli che, zio, insegna l’adulterio nei
confronti dello zio.
Il carme è dedicato ad un ignoto Gallo, un patruus (cf. il c. 74) che favorisce l’adulterio tra la moglie di un
fratello e il figlio di un altro fratello: quindi, anziché assolvere al suo compito staturario di vecchio severo, fa il
ruffiano. La struttura (2+2+2) è scandita dalla triplice anafora: lo scherzo è svelato solo alla fine con la
correzione finale bellus …stultus, che varia con aprosdoketon l’anafora.
1. lepidissima: indica il lepos (parola tematica catulliana) può guardare sia alle qualità fisiche che morali. Per
Kroll – mi pare a ragione – qui indica la bellezza. Cf. Plaut. Epid. 43 forma lepida … adulescentulam
«ragazzetta di aspetto avvenente». Catullo usa lepidus anche in riferimento all’attività poetica: lepidus è
anche il libellus (1,1) e il versus (6,17), con un’accezione tecnico-retorica, ma anche allusiva alla leptÒthj
alessandrina).
alterius: genitivo di alter, agg. pronominale (come ullus, nullus, neuter, uter, uterque, totus) in incipit e
clausola di verso.
3. bellus: con il valore di komyÒj, “raffinato, galante”, spesso in unione con lepidus, cf. Plaut. Capt. 956 fui
ego bellus lepidus «sono stato raffinato e affascinante». Anche in questo caso si tratta di un termine tipicam
ente catulliano mutuato dalla lingua d’uso.
4. puero ut bello bella puella: «che con un bel ragazzo si unisca una bella ragazza», con chiasmo di
sostantivi e aggettivi. Per la iunctura catulliana bella puella, v. ad 69,8: qui in effetti bellus potrebbe riferirsi anche
all’aspetto fisico e non solo alla raffinatezza; una forma simile in Plauto Bacch. 81 Apud me, mi anime, ut lepidus cum
lepida accubet. «qui da me, anima mia: che un uomo affascinate giaccia con una donna affascinante».
cubet: cf. 69,8 nec quicum bella puella cubet.
5. homo est stultus: qui troviamo la pointe dell’epigramma, Gallo non è bellus come gli altri, ma è solo sciocco
anche a proprio danno. Il nipote dunque avrebbe sedotto anche la moglie di Gallo.
nec: coordinata invece che una causale subordinata (è sciocco perché …).
Qui …. monstret: «lui che, zio, mostra l’adulterio ai danni dello zio»; il cong. monstret è caratterizzante:
Congiuntivo caratterizzante (o indeterminato): l’azione della subordinata non è presentata come un fatto unico e
individuato, ma generico, virtuale, ripetuto, supposto.
Es.1 quis enim aut eum diligat quem metuat, aut eum a quo se metui putet? (Cic. Lael. 53) «Chi potrebbe amare chi
teme, o chi crede che lo tema?»
Es.2 mos est Athenis laudari in contione eos qui sint in proeliis interfecti (Cic. Or. 151) «e costume aad Atene di fare
in assemblea il panegirico di coloro che sono (anche “siano”) caduti in battaglia»
Catull. 78
***
sed nunc id doleo, quod purae pura puellae
sauia comminxit spurca saliua tua.
uerum id non impune feres: nam te omnia saecla
noscent et, qui sis, fama loquetur anus.
***
ma ora di questo mi lamento: che di una pura ragazza i
puri baci abbia insozzato la tua sporca saliva.
Ma non la passerai liscia: infatti tutti i secoli futuri ti
conosceranno e la fama, invecchiando, racconterà chi
sei.
Epigramma mutilo della parte iniziale, nei codd. è trascritto di seguito al c. 78 senza separazioni: si è pensato
potesse essere stato la conclusione di un altro carme, trasposto qui per errore, ma i tentativi di unirlo al c. 77
sono forzati. Meglio considerarlo un frammento acefalo.
1. sed: avversativa oppone questi vv. a quelli iniziali perduti.
id doleo, quod: sub. sostantiva epesegetica, cf. 21,10 nunc id ipsum doleo, quod … : doleo appartiene ai verba
affectuum (cf. gaudeo, laetor, delector, maereo, angor,irascor, moleste … fero, queror, miror) da cui
dipendono sostantive introdotte da quod + indicativo o congiuntivo, a seconda che si trattidi fatto reale o
soggettivo: Es. 1) Multi queruntur quod nati sunt «molti si lamentano (per il fatto) di essere nati». 2) Mitto quod
inimicum meum tuum inimicum putaveris «tralascio il fatto che hai giudicato il mio nemico tuo nemico (punto di vista
dello scrivente).
1s.: purae pura puellae / sauia: a rendere iconicamente la mescolanza, gli aggettivi sono premessi, in modo da
accostare il poliptoto purae pura, costituire la paronomasia puerae puellae; i primi tre termini sono marcati
dall’allitterazione, mentre il quarto è in enjambement.
2. sauia: propriamente «baci», indicano metonimicamente le labbra (metonimia è sostituzione di una parola con
un’altra di significato contiguo, es. causa per effetto, l’autore per l’opera, il santo per la chiesa).
comminxit: da commeio, -is, -mi(n)xi, commictum, -ere, “bagnare di urina”, quindi “insozzare, contaminare”.
Analoga iunctura (spurca saliua) e medesimo verbo usato in senso proprio in 99,10: nam simul id factum est
multis diluta labella /guttis abstersti omnibus articulis /ne quicquam nostro contractum ex ore maneret
/tamquam commictae spurca saliua lupae. “appena è accaduto ti sei lavato con tutte le dita le labbra,
bagnandole con molte gocce, perché non rimanesse nulla contratto dalla nostra bocca, come se si trattasse della
sporca saliva di una prostituta dedita alla fellatio”. Nel c. 78a prevale il senso di “contaminare”, ma si può
pensare che il personaggio che bacia la pura ragazza abbia avuto rapporti orali con ragazze o ragazzi, ovvero sia o
un cunnilingus o un fellator (come il Lesbio del c. 79). Altri pensano che l’amante sia solamente spurcus, il suo
os hircosum (cf. Petron. 21,2 basiis olidissimis inquinauit «lo contaminò con baci puzzolentissimi»).
3. non impune feres: espressione di lingua d’uso, “passarla liscia”: impune, “senza pena” + verbi come ferre,
auferre, habere.
4. fama … anus: propr. «la fama, da vecchia» anus aggettivo già in Plauto, Terenzio e Lucilio. Catullo ripete
qui parzialmente un verso del c. 68,46 et facite haec carta loquatur anus, “fate che lo narri questa pagina, anche
quando sarà vecchia”.
Qui sis: «chi tu sia» interrogativa indiretta dipendente da loquetur (consecutio della contemporaneità).
Catull. 79
Lesbius est pulcher. quid ni? quem Lesbia malit
quam te cum tota gente, Catulle, tua.
sed tamen hic pulcher uendat cum gente Catullum,
si tria notorum sauia reppererit.
Lesbio è un bell’uomo: come no? Lui Lesbia preferisce
a te, o Catullo, e a tutta la tua famiglia, ma tuttavia,
questo bell’uomo venda pure Catullo con tutta la sua
famiglia, se troverà tre baci di persone che lo conoscono.
“Nelle nugae e negli epigrammi … Catullo preferisce bellus a pulcher, con le uniche eccezioni di 86.5 (dove però, siamo in presenza del superlativo pulcherrima, per di più riferito a Lesbia) e, appunto di 79,11. La preferenza
eccezionalmente concessa da Catullo a pulcher in questa circostanza diviene comprensibile se si ammette che
Lesbia sia la sorella di Publio Clodio: così facendo infatti si può mettere in rapporto l’allusione catulliana al
Lesbius, suo amante, con le ben note accuse d’incesto rivolte da Cicerone a Clodia, la sorella del tribuno della
plebe; e … Publio Clodio aveva l’appellativo di Pulcher. Catullo, quindi, ha abbandonato solo in questa
occasione un suo uso linguistico per creare un gioco di parole capace di rivelare ai suoi lettori l’identità di
Lesbius” (Fedeli).
1. pulcher: a quanto osservato da Fedeli, si aggiunga che Cicerone definisce Clodio pulcellus puer (Att. 1,16,10)
e lo accusa di incesto con la sorella (Cael. 32, 36, 78; dom. 92).
Quid ni?: secondo Fedeli Catullo immagina che un interlocutore intervenga a rinfacciare gli eccessivi trasporti
amorosi di Lesbia per il fratello. Per il costrutto, cf. 89,1s. Gellius est tenuis quid ni? cui tam bona mater
/tamque ualens uiuat tamque uenusta soror “Gellio è magro. Come no? Avendo una madre così attraente e così
vigorosa e una sorella così seducente”. È sottinteso un verbo al cong. dubitativo, presente (“perché non
dovrebbe esserlo”, opp. ita credam “perché non dovrei crederlo” = lo credo): il congiuntivo dubitativo è un
congiuntivo della possibilità (negazione non), esprime incertezza; per ilpresente usa il presente quid agam?,
"cosa dovrei fare"; per il passato usa l'imperfetto: quid agerem?, "cosa avrei dovuto fare?". Con il congiuntivo
dubitativo, quidni afferma che qualcosa è o avviene, es. Quidni dicam = "perché non dovrei dirlo" =
naturalmente lo dico, Quidni fatearis ego quod uiderim? “perché non dovresti (=come non potresti) confessare
quello che ho visto con i miei occhi?”, mentre cur non afferma che qualcosa si farà, es. Cur non dicam ="perché
non dovrei dirlo" = lo dirò, Cur non confitear quod necesse est? Fateor, “perché non dovrei confessare
(=perché non confesserò) quello che è inevitabile. Lo confesso”.
2. cum tota gente: iperbolico, tutta la gens Valeria. Per ‘tutto’ il latino dispone di omnis = tutto analizzato
nelle parti (Gallia omnis est diuisa in partes tres); totus = un tutto come unità compatta; cunctus = unione
delle parti; universus = tutto vs. le parti.
3. hic pulcher uendat … si reppererit: periodo ipotetico della obiettività, protasi all’ind. fut. 2°, ad indicare la
anteriorità, apodosi al congiuntivo, concessivo.
Congiuntivo concessivo, di tipo volitivo per concedere all’interlocutore un fatto (negazione ne, neque o neue).
Di solito seguito da proposizione limitativa, introdotta da avversative (at, uerum, sed), restrittive (tamen, certe),
condizionali (dum, modo); spesso all'inizio della proposizione, preceduto da imperativi esto, age, più spesso
dall'avverbio sane, “pure”. I tempi sono: 1) in riferimento al presente, il presente, sint sane superbi Rhodienses,
"siano pur superbi i Rodiesi!"; 2) in riferimento al passato, il perfetto ne fuerint, "ammettiamo pure che non lo
siano stati".
uendat: è un adynaton (è impossibile che Lesbio trovi tre persone disposte a baciarlo); l’immagine è proverbiale,
“vendere come schiavi”, cf. Sen. apoc. 11,3 ad summam, tria verba cito dicat et servum me ducat “in somma,
dica presto tre parole e mi prenda come schiavo”.
notorum: di noti, ‘conoscenti’, spesso connesso ad amici (cf. Ter. Eun. 238 omnes me noti atque amici
deserunt). I codd. sono divisi: notorum O: natorum X [= GR}, quest’ultima lezione è difesa da Rothstein, nel
senso di ‘liberi’, ma risulta meno efficace.
tria sauia: 3 indica genericamente un numero esiguo. Lesbio deve avere un os particolarmente spurcum se
nessuno lo vuole baciare, o perché fetido, o perché, come nel caso del c. 78a, si deve pensare ad un cunnilingus
o un fellator (così Kroll).
Catull. 80
Quid dicam, Gelli, quare rosea ista labella
hiberna# fiant candidiora niue,
mane domo cum exis et cum te octaua quiete
e molli longo suscitat hora die?
Nescio quid certe est: an uere fama susurrat 5
grandia te medii tenta uorare uiri?
sic certe est: clamant Victoris rupta miselli
ilia, et emulso barba notata sero.
Che dire, Gellio, perché queste tue labbruzze rosee
diventano più candide della neve invernale, quando alla
mattina esci di casa e quando le due del pomeriggio, nei
lunghi giorni estivi, ti risvegliano dal morbido sonno?
Non so precisamente che cosa sia: o è vero quanto
sussurra la fama, che tu divori quanto si erge di grande
a mezza altezza di un uomo? È certo così: lo
proclamano le reni spezzate del povero Vittore, e la tua
barba macchiata di siero eiaculato.
7 Victoris V : linctoris Della Corte
Continua il ciclo di Gellio (in totale 7 carmi: 74, 80, 88, 89, 90, 91, 116) – cui qualcuno ha accostato anche il c.
78, non solo amante della moglie del patruus, ma anche dedito alla fellatio.
1. Quid dicam: interr. diretta con congiuntivo dubitativo del pres., su cui v. a 79,1 .
quare … fiant: interr. indiretta al cong. secondo la consecutio.
rosea … labella: questo tratto ‘femminile’ si ritrova nel c. di Attis, 63,74 roseis ut hinc labellis sonitus citus
abiit «appena la rapida voce dalle labbra rosse andò… ». Il diminutivo, 7 volte in Catullo, è usato differentemente a seconda che indichi con affettività le labbra di Lesbia (ad es. 8,18 quem basiabis. Cui labella mordebis), ovvero con ironia “nell’iperbolica allusione che flagella i vizi di Gellio” (Ronconi, cit., 124) – sottolineata
dall’opposizione cromatica con candidiora … niue – e ancor più nel c. omoerotico, del ciclo di Giovenzio, 99,7
nam simul id factum est multis diluta labella guttis abstersisti «non appena ciò accadde, ti ripulisti le labbra
macchiate da molte gocce» (per cui v. già nella nota a 78a,2).
2. hiberna candidiora … niue: altro nesso topico. Kroll e altri commentatori richiamanoo Hom. Il. 10,437
leukÒteroi c…onoj, detto di cavalli, v. anche ad es. l’incipit di Hor. carm. 1,9 Vides ut alta stet niue candidum
Soracte «vedi come il Soratte si erga candido per la neve alta».
3s.: mane … octaua … hora: Gellio sta con Vittore tutta la notte e anche di giorno. Le ore si contano a partire
dalle 6: l’ottava corrisponde alle 14.
domo: moto da luogo, particolarità dei complementi di luogo con il sostantivo eteroclito domus.
5. Nescio quid: altrimenti scritto nescioquid. “Nescio si è saldato con quis (quomodo, quare, quando, etc.) in
nessi unici che modificano il senso del pronome o dell’avverbio (nescio quis o nescióquis, “un non so chi”,
nescio quare “chi sa perché”) e che non influiscono sul modo del verbo. Si distingua dunque nescio quis dixit
“un non so chi | ha detto” e nescio quis dixerit “non so | chi ha detto”” (Traina-Bertotti, Sintassi normativa,
363n).
an … susurrat: oltre alle interrogative disgiuntive, an può introdurre l’interrogazione semplice, soprattutto col
valore retorico-negativo di num (“forse che, forse”). Questo valore deriva dal suo valore originario, dubitativooppositivo, e si incontra nelle interrogative di tono polemico (cf. Traina-Bertotti, Sintassi normativa, 263s.).
tenta: «le cose tese» sostantivato (tenta membra = rigida, 56,7), come nei Priapea, 82,6.
medii … uiri: espressione eufemistica per indicare il sesso, cf. ad es. Mart. 2,61,2 lambebat medios improba
lingua viros.
uorare: cf. Mart. 7,67,14s. (Filenide) non fellat – putat hoc parum virile –, / sed plane medias vorat puellas.
7. sic certe est: risponde al dubbio del v. 5 nescio quid certe est.
Victoris: così i codd.: Della Corte corregge in linctoris “leccatore”, poiché il nome Victor è raro in età
repubblicana (benché attestato in CIL IV 1708). Non pare fare difficoltà neppure il fatto che a denunciare Gellio
siano gli ilia di Vittore e le sue proprie labella.
ilia … rupta: cf. 11,17ss. (di Lesbia) cum suis uiuat ualeatque moechis / quos simul conplexa tenet trecentos /
nullum amans uere sedidentidem omnium / ilia rumpens.
Catull. 81
Nessun uomo elegante, tra tanta gente, poteva esserci,
Ne#mone i#n tanto# potui#t populoÃe#sse, Iuue#nti,
Giovenzio, cui tu iniziassi a voler bene,
bellus homo, quem tu diligere inciperes,
se non questo tuo ospite straniero che viene dalla
praeterquam iste tuus moribunda ab sede Pisauri
moribonda città di Pesaro, più pallido di una statua
hospes inaurata pallidior statua,
dorata; che ti sta a cuore ora, che tu osi anteporre a me,
qui tibi nunc cordi est; quem tu praeponere nobis
e non sai che delitto stai commettendo?
audes, et nescis quid facinus facias?
Carme del ciclo di Giovenzio (cc. 24, 48, 81, 99): come nel c. 24 il flosculus Iuventiorum preferisce un altro a
Catullo. Catullo si vendica schernendolo per il luogo di provenienza del rivale, per il suo aspetto fisico e ricorre
“nella conclusione del carme ad un linguaggio ricercato con fini parodici (il poliptoto “qui … quem” e “tibi …
tu” del v. 5, l’arcaico “quid facinus” in luogo di “quod facinus” e la figura etimologica “facinus facias” nel v. 6”
(Fedeli).
1. Nemo … / homo: combinazione pleonastica (nemo < ne-hemo < ne-homo) tipica della commedia e
frequente in Cicerone, ut hominem neminem pluris faciam (Fam 13,55,1).
in tanto populo: in un così grande popolo (per ‘tanto’ il latino impiega tantus = grandezza, "tanto grande"; tot
= numero, "tanti"; tam + agg., verbi, avv.; tantum + verbi; tanti con i verbi di stima o di prezzo, tanto con i
comparativi): colloquialismo per Roma.
populoÃe#sse: la sinalefe che coinvolge l’ultima lunga di populo, parola anapestica, tra 4 e 5 metron è
normalmente evitata (v. Kroll ad l., e Norden a Verg. Aen. 6,455), e si trova solo qui in Catullo.
quem… inciperes: sub. relativa impropria con valore consecutivo
diligere: sottolinea il valore affettivo, cf. a 72,3.
L’espressione diligeere inciperes è perifrasi della lingua d’uso.
2. bellus homo: cf. la medesima espressione nel c. 24,7 (e anche nel c. 78,3).
3. moribunda ab sede Pisauri: moribunda è testo di V, indica la decadenza di questa città (anche Curt. Ruf.
4,7,10 parla di una sterili et emoriente terra), per altri si riferisce al fiume Pesaro, oggi Foglia (con enallage
perché l’agg. non si riferisce direttamente a Pisauri = “dalla sede del moribondo Foglia”). Non è quindi
necessaria la correzione moribundus.
4. hospes: “straniero” cf. Hor. sat. 2,4,10 'Ede hominis nomen, simul et Romanus an hospes'. “fuori il nome di
quest’uomo, ed insieme se sia Romano o straniero”, secondo altri l’amante sarebbe ospite di Giovenzio.
inaurata statua: di bronzo dorato.
pallidior: il pallor normalmente per i latini è aggettivo positivo, non come l’italiano ‘pallido’.
5. qui tibi … quem tu: poliptoto anaforico del relativo e del pronome personale – espresso in antitesi a nobis.
tibi cordi est: costruzione del doppio dativo, di fine o di effetto unito al dativo di vantaggio (o svantaggio). Si
trova con verbi come do, tribuo, verto, attribuisco laudi Fabio “a merito di Fabio”; con mitto, uenio, relinquo,
ad es. auxilio Caesari, “in aiuto a Cesare”, con sum, ad es. libertati sunt impedimento.
“Cordi esse è la sola locuzione classica in cui ricorra in senso figurato cor, altrimenti sostituito da animus”
(Traina-Bertotti, cit., 109), cf. ex animo diligere.
quid… facias: interrogativa indiretta con la consecutio della contemporaneità.
quid facinus: quid aggettivo è testo di V, quod di alcuni recenziori, è accolto da Mynors e da Fordyce, ma si
può conservare l’arcaismo (Plaut. Poen. 829 quid illuc est genus) in questi versi volutamente ricercati (cf. supra
l’osservazione di Fedeli).
facinus facias: figura etimologica propria del linguaggio quotidiano, ma già in Enn. Ann. 244 Ut faceret
facinus, frequente in Plauto, cf. Cist. 231 Potine tu homo facinus facere strenuom?«tu, uomo, puoi forse
compiere un’azione coraggiosa?».
Catull. 82
Quinti, si tibi uis oculos debere Catullum
Quinzio, se vuoi che Catullo ti sia debitore degli occhi,
aut aliud si quid carius est oculis,
o di qualcosa d’altro, se c’è qualcosa di più caro degli
eripere ei noli, multo quod carius illi
occhi, non gli strappare ciò che per lui è molto più caro
est oculis seu quid carius est oculis.
degli occhi, o se c’è qualcosa di più caro degli occhi.
Catullo si rivolge a Quinzio, suo conterraneo e rivale (c. 100,2 dove è detto flos Veronentum iuuenum), con la
preghiera di non rubargli l’amata, forse Aufilena, che ha più cara al mondo. Il carme è costituito di un solo
periodo di cui il primo distico contiene la protasi, e il secondo l’apodosi (e la sua espansione); la sua unitarietà è
sottolineata dalle ripetizioni (in part. di carius est oculis, vv. 2 e 4; ma oculos e oculis è ripetuto ancora al v. 1 e
al v. 4, mentre carius si trova anche al v. 3).
si … uis: sub. supp. 1° gr. (protasi I tipo)
si quid carius est oculis: sub. supp. 3° gr.
oculos debere Catullum: sub. inf. ogg. 2° gr.
eripere … noli: princ. (apodosi I tipo)
1. tibi: dopo la tritemimere segue una parola di forma pirrichia (w w). In tutti i 27 casi che ciò avviene in Catullo
viene rispettata la norma diffusa a partire da Callimaco che tali versi non incominciano con parola di forma
trocaica (q w). Nel nostro caso uno spondeo (q q).
oculos debere: cf. c. 3,4s. passer deliciae meae puellae /quem plus illa oculis suis amabat « passero, delizia
della mia ragazza, che lei amava più dei suoi occhi»; 14,1s. ni te plus oculis meis amarem /iucundissime
Calue «se non ti amassi più dei miei occhi, piacevolissimo Calvo»: come osserva Kroll (a 3,5), l’uso di indicare
gli occhi come termine di confronto è una costruzione tipicamente greca (anche in Callimaco la bella Anticlea è
amata «al pari degli occhi»: Hymn. Dian. 211 kal¾n 'Ant…kleian ‡son fašessi filÁsai), già in Plaut.
Mil.984 quae te tam quam oculos amet «(una) che ti ami quanto i suoi occhi».
2. si quid carius: costrutto caro a Catullo, con quid indefinito della suppositiva: cf. 13,9s. sed contra accipies
meros amores / seuquid suauius elegantiusue est «ma riceverai in cambio un affetto sincero ovvero quanto
c’è di più dolce e raffinato»; 22,12s. scurra /aut si quid hac re scitius uidebatur propriamente «sembrava un
uomo spassoso o se c’è qualcosa più brillante di questa», cf. anche 68,106; 104,2 credis me potuisse meae
maledicere uitae /ambobus mihi quae carior est oculis «credi che io potessi sparlare della mia vita, che mi è
più cara di entrabi i miei occhi?».
3. eripere ei noli: imperativo negativo (cf. 69,1). L'imperativo negativo può essere espresso: a) con ne + il perf.
congiuntivo esort., ne dixeris (forma più drastica); b) con noli, nolite + l'inf. presente, noli dicere (forma più
cortese)
ei: monosillabico come talora in Plauto; evitato per lo più in poesia come impoetico (cf. B. Axelson,
Unpoetische Wörter, Lund 1945, 70ss.), in Lucrezio è spondaico.
illi: si riferisce alla stessa persona di ei, come spesso nel passaggio da sovraordinata a subordinata (cf. Fordyce
ad l.).
Pronomi dimostrativi: I) a) hic, "questo", vicino a chi parla; b) iste, "codesto", vicino a chi ascolta; iste ha
talvolta un valore dispregiativo, di allontanamento: (Suffenus iste, quem probe nosti, "codesto Suffeno, che
conosci bene") c) ille, "quello", lontano da entrambi. Talora ille ha valore enfatico, "quel famoso", al neutro =
"quel famoso detto" (Cato ille, "quel famoso Catone"; illud Catonis, "quel famoso detto di Catone"); II)
Pronomi determinativi: Is e i suoi composti idem, ipse sono a) is di regola rinvia ad altra persona ed è detto
quindi "anaforico". Unito a et, atque, -que può aggiungere una determinazione a un'idea già espressa: (rem tibi
narro pulcram eamque singularem, "ti racconto una cosa bella e per giunta non comune"); b) idem è pronome
di identità, stabilisce identità tra due termini, eodem die, "nello stesso giorno". Con et, atque, -que ha gli stessi
valori di is: (rarum est felix idemque senem, "è cosa rara un uomo fortunato e nello stesso tempo vecchio"; c)
ipse, pronome enfatico, sottolinea un termine a differenza dagli altri: eo ipso die, "proprio in quel giorno" (e non
in un altro). d) ipse può tenere il posto di un pronome personale (venit ipse, "è venuto lui stesso") o
accompagnarsi ai pronomi personali in frasi del tipo se ipse laudat, "si loda da sé stesso" o se ipsum laudat,
"loda se stesso".
4. seu quid: varia il si quid del v. 2. Il suo valore originario è disgiuntivo (“mentre aut e uel disgiungono
concetti diversi, siue (seu), “o meglio, o piuttosto” disgiunge due diversi aspetti o denominazioni di un
medesimo concetto, spesso con un valore correttivo (unito o no a potius)”, Traina-Bertotti, § 304). Siue … siue
(seu … seu) “introducono due o più supposizioni, qualunque delle quali si verifichi, la conseguenza non cambia”
(Traina-Bertotti § 385).
Catull. 83
Lesbia mi praesente uiro male plurima dicit:
Lesbia, davanti al marito parla molto male di me:
haec illi fatuo maxima laetitia est.
e questa per quello sciocco è la massima gioia.
Mule, nihil sentis? si nostri oblita taceret,
Mulo, non capasci nulla? Se dimentica di me tacesse,
sana esset: nunc quod gannit et obloquitur,
sarebbe sana: ora, poiché parla e mi denigra,
non solum meminit, sed, quae multo acrior est res, 5
non solo si ricorda, ma, e la cosa è molto più amara,
irata est. hoc est, uritur et loquitur.
è arrabbiata. Cioè, brucia e quindi parla.
Il c. deve essere anteriore al 59 a.C., anno in cui morì Q. Metello Celere, marito di Clodia (Lesbia?).
1. praesente uiro: ablativo assoluto. Qui uir è con ogni probabilità il marito, non un amante.
Nell’ ablativo assoluto soggetto e predicato al participio concordano in ablativo.
Questo costrutto può equivalere a una subordinata avverbiale: a) temporale: Tarquinio regnante Pythagoras in
Italiam uenit, "sotto il regno di Tarquinio [= mentre T. regnava] Pitagora venne in Italia"; b) causale: mortuo
rege, magna erat omnium maestitia, "poiché era morto il re, grande era la mestizia di tutti"; c) concessiva:
multis obsistentibus hoc imperaui, "diedi quest'ordine, sebbene molti si opponessero"; d) suppositiva: ea lecta
epistula aliter sentires, "se tu avessi letto quella lettera la penseresti diversamente". N. B.: a) in ogni caso la
proposizione che regge l'ablativo assoluto non contiene riferimenti pronominali all'ablativo stesso. (In caso
contrario si avrà il participio congiunto: Corpus Marcelli inuentum Hannibal sepeliuit, "Annibale, trovato il
cadavere di Marcello, lo seppellì"). L'ablativo assoluto può invece contenere riferimenti pronominali alla
sovraordinata (Caesar, legatis Haeduorum ante se conuocatis, questus est..., "Cesare, convocati innanzi a sé gli
ambasciatori degli Edui, si lamentò"); b) con il participio presente l'ablativo assoluto ricorre per esprimere
contemporaneità (omnibus consentientibus pax facta est, "per consenso di tutti, fu fatta la pace" ( tutti furono
d'accordo a fare la pace), mentre omnes consentiunt e re publica fuisse ..., "per consenso di tutti, fu utile allo
stato che ...", ( tutti ora sono d'accordo); c) per esprimere anteriorità si impiega il participio passato, che è
passivo, tranne che per i verbi deponenti, l'ablativo assoluto si trova con i verbi transitivi attivi, tipo uictis
hostibus; intransitivi deponenti, tipo orto sole. I verbi deponenti transitivi ammettono la costruzione con il
participio congiunto, tipo Caesar, hortatus milites, pugnam commisit, mentre quelli attivi intransitivi
consentono solo la costruzione con cum + cong.: Caesar, cum redisset Romam.
mala … dixit: equivale a maledixit. Cf. Plaut. Cist. 233 mala multa dici mihi uolo.
3. Mule: il mulo è animale proverbiale per sterilità, stupidità ed ostinazione, ma anche per passività e
insensibilità, cf. 17,25s., dove si parla di supinum animum … ut … mula, Plin. nat. 8,171 parla di tarditas
indomita.
nihil sentis? «non capisci nulla?»; sentio non indica solo la percezione sensoriale (come nel c. 85), ma anche la
comprensione intellettuale.
Si … taceret: sub. supp. 1° grado (protasi III tipo)
sana esset: princ. (apodosi III tipo)
nostri: gen. ogg. retto dai verbi di memoria (memini, reminiscor, ecc.).
oblita taceret: l’ultima sillaba è identica alla prima della parola successiva, con un c.d. cacemphaton
(H.Lausberg, Handbuch der literarischen Rhetorik, Stuttgart 1990, 473s.), per lo più evitato, ma v. anche 68,60
transit iter, 64,239 mente tenentem.
4. sana: guarita dalla ferita d’amore, cf. Verg. Aen. 4,8 cum sic unanimam adloquitur male sana sororem (di
Didone).
gannit: propriamente il verbo si riferisce ai cani, ma è riferito al brontolare degli uomini già da Plauto: in un fr.
Gannit odiosus omni totae familiae, citato da Varro ling. 7,5 con la osservazione multa ab animalium uocibus
tralata in homines, partim qu<a>e sunt aperta, partim obscura; «molte parole derivano dai versi di animali:
in certi casi l’origine di essi è ovvia, in altri poco chiara».
4. obloquitur: ripreso in figura etimologica da loquitur al v. 6.
6. hoc est …: riassume quanto precede nei due verbi uritur et loquitur.
uritur: il fuoco è frequente metafora d’amore: cf. Catull. 72,5 impensius uror, 61,176s. pectore uritur intimo /
flamma.
loquitur: la correzione coquitur di Dousa e Lipsius (cf. Enn. Ann. 336 V.2 curam … quae nunc te coquit;
Plaut. Trin. 245 egomet me coquo et macero et defetigo) non è necessaria. Uritur et loquitur sono una coppia
parafonica unita da isosillabismo ed omeoteleuto.
Catull. 84
Chommoda dicebat, si quando commoda uellet
dicere, et insidias Arrius hinsidias,
et tum mirifice sperabat se esse locutum,
cum quantum poterat dixerat hinsidias.
credo, sic mater, sic liber auunculus eius, 5
sic maternus auus dixerat atque auia.
hoc misso in Syriam requierant omnibus aures:
audibant eadem haec leniter et leviter,
nec sibi postilla# metuebant talia uerba,
cum subito affertur nuntius horribilis, 10
Ionios fluctus, postquam illuc Arrius isset,
iam non Ionios esse, sed Hionios.
Chommoda diceva Arrio, quando voleva dire
Commoda, e quando voleva dire insidias diceva
hinsidias, e allora sperava di aver pronunciato
magnificamente, quanto aveva detto hinsidias con la
maggiore aspirazione che gli veniva. Così, Credo,
parlava la madre, così sempre anche suo zio liberto, e
così il nonno materno e la nonna. Quando fu inviato in
Siria si riposarono le orecchie di tutti: ascoltavano
quelle stesse parole pianamente e leggermente, né da
quel momento temevano tali parole, quando
improvvisamente giunge una notizia tremenda, i flutti
del mare Ionio, dopo che Arrio era stato là, non erano
più Ioni, ma Hionii.
Parvenu di umili origini Arrio per darsi l’aria di raffinato aspira anche le parole sbagliate. Solitamente si identifica
questo Arrio con Quinto Arrio, avvocato che, secondo Cicerone (Brutus 242) era infimo loco natus et honores
et pecuniam et gratiam consecutus, ma che era rozzo e provinciale (oppidano … et incondito genere dicendi).
Il problema dell’aspirazione era discusso dai grammatici dell’età repubblicana: Nigidio Figulo ammoniva rusticus
fit sermo si adspires perperam (fr. 21 F.) ed anche Cesare aveva dedicato un capitolo de uerborum
aspirationibus nel suo de analogia. Nell’età di Catullo (cf. Fordyce) l’aspirata fu introdotta non solo negli
imprestiti greci, ma anche in una serie di parole come triumphus, Gracchus, pulcher, una riforma ortografica
che Cicerone afferma di avere accolto con riluttanza, mentre Quintiliano (inst.1,5,20) afferma che dopo poco
tempo per un nimius usus l’aspirazione fu estesa anche a parole come corona, centurio, praeco.
1. si quando uellet: con valore iterativo «ogni volta che voleva».
3 tum… cum: «allora… quando», correlazione.
mirifice: è della lingua d’uso e raro in poesia, in Catullo, cf. 53,2 e 71,4 mirifice est a te nactus utrumque
malum.
quantum poterat «per quanto poteva».
5. credo: parentetico, usato paratticamente. La spiegazione è ovviamente ironica.
6. liber: probabilmente si deve intendere che lo zio materno era stato per primo liberato (difficile si tratti di un
praenomen, giacché è teonimo). Nisbet preferisce correggere semper.
7. hoc misso: «quando fu inviato» ablativo assoluto. È possibile che abbia seguito Crasso, con cui aveva buoni
rapporti, che partì per la Siria nel 55.
requierant omnibus aures: l’affermazione è tanto più sarcastica se Crasso era effettivamente un avvocato.
Requierant è forma sincopata.
8. leniter et leuiter: paronomasia; leniter indica la mancanza dell’aspirazione, leuiter il tono più leggero, senza
enfasi. Per la coppia si veda Gell. 18,9,7 Etiamsi veteres autem non 'inseque', sed 'insece' dixerunt, credo, quia
erat lenius leviusque, tamen eiusdem sententiae verbum videtur.
9. postilla#: l’avverbio è impiegato nella poesia arcaica (Ennio, Plauto, Terenzio), quindi in Catullo e Cicerone
poeta.
10. horribilis: “timeo indica la paura, istintiva e irrazionale; metuo il timore, consapevole e ragionato; uereor
aggiunge spesso l’idea del rispetto e della vergogna; pertimesco è momentaneo (impaurirsi) di fronte al durativo
timeo (aver paura); formido è il timor panico, che paralizza; paueo e horreo descrivono gli effetti fisici del
timore, il batticuore e il brivido” (Traina-Bertotti § 314 n.1).
affertur nuntius horribilis: princ.
postquam illuc Arrius isset: sub. 2° gr. temp.
Ionios … non Ionios esse, sed Hionios: sub. inf. 1° gr.
epes.
11 isset: cong. indiretto.
Catull. 85
Odi et amo. Quare id faciam, fortasse requiris.
nescio, sed fieri sentio et excrucior.
Odio e amo: forse chiedi perché lo faccia.
Non lo so, ma sento che avviene e sono in croce.
Questo celebre distico è totalmente privo di riferimenti all’occasione che ha generato la contraddittoria
condizione emotiva del poeta. Catullo sembra concentrarsi esclusivamente su ciò che avviene dentro di lui
registrandone la passività (fieri). Mentre nel c. 72 il variare del sentimenti (dal diligere all’amare) viene
spiegato in base al contrasto tra passato e presente, qui il poeta si limita alla pura percezione (sentio) e
rinunci a una spiegazione razionale (nescio).
Non mancano precedenti significativi nella letteratura greca: ad es. Ancreonte f. 46 Gentili «amo e non amo,
sono pazzo e non sono pazzo», in cui però l’amore si contrappone all’assenza dell’amore e non all’odio;
Teognide 1091 «il mio animo è in una difficile situazione … non riesco infatti né ad odiarti, né ad amarti. Mi
rendo conto infatti che è difficile odiare chi si è amato, ma è difficile anche amare chi non vuole»: qui più
che la compresenza, emerge l’incertezza tra amore e odio. Cf. anche Sofocle, Elettra 1363 «ti ho odiato e ti
ho amato nello stesso giorno», che coglie il rapido trapasso da un sentimento all’altro. In Catullo la
compresenza dei sentimenti è sottolineata dalla sintesi lapidaria.
1. odi et amo: ossimoro; i verbi sono usati assolutamente (senza complemento oggetto) perché non si tratta
dell’oggetto del desiderio, ma del sentimento stesso. L’odi è conseguenza dell’amare magis, sed bene uelle
minus (72,8).
Quare id faciam. Interrogativa indiretta.
Faciam / … fieri: gli risponde fieri al v. successivo: fio è anche impiegato come passivo di facio; benché Catullo
impieghi qui fieri nel senso intransitivo («avviene»), i due verbi, legati dall’allitterazione, sono messi in rapporto
semantico in modo da oppore razionalità (faciam) e irrazionalità (fieri).
2. nescio: comprensione intellettiva, contrapposto a sentio, “percepire con i sensi”.
sentio: ha qui il valore di «percepire con i sensi» , ma il verbo in latino significa anche «avere un parere
(sententia)».
excrucior: conferma con la diatesi media (diverso sarebbe me excrucio, “mi tormento”, come in Plaut. Curc.
170 PA. Ipsus se excruciat qui homo quod amat uidet nec potitur, dum licet.) l’idea di passività già in sentio e
fieri. Excrucior, prosodicamente identico all’odi et amo (un coriambo q w w q), indica la conseguenza di
quella compresenza di sentimenti con cui si apre il carme.
Catull. 86
Quintia formosast multis; mihi candida, longa,
rectast. haec ego sic singula confiteor;
totum illud ‘formosa’ nego: nam nulla uenustas,
nulla in tam magnost corpore mica salis.
Lesbia formosast, quae cum pulcherrima totast, 5
tum omnibus una omnes surripuit Veneres.
Quinzia è bella (formosa) per molti; per me è
splendente, alta, ben fatta. Queste singole doti così
gliele riconosco, ma quel formosa nel complesso io lo
nego: infatti non ha fascino, in tutto quel suo gran
corpo non ha neppure un grano di sale. Lesbia è bella,
lei che è bellissima tutta, e che sola ha rubato a tutte le
donne tutte le grazie di Venere.
Quinzia (forse sorella di Quintius, un veronese nominato nel c. 100), famosa per la sua bellezza viene qui
confrontata con Lesbia. Il confronto si sviluppa in un ragionamento ben strutturato: il primo distico introduce
le qualità positive di Quinzia; il secondo registra l’assenza nella ragazza della venustas; il terzo le contrappone Lesbia, riprendendo i temi del primo distico (la bellezza fisica) e del secondo (il fascino). La compattezza
strutturale è garantita dalla ripetizione della parola chiave formosa nella parte iniziale del primo verso di
ciascun distico.
1 formosa: il termine formosus sembra essere entrato nell’uso relativamente tardi, in un’epoca in cui
l’apprezzamento estetico stava prendendo piede per l’influenza della cultura greca (in Plauto ce un solo
esempio di formosus accanto ai 32 di pulcher): mentre pulcher indica la bellezza sia fisica che morale,
formosus rimane confinato alla sola bellezza fisica (Cicerone lo userà per la perfezione delle forme
geometriche).
multis: «per molti», dat. di relazione contrapposto a mihi (cf. ad es. Ps. Quint. decl. mai. 18,9 quis enim non
est formosus filius matri?); l’antitesi tra multis mihi è accentuata dal chiasmo, dall’asindeto e
dall’allitterazione.
candida: «di carnagione chiara»: rientra nel canone della bellezza antica, come la statura (longa) e il fisico
ben strutturato (recta); per la statura, cf. ad es. Ov. am. 2,4,33 tu quia tam longa es veteres heroidas aequas
(«per il fatto di essere tanto alta eguagli le antiche eroine»); per il corpo ben fatto: Prop. 2,34,46 despit et
magnos recta puella deos «la ragazza ben fatta guarda dall’alto in basso anche i grandi dèi»; per la
combinazione delle qualità, cf. ad es. Varro, Men. amiculam… proceram candidam, teneram, formonsam
«l’amichetta alta, bianca, morbida, bella». In Catullo i tre aggettivi costituiscono una serie asindetica, con
enjambement.
2 singula «presi uno ad uno»; i singoli requisiti per la bellezza ci sono, ma l’insieme non è armonioso. L’uso
di singula ad indicare le qualità che compongono la bellezza è anche in Hor. Sat. 1,6,30-32 si qui … haberi /
… cupiat formosus, eat quacumque, puellis / iniciat curam quaerendi singula, quali / sit facie, sura quali,
pede, dente, capillo «se uno desidera essere considerato bello, ovunque vada, faccia venir voglia alle ragazze
di indagare sulle singole qualità: che aspetto abbia, che polpacci, che piedi, che denti, che capelli».
confiteor «lo ammetto», contrapposto al nego del v. 3: l’opposizione tra i due verbi è sottolineata
dall’asindeto con valore avversativo e dal parallelismo.
3 illud ‘formosa’: formosa è in nominativo perché resta estraneo alla struttura sintattica. Cf. resonent mihi
‘Cyntia’ silvae «I boschi mi ripetano: ‘Cinzia’».
venustas: «fascino»; contrapposto alla forma, la bellezza puramente fisica, è il fascino che nasce
dall’intelligenza e dalla vivacità nei modi; una dote fondamentale nel raffinato circolo dei poetae novi.
4 nulla…. mica salis: nulla è ripetuto enfaticamente dal v. 3. Il sal indica qui la capacità di essere spiritosi
nel parlare; un’espressione simile è usata in senso diverso da Lucrezio 4,1162, dove l’innamorato accecato
dall’amore si rivolge così all’amata di bassa statura (pumilio): chariton mia, tota merum sal «una delle
Grazie, tutta puro sale».
tam magno corpore: in contrasto con la piccolezza della mica salis; l’antitesi non ha però la funzione di
svalutare il magnus corpus che era di per sé una qualità apprezzabile: cf. Prop. 2,2,5s.(a proposito di Cinzia)
fulua coma est longaeque manus et maxima toto / corpore «ha i capelli biondi, le mani affusolate, il corpo
grande in tutto il suo complesso»; l’imponenza era un tratto peculiare della bellezza femminile fin da Omero.
5 Lesbia formosa est: riprende con una forte contrapposizione, il v. 1.
cum … tum: correlazione «da una parte … dall’altra».
pulcherrima tota: la bellezza di Lesbia è comprende tutti i pregi fisici (tota), mentre Quinzia ne possiede
solo alcuni (singula).
6 omnibus una omnis (= omnes) : la collocazione di una tra omnibus e omnis (poliptoto) esalta l’antitesi.
Veneres: al plurale indica «le attrattive» e riprende il venustas alla fine del v. 3. Cf. anche Plaut. Stich. 278s.
Amoenitates omnium uenerum et uenustatum adfero «porto con me i vezzi di tutte le bellezze e le attrattive
dell’amore». La pointe finale è iperbolica.
Catull. 87
Nulla potest mulier tantum se dicere amatam
Nessuna donna può dire di essere stata amata tanto
uere, quantum a me Lesbia amata meast.
sinceramente, quanto è stata amata la mia Lesbia da me.
Nessuna fedeltà fu mai così grande in alcun patto,
nulla fides ullo fuit umquam in foedere tanta,
quanta si è mostrata nel tuo amore … da parte mia.
quanta in amore tuo ex parte reperta meast.
Il c. esprime la disillusione d’amore (come i carmina 72, 75 e 85); diversamente da quanto avviene nel c. 85 il
poeta non si concentra sul presente, ma sul passato: egli è amaramente consapevole di aver rispettato fino in
fondo il foedus e di aver dato prova di una fides unica, che non ha paragoni. Il carmen è caratterizzato da un lessico
assai semplice (Catullo impiega esperessioni della lingua quotidiana) a cui fa riscontro una struttura calibratissima:
l’epigramma è composto di due distici simmetrici; la simmetria è evidenziata dalla correlazione
(tantum/quantum…. tanta/quanta); ulteriori elementi strutturali sono 1) l’anafora (nulla … nulla); 2) l’epifora variata
(amata meast… reperta meast) 3) diagonalità dei lessemi appartenti al campo semantico dell’amore (amatam…
amata… amore).
Nulla potest mulier … dicere: princ.
quantum a me Lesbia amata meast: sub. comparativa
tantum se … amatam (esse) : sub. inf. ogg. 1° gr.
2°gr.
1 nulla… amatam: «nessuna donna può dire di essere stata amata», ma anche «può dirsi amata»; l’espressione
verbale, dal punto di vista della temporalità è ambigua: teoricamente potrebbe riferirsi sia al presente che al
passato. Tale ambiguità è tipica delle forme composte (o perifrastiche) del passivo, del tipo ianua clausa est, che
può significare sia «la porta è stata chiusa», che «la porta è (rimane) chiusa»: nel primo caso abbiamo un ‘perfetto
storico’, nel secondo un ‘perfetto presente’.
2 uere: «sinceramente», collegato sintatticamente a tantum; l’enjambement, collocandolo all’inizio del verso, mette
in risalto l’avverbio, che appartiene al campo semantico della fides.
a me…. amata mea est: si noti l’uso del possessivo, intensamente affettivo (anche quando Catullo sembra aver
rinunciato all’amore) e l’anafora (me… mea); non è necessario correggere mea es (Scaligero), supponendo che
Catullo si rivolga a Lesbia in 2a persona.
nulla fides ullo fuit umquam in foedere tanta: princ.
quanta in amore tuo reperta … est: sub. comp. 1° gr.
3 fides: come foedus è una parola chiave della poesia catulliana; si noti il gioco delle allitterazioni fides… fuit…
foedere / ullo … umquam, funzionale a sottolineare la solennità dell’affermazione; analogamente la perentorietà
dell’asserzione è evidenziata dall’insistenza sulle negazioni (anafora di nulla, ullo… umquam).
in … foedere: stato in l. figurato; in è integrato dalla maggior parte degli edd. (V ha solo foedere); l’integrazione, si
giustifica per il parallelismo con in amore tuo, ma sul piano grammaticale non sarebbe necessaria: nella lingua
poetica le preposizioni vengono spesso risparmiate (cf. c. 76,3 nec foedere nullo).
tanta… / quanta: i correlativi, rispettivamente in explicit e in incipit di verso sono ancora più enfatizzati che nel
verso precedente.
4 in amore tuo: ambiguo; di solito in latino l’agg. possessivo corriponde al gen. sogg. perciò l’espressione
dovrebbe significare «nell’amore che tu hai per me», mentre per dire «nell’amore che io ho per te» bisognerebbe
usare il gen. del pronome (in amore tui). Qui Catullo avrebbe potuto facilmente evitare l’ambiguità usando tui
(isoprosodico di tuo), perciò l’ambiguità è voluta; cf. il commento di Pascoli al v. 3 «pare che il poeta con
l’anafora e con l’asindeto voglia parlare della corrispondenza di Lesbia all’amor suo». Il vero significato di in amore
tuo è chiarito solo dal sintagma ex parte mea, che dissipa ogni dubbio sull’unilateralità dell’amore creando
l’aprosdoketon finale. Si noti anche la durezza della dieresi, tra preposizione (ex) e sostantivo (parte).
Catull. 88
Quid facit is, Gelli, qui cum matre atque sorore
prurit et abiectis peruigilat tunicis?
quid facit is, patruum qui non sinit esse maritum?
ecquid scis quantum suscipiat sceleris?
suscipit, o Gelli, quantum non ultima Tethys 5
nec genitor Nympharum abluit Oceanus:
nam nihil est quicquam sceleris, quo prodeat, ultra,
non si demisso se ipse uoret capite.
Che cosa fa, Gellio, uno che arde dal desiderio per la
madre e la sorella e passa le nottate senza niente
addosso? Che cosa fa uno che non lascia che lo zio
faccia il marito? Ma lo sai che delitto si assume su di sé?
Si assume un delitto, o Gellio, che neppure la più
lontana Teti, né Oceano padre delle Ninfe può lavare:
infatti non c’è un delitto col quale riesca ad andare oltre
questo,neppure se abbassando la testa, se lo succhiasse
da solo.
Altro carme del ciclo di Gellio (74, 80, 88, 89, 90, 91, 116), cui – come si è visto – vengono rinfacciati oltre
all’adulterio con la moglie dello zio, l’incesto con la madre e la sorella, ed altri vizi. Nessuna diviinità potrà
liberarlo da tali colpe. La struttura è bipartita e marcata dalla ripetizione di suscipiat /suscipit: e di quantum …
quantum (vv. 4,5) l’epigramma si divide in domanda (1-4, con anafora di quid facit is, vv. 1,3) e risposta (5-8)
1. mater: probabilmente la matrigna, se è vera la identificazione con L. Gellio Publicola, ricordato da Valerio
Massimo per l’adulterio con la matrigna.
2. prurit: prurio ‘prudere’, quindi ‘smaniare’, qui in senso erotico: ‘provare eccitazione’, ‘provare desiderio’, in
16,9 quod pruriat incitare possunt “riescono a solleticare il sesso”, Mart. 9,90,8.
abiectis … tunicis: (abl. assoluto da abicio, -is, abieci, abiectum, -ere), cf. Apul. met. 3,20 omnibus abiectis
amiculis … intecti atque nudati bacchamur in Venerem. «gettati via i vestiti … liberi e nudi folleggiamo con
Venere».
peruigilat: gr. pannuc…zei di Aristofane, cf. Plaut. Curc. 181 PA. Quid tu? Veneri n' peruigilare te uouisti,
Phaedrome?«Ma come? Non hai fatto voto di vegliare per Venere, Fedromo?»
3. patruum non sinit esse maritum: cf. 74.
4. ecquid: come numquid funge da particella interrogativa (Traina-Bertotti § 248 n. 3), soprattutto in lingua
d’uso.
quantum sceleris: con genitivo partitivo. Si noti l’uso di QUANTO in latino:
Davanti ad agg. e avv. Quam: Quam suaue est!; verbi quam, quantum (quantopere): Quam te amo!; verbi
di stima, prezzo quanti: Non quantum quisque prosit, sed quanti quisque est ponderandum est; verbi di
superiorità quanto: Satis docuisse uideor hominis natura quanto omnes anteiret animantes; comparativi
quanto, quo: Quo difficilius, eo praeclarius; sostantivi sing. quantus = quanto grande: O quanta species
(quanta bellezza) oppure quantum, quid + gen. part.: Quid caelati argenti, ... quid marmoris apud illum
putatis esse?; sost. plur. quot, quam multi: Quam multa quam paucis! (=quante cose con poche [mentre
quanti = quanto grandi]); quantum, quid + gen.; in propos. interr. con il senso di quanto pochi,
quotusquisque, Quantoquisque accusator uacat a culpa?; con il senso di quanto tempo, quam diu; con il
senso di quanto spazio, quam longe Quam longe est hin in saltum Gallicanum?; con il senso di per quanto
so, quanto potrò, quod sciam, quod poteroQuod litteris exstet (= a quanto risulta dalla tradizione scritta)
suscipiat: cong. della interrogativa indiretta secondo la cons. temp.
5. non ultima Tethys ….: iperbole. Teti è metonimia ad indicare il mare. La coppia Teti – Oceano è già
omerica (Il.14,201). Ultima indica l’estremità più lontana (Sen. Med. 379 ultima Thule, in Catull. 29,4 ultima
Britannia).
6. abluit: per l’idea (già tragica) di purificazione dell’acqua del mare, cf. Lucr. 6,1077 non, mare si totum velit
eluere omnibus undis, «neanche se l’intero mare volesse detergerla con tutte le onde» Sen. (?) Herc. fur. 1326
licet … tota Tethys per meas currat manus, haerebit altum facinus, «anche se Tetide (= il mare) tutta scorresse
per le mie mani, rimarrà, profondo, il delitto».
7. nihil quicquam: pleonasmo della lingua d’uso.
quo prodeat: relativa consecutiva.
8. si … voret: protasi eventuale. Si noti che irrumare è verbo riferito a Gellio in 74,5 come mezzo per zittire lo
zio.
Catull. 89
Gellius est tenuis: quid ni? cui tam bona mater
tamque ualens uiuat tamque uenusta soror
tamque bonus patruus tamque omnia plena puellis
cognatis, quare is desinat esse macer?
qui ut nihil attingat, nisi quod fas tangere non est, 5
quantumuis quare fit macer inuenies.
Gellio è magro. Perché non dovrebbe esserlo? Uno che
viva con una madre così florida e con una sorella così
attraente. E con uno zio così generoso, e tutta la casa
piena di ragazze apparentate, perché questii dovrebbe
cessare di essere magro? Uno che, quand’anche non
toccasse nulla, se non ciò che nonè lecito toccare,
troverai motivi quanto vuoi perché sia magro.
fit V : sit g edd. plerr. Continua il ciclo di Gellio (v. 88).
1. tenuis: cf. macer vv. 4,6, ‘emaciato’.
quid ni?: cf. la nota a 79,1. Con il congiuntivo dubitativo, quidni afferma che qualcosa è o avviene, quid ni
<sit> equivale a “perché non dovrebbe esserlo”, “naturalmente lo è”. L’avvio è simile a quello del c. 79, Lesbius
est pulcher. quid ni? quem Lesbia malit / quam te cum tota gente, Catulle, tua, “Lesbio è un bell’uomo: come
no? Lui Lesbia preferisce a te, o Catullo, e a tutta la tua famiglia”, ma qui cui introduce una relativa (con
sfumatura consecutiva, e quindi al cong.) dipendente dalla interr. diretta quare is desinat, v. 4.
bona: gioco sul doppio senso, morale ed estetico: l’agg. è ripreso scherzosamente per il patruus, v. 3.
tamque ualens uiuat … tamque uenusta: si noti l’insistita allitterazione che coinvolge i due aggettivi della
mater e della soror e il verbo iconicamente al centro.
2. ualens: ‘gagliarda’, ‘florida’, cf. 66,234 ualentem exercete iuuentam.
3. omnia plena … puellis: costrutto frequente, ma non con l’ablativo.
4. puellis / cognatis: (in enjambement) sarebbero le consanguinee, in realtà qui si tratterebbe di adfines,
comprendendo matrigna e zia.
desinat: cong. dubitativo (v. a 79,1).
5. ut nihil attingat: concessive introdotta dall’ut: per i costrutti delle concessive vedi n. a 72,5.
fas non est: si tratta di un incesto nefarium, contro il volere divino: si veda la iunctura del c. 90,1s. matris
nefando / coniugio.
fit: è il testo di V: alcuni editori (Kroll, Lenchantin, Mynors, Eisenhut) accolgono sit del cod. g, preferibile come
ripresa in Ringkomposition di est tenuis del v.1.
Catull. 90
Nascatur magus ex Gelli matrisque nefando
coniugio et discat Persicum aruspicium:
nam magus ex matre et nato gignatur oportet,
si uera est Persarum impia re#ligio,
gratus ut accepto ueneretur carmine diuos 5
omentum in flamma pingue lique#faciens.
Possa nascere un mago dall’empia unione di Gellio e
della madre, e imparare l’aruspicina persiana:
infatti un mago deve nascere da madre e figlio,
se è vera l’empia superstizione dei Persiani,
che, con preghiera accetta, grato veneri gli dei
sciogliendo sulla fiamma le grasse interiora.
Continua il ciclo di Gellio (v. 88). Come ricorda Kroll (ad u. 1), questa tradizione per cui i maghi nascevano dagli
incesti risale allo storico greco Xanto (V a. C.), ed è documentata tra gli altri da Diogene Laerzio 1,7 e Strab.
15,785.
1s. nascatur: cong. desiderativo (ottativo) realizzabile nel presente.
Il congiuntivo ottativo (desiderativo) è un congiuntivo di tipo volitivo (negazione ne), si usa per esprimere un
augurio o un desiderio, ovvero il rimpianto che qualcosa non avvenga o non sia avvenuto. È spesso
accompagnato dalla particella utinam "magari, volesse il cielo che". Esistono 4 possibilità:
A) Desiderio realizzabile: 1) nel presente: = cong. presente ( Es. utinam redeas!, "oh, se tu tornassi", e
potresti tornare); 2) nel passato: = cong. perfetto (Es. utinam redieris!, "oh, se tu fossi tornato!, io non lo so,
ma potresti essere tornato); B) Desiderio irrealizzabile 3) nel presente: = cong. imperfetto (Es. utinam
redires!, "oh, se tu tornassi!", ma so che non puoi tornare); 4) nel passato: = cong. piucheperfetto (Es. utinam
redisses!, "oh, se tu fossi tornato!", ma non sei tornato).
nefando / coniugio: cf. Cic. Catil. 4,13 in hoc scelere tam immani ac nefando. La nota di Kroll e quindi di
Lenchantin per cui coniugium è detto anche di unioni illegittime, con riferimento a Verg. Aen. 4,172 va
riconsiderata sulla base del testo virgiliano: nec iam furtiuom Dido meditatur amorem; / coniugium uocat; hoc
praetexit nomine culpam., né Didone pensa ad un amore segreto: lo chiama matrimonio e con tale nome vela la
colpa; Didone consideraeffettivamente il suo rapporto con Enea come unione matrimoniale, anche se non lo era
da un punto di vista giuridico: si veda la nota di Pease 1935, 210s. Qui è voluta la scelta del termine tecnico del
matrimonio, per sottolinearne la empietà.
3. oportet: regge una sostantiva al cong. (per lo più, come qui, senza ut) per la differenza tra licet (giuridico) ed
oportet (etico) cf. Sen. Contr. 1,4,6 Latro hac usus est diuisione: an licuerit filio tunc uindicare; an
oportuerit; an, si licuit et oportuit, ignoscendum sit illi si non potuit indulgentia repugnante. «Latrone si è
avvalso di questa distinzione : se al figlio sia stato lecito compiere allora la vendetta ; oppure se sia stato
opportuno ; oppure, nel caso in cui sia stato lecito e opportuno, se lo si debba perdonare, se non ha potuto
(compiere la vendetta) perché la sua indulgenza glielo impediva»
4. si uera est: protasi di PII della realtà (cf. oportet apodosi).
5. gratus: correzione di L. Müller, V ha gnatus; qui gratus sembra sigificare «caro (agli dei)». Accepto vaticino:
«con preghiera accetta»: cf. Lenchantin, per cui «dalla madre e dal figlio deve nascere un figlio per poter invocare
gli dei con preghiera accetta».
6. omentum: omenta sunt membranae quae exta continent, come recita uno scolio a Pers. 2,47.
lique#faciens: Catullo mantiene qui per ragioni metriche la quantità originaria dell’avverbio che compone la
prima parte del giustapposto. Su composti e giustapposti di facio, v. Traina-Bernardi Perini, 96s.
Catull. 91
non ideo, Gelli, sperabam te mihi fidum
in misero hoc nostro, hoc perdito amore fore,
quod te cognossem bene constantemve putarem
aut posse a turpi mentem inhibere probro;
sed neque quod matrem nec germanam esse videbam 5
hanc tibi, cuius me magnus edebat amor.
et quamvis tecum multo coniungerer usu,
non satis id causae credideram esse tibi.
tu satis id duxti: tantum tibi gaudium in omni
culpa est, in quacumque est aliquid sceleris.
10
non per questo, o Gellio, io speravo che tu mi saresti
stato fedele, in questo mio infelice, in questo mio
disperato amore, non perché ti conoscessi bene, e ti
credessi costante o che potessi tenere il tuo animo
lontano da una vergognosa infamia; ma perché vedevo
che questa per la quale mi divorava un grande amore,
non ti era né madre né sorella. E per quanto fossi unito
a te dalla molta dimestichezza, non avevo creduto che
questo fosse motivo sufficiente per te. Ma tu lo hai
considerato sufficiente. Così grande è per te la gioia in
ogni colpa, in cui ci sia un po’ di empietà
Nuovo attacco a Gellio, non in tono sarcastico, ma angosciato: Gellio, normalmente impegnato nell’incesto con
la madre e la sorella, ha sottratto Lesbia a Catullo, solo per la gioia di commettere un’azione disonesta.
vv. 1-6
non … sperabam: princ.
aut posse … inhibere: sub. 2° gr. inf. ogg.
te … fidum… fore: sub. 1° gr. inf. ogg.
sed … quod… videbam: coord. alla caus.
quod te non nossem bene: sub. caus. 1° gr.
neque matrem nec germanam esse hanc: inf. ogg. 2°gr.
constantemve putarem: coord. alla caus.
cuius me … edebat amor: sub. rel. 3° gr.
1 Ideo: anaforico rispetto a quod.
2 perdito: «disperato» da pereo, nel senso di «essere perdutamente innamorato»; fore = futurum esse.
3 (non) quod te cognossem: causale con il cong. ad indicare la soggettività della causa pensata ma non reale. Putarem
regge sia il doppio accusativo te (oggetto) …. constantem (predicativo dell’ogg.), sia l’infinitiva ogg. psse inhiberi.
4 probrum, indica un’infamia di ogni genere: qui il tradimento in amore.
5 neque quod: anastrofe; quod videbam: causale con l’ind. ad indicare la causa oggettiva. Matrem… germanam: per gli
incesti di Gellio, cf. supra, c. 74, 88, 89.
6 hanc: messo in rilievo dall’enjambement, il dimostrativo indica Lesbia. edebat: cf. c. 35,15 ignes interiorem edunt
medullam «una fiamma d’amore le consuma il profondo del cuore».
7 quamvis: introdice una sub. concessiva. usu è la « consuetudine nei rapporti».
8 satis causae: genitivo partitivo.
9-10 culpa … scelus: cf. Lenchantin: «culpa è il peccato che può essere veniale. Scelus è azione empia con cui si
vien meno alla pietas». Per l’opposizione tra i due temini, cf. Ovidio, trist. 5,4,18 conscius in culpa non scelus esse sua
«conscio che nella sua colpa non c’è intenzione criminosa».
Catull. 92
Lesbia mi dicit semper male nec tacet umquam
Lesbia parla sempre male di me, e non la smette mai di
de me: Lesbia me dispeream nisi amat.
sparlare di me: possa morire se Lesbia non mi ama. Che
quo signo? quia sunt totidem mea: deprecor illam
indizi ne ho? Perché sono i miei stessi: la maledico
assidue, verum dispeream nisi amo.
continuamente, ma possa morire, se non la amo.
Variazione sul tema del c. 83.
1 Dicit… male: tmesi per maledicit. Nec tacet umquam litote «non tace mai» = «parla sempre».
2 dispeream: cong. ottativo «possa morire», apodosi del I tipo; la protasi è: nisi amat. Questa forma augurale
è piuttosto frequente: cf. Catalepton 4,3 dispeream si te fuerit mihi carior alter «che io possa morire se un
altro mi fu più caro di te» e 7,2 dispeream nisi me perdidit iste pothos «che possa morire se questo amore
non mi ha portato alla rovina».
3 quo signo? interrogativa ellittica del verbo. Totidem propriamente: «altrettanti». Deprecor: Gell. 7,16,2
giudica venustissimi questi versi catulliani notando l’uso di deprecor (di norma «scongiuro», «imploro»)
come sinonimo di detestor, execror, ecc.
Catull. 93
Nil nimium studeo, Caesar, tibi uelle placere,
Non mi sforzo molto, Cesare, di volerti piacere,
nec scire utrum sis albus an ater homo.
né di sapere se sei bianco o nero.
Sappiamo da Quintiliano (inst. 11,1,38) che Cesare, più di una volta bersagliato da Catullo (cf. c. 29 e 57)
aveva cercato di riconciliarsi con il poeta. Il distico esprime la risposta negativa di Catullo, che ricorrendo a
una espressione proverbiale manifesta la sua completa indifferenza per il politico. Secondo Svetonio (Iul.
73), Cesare non si preoccupò della cosa: invitò Catullo a cena e continuò a servirsi dell’ospitalità del padre
del poeta.
1 Nil = non; nil nimium, lett. «non molto»; studeo, indica il «darsi da fare».
2 scire: dipende da studeo; utrum … an: interrogativa disgiuntiva. L’espressione è proverbiale per indicare
l’indifferenza verso qualcuno: cf. Cic. Phil. 2,41 vide quam te amarit is, qui albus an ater fuerit ignoras
«vedi quanto ti amò colui che non sai se sia bianco o nero» e Apul. apol. 16 albus an ater esses ignoraui et
adhuc <h>ercle non satis noui «non ho mai saputo se fossi bianco o nero e ancora adesso non lo so bene».
Catull. 94
Mentula moechatur. 'moechatur mentula?' certe.
'hoc est quod dicunt: ipsa olera olla legit.'
Minchia va a donne. Va a donne, Minchia? Ma certo!. È
quel che si dice: «la pentola si sceglie da sola i legumi (da
cuocere)».
Sulla base di Catull. 29,13 (diffututa mentula «minchia smidollata») si pensa che Mentula («Minchia») sia un
criptonimo osceno per Mamurra, un cavaliere romano che si era arricchito partecipando alla guerra gallica al
seguito di Cesare; l’ostilità di Catullo per questo personaggio è notata anche da Plinio il Vecchio, nat.36,48.
hic namque est Mamurra Catulli Veroniensis carminibus proscissus «questo è Mamurra, fatto a pezzi dai
carmi di Catullo di Verona». Quanto al criptonimo osceno, Catullo ha un antecedente nel lirico greco
Archiloco (fr. 127 Tarditi) che aveva indirizzato un epiteto analogo (MÚkloj; mÚkhj = mentula) a un auleta.
1 si noti il chiasmo: sogg.-verbo / verbo-sogg. Mentula e moechatur sono uniti anche da allitterazione e
isosillabismo. Moechor «vado a donne», è denominativo di moechus, «donnaiolo».
2 hoc est quod dicunt, propr. «questo è quel che si dice», con riferimento a un’espressione proverbiale
(Fedeli «lo dice anche il proverbio»); ipsa olera olla legit; Catullo intende dire che non c’è da stupirsi se
Mentula «va a donne», perché, come dice il proverbio, «la pentola sceglie da sola i legumi da cuocere»;
Fedeli traduce liberamente «chi s’assomiglia si piglia». Ipsa, attr.di olla; Olla è un volgarismo per aula.
Catull. 95
Zmyrna mei Cinnae, nonam post denique messem
quam coepta est nonamque edita post hiemem,
milia cum interea quingenta Hortensius uno
***
Zmyrna cavas Satrachi penitus mittetur ad undas, 5
Zmyrnam cana diu saecula pervolvent.
at Volusi annales Paduam morientur ad ipsam
et laxas scombris saepe dabunt tunicas.
parva mei mihi sint cordi monumenta <sodalis>,
at populus tumido gaudeat Antimacho.
10
La Smirna del mio Cinna, dopo nove estati e nove inverni
da che ebbe inizio, finalmente ha visto la luce,
mentre nel frattempo Ortensio cinquecento in un solo
***
La Smirna giungerà fin dentro alle acque profonde del
Satraco, le generazioni future, ormai canute, continueranno
a lungo a srotolarne il volume. Ma gli Annali di Volusio
moriranno sulla riva stessa del Po e forniranno spesso
ampi cartocci per gli sgombri.
Al mio cuore siano cari i piccoli capolavori del mio amico
la plebe invece si goda pure il tronfio Antimaco.
Il carme è un elogio della Zmyrna di Cinna, un poemetto per noi perduto, considerato un vero e proprio
manifesto della poesia neoterica. Lodando l’opera dell’amico Catullo espone anche i precetti fondamentali della
poetica neoterica: il labor limae, la perfezione formale (la gestazione della Zmyrna è durata nove anni); la brevitas
(evidente nella contrapposizione tra i parva monimenta dell’amico e i voluminosi Annales di Volusio); la doctrina: la
Zmyrna era un epillio: vi si narravano le vicende di Smirna o Mirra, che, presa da passione incestuosa per il padre
Cinira, re di Cipro, generò da questo amore il bellissimo Adone. Si tratta di un mito raro, adatto al gusto
neoterico (Ovidio racconterà la vicenda in Met. 10,298ss.). Convenzionale è poi la polemica contro gli autori di
epica, a cui va la preferenza del grande pubblico; in contrapposizione alla poesia ‘popolare’ tradizionale i neoterici
rivendicano una poesia tenuis dotta e raffinata destinata a un pubblico ristretto e quasi orgogliosa del mancato
apprezzamento da parte dei più.
1 Zmyrna: il nome della protagonista dell’epillio è ripetuto tre volte in posizione di grande rilievo (si noti l’anafora
con poliptoto ai vv. 5 e 6). Anche la scelta della grafia Zmyrna (al posto di Smirna) è segno di raffinatezza: le
lettere greche z e y, originariamente estranee all’alfabeto latino dovevano risultare esotiche. Mei: possessivo
affettivo: Cinna è definito in c. 10,29 meus sodalis, cf. anche infra, c. 113. messem: metonimia per aestatem.
2 edita (est) «è stata pubblicata».
3 cum interea «mentre nel frattempo», per questo valore di cum, cf. supra. Hortensius: Catullo allude forse agli Annali
di Quinto Ortensio Ortalo, amico e rivale di Cicerone e imitatore di Ennio.
4 Il verso è lacunoso, ma il senso è abbastanza chiaro: tra i tanti, Pascoli proponeva <aut plura anno se scribere
posse putat> ossia «Ortensio <pensa si poterne scrivere> cinquecentomila <o più in un solo anno>.
5 cavas: rif. alle onde, cf. Verg. geor. 1,326 e 4, 427 caua flumina. Satrachi: il Satraco era un fiume dell’isola di Cipro
dove si svolgeva la Zmyrna; non solo la fama dell’opera arriverà lontano, ma giungerà proprio nei luoghi in cui
l’epillio era ambientato.
6 pervolvent: quadrisillabo, la seconda v è una vocale.
7 Volusi: Volusio: autore di un poema epico di stampo tradizionale sullo stile di Ennio, già preso di mira dal
poeta in c. 36,1 (Annales Volusi, cacata carta) Paduam: secondo Polibio Padóa era uno dei rami del Po vicino alla
foce (da qui il nome popolare della città di Padua, accanto al normale Patavium). La fama degli annali di Volusio
non andrà oltre il fiume della sua città: si noti il valore oppositivo di ipsam.
8 laxas… tunicas: «ampi cartocci»: i cartocci sono ampi perché Volusio ha imbrattato molta carta. Scombris gli
sgombri sono pesci di poco pregio.
9 parva… monumenta: il monumentum è qualcosa destinato a durare nel tempo. Mihi sint cordi doppio dativo, cf. c.
81,5.
10 At populus: in posizione incipitaria segna una forte contrapposizione con mihi nel v. precedente; populus ha qui
un’evidente connotazione negativa; il poeta Antimaco di Colofone (IV a.C.), autore di un lungo poema epico (la
Tebaide), era stato bersaglio delle polemiche di Callimaco, che aveva definito la sua opera pacÝ gr£mma
«opera gonfia», il tumidus di Catullo sembra echeggiare il pacÚj callimacheo.
Catull. 96
Si quicquam mutis gratum acceptumve sepulcris
accidere a nostro, Calve, dolore potest,
quo desiderio veteres renovamus amores
atque olim missas flemus amicitias,
certe non tanto mors immatura dolori est 5
Quintiliae, quantum gaudet amore tuo.
Se qualcosa può giungere accetto e gradito ai muti
sepolcri, Calvo, dal nostro dolore, dalla nostalgia con cui
rinnoviamo gli affetti di un tempo e piangiamo i sentimenti
perduti, allora Quintilia non prova tanto dolore per la
morte immatura, quanta gioia per il tuo amore.
(trad. P. Fedeli)
Carme consolatorio per Licinio Calvo, oratore e poeta neoterico legato a Catullo da profonda amicizia (cf.
cc. 14, 50 e 53). Egli aveva pianto la morte dell’amata Quintilia in un’elegia o in una raccolta di elegie per
noi quasi integralmente (ne parla Properzio 2,34,89s.); da un frammento rimasto (fr. 16 Morel) forsitan hoc
etiam gaudet ipsa cinis «forse di ciò potrebbe gioire la stessa cenere», capiamo che Catullo deve aver tenuto
presente l’elegia dell’amico.
2 mutis… sepulcris, cf. c. 101,5 mutam.. cinerem; gratum acceptumve dittologia sinonimica, indica
l’accoglienza benevola delle offerte rituali; la particella enclitica –ve non ha qui valore disgiuntivo ma
copulativo, come nell’uso arcaico.
3 quo desiderio, attrazione del relativo, per desiderio quo «dalla nostalgia (desiderium) con cui». veteres
amores: propriamente «gli antichi affetti».
4 olim missas … amicitias: propr. «gli affetti da tempo perduti», cf. veteres al v. 3. Si noti il parallelismo
con il v. 3 veteres(A) renovamus (B) amores (C) /missas (A) flemus(B) amicitias(C).
5 tanto … quantum: variatio nella correlazione: tanto è attributo di dolori, mentre quantum è avv. e
determina gaudet. Mors… tanto dolori est Quintiliae: lett. «la morte causa tanto dolore (= è di tanto dolore) a
Quintilia», con il doppio dativo di svantaggio (Quintiliae) e di effetto (dolori).
6 gaudet: verbo semideponente (gaudeo, -es, gavisus sum, -ere) costruito con l’ablativo (amore tuo), il sogg.
è Quintilia; è lo stesso verbo usato nel frammento di Calvo.
Catull. 97
Non (ita me di ament) quicquam referre putavi,
utrumne os an culum olfacerem Aemilio.
nilo mundius hoc, nihiloque immundius illud,
verum etiam culus mundior et melior:
nam sine dentibus est. os dentes sesquipedales, 5
gingivas vero ploxeni habet veteris,
praeterea rictum qualem diffissus in aestu
meientis mulae cunnus habere solet.
hic futuit multas et se facit esse venustum,
et non pistrino traditur atque asino?
10
quem siqua attingit, non illam posse putamus
aegroti culum lingere carnificis?
Non ho mai creduto (gli dei non si offendano) che facesse
differenza annusare la bocca o il culo di Emilio.
L’una (la bocca) non è più pulita, né l’altro (il culo) è più
sporco, ma anzi il culo è più pulito e migliore:
infatti è senza denti. La bocca invece ha denti enormi e
gengive simili ai sedili di un vecchio carro;
inoltre ha la faccia come la vulva sgangherata di una mula
in calore, mentre piscia.
Ma ha avuto molte donne e si considera bello, ma perché
non lo si consegna al mulino con gli asini?
Se una donna lo tocca, non pensiamo forse che sarebbe
capace di leccare il culo di un boia malato?
Invettiva sarcastica. Catullo si accanisce contro i difetti fisici di un certo Emilio, forse un suo rivale, a noi
sconosciuto.
Non … putavi: princ.
(ita me di ament): parentetica
quicquam referre: sub. inf. ogg. 1°gr.
utrumne os…. olefacerem: sub. 2°gr. interr. ind.
1 ita di me ament: propr. «gli dei mi amino», formula d’uso (Fedeli traduce «quant’è vero dio»). Quicquam
referre lett. «che facesse qualche differenza», si noti l’uso dell’indefinito della frase negativa quicquam.
2 utrumne… an: particelle disgiuntive (i termini disgiunti sono os e culus).
3 hoc… illud: propr. «questa cosa (cioè la bocca) … quella (cioè il culo)»; hoc si riferisce al nome più
lontano, illud al più vicino. Nilo e nihilo (= non) si equivalgono, sono forme ablativali di avverbio, comuni
con i comparativi (mundius… immundius).
6 ploxeni veteris genitivo di qualità «(gengive) di/da vecchio carro»; ploxenum per indicare il carro era un
vocabolo usato nella Gallia Padana; Catullo vuol dire che le gengive di Emilio sono simili ai sedili (così
intende Fedeli) o alle sponde (così Della Corte) di un vecchio carretto.
7 rictum… solet; costruisci: (Aemilius) solet habere rictum qualem (habet) cunnus diffissus mulae meientis
in aestu. Paragone degradante.
9 futuit, vedi supra, c. 71,5; facit equivale qui a putat e regge la sub. ogg. se… esse venustum; su venustus,
cf. supra, c. 86.
10 asino: duplice l’interpetazione: 1) asinus sarebbe un grecismo (calco del gr. Ônoj), che indica una pietra
usata per formare la macina del mulino (quindi per metonimia, la macina stessa); in questo caso
l’interpretazione sarebbe «non lo si consegna al mulino (pistrino) e alla macina (asino)?». 2) la coppia
pistrino … atque asino sarebbe un’endiadi, equivalente a pistrini asino: propr. «non lo si consegna all’asino
del mulino?» Emilio viene trattato come uno schiavo e mandato a lavorare assieme agli asini che fanno
girare la macina del mulino (interpretazione qui accettata).
11 quem: nesso relativo (= et eum); siqua (= si qua mulier): indefinito della sub. suppositiva; si … attigit è
una protasi del primo tipo (apodosi interrogativa: non… putamus?).
Catull. 98
In te, si in quemquam, dici pote, putide Victi,
id quod verbosis dicitur et fatuis.
ista cum lingua, si usus veniat tibi, possis
culos et crepidas lingere carpatinas.
si nos omnino vis omnes perdere, Victi, 5
hiscas: omnino quod cupis efficies.
Contro di te si può dire, Vittio, più che contro chiunque
altro, quel che si dice dei chiacchieroni vanesi.
Con questa tua lingua, se te ne venisse la necessità, potrsti
leccare culi e scarponi di cuoio.
Ma se davvero, Vittio, vuoi distruggerci tutti,
apri la bocca: otterrai di colpo l’effetto desiderato.
Invettiva contro un personaggio sconosciuto, che doveva essere noto per parlare continuamente a sproposito.
I codd. hanno Victi, vocativo di Victius qui conservato; alcuni editori accettano la correzione dello Statius in
Vectius (Vezio), secondo un’onomastica diffusa al tempo di Catullo.
1 in te «contro di te»; Si in quemquam (dici pote est): «se mai (lo si può dire) contro qualcuno», per locuzioni
simili, cf. 71,1. pote (sott. est) : cf. supra, c. 72,7.
2 verbosis et fatuis lett. «chiacchieroni e vanesi», ma si tratta di un’endiadi.
3 ista cum lingua (= cum ista lingua), uso arcaico di cum con valore strumentale (qui esprime il c. di mezzo,
non di modo). si… venias: protasi del II tipo, dipende dall’apodosi possis.
4 crepidas: sono i «calzari dei soldati» carpatinas «di cuoio» (dal gr. karp£tinon).
5 si… vis: protasi del I tipo (l’apodosi è hiscas); perdere propr. «mandare in rovina».
6 hiscas: «apri la bocca», cong. esortativo; quod cupis efficies lett: «farai ciò che desideri», con prolessi della
relativa. Fedeli inteprete «Con quella lingua che ha, basterebbe che aprisse bocca per eliminare tutti di
colpo».
Catull. 99
Surripui tibi, dum ludis, mellite Iuventi,
saviolum dulci dulcius ambrosia.
verum id non impune tuli: namque amplius horam
suffixum in summa me memini esse cruce,
dum tibi me purgo nec possum fletibus ullis 5
tantillum vestrae demere saevitiae.
nam simul id factum est, multis diluta labella
guttis abstersisti mollibus articulis,
ne quicquam nostro contractum ex ore maneret,
tamquam commictae spurca saliva lupae. 10
praeterea infesto miserum me tradere amori
non cessasti omnique excruciare modo,
ut mi ex ambrosia mutatum iam foret illud
saviolum tristi tristius elleboro.
quam quoniam poenam misero proponis amori, 15
numquam iam posthac basia surripiam.
Ti ho rubato, mentre scherzavi, soave Giovenzio,
un bacetto più dolce della dolce ambrosia.
Ma l’ho pagato caro: infatti per più di un’ora
ricordo bene di essere stato inchiodato in cima a una croce,
mentre mi scusavo e non riuscivo, con tutte le mie lacrime,
a smussare minimamente la tua durezza.
Appena avvenne la cosa, ti sei ripulito con tutte le dita
le labbra, bagnate di tante gocce,
perché nulla restasse del contatto con la mia bocca,
come se si trattasse della sporca saliva di una puttana
sbattuta. Inoltre non hai smesso di dare me, infelice, in
preda all’amore ostile di tormentarmi in tutti i modi,
così che quel bacetto, dall’ambrosia che era, mi è diventato
più amaro dell’elleboro amaro.
Poiché al mio amore infelice infliggi questa pena,
d’ora in poi non ti ruberò più nessun bacio.
Carmen del ciclo di Giovenzio, cf. supra, c. 81.
1 dum ludis: temporale con dum = mentre, temporale di concomitanza (cf. supra, c. 71), come dum… purgo
al v. 5. Mellitus, «soave», propriamente «di miele», vezzeggiativo derivato da mel.
2 saviolum: «bacetto», usato solo da Catullo, e ripreso in seguito da Apuleio (met. 2,10 e 7,11).
3 non impune tuli: litote «non l’ho preso impunemente».
4 memini: regge l’infimitiva ogg. me suffixum esse; per l’immagine della croce, metafora del tormento
amoroso, cf. excruciare, al v. 12 e supra, c. 85.
6 tantillum demere vestrae (= tuae) saevitiae: lett. «sottrarre qualcosina alla tua crudeltà»
7-10
simul id factum est : sub. temp. 1° gr.
guttis abstersisti: princ.
ne quicquam … maneret: sub. 1° gr. finale.
tamquam (esset) spurca saliva lupae: sub. 1° gr. comp.
elittica del verbo
9 ne quicquam… contractum… maneret: lett. «perchè non restasse nulla contratto (che fosse stato contratto)
dalla nostra bocca».
13 ut … foret (= fuisset): sub. consecutiva.
14 saviolum tristi tristius elleboro: in evidente corrispondenza con il v. 2, di cui rovescia il significato.
15 quam (= et eam), nesso relativo.
Catull. 100
Caelius Aufillenum et Quintius Aufillenam
flos Veronensum depereunt iuvenum,
hic fratrem, ille sororem. hoc est, quod dicitur, illud
fraternum vere dulce sodalicium.
cui faveam potius? Caeli, tibi: nam tua nobis 5
perspecta ex igni est unica amicitia,
cum vesana meas torreret flamma medullas.
sis felix, Caeli, sis in amore potens.
Celio e Quizio, il fior fiore della gioventù di Verona
muoiono d’amore, il primo per Aufilleno, il secondo per
Aufillena; uno ama il fratello, l’altro la sorella. Questo è
quel che si dice un sodalizio fraterno veramente tenero.
Per chi dovrei parteggiare? Per te, Celio: infatti la tua
amicizia per me, unica al mondo è stata messa alla prova
del fuoco, quando una folle passione mi bruciava dentro.
Sii felice, Celio, sii fortunato in amore.
Ciclo di Aufillena (cf. c. 110 e 111): si tratta di una giovane donna veronese corteggiata da Catullo, a cui
viene preferito Quinzio (su cui, cf. supra, c. 82)
1 Caelius Aufillenum et Quintius Aufillenam : si noti la disposizione simmetria dei nomi, che riflette una situazione di
perfetta simmetria sentimentale (cf. v. 4 vere dulce sodalicium); osserva Fedeli «in apparenza la situazione è
smmetricamente perfetta … la realtà, però presenta una situazione asimmetrica, perché un amore è eterosessuale, l’altro
omosessuale».
2 flos … Veronensum … iuvenum, un’espressione simile per Giovenzio in c. 24,1 flos… Iuventiorum.
depereunt «muoiono d’amore».
3 hic (Celio) fratrem, ille (Quinzio) sororem, sott. deperit.
4 cui faveam potius? «chi dovrei favorire (più dell’altro)?», cong. dubitativo.
6 perspecta ex igni: propr. «esaminata alla prova del fuoco», cf. Cic. post. red. 23 ut amicitias igni
perspectas tuear «per difendere le amicizie messe alla prova del fuoco».
7 vesana … flamma propr. «il folle fuoco», rif. alla passione amorosa: le metafore della follia e del fuoco
sono comuni per indicare la passione amorosa; meas medullas propr. «le mie midolla».
8 potens «fortunato», indica chi ha la meglio in amore, cf. Orazio, carm. 4,1,17s. quandoque potentior / largi
muneribus riserit aemuli, «e quando, avendo avuto la meglio sui doni di un ricco rivale, lo avrà deriso».
Catull. 101
Multas per gentes et multa per aequora vectus
advenio has miseras, frater, ad inferias,
ut te postremo donarem munere mortis
et mutam nequiquam alloquerer cinerem,
quandoquidem fortuna mihi tete abstulit ipsum, 5
heu miser indigne frater adempte mihi.
nunc tamen interea haec, prisco quae more parentum
tradita sunt tristi munere ad inferias,
accipe fraterno multum manantia fletu,
atque in perpetuum, frater, ave atque vale! 10
Sbattuto per molti popoli e molti mari,
arrivo alla tua tomba infelice, fratello,
per donarti l’estremo dono di morte
e parlare invano alle tue ceneri mute.
Giacché la fortuna ti ha strappato a me, povero
fratello orribilmente strappato a me, adesso
accetta, triste omaggio tributato alla tomba,
secondo l’antico costume dei nostri avi,
queste offerte stillanti di pianto fraterno,
e per sempre, fratello, addio, addio! (trad. P. Fedeli)
Il fratello di Catullo era morto nella Troade (cf. 65,7; 68,91s.); è probabile che il poeta ne avesse visitato la
tomba durante il suo viaggio in oriente nel 57. Già ricordata nell’autobiografico carmen 68, la morte del
fratello è il tema di questo epigramma sepolcrale. Il modello è un epigramma funebre di Meleagro (A.P.7,
476).
1 multas… multa: il poliptoto sottolinea la lontananza del luogo di sepoltura, a cui il poeta giunge dopo un
lungo viaggio. Vectus: da veho propriamente «dopo aver viaggiato».
2 has miseras… ad inferias: anastrofe (= ad has miseras inferias); propriamente le inferiae sono le offerte
che si facevano sulla tomba. Frater: ripreso al v. 6 sempre nel secondo emistichio del pentametro.
3 ut.. donarem: sub. finale; dono è qui costruito con l’abl. strumentale della cosa (munere) e l’acc. della
persona (te) (costruzione alternativa: dono tibi munus). Notevole l’allitterazione in explicit: munere mortis.
4 mutam… cinerem: cf. c. 96; l’immagine della cenere muta, sfruttata anche da Calvo, si trovava già in
Antipatro di Sidone (A.P. 8,467,8 kwf¦….kon…j) e tornerà in Tibullo (2,6,34 et mea cum muto fata querar
cinere «e con le sue mute ceneri lamenterò il mio destino»), dove cinis è maschile, mentre è femminile in
Catullo e in Calvo. Nequiquam: il colloqui con il defunto è vano.
5 mihi tete: l’accostamento dei pronomi, separati dalla cesura semisettenaria, è funzionale al pathos.
6 indigne: propriamente «ingiustamente» esprime l’indignazione e l’orrore per la mors immatura; frater
adempte mihi: l’emistichio torna due volte nel c. 68, 20 o misero frater adempte mihi e 92 ei misero frater
adempte mihi.
7 interea: non significa «frattanto», ma «nell’attuale situazione», ossia «pur stando così le cose» (Fordyce).
Haec: deittico, come accompagnato da un gesto. Prisco more la stessa epressione è usata da Virgilio per i
funerali di Miseno (Aen. 6,223); parentum «degli avi» (non «dei genitori»).
8 ave atque vale: semplice formula di saluto, frequente nelle epigrafi, cf. anche Verg. Aen. 9, 97s. salve
aeternum mihi, maxime Palla, / aeternumque vale «addio per sempre, o grande Pallante, per sempre ti
saluto».
Catull. 102
Si quicquam tacito commissum est fido ab amico,
cuius sit penitus nota fides animi,
me aeque esse invenies illorum iure sacratum,
Corneli, et factum me esse puta Harpocraten.
Se mai qualcuno ha affidato un segreto a un amico fedele,
di cui conosce in profondo l’animo onesto,
questo è proprio il patto al quale mi troverai ligio,
Cornelio, e fa’ conto che mi sia trasformato in Arpocrate
(trad. P. Fedeli)
1 Si… amico: protasi del I tipo, propr. «se mai qualcosa è stato affidato a un amico silenzioso (= che sa
tenere un segreto) da un amico fidato», amico è riferito sia a fido che a tacito. Come altre volte in Catullo, si
parte da una situazione di carattere generale (vv. 1-2), per poi passare al caso particolare (vv. 3-4).
2 cuius… animi: lett. «di cui sia nota fino in fondo la fides animi»; animi è genitivo soggettivo (la fides
propria del suo animo, ovvero «l’animo onesto»).
3 me… esse… sacratum: inf. ogg. dipendente da invenies: «troverai che io sono ugualmente (aeque) legato
(sacratum) dal loro giuramento».
4 Corneli: il destinatario del carmen, ossia il fidus amicus che affida il suo segreto a Catullo è probabilmente
un Cornelio che fu tribuno della plebe nel 66. Harpocraten: cf. supra, c. 74,4.
Catull. 103
Aut, sodes, mihi redde decem sestertia, Silo,
deinde esto quamvis saevus et indomitus:
aut, si te nummi delectant, desine, quaeso,
leno esse atque idem saevus et indomitus.
O mi restituisci, se ce la fai, quei diecimila sesterzi, Silone,
e dopo sii pure quanto vuoi aspro e inflessibile:
o, se i soldi ti piacciono, smettila, per piacere,
di essere ruffiano e insieme aspro e inflessibile
Fedeli «Silone si rifiuta di restituire al poeta del denaro preso a prestito. Delle due l’una: o si decide a
restituirgli il denaro, continuando poi a esibire il suo carattere intrattabile, oppure, se il denaro gli sta tanto a
cuore, se lo tenga pure, ma la smetta di comportarsi come un lenone». Il lenone, personaggio tipico della
commedia, era il tenutario di bordello, generalmente rappresentato come crudele e avido.
1 sodes: = si audes, locuzione di uso comune.
2 quamvis = quantum vis («quanto vuoi»).
Catull. 104
Credis me potuisse meae maledicere vitae,
ambobus mihi quae carior est oculis?
non potui, nec, si possem, tam perdite amarem:
sed tu cum Tappone omnia monstra facis.
Credi che abbia potuto parlar male della mia vita,
che mi è più cara di tutti e due gli occhi?
Non avrei potuto e, se mi fosse possibile, non l’amerei
tanto perdutamente: ma tu e Tappone fai ogni genere di
enormità
«Rimane ambiguo se il carme sia rivolto (v. 4 tu) a Lesbia stessa o a un interlocutore. Nel primo caso
l’epigramma procede con la sprpresa ritardata all’ultimo verso, quando dalla terza si passa alla prima
persona».(Della Corte).
1 maledicere «parlar male di» + dat. (meae vitae)
2 carior.. oculis: per il paragone con gli occhi, cf. supra.
3 non potui: faso condizionale.
4 cum Tappone: l’identità del personaggio è ignota: Tappo può essere un nome proprio, o un nomignolo
attribuito da Catullo a un rivale: sembra che tappo fosse un personaggio della farsa dorica, caratterizzato dal
fatto di ammirare e trovare bella ogni cosa.
5 omnia monstra facis «commetti ogni genere di nefandezza», di carattere sessuale. Altri intendono
«ingrandisci, esageri ogni cosa, d’ogni fuscello fai una trave» (Pascoli): cf. Cic. Tusc. 4,24,54 monstra
dicere. In questo caso Tappone sarebbe un confidente di Lesbia.
Catull. 105
Mentula conatur Pipleum scandere montem:
Minchia tenta di scalare le vette del monte Pipleo:
Musae furcillis praecipitem eiciunt.
le Muse con le forche lo buttano giù.
1 Mentula: criptonimo di Mamurra (cf. c. 94, 114 e 115), definito eruditulus (57,7); evidentemente il
personaggio aspirava alla carriera poetica. Pipleum … montem: monte della Pieria sacro alle Muse.
2 furcillis «a colpi di forca», espressione proverbiale; praecipitem «a capofitto». Le Muse ostacolano la
scalata di Mamurra.
Catull. 106
Cum puero bello praeconem qui videt esse
quid credat nisi se vendere discupere?
Chi vede un banditore in compagnia di un bel ragazzo,
che può pensare, se non che il ragazzo ha voglia di
mettersi all’incanto? (Della Corte)
«Se si vede in giro un banditore insieme a un bel ragazzo, è legittimo pensare che ol ragazzo volgia mettersi
in vendita» (Fedeli). Non si sa chi sia il, praeco, ossia il banditore (Della Corte pensa che possa essere un
gioco di parole con un soprannome come Praeconius), bel ragazzo potrebbe essere il solito Giovenzio.
1 Cum puero bello: per bellus, cf. supra, c. 69,8.
2 quid credat: «cosa dovrebbe credere?», cong. dubitativo.
Catull. 107
Si quicquam cupidoque optantique obtigit umquam
Se a qualcuno succede qualcosa che desiderava ardenteinsperanti, hoc est gratum animo proprie.
mente senza sperarlo, questo fa davvero piacere al cuore.
quare hoc est gratum, nobisque est carius auro,
Perciò mi fa piacere, ed è per me più prezioso dell’oro, che
quod te restituis, Lesbia, mi cupido,
tu torni, Lesbia, da me che ti desidero; tu torni da me che ti
restituis cupido atque insperanti, ipsa refers te 5
desidero senza più sperare; torni, tu stessa, da me. O
nobis. o lucem candidiore nota!
giorno da ricordare tra tutti!
quis me uno vivit felicior, aut «magis hac est
Chi vive più felice di me? Chi potrà dire «c’è da desiderare
optandum vita» dicere quis poterit?
di più in questa vita»?
2. nobisque est Haupt: nobis quoque V 8. optandum Stat.: optandus V
Felicità di Catullo per la riconciliazione con Lesbia.
2 cupidoque optantique: lett. «(a me) che bramavo e desideravo», è un’endiadi; nobisque est, qui accolto, è
congettura dello Statius.
3 insperanti: in enjambement, si riferisce a mihi: lett. «a me che non lo speravo».
4 quod te restituis lett. «il fatto che tu ti restituisci», sub. sostantiva con il quod retta da hoc gratum est, in
funz. epesegetica. restituis torna in incipit del v. 5 ed è variato in refers nel secondo emistichio.
6 o lucem: acc. esclamativo. Candidiore nota, abl. di qualità, lett. «dal sassolino più candido»: si fa
riferimento all’uso di segnare con un sassolino bianco i giorni felici. Cf. Orazio, carm. 1,36,10 cressa ne
careat pulchra dies nota «il giorno bello non manchi della bianca creta (= di essere segnato con la creta
bianca)».
8 optandum: così legge Della Corte, correggendo optandus riportato dai codd. e impossibile da interpretare.
Catull. 108
Si, Comini, populi arbitrio tua cana senectus
spurcata impuris moribus intereat,
non equidem dubito quin primum inimica bonorum
lingua exsecta avido sit data vulturio,
effossos oculos voret atro gutture corvus,
intestina canes, cetera membra lupi.
Se la tua vecchiaia canuta, Cominio, contaminata da
impuri costumi, finisse per volere del popolo, io non
dubito che per prima cosa la lingua, nemica dei buoni,
tagliata, sarebbe data in pasto a un avido avvoltoio, un
corvo divorerebbe nella gola nera gli occhi cavati, i cani le
viscere, i lupi, le altre parti.
Carme di maledizione di un nemico personale, come l’Ibis di Ovidio (che a sua volta riprende l’Ibis di
Callimaco): Publio Cominio aveva per due volte intentato un’accusa contro il tribuno Gaio Cornelio, amico
di Catullo (cf. c. 102).
1-2 si … intereat: protasi del II tipo, l’apodosi è non dubito (peridodo ipotetico misto).
3-4 quin… sit dat, sub. sostantiva dipendente da non dubito. Sit data «sarebbe data», non «sarebbe stata
data», il perf. esprime l’azione compiuta indipendentemente dal rapporto di tempo, cf. supra 87,1.
Catull. 109
Iucundum, mea vita, mihi proponis amorem
hunc nostrum inter nos perpetuumque fore.
di magni, facite ut vere promittere possit,
atque id sincere dicat et ex animo,
ut liceat nobis tota perducere vita 5
Tu, vita mia, mi prometti un amore felice e che questo
nostro amore sarà per sempre.
Grandi dèi, fate che possa promettere veridicamente, e che
lo dica con sincerità e di tutto cuore, così che a noi sia
possibile serbare per tutta la vita questo eterno patto di
aeternum hoc sanctae foedus amicitiae.
giurata amicizia.
Carme indirizzato a Lesbia.
1 proponis: regge sia il c. ogg. (amorem), sia, in variatio, la sub. ogg. perpetuum fore.
3 ut… possit: sub. sostantiva ogg. retta da facite. Vere «sinceramente»
5 ut liceat: sub. consecutiva.
6 su foedus amicitiae e sanctus, cf. supra, c. 76.
Catull. 110
Aufillena, bonae semper laudantur amicae:
accipiunt pretium, quae facere instituunt.
tu, quod promisti, mihi quod mentita, inimica es,
quod nec das et fers saepe, facis facinus.
aut facere ingenuae est, aut non promisse pudicae, 5
Aufillena, fuit: sed data corripere
fraudando officiis plus quam meretricis avarae est,
quae sese toto corpore prostituit.
Aufillena, si lodano sempre le buone amiche; prendono
una ricompensa per le cose che si impegnano a fare.
Tu, dato che mi ha promesso, dato che mi hai mentito, mi
sei nemica; dato che non dai mai e prendi spesso, commetti
un delitto. È da donna di parola, mantenere; ovvero, è da
donna onesta non aver promesso: ma prendere quanto è
stato dato sottraendosi ai doveri, vuol dire comportarsi
peggio di una puttana ingorda che si è prostituita con tutto
il suo corpo.
Su Aufillena, cf. anche i cc. 100 e 111. Qui il poeta si lamenta perché la donna, che ha intascato dei soldi
promettendo di darsi a Catullo, non mantiene la promessa, scendendo cosi al livello di un’avida meretrice.
2 quae, acc. neutro plur. con antecedente sottointeso = eorum quae… instituunt «(la ricompensa) delle cose
che si impegnano a fare»; interpeta diversamente Della Corte, che riferisce quae ad amicae «quelle
(amiche) che sono disposte a fare (all’amore), intascano il prezzo convenuto».
3 quod promisti (= promisisti) quod mentita (es), inimica es: due causali coordinate seguite dalla reggente.
5 ingenuae (sott. mulieris) est : «è da donna di parola», gen. di pertinenza, come i successivi pudicae e
meretricis avarae (v. 7). Promisse = promisisse: una donna onesta non avrebbe neppure promesso.
6 data «le cose date», neutro plurale.
7 fraudando officiis lett. «con il mancare ai doveri», gerundio strumentale.
8 toto corpore: «con tutto il corpo», come la Crispa di Ausonio, Epigrammi 71,2 Crispa tamen cunctas
(veneres) exercet corpore in uno: / deglubit, fellat, molitur per utramque cauernam, / ne quid inexpertum
frustra moritura relinquat.
Catull. 111
Aufillena, viro contentam vivere solo
nuptarum laus est ex laudibus eximiis:
sed cuivis quamvis potius succumbere par est
quam matrem fratres ex patruo <parere>.
Aufillena, vivere contenta del solo marito è per le spose la
lode (più bella) tra tutte le lodi distinte:
ma è meglio concedersi a chiunque piuttosto che partorire
fratelli da uno zio paterno.
Il primo distico sviluppa il motivo topico della lode alla univira (la donna con un solo uomo), il secondo
distico rovescia a sorpresa la situazione (se l’uomo in questione è lo zio, la fedeltà diventa qualcosa di
mostruoso).
1 vivere contentam: vivo + aggettivo predicativo è espressione frequente in Catullo (cf. 8,10; 10,33; 107,7).
3 quamvis: sogg. in acc.della sub. sogg. dipendente da par est: lett. «è meglio che una (quamvis) si conceda a
chiunque». fratres: sono precisamente i fratres patrueles, ‘fratelli cugini’: non solo i rapporti legittimi tra zio
e nipote erano ritenuti incestuosi, ma anche il matrimonio.
Catull. 112
Multus homo es, Naso, neque tecum multus homo <est> Sei un pezzo d’uomo, Nasone, e non c’è pezzo d’uomo che
quin>]
non si accompagni a te. Nasone, sei un pezzo di culattone.
†descendit: Naso, multus es et pathicus.
(P. Fedeli)
Carme giocato sull’ambiguità: all’inizio multus può avere diversi significati, ma la pointe finale chiarisce
qual è quello giusto: «pur essendo un uomo grande e grosso, Nasone è un pederasta» (P. Fedeli). Nasone è a
noi sconosciuto.
1 Multus: il significato di questo aggettivo è duplice «grande e grosso» oppure «molto indaffarato». homo
est quin è congettura di Schwabe, accettata da Fedeli; quin = qui non introduce una relativa consecutiva;
altri leggono, con lo Scaligero homo est qui (in questo caso cambia il senso della sub. rel.: «non c’è … uomo
che si accompagni» anziché «non c’è uomo… che non si accompagni»).
2 descendit: anche qui si gioca sul doppio senso, che significa «discendo nel foro (per affari)», ma può anche
avere valore osceno (Schwabe lo rende esplicito correggendo in te scindat: «ti fotta»). Pathicus è
l’omosessuale passivo. La crux è dovuta al fatto che dopo quin sarebbe necessario il congiuntivo.
Catull. 113
Consule Pompeio primum duo, Cinna, solebant
Maeciliam: facto consule nunc iterum
manserunt duo, sed creverunt milia in unum
singula. fecundum semen adulterio.
Durante il primo consolato di Pompeo, solo due, Cinna,
frequentavano Mecilla; ora che è diventato console per la
seconda volta, i due sono rimasti, sono cresciuti di un
migliaio per uno. È fecondo il seme dell’adulterio.
Maecilia (o Moecilia) è diminutivo di Mucia: si tratta dunque della moglie di Pompeo (amica di ClodiaLesbia).
1 consule Pompeio: abl. assoluto senza participio. Cinna: è il destinatario, amico di Catullo (cf. cc. 10,30 e
95). Solebant (soleo, -es, solitus sum, -ere, semidep.): è un eufemismo, come in Plaut. Cist. 36 viris cum suis
praedicant nos solere «dicono che ce la intendiamo con i loro mariti».
2 facto consule (Pompeio): un altro abl. ass.
3 in unum equivale qui a in utrumque («per ciascuno»), è un volgarismo sintattico.
Catull. 114
Firmano saltu non falso Mentula dives
fertur, qui tot res in se habet egregias,
aucupium omne genus, pisces, prata, arva ferasque.
nequiquam: fructus sumptibus exsuperat.
quare concedo sit dives, dum omnia desint. 5
saltum laudemus, dum modo ipse egeat.
Giustamente Michia è detto ricco per il podere di Fermo,
che ha in sé tante cose eccezionali: uccelli di ogni genere,
pesci, prati, campi e selvaggina.
Inutilmente: con le spese supera il ricavato.
Pertanto ammetto che sia ricco, purché mi si conceda che
gli manca ogni cosa. Lodiamo pure il podere, purché sia
chiaro che lui è un miserabile.
Ancora un attacco contro Mamurra presentato in precedenza come bancarottiere (43,5) e scialacquatore
(29,17-19). Sembra che sia riuscito ancora una volta ad arricchirsi, ma non bisogna illudersi perché la sua
proprietà non è florida come sembra (cf. anche il carme successivo).
1 Firmiano saltu: si tratta dei boschi che si trovavano nel territorio di Fermo, nel Piceno; non falso lett. «non
atorto», litote.
2 fertur: in enjambement; il verbo è costruito con il doppio nominativo: Mentula (sogg.) dives (predicativo
del sogg.) fertur. Qui: si riferisce a saltu.
3 aucupium: propr. «caccia agli uccelli», indica per metonimia gli uccelli stessi. Arva sono i «campi
coltivati».
5 dum omni desint propr. «purché gli manchi tutto», sub. limitativa; per Lenchantin si tratta di una forma
abbreviata per dum mihi concedatur omnia deesse «purché mi si conceda che gli manca ogni cosa»,
un’analoga brachilogia va supposta al verso 6: dum modo ipse egeat.
6 laudemus «lodiamo pure», cong. concess. egeat lett. «sia nel bisogno». Della Corte ammette lo iato tra
modo e ipse, Fedeli appone una crux († modo), Lenchantin aggiunge et: modo <et> ipse.
Catull. 115
Mentula habet instar triginta iugera prati,
quadraginta arvi: cetera sunt maria.
cur non divitiis Croesum superare potis sit,
uno qui in saltu tot bona possideat,
prata, arva, ingentes silvas saltusque paludes 5
usque ad Hyperboreos et mare ad Oceanum?
omnia magna haec sunt, tamen ipse est maximus ultro,
non homo, sed vero mentula magna minax.
Minchia possiede circa trenta iugeri di prato, quaranta di
campo: il resto è acqua. Perché non si può dire che supera
Creso in ricchezza, chi in un solo podere possiede tanti
beni: prati, campi, foreste, macchie e paludi, fino agli
Iperborei e all’Oceano?
Tutte queste cose sono grandi, ma è lui la cosa più grande,
lui che non è un uomo, ma una grande, minacciosa
minchia.
Ciclo di Mamurra: cf. c. 114.
1 instar: qui «all’incirca».
2 maria qui non significa «mari», ma paludes (cf. v. 5).
3 cur non potis sit «perché non dovrebbe essere possibile?» cong. potenziale, introduce la sub. inf. ogg.
Croesum superare … (eum) / qui…. «che superi Creso … uno che…». Divitiis «ii ricchezza» abl. di
limitazione. Le ricchezze di Creso, re della Lidia, erano leggendarie.
4 uno… saltu «in un solo podere», contrapposto a tot bona. Possideat: cong. caratterizzante.
6 ad Hyperboreos: favoloso popolo dell’estremo nord; mare ad Oceanum = ad Oceanum mare: è, secondo la
geografia omerica, l’Oceano che abbraccia tutte le terre.
7 ultro: rafforzativo di ipse.
8 mentula magna minax: allitterazione espressiva; la pointe è incentrata sul criptonimo di Mamurra. Minax
era attributo del dio Priapo, caratterizzato da un enorme fallo: come osserva Lenchantin «La meraviglia
maggiore di fondi così vasti, è il Priapus vivente, il proprietario».
Catull. 116
Saepe tibi studioso animo veni ante requirens
carmina uti possem mittere Battiadae,
qui te lenirem nobis, neu conarere
tela infesta <meum> mittere in usque caput,
hunc video mihi nunc frustra sumptum esse laborem, 5
Gelli, nec nostras hic valuisse preces.
contra nos tela ista tua evitamus amictu:
at fixus nostris tu dabi’ supplicium.
Spesso in passato, con animo appassionato, sono venuto da
te, crecando come ti potessi mandare i versi di Callimaco,
con cui potessi placarti e tu non cercassi di scagliare armi
ostili contro il mio capo, ora però mi accorgo di essermi
assunto una fatica inutile, Gellio, e che i le mie preghiere a
questo scopo non sono servite a niente.
Con il mantello (avvolto attorno al braccio) io paro questi
tuoi colpi contro di me; tu invece, trafitto dai miei, me la
pagherai.
1. venante V: veni ante Birt
Il Carme è indirizzato contro Gellio (cf. cc. 74, 80, 88-90). Catullo afferma di aver tentato una
riconciliazione, offrendo a Gellio le sue traduzioni di carmi callimachei. Il tentativo è stato vano, perciò il
poeta rinuncia alla pace e minaccia il rivale di trafiggerlo con i suoi dardi.
1 veni ante: «sono venuto in passato», congettura di Birt, accolta da Della Corte: i codd. hanno venate «in
caccia», rif. a animo; se lo si accetta, il verbo reggente diventa video, al .v 5.
2 uti possem : «come potessi«, interr. ind. dipendente da requirens. Battiadae: è Callimaco, discendente di
Batto, fondatore di Cirene. I carmina in questione potrebbero essere una preziosa edizione di Callimaco, ma
più probabilmente si tratta di traduzioni catulliane dei carmi callimachei.
3 qui = arcaico per quibus, cf. supra.
6 hic, avv. «a questo scopo».
7 amictu: abl. strumentale «con il mantello», ovviamente «avvolto sul braccio per parare i colpi»
(Lenchantin).
8 nostris (sott. telis), dabis supplicium propr. Dabi(s): unico esempio in Catullo di -s caduca. Dabis
supplicium propr. «sconterai la vendetta».