Lo sviluppo del «sentimento familiare

Transcript

Lo sviluppo del «sentimento familiare
Lo sviluppo del «sentimento familiare»
Manfred Cierpka*
II sogno fatto da nostro figlio di cinque anni:
«Siamo seduti tutti insieme per il pranzo. D'un tratto un gigante entra nella stanza e sta per
attaccarci. Prontamente ci prendiamo per le mani e il gigante non può più farci nulla».
Al centro della terapia psicoanalitica c'è la ricerca e l'elaborazione dei rapporti del paziente
con le sue figure primarie di riferimento e con quelle attuali. Ciò che viene focalizzato, il più
delle volte, è la relazione diadica. Vengono elaborate le fantasie e i sentimenti verso il
partner ed i genitori. Un altro punto fondamentale è l'analisi del rapporto edipico
«triangolare». L'elaborazione di queste complicate configurazioni si basa, da un punto di
vista teorico, su di un piano multipersonale. I pazienti parlano, tuttavia, anche della loro
famiglia e parlandone mostrano di avere in mente un quadro sufficientemente chiaro della
loro famiglia d'origine o di quella attuale. Nella descrizione di questa «gestalt della famiglia»
usano aggettivi come «caotica, armonica, aperta, conflittuale, piccolo-borghese, ecc.».
Queste rappresentazioni di concetti consci ed inconsci relativi alla loro famiglia sono collegati
ai loro sentimenti. Sentono, tuttora, la famiglia come unico punto di riferimento sicuro,
magari si sentono ancora al suo interno; altri, invece, sono ben contenti di non averci più
nulla a che fare.
Anche se il neonato è inserito all'interno di una famiglia e non solo in «una relazione
diadica», i rapporti familiari del bambino vengono spesso visti come relazioni diadiche o
triadiche; ciò dipende fondamentalmente dal fatto che la situazione clinica, il più delle volte,
nel trattamento psicoanalitico è di natura diadica. Della famiglia del paziente attuale o di
quella di provenienza se ne parla molto nelle sedute e, in tal modo, l'elemento terzi ha da
sempre un ruolo importante nel trattamento psicoanalitico; ciò nonostante, il sistema
analista-paziente tende ad escludere ogni altro rapporto.
1. Il senso della famiglia: un fenomeno storico?
Questo lavoro esamina l'evoluzione del senso della famiglia, che va di pari passo con
l'acquisizione dell'immagine interna della famiglia come «insieme». Nel riflettere
sull'evoluzione del sentimento della famiglia, ci si pone il problema del significato che
l'espressione «senso familiare» assume in senso sinonimale. Questa espressione è oggi quasi
del tutto sparita dal nostro lessico, suona come un'astrazione «vecchia». A ciò si aggiunge
che questa espressione evoca associazioni che hanno a che fare con valori e norme
borghesi. Questo si può spiegare, senz'altro, con il fatto che il «senso familiare» si colloca nella
tradizione patriarcale: I riferimenti borghesi di questa espressione risalgono alla
Biedermeierzeit (l'epoca della piccola borghesia ancora a carattere feudale. NdT). A
quell'epoca, nella cosiddetta grande famiglia, abitavano insieme, sotto lo stesso tetto, molte
generazioni, in un'unica comune gestione economica. Anche i domestici non parenti erano
assoggettati alle regole del pater familias. Tale forma familiare dominò dal medioevo fino
alla diffusione della famiglia, nucleare, nel diciannovesimo secolo (Weber-Kellermann, 1989).
L'autorità patriarcale e la suddivisione dei ruoli in «buon padre di famiglia» e «brava casalinga»
del periodo storico Biedermeier, hanno continuato ad esistere in un cliché piccolo-borghese in
cui la sessualità in famiglia rappresentava un severo tabu (vedi la tragicommedia di Diderot «il
padre di famiglia», nella quale la continua disputa circa il senso della famiglia ha un ruolo
importante).
Questa connotazione piccolo borghese nell'uso dell'espressione «senso familiare», evidenzia
la stretta connessione che c'è tra la visione ideale della famiglia e le norme sociali. Interessanti
sono i processi reciproci tra individuo, famiglia e società, in riferimento a norme e valori. Non è
solo la società che influenza la famiglia, ma questa, a sua volta, contribuisce alla conservazione
della società stessa, dato che è proprio la famiglia il luogo in cui avviene il trasferimento
delle norme da una generazione all'altra. Il singolo individuo si identifica con le norme e i
*
Prof. dr med. Manfred Cierpka, psicoanalista Ipa, Centro di terapia familiare, divisione di psicosomatica
e psicoterapia, Università di Goettingen, Humboldtallee 38, 3400 Goettingen.
Interazioni, 2, 1993, pp. 11-28
valori sia della famiglia che della società e si propone, poi, da adulto, come modello di
identificazione, per i propri figli. Il senso familiare del XIX secolo può sembrare, oggi,
alquanto estraneo alla nostra attuale concezione. I cambiamenti dell'idea di famiglia vengono
trasmessi insieme alle continuità.
Ci si può chiedere, conseguentemente e a buona ragione, se quel «senso familiare» esista
ancora oggi e in qual misura. La molteplicità delle odierne forme di vita familiari conduce a
diverse immagini interne di famiglia. Il nostro «senso familiare» attuale corrisponde alle
forme familiari moderne. Con la separazione dell'abitazione e dei luoghi di lavoro
nell'epoca dell'industrializzazione, si formano tante piccole unità familiari. La società
moderna impone la piccola famiglia, «aperta» e flessibile con costellazioni familiari diverse,
che possa andare oltre il ciclo vitale (La famiglia postmoderna, Luescher et al., 1990). Vi
sono, però, persone, che raramente escono dal nucleo familiare e di parentela. In questo caso
si potrebbe parlare di «senso familiare marcato». Queste persone sembrano identificarsi solidamente con la propria famiglia. In generale, mettono le proprie esigenze dopo quelle familiari o
addirittura vi rinunciano. Sembrerebbe, oggi, che l'espressione «senso familiare» definisca una
esagerata identificazione con la propria famiglia, che, in certi casi, assume addirittura
rilevanza clinica. Nella nostra attività professionale non è raro incontrare pazienti legati
strettamente alla famiglia d'origine che hanno serie difficoltà di separazione da essa.
2. Rappresentazioni familiari, identità familiare e sentimento familiare
Il concetto «senso della famiglia» è in genere chiaro a tutti; tutti sanno quale sia il significato
di parole come: comprensione, partecipazione, interessi per certe cose importanti e per i
problemi della propria famiglia o di un singolo componente di essa. Tali sentimenti sono, infatti,
presenti in tutte le comunità di tipo familiare, e sono sentimenti necessari per trovare e garantire un equilibrio tra desideri e necessita del sistema nella sua totalità e, quindi, il mantenimento
del nucleo familiare. Se usiamo l'espressione in questo senso, parliamo di un sentimento per
la famiglia come un tutto. Questa coscienza dell'unità fa in modo che gli interessi dei singoli
vengano messi dopo quelli della famiglia. L'identificazione con i compromessi psico-sociali in un
piccolo gruppo sono la premessa per acquisire tale sentimento familiare.
Come possiamo ipotizzare l'evoluzione di questo sentimento per la famiglia? Nella teoria
psicoanalitica, troviamo solo pochi lavori sull'interazione tra evoluzione psicosessuale
individuale e la famiglia vista come un tutto. Mancano concetti che spieghino come avvenga
l'interiorizzazione delle relazioni familiari nell'individuo.
Esiste una rappresentazione della «famiglia come un intero»? Se sì, come si può
immaginare l'evoluzione di tale concetto? In tal senso si potrebbe formulare la domanda, se
e come lo sviluppo del sentimento familiare sia legato con quei costrutti interiorizzati della
famiglia.
Guardando allo sviluppo psicologico del concetto di famiglia interna, noi presupponiamo che il
bambino non si identifichi soltanto nelle relazioni diadiche e triadiche, in genere con la madre
e il padre e con i genitori come coppia, ma anche con la «famiglia come un tutto».
L'identificazione con le persone di riferimento primarie, i genitori come coppia, e con la
famiglia permette la costruzione attiva delle «rappresentazioni familiari», le quali si profilano
in una ulteriore strutturazione al livello superiore della identità familiare a livello inconscio.
Definiremo i concetti «rappresentazioni familiari» e «identità familiare» sullo sfondo della
teoria psicoanalitica delle relazioni oggettuali.
Lo sviluppo delle rappresentazioni familiari nell'individuo ci indica l'interiorizzazione delle
identificazioni con la famiglia che va oltre i pattern diadici e triadici. Le identificazioni nelle
relazioni diadiche e nella famiglia portano allo sviluppo di queste rappresentazioni familiari,
solo se vengono acquisite in connessione con l'interiorizzazione delle funzioni di formazione,
mantenimento e rimodellamento della «famiglia come un tutto».
Il concetto dell'identità familiare si riferisce alle rappresentazioni familiari dell'individuo e le
descrive nella loro coerenza come unità. Il riunire le rappresentazioni familiari in una unità
rende necessaria una nuova configurazione intrapsichica, che oltrepassa la somma delle singole
rappresentazioni. Tra i concetti di rappresentazione, identità e sentimento familiare vi è una
Interazioni, 2, 1993, pp. 11-28
netta connessione. Lo sviluppo del sentimento familiare va di pari passo con la strutturazione
interna delle rappresentazioni familiari e dell'identità familiare. Il concetto strutturale
psicoanalitico indica qui la funzione stabilizzata e stabilizzante delle forme organizzative
intrapsichiche.
3. Lo sviluppo del «sentimento della famiglia»
Per lo sviluppo del sentimento della famiglia sono importanti le seguenti nozioni di psicologia
evolutiva e di teoria sulla famiglia:
1. per l'interiorizzazione del concetto «famiglia» sono determinanti, nell'ambito delle
esperienze, la diade, la triade e la famiglia;
2. nello sviluppo della prima infanzia è da considerare la coesistenza temporale di differenti
forme di interazione familiare;
3. il bambino ha un ruolo attivo nella formazione dei concetto di famiglia interna;
4. lo sviluppo avviene come processo di azioni reciproche tra la famiglia esterna «reale» e la
famiglia «interna»;
5. lo sviluppo del sentimento della famiglia perdura per tutta la vita ed è sottoposto ai
cambiamenti del ciclo vitale.
1. Gli ambiti delle esperienze familiari: diade, triade, famìglia. L'interiorizzazione dellimmagine
e dei sentimenti nel contesto del concetto «famiglia» si acquistano inizialmente nell'ambito
dell'esperienza della diade e, poi, della triade; segue il conflitto edipico con i genitori come
coppia. Nella concezione degli autori l'iniziale interiorizzazione della «famiglia come un
lutto» avviene dopo una momentanea soluzione del conflitto edipico. La ricerca empirica sul
neonato ci insegna che la diade madre-bambino va vista come un sistema in evoluzione
(Koehler, 1986) che tenta di rimanere, durante le diverse fasi di maturazione affettivocognitiva, in omeostasi. Se madre e bambino s'incontrano durante le prime settimane di
vita, allora si sviluppa un sincronismo nel sentire e nel comportarsi, chiamato fit oppure
match. Questa descrizione ci fa capire che il padre e i fratelli vengono considerati esclusi da
questa unione così stretta, in genere definita»simbiosi». Ciò è dovuto al fatto che la diade
madre-bambino è vista come un sistema chiuso. Dato, però, che la madre continua a
mantenere sia il suo rapporto coniugale che gli eventuali rapporti con gli altri figli, non
possiamo più considerare quel sistema come sistema chiuso.
Ulteriori cerchi d'interazione si aggregano al sistema madre bambino, parzialmente aperto,
inducendo differenziazioni che stimolano la crescita e la maturazione e aprono il legame
simbiotico.
Oggi si comincia ad includere nella discussione il ruolo del padre, del terzo, non solo nella
triade ma anche nella diade. Concetti psicoanalitici della triangolazione precoce (Abelin,
1971, 1975; Bauriedl, 1980; Rotmann, 1978, 1985, 1986; Ermann, 1985) vedono questa
triangolazione come precedente alla costellazione edipica, che è più tardiva. Buchholz (1990) fa
notare che il bambino non entra nella triade solo alla nascita, ma già con la procreazione e
la gravidanza, quando inizia ad essere portatore di fantasie, di proiezioni e dei conflitti dei
genitori stessi. Lazar (1988) considera la procreazione come elemento di collegamento
(raccordo), come elemento «terzo», che crea, fin dall'inizio, una tridimensionalità.
Le funzioni del padre si trasformano nelle varie tappe dello sviluppo. Winnicott (1974)
sottolinea il ruolo di sostegno che hanno i genitori, quando parla della base materiale e
nutriente di sicurezza che la famiglia offre al bambino, la cosiddetta holding function.
Il padre sostiene la madre da un punto di vista emozionale e materiale in un periodo in cui ella
si dedica maggiormente al bambino. Durante la fase di separazione-individuazione, invece, la
percezione del bambino rispetto alla relazione dei genitori cambia. Abelin (1975) riferisce che
bambini di 2 anni chiamano il padre quando sono delusi dalla madre. Il ruolo attivo del padre
nel processo di separazione durante la fase simbiotica con la madre è cosa nota. Greenspan
(1982) sottolinea l’importante ruolo che compete al padre di consolare il bambino durante il
periodo connotato dall'angoscia di separazione e di lutto per la perdita della madre. Il padre
Interazioni, 2, 1993, pp. 11-28
è l'oggetto «altro» rispetto alla madre, che aiuta il bambino ad accedere ai processi di differenziazione psichica.
Yogman (1982) e Stern (1985) parlano di differenze nello stabilire relazioni con la nurturing
mother e con l’exciting father, differenza che può portare, durante l'apice della
sessualizzazione della fase edipica, alla scissione dei genitori come coppia. Anche nella
descrizione delle fasi successive del ciclo vitale, si parla di scioglimento successivo della
diade madre bambino Gap (1989).
Dopo il raggiungimento di una relativa autonomia, intorno ai 2 anni, e di un maggior controllo
sugli impulsi, si sviluppa rapidamente nel bambino (30-48 mesi) il senso di realtà. Il «mio e
tuo» porta alle delimitazioni e ad una possibilità di controllo «vicinanza-distanza» nelle
relazioni. Intorno a questo periodo i bambini sanno se fanno qualcosa per la madre, per il
padre oppure per i fratelli. Quando i bambini si accorgono della rete familiare, la costellazione
diadica si allenta. Inoltre, l'interesse per il proprio corpo aumenta, e non solo le funzioni del
corpo diventano adesso più importanti, ma anche le circostanze emozionali concomitanti
nelle reazioni corporee. Gli psicoanalisti inscrivono l'aumentato interesse sessuale per i propri
organi genitali, anche dell'altro sesso, nell'ambito della fase fallica-narcisistica. Le possibilità
cognitive più complesse permettono al bambino, in primo luogo, una differenziazione delle
figure genitoriali, di quelle di altri membri della famiglia e di altre figure di riferimento; in
secondo luogo, permettono al bambino una differenziazione delle differenze sessuali. Nella
terminologia della Mahler (1978), il bambino oscilla tra desideri regressivi di fusione con la
madre e quelli di appropriazione del mondo esterno. I conflitti di ambitendenza tra
autonomia e fusione, descritti nella fase di riavvicinamento, mostrano che il ritorno ad una
relazione diadica esclusiva non è più possibile. Il bambino percepisce il padre come «l'altro» e
lo usa per la soluzione di questi conflitti di ambitendenza: la figura del padre permette al
bambino un cambiamento di posizione nella triade (Buchholz, 1990). Le relazioni diadiche sia
con la madre che con il padre rimangono ancora giustapposte. Il bambino ancora non sente che
l'andare verso l'uno influenza anche specificamente il rapporto con l'altro.
Una giovane paziente si lamentava della rabbia impotente che sentiva ogni volta che il fidanzato
s'incontrava con i suoi amici; era cosciente di poter sostenere solo rapporti a due.
Figlia di un'alcolizzata depressa, e di un padre severo e insensibile, non aveva sentito i genitori come
coppia. Si veniva a trovare, in coalizione, a turno, con uno dei due control’ltro. Con tristezza e rabbia
ricordò, durante una delle sedute, che il padre, quando lei aveva quattro anni, l'aveva trascinata in
terrazza per farle vedere, attraverso la finestra della stanza dei bambini, la madre che nascondeva le
bottiglie di liquore sotto al letto della piccola. Quelle parole del padre: «Guarda, adesso beve di nuovo!»
bruciavano ancora nella sua memoria (la madre in seguito si suicidò).
Ricordava, altrettanto bene, scene in cui insieme alla madre aspettavano il padre, che tardava per impegni
di lavoro.
Nei rapporti triangolari attuali, la paziente temeva, in modo evidente, di essere quella che rimaneva
esclusa, e sentiva che per difesa doveva aggrapparsi al partner in modo da escludere gli amici di lui.
Solo nella triade si raggiunge il livello multipersonale nel vero senso. Lo sviluppo edipico può
essere descritto come sessualizzazione della triangolazione. Questa entra in scena dopo che i
genitori sono stati percepiti come persone intere con differenze di sesso. Nella fase edipica il
bambino si trova nella situazione estremamente critica di desiderare, a causa dell'interesse
sessuale appena scoperto, un genitore e di rifiutare l'altro; e ciò quando ancora i genitori,
come unità, debbono rimanere a sua disposizione in quanto è ancora dipendente da loro. È qui
che di nuovo il bambino si confronta con i genitori come coppia e con la famiglia come unità.
Come adulti e come coppia sessuale i genitori rappresentano il vivere insieme di due persone
in modo intenso e intimo.
Il sogno del nostro bambino di cinque anni, riferito all'inizio, potrebbe essere interpretato, dal
punto di vista della teoria pulsionale classica, come la minaccia edipica del «gigante-padre» nei
confronti del legame tra madre e bambino. Sembra, però, più probabile e anche più profonda
l'interpretazione che il bambino abbia sentito il desiderio della «seduzione gigante» che
minaccia la coesione della famiglia. Sono i legami familiari che respingono il gigante. Dunque,
il tema del sogno sarebbe il conflitto tra seduzione, che comporta la scissione della coppia
genitoriale, e l'appartenenza-coesione alla famiglia.
Se i genitori si oppongono rigidamente a questa scissione fra un genitore eccitante ed uno
Interazioni, 2, 1993, pp. 11-28
escluso, il bambino può sentirsi rifiutato ed escluso. Se uno dei genitori per bisogni propri si
coalizza con il bambino contro il partner, possono prodursi conseguenze gravi per il bambino.
Sensi di colpa nei confronti del genitore escluso e angosce legate alla situazione di seduzione
con il genitore alleato possono portare a notevoli limitazioni nevrotiche.
La psicoanalisi descrive in genere conflitti edipici triadici. La situazione dei fratelli e i sentimenti
del bambino nei confronti di questi ultimi non vengono menzionati. Secondo gli Autori, invece, si
può ipotizzare che il conflitto edipico sia differente per il primogenito, per il secondogenito e così
via. I fratelli più grandi possono servire come persone di riferimento primarie, ma anche come
concorrenza supplementare.
Gli sconfinamenti hanno, nella fase edipica, un carattere innovativo, perché richiedono nuove
identità e nuovi ruoli, e ciò è suscettibile di formare precursori per la costruzione di
un'iniziale «identità familiare», in quanto il bambino è indotto a riassumere in un unico
concetto familiare tante identificazioni differenti.
Lo scioglimento del complesso d'Edipo e la costruzione dell'identità ad esso connesso
comporta, secondo Bauriedl (1980), da parte dei genitori una minore parentificazione del
bambino. Il bambino non avendo potuto scindere genitori e famiglia, si identifica con la
rappresentazione di una famiglia operante come unità. Le soluzioni del conflitto nella famiglia
sperimentate in questo contesto portano ad identificazioni, che contengono la capacità dell'Io
alla rinuncia e alla formazione del compromesso psicosociale, quale il non voler mettere in
pericolo il tutto. Queste identificazioni della famiglia vengono interiorizzate come
rappresentazione della famiglia. La necessità di collocarsi nella realtà esterna e dunque essere
un bambino dei genitori, che sono anche un uomo e una donna, comporta infine, come
formazione strutturale intrapsichica, che il bambino si crei un concetto interno della famiglia.
Erikson (1981) ha indicato che l'identità risultante è maggiore della somma delle
identificazioni. Le identificazioni dell'infanzia vengono assimilate in una configurazione nuova
alla fine del periodo edipico, la quale porta con sé una nuova formazione strutturale; essa
include tutte le identificazioni importanti, ma le trasforma anche in modo da trasfigurarle in
un tutt'unico sufficientemente coerente. Con la stabilizzazione di queste rappresentazioni
concernenti il «prodotto psicosociale famiglia» e con i sentimenti ad esse connessi, il bambino
acquista la capacita di intraprendere rapporti sociali sia nella propria famiglia che in gruppi più
grandi, all'asilo e poi a scuola. L'identità familiare contiene anche una prospettiva per il futuro,
che permetterà, prima al bambino e poi all'adulto, d'immaginare una famiglia propria.
2. La sincronia delle esperienze nei rapporti su piani differenti. Alcuni psicologi dell'età
evolutiva, denotano i diversi tipi di ambiti dell'esperienza familiare come livelli differenti di
organizzazione all'interno della famiglia. Con l'espressione «contestualizzazione dell'evoluzione
umana» Kreppner e Lerner (1980) descrivono l'evoluzione individuale come interazione
dinamica con il mondo circostante su piani, che avranno effetto su tutto il ciclo vitale.
Psicologi ecologici dell'età evolutiva e ricercatori della famiglia distinguono i diversi piani
organizzativi della famiglia in base alla teoria dei sistemi. In un osservazione di tipo
ecologico, i sistemi umani vengono suddivisi in sottosistemi, ognuno dei quali, preso da solo,
forma di nuovo un proprio sistema. Il loro punto di partenza teorico vede i parametri
psicoevolutivi, familiari e sociali, in riferimento ai processi di maturazione e crescita umana
(ma anche per la patogenesi dei disturbi) come complementari, che non si escludono l'un
l'altro.
Un modello evolutivo contestuale indica almeno tre diversi livelli d'importanza per il
processo familiare: l'individuo, la diade e la dinamica familiare. Cosa si intende con la parola
«livello»? L'universo è costituito da u n a molteplicità di sistemi suddivisi gerarchicamente, in
cui ogni livello superiore o più evoluto è composto da sistemi più «bassi» con minore complessità. Anche l'essere umano comunica con i suoi simili e con il mondo circostante come
individuo sociale, su molteplici livelli organizzativi. L'individuo interagisce con il mondo
circostante sia con le dimensioni corporee che con quelle psichiche. Nei processi di
maturazione e di crescita il bambino dipende per molto tempo dal suo campo di riferimento
interperso-nale. I processi affettivi e cognitivi si differenziano nella continua interazione con
l'ambiente. Il rapporto diadico è considerato un ulteriore gradino organizzativo, che viene
descritto prevalentemente con l'aiuto di parametri psicologici. Certamente hanno importanza,
Interazioni, 2, 1993, pp. 11-28
nell'interazione precoce madre-bambino e più tardi nella sessualità degli adulti, anche le
variabili biologiche. Il rapporto affettivo-cognitivo dei due partner, comunque, viene maggiormente determinato psicologicamente. Il livello della «famiglia come un tutto» racchiude il
processo familiare, che aiuta ogni famiglia ad ottenere l'autonomia. La famiglia si differenzia
da altri piccoli gruppi per la cosiddetta prospettiva multigenerazionale. Le famiglie hanno una
propria storia la quale è connessa a ideologie, norme, valori, nonché ai miti familiari
Sper-l i n g (1982). Una successione puramente lineare delle fasi evo lut ive diade/triade/
famiglia viene ormai considerata superata. Uno sviluppo a forma di spirale, a secondo delle
possibilità affettivo-cognitive, prende in considerazione i processi di feedback tra sistemi
gerarchicamente ordinati, seguendo la crescente complessità tra individuo e famiglia.
Probabilmente, il bambino sceglie il sub-sistema più adatto alla sua maturazione (monotoring) e la famiglia mette intuitivamente a sua disposizione quel sistema. Come un obiettivozoom, si possono, a tale scopo, mettere a fuoco i singoli sistemi durante l'evoluzione: diade,
triade, famiglia.
Di fondamentale importanza per la comprensione teorica dell'evoluzione del senso della
famiglia è che durante l'evoluzione della prima fase dell’infanzia, le forme di interazione della
diade, della triade e poi del piccolo gruppo familiare, non sono ambiti di esperienza che si
possano separare nettamente l'uno dall'altro. Tutte le forme interattive esistono
contemporaneamente, ma per il bambino sono rilevanti solo alcuni pattern corrispondenti
alla sua evoluzione affettivo-cognitiva.
3. L'acquisizione attiva della famiglia interna. Anche se il bambino nasce all'interno della
famiglia, il concetto di famiglia viene da lui acquisito solo progressivamente. Durante lo
sviluppo gli vengono date svariate possibilità; a seconda delle richieste psicoevolutive per
identificarsi con le funzioni dei componenti della famiglia, ha la necessità interiore di
distorcere la realtà; questo fa sì che il bambino si formi fin dall'inizio dei concetti di famiglia
diversi. I propri bisogni vengono proiettati nella famiglia stessa. Le reazioni delle persone di
riferimento primarie e della famiglia formano il concetto di famiglia interna nel bambino. La
rappresentazione del sé e dell'oggetto si forma grazie e secondo queste esperienze all'interno
delle relazioni oggettuali. Queste interiorizzazioni non sono statiche, ma comprese in un
processo continuo di elaborazione.
Il bambino, ad esempio, si identificherà con le funzioni delle persone «curanti» e farà proprie
queste capacità di prendersi cura e d'empatia nei riguardi dei suoi futuri figli. Queste capacità
si possono studiare nel gioco. Quando i bambini giocano a marito e moglie e, più tardi, alla
famiglia, si possono fare osservazioni sorprendenti: si possono riconoscere quelle funzioni e
quei processi che i bambini hanno emulato dai genitori, nonché il modo in cui li hanno
elaborati.
Una delle scoperte più rilevanti dell'analisi del dialogo tra madre e figlio consiste nel fatto che
il neonato si dimostra come quello che, già dall'inizio, cerca attivamente il rapporto con la
persona che ha di fronte. In generale però si trascura, nell'osservazione, che tutti i processi
di maturazione avvengono all'interno del nucleo familiare, di modo che non si riuscirà a
sapere molto dell'influenza della famiglia come «organizzatore» nei riguardi della
strutturazione intrapsichica.
Naturalmente, ci sono buone ragioni per il babywatcher di restringere inizialmente il campo
scientifico alla ricerca e all'analisi della diade. La complessità, in una famiglia composta da
molte diadi, aumenta enormemente.
Possiamo chiamare «attivo» il neonato già per il fatto che la famiglia viene a formarsi solo
per effetto della sua nascita. Il bambino costringe la coppia a diventare genitori. I rapporti
tra i membri della coppia vengono cambiati e riordinati, in modo che il neonato, trovi il suo
«nido», del quale egli ha bisogno per la sua maturazione biologica e psicologica.
La helplessness del neonato richiede ai genitori di assumersi la responsabilità della vita di un
nuovo essere umano. Durante tutta la loro crescita i bambini contribuiscono al cambiamento
dei genitori per essere più adatti ad assolvere i nuovi compiti evolutivi e per assumere i
rispettivi ruoli. Durante l'adolescenza viene richiesta ai genitori la capacità di risolvere altri
compiti evolutivi differenti da quelli precedenti quando si trattava di una famiglia con bambini
piccoli. Se si riconosce la parte attiva del bambino nel creare legami per l'evoluzione della
famiglia, bisogna concludere che questi non si identifica semplicemente con le funzioni e i
processi nella famiglia, ma contribuisce attivamente allo sviluppo di quelle funzioni. Vengono
Interazioni, 2, 1993, pp. 11-28
interiorizzati pattern di interazione come rappresentazioni familiari ai quali ha contribuito il
bambino stesso.
4. La «famiglia reale» e la «famiglia interna». Il bambino si crea la sua famiglia interna, ma
vive anche direttamente nella famiglia reale. Per l'evoluzione psichica è determinante che le
azioni e le controversie quotidiane contribuiscano all'atmosfera familiare e all'ambiente
circostante del bambino, che inevitabilmente incontra le tradizioni, i miti, le norme ed i valori
specifici della sua famiglia. Egli si deve confrontare con la famiglia reale. Non solo le fantasie
del bambino e le sue proiezioni determinano la vita familiare, ma l'interazione familiare
quotidiana determina anche quali desideri potranno alla fine essere realizzati. In modo
ripetitivo, ciò influenza l'evoluzione del sentimento familiare, perché il bambino si identifica in
tal modo con i compiti dei componenti della famiglia nella vita quotidiana familiare. Egli si
identifica, dunque, sia con le fantasie sulla famiglia che con le reali funzioni familiari.
Il bambino sviluppa un modello, nel quale vengono dispiegate le identificazioni familiari per
lui importanti. La rappresentazione di se e degli altri si forma in modo da creare una «mappa
interiore» della realtà intrapersonale e intrapsichica, che è naturalmente diversa per ogni
individuo. Il concetto di mapping di Friedmann descrive la cristallizzazione intrapsichica di
esperienze significative. L'espressione indica, che le diverse cristallizzazioni, che vanno a
formare in definitiva le specifiche «mappe» intrapsichiche del singolo, sono connesse tra loro.
In un altro lavoro, ho indicato la corrispondenza tra la progettazione di vita interiorizzata ed i
rapporti familiari. La misura delle possibili soluzioni dei problemi, nella cornice dei rapporti
familiari, della gratificazione dei bisogni e delle possibilità di superamento delle paure,
dovrebbe essere decisivo, per il clima affettivo, e per la soluzione dei compiti di cui è
responsabile la famiglia, come anche per la coesione familiare. Possiamo quindi supporre,
che la funzionalità e la soddisfazione di una famiglia e l'evoluzione psichica dell'individuo,
siano contrassegnate da una tensione piuttosto creativa. Più alta è la discrepanza tra le
relazioni oggettuali individuali interiorizzate e il campo dei rapporti interpersonali nella
famiglia, sia a livello delle diadi (ad es. il sub-sistema coniugale) sia a livello della famiglia
come un tutto, maggiori sono le possibilità che i conflitti consci ed inconsci si ripercuotano
negativamente sulla funzionalità della famiglia e sull'evoluzione psichica dell'individuo
singolo; questo perché le differenze nelle richieste possono essere talmente grandi che
esaudire le aspettative ed i desideri diviene molto difficile. Se le «mappe» diventano troppo
simili, non viene reso possibile un confronto vivace e fertile, data la minimalizzazione delle
differenze. Anche se i sistemi, in quel caso, si trovano in equilibrio, quest'equilibrio è
mantenuto attraverso rigidi meccanismi di difesa interpersonali e intrapsichici, di modo che la
funzionalità, e soprattutto la vitalità della famiglia, ne verrà a soffrire. In questo modo il
destino delle identificazioni intrapsichiche della prima infanzia dipendono, in ultima analisi,
dall'interscambio dei fenomeni strutturali nella famiglia.
5. Il cambiamento del sentimento familiare nel corso del ciclo vitale. L'evoluzione del
sentimento familiare avviene non soltanto nella prima infanzia, ma fin dalla nascita e
continua per tutto il ciclo vitale. Con la descrizione del ciclo vitale si definisce un modello che
sottolinea il carattere evolutivo del singolo e delle famiglie attraverso più generazioni e
definisce anche le fasi critiche. Il concetto di ciclo vitale rischia di essere sentito come troppo
statico, per il fatto che il superamento di fasi evolutive normative viene troppo
schematicamente definito come compito dello sviluppo.
Il ciclo vitale nella famiglia è contrassegnato da fasi di stabilità e fasi di transizione.
L'alternarsi di periodi che cambiano la struttura e di periodi che invece la costruiscono o la
mantengono, richiede, di volta in volta, un'alta quota di coesione familiare oppure
un'aumentata differenziazione e autonomia degli individui e con ciò una permeabilità del
confine famiglia ambiente. Si deve, dunque, partire dall'idea che le immagini di una famiglia
e il sentimento per la famiglia si trasformano continuamente, nel singolo, attraverso le fasi
del ciclo vitale.
Questa formazione dell'identità ha il carattere di un processo, e il sentimento della famiglia si
sviluppa a seconda della formazione strutturale interna che sottende l'interscambio con la
composizione strutturale della famiglia.
In una famiglia l'arrivo di un neonato produce il sentimento di «formazione del nido». La
giovane famiglia istituisce, in genere, dei confini con la famiglia d'origine. Ciò si evidenzia,
per es., attraverso il confronto degli stili educativi del bambino: lo stile adottato, spesso in
Interazioni, 2, 1993, pp. 11-28
modo conscio, si differenti nettamente dall'educazione ricevuta nella propria famiglia. Molto
diverso è il sentimento familiare nel periodo in cui l'adolescente esce dalla famiglia, e vuole
trovare la propria strada quando cioè la sua famiglia reale, così come l'immagine interna che
ne ha, passano in secondo piano.
4. Lo sviluppo dell’identità familiare
Erikson discute dell'identità dell'Io nel contesto dell'ambiente psicosociale; descrive l'identità
come qualcosa fondata nel nucleo dell'individuo e come aspetto fondamentale della coesione
interna di un gruppo: «il giovane deve imparare ad essere se stesso proprio dove egli è
importante agli occhi degli altri, quegli altri, evidentemente, che hanno per lui grande
importanza. Il concetto di «identità» esprime una relazione reciproca, nel senso che
comprende sia una continuità nel sentirsi internamente uguale a sé stessi sia una
partecipazione a determinati tratti del carattere, specifici del gruppo (81). Per la formazione
dell'identità, le crisi d'identità sono necessarie e si verifi-cano attraverso le identificazioni di
prova che si incontrano con le aspettative dell'ambiente.
L'identità familiare, acquisita attraverso l'interiorizzazione di un concetto di famiglia, è parte
dell'identità dell'Io. I presupposti per una identità dell'Io sicura sono molteplici: deve essere
acquisita la capacità all'intimità, così come all'identità psico-sessuale. Erikson menziona,
inoltre (81), la disponibilità psico-sociale a diventare genitori. Secondo me questa
formulazione si avvicina molto alle mie riflessioni sul sentimento familiare che considero
come parte di una disponibilità psicosociale. Così come il giovane adulto deve sviluppare un
sentimento di sé, disponendo di una sicura identità personale, separata dall'ambiente, così il
bambino, e più tardi il giovane adulto, sviluppa un'identità familiare e con ciò dispone di
rappresentazioni proprie della famiglia e del corrispondente sentimento familiare. Egli ha
interiorizzato la sua rappresentazione di una famiglia con questa identità familiare, la quale
gli permette di diventare attivo nell'ambiente psicosociale e di cercare la propria, e per lui
«unica», famiglia.
5. Caso clinico
Un musicista quarantenne si rivolse ad un analista per essere preso in analisi: era disperato ed in preda ad
un senso di lutto e di delusione per il fatto che la sua donna si era separata da lui. «Ho sempre sperato di
trovare una donna con la quale essere in sintonia, che stesse lì per me e desiderasse avere con me dei
bambini, ma ogni volta sono rimasto deluso!».
Figlio unico, aveva sempre vissuto isolato e solo con i suoi sogni; avrebbe voluto salvare quest'ultima
amica da una situazione disgraziata in cui lei si era venuta a trovare per la sua storia personale molto
difficile; le era rimasto aggrappato in modo autolesionistico, malgrado che dopo ogni riavvicinamento
fosse sempre seguito un nuovo abbandono; aveva sempre cercato di giustificarla, in considerazione della
dura storia personale che ella aveva avuto. La madre infatti era morta nel darla alla luce; era cresciuta
con la nonna; il suo primo fidanzato si era tolto la vita; la sorella era morta in un incidente d'auto; non
aveva, insomma, mai avuto una famiglia propria.
Durante il trattamento si evidenziò che il paziente parlava dei problemi dell'amica come avrebbe
potuto parlare dei suoi propri sintomi; proiettava il dramma della separazione su di uno schermo per far
vedere fino a che punto si sentisse dipendente e prigioniero della nostalgia di lei e del bisogno di avere una
famiglia.
All'inizio dell'analisi, il paziente viveva da solo. Aiutava la madre (che abitava nella stessa località) a
pagare le rate della casa. Tra di loro c'era sempre stato un accordo chiaro, che prevedeva, tra le altre
cose, che la madre cucinasse per lui due volte la settimana e una volta gli facesse lavori di casa.
Sua madre era stata l'amante di suo padre quando questi era già sposato, e si sposarono solo quando
la prima moglie morì di una grave malattia, due anni prima della nascita del paziente. Poi, dal 4 anno di
vita fu sempre presente l'ansia della separazione dei genitori. All'età di 6 anni lo portarono, di punto in
bianco, in un Kinderheim (un collegio per bambini); fu la madre che volle separarsi dal coniuge. Padre
e f i g l i o fuggirono clandestinamente dalla Germania dell'est a quella dell'ovest; il padre ebbe,
allora, un break-down depressivo con tentativo di suicidio e per anni rimase in uno stato di malinconia e
di rinuncia. Per un anno e mezzo, soggiornarono in vari campi per profughi; la madre li raggiunse dopo un
anno dalla fuga dall'Est; il padre la supplicò di rimanere con loro. Il paziente, che allora aveva otto anni,
ricorda le parole che la madre disse al padre in quell'occasione: «Che sia ben chiaro, rimango perì 1
bambino, non per te!». Lui, il bambino, non si era nemmeno reso conto che i genitori avevano
Interazioni, 2, 1993, pp. 11-28
divorziato; lo apprese solo al momento del loro secondo matrimonio.
Fu possibile mettere in contatto il paziente con la sua coazione a ripetere, di carattere nevrotico,
attraverso i paragoni e i parallelismi tra il comportamento dell'amica e quello di sua madre, che aveva
abbandonato lui, ancora bambino, e suo padre. L'amica, anche lei, aveva avuto solo una matrigna e non
aveva potuto provare il «sentimento di sentirsi protetta» e «la sicurezza materna». A lui era capitata
una compagna che lo aveva deluso con il suo comportamento fatto di tradimenti e di abbandoni,
proprio il comportamento di sua madre! Aveva trovato una donna che, a causa delle proprie angosce, era
incapace di tenere unite le parti e che aveva, così, contribuito alla dissoluzione della propria famiglia.
Nei tira e molla della loro relazione, risultava evidente il suo bisogno di aggrapparsi all'oggetto
traumatizzante ed allo stesso tempo il desiderio di risolvere definitivamente il conflitto. Più il paziente
diventava consapevole di quella sua inconscia coazione a ripetere una situazione con una donna che non
poteva amare e che ripeteva una situazione sorprendentemente simile a quella di sua madre, vieppiù
sentiva l'urgenza di capire gli altri aspetti scomodi della sua vicenda: qual era il livello della sua capacità di
legarsi a qualcuno e di amare? Non era, forse, proprio il rimpianto ed il desiderio insoddisfatto di un
oggetto materno affidabile e promettente amore, che lo spingeva e da cui era, ormai, dipendente?
Doveva dunque, piano piano, prendere coscienza dell'importanza dei rapporti interpersonali, in modo da
evitare uno stare insieme regressivo in uno spazio intimo che confonde i limiti tra sé e l'altro.
Il paziente legava la nostalgia per la protezione materna al desiderio di possedere una famiglia
armoniosa. La «ricerca di una famiglia» era la sua meta di vita. È stato possibile desumere che
inconsciamente cercasse donne traditrici che non potessero amarlo: lui, come anche la sua partner, non
aveva vissuto la sua famiglia d'origine come un'unità.
Né nella famiglia della madre né in quella del padre c'era stata la possibilità di identificazioni, di vivere i
nonni come coppia, e di vivere una famiglia come gruppo funzionante che da sicurezza. Ciò si perpetuò, in
modo tragico, nel matrimonio dei genitori. Il paziente non ebbe quasi alcuna possibilità di vedere nella
coppia dei genitori come ci si possa, in modo regressivo, fidare l'uno dell'altro, senza dover temere di
perdere, nei momenti d'intimità, la propria autonomia.
Nell'analisi il signor B. ricordò di essersi sentito investito della responsabilità di salvare il matrimonio dei
genitori, facendosi portavoce (per conto del padre) nella disputa aggressiva con la madre. Non riusciva a
raggiungere il padre impotente. Inoltre, era affascinato dalla sicurezza di sé e dalla dominanza della
madre. Per questa ragione aveva messo, sempre di più, la madre tra sé e il padre, nello stesso modo in
cui aveva temuto, nella situazione analitica, di perdere la partner quale «ammortizza-tore».
Temeva che tra lui e l'analista potesse crearsi qualcosa di «morto», come tra lui e i genitori; reprimeva
qualsiasi impulso aggressivo nei confronti del terapeuta. Così come, una volta, aveva ingoiato (per
salvare il matrimonio dei genitori) l'odio inespresso del padre nei confronti della madre.
L'analisi fu orientata a creare con il paziente un rapporto reciproco vivace. In contrasto con il suo vitale
mondo interno, quest'uomo, così sensibile e vulnerabile, osava mostrare ormai solo raramente il suo
bisogno emozionale. Il suo accomodamento di vita con l'esterno e il suo bisogno di sicurezza lo
proteggevano, ma nello stesso tempo gli impedivano lo «stare insieme»; era dunque diventato un
solitario. Il lavoro analitico, pertanto, doveva concentrarsi su come rendere di nuovo il suo mondo dei
sentimenti più vivo possibile proprio nello stare insieme agli altri.
Lo sviluppo del concetto di una «famiglia interna», segnato da stabilità, sicurc//a e coesione, sembra
possibile soltanto se le identificazioni più significative con le persone di riferimento primarie possono
essere sintetizzate, attraverso un processo di formazione dell'identità, in una configurazione unitaria e
sovraordinata.
Accanto alle identificazioni, che si differenziano a partire dall'interazione diadica tra soggetto e oggetto in
rappresentazioni di sé e dell'oggetto, non si è potuto sviluppare, in questo paziente, nessun concetto
interno stabile di una famiglia. Lo smembramento delle relazioni d'oggetto internalizzate hanno portato a
rappresentazioni familiari tali che si possono riassumere solamente in una identità familiare fragile.
Nonostante la nostalgia per la sicurezza all'interno di una diade in una famiglia, le identificazioni contrastanti
del paziente non hanno permesso la costruzione di una «famiglia interna» emanante fiducia e sicurezza,
che avrebbe potuto dargli quel sentimento della famiglia capace di rendere possibile la sperimentazione
della fiducia e della sicurezza in un rapporto d'amore. Tale sentimento della famiglia è indispensabile per
vivere pienamente tutte le esperienze intime, i conflitti e le angosce implicite nella fondazione di una
potenziale famiglia propria.
Interazioni, 2, 1993, pp. 11-28
Bibliografia
(1)
(2)
(3)
(4)
(5)
(6)
(7)
(8)
(9)
(10)
(11)
(12)
(13)
(14)
(15)
(16)
(17)
(18)
(19)
(20)
(21)
(22)
(23)
(24)
(25)
(26)
(27)
(28)
(29)
(30)
(31)
(32)
(33)
(34)
(35)
Abelin E., The role of the father in the separation-individuation process, in Me Devitt J., Settlage C.
(eds.), Separation-individuation, International Universities Press, New York, 1971, pp. 229-252.
Abelin E., «Some further observations and comments on the earliest on the father», I.J.Psychoanal,
56, 1975, pp. 293-302.
Bauriedl T., Beziehungsanalyse, Suhrkamp, Frankfurt am Main, 1980.
Bauriedl T., Kritik der Triangulierungstheorie, Vortrag gehalten am 22.1.1988 am Institut fuer
Psychotherapie una Psychoanalyse Goettingen, 1988.
Boszormenyi-Nagy I., Spark G.M., Unsichtbare Bindungen, Klett-Cotta, Stutt-gart, 1973.
Bronfenbrenner U., The Ecology of Human Developmen, Harvard U.P., Cam-bridge, 1979.
Buchholz M., «Die rotation der Triade», Forum der Psychoanalyse, 6, 1990, pp. 116-134.
Cierpka M., «Zur Funktion der Grenze in Familien», Familiendynamik, 11, 1986, pp. 307-324.
Cierpka M., Konzeption und Ziele, Cierpka M. (hrsg.), Familiendiagnostik, Springer, Heidelberg,
Berlin, New York, Tokyo, 1987.
Cierpka M., «"Persoenliche Lebensentwuerfe" und familiaerer Kontext», Prax Psychother
Psychosom, 34, 1987, pp. 165-173.
Cierpka M., Zur Diagnostik von Familien mit einem schizophrenen Jugendlichen, Springer,
Herdelberg, Berlin, New York, Tokio, 1990.
Ermann M., «Die Fixierung in der fruehen Triangulierung. Zur Dinamik der Losloesungsprozesse bei
Patienten zwischen Dyade und Oedipuskonstellatio», Forum Psycoanal, 1, 1985, pp. 53-110.
Friedmann L.J., «Current psychoanalytic object relations theory and its clinical implications», Int.J
Psychoanal, 56, 1975, pp. 137-146.
Gap, Psichiatric prevention and the family life cycle, Brunner/Mazel, New York, 1989.
Greenspan S., The second other: the role of the father in early personality formation and the dyadic
phallic phase of development, in Cath S., Gurwitt A., Ross J. (eds.), Father and Child:
Developmental and Clinical Perspectives, Little Blown, Boston. 1982.
Grimm, Deutsches Woerterbuch, 1862.
Jacobson E., Das Selbst und die Welt der Objekte, Suhrkamp, Frankfurt am Main, 1973.
Koehler L., Von der Biologie zur Phantasie. Forschungsbeitraege zum Ver-staendnis der
fruehkindlichen Entwicklung aus den Usa, in Stork J. (hrsg.), Zur Psychologie und Psychopathologie
des Saeuglingsneue Ergebnisse, Frommann-Holzboog, Stuttgart, 1986.
Koehler L., «Neuere Ergebnisse der Kleinkindforschung. Ihre Bedeutung fuer die Psychoanalyse»,
Forum Psychoanal, 6, 1990, pp. 32-51.
Kreppner K., Lerner R.M. (ed.), Family Systems and Life-Span Development, Lawrence Erlbaum
Associates, Hillsdale/NJ, 1989.
Lazar R., «Vorlaeufer der Triangulierung. Die ersten dreidimensionalen Telobjektbeziehungen des
Saeuglings», Forum Psychoanal, 3, 1988, pp. 28-39.
Lidz T., Das menschliche Leben, Die Persoenlichkeitsentwicklung im Leben-szyklus, Suhrkamp,
Frankfurt am Main, 1970
Luescher K., Schultheis F., Wehrspaun M. (hrsg.), Die «postmoderne» Familie, Universitaetsverlag,
Konstanz, 1990.
Mahler M.S., Symbiose und Individuation, Klett-Cotta, Stuttgart, 1972.
Mahler M.S., Pine F., Bergmann A., Die psychische Geburt des Menschen, Fischer, Frankfurt am
Main, 1978 (tr. it., La nascita psicologica del bambino, Boringhieri, Torino, 1978).
Miller J.G., Living System, McGraw-Hill, New York, 1978 (tr. it., La teoria generale dei sistemi
viventi, Angeli, Milano, 19863).
Rotmann M., «Ueber die Bedeutung des Vaters in der "Wiederannaeherungs-Phase"», Psyche, 32,
1978, 1105.
Rotmann M., «Fruehe Triangulierung und Vaterbeziehung. Anmerkungen zur Arbeit von Michael
Ermann: Die Fixierung in der fruehen Triangulierung», Formu Psychoanal, 1, 1986, pp. 308-317.
Rotmann M., Plaedoyer fuer «hinreichend gute» Elternn, in Schultz H. (ed.), Kinder haben?, Kreuz,
Stuttgart, 1986.
Sperling E., Massing A., Reich G., Georgi H., Woebbe-Moenks E., Die Mehrgenerationenfamilientherapie, Vandenhoeck & Ruprecht, Goettingen, 1982.
Stern D., The Interpersonal World ofthe Infant, Basic Books, New York, 1985.
Thomae H., Kaechele H., Lehrbuch der psychoanalytischen Therapie, vol. 1, Grundlagen, Springer,
1985 (tr. it, Trattato di terapia psicoanalitica, Boringhieri, Torino, 1990).
Weber-Kellermann I., Die Familie, Insci, Frankfurt/Main, 1989.
Winnicott D., Reifungsprozesse und foerdernde Umwelt, Kindler Muenchen 1974,.
Yogman M., Observations on the father-infant relationship, in Cath S., Gurwitt A., Ross J. (eds.),
Father and Child-Development and Clinical Perspectives, Little Brown, Boston, 1982.
Traduzione di Ursula Post.
Interazioni, 2, 1993, pp. 11-28