Il Padre nostro nei martiri e nei santi

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Il Padre nostro nei martiri e nei santi
Un argomento al mese su cui riflettere: Maggio 2008
Il Padre nostro nei martiri e nei santi
da “La vita in Cristo e nella Chiesa” – Anno LVII, n°5.
Risalendo ai primi secoli del cristianesimo, a quella che fu chiamata «l'epopea del sangue» in cui la fede cristiana
dovette essere affermata attraverso la prova suprema del martirio, non ci è dato sapere quanti martiri siano entrati
nell'arena per affrontare il sacrificio supremo, recitando o cantando il Padre nostro.
Esistono alcune impressionanti testimonianze nelle «Passio» che sono giunte fino a noi, come quella di Cecilia, martire
romana, e di Perpetua e Felicita, martiri cartaginesi del II secolo, che non lasciano dubbi in proposito.
Perpetua, appartenente a una nobile e facoltosa famiglia, la «Gens Vibia», nei drammatici colloqui con il padre, che
cercò fino all'ultimo di strapparla ai carnefici, e nell'interrogatorio che si svolse nel foro alla presenza del popolo, accenna
più volte al Padre celeste e alla volontà di raggiungere il suo regno, mostrando di conoscere bene il contenuto del Padre
nostro.
Cecilia, durante lo spietato e insidioso processo condotto dal prefetto Almachio, contestando l'obbligo di adorare gli dei
pagani (idoli senza significato e senz'anima), proclama la sua fede in Dio Padre, alla volontà del quale ha dedicato la vita
e che la conforterà in cielo, parafrasando in modo mirabile il contenuto del Padre nostro, la grande preghiera di Gesù.
Giungendo in epoca più recente possiamo renderci conto di quanto il Padre nostro sia stato guida e conforto dei cristiani,
pensando al grande martirio avvenuto a Nagasaki nel 1622. Dopo oltre due secoli infatti, quando un Concordato tra
Francia e Giappone permise ai missionari di tornare in quel paese, essi furono accolti da numerosi cristiani nipponici,
discendenti dai martiri di Nagasaki. Essi rivelarono come i loro antenati, prima del sacrificio supremo, recitassero il Padre
nostro e come la preghiera, tramandata da padre in figlio, fosse stata il loro breviario e la formula sacra per i loro contatti
con Dio.
La preghiera del Signore siglò, in maniera significativa, la religiosità dei credenti durante il Medioevo e il Rinascimento.
Ripercorrendo il cammino verso la santità, compiuto da alcuni santi dell'epoca, troviamo prima di tutto la testimonianza di
san Francesco che, nel momento decisivo della sua conversione, fa del Padre nostro la preghiera a cui appellarsi, il
canto di preparazione a una vita nuova, l'inno di liberazione dal peso delle ricchezze e dai condizionamenti delle cose
terrene. Portato in giudizio dal padre davanti al vescovo di Assisi, dopo essersi spogliato davanti a tutti e messo sulle
vesti il ricavato della vendita di una pezza di stoffa allo scopo di poter riparare la cappella di San Damiano come gli
aveva chiesto il Signore, Francesco disse all'assemblea: «Udite e intendete tutti! Fino ad ora ho chiamato mio padre
Pietro di Bernardone, ma siccome mi sono proposto di servire Dio, gli rendo questa pecunia per la quale ero tanto
turbato e tutti i vestimenti che da lui ho ricevuto, per poter d'ora innanzi dire con più ragione: "Oh! Padre nostro che sei
nei cieli e non più padre Pietro di Bernardone"...». San Francesco compose in seguito un inno come parafrasi del Padre
nostro, noto con il titolo «Laudes Domini», che amava recitare ogni giorno e ogni notte, prima e dopo le ore canoniche e
l'ufficio della Beata Vergine Maria.
Il Padre nostro, come leggiamo nella Leggenda versificata sulla vita di santa Chiara, la prima seguace di san Francesco,
ha alimentato fin dall'infanzia la fede di Chiara. Ella era solita recitare la preghiera aiutandosi, per tenerne conto, con
delle pietruzze annodate insieme. Il Padre nostro divenne poi, come per Francesco, il cardine della sua vocazione.
Nel '400, il secolo in cui il misticismo cristiano divenne più profondo, l'uso di recitare la preghiera era molto diffuso e dal
biografo di Caterina da Siena, Raimondo da Capua, sappiamo che la santa portava sempre con sé una cordicella con
una serie di nodi «che volgarmente chiamano Paternostri» dalla quale un giorno, non avendo altro, staccò una piccola
croce d'argento per donarla a un povero. Caterina, parafrasando il Padre nostro, pregava con le parole: «O dolcissimo
Amore Gesù, fa' che sempre si adempia in noi la volontà tua, come sempre si fa in cielo dagli Angeli e santi tuoi...».
San Bernardino da Siena, concittadino di Caterina, il predicatore più famoso del suo tempo, un giorno, in una delle sue
infuocate prediche nella piazza del campo di Siena, parlando di coloro che si vantavano di tenere in casa delle preziose
reliquie disse: «... Se io vi dicessi: vuoi un bellissimo reliquio, il quale toccò il cuore di Cristo ? Che credi che sia ? È la
parola sua... "Dixit Jesus discipulis suis". Solo questo reliquio è più prezioso che niun altro che tu abbi: Dici il Padre
nostro? Sì? Non è al mondo più bello e più prezioso reliquio imperrocché egli venne dal cuore, dalla bocca e dal corpo di
Cristo». A suor Nicolina, badessa del monastero di Santa Maria, scriveva: «... Aviate riverenza come a cose sagre
massimamente a le parole del Paternostro, che uscirono dal cuore e da la bocca del Figliuolo di Dio».
Nel '500 un altro santo toscano, Filippo Neri, aveva fatto del Padre nostro, la sua frequente giaculatoria e il precetto
principale della sua vita. Con questa preghiera apriva e chiudeva le confessioni e gli incontri con i giovani nell'Oratorio da
lui fondato. Recitando i versetti della preghiera egli accompagnava i gruppi di ragazzi che dopo lo studio, la catechesi, il
canto, uscivano nelle vie di Roma per qualche momento di svago e per la visita alle chiese.
Nello stesso secolo, santa Teresa d'Avila, la riformatrice del Carmelo, seppe penetrare in maniera mirabile lo spirito del
Padre nostro, intorno al quale compose sette delle sue Meditaciones. Teresa considerava la preghiera del Pater uno
slancio ascensionale dei cuori fino al trono del Padre celeste e affermava che: «Si fa più assai con una sola parola del
Pater noster, detta di tanto in tanto di cuore, che col dirlo tutto molte volte in fretta e senza attenzione». Questo anche
per evitare che le consorel le, con le frequenti ripetizioni, smarrissero il senso vivo e profondo della preghiera.
Un'altra santa carmelitana, santa Teresa di Lisieux, fra tutte le preghiere preferiva il Padre nostro, e il 26 aprile del
1891, scrivendo alla sorella Celina per consolarla della perdita del padre, le raccomandava la recita del Padre nostro
come fonte di suprema consolazione dicendole: «Dio ci ha strappato colui che noi amavamo con tanta tenerezza. Non è
il caso di poter dire con verità: "Padre nostro che sei nei cieli?". Quanta consolazione racchiudono queste divine parole!
Quali orizzonti dischiudono ai nostri sguardi!». Nella sua Stona di un'anima afferma: «Quando il mio spirito si trova in
grande aridità da non poter concepire neppure un buon pensiero, recito molto lentamente un Pater noster e un'Ave
Maria, e queste sole preghiere riempiono divinamente l'anima, la saziano e le sono sufficienti».
Ci fu nell'800 un altro grande santo, emulo di san Filippo Neri per quel che riguarda il suo grande impegno
nell'educazione dei giovani, san Giovanni Bosco, che fece del Padre nostro il fulcro della sua dottrina e della sua
attività sociale e caritativa in favore dei poveri e degli emarginati. In una sua biografia si narra che il
Padre nostro gli servì anche per consigliare papa Pio IX, il quale nel 1866 lo aveva ricevuto in udienza, sulla condotta da
tenere nei difficili rapporti sorti in quell'epoca tra Stato e Chiesa. Papa Pio IX gli chiese quale politica avrebbe usato per
superare le molte difficoltà che doveva affrontare. Don Bosco gli rispose: «La mia politica è quella di Vostra Santità: è la
politica del Pater noster. Nel Pater noi supplichiamo ogni giorno che venga il regno del Padre celeste sulla terra, che si
estenda sempre più vivo, sempre più glorioso. "Adveniat regnum tuum". Ecco ciò che importa». Spiegò poi al pontefice il
proprio pensiero che ebbe una grande influenza nel risolvere in maniera positiva, per il bene della Chiesa, la crisi del
momento.
a cura di Sandro Imparato