Murdoch: due pesi e due misure

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Murdoch: due pesi e due misure
Murdoch: due pesi e due misure
Mercoledì 25 Gennaio 2012 00:00
di Mario Braconi
Qualcosa deve essere scattato nella testolina di Rupert Murdoch lo scorso venerdì, mentre
partecipava al Consumer Electronics Show di Los Angeles; è successo proprio durante la
presentazione di Google TV, il servizio del gigante di Mountain View che, grazie ad un piccolo
aggeggio elettronico, consente di vedere contenuti internet direttamente sul televisore del
salotto.
Mentre lo speaker di Google spiegava il modo in cui si può andare a caccia di film e serie TV su
Google TV, il vecchio tycoon ha chiesto quale esito darebbe la ricerca di un film di grande
cassetta su Google TV (c’è chi dice che il titolo proposto fosse “Mission Impossible 4, Ghost
Protocol”, chi invece, forse ironicamente, “I Pirati dei Caraibi”). “Lo stesso che si avrebbe con
una normale query sul motore di ricerca”, è stata la risposta. Murdoch incalza l'interlocutore:
“Google suggerirebbe anche link a siti che contengono materiale piratato?”. La risposta è stata
la peggiore che si potesse immaginare: “Certamente, a meno che i siti non siano stati rimossi
dai risultati di ricerca [in seguito ad un ordine dell’autorità giudiziaria]”.
Sembra che a quel punto il disappunto di Murdoch sia stato evidente. Non solo: la sua rabbia e
frustrazione hanno continuato a defluire attraverso Twitter, dove si è espresso con la
delicatezza e la diplomazia che contraddistinguono da sempre il personaggio: “Google è il re
della pirateria, trasmette streaming gratuito di film e fa i soldi con la pubblicità: non c’è da
meravigliarsi del fatto che investa milioni in attività di lobby”.
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Non che sia troppo da stupirsi: da sempre i rapporti tra Google e il Citizen Caine dei nostri giorni
sono tesi. Nel 2009, per dire, Murdoch dichiarò: “L’intero modello Google è basato sulla slealtà
digitale. Tutto quello che fanno è il risultato di slealtà nei confronti dei creatori [di contenuti].” La
polemica, allora, era causata dal fatto che Google, al pari di alcuni importanti siti che fungono
anche da aggregatori (come The Drudge Report e The Huffington Post), genera una quantità
formidabile di contatti sui siti di news, che però non producono entrate finanziarie per i
destinatari. Un po' come avere un predicatore formidabile che riempie la chiesa, ma che non fa
guadagnare un centesimo al prevosto... E’ questo il delitto più grande, almeno dal punto di vista
del nostro formidabile Paperon de’ Paperoni degli antipodi, il quale non ha caso controlla due
grandi giornali (il britannico
The Times
e l’americano
Wall Street Journal
), ai cui articoli online di accede solamente dopo aver sganciato dei soldi.
Ovviamente, la natura della relazione tra editori tradizionali e Google è complessa ed
ambivalente: Murdoch potrà anche mangiarsi il fegato perché Mountain View non gli consente
di spremere ogni dollaro / euro / sterlina possibile dai suoi potenziali clienti (anzi, magari gliene
prende qualche centesimo). Eppure è difficile snobbare un attore così potente, ubiquo
(“atmosferico”, scrive Anthony Wing Kosner su Forbes). Non a caso, sbollita la rabbia, il
cinguettio successivo appare meno emotivo: “Google è una bella società che fa un mucchio di
cose interessanti. Ho solo una lamentela, però importante”.
Come osserva Kosner, internet ha dimostrato il fallimento del modello economico basato su
“comando e controllo”, che peraltro traspare con chiarezza dalle assurde proposte di legge
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contro la pirateria online attualmente allo studio presso le due camere del Congresso USA. La
cosa ironica, però, è che “molti di coloro che sostengono lo Stop Online Piracy Act sono fieri
sostenitori dei mercati totalmente liberi, almeno finché non siano a rischio i loro interessi
particolari”.
Ed effettivamente Murdoch è tra i più convinti sostenitori dei due progetti di legge in corso di
esame al Senato alla Camera dei Rappresentanti degli Stati Uniti d’America (noti come PIPA e
SOPA): si tratta di bozze (mal) scritte sotto la dettatura delle major, che, oltre a dimostrare
un'invincibile ignoranza dei meccanismi dell'economia digitale (non risolvono infatti la questione
della pirateria online), rappresentano una concreta minaccia alle libertà civili negli USA e nel
mondo.
Secondo quanto risulta allo Huffington Post (non certo tenero con il magnate australiano, che
con buone ragioni considera una reale minaccia alla libertà e alla democrazia globali) l’anziano
tycoon avrebbe fatto attività di lobbying per sostenere entrambi i progetti di legge; di più,
avrebbe perfino incontrato personalmente Mitch McConnell il Minority Leader repubblicano al
Senato, estensore di un indirizzo di buon senso, con cui ha chiesto alla maggioranza al Senato
di “riconsiderare la sua decisione di andare avanti con questa proposta di legge”, a causa della
sua problematicità.
Nel frattempo, lo scorso giovedì la filiale britannica della News Corp ha dato il via ad una prima
serie di rimborsi alle vittime della sorveglianza illegale subita per anni per mani di giornalisti
delle testate popolari che facevano capo al gruppo di Murdoch (The Sun e News Of The World,
che ha chiuso lo scorso luglio proprio a causa dello scandalo). Se il denaro ha cominciato a
defluire dai forzieri di Rupert il significato è uno solo: come spiega un comunicato della stessa
News Corp, “la società ammette che i manager e dirigenti della NGN (che controllava
News of The World
, oltre che al blasonato
The Times ndr)
erano a conoscenza degli illeciti commessi dai loro sottoposti e che essi hanno tentato di
nasconderli ingannando deliberatamente gli investigatori e distruggendo prove”.
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