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LEZIONE
“RICERCA EMPIRICA IN AMBITO EPIDEMIOLOGICO
(TERZA PARTE)”
PROF. PAOLO PASETTI
Università Telematica Pegaso
Ricerca empirica in ambito epidemiologico
Indice
1
2
Lo studio di coorte ----------------------------------------------------------------------------------------- 3
1.1.
Quando sono particolarmente indicati gli studi di coorte? -------------------------------------- 4
1.2.
Coorti fisse e coorti dinamiche ---------------------------------------------------------------------- 4
1.3.
Studi di coorte prospettici, retrospettivi, ambispettici ------------------------------------------- 5
1.4.
La misura di associazione: il Rapporto di Rischio ----------------------------------------------- 5
1.5.
Gli studi di coorte: punti di forza e limiti ---------------------------------------------------------- 6
1.6.
Studi di coorte: un esempio -------------------------------------------------------------------------- 7
Osservazioni riassuntive sugli studi osservazionali ------------------------------------------------- 9
2.1 Condizioni di applicabilità degli studi osservazionali ---------------------------------------------- 9
2.2 Vantaggi e svantaggi dei tipi di studio osservazionale in termini operativi ------------------- 10
3
La causalità in epidemiologia ------------------------------------------------------------------------- 11
3.1 Il postulati di Henle-Koch ---------------------------------------------------------------------------- 11
3.2 I criteri di Bradford Hill ------------------------------------------------------------------------------- 12
4
Confondimento e modificazione di effetto ---------------------------------------------------------- 15
4.1 Il confondimento --------------------------------------------------------------------------------------- 15
4.2 Il confondimento: un esempio ------------------------------------------------------------------------ 16
4.3 Strategie per il controllo del confondimento ------------------------------------------------------- 18
4.4 Controllo in fase di disegno: restrizione ------------------------------------------------------------ 19
4.5 Controllo in fase di disegno: appaiamento --------------------------------------------------------- 19
4.6 Controllo in fase di disegno: randomizzazione ---------------------------------------------------- 20
4.7 Controllo in fase di analisi: stratificazione --------------------------------------------------------- 20
4.8 Controllo in fase di analisi: stima da modelli statistici multivariati ---------------------------- 21
4.9 La modificazione di effetto (o interazione)--------------------------------------------------------- 21
Bibliografia ------------------------------------------------------------------------------------------------------ 23
Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente
vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore
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Ricerca empirica in ambito epidemiologico
1 Lo studio di coorte
Tra gli studi osservazionali, lo studio di coorte è considerato il più valido, quello che si
avvicina di più al valore esplicativo assicurato dagli studi di tipo sperimentale.
In uno studio di coorte (detto anche di follow-up) un certo gruppo di persone (gruppo che
può anche coincidere con l‟intera popolazione di riferimento) viene seguito nel tempo, a partire da
un certo istante (ad esempio, oggi); è pertanto uno studio di tipo longitudinale, cioè fa riferimento
a ciò che accade durante un determinato intervallo di tempo, e non in un certo istante di tempo. In
tal senso, lo studio di coorte, tipico esempio di studio longitudinale, si contrappone agli studi di tipo
trasversale, quali sono, ad esempio, gli studi di prevalenza che abbiamo trattato nella precedente
unità didattica.
Sul gruppo di persone sottoposte ad osservazione, viene valutata, nell‟istante di partenza
dello studio (ad esempio, oggi), l‟esposizione a uno o più fattori di rischio. Tale valutazione può
avvenire con varie modalità: utilizzo di questionari, markers biologici, fonti informative secondarie,
documentazione esistente, ecc.. La esposizione al/ai fattori di rischio che può anche essere modulata
in classi (dai meno esposti ai più esposti).
L‟unica condizione, assolutamente imprescindibile per uno studio di coorte, è che la coorte
in studio deve essere composta esclusivamente di soggetti sani (rispetto alla malattia che si vuole
studiare nello studio di coorte stesso, o rispetto a malattie fortemente associate a quest‟ultima); in
altri termini, nella coorte in studio deve essere verificata in modo assoluto la totale assenza della
malattia.
Successivamente alla verifica della totale assenza di malattia nella coorte, il ricercatore
deve stabilire un certo periodo di osservazione, durante il quale verrà osservato, nella coorte stessa,
l‟outcome di interesse dello studio (che può essere vario: l‟occorrenza di una o più malattie, ma
anche un certo esito sanitario, il decesso dovuto alla malattia studiata, ecc.).
Grazie a tale osservazione, sarà possibile calcolare, in modo molto preciso, il tasso di
incidenza della malattia, il rischio di malattia (incidenza cumulativa), e anche misure
epidemiologiche di associazione, come il Rapporto di Rischio tra esposti e non esposti.
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1.1.
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Quando sono particolarmente indicati gli studi di coorte?
Gli studi di coorte sono particolarmente efficaci quando la malattia ha una incidenza
abbastanza alta, ma l‟esposizione che si vuole studiare è rara, o comunque poco frequente nella
popolazione.
Se, infatti, avessimo pochissime persone esposte a un certo fattore di rischio, risulterebbe
molto difficile condurre uno studio caso-controllo, perché si correrebbe il rischio di non reperire
nessuna persona esposta al fattore di rischio in studio (o pochissime), e, pertanto, di trovarsi
nell‟impossibilità di calcolare l‟OR.
Si noti che la proprietà appena esposta degli studi di coorte configura una situazione
esattamente contraria a quanto invece accadeva relativamente agli studi caso-controllo, i quali,
come abbiamo visto nella precedente dispensa, sono invece particolarmente adatti per studiare
malattie molto rare, ma per le quali la esposizione al/ai fattori di rischio è relativamente frequente.
Al contrario, gli studi di coorte non sono adatti per studiare malattie a bassissima incidenza,
perché, seguendo il follow-up della coorte di partenza, si correrebbe il rischio di aspettare anche
anni per avere un solo caso di malattia. Una caratteristica particolarmente importante degli studi di
coorte, che contribuisce a renderli particolarmente esplicativi, consiste nel fatto che la direzione
temporale dello studio è la stessa percorsa dalla storia naturale della malattia in studio.
1.2.
Coorti fisse e coorti dinamiche
In uno studio di coorte, la coorte di interesse può essere:
-
coorte fissa: se viene scelta all‟inizio del periodo di osservazione, e non
cambia più (un classico esempio di coorte fissa è quella degli operai esposti a CVM in un
certo stabilimento: questi ultimi vengono reclutati a un certo istante, e per tutto lo studio la
coorte non cambia più);
-
coorte dinamica: si ha quando la coorte è una popolazione che ha
caratteristiche “naturali”, e che è pertanto caratterizzata da una sua normale dinamica (nati,
morti, immigrati, emigrati); in questo caso la coorte, durante il periodo di osservazione, è
sottoposta a continui cambiamenti (ad esempio, la coorte dei residenti, esposti a
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inquinamento atmosferico, in un certo quartiere), dei quali, nello studio, il ricercatore dovrà
tenere conto.
1.3.
Studi di coorte prospettici, retrospettivi, ambispettici
Relativamente all‟intervallo di tempo, longitudinale, al quale fanno riferimento, gli studi di
coorte possono essere:
-
prospettici: se lo studio si svolge “nel futuro”, a partire da un certo istante
identificato quale “punto di partenza” dello studio, per un certo periodo (anche molto lungo)
di osservazione;
-
retrospettivi o storici: se lo studio si svolge nel passato, ripercorrendo una
storia naturale di malattia (a partire da un certo istante) già avvenuta, e con esiti già noti;
-
ambispettici: se l‟osservazione ha il suo punto di inizio nel passato, ma tutti o
alcuni degli esiti sanitari devono ancora accadere, e verranno osservati, per un certo periodo,
anche nel futuro.
1.4.
La misura di associazione: il Rapporto di Rischio
Al termine di uno studio di coorte si possono ricavare i tassi di incidenza di malattia, sia
degli esposti che dei non esposti. Analogamente, da uno studio di coorte si possono ricavare le
incidenze cumulative (o rischi), sia degli esposti che dei non esposti. Di conseguenza, è possibile
calcolare in modo preciso il Rapporto di Rischio (RR, detto anche Rischio Relativo), che costituisce
la misura di associazione tipica fornita da uno studio di coorte.
In termini riassuntivi, il procedimento che viene attuato in uno studio di coorte si può
schematizzare nella tabella che segue.
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1.5.
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Gli studi di coorte: punti di forza e limiti
Punti di forza
-
Tra gli studi osservazionali, lo studio di coorte è il più valido in termini di
“forza” esplicativa, ed è quello che si avvicina di più alle caratteristiche degli studi
sperimentali;
-
Tra gli studi osservazionali, è l‟unico in cui è possibile la stima diretta dei
tassi di incidenza e/o dei rischi, sia degli esposti, sia dei non esposti, sia dell‟intera
popolazione in studio;
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-
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La direzione dello studio è la stessa della storia naturale della malattia:
pertanto, l‟individuazione del nesso causale è certa;
-
È noto in partenza lo stato dell‟esposizione della coorte; pertanto, l‟essere a
conoscenza degli esiti di malattia (cosa che accade, ad esempio, negli studi caso-controllo)
non può in alcun modo influenzare il modo in cui è classificata l‟esposizione;
-
Nel corso dello svolgimento di uno studio di coorte, è possibile identificare
con facilità anche altri esiti sanitari (altre malattie, o più in generale altri stati), oltre a quelli
inizialmente ipotizzati nella progettazione dello studio;
-
Gli studi di coorte sono molto efficienti nel caso di esposizione rara al fattore
di rischio in studio (situazione, quest‟ultima, che invece renderebbe molto difficile effettuare
uno studio caso-controllo).
Limiti
-
Quale immediata conseguenza della loro durata e complessità, gli studi di
coorte sono molto costosi; in particolare, gli studi di coorte prospettici sono estremamente
costosi;
-
Per loro stessa natura (lunga durata), gli studi di coorte prospettici non sono
tempestivi, e pertanto non sono assolutamente adatti nel caso in cui si intenda utilizzarne i
risultati a fini decisionali o di programmazione di politiche sanitarie e/o preventive;
-
Non sono efficienti quando l’esito sanitario nella popolazione è raro (l‟attesa
di tale esito necessiterebbe di un periodo di follow-up eccessivamente lungo);
-
Per lo stesso motivo (tempo di attesa troppo lungo), non sono efficienti
quanto il periodo di latenza tra esposizione e insorgenza di malattia è molto lungo.
1.6.
Studi di coorte: un esempio
Alcuni ricercatori italiani erano interessati a valutare l‟incidenza del mesotelioma della
pleura non solo tra persone esposte professionalmente all‟amianto, ma anche tra persone
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semplicemente residenti nelle vicinanze di un impianto industriale in cui si lavorava l‟amianto.
Questi ricercatori
[Magnani e altri (1995)1], con uno studio di coorte, hanno studiato la relazione tra
l‟incidenza del mesotelioma della pleura e la residenza a meno di 1 km di distanza dallo
stabilimento “Eternit” di Casale Monferrato, Piemonte (non lavoratori, quindi, ma “semplicemente”
persone residenti nelle vicinanze dell‟impianto “Eternit”).
Lo studio di coorte ha permesso di calcolare, per le persone che risiedevano a meno di 1 km
dall‟impianto “Eternit” (che lo studio considerava esposti al fattore di rischio), rispetto a coloro che
risiedevano a oltre 1 km (che lo studio considerava non esposti), un Rapporto di Rischio pari a 6,6 [
RR= 6,6, con IC 95% compreso tra 4,1 e 11,0]. Questo significa che il rischio di ammalare di
mesotelioma pleurico, per le persone che abitavano nelle vicinanze dell‟impianto, era di oltre 6
volte e mezza più grande rispetto alle persone che non abitavano nelle vicinanze dell‟impianto
stesso.
1
Magnani C., Terracini B., Ivaldi C., Botta M., Mancini A., Andrion A., Pleural malignant mesothelioma and nonoccupational exposure to asbestos in Casale Monferrato, Italy. Occupational and Environmental Medicine, 1995; 52:
362–7
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2 Osservazioni riassuntive sugli studi
osservazionali
Dopo aver terminato questa lunga carrellata sui principali tipi di studi epidemiologici
osservazionali, nelle tabelle che seguono riportiamo, in relazione, rispettivamente, alle condizioni di
applicabilità (a seconda delle diverse problematiche di ricerca) e ai vantaggi o svantaggi in termini
operativi dei vari tipi di studio. L‟osservazione di queste due tabelle può anche essere di aiuto per
riassumere i concetti fin qui delineati sui vari tipi di studi epidemiologici.
2.1
Condizioni di applicabilità degli studi osservazionali
Nella tabella che segue, il giudizio sulla applicabilità dei vari tipi di studio varia tra:
+ = applicabilità minima;
+ + + + + = applicabilità massima.
Ecologico
Prevalenza
CasoControllo
Coorte
Indagine su malattia rara
++++
NO
+++++
NO
Indagine su causa rara
++
NO
NO
+++++
Valutazione di effetti multipli
della esposizione
+
++
NO
+++++
Studio di esposizioni
determinanti multipli
e
++
++
++++
+++
della
++
NO
NO ( )
+++++
Indagine con lunghi periodi
di latenza
NO
NO
+++
NO
Individuazione
relazione temporale
2
2
Con la sola eccezione degli studi caso-controllo di tipo prospettico
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2.2
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Vantaggi e svantaggi dei tipi di studio osservazionale in termini operativi
La tabella che segue fa riferimento ai più comuni “inconvenienti” (dalle possibili fonti di
distorsione, ai tempi di esecuzione, ai costi, ecc.) associati ai diversi tipi di studio, e suggerisce
quale fra i diversi tipi di studio può essere più adatto per superare tali inconvenienti, o almeno per
minimizzarne gli effetti negativi.
Ecologico
Prevalenza
CasoControllo
Coorte
NON
APPLICABILE
Medio
Alto
Basso
NON
APPLICABILE
Alto
Alto
Basso
NON
APPLICABILE
NON
APPLICABILE
Basso
Alto
Confondimento
Alto
Medio
Medio
Basso
Tempo
richiesto
Basso
Medio
Medio
Alto
Costi
Basso
Medio
Medio
Alto
Probabilità di:
Bias
selezione
Recall bias
Perdita
follow-up
di
3
al
3
Talvolta detto anche “bias di richiamo” o “effetto telescopico”, è legato alla imprecisione del ricordo dei rispondenti
relativamente a eventi accaduti nel passato (esposizione al fattore di rischio). Il risultato di questo effetto di distorsione
è una stima distorta dell‟esposizione.
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3 La causalità in epidemiologia
Si può tranquillamente affermare che il tentativo di stabilire un nesso causale tra esposizione
a un certo fattore di rischio e sviluppo di una malattia costituisce il nucleo tematico principale
dell‟epidemiologia. Fino alla prima metà del secolo scorso, in medicina, e di conseguenza in
epidemiologia, era predominante il cosiddetto paradigma “infettivo”. Secondo tale paradigma,
l‟agente causale di una certa malattia (ad esempio: il colera) era uno e uno solo, e non ve ne erano
altri (nel caso del colera, il vibrione); pertanto, la relazione tra agente e malattia era perfettamente
biunivoca: niente agente uguale niente malattia, e viceversa (niente malattia uguale niente agente).
Secondo il paradigma “infettivo”, inoltre, la relazione era di tipo deterministico: l‟agente
infettivo causava sempre e comunque (con probabilità 100%) la malattia, e non poteva non causarla.
Dalla seconda metà del „900, entrambi questi aspetti sono entrati in crisi, soprattutto in seguito allo
sviluppo dell‟epidemiologia delle malattie degenerative.
3.1
Il postulati di Henle-Koch
Fino alla prima metà del „900, i criteri per stabilire l‟esistenza di un nesso causale tra un
agente patogeno (un microrganismo) e l‟insorgenza di una malattia, universalmente accettati
all‟interno della comunità scientifica, erano i cosiddetti postulati di Henle-Koch:
1) l‟agente infettivo deve essere presente in tutti i malati;
2) l‟agente infettivo deve essere assente nei sani;
3) la relazione con la malattia è riproducibile negli animali da esperimento.
Ad una analisti attenta, risulta evidente come questi criteri (tranne quello riguardante la
riproducibilità della malattia negli animali da esperimento, che conserva anche oggi la sua validità)
siano oggi obsoleti, e del tutto inapplicabili quando si esca dal ristretto contesto delle malattie
infettive, per due principali motivi:
1) nelle malattie degenerative, il paradigma causale è oggi multifattoriale: non è un solo
fattore di rischio a causare la malattia, ma più fattori presenti contemporaneamente e/o accumulatisi
nel tempo, che molto spesso interagiscono tra loro (es. fumo e alcool, per il tumore dell‟esofago,
hanno una forte interazione);
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2) la relazione causale non è deterministica, ma probabilistica: se una persona è un forte
fumatore per oltre 40 anni non necessariamente svilupperà un tumore del polmone, ma la
probabilità (il rischio) che ciò avvenga aumenta moltissimo, almeno rispetto a una persona che non
ha mai fumato.
3.2
I criteri di Bradford Hill
Oggi, i criteri-guida che ci permettono di stabilire l‟esistenza di una relazione causale sono
quelli indicati nel 1965 da Austin Bradford Hill; li vediamo schematicamente nel seguito. È
importante sottolineare, in via preliminare alla loro elencazione, che i cosiddetti “criteri di Bradford
Hill” vanno sempre intesi come elementi di “rinforzo” (“di corroborazione” avrebbe detto K.R.
Popper) rispetto alla presenza di una relazione di tipo causale tra gli eventi, e non devono mai essere
intesi quali condizioni che devono necessariamente essere presenti perché si abbia un nesso causale.
Semplicemente, se talune condizioni non sono presenti, questo non significa che il nesso causale
non sussista, ma soltanto che la sua “forza” è meno evidente.
3.2.1 Criterio 1: forza dell’associazione
Se l‟associazione tra esposizione al/ai fattori di rischio ed esito di malattia (o altro esito
sanitario) è molto intensa, è molto meno probabile che essa sia dovuta a fattori confondenti o ad
altri fattori di distorsione. Se così fosse, inoltre, l‟individuazione del forte fattore confondente (che,
appunto, avrebbe anch‟esso una forte intensità) sarebbe piuttosto facile.
Ad esempio, per quanto riguarda la relazione tra fumo di tabacco e tumore del polmone:
sappiamo che il Rapporto di Rischio tra fumatori + ex-fumatori nei confronti di chi non ha mani
fumato nel corso della vita è di circa 12-13 volte. Una relazione di tale intensità risulta
estremamente difficile da attribuire a fattori confondenti o casuali.
3.2.2 Criterio 2: relazione dose-risposta
Se, come spesso accade, si nota che, all‟aumentare della dose di esposizione a uno o più
fattori di rischio, aumenta anche proporzionalmente il livello di insorgenza della malattia
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(incidenza), ciò corrobora fortemente la possibilità dell‟esistenza di un nesso causale tra esposizione
e malattia.
È importante sottolineare, come già accennato sopra, che una precisa relazione dose-risposta
potrebbe anche non esserci, ed essere comunque presente una relazione causale.
Ad esempio, per quanto riguarda la relazione tra fumo di tabacco e tumore del polmone, è
noto che gli anni di fumo nel corso della vita e (in alternativa o in aggiunta) la quantità di sigarette
fumate pro die aumentano notevolmente il rischio di tumore del polmone, rispetto a chi ha fumato
poche sigarette al giorno e/o per pochi anni nel corso della vita.
3.2.3 Criterio 3: sequenza temporale
La causa (l‟esposizione a uno o più fattori di rischio) deve sempre precedere l‟effetto
(l‟insorgenza della malattia o dell‟evento sanitario). Quasi sempre, tra fattore/i di rischio e malattia
deve trascorrere un intervallo di tempo più o meno lungo. L‟intervallo di tempo che intercorre tra i
due eventi è quello che, sulla base delle conoscenze scientifiche, è considerato sufficiente allo
svolgersi del processo patogenetico. Ad esempio, il tumore del polmone ha un periodo di latenza,
rispetto all‟esposizione più o meno intensa al fumo di sigaretta, di circa 25-30 anni.
3.2.4 Criterio 4: riproducibilità del risultato
Se il nesso causale, tra esposizione e malattia, che è stato individuato in un determinato
contesto viene trovato anche da altri ricercatori, in popolazioni diverse, in contesti diversi, con
disegni e/o metodi di studio diversi, ciò corrobora fortemente l‟esistenza del nesso causale.
Ad esempio, tutti gli studi, in tutte le popolazioni del mondo, con disegni di studio diversi,
svolti in epoche diverse, hanno evidenziato la relazione causale tra esposizione a fumo di sigaretta
e tumore del polmone.
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3.2.5 Criterio 5: plausibilità biologica dell’ipotesi eziologica
Il nesso causale risulta essere più verosimile e più forte se esiste un meccanismo biologico
sottostante, già noto, che è plausibile con il nesso stesso. Per tornare al nostro usuale esempio, la
relazione tra fumo di tabacco e tumore del polmone è stata confermata da studi sperimentali su
animali da laboratorio.
3.2.6 Criterio 6: coerenza interna dei risultati
I risultati devono essere coerenti con il risultato “principale” anche in particolari sottogruppi
(ad esempio, uomini versus donne, diverse classi di età, diversi gruppi etnici, ecc.); se si dovessero
riscontrare incoerenze nei diversi sottogruppi, queste ultime dovrebbero avere una plausibile
spiegazione biologica. Ad esempio, il nesso tra fumo di sigaretta e tumore del polmone è stato
riscontrato in tutti i possibili sottogruppi: non vi sono differenze etniche, non vi sono differenze tra
uomini e donne (se non per il fatto che la “dose” di fumo assunta può essere diversa), ecc.
3.2.7 Criterio 7: specificità dell’associazione
Se una associazione causale è specifica, ovvero una certa, particolare esposizione determina
una particolare patologia, questo contribuisce molto a rafforzare il nesso causale.
Ad esempio, il mesotelioma della pleura ha come causa praticamente esclusiva
l‟esposizione, lavorativa e/o ambientale, alle fibre di amianto. Per quanto riguarda il mesotelioma
della pleura, ci si avvicina quasi a uno dei postulati “infettivologici” di Henle-Koch: laddove c‟è
amianto, c‟è (quasi sempre) mesotelioma della pleura, laddove c‟è mesotelioma della pleura, c‟è, o
meglio ancora c‟è stato (il tempo di latenza di questa malattia varia tra i 30 e i 40 anni) amianto.
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4 Confondimento e modificazione di effetto
4.1
Il confondimento
Abbiamo già accennato al fenomeno del confondimento nell‟ambito degli studi caso-
controllo. I “fattori confondenti”, di cui parleremo ora in termini più generali, non sono certo
presenti soltanto negli studi caso-controllo, ma sono generalmente (o, almeno, possono essere)
presenti in tutte le relazioni di tipo causale, a prescindere dal tipo di studio epidemiologico
osservazionale è stato condotto.
Vediamo ora quali devono essere le caratteristiche affinché un certo fenomeno osservato,
che chiameremo fattore di confondimento o fattore confondente ( C ), sia appunto da considerare
tale. Il fattore di confondimento ( C ) deve essere:
-
una causa della malattia (o, più in generale, dell‟evento sanitario, E);
-
associato statisticamente al determinante della malattia in studio (D).
È importante, a questo proposito, sottolineare il fatto che, generalmente,
si ritiene
confondente un certo fattore, ma solo relativamente allo studio che si sta conducendo mentre, in
senso assoluto, quello che noi stiamo considerando “confondente” è anche a tutti gli effetti un
determinante della malattia (e talvolta può essere anche il principale determinante): soltanto, in
questo momento noi stiamo studiando un altro (o altri) determinante/i, e dobbiamo separare
nettamente il modo di considerare i due fattori di rischio in gioco. Ad esempio, se noi vogliamo
studiare la relazione esistente tra inquinamento atmosferico e tumore del polmone, saremo
“costretti” a considerare quale “confondente” il fumo di sigaretta dei soggetti interessati, anche se
sappiamo bene che circa il 90% dei casi di carcinoma polmonare sono attribuibili al fumo di
sigaretta.
In termini schematici, le relazioni causali che legano evento di malattia (E), determinante di
malattia (D) e fattore di confondimento ( C ) sono quelle tracciate sinteticamente nel seguente
grafico:
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D
E
C
4.2
Il confondimento: un esempio
Il concetto di confondimento può essere reso più chiaro facendo ricorso a un esempio
(basato su dati fittizi).
Supponiamo di avere effettuato uno studio caso-controllo, su 250 persone con cancro al
pancreas (casi) e 1750 persone sane (controlli). Nella tabella che segue tabella è evidenziata la
relazione tra insorgenza di cancro del pancreas e consumo di caffè.
TUTTI
Caffè
OR
Cancro
Sì
No
Totale
Sì
200
50
250
No
800
950
1750
Totale
1000
1000
2000
4,7
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vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore
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Come si può notare osservando la tabella, è stato calcolato un OR pari a 4,7 a svantaggio dei
consumatori di caffè, evidenziando così una (almeno apparente) forte relazione tra cancro al
pancreas e consumo di caffè.
Tuttavia, ai ricercatori è noto che i forti consumatori di caffè hanno una propensione
maggiore ad essere anche forti fumatori: è pertanto possibile che la vera relazione causale sia non
tra cancro del pancreas e caffè (fattore confondente), ma tra cancro del pancreas e fumo di sigaretta
(vero determinante della malattia).
Un ottimo modo per verificare questa possibilità è fare una analisi stratificata dei dati,
scorporando i dati visti sopra in due parti: quelli relativi ai fumatori e quelli relativi ai non fumatori:
SOLO
FUMA=
TORI
(900)
Caffè
OR
NON
FUMA=
TORI
(1100)
Caffè
Cancro
Sì
No
Totale
Sì
194
24
No
606
Totale
800
OR
1,0
Cancro
Sì
No
Totale
218
Sì
6
26
32
76
682
No
194
874
1068
100
900
Totale
200
900
1100
1,0
Osservando comparativamente le due tabelle, notiamo che in entrambe l‟OR è ora pari a 1,
cioè: il rischio di sviluppare il tumore del pancreas per chi consuma caffè è esattamente identico a
quello di chi non consuma caffè.
Non vi è pertanto, nella realtà, alcuna relazione tra caffè e tumore del pancreas:
semplicemente, il consumo di caffè nascondeva (cioè “confondeva”) la variabile che era veramente
associata con il tumore del pancreas, e cioè il fumo di sigaretta.
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Se, infatti, costruiamo la “vera” tabella, nella quale consideriamo il “vero” determinante
della malattia, cioè il fumo di sigaretta, possiamo osservare un aumento di rischio molto forte legato
al fumo di sigaretta (OR=10,7).
TUTTI
Fumo
OR
Cancro
Sì
No
Totale
Sì
218
32
250
No
682
1068
1750
Totale
900
1100
2000
10,7
In conclusione, va sottolineato ancora una volta il fatto che l‟esempio appena visto era del
tutto fittizio. Nella “vita reale” non succede praticamente mai che un confondente “occulti”
totalmente il determinante reale, e che non abbia assolutamente niente a che vedere con l‟esito di
malattia. Ciò che solitamente accade è, invece, che il determinante “in studio” e il confondente si
dividano tra loro, in parti che possono essere le più varie, il nesso causale con la malattia. Ciò che
conta è su quale fenomeno è centrato l‟interesse del ricercatore. Abbiamo già fatto l‟esempio della
catena inquinamento atmosferico-fumo di sigaretta- tumore del polmone: anche se il fumo di
sigaretta causa per il 90% la malattia, se il nostro interesse si appunta sull‟inquinamento
atmosferico dobbiamo considerare il fumo come confondente.
4.3
Strategie per il controllo del confondimento
Il confondimento può essere positivo quando, come nell‟esempio appena visto, determina
una sovrastima del rischio reale (che, nell‟esempio fittizio, era addirittura inesistente), oppure
negativo, quando determina una sottostima del rischio reale.
Esistono diverse strategie per controllare il confondimento, che possono essere adottate
nelle varie fasi dello studio: in fase di disegno dello studio, oppure in fase di analisi dello studio:
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-
in fase di disegno: restrizione, appaiamento, randomizzazione;
-
in fase di analisi: stratificazione, standardizzazione, aggiustamento tramite
l‟uso di modelli statistici multivariati.
4.4
Controllo in fase di disegno: restrizione
È il modo più semplice di controllare il confondimento. Per sua stessa natura comporta,
però, una perdita notevole di informazioni. Consiste nello svolgere lo studio soltanto su un
sottoinsieme della popolazione realmente interessata, sottoinsieme per il quale sappiamo che il
fattore di confondimento non ha alcun effetto.
Ad esempio, in uno studio sui determinanti ambientali del tumore del polmone, possiamo
effettuare lo studio soltanto sui non fumatori, eliminando così alla radice l‟effetto confondente del
fumo di sigaretta.
4.5
Controllo in fase di disegno: appaiamento
Sulle tecniche di appaiamento ci siamo già soffermati parlando degli studi caso-controllo,
ambito nel quale sono maggiormente diffuse. Le tecniche di appaiamento, tuttavia, possono essere
applicate in tutti i tipi di studio.
L‟appaiamento può essere individuale: in questo caso, due esposti al fattore di rischio
(tipicamente, negli studi caso-controllo, un caso e un controllo) devono essere scelti in modo tale da
essere identici relativamente al confondente individuato. Ad esempio, devono avere la stessa età,
oppure lo stesso sesso, oppure essere entrambi non fumatori, ecc. L‟appaiamento individuale,
proprio per la difficoltà di reperimento di soggetti identici relativamente al confondente, non è
molto diffuso.
Più diffuso è, invece, l‟appaiamento di frequenza. In questo caso, la distribuzione del fattore
di confondimento deve essere mantenuta identica in entrambi in ciascuno dei gruppi in studio (casi
e controlli, malati e non malati, ecc.). Ad esempio, in uno studio caso-controllo, nel momento in cui
si effettua il campionamento dei controlli, si fa sì che il campione dei controlli rispetti le
proporzioni (frequenze) del/dei fattori di confondimento presenti nei casi; ad esempio: stesse
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proporzioni, sia tra i casi che tra i controlli, per quanto riguarda sesso, classi di età, condizione di
fumatore, ecc.
Non sempre è possibile ricorrere all‟appaiamento (l‟appaiamento, ad esempio, è piuttosto
difficoltoso negli studi di coorte: è costoso, e spesso le informazioni sui possibili confondenti non
sono disponibili.
4.6
Controllo in fase di disegno: randomizzazione
Per completezza citiamo, tra le strategie di controllo del confondimento, anche la
randomizzazione. Quest‟ultima, che sarebbe la migliore tra le tecniche di controllo del
confondimento, è applicabile soltanto negli studi sperimentali, e pertanto esula dal campo degli
studi osservazionali.
Il fattore di rischio (o il trattamento in generale) viene somministrato casualmente ai
soggetti.
In questo modo, gli effetti di eventuali confondenti, essendo completamente “rimescolati”
dall‟azione del caso, sono completamente annullati.
4.7
Controllo in fase di analisi: stratificazione
Si analizza la relazione esposizione-malattia entro strati omogenei per valori del fattore di
confondimento (ad esempio, entro classi di età).
In questo modo, se la stratificazione è corretta e sufficientemente fine, l‟effetto del fattore
confondente è annullato (ad esempio, in uno studio caso-controllo, si ha che tutti gli OR stratospecifici sono uguali) e, pertanto, la stima complessiva che si ricava combinando (ad esempio, con
uno stimatore di tipo “Mantel-Haenszel”) tra loro i singoli indici (OR o RR) strato-specifici si
definisce “aggiustata”.
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Controllo in fase di analisi: stima da modelli statistici multivariati
In alternativa alla stratificazione, si può stimare l‟OR, o un‟altra misura di associazione,
affidandosi a un modello statistico. Si applica ai dati un opportuno modello statistico (di solito, un
modello di regressione logistica multivariato), che comprenda al proprio interno, quale variabile
esplicativa, il fattore di confondimento;
Il modello permette di stimare l‟effetto del fattore di rischio, aggiustato dall‟effetto del
fattore di confondimento. La stima da modello presenta il notevole vantaggio di potere trattare
facilmente non solo uno, ma anche, simultaneamente, diversi fattori di confondimento.
4.9
La modificazione di effetto (o interazione)
Abbiamo visto che, se prendiamo in esame vari strati della variabile “fattore di
confondimento” (esempio: classi di età, condizione di fumatore, ecc.), all‟interno di ciascuno di
questi strati la relazione esposizione-malattia rimane costante, perché il fattore confondente non
interagisce in alcun modo con l‟esposizione al fattore di rischio considerato.
Al limite, nel caso in cui la relazione esposizione-malattia è totalmente confusa dal fattore di
confondimento (anche se questa situazione, nella realtà, non si verifica quasi mai) abbiamo che gli
OR strato-specifici, relativamente al fattore di confondimento, sono tutti pari a 1.
Diverso è il caso in cui un certo fattore, una volta analizzato in ciascuno dei suoi strati, dà
luogo a stime diverse della relazione esposizione-malattia. Quando si verifica questa situazione, il
fattore in questione modifica l’effetto del fattore di rischio considerato, perché – nei suoi vari strati –
interagisce con l‟esposizione al fattore di rischio.
In pratica, non siamo più in presenza di un fattore che possiamo definire “confondente”,
bensì di un altro fattore di rischio, che interagisce con il primo fattore di rischio già considerato.
Si parla, in questo caso, di modificazione di effetto (o interazione tra fattori).
A questo punto, sorge una domanda: come si fa a distinguere un confondente da un
modificatore di effetto? L‟abbiamo già visto poche righe fa: bisogna, prima di tutto, fare una analisi
stratificata. Se, in tale analisi, i livelli di OR (o RR, o altra misura di associazione) strato-specifici
rimangono costanti nei vari strati della nuova variabile, siamo in presenza di un fattore
confondente.
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Se i livelli di OR (o RR) strato-specifici cambiano in funzione dei vari strati della nuova
variabile, siamo in presenza non più di un confondente, ma di un modificatore di effetto.
Lo studio di un modificatore di effetto si può fare applicando ai dati una analisi stratificata,
valutando in essa, simultaneamente, i diversi strati delle due variabili tra loro interagenti.
A titolo esemplificativo, consideriamo i risultati di uno studio di Hammond e altri4 (1979).
In tale studio, i ricercatori
volevano valutare l‟eventuale interazione, in relazione ai tassi di
mortalità per tumore del polmone, tra esposizione a fumo di sigaretta e concomitante esposizione a
fibre di amianto.
Vediamo i risultati di questo studio nella seguente tabella:
A(0)F(0)
A(0)F(1)
Riferimento
Tassi di
mortalità
(X
100.000)
RR
A(1)F(0)
A(1)F(1)
11,3
122,6
58,4
601,6
1
10,8
5,2
53,2
Legenda della tabella:
A(0) = non esposti all’amianto
A(1) = esposti all’amianto
F(0) = non esposti a fumo
F(1) = esposti a fumo
Come si può notare, mentre il RR per esposti a solo fumo era pari a 10,8, e il RR per esposti
a solo amianto era pari a 5,2, il RR calcolato per coloro che erano stati esposti a entrambi i fattori
di rischio è risultato pari a 53,2, un valore, cioè, approssimativamente uguale al prodotto dei due
rapporti di rischio precedenti presi singolarmente (10,8*5,2=56,2). Si parla, in casi come questi, di
interazione moltiplicativa tra fattori.
Il “modello” di interazione può essere moltiplicativo (come accade nel caso appena visto)
oppure additivo. Quando si riscontra un fenomeno di interazione tra fattori, è molto importante
verificare la presenza (o meno) di una plausibilità biologica dell‟interazione osservata.
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Bibliografia
 F.Faggiano, F.Donato, F.Barbone, Manuale di Epidemiologia per la Sanità
Pubblica, Centro Scientifico Editore, Torino 2005;
 R.Beaglehole, R.Bonita, T. Kjellström, Epidemiologia di base, Editoriale
Fernando Folini, Alessandria 2000;
 P.Vineis, P.G.Duca, P.Pasquini, Manuale di metodologia epidemiologica,
Numero speciale (32-33, sett.-dic.1987) di “Epidemiologia e prevenzione”,
Arti Grafiche Editoriali, Urbino 1988.
4
Hammond E.C., Selikoff I.J., Seidman H., Asbestos exposure, cigarette smoking and death rates. Annals of the New
York Academy of Sciences, 1979; 330:473-90.
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