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“I SERVIZI PUBBLICI”
PROF. FRANCESCO COSSU
Università Telematica Pegaso
I servizi pubblici
Indice
1
LE TRASFORMAZIONI DEI SERVIZI PUBBLICI ------------------------------------------------------------------- 3
2
IL REGIME TRADIZIONALE --------------------------------------------------------------------------------------------- 5
3
LE DISCIPLINE GENERALI ----------------------------------------------------------------------------------------------- 6
4
LA REGOLAMENTAZIONE DEI SERVIZI PUBBLICI LOCALI ----------------------------------------------- 10
5
I DIVIETI DI PARTECIPAZIONE ALLE GARE PREVISTI DAL COMMA 9 E LE PROBLEMATICHE
CONNESSE ---------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------- 14
6
L’AFFIDAMENTO A SOCIETÀ MISTA-------------------------------------------------------------------------------- 15
7
L’IN HOUSE PROVIDING ------------------------------------------------------------------------------------------------- 16
8
LE DISCIPLINE SPECIALI ------------------------------------------------------------------------------------------------ 17
Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente
vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore
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1 Le trasformazioni dei servizi pubblici
Nella prassi comunitaria vi è ampio accordo sul fatto che l’espressione “servizi pubblici” si
riferisce a servizi di natura economica che, in virtù di un criterio di interesse generale, gli Stati membri o
la Comunità assoggettano a specifici obblighi di servizio pubblico. Il concetto di servizi di interesse
economico generale riguarda in particolare alcuni servizi forniti dalle grandi industrie di rete quali i
trasporti, i servizi postali, l’energia e la comunicazione. Tuttavia, il termine si estende anche a qualsiasi
altra attività economica soggetta ad obblighi di servizio pubblico.
La dottrina definisce il termine servizio pubblico, in base a due criteri: soggettivo ed
oggettivo:
1) [soggettivo] Il servizio è pubblico se è a vantaggio della collettività e se erogato da
pubblici soggetti (direttamente o in concessione) competenti per legge ad
organizzarlo e gestirlo;
2) [oggettivo] L’elemento identificante il servizio pubblico è invece l’interesse
perseguito e l’oggetto della prestazione: deve, pertanto, trattarsi di un fine proprio
dello Stato o di un altro ente istituzionale, indipendentemente dal fatto che siano
organizzati da pubblici poteri.
La fornitura e l'organizzazione dei servizi di interesse economico generale sono soggette alle
norme del trattato CE in materia di mercato interno e concorrenza poiché l'attività è di carattere
economico. Nel caso delle grandi imprese di rete aventi una chiara dimensione europea, quali le
telecomunicazioni, l'elettricità, il gas, i trasporti e i servizi postali, i servizi sono disciplinati da un
quadro normativo UE specifico. Analogamente, taluni aspetti del servizio pubblico di radiodiffusione
sono oggetto di norme UE specifiche, quali la direttiva "televisione senza frontiere".
Nell’UE la dizione di servizio pubblico è usata raramente, mentre si fa più spesso
riferimento al concetto di “servizi di interesse generale”, al cui interno rientrano sia i servizi “di
interesse economico generale” sia quelli “non economici”.
Altri servizi di interesse economico generale, ad esempio quelli nel settore della gestione dei
rifiuti, dell'approvvigionamento idrico o del trattamento delle acque reflue, non sono oggetto di
regolamentazione autonoma a livello UE.
Ciononostante, a specifici aspetti di tali servizi si applicano norme comunitarie specifiche quali
quelle in materia di appalti pubblici o di protezione dell'ambiente e dei consumatori. Inoltre, una serie di
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servizi d'interesse economico generale è assoggettata anche al quadro regolamentare istituito dalla
direttiva sui servizi.
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2 Il regime tradizionale
Il regime tradizionale dei servizi pubblici è caratterizzato da due elementi:
-
il primo è la riserva originaria o esclusiva e produce l’effetto di privare tutti i
soggetti della legittimazione ad assumere la qualità di imprenditori nel settore
“riservato”;
-
la seconda componente del regime tradizionale è data dalla gestione pubblica
diretta o indiretta. Innanzitutto, al regime della gestione ordinaria può far
seguito la gestione diretta delle attività “riservate”. Due esempi di gestione
diretta erano costituiti dalle Ferrovie dello Stato, gestite dall’apposita azienda
autonoma del Ministero dei trasporti, e dai servizi telefonici interurbani,
gestiti dall’apposita azienda di Stato del Ministero delle poste e delle
telecomunicazioni.
In altri casi, le attività “riservate” vengono assunte dai poteri pubblici in gestione indiretta,
cioè attraverso un ente pubblico.
Anche il sistema della concessione è stato rivolto a favore delle imprese pubbliche costituite
in forma societaria.
Nell’ipotesi della concessione, in cui l’attività “riservata” è attribuita alle società, attraverso
un provvedimento dello Stato, queste svolgono in forma imprenditoriale il servizio, ma nella veste
di concessionari e, quindi, non in quanto imprenditori retti dal principio di libertà di iniziativa
economica privata.
Il sistema delle concessioni comporta, quindi, per le società concessionarie l’acquisizione
della qualifica di imprenditore in virtù di un provvedimento autoritativo e singolare, che conferisce
loro il compito di svolgere l’attività di impresa con esclusione di altri.
Nella maggior parte dei casi, le concessioni sono conferite a società giuridicamente private,
ma in controllo pubblico. Esempi di quest’ultima specie sono le radiodiffusioni e la televisione
circolare, concessa alla Radiotelevisione italiana-RAI, società per azioni con partecipazione
dell’Istituto per la ricostruzione industriale-IRI, e il trasporto ferroviario di persone, concesso alle
ferrovie dello Stato.
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3 Le discipline generali
Sia la disciplina comunitaria che quella nazionale, hanno quale obiettivo principale quello di
aprire i servizi pubblici al mercato e alla concorrenza ed a garantire i diritti delle imprese che
operano nel settore e gli utenti che fruiscono di prestazioni essenziali.
a- le liberalizzazioni e la concorrenza
Nel settore dei servizi pubblici la disciplina della concorrenza non ha trovato ampi spazi. Per
molti anni, il regime di riserva e gestione pubblica diffuso in molti stati membri è stato
salvaguardato sulla base di due norme dei trattati. La prima afferma l’irrilevanza del regime
pubblico o privato della proprietà delle imprese ai fini dell’applicazione del diritto comunitario. La
seconda consente una deroga all’applicazione delle norme a tutela della concorrenza alle imprese
incaricate di una missione di interesse economico generale, per tutto quanto necessario all’
adempimento di tale missione. La maggior parte di tali norme è stata adottata sulla base dell’art. 95
del trattato. La norma prevede l’adozione da parte del Consiglio di “misure relative al
ravvicinamento delle disposizioni legislative, regolamentari ed amministrative degli Stati membri
che hanno per oggetto l’instaurazione ed il funzionamento del mercato interno”. I diversi servizi
pubblici, quindi, sono stati considerati alla stregua di altrettanti mercati e sottoposti a una disciplina
uniforme a livello europeo.
La liberalizzazione di questi settori, prodotta dal diritto comunitario e recepita quindi
nell’ordinamento interno, ha comportato la limitazione e, in alcuni casi, l’integrale soppressione del
precedente regime di riserva e monopolio legale, che, per essere onnicomprensivo e fondato su un
solo operatore, nascondeva anche molte inefficienze e iniquità.
Con l’affermazione della liberta di entrata, si è consentito a più
operatori di divenire
imprenditori nei settori prima riservati, senza riguardo alla loro natura pubblica o privata e vietando
discriminazioni fondate sulla nazionalità. L’accesso al mercato non è più subordinato al rilascio di
concessioni esclusive o di autorizzazioni discrezionali. I poteri pubblici si limitano a verificare in
capo ai richiedenti il possesso di determinati requisiti. Quindi, rilasciano licenze individuali o, in
numero sempre maggiore di casi, stabiliscono con un’autorizzazione generale le condizioni di
esercizio dell’attività: i privati, una volta dichiarata la conformità alle stesse, possono
immediatamente offrire al pubblico i servizi.
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Per effetto di queste trasformazioni, i diversi servizi pubblici sono ormai pressoché
integralmente assoggettati alle discipline generali, comunitaria e nazionale, a tutela della
concorrenza, dettate, rispettivamente, negli art. 81 e seguenti del trattato e nella legge 10 ottobre
1990, n. 287.
L’art. 86 del trattato, ormai interpretato in modo sempre più rigoroso, dispone che gli “Stati
membri non emanano né mantengono, nei confronti delle imprese pubbliche e delle imprese cui
riconoscono diritti speciali o esclusivi, alcuna misura contraria alle norme del presente trattato,
specialmente a quelle contemplate dagli articoli 12 e da 81 a 89 inclusi”. La medesima norma
chiarisce che “le imprese incaricate della gestione dei servizi di interesse economico generale sono
sottoposte alle regole di concorrenza, nei limiti in cui l’applicazione di tali norme non osti
all’adempimento in linea di diritto e di fatto della specifica missione loro affidata”. Dunque, l’art.
86 va inteso nel senso che le imprese di servizio pubblico sottostanno alle regole della concorrenza,
salvi i casi in cui l’adempimento dei compiti loro specificamente affidati renda necessario, secondo
una valutazione strettamente ancorata al rispetto del principio di proporzionalità, il riconoscimento
di taluni diritti speciali ed esclusivi. Le regole della concorrenza si applicheranno anche ai soggetti
che svolgono un’attività sottoposta a riserva originaria, per tutto quanto non sia indispensabile ai
fini dello svolgimento dei compiti affidati, a cominciare dalle altre attività esercitate, non
espressamente indicate dalla legge. Qualora, invece, l’autorità garante della concorrenza e del
mercato intendesse procedere a mezzo di ordini o diffide con riferimento alle aree del mercato
tuttora riservate e ai comportamenti specificamente prescritti dai pubblici poteri, il soggetto
destinatario del provvedimento dell’Autorità potrebbe opporre la legge che dispone la riserva
originaria o l’atto amministrativo che impone il comportamento, per cui non rimarrebbe altro che un
potere sollecitatorio della modificazione della legge o dell’atto. Questo problema è stato avvertito
dal legislatore, il quale ha disposto, al primo comma dell’art. 21 della legge n. 287 del 1990, che
“allo scopo di contribuire ad una più completa tutela della concorrenza e del mercato, l’Autorità
individua i casi di particolare rilevanza nei quali norme di legge o di regolamento o provvedimenti
amministrativi di carattere generale determinano distorsioni della concorrenza o del corretto
funzionamento del mercato che non siano giustificate da esigenze di interesse generale”.
b- La regolazione e il servizio universale
La liberalizzazione dei servizi pubblici non determina soltanto il loro assoggettamento alla
disciplina della concorrenza, ma anche un ampio intervento di regolazione, ispirato a principi e
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regole comuni ai diversi settori. La regolazione può essere di tre diversi tipi. La regolazione,
innanzitutto, mira a garantire l’apertura dei mercati. L’esigenza di un intervento pubblico è
particolarmente avvertita nei casi di liberalizzazione parziale nei mercati o di barriere tecniche che
ne intralciano il funzionamento. In queste ipotesi, vi sono imprese che detengono posizioni
dominanti sul mercato, in quanto titolari di infrastrutture e beni essenziali per lo svolgimento
dell’attività.
Per questi motivi i regolamenti e le direttive di liberalizzazione obbligano gli Stati a conferire
poteri precettivi e di controllo ad autorità di settore, affinché queste impongano alle imprese in
posizione dominante responsabilità speciali e misure asimmetriche. Un gruppo di misure concerne
l’accesso all’infrastruttura e l’interconnessione tra le reti. Qui si tratta di garantire ai nuovi entranti
la possibilità di fornire i servizi agli utenti finali assicurando loro l’utilizzo delle infrastrutture e dei
beni essenziali detenuti dall’impresa dominante, la quale avrebbe interesse a impedire o a rendere
particolarmente oneroso tale utilizzo. In questi casi, il legislatore prevede un intervento regolatorio
che disciplini “ex ante” le modalità tecniche e le condizioni economiche e contrattuali o ne imponga
la preventiva pubblicizzazione, arbitri la negoziazione tra le parti e dirima le relative controversie.
In altri, si prevedono semplicemente obblighi di informazione, trasparenza e correttezza nelle
trattative e un sindacato eventuale e successivo in caso di mancato raggiungimento dell’accordo.
Il secondo tipo di regolazione intende assicurare il funzionamento dei mercati in ragione delle
loro particolari caratteristiche tecniche e strutturali. In questi casi, la disciplina pubblica stabilisce le
modalità di assegnazione delle risorse scarse, senza le quali sarebbe impossibile svolgere l’attività,
e organizza lo svolgimento delle transazioni, qualora queste, come nel caso dell’energia elettrica,
richiedano meccanismi complessi di amministrazione delle negoziazioni.
Il terzo tipo di regolazione ha, invece, contenuti sociali e mira a garantire la fruizione diffusa e
uniforme di servizi essenziali. Questo tipo di regolazione si è affermata prima nelle singole
discipline settoriali, dove sono stati introdotti obblighi di servizio pubblico o universale; quindi, è
stata prevista in via generale dalla Commissione; infine, ha trovato riconoscimento nel trattato.
L’art. 16 stabilisce, infatti, che “fatti salvi gli art. 73, 86 e 87, in considerazione dell’importanza dei
servizi di interesse economico generale nell’ambito dei valori comuni dell’unione, nonché del loro
ruolo nella promozione della coesione sociale e territoriale, la Comunità e gli Stati membri, secondo
le rispettive competenze e nell’ambito del campo di applicazione del presente trattato, provvedono
affinché tali servizi funzionino in base a principi e condizioni che consentano loro di assolvere i
loro compiti”.
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Al fine di garantire la fruizione universale dei servizi, il diritto comunitario impone di rispettare
i principi di parità di trattamento, adeguatezza e continuità; di disciplinare le modalità di offerta; di
garantire l’accessibilità dei prezzi; di assicurare determinati livelli qualitativi.
Anche nell’ordinamento italiano ci si è preoccupati di raggiungere questo obiettivo e, più in
generale, di assicurare ai cittadini servizi adeguati. Per questi motivi, in Italia, come in altri paesi,
prima sono state adottate carte dei servizi pubblici, poi sono stati introdotti sistemi regolatori
complessi, affidati ad apposite autorità indipendenti, aventi il compito di promuovere sia la
concorrenza sia la tutela degli utenti.
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4 La regolamentazione dei servizi pubblici locali
La definizione del concetto di “servizio pubblico locale” viene fornita dall’art. 112, del D. Lgs.
N. 267/2000, in base al quale, “… l’ oggetto del servizio pubblico locale deve riguardare la
produzione di beni o lo svolgimento di attività rivolte a realizzare fini sociali e a promuovere lo
sviluppo economico e civile delle comunità locali”.
Il D. Lgs. n. 267/00 (T.U.E.L.) consente agli enti locali di ricorrere ad ulteriori forme di
gestione rappresentate dalle società di capitali a partecipazione pubblica locale prevalente o non
maggioritaria, e dal ricorso alla concessione a privati.
Il D.L. n. 112/2008, attraverso l’art. 23-bis, ha riformato la struttura dei servizi pubblici locali di
rilevanza economica. Tale riforma si pone quale obiettivo, il favorire la più ampia diffusione dei
principi di concorrenza, la libertà di stabilimento e la libera prestazione dei servizi di tutti gli
operatori economici interessati alla gestione di servizi di interesse generale in ambito locale.
La riforma si è resa necessaria per favorire la più ampia diffusione dei principi di concorrenza,
affinché il sistema nazionale dell’affidamento e gestione dei servizi pubblici locali si conformasse
ai principi comunitari.
A fondamento della riforma del 2008, si è ritenuto di indirizzare le forme di partenariato
pubblico-privato (società mista) verso quegli stretti parametri (c.d. gara a doppio oggetto) che la
Commissione europea e la stessa giurisprudenza, comunitaria e nazionale, avevano individuato da
tempo: il ricorso all’affidamento a società mista è stato pertanto ricondotto nell’ambito
dell’affidamento ordinario.
Il primo comma dell’art. 23-bis del D.L. n. 112/2008, afferma il carattere generale della nuova
disciplina, destinata ad applicarsi a tutti i servizi pubblici locali di rilevanza economica e ne
sancisce al contempo la prevalenza sulle vigenti discipline di settore incompatibili con le nuove
disposizioni.
La generalità della norma si è sfumata con i successivi interventi legislativi, a partire dalla
disposizione di cui all’art. 30, comma 26, della L. n. 99/2009, che ha espressamente escluso il
settore del gas naturale e dal successivo intervento con l’art. 15 del D.L. 135/2009, che ha escluso, a
sua volta, una serie di altri rilevanti settori, quale il trasporto ferroviario regionale e l’energia
elettrica.
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Restano pertanto assoggettati alla disciplina del 23-bis tutti gli altri settori: trasporto su gomma,
ciclo idrico e ciclo dei rifiuti, oltre ai servizi c.d. “innominati” (parcheggi pubblici comunali,
gestione di impianti sportivi comunali). Dall’operatività della nuova normativa sono state anche
escluse le farmacie comunali.
Il secondo comma dell’art. 23-bis, espressamente prevede che il conferimento della gestione dei
servizi pubblici locali deve avvenire, in via ordinaria, oltre che a favore di imprenditori, anche di
società in qualunque forma costituite, individuati mediante procedure competitive ad evidenza
pubblica, nel rispetto dei principi del Trattato che istituisce la Comunità europea e dei principi
generali relativi ai contratti pubblici e, in particolare, dei principi di economicità, efficacia,
imparzialità, trasparenza, adeguata pubblicità, non discriminazione, parità di trattamento, mutuo
riconoscimento, proporzionalità.
Il secondo comma dell’art. 23-bis precisa che l’affidamento può avvenire in favore di “società a
partecipazione mista pubblica e privata, a condizione che la selezione del socio avvenga mediante
procedure competitive ad evidenza pubblica, nel rispetto dei principi di cui alla lett. a), le quali
abbiano ad oggetto, al tempo stesso, la qualità di socio e l’attribuzione di specifici compiti operativi
connessi alla gestione del servizio e che al socio sia attribuita una partecipazione non inferiore al
40%”.
Il comma 5 prevede la proprietà pubblica delle reti, anche se la loro gestione può essere affidata
a soggetti privati. La norma prevede il mantenimento della proprietà pubblica ove già preesistente
senza imporre agli enti locali l’acquisizione di beni di cui altri soggetti hanno la titolarità.
Il successivo comma 6 disciplina la possibilità di affidamento simultaneo con gara di una
pluralità di servizi pubblici locali se tale scelta sia economicamente vantaggiosa (sono le c.d. attività
multiutility). In questo caso, la durata dell’affidamento, unica per tutti i servizi, non può essere
superiore alla media calcolata sulla base della durata degli affidamenti indicata dalle discipline di
settore.
In proposito va rilevato che l’Autorità Garante della concorrenza e del mercato ha rilevato la
necessità di stabilire per legge “rigorosi criteri di considerazione e dimostrazione dell’effettivo
vantaggio economico di tale scelta organizzativa”.
Tale considerazione, è volta al fine di consentire l’effettiva emersione di economie di gamma e
di produzione congiunta dei servizi nonché, al contempo, evitare che tali gare agevolino
determinate imprese già predisposte o atte all’esercizio di attività c.d. multiutility.
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Inoltre, al fine di favorire il più ampio confronto competitivo, ha segnalato l’opportunità di
prevedere che le imprese possano “concorrere all’aggiudicazione anche di un solo distinto servizio
tra quelli posti a gara”.
Il comma 7 prevede la possibilità, da parte delle Regioni e degli enti locali, di definire, nel
rispetto delle normative settoriali, i bacini di gara per i servizi. Ciò al fine di consentire lo
sfruttamento delle economie di scala e di scopo, e di favorire una maggiore efficienza ed efficacia
nell’espletamento dei servizi.
Il comma 9 vieta ai soggetti titolari della gestione dei servizi pubblici locali non affidati
mediante le procedure competitive di cui al comma 2, di acquisire la gestione di servizi ulteriori
ovvero in ambiti territoriali diversi, e di svolgere servizi o attività per altri enti pubblici o privati, né
direttamente, né tramite loro controllanti o altre società che siano da essi controllate o partecipate,
né partecipando a gare.
Il divieto non si applica alle società quotate in borsa, mentre è consentita la partecipazione dei
soggetti affidatari diretti alla prima gara svolta per l’affidamento, mediante procedura competitiva
ad evidenza pubblica, dello specifico servizio già a loro affidato.
La lett. a) del comma 8 disciplina le gestioni in house affidate conformemente ai principi
comunitari in essere alla data del 22 agosto 2008, data di conversione del D.L. 112/2008, delle quali
è prevista l’automatica cessazione alla data del 31 dicembre 2011.
La norma fa salve solo le gestioni, affidate conformemente ai principi comunitari, ove le
amministrazioni cedano entro il 31 dicembre 2011 almeno il 40% del capitale ad un socio privato
selezionato con procedura di gara ad evidenza pubblica, dando luogo al modello della società mista
di cui al comma 2, lett. b) dell’art. 23-bis.
Tali tipologie di gestioni possono proseguire sino alla scadenza prevista dal contratto di
servizio. È, pertanto, possibile fare salvi tali gestioni se si provvede alla trasformazione del soggetto
gestore in società mista, nella quale al socio privato, detentore di almeno il 40% del capitale,
vengano affidati “specifici compiti operativi relativi alla gestione del servizio”.
Una particolare ipotesi è quella prevista dalla lett. d) del comma 8, la quale prevede che gli
affidamenti diretti assentiti alla data del 1° ottobre 2003 a società a partecipazione pubblica già
quotate in borsa a tale data e a quelle da esse controllate ai sensi dell’art. 2359 c.c., cessano alla
scadenza prevista nel contratto di servizio, a condizione che la partecipazione pubblica, si riduca
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anche progressivamente, attraverso procedure ad evidenza pubblica ovvero forme di collocamento
privato presso investitori qualificati e operatori industriali, ad una quota non superiore al 40% entro
il 30 giugno 2013 e non superiore al 30% entro il 31 dicembre 2015; ove siffatte condizioni non si
verifichino, gli affidamenti cessano improrogabilmente e senza necessità di apposita deliberazione
dell’ente affidante, rispettivamente, alla data del 30 giugno 2013 o del 31 dicembre 2015.
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I divieti di partecipazione alle gare previsti dal
comma 9 e le problematiche connesse
Il comma 9 dell’art. 23-bis espressamente vieta, per le società che gestiscono, a qualsiasi titolo,
servizi pubblici locali in virtù di affidamento diretto, l’affidamento della gestione delle reti, degli
impianti e delle altre dotazioni patrimoniali degli enti locali, attraverso una procedura non ad
evidenza pubblica.
Tale divieto opera quando l’attività di gestione delle reti e degli impianti, sia separata
dall’attività di erogazione dei servizi, di acquisire la gestione di servizi ulteriori ovvero in ambiti
territoriali diversi, e di svolgere servizi o attività per altri enti pubblici o privati, né direttamente, né
tramite loro controllanti o altre società che siano da essi controllate o partecipate, né partecipando a
gare. La disposizione precisa che il predetto divieto opera per tutta la durata della gestione.
In deroga a tale divieto, è consentito, ai soggetti (ex) affidatari diretti, di partecipare alla prima
gara successiva alla cessazione del servizio, svolta mediante procedura competitiva ad evidenza
pubblica, avente ad oggetto i servizi da essi già forniti.
I divieti che operano per tutta la durata della gestione, non si applicano né alle società quotate in
mercati regolamentati e neppure al socio selezionato ai sensi della lett. b) del comma 2.
La prima esclusione, concerne le società quotate in mercati regolamentati, comporta una
evidente disparità di trattamento a favore delle società quotate rispetto agli altri affidatari diretti.
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6 L’affidamento a società mista
Nella nuova formulazione introdotta dalla lett. b) del secondo comma, dell’art. 23-bis,
l’affidamento a società mista pubblico-privata non costituisce più un’ipotesi di deroga alla regola
della procedura concorrenziale, ma ne è divenuta una sua variante.
Secondo la norma, infatti, il conferimento della gestione dei servizi pubblici locali può avvenire
in via ordinaria, a favore di “società a partecipazione mista pubblica e privata, a condizione che la
selezione del socio avvenga mediante procedure competitive ad evidenza pubblica, le quali abbiano
ad oggetto, al tempo stesso, la qualità di socio e l’attribuzione di specifici compiti operativi
connessi alla gestione del servizio e che al socio sia attribuita una partecipazione non inferiore al
40%”.
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7 L’in house providing
Di particolare importanza risulta essere la riscrittura dell’in house providing.
Tale riscrittura dell’istituto dell’in house providing è avvenuta mediante diverse fasi, attraverso
le quali l’eccezionalità dell’affidamento diretto rispetto al modulo ordinario di esternalizzazione del
servizio, ha gradualmente acquistato maggiore spessore.
In origine, la formulazione dell’art. 23-bis del D.L. 112/2008 prevedeva, al secondo comma, che
il conferimento della gestione dei servizi pubblici locali doveva avvenire “in via ordinaria” in
favore di imprenditori o di società in qualunque forma costituite individuati mediante procedure
competitive a evidenza pubblica. Al terzo comma, stabiliva che, “in deroga alle modalità di
affidamento ordinario di cui al comma 2”, soltanto laddove ricorrano situazioni eccezionali, legate a
peculiari caratteristiche del territorio nel quale il servizio deve essere erogato, “l’affidamento può
avvenire nel rispetto dei principi della disciplina comunitaria”.
È evidente, quindi, come, l’art. 23-bis non disponeva il definitivo abbandono del modulo in
house, ma ne delimitava l’ambito a situazioni eccezionali e lo circondava di opportune “cautele”.
L’art. 15 del D.L. 135/2009 completa, così, l’applicazione del modello in house providing.
In primo luogo, oggi, nell’art. 23-bis, è disposta esplicitamente la “gestione cosiddetta in
house”, sostituendo l’espressione più equivoca dell’affidamento “nel rispetto dei principi della
disciplina comunitaria”.
A ciò va soggiunto che la locuzione “requisiti richiesti dall’ordinamento comunitario per la
gestione cosiddetta in house”, oltre a fotografare inequivocabilmente l’istituto dell’in house,
conferisce alla norma notevole elasticità, consentendole di “adattarsi” automaticamente a eventuali
futuri “cambi di rotta” della giurisprudenza comunitaria sulla latitudine e sui requisiti dell’in house
providing.
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8 Le discipline speciali
Accanto ai principi stabiliti dal trattato istitutivo della Comunità europea e dalle discipline
generali della concorrenza e della regolazione, vi sono leggi speciali relative a singoli settori,
recentemente più volte modificate a seguito dell’emanazione a livello comunitario di regolamenti e
direttive volti al ravvicinamento delle legislazioni e alla liberalizzazione dei relativi mercati.
a. L’energia elettrica e il gas
La l. 6/12/1962, n. 1643, dando attuazione all’art. 43 della Costituzione, ha disposto la riserva
originaria della produzione, del trasporto e della distribuzione dell’energia elettrica, attribuendo il
relativo servizio ad un ente “ad hoc”, l’Ente nazionale per l’energia elettrica – ENEL.
Il diritto comunitario ha imposto una profonda modificazione di questo regime, al fine di
costituire il mercato interno dell’energia elettrica e di introdurre la concorrenza.
La disciplina del mercato elettrico è contenuta nel D. Lgs. 16/03/1999, n. 79, emanato in
attuazione della direttiva CE n. 92/1996 del 19/12/1996, e successivamente modificato e integrato
dalla legge 23 agosto 2004, n. 239.
In base a quanto stabilito dall’ordinamento comunitario, la normativa procede alla separazione
tra le diverse fasi del servizio, che nel precedente regime erano integrate all’interno del monopolio
pubblico. Le attività di produzione, importazione, esportazione, acquisto e vendita sono,
conseguentemente, dichiarate libere, nel rispetto degli obblighi di servizio pubblico.
Il decreto stabilisce, innanzitutto, che l’attività di produzione è libera e aperta alla concorrenza.
Per evitare, tuttavia, che l’ingresso sul mercato sia di fatto precluso dal ruolo preponderante
dell’operatore in posizione dominante, la normativa, dal 1° gennaio 2003, vieta a ciascun soggetto
di produrre o importare più del 50% dell’energia elettrica prodotta e importata in Italia. Anche le
attività di importazione ed esportazione sono libere, nel quadro dell’attività organizzativa del
gestore della rete e della regolamentazione dettata dai pubblici poteri, tenuto conto del principio di
reciprocità.
Le attività di trasmissione e dispacciamento dell’energia elettrica, a causa delle condizioni di
monopolio naturale e delle esigenze di coordinamento, sono, invece, assoggettate a regime di
riserva e affidate in concessione al gestore della rete di trasmissione nazionale.
Il gestore della rete ha l’obbligo di connettere alla rete di trasmissione nazionale tutti i soggetti
che ne facciano richiesta, secondo le condizioni tecniche ed economiche fissate dall’Autorità per
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vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore
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l’energia elettrica e il gas, che dovranno garantire l’imparzialità e la neutralità del servizio di
trasmissione e dispacciamento.
L’attività di distribuzione può essere esercitata soltanto previo rilascio di concessione. Per
ciascun ambito comunale corrispondente a una scala minima efficiente viene rilasciata soltanto una
concessione, estesa all’intera attività commerciale.
Per quel che riguarda le condizioni economiche, invece, si prevede una tariffa unica nazionale.
L’Autorità stabilisce e aggiorna la tariffa base, i parametri e gli altri elementi di riferimento, “in
relazione all’andamento del mercato”; gli obiettivi economico-finanziari degli esercenti sono
salvaguardati attraverso l’individuazione di misure per il recupero dei costi sostenuti nell’interesse
generale. L’Autorità verifica i costi delle singole prestazioni, evidenziando separatamente quelli
risultanti dallo svolgimento del servizio in condizioni di economicità dagli oneri conseguenti alla
fornitura del servizio universale. Gli adeguamenti tariffari avvengono secondo il sistema del “price
cap”, inteso come limite massimo della variazione di prezzo vincolata per un periodo pluriennale,
determinato in base al tasso di variazione annuo dell’inflazione e all’obiettivo di miglioramento del
saggio di produttività, prefissato per un arco di tre anni.
Anche nel settore del gas naturale è possibile registrare un’analoga evoluzione nella direzione
della parziale apertura del mercato, sulla base degli impulsi provenienti dalla Comunità europea.
Sono aperte ai privati le attività di prospezione, ricerca e coltivazione degli idrocarburi. Al fine
di assicurare l’accesso non discriminatorio alle risorse, si introducono procedure concorsuali per il
rilascio dell’autorizzazione all’esercizio del diritto esclusivo di ricerca e coltivazione degli
idrocarburi in una determinata area geografica.
Il servizio di distribuzione locale è affidato mediante gara, per periodi non superiori a dodici
anni. Le modalità di fornitura delle prestazioni sono disciplinate da ciascun ente locale, mediante
appositi contratti, sulla base di un modello tipo predisposto dall’Autorità per l’energia elettrica e il
gas e approvato dal Ministero. Per motivi di continuità del servizio, le imprese distributrici possono
essere autorizzate in via eccezionale a svolgere transitoriamente l’attività di vendita ai clienti finali.
La regolazione del settore è affidata all’Autorità per l’energia elettrica e il gas, istituita dalla
legge n. 481/1995. La successiva legislazione, peraltro, ha rafforzato i poteri di idnirizzo generale,
di programmazione e di disciplina tecnico-economica del governo e del Ministero competente per
materia.
b. I trasporti di linea
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vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore
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Anche nel settore dei trasporti di linea, tradizionalmente gestiti da imprese pubbliche o da
concessionari pubblici e privati operanti in regime di esclusiva, il riconoscimento della libera
prestazione dei servizi è avvenuto gradualmente nell’ambito della politica comune dei trasporti
prevista dall’art. 70 del trattato.
La Comunità europea è intervenuta con l’idea di equiparare il trasporto ferroviario a quello su
strada, distinguendo tra rete e servizio, anche al fine di consentire una parziale apertura del mercato.
L’art. 1 della direttiva comunitaria n. 440/1991 mira: “a favorire l’adeguamento delle ferrovie
comunitarie alle esigenze del mercato unico e ad accrescere l’efficienza delle medesime:
assicurando
l’autonomia
gestionale
delle
imprese
ferroviarie;
separando
la
gestione
dell’infrastruttura ferroviaria e l’esercizio di servizi di trasporto da parte delle imprese ferroviarie;
operando una separazione contabile obbligatoria e una separazione organica o istituzionale
facoltativa; risanando la struttura finanziaria delle imprese ferroviarie; garantendo il diritto
d’accesso alle reti ferroviarie degli Stati membri per le associazioni internazionali di imprese
ferroviarie, nonché per le imprese ferroviarie che effettuano trasporti combinati internazionali di
merci”; “gli Stati membri adottano le misure necessarie per garantire, sul piano della contabilità, la
separazione delle attività relative all’esercizio dei servizi di trasporto da quelle relative alla gestione
delle infrastrutture ferroviarie. L’aiuto concesso ad una di queste due attività non può essere
trasferito all’altra. I conti relativi a queste due attività sono tenuti in modo tale da riflettere tale
divieto.
La direttiva comunitaria n. 440/1991 è stata recepita con il D.P.R. 08/07/1998, n. 277; il DPR
16/03/1999, n. 146, ha recepito le direttive comunitarie n. 18 e 19 del 1995.
Il primo decreto disciplina la gestione dell’infrastruttura ferroviaria, l’attività di trasporto delle
imprese ferroviarie stabilite in Italia e il diritto di accesso all’infrastruttura ferroviaria per le
associazioni internazionali di imprese ferroviarie e per le imprese ferroviarie che effettuano trasporti
combinati internazionali.
Il gestore dell’infrastruttura ferroviaria è un soggetto autonomo ed indipendente rispetto alle
imprese del settore e opera in base a un atto di concessione e a un contratto di programma stipulato
con lo Stato. Il gestore della rete ferroviaria mette a disposizione delle associazioni internazionali di
imprese ferroviarie e delle imprese ferroviarie di trasporto la rete e le infrastrutture, e presta i servizi
nel rispetto dei principi di non discriminazione e di parità di trattamento, allo scopo di garantire
un’utile gestione della rete e di conseguire la massima utilizzazione delle relative capacità.
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Il secondo decreto disciplina i criteri relativi al rilascio delle licenze e i principi e criteri da
seguire nella ripartizione della capacità dell’infrastruttura.
Possono chiedere il rilascio della licenza le imprese ferroviarie, in possesso di requisiti di
onorabilità, capacità finanziaria e competenza professionale, del personale incaricato della guida e
dell’accompagnamento dei convogli e che sono in grado di dimostrare la coperture assicurativa per
responsabilità civile in caso di incidenti.
Il gestore dell’infrastruttura ferroviaria procede alla ripartizione della capacità su base equa e
non discriminatoria, garantendo un utilizzo efficace e ottimale dell’infrastruttura. Nella ripartizione
della capacità, il gestore dà priorità ai servizi al pubblico previsti nei contratti stipulati dalla imprese
con lo Stato o le regioni, ai servizi di trasporto ad alta velocità, ai servizi espletati con orario
cadenzato, ai servizi in grado di realizzare una interconnessione a rete di diffusione nazionale.
Infine, il Ministero dei trasporti può concedere alle imprese ferroviarie, su base non discriminatoria,
diritti speciali, se questi sono indispensabili per garantire un buon livello di servizio pubblico, un
utilizzo efficace della capacità d’infrastruttura, il finanziamento di nuove infrastrutture.
Una più radicale trasformazione nella direzione della completa liberalizzazione si registra nei
settori dei trasporti aerei e marittimi.
La liberalizzazione nel settore aereo avviene per fasi successive e interessa dapprima i servizi di
dimensione comunitaria e poi anche il cabotaggio interno.
Inizialmente, tra il 1988 e il 1990, la Comunità adotta misure di adeguamento degli accordi
internazionali alle norme di concorrenza e libera circolazione, rendendo meno rigide le norme su
prezzi e servizi offerti. Successivamente, dal 1990 al 1992, la Comunità provvede ad allargare
ulteriormente la libertà dei vettori sotto il profilo sia dell’organizzazione delle capacità di trasporto
da offrire sui traffici intracomunitari, sia della fissazione delle tariffe. Infine, il regolamento CEE n.
2407/1992, sul rilascio delle licenze ai vettori aerei, il regolamento CEE n. 2408/1992, sull’accesso
dei vettori aerei della Comunità alle rotte intracomunitarie, e il regolamento CEE n. 2409/1992,
sulle tariffe aeree per il trasporto di passeggeri e di merci, tutti del 23/07/1992, completano il
processo di liberalizzazione.
Per effetto di questa disciplina, l’esercizio dei trasporti aerei di linea è subordinato al rilascio di
una licenza, e cioè di un atto autorizzatorio non discrezionale. In particolare, il regolamento n. 2407
del 1992 subordina il rilascio della licenza alla semplice verifica del possesso dei seguenti requisiti:
previo ottenimento del certificato di operatore aereo, con il quale si accerta il possesso di
determinati requisiti tecnici: sede sociale, ovvero principale centro di attività, in uno Stato membro;
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attività principale consistente nel rapporto aereo; affidabilità e solidità finanziaria in base alla
presentazione di un piano economico.
Il regolamento n. 2408 del 1992 stabilisce che ai vettori comunitari muniti di licenza è
consentito svolgere liberamente i traffici commerciali sulle rotte intracomunitarie. Dal 1° aprile
1997, è venuta meno anche la riserva a favore delle compagnie di bandiera nei collegamenti tra
scali nazionali (c.d. cabotaggio interno).
Infine, il regolamento comunitario n. 2409/1992 sancisce il principio della libera fissazione
delle condizioni economiche di offerta e la conseguente caducazione dei poteri tariffari previsti
dalle legislazioni nazionali.
Nel disporre la liberalizzazione del settore, la disciplina comunitaria prevede, tuttavia, che
ciascuno Stato membro possa imporre oneri di servizio pubblico riguardo ai servizi aerei di linea
effettuati verso un aeroporto che serve una regione periferica o in via di sviluppo o una rotta a bassa
densità di traffico, considerata essenziale per lo sviluppo economico della regione.
Il regolamento CE n, 1592/2002, del 27/09/2002, apre la strada a una nuova regolamentazione
comunitaria in materia di sicurezza e protezione ambientale nell’aviazione civile e prevede la
costituzione di un’apposita Agenzia europea per la sicurezza aerea (AESA). Secondo le istituzioni
comunitarie, infatti, è necessario garantire un livello elevato ed uniforme di sicurezza per i cittadini
europei nel settore dell’aviazione civile mediante l’adozione di regole comuni e l’esercizio di
adeguati controlli.
Anche i trasporti marittimi di linea sono stati liberalizzati in seguito all’intervento della
Comunità europea.
Prima, in materia di traffici marittimi internazionali, il regolamento CEE n. 954/1979, del
17/05/1979, e, soprattutto, il regolamento CEE n. 4055/1986, del 31/12/1986, hanno eliminato le
riserve di traffico esistenti a favore delle navi di bandiera disposte unilateralmente o mediante
accordi bilaterali.
Il diritto alla libera prestazione di servizi di trasporto marittimo è riconosciuto agli armatori
comunitari che impiegano navi registrate in uno Stato membro e che battono la relativa bandiera.
Esso è, inoltre, subordinato al possesso di tutti i requisiti necessari per l’ammissione al cabotaggio
nello Stato membro.
L’art. 4 del regolamento consente agli Stati di concludere contratti di servizio pubblico o di
imporre obblighi di servizio pubblico come condizione per la fornitura di servizi di cabotaggio alle
compagnie di navigazione che partecipano ai servizi regolari da, tra e verso le isole, su base non
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discriminatoria per tutti gli armatori comunitari. In particolare, gli Stati possono porre condizioni
relative ai porti che devono essere serviti, alla regolarità, alla continuità, alla frequenza, alla
capacità di fornitura del servizio, alle tariffe richieste e all’equipaggio della nave.
c. I servizi postali
Anche i servizi postali erano soggetti, in base all’art. 43 della Costituzione, a riserva originaria
con il DPR n. 156/1973, “codice postale e delle telecomunicazioni”.
La disciplina del settore è stata completamente riformata in seguito all’emanazione della
direttiva CE n. 67/1997 del 15/12/1997, che detta regole comuni per lo sviluppo del mercato interno
dei servizi postali comunitari e il miglioramento della qualità del servizio. Un’ulteriore apertura alla
concorrenza, fino all’integrale liberalizzazione del mercato nel 2009, è prevista dalla direttiva CE n.
39/2002 del 10/06/2002. La normativa comunitaria è stata recepita nell’ordinamento interno con il
D. Lgs. N. 261/1999, e successive modificazioni e integrazioni.
Il nuovo panorama legislativo, definisce la fornitura dei servizi relativi alla raccolta, allo
smistamento, al trasporto e alla distribuzione degli invii postali, nonché la realizzazione e
l’esercizio della rete postale pubblica, come attività di preminente interesse generale.
Per finanziare gli oneri derivanti dalla fornitura del servizio universale, la normativa prevede
che al gestore possano essere riservati la raccolta, il trasporto, lo smistamento e la distribuzione
degli invii di corrispondenza interna e transfrontaliera di prezzo inferiore al quintuplo della tariffa
pubblica massima, a condizione che il peso degli oggetti sia inferiore a 350 grammi.
L’offerta al pubblico dei servizi non riservati è, invece, soggetta ad atti di autorizzazione.
Se si tratta di servizi rientranti nel campo di applicazione del servizio universale, l’ingresso sul
mercato è soggetto al rilascio di una licenza individuale.
Tale rilascio, tenuto conto della situazione del mercato e dell’organizzazione dei servizi postali,
può essere subordinato a specifici obblighi di servizio universale con riguardo anche alla qualità,
alla disponibilità e all’esecuzione delle prestazioni.
L’offerta di servizi non rientranti nel servizio universale è, invece, soggetta ad autorizzazione
generale. A seconda dei casi, si applica la procedura della denucnia di inizio di attività o del silenzio
assenso.
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