geografia antropica
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SEZIONE 6 GEOGRAFIA ANTROPICA Obiettivi Conoscenze ➜Indicare i diversi tipi di risorse naturali (minerarie, energetiche, alimentari, ambientali) distinguendo tra rinnovabili e non rinnovabili. ➜Illustrare le caratteristiche delle differenti risorse energetiche (combustibili fossili, energia nucleare, fonti rinnovabili). ➜Analizzare la situazione dei consumi di materie prime ed energia nelle diverse aree geografiche. ➜Descrivere l’andamento dello sviluppo demografico mondiale dagli albori della civiltà ai giorni nostri. ➜Spiegare il concetto di sviluppo sostenibile. Competenze ➜Interpretare dati e informazioni nei vari modi in cui sono presentati (linguaggio specifico, carte tematiche, diagrammi, grafici, tabelle ecc.). ➜Comunicare e rappresentare dati e informazioni (relativi a demografia e risorse) attraverso la terminologia specifica e il simbolismo appropriato (grafici, diagrammi, tabelle ecc.). ➜Confrontare le caratteristiche delle diverse fonti energetiche analizzandone vantaggi e svantaggi, le differenti disponibilità di risorse nei diversi Paesi ecc. ➜Discutere dei problemi che riguardano la demografia mondiale, l’utilizzo delle risorse e i modelli di sviluppo con opinioni supportate da dati e informazioni. ➜Ricercare, raccogliere e selezionare dati e informazioni da fonti attendibili (testi, riviste scientifiche, siti web ecc.). UNITÀ LE RISORSE 15 Per iniziare... Le domande a cui saprai rispondere. 1 Un minerale: ➜ Che cosa sono le risorse naturali e come si possono classificare? ➜ Quali sono le caratteristiche dei giacimenti minerari, come si formano e come si ricercano? ➜ Quali sono i principali tipi di risorse energetiche e quali i problemi legati al loro sfruttamento? ➜ In che modo l’umanità si procura le risorse alimentari? ➜ Che cosa si intende per risorse ambientali? a b c è un composto chimico cristallino è una roccia di piccole dimensioni è un fossile 2 Una roccia magmatica: a b c si origina per raffreddamento di un magma si origina per riscaldamento di un magma deriva da processi di deposizione di detriti 3 Una roccia sedimentaria: a b c si origina per raffreddamento di un magma si origina per riscaldamento di un magma deriva da processi di deposizione di detriti Unità 15 · Le risorse 1 Le risorse naturali Si definiscono risorse naturali i materiali che l’uomo preleva dall’ambiente per soddisfare i propri bisogni; sono da considerare risorse anche i fenomeni naturali (come lo spirare del vento) utilizzabili allo stesso scopo. Le risorse che la natura ci offre sono numerose e non è facile classificarle: proponiamo la seguente suddivisione. • Risorse minerarie: sono i minerali e gli elementi nativi metallici, che si estraggono dalle rocce del sottosuolo. In questa categoria si collocano anche carbone e petrolio, ma riteniamo più utile considerarli nel gruppo successivo. Risorse energetiche: sono tutti i materiali e i feno• meni naturali che permettono di produrre energia. La legna e i combustibili fossili (carbone, petrolio, gas naturale), il movimento delle acque (energia idroelettrica), i fenomeni di vulcanismo secondario (energia geotermica), il vento (energia eolica), la radiazione solare (energia solare), l’uranio radioattivo (energia nucleare) sono i principali. Risorse alimentari: sono i prodotti dell’agricoltura, • dell’allevamento e della pesca. Risorse ambientali: si tratta di ciò che nel passato • veniva ritenuto inesauribile, ma che attualmente denuncia uno stato di crisi. Le più importanti sono l’acqua dolce (risorse idriche) e il territorio (suolo coltivabile, foresta da legna, terreno da pascolo e persino il paesaggio). Anche i materiali rocciosi utilizzabili per l’edilizia (marne, argille, sabbie e ghiaie) si possono attribuire a questa categoria. È utile, inoltre, distinguere tra risorse rinnovabili e risorse non rinnovabili, in base al tempo necessario alla loro rigenerazione naturale. Le risorse rinnovabili non si esauriscono, o comunque si ricostituiscono in tempi relativamente brevi: radiazione solare, vento, geotermia sono inesauribili, mentre l’acqua, i prodotti agricoli e di allevamento, le foreste e i suoli si rigenerano a mano a mano che vengono consumati o sfruttati, se l’intensità dello sfruttamento non è eccessiva e non sono soggetti a fenomeni d’inquinamento. Sono non rinnovabili quelle risorse che non possono tornare in tempi brevi alle condizioni precedenti al loro utilizzo: i combustibili fossili e i minerali si sono formati in tempi geologici, per cui l’attuale ritmo di sfruttamento li esaurirà in modo irreversibile. Le risorse ancora disponibili ed economicamente sfruttabili allo stato attuale della tecnologia sono definite riserve: i due termini non sono sinonimi, poiché esistono materiali che attualmente non sono raggiungibili 3 o non è conveniente sfruttare, ma che potrebbero trasformarsi in riserve con lo sviluppo di nuove tecnologie. Quando si fanno le stime previsionali sulle disponibilità di materie prime, si tiene conto solo delle riserve. 2 Le risorse minerarie Uno dei maggiori campi di applicazione della Geologia è la ricerca mineraria, che consiste nell’individuazione delle zone in cui i minerali sono presenti, nella stima della loro entità (quindi della convenienza dell’azione di estrazione), nella valutazione delle conseguenze ambientali dell’attività estrattiva. I minerali possono essere utilizzati come tali oppure possono costituire i materiali da cui si ottengono i metalli puri. Tutte le rocce della crosta terrestre contengono minerali, ma la maggior parte di esse non interessa all’industria mineraria perché contiene minerale (o metallo) utile in percentuali irrisorie o in forma non accessibile a costi competitivi. Un caso classico è quello dell’alluminio, elemento abbondantissimo nella crosta terrestre (ne costituisce l’8%), ma “imprigionato” in minerali, gli alluminosilicati, da cui non si riesce a separare: deve perciò essere estratto dalla bauxite, per la quale esiste un’adeguata metodologia di estrazione. Siamo perciò costretti a ricercare, sia sulla terraferma sia sui fondali marini, i giacimenti minerari, formazioni rocciose in cui il minerale utile è presente in concentrazioni superiori a quelle normalmente presenti in rocce dello stesso tipo (➜1). 1 La miniera di rame a cielo aperto di Bingham Canyon, Utah (USA). 4 Geografia antropica · Sezione 6 Qualcosa in più Qualcosa in più Qualcosa in più Qualcosa in più Qualcosa in più Come si formano i giacimenti? In base al tipo di processo che ha portato alla concentrazione del minerale utile (processo mineralogenico) si distingue tra giacimenti magmatici, sedimentari e metamorfici. Spesso, però, un giacimento si forma in fasi successive: i minerali cristallizzano durante la solidificazione di un magma (fase magmatica) e successivamente si concentrano per deposizione di sedimenti fluviali (fase sedimentaria). Giacimenti di origine magmatica Si originano in seguito alla solidificazione di magmi, attraverso due principali meccanismi: la formazione di filoni pegmatitici o idrotermali e la segregazione magmatica. Il primo caso è decisamente il più importante e interessa in particolare i magmi intrusivi. La gran parte di un magma (circa il 90%) solidifica tra i 1200 e i 650 °C (fase ortomagmatica) dando origine a minerali silicatici. Il fuso residuo solidifica a temperatura inferiore (sino a 372 °C, fase pegmatitica). Proprio durante questa seconda fase, i gas presenti nel magma, che si trovano concentrati notevolmente nel poco fuso rimasto, favoriscono la formazione di cristalli di notevoli dimensioni, sia di silicati (ortoclasio, tormalina, berillo e altri minerali in forma di topazi, smeraldi e acquamarine) sia di elementi rari (oro, argento, arsenico, uranio ecc.). Il magma, inoltre, si infiltra in ogni spaccatura delle rocce vicine formando dei filoni pegmatitici. Al di sotto dei 372 °C, il processo entra nella fase idrotermale, nella quale l’acqua si trova allo stato liquido, nonostante l’elevata temperatura, a causa della pressione elevata: i minerali si formano per precipitazione da soluzioni acquose in raffreddamento, che penetrano nelle fessurazioni delle rocce circostanti, formando vene e filoni idrotermali. Si tratta soprattutto di solfuri d’argento, zinco, stagno, rame, piombo e mercurio. Il processo di segregazione magmatica consiste nella separazione precoce, per cristallizzazione, di minerali accessori: nei camini vulcanici, per esempio, la lava solidificata può contenere rocce, dette kimberliti, che hanno l’eccezionale caratteristica di essere “ricche” di diamanti formatisi per cristallizzazione del carbonio presente nel magma in so- 1 Kimberley, Sudafrica. Camino diamantifero Big Hole e diamante grezzo ottaedrico. lidificazione, tra i 1300 e i 900 °C e a pressioni elevate (50-90 kbar). I più grandi giacimenti di questo tipo, con la forma di giganteschi cilindri o imbuti, sono in Sudafrica (a Kimberley e a Pretoria), con un tenore in diamanti di 30250 mg per tonnellata di roccia (➜1). Giacimenti di origine sedimentaria Si formano per mezzo dei classici meccanismi che portano alla formazione dei vari tipi di rocce sedimentarie: distinguiamo quindi tra giacimenti detritici, giacimenti chimici e giacimenti organogeni. I giacimenti detritici si formano in seguito a processi di erosione, trasporto e deposito di materiali a opera del ruscella- 2 Ambienti sedimentari. In prossimità dell’ansa di un fiume è molto probabile trovare una concentrazione di metalli pesanti, poiché la velocità delle acque diminuisce e si depositano sedimenti con densità maggiore. mento, dei fiumi, delle correnti marine, del vento. Durante il trasporto, l’agente esogeno seleziona i sedimenti in base al loro peso e poi li deposita, concentrandoli, quando la sua energia diminuisce. Ambienti sedimentari favorevoli sono: il lato interno dei meandri fluviali (➜2), dove la corrente è più lenta, i delta dei fiumi, i conoidi di deiezione e i depositi alluvionali. Si sono originati in questo modo importanti giacimenti di sabbie aurifere negli Stati Uniti, di diamanti, di uranio e di platino in Sudafrica: si tratta sempre di materiali pesanti, che si depositano con facilità. I giacimenti chimici si formano in seguito a precipitazione di materiali in soluzione, di solito in seguito a variazione di temperatura o all’evaporazione dell’acqua in bacini marini o lacustri. Si tratta solitamente di formazioni stratificate, poiché i minerali precipitano in tempi successivi in base alla loro diversa solubilità. Si originano così i giacimenti di salgemma, carbonato di calcio, gesso, anidrite, potassio, uranio e rame. I giacimenti organogeni derivano da processi biologici: sono di questo tipo le rocce fosfatiche (spesso derivate dal guano), il carbone e il petrolio. Giacimenti di origine metamorfica Grazie al metamorfismo di contatto, si possono formare, nelle rocce prossime a magmi in raffreddamento, giacimenti di pietre preziose, di grafite o di talco. Unità 15 · Le risorse La percentuale di minerale utile è comunque sempre piuttosto bassa, rispetto al materiale di scarto (ganga): si definisce “coltivazione” del giacimento l’insieme dei trattamenti fisico-chimici che portano al prodotto finale, abbastanza puro da essere utilizzabile da parte dell’industria. È quindi essenziale riuscire a conoscere, per mezzo di analisi chimiche, in quale percentuale il minerale che vogliamo estrarre è presente in una determinata roccia (tenore del minerale utile) e definire il tenore minimo coltivabile, ossia la percentuale minima che un giacimento deve contenere perché lo sfruttamento industriale sia economicamente vantaggioso. 2.1Distribuzione, ricerca e sfruttamento dei giacimenti minerari Le risorse minerarie non sono illimitate e la loro distribuzione non è omogenea (➜2): molti Paesi del Terzo Mondo sono produttori di materia prima, ma ne consumano una percentuale irrisoria. In ogni modo, nessun Paese al mondo è autosufficiente per tutti i minerali di cui necessita. I metodi di ricerca dei giacimenti si sono modificati dai tempi in cui il ricercatore esperto “scovava” filoni 2 Distribuzione delle risorse minerarie nel mondo. argento alluminio oro cromo rame o depositi ricchi di minerale esaminando i ciottoli trasportati dai fiumi. Attualmente si usano svariate tecniche: la prospezione di tipo geochimico, che cerca di individuare concentrazioni “anomale” di elementi chimici in superficie (che potrebbero derivare da giacimenti), l’analisi delle anomalie gravitazionali, delle anomalie magnetiche (per i giacimenti di ferro, nichel e cobalto), e del comportamento delle onde sismiche artificiali. In tempi recenti si è iniziato a trarre informazioni da immagini satellitari, riprese in frequenze particolari, in grado di “vedere dentro la Terra”. Nelle aree più promettenti si fanno poi scavi o perforazioni di esplorazione, e si valuta infine la convenienza economica dell’estrazione. Le risorse minerarie sono di tipo non rinnovabile e l’unica possibilità che abbiamo, per impedirne l’esaurimento, è il riciclaggio, che attenuerebbe anche i problemi ambientali che si creano nelle regioni in cui sono presenti miniere (gli effetti deturpanti della presenza di cave e miniere a cielo aperto sul paesaggio, il rischio di crolli e franamenti nei versanti delle montagne indeboliti dalle gallerie, ma, soprattutto, l’accumulo dei residui di lavorazione, la cui rimozione è economicamente onerosa). 2U10/Fig.10.04 planiminerali ferro mercurio potassio manganese nichel 5 piombo fosfati platino zolfo stagno titanio vanadio tungsteno zinco uranio la dimensione dei cerchi è proporzionale all’importanza del giacimento diamanti 6 Geografia antropica · Sezione 6 3 Le risorse energetiche 3.1 I Noi otteniamo energia dai combustibili fossili (petrolio, carbone e gas naturale), dalla fissione dell’uranio (energia nucleare) e da fonti rinnovabili come il movimento delle acque dei fiumi (energia idroelettrica), il Sole (energia fotovoltaica e solare termica), il vento (energia eolica), le biomasse e il calore terrestre (energia geotermica). I consumi energetici mondiali sono in continuo aumento, sia in conseguenza dell’incremento demografico, sia per l’espansione dei consumi che si sta verificando in gran parte del mondo (specialmente in Cina e in India): nel 2010 la domanda di energia ha raggiunto i 12 844 Mtep e si prevede un notevole incremento nei prossimi anni. (➜3). 3 Andamento dei consumi di energia nel mondo. 4000 milioni di TEP 3000 tro pe lio e bon 2000 car gas 1000 rale natu idroelettrica energia geo- 0 1960 te gni e li 1970 1980 anni energia nucleoelettrica 1990 2000 Tabella 1 I consumi energetici I combustibili fossili (petrolio, carbone e gas naturale) sono la principale fonte di energia nelle società industriali e costituiscono circa l’85% delle risorse energetiche attualmente utilizzate nel mondo. Il petrolio soddisfa circa il 35% della domanda energetica mondiale (in Italia il 43%) e rimarrà in posizione dominante per almeno altri 20-30 anni. I motivi di questa preminenza sono numerosi: dalla raffinazione del “greggio” si ottengono carburanti a elevata resa energetica, come benzina, gasolio, nafta (per gli impianti di riscaldamento) e cherosene (per gli aerei); da esso si ricavano olii lubrificanti e catrami, e viene utilizzato per la fabbricazione di materie plastiche e fibre sintetiche. È inoltre liquido, quindi facilmente trasportabile e immagazzinabile, e il suo costo, nonostante le notevoli oscillazioni del prezzo del greggio verificatesi negli ultimi anni, risulta tuttora fortemente competitivo con altre forme di energia. Il settore che influisce maggiormente sulla domanda di petrolio è quello dei trasporti. Nel mondo si consumano circa 90 milioni di barili di petrolio al giorno (un barile equivale a circa 159 L), ma in modo nettamente diversificato, poiché Europa e Nord America rappresentano più della metà della domanda totale, nonostante la crescita dei consumi di Paesi emergenti come Cina e India. Si prevede, però, che nei prossimi anni l’incremento dei consumi sarà maggiore nei PVS e la quota dei Paesi industrializzati si ridurrà al 30% circa. Se i consumi non sono equamente ripartiti, lo sono ancor meno le riserve: le maggiori concentrazioni di pozzi petroliferi si trovano Tabella 2 La domanda di petrolio Consumi energetici mondiali per fonte (Mtep) 2010 2020 2030 Petrolio 4677 5312 6025 Gas naturale 3052 3934 4785 Carbone 3246 4034 4927 Nucleare 728 829 874 Rinnovabili 1139 1338 1572 12 844 15 447 18 184 Totale mondo combustibili fossili Fonte: EIA (Energy Information Administration) GLOSSARIO Mtep Milioni di tonnellate equivalenti di petrolio; è la quantità di energia rilasciata dalla combustione di una tonnellata di petrolio ed equivale a 42 miliardi di joule). Principali importatori Quota della domanda mondiale (%) USA 27,4 Giappone 9,9 Cina 7,6 India 5,8 Corea del Sud 5,6 Germania 5,1 Italia 4,5 Francia 3,9 Spagna 4,3 Paesi Bassi 2,8 Resto del mondo 23,1 Fonte: IEA (International Energy Agency), dati 2008 2U10/Fig.10.07 planipetrolio Unità 15 · Le risorse 7 petrolio gas petrolio e gas off-shore oleodotti gasdotti commercio di petrolio 4 Produzione di greggio e gas e flussi commerciali. Tabella 3 I produttori di petrolio Principali produttori Quota della produzione mondiale (%) Arabia Saudita 12,9 Russia 12,3 USA 7,6 Iran 5,4 Cina 4,8 Messico 4,0 Canada 3,9 Kuwait 3,7 Venezuela 3,5 Emirati Arabi 3,5 India 3,3 Resto del mondo 35,1 Fonte: IEA (International Energy Agency), dati 2008 in Medio Oriente, negli USA, in Russia, in Cina, in Venezuela, in Messico e nel Mare del Nord (➜4). Una stima delle riserve disponibili è assai difficile, poiché al continuo sfruttamento corrisponde la scoperta di nuovi giacimenti. Le valutazioni più attendibili oscillano tra 1000 e 2000 miliardi di barili, che garantirebbero i consumi attuali per 40-80 anni: è però impensabile che si mantenga l’attuale livello di consumi, poiché i PVS stanno rapidamente incrementando la loro domanda. Ma già molto prima dell’effettivo esaurimento delle riserve, l’inevitabile aumento dei prezzi causato dalla crescita dei costi di estrazione (oltre che dalla legge della domanda e dell’offerta) e la conseguente perdita di competitività di questa fonte di energia, fa presumere che l’era petrolifera si esaurirà entro la metà del XXI secolo. Le tecniche di ricerca non sono più quelle pionieristiche dell’inizio del Novecento, basate sulla semplice osservazione delle eventuali tracce oleose nei bacini d’acqua e sul terreno: quelli erano giacimenti situati a scarsa profondità e quindi facilmente raggiungibili. Gli attuali metodi di ricerca fanno uso di strumentazioni sofisticate e, soprattutto, indirizzano la loro azione su basi teoriche (Tettonica delle Placche). Noi sappiano infatti che i giacimenti sotterranei si trovano nel nucleo di anticlinali, all’interno di rocce porose (dette rocce-serbatoio), delimitate superiormente da rocce impermeabili che creano la cosiddetta “trappola” per il petrolio, e inferiormente da uno strato, detto roccia madre, responsabile della genesi del petrolio stesso: in 8 Geografia antropica · Sezione 6 pozzi di estrazione roccia impermeabile petrolio gas acqua faglia roccia serbatoio roccia madre 5 La migrazione del petrolio. Il petrolio migra dalle rocce madri alle rocce serbatoio da dove verrà estratto. una situazione diversa da questa, il petrolio filtrerebbe verso la superficie (data la sua tendenza a galleggiare sull’acqua) e lascerebbe solo residui solidi (i bitumi) (➜5). Sappiamo inoltre che i processi anaerobi che portano alla formazione dell’“oro nero” si verificano in ambienti di sedimentazione particolari, tipici dei margini continentali “passivi” (bacini di mare poco profondi, come le lagune, con scarsa circolazione di ossigeno). In base a queste conoscenze si cerca di individuare le zone che possono offrire prospettive positive. Dopodiché, per sondare il sottosuolo, si effettuano trivellazioni, che spesso risultano infruttuose, perché rilevano la presenza di masse ridotte di greggio il cui sfruttamento non è economicamente remunerativo, ma che a volte possono portare alla scoperta di ingenti riserve. Negli ultimi anni l’attività estrattiva si è estesa ai fondali marini situati lungo i margini continentali, per mezzo di piattaforme petrolifere (mare del Nord, Golfo del Messico ecc.). Il carbone (➜6), motore energetico della rivoluzione industriale in Europa, a partire dalla metà del XX secolo è stato in gran parte soppiantato dal petrolio, almeno nei Paesi industrializzati: fino alla II guerra mondiale è stato il combustibile di gran lunga più utilizzato, ma già nel 1960 copriva solo il 48% dei consumi, e ora circa il 25% (in Italia il 9%). Nonostante ciò, per molti Paesi (Cina, Russia, India, ma anche Stati Uniti) il carbone è una fonte energetica di primaria importanza. In questo caso non vi è uno squilibrio tra chi consuma e chi produce, poiché i principali consumatori sono anche i primi produttori. I limiti all’uso del carbone non sono economici, ma legati all’ingombro (notevole, a parità di resa con il petrolio), al trasporto e allo stoccaggio, e alla pericolosità del lavoro nelle miniere. Il problema maggiore è però di tipo ambientale, a causa degli effetti inquinanti che si producono durante la combustione di questo materiale, che contiene sempre una certa percentuale di zolfo (l’anidride solforosa che si libera nell’atmosfera produce il fenomeno delle piogge acide). La ricerca dei giacimenti di carbone si basa sui medesimi metodi descritti per i giacimenti minerari e porta ogni giorno alla scoperta di nuove riserve, che sono infatti molto consistenti: secondo stime attendibili, ammontano a oltre 800 miliardi di tonnellate, sufficienti a coprire per 133 anni il fabbisogno, se i consumi si mantengono sugli attuali livelli. Sono allo studio tecnologie che ne permettano l’utilizzo con effetti meno devastanti sull’ambiente. Una tecnica è la Polverizzazione del carbone (Pulverised Fuel Combustion): il carbone viene macinato molto finemente e il pulviscolo ottenuto viene iniettato in una camera di combustione consentendo un completo utilizzo del combustibile, che non viene quindi riversato nell’atmosfera. Allo stato sperimentale è la Gassificazione del carbone (Integrated Gasification Combined Cycle - IGCC): la polvere di carbone viene trasformata in gas; per mezzo di questo processo lo zolfo presente nel carbone può essere quasi completamente recuperato in forma commerciale e le ceneri sono convertite in scorie vetrificate. Tabella 4 Produzione di carbone per area geografica Principali produttori Quota della produzione mondiale (%) Cina 29,5 Stati Uniti e Canada 25,8 Federazione russa e Ucraina 9,2 Europa occidentale 8,6 Australia 7,7 India 7,2 Africa 5,5 Resto del mondo 12,0 Fonte: IEA (International Energy Agency), dati 2008 Il metano (o gas naturale) copre circa il 25% del fabbisogno energetico mondiale e ha il pregio di essere molto meno inquinante dei combustibili derivati dal petrolio. Il problema che limita l’utilizzo di questa risorsa riguarda il trasporto, che richiede la costruzione di metanodotti o, se viene effettuato con navi cisterna, rende necessaria la liquefazione del gas: si tratta di in- Unità 14 · L’apparato locomotore 9 6 Il carbone Nelle zone paludose l’accumulo di resti vegetali (muschi, alghe, canne, piante palustri, felci ed equiseti) viene sottratto all’azione demolitrice dell’ossigeno dallo strato vivente sovrastante e dal limo, che favoriscono l’azione dei batteri anaerobi. Di solito queste zone paludose, come le torbiere che si trovano a valle del lago d’Iseo, sono aree protette in quanto meta temporanea di numerosi uccelli migratori e casa permanente di numerose specie acquatiche. n 1000 PROFONDITÀ IN METRI acqua stagnante povera di ossigeno vegetazione palustre resti vegetali La torba è il carbone “giovane”, formatosi nell’era quaternaria: costituisce il sottofondo di zone paludose. La torba contiene circa il 60-65% di carbonio e ha un basso potere calorifico: 3500 calorie per kg. n La lignite è un carbone più vecchio: risale all’era terziaria, ha un contenuto in carbonio che arriva fino al 70% e sviluppa un potere calorifico di 5000 calorie per kg. 3000 n Il litantrace contiene l’85% di carbonio con un potere calorifico di 7000 calorie per kg. 6000 n L’antracite è il carbone più antico e più pregiato poiché contiene il 95% di carbonio e produce circa 9000 calorie per kg. I maggiori giacimenti risalgono al periodo carbonifero (300 milioni di anni fa) nell’era paleozoica. n 10 Geografia antropica · Sezione 6 ha visto crescere negli ultimi anni l’utilizzo del gas, fino a coprire il 35% del proprio fabbisogno energetico. Lo importiamo prevalentemente dalla Russia, dall’Algeria e dai Paesi Bassi. 3.2L’energia A partire dal secondo dopoguerra, alcuni Paesi hanno puntato sulla produzione di energia nucleare, derivante dalla fissione dell’uranio “arricchito” (U238 arricchito con U235, che rappresenta una piccola percentuale dell’uranio naturale), o del plutonio (Pu239). Un kg di uranio naturale produce diecimila volte più energia di un kg di carbone, e le sue riserve sono ancora elevate. I maggiori produttori di uranio sono USA, Canada, Russia, Cina, Sudafrica e Australia, ma anche Paesi europei come Francia e Svezia dispongono di riserve consistenti. Le oltre 440 centrali nucleari esistenti nel mondo producono complessivamente 370 gigawatt (Gw), pari al 7% di tutta l’energia prodotta nel mondo e al 16% della produzione mondiale d’energia elettrica. L’Europa soddisfa mediamente il 35% del proprio fabbisogno energetico interno tramite l’uso di centrali nucleari: i Paesi europei che più si sono spinti in questa direzione sono la Francia (78% della produzione energetica nazionale), la Svezia (45%), la Svizzera e il Belgio; nel mondo, Giappone, Canada e USA sono tra i maggiori produttori di energia nucleare (➜8). Non tutti i Paesi, però, hanno continuato su questa strada: i governi di Germania, Svezia e USA, per esempio, hanno bloccato l’espansione del settore e altri ne 7 Una piattaforma fissa dell’ENI al largo di Ravenna. Da una serie di pozzi dislocati al largo della costa romagnola si estraggono discrete quantità di metano. terventi molto costosi, che incidono sul prezzo al consumo almeno per il 40%. Nonostante questo limite, se ne prevede un incremento consistente dell’utilizzo nei prossimi anni. Le riserve accertate non sono ingenti, ma comunque sufficienti per i prossimi 60 anni, al ritmo dei consumi attuali. I maggiori produttori di gas naturale sono la Russia (21%), gli USA (18,5%), il Canada (5,6%) e l’Iran 3,8%, oltre a Norvegia, Algeria e Qatar, mentre i maggiori importatori sono il Giappone (12%), gli Usa (10,7%), la Germania (10%) e l’Italia (9,8%) (➜7). Quest’ultima barre di controllo reattore nucleare vapore barre di combustibile di uranio sodio fuso o acqua liquida sotto alta pressione (trasporta calore al generatore di vapore) nucleare turbina a vapore (genera elettricità) + – scambiatore di calore condensatore (il vapore della turbina viene condensato con acqua fredda) pompa acqua fredda acqua calda 8 Schema di funzionamento di una centrale nucleare. Unità 15 · Le risorse 11 Tabella 5 I principali produttori di energia nucleare Principali produttori Quota della produzione mondiale (%) USA 30,8 Francia 16,2 Giappone 9,7 Russia 5,9 Corea del Sud 5,3 Germania 5,2 Canada 3,4 Ucraina 3,4 Svezia 2,5 Regno Unito 2,3 Resto del mondo 15,3 Fonte: IEA (International Energy Agency), dati 2007 sono usciti completamente. L’Italia ha abbandonato il nucleare in seguito al referendum popolare del 1987; tale scelta è oggi messa in discussione dal Governo che prevede un ritorno al nucleare. Al di là di alcuni indubbi benefici, come la riduzione dell’emissione di gas serra, i problemi legati al nucleare sono molteplici: i pericoli derivanti dal malfunzionamento delle centrali (come nel caso di Chernobyl, 1986); i crescenti costi di manutenzione degli impianti e quelli elevatissimi per lo smantellamento dei reattori (che deve avvenire dopo 30-40 anni di attività dell’impianto); il grave problema delle scorie radioattive prodotte dalla fissione nucleare (30 tonnellate in un anno per un reattore di medie dimensioni), che richiedono onerosi interventi di stoccaggio (l’uranio impiega 1000 anni a “decadere” sino a valori trascurabili di radioattività, il plutonio 250 000). Oggi&Domani Oggi&Domani Oggi&Domani Oggi&Domani Oggi&Domani Il problema delle scorie radioattive Il termine “scoria” deriva dal greco skor, che significa “escremento”. Di solito, in un ecosistema gli scarti di un organismo vengono riciclati da altri organismi che li utilizzano come nutrimento. Per contro, gli scarti industriali e dell’attività umana non riescono ad essere smaltiti dall’ambiente in misura adeguata. Le scorie nucleari sono le più pericolose: a oggi non esiste una risposta ade- guata per il loro smaltimento sicuro. Al momento le scorie sono conservate nelle vicinanze delle centrali (➜1), in attesa di individuare luoghi “sicuri” per la loro conservazione: nel sottosuolo, in formazioni geologiche che garantiscano un isolamento (graniti, basalti, argille). L’attività delle centrali nucleari in Italia ci ha lasciato 53 000 m3 di scorie che sono ancora in attesa di essere sepolte in un luogo sicuro. Le scorie di prima e seconda categoria sono le meno pericolose poiché esauriscono la loro attività in poche decine di 1 Il vapore che fuoriesce dalle centrali nucleari non è radioattivo: le barre di combustibile sono isolate in compartimenti stagni nel cuore della centrale. anni o al massimo in non più di tre secoli: si tratta di materiali contaminati, come guanti e camici, frammenti di intonaco ecc. Le scorie di terza categoria derivano direttamente dal combustibile utilizzato nelle centrali: queste vengono inglobate in materiale vetroso isolante e racchiuse in contenitori di acciaio molto resistenti (➜2). Sembra che il vetro sia il materiale più adatto per isolare le scorie di terza categoria, come dimostrano i recenti studi sulle ossidiane, le rocce vetrose di origine vulcanica. 2 Addetti alla manutenzione di una centrale nucleare maneggiano con estrema cura un bidone di scorie radioattive. Le tute proteggono i loro corpi dalle radiazioni più pericolose ma è bene non trascorrere molto tempo nelle vicinanze delle scorie. 12 Geografia antropica · Sezione 6 3.3Le fonti energetiche rinnovabili Tabella 6 I principali produttori di energia idroelettrica Le fonti energetiche rinnovabili (idroelettrico, biomasse, geotermico, eolico, solare) rappresentano una parte ancora decisamente minoritaria della produzione mondiale di energia (meno del 10%). Principali produttori Energia idroelettrica Il movimento delle acque dei fiumi è sfruttato da tempo immemorabile nei mulini, ma le centrali idroelettriche sono un’applicazione recente. Nel caso più comune, il corso di un fiume viene sbarrato da una diga (➜9) che crea un bacino artificiale e un dislivello dal quale precipitano le acque: in questo modo è possibile produrre energia elettrica in modo continuo, prescindendo dalle variazioni di portata del corso d’acqua. Nonostante il fatto che solo il 6% della domanda mondiale di energia sia coperta dall’idroelettrico (21% dell’energia elettrica), esso rappresenta l’89% dell’energia prodotta da fonti alternative. Ha anche notevoli possibilità di sviluppo: tutti i Paesi che hanno buone disponibilità d’acqua fluviale (nelle zone equatoriali, in quelle temperate con regime pluviale elevato, oppure con grandi montagne) hanno dimostrato un notevole interesse a questa forma di energia pulita e rinnovabile che ha costi competitivi con i combustibili fossili; i principali produttori mondiali sono Cina, Brasile, Canada e USA. Non bisogna però dimenticare i devastanti effetti sull’ambente prodotti da alcune grandi opere di regimentazione dei fiumi e i pericoli di catastrofi. Per que9 Schema di funzionamento di una diga. L’energia di caduta dell’acqua di un bacino artificiale viene utilizzata per la produzione di energia elettrica. Diga a Condott Bacino a monte Generatore forzata Trasformatore Turbina Restituzione in alveo Quota della produzione mondiale (%) Cina 15,3 Brasile 11,7 Canada 11,7 USA 8,7 Russia 5,7 Norvegia 4,3 India 3,9 Giappone 2,7 Venezuela 2,6 Svezia 2,1 Resto del mondo 31,7 Fonte: IEA (International Energy Agency), dati 2007 sto motivo la tendenza attuale è quella di costruire impianti medio-piccoli. In Italia la produzione di energia da bacini idroelettrici è stata predominante sino agli ’50 del secolo scorso. Attualmente, con oltre 2000 impianti situati prevalentemente nelle regioni settentrionali, corrisponde al 3% dell’energia totale (13% dell’energia elettrica), anche se rappresenta ancora la fonte di energia rinnovabile più importante nel nostro Paese (53% della produzione). Le biomasse Il termine biomassa viene utilizzato per indicare materiale organico (prevalentemente di origine vegetale), nel quale l’energia solare si è accumulata grazie al processo di fotosintesi clorofilliana. Oltre alla legna ricavata dalle foreste (la più tradizionale delle biomasse), si utilizzano i residui delle coltivazioni agricole (paglia, lolla di riso, pula di grano), gli scarti delle lavorazioni nel settore alimentare (gusci, noccioli ecc.), quelli della lavorazione del legno (segatura, trucioli), le deiezioni animali delle aziende zootecniche e i rifiuti solidi urbani (RSU). Si possono anche coltivare piante a crescita rapida per uso energetico, sia pluriennali (come il pioppo, il salice e l’eucalipto e la robinia), sia annuali (come il sorgo, la canna da zucchero, il cardo, la barbabietola, il girasole e la colza). Le biomasse possono essere utilizzate come combustibili nei motori a scoppio e per produrre elettricità e calore. Alcune tecnologie di conversione energetica sono già abbastanza sviluppate e possono essere utilizzate a livello industriale, altre sono a livello sperimentale. La combustione diretta, effettuata in opportune caldaie, di paglie, residui di potatura delle piante, scarti Unità 15 · Le risorse 13 10 Impianti di produzione di biogas. della raccolta di legumi e di piante tessili (cotone, canapa) è utilizzata per il riscaldamento. I processi biochimici di digestione anaerobica di deiezioni animali, rifiuti organici civili e industriali, a opera di microrganismi, producono biogas (soprattutto metano), utilizzabile come biocombustibile (➜10). Un altro processo biochimico è la fermentazione alcolica di materiale vegetale pretrattato (da cereali, barbabietole, patate, canna da zucchero ecc.), per produrre sia bioetanolo sia ETBE (etilterbutiletere), che possono essere utilizzati come biocarburanti per automezzi sia puri sia mescolati a benzina. Per spremitura o estrazione con solventi si produce biodiesel (un olio combustibile utilizzabile per l’autotrasporto e gli impianti di riscaldamento) da piante oleose come la colza, il girasole e la soia. La pirolisi è un processo termochimico (a 300°-700 °C) per mezzo del quale, da materiali organici, si ottiene una frazione “gassosa” a basso-medio potere calorifico (contenente CO, CO2, idrocarburi e H2), una frazione “liquida oleosa” contenente acqua e composti organici a basso peso molecolare (aldeidi, acidi, chetoni, alcoli), un prodotto “solido” contenente residui a più alto peso molecolare (furani e composti fenolici). Tipi particolari di processi termochimici sono la carbonizzazione, con la quale si ottiene carbone da scarti legnosi (un processo noto sin dall’antichità) e la gasificazione, con cui si ottiene combustibile gassoso contenente monossido di carbonio (CO), idrogeno (H2) e idrocarburi. Tutti questi combustibili rappresentano fonti di energia “rinnovabile” e relativamente “pulita”, perché non contengono zolfo, benzene e idrocarburi aroma- tici; inoltre non contribuiscono all’effetto serra, poiché producono la medesima quantità di diossido di carbonio che si è consumata, con la fotosintesi, durante la formazione della biomassa stessa. Nonostante tali vantaggi, l’uso su larga scala delle biomasse comporta comunque problemi ambientali legati all’estensione delle aree destinate alle coltivazioni, alla sottrazione di territorio alle coltivazioni alimentari, all’uso di fertilizzanti. Nonostante le potenzialità energetiche delle biomasse siano immense, esse attualmente soddisfano circa il 15% del fabbisogno mondiale di energia e il loro utilizzo è molto disomogeneo: i Paesi in Via di Sviluppo ricavano dalle biomasse (legname e deiezioni animali) il 35-40% del loro fabbisogno (in alcuni casi sino al 90%), ma si tratta di tecnologia a basso rendimento energetico, che ha provocato il disboscamento di alcune aree geografiche (come nel Sahel). Nei Paesi industrializzati le biomasse forniscono il 3% dell’energia globale e in Italia il 2% (contro il 1718% dei Paesi Scandinavi). Nel nostro Paese esistono impianti per il teleriscaldamento e per la produzione di energia elettrica da rifiuti urbani e da residui di lavorazione del legno. È prevista inoltre l’estensione delle colture energetiche nelle aree attualmente lasciate incolte perché poco produttive, ma per una produzione su larga scala sarebbero necessarie superfici agricole molto maggiori, che rischierebbero di sottrarre terreno alla produzione alimentare. Energia geotermica La geotermia è la fortuna dell’Islanda, dove l’85% delle case è riscaldato con questa fonte. A livello mondiale la produzione di energia da fonte geotermica corrisponde a oltre 16 000 megawatt, con una crescita annuale media di circa 3% negli ultimi trent’anni grazie al fatto che i costi di produzione di energia elettrica sono competitivi con quelli delle centrali termoelettriche. I maggiori produttori di energia da fonte geotermica sono gli Stati Uniti (oltre 2000 Mw di potenza installati), le Filippine (con circa 2000 Mw), il Messico, l’Indonesia, il Giappone e l’Italia (con oltre 700 Mw). Nel nostro Paese la produzione è concentrata in Toscana (Pisa, Siena e Grosseto) e la più antica centrale geotermica italiana si trova a Larderello (Pi). Energia eolica Il vento è una fonte di energia sfruttata dall’uomo sin dall’antichità, per la navigazione a vela e per il movimento dei mulini. L’utilizzo dell’energia eolica presenta alcuni problemi legati alla bassa densità del vento, quindi alla bassa potenza, e alla irregolarità del mo- 14 Geografia antropica · Sezione 6 pale gondola sostegno 11 Impianto eolico in California (USA) vimento. Nonostante ciò, da alcuni decenni sono stati avviati programmi che prevedono la produzione di energia elettrica per mezzo di generatori eolici (o aerogeneratori), che funzionano in parte come i mulini a vento: convertono infatti l’energia eolica, prima in energia meccanica e poi in energia elettrica (➜11). I più semplici aerogeneratori sono costituiti da un sostegno, alto alcuni metri, e da una “gondola” dotata di un rotore con pale di 10-40 m di lunghezza. La gondola, in grado di mantenersi sempre parallela alla direzione del vento, contiene un sistema meccanico di trasmissione collegato a un generatore di corrente. I generatori eolici producono energia proporzionalmente all’intensità del vento, che deve superare i 5 m/s perché il sistema entri in funzione. La produzione di energia eolica non produce nessun 12 Energia eolica. Questi generatori eolici si trovano al Tehachapi Pass, in California. Sono circa 5000 e sono distribuiti in modo tale da sfruttare al massimo il vento. tipo di sostanza inquinante e ha uno scarso impatto ambientale, limitato a quello “visivo” sul paesaggio e alle interferenze elettromagnetiche: a questi fenomeni si può ovviare scegliendo località isolate per la collocazione degli impianti (in Olanda esistono anche centrali eoliche offshore, su piattaforme marine). Negli ultimi anni il settore eolico è cresciuto a un ritmo di quasi il 30% annuo: nel 2009, è stata raggiunta una potenza totale installata di circa 150 000 megawatt, che permette di produrre il 2% del fabbisogno mondiale di energia. Con questi alti tassi di crescita si stima che ogni tre anni si possa incrementare dell’1% la copertura del fabbisogno mondiale di energia tramite questa fonte. Gli Stati Uniti d’America sono il leader mondiale del settore con una potenza eolica di oltre 25 Gw (➜12). La Germania è seconda nel mondo con una potenza totale di circa 24 Gw, seguita dalla Spagna con circa 17 Gw. Gli USA, la Germania, la Spagna, la Cina e l’India da sole rappresentano oltre il 70% della potenza eolica mondiale. L’Italia, il cui territorio è adatto a questo tipo di produzione nelle zone montane, in quelle costiere e nelle isole (dove il vento soffia in media a velocità comprese tra 5 e 10 m/s), si colloca in settima posizione con quasi 5 Gw di potenza installata, equivalenti ad oltre il 2% del consumo interno. Gli ormai numerosi generatori eolici installati sul territorio nazionale sono dislocati nelle regioni centro-meridionali (Calabria, Basilicata, Abruzzo, Campania, Puglia, Sardegna, Toscana). Tra gli impianti più potenti ricordiamo Ulassai (OG) con 78 Mw, Sant’Agata di Puglia (FG), con 72 Mw, Pianura di Campidano, in Sardegna, con 70 Mw e Grottole (MT) con 54 Mw. Il costo dell’energia eolica è competitivo con le fonti tradizionali (soprattutto se si tiene conto dei costi sociali ed economici dell’inquinamento provocato da queste ultime). Unità 15 · Le risorse 15 13 Pannelli solari. Energia solare Il Sole invia sulla Terra un’enorme quantità di energia (circa 1 kW/m2 di superficie) ed è perciò la più grande fonte di energia rinnovabile a disposizione dell’umanità. Nel tentativo di sfruttare questa immensa risorsa, le sperimentazioni e i progetti di ricerca si sono intensificati negli ultimi trent’anni, soprattutto da parte dei Paesi industrializzati con maggiore dipendenza energetica, e hanno portato al perfezionamento di due distinte tecnologie: il fotovoltaico, per la produzione di energia elettrica, e il solare termico, sia per il riscaldamento sia per l’energia elettrica. Nel fotovoltaico si sfrutta la proprietà di alcuni materiali semiconduttori opportunamente trattati (il silicio in particolare) di generare energia elettrica se colpiti dalla radiazione solare. Il dispositivo che opera la conversione energetica è detto cella fotovoltaica, ed è in grado di produrre 1-1,5 W quando è investito da una radiazione solare di 1000 W (che è la condizione normale di irraggiamento). Più celle assemblate insieme (di norma 36) formano un modulo fotovoltaico, con una superficie di 0,5 m2, che eroga una potenza di 4050 W (➜13). Accanto al generatore, occorre prevedere un sistema di accumulo (in genere costituito da batterie simili a quelle utilizzate per le auto), per soddisfare la richiesta di energia durante le ore serali. La potenza del fotovoltaico complessivamente installata nel mondo ha superato i 20 Gw, con un balzo in avanti di oltre 6 Gw di nuova potenza installata nel 2009. La Germania è in prima posizione con una capacità totale di 9 Gw, ma dietro c’è l’Italia con 1 Gw, seguita dal Giappone e dagli Stati Uniti. Si stima inoltre che si possano aggiungere tra 8 e 12 Gw di nuova potenza nel 2010. Nonostante questo incremento esponenziale, favorito dalla riduzione dei prezzi degli impianti e dagli incentivi statali, la quota di produzione energetica del fotovoltaico rimane minima, poiché il costo di produzione su grande scala è ancora elevato rispetto ai combustibili fossili e ad altre fonti alternative. Trova però applicazione in ambito domestico: case rurali, rifugi di montagna, persino piccole isole (Vulcano) utilizzano energia fotovoltaica. Gli impianti per il solare termico sfruttano un “effetto serra” in piccola scala: la luce solare entra liberamente nel sistema, si trasforma in una radiazione termica a bassa frequenza e rimane intrappolata all’interno. Il collettore, costituito da vetro o materiale trasparente in superficie e da uno strato assorbente sottostante (rame o acciaio o nichel-cromo anneriti) intrappola l’energia radiante e con essa scalda un fluido circolante (termoconvettore), che a sua volta dispenserà calore dove necessario. Esistono due tipi di impianti: a bassa e ad alta temperatura. Nel primo caso si usano pannelli solari piani, sensibili sia alla luce diretta sia a quella diffusa, che permettono la produzione di acqua calda e il riscaldamento degli edifici: nel mondo sono installati 30 milioni di m2 di pannelli di questo tipo. Nel secondo caso, meno comune, si usano sistemi di specchi parabolici che concentrano l’energia sino a ottenere temperature di 3000 °C. Il calore accumulato può essere utilizzato sia per il riscaldamento, sia per la produzione di energia elettrica. Impianti di questo tipo sono attivi negli USA, in Germania, in Israele e in Australia. Poiché i costi del solare termico sono più bassi di quelli del fotovoltaico, nei villaggi dei Paesi in Via di Sviluppo, dove manca una rete di distribuzione dell’elettricità, questo sistema si sta diffondendo. 16 Geografia antropica · Sezione 6 6 Le risorse alimentari Da quando l’uomo non è più cacciatore e raccoglitore produce e si procura gli alimenti con tre tipi di attività: agricoltura, allevamento e pesca. Nell’agricoltura è occupato l’80% della popolazione nei PVS e solo il 2-3% nei Paesi industrializzati, nei quali però la produzione è di gran lunga maggiore. È l’attività con cui l’uomo modifica maggiormente l’ambiente a suo vantaggio. L’agricoltura tradizionale, tipica dei più arretrati Paesi del Terzo Mondo è di pura sussistenza, ossia permette unicamente la sopravvivenza di chi vi lavora, e richiede un lavoro sproporzionato rispetto al prodotto ottenuto, poiché si avvale di attrezzi primitivi: non consente quindi, in una sorta di circolo vizioso, di fare investimenti in macchine agricole, antiparassitari e fertilizzanti, che migliorino la resa produttiva del suolo (➜14a). Molto diversa è l’agricoltura meccanizzata dei Paesi più sviluppati (➜14b), la cui produttività è talmente elevata che, in alcuni casi, si creano problemi di sovrapproduzione (risolti spesso distruggendo le derrate agricole, al fine di evitare il crollo dei prezzi). Un altro problema dell’agricoltura moderna è l’inquinamento che i pesticidi provocano nelle falde acquifere. L’agricoltura fornisce anche risorse non alimentari (cotone, lino, canapa, iuta ecc.). 14 Agricoltura di sussistenza in Vietnam (a) e agricoltura moderna negli USA (b). a b Nelle regioni intertropicali, dall’agricoltura tradizionale si è passati, in alcuni casi, alla monocoltura, ossia alla coltivazione di immensi appezzamenti agricoli con un unico tipo di coltura (caffè, cacao, canna da zucchero ecc.) destinata all’esportazione: i disboscamenti necessari per ottenere i vasti territori necessari hanno spesso causato fenomeni di desertificazione e le monocolture si sono dimostrate facilmente aggredibili dai parassiti, che possono espandersi facilmente in quel tipo di ambiente. Inoltre, i Paesi coinvolti nel fenomeno si sono resi conto che, riducendo quasi a un unico prodotto la propria produzione, si trovano in balia delle fluttuazioni del mercato: per tutti questi motivi la volontà di questi Paesi è ora quella di diversificare le colture, nonostante i vincoli commerciali siano molto forti. L’allevamento è sempre andato di pari passo con l’agricoltura, alla quale forniva il concime e dalla quale riceveva foraggio. Non è più così nei Paesi europei, in cui è di tipo intensivo e utilizza moderne tecniche di fecondazione artificiale per selezionare le razze. Spesso il bestiame non utilizza il pascolo come sistema di alimentazione, ma mangimi estremamente proteici che favoriscono la crescita e ne aumentano la produttività (per esempio, la produzione di latte). L’uso non appropriato di queste tecniche ha certamente favorito lo sviluppo della BSE (detta comunemente Sindrome della mucca pazza). Anche nell’allevamento si creano crisi da sovrapproduzione e a volte gli allevatori vengono sovvenzionati perché non producano alimenti in eccesso: è il caso delle “quote latte”. Altrettanto paradossale è il fatto che l’agricoltura e l’allevamento di tutti i Paesi dell’Unione Europea godano in un modo o nell’altro del sostegno comunitario, perché non potrebbero reggere la concorrenza con i prodotti extracomunitari. Nei Paesi più poveri del Terzo Mondo, l’allevamento coincide, il più delle volte, con la pastorizia e il nomadismo, e i tentativi di rendere stanziali le tribù nomadi sono stati la causa della desertificazione di alcuni territori. La pesca rimane l’unica attività “predatoria” dell’uomo, da quando l’allevamento ha sostituito la caccia. L’immensità delle acque oceaniche sembrava dovesse garantire l’inesauribilità della risorsa “pesce”, ma lo sviluppo esponenziale della popolazione e il miglioramento delle tecniche di pesca hanno provocato il depauperamento delle risorse ittiche: mentre infatti nel periodo tra il 1950 e il 1990 il pescato mondiale è passato da 20 a 97 milioni di tonnellate annue, negli anni ’90 la produzione ittica ha cominciato lentamente a calare sino a stabilizzarsi sui 90 milioni/anno dal 2000 in poi. A questo bisogna Unità 15 · Le risorse 17 400 anni per rigenerarne 1 cm di spessore e migliaia di anni perché si formi un suolo fertile. Il processo di impoverimento del suolo è in atto un po’ dovunque, a causa delle moderne pratiche di sfruttamento intensivo e per la separazione che si è verificata tra agricoltura e allevamento. Le deiezioni animali che vivono in allevamenti “chiusi” non vengono usate come concime, ma finiscono nei fiumi, che inquinano, e infine in mare, con conseguenti fenomeni di eutrofizzazione: il terreno si impoverisce di nutrienti e deve essere fertilizzato artificialmente; ma i fertilizzanti non ripristinano totalmente le perdite e causano l’inquinamento delle falde, dei fiumi e dei laghi, con nitrati e fosfati. 15 Impianti di acquacoltura. aggiungere il grave stato di inquinamento di parte delle acque costiere e lacustri, che può ridurre drasticamente la fauna presente. È perciò evidente che il sovrasfruttamento delle risorse ittiche non può proseguire in modo incontrollato: gli organismi internazionali che fanno capo alla FAO hanno fissato norme di comportamento per la pesca (che non deve danneggiare l’habitat naturale dei pesci) e quote massime per le catture. La Comunità Europea, inoltre, programma annualmente un periodo di interruzione dell’attività allo scopo di consentire alla fauna ittica di compiere il proprio ciclo riproduttivo e di ripopolare le acque (fermo pesca biologico). La speranza di un incremento della produzione di pesce viene dall’acquacoltura che, con oltre 40 milioni di tonnellate annue, copre ormai il 30% della produzione ittica mondiale (circa 130 milioni di tonnellate) (➜15). Molto sviluppata in Cina (20 milioni di tonnellate annue), India e Giappone, l’acquacoltura è in notevole crescita in ogni parte del mondo, ma può a sua volta risentire della crisi della pesca, che fornisce la farina di pesce necessaria all’allevamento. 7 Le risorse ambientali Il suolo è forse la risorsa naturale meno riconosciuta come tale, in quanto la sua esistenza, perlomeno nella nostra cultura, è data per scontata. In realtà, solo l’11% delle terre emerse è costituito da terreno coltivabile, il resto è troppo freddo, o arido, o povero di nutrienti, o sabbioso, o acquitrinoso, o salinizzato. Il suolo è un delicato ecosistema e contemporaneamente una risorsa in pratica non rinnovabile, perché occorrono da 200 a Le foreste, in particolare quelle equatoriali e quelle subpolari di conifere (taiga), sono i polmoni verdi del pianeta, poiché producono ingenti quantità di ossigeno e al contempo assorbono cospicui quantitativi di anidride carbonica: sono sicuramente fondamentali anche dal punto di vista della regolazione del clima, poiché intervengono, tramite la traspirazione, nel ciclo dell’acqua. Eppure, a causa dell’aggressione subita a opera dell’uomo, sono un’altra risorsa a rischio. Ogni anno vengono abbattuti o bruciati da 150 000 a 200 000 km2 di foresta (una superficie grande come Austria e Ungheria unite), per ricavare legna o per ottenere terreno coltivabile e da pascolo. In un secolo la foresta amazzonica si è ridotta da 6 milioni di km2 a 4 milioni di km2, per lasciare il posto a monocolture che impoveriscono il suolo in breve tempo. Per fortuna il governo brasiliano, dopo anni di apparente sordità ai richiami degli organismi internazionali, sembra intenzionato a porre un freno alla sfruttamento di questa risorsa. In varie parti del mondo sono in atto programmi di rimboschimento, sia per motivi ecologici, sia per motivi commerciali: nel secondo caso, l’obiettivo è quello di compensare i prelievi di alberi con nuovi impianti, attuando una sorta di “coltivazione” degli alberi (silvicoltura). Il territorio è una risorsa anche da altri punti di vista. I fenomeni di intensa urbanizzazione che si sono verificati nei Paesi più sviluppati, hanno risparmiato ben pochi luoghi: gli ambienti e i paesaggi naturali hanno perciò un elevato valore economico, poiché sono di forte richiamo turistico. L’Italia può trovare nel turismo naturalistico una notevole fonte di reddito. Anche per questo motivo il territorio va difeso dagli “attacchi” della speculazione (edilizia in particolare): la valorizzazione degli ambienti naturali di particolare bellezza (in montagna, sulle coste, in ambiente carsico, nelle zone umide), attuabile con la costituzione di parchi naturali, è la migliore forma di difesa del territorio. 18 Geografia antropica · Sezione 6 Oggi&Domani Oggi&Domani Oggi&Domani Oggi&Domani Oggi&Domani L’impronta ecologica Tabella 1 L’impronta ecologica di alcuni paesi Un individuo, una famiglia, la popolazione di una città o di una nazione utilizzano per vivere una determinata quantità di risorse del pianeta Terra; questa quantità è in relazione al tenore di vita di ciascuno e comporta il consumo di risorse naturali. L’Impronta Ecologica è uno strumento di calcolo, messo a punto da W. Ress e recentemente sviluppato da M. Wackernagel, che serve a definire la superficie complessiva di territorio necessario a produrre tutte le risorse che ciascuno di noi consuma e ad assorbire tutti i rifiuti che produce. I popoli della Terra consumano le risorse disponibili in maniera e quantità diverse in base al loro stile di vita: per questo motivo l’impronta ecologica, nelle diverse nazioni, varia da 10,3 ettari pro capite di un cittadino medio statunitense a 0,5 ettari pro capite di uno del Bangladesh. Sommando i territori biologicamente produttivi della Terra e dividendo per la popolazione attuale, risulta che ciascuno di noi ha a disposizione 2 ettari di territorio biologicamente produttivo. Poi- Fonte Impronta (pro capite in ettari) Biocapacità (risorse disponibili) (pro capite in ettari) Deficit ecologico (pro capite in ettari) Francia 5,8 3,1 – 2,8 USA 9,5 4,9 – 4,6 Argentina 2,6 6,7 + 4,2 Afghanistan 0,3 1,1 + 0,8 Italia 3,8 1,1 – 2,7 I valori negativi indicano un cosumo maggiore della disponibilità ché condividiamo il pianeta con milioni di altre specie, molte delle quali indispensabili alla nostra stessa sopravvivenza, dobbiamo preservare una quota di territorio anche per loro (almeno il 12% del territorio disponibile), quindi ognuno di noi può disporre di circa 1,7 ettari pro capite (Legittima Quota di Terra). Il 35% della popolazione mondiale ha un’impronta ecologica superiore a 1,7 ettari pro capite, cioè maggiore della Legittima Quota di Terra, a spese della restante popolazione (il 65% del totale). In altre parole, un terzo (ricco e industrializzato) della popolazione mondia- le consuma tre volte la quantità media mondiale disponibile: per sostenere l’attuale popolazione mondiale ai livelli di consumo del mondo occidentale sarebbero necessari tre pianeti Terra! Un cittadino italiano medio ha bisogno di 4,2 ettari di superficie terrestre produttiva, ma la capacità produttiva del territorio italiano è di 1,5 ettari pro capite. La differenza tra il consumo e la disponibilità (2,7 ettari pro capite) rappresenta il deficit ecologico di ciascun cittadino italiano. L’impronta ecologica degli italiani è pari 3,2 volte la capacità produttiva del territorio nazionale (➜1). Tabella 2 Le scelte quotidiane sono importanti Facendo questa scelta personale ...una persona può •mangiando 150 g di carne in meno per settimana •risparmiare 270 litri di acqua per settimana necessari a produrre, trasformare e trasportare il bestiame •rendere disponibile tre pasti di frumento •non usando l’automobile per un giorno la •produrre 10,9 kg di anidride carbonica in settimana meno per settimana •riducendo il consumo domestico di energia •risparmiare fino a 2,00 kWh per anno elettrica con lampadine a basso consumo, ridurre le emissioni di anidride carbonica di regolando riscaldamento e condizionatori circa 1200 kg l’anno •riducendo il consumo di acqua •risparmiare del 20% del consumo di acqua e •eliminando perdite relativi costi •WC a scarico controllato •chiudendo il rubinetto della doccia durante la fase di insaponamento 1 L’Italia “in grande” rappresenta i consumi degli italiani, ed è tre volte più grande dell’Italia “in piccolo”, che rappresenta la produttività del nostro territorio. Unità 15 · Le risorse 19 Qualcosa in più Qualcosa in più Qualcosa in più Qualcosa in più Qualcosa in più Italia: un’analisi dei consumi energetici... “rivelatrice” La domanda di energia in Italia, durante il 2007, è stata pari a 194,5 Mtep. Ma come soddisfiamo questa richiesta? Rispetto alla media dei 27 Paesi dell’Unione Europea, i consumi di energia in Italia si caratterizzano per un maggiore ricorso a petrolio e gas, per una certa quantità di energia elettrica importata, per un ridotto contributo del carbone e per l’assenza del nucleare; la quota di fonti energetiche rinnovabili sul totale dei consumi di energia è leggermente più elevata rispetto alla media dei Paesi OCSE soprattutto grazie al notevole apporto della fonte idroelettrica. Il petrolio ha comunque perso negli ultimi anni una quota della sua preminenza scendendo al 43% del totale, in parte sostituito da altre fonti energetiche di minore impatto ambientale, come il gas naturale, che ha contribuito alla copertura della domanda per il 36%. Ma come viene consumata questa imponente quantità di energia? L’industria assorbe una quota consistente di energia (il 29% del totale dei consumi); i settori più “energivori” sono il chimico, il metallurgico e il meccanico. Il settore trasporti negli ultimi decenni ha incrementato i suoi consumi passando dal 22% del 1980 al 31% del 2007. La parte preponderante dei consumi, circa il 90% del totale, è da attribuire al trasporto su strada. Tali consumi sono passati dai 16,6 Mtep del 1975 ai 44,6 Mtep del 2007, ed è importante rilevare che circa il 70% di essi è legaTabella 1 Disponibilità di energia per fonte Petrolio 43% Gas naturale 36% Carbone 9% Fonti rinnovabili 7% Import energia elettrica 5% Fonte: elaborazione ENEA su dati del Bilancio Energetico Nazionale Tabella 2 Consumi finali per settore e per fonte, Italia 2007 Fonte Consumi (Mtep) Petrolio Gas Carbone Elettricità Trasporti 44 650 (31%) 97% 1% – 2% Industria 41 020 (29%) 19% 40% 12% 29% Residenziale e Terziario 43 410 (30%) 11% 55% 4% 30% Agricoltura e altri 14 410 (10%) 84% 10% 1% 5% 144 100 (100%) 48% 29% 5% 18% Totale Fonte: elaborazione ENEA su dati MiSE (Bilancio sintetico 2007) to alla mobilità delle persone, mentre la quota restante si riferisce alla mobilità delle merci. Infine, nell’ambito della mobilità delle persone, si registra una netta prevalenza del trasporto individuale, attraverso l’uso di autovetture, che assorbe circa il 60% dei consumi complessivi del settore trasporti: il dato, confermato dal continuo aumento delle autovetture circolanti, è estremamente significativo circa il nostro “stile di vita”. Il trasporto su strada (di uomini e merci) è inoltre responsabile della produzione del 24% delle emissioni complessive di CO2, del 72% di quelle di CO, del 53% di quelle di NO2, del 46% di quelle di composti organici volatili, del 2,8% di quelle di SO2. Il settore residenziale consuma energia per il riscaldamento delle abitazioni (68%), per produrre acqua calda (12%), per cucinare e per gli elettrodomestici (20%): rappresenta nel complesso il 69,7% della domanda di energia del comparto civile e il 21% del totale. I consumi domestici sono in netta crescita, ma poiché il numero di famiglie è rimasto in pratica costante (circa 20 milioni) e il numero dei componenti per famiglia si è mantenuto pari a circa 2,8 unità, la crescita dei consumi è da attribuirsi a un aumento di consumo per famiglia: ognuno di noi, quindi, consuma di più rispetto al passato. Le famiglie consumano gas naturale (56,5%), prodotti petroliferi (20,7%), energia elettrica (18,5%) e carbone (4,3%): negli ultimi anni è diminuito il consumo di petrolio (nafta, cherosene) a favore del metano, meno inquinante. Per quanto riguarda gli elettrodomestici, dal 1970 a oggi sono raddoppiati i consumi di energia elettrica delle lavatrici, triplicati quelli dei frigoriferi e quadruplicati quelli dei televisori. L’illuminazione rappresenta il 12% circa della richiesta elettrica nazionale annua, che può essere così suddivisa per settori: 60% nel terziario e negli edifici pubblici, 15% nell’industria, 25% nel residenziale. Il consumo per l’illuminazione domestica è il 13,5% del totale: le lampade a filamento costituiscono ancora oggi la maggioranza delle dotazioni casalinghe, ma quelle fluorescenti, che consumano meno, sono in rapido aumento (e diventeranno le uniche in commercio). Il settore terziario comprende le attività di erogazione di servizi (commercio, ristorazione, credito e assicurazioni, comunicazioni e settore pubblico). Il consumo totale di energia nel settore terziario è stato, nel 2007, pari al 30% del settore civile e al 9% del totale. Ma qual è il livello della nostra dipendenza energetica? In altri termini quanta energia importiamo? Noi importiamo dall’estero quasi il 90% dell’energia che consumiamo, soprattutto in forma di petrolio, gas naturale ed elettricità. La poca energia che produciamo “in proprio” (il 10% del fabbisogno) deriva dal gas naturale dell’adriatico (impianti off-shore) e della Pianura Padana (nel complesso il 26% del gas totale), dalle fonti rinnovabili (circa il 7% del totale della produzione energetica) e, in piccola parte, al carbone del Sulcis-Iglesiente (bacino carbonifero riattivato nel 1997 nell’ambito di un piano di disinquinamento e risanamento ambientale). 20 Geografia antropica · Sezione 6 Sintesi: concetti, definizioni, termini e dati fondamentali Utilizza questa sintesi per ripassare prima di un’interrogazione orale ➤ Che cosa sono le risorse naturali e come si possono classificare? Sono i materiali che l’uomo preleva dall’ambiente per soddisfare i propri bisogni. Le risorse minerarie sono i minerali che si estraggono dalle rocce del sottosuolo; le risorse energetiche sono tutti i materiali e i fenomeni naturali (rinnovabili o no) che permettono di produrre energia; le risorse alimentari sono i prodotti dell’agricoltura, dell’allevamento e della pesca; le risorse ambientali sono l’atmosfera, l’idrosfera, e la litosfera (acqua e territorio in particolare). Le materie prime ancora disponibili ed economicamente sfruttabili, allo stato attuale della tecnologia, sono definite riserve. ➤ Quali sono le caratteristiche dei giacimenti minerari, come si formano e come si ricercano? La ricerca mineraria consiste nell’individuazione delle zone in cui i minerali sono presenti, nella stima della loro entità, nella valutazione delle conseguenze ambientali dell’attività estrattiva. I giacimenti minerari sono formazioni rocciose in cui il minerale utile è presente in concentrazioni superiori alla norma: possono essere di origine magmatica, sedimentaria o metamorfica. ➤ Quali sono i principali tipi di risorse energetiche e quali i problemi legati al loro sfruttamento? I consumi energetici mondiali sono in continuo aumento, sia in conseguenza dell’incremento demografico, sia per l’espansione dei consumi. I combustibili fossili sono petrolio, carbone e metano. Il petrolio soddisfa circa il 35% della domanda energetica mondiale, perché ha un’elevata resa energetica ed è economicamente competitivo. Il carbone viene utilizzato in misura ridotta a causa degli effetti inquinanti che si producono durante la combustione. Il metano è meno inquinante dei combustibili derivati dal petrolio, ma è problematico il suo trasporto. Il settore nucleare è in espansione ma diversi Paesi hanno ridotto o eliminato la sua presenza per i pericoli connessi alla fissione. Tra le fonti energetiche rinnovabili (idroelettrico, solare, geotermico, eolico, biomasse) solo l’energia idroelettrica è quantitativamente significativa. ➤ In che modo l’umanità si procura le risorse alimentari? L’agricoltura tradizionale, tipica dei più arretrati Paesi del Terzo Mondo (80% della popolazione vi è occupato), è di pura sussistenza e non permette quindi, in una sorta di circolo vizioso, di effettuare investimenti; l’agricoltura meccanizzata dei Paesi più sviluppati ha una produttività elevata; si creano problemi di sovrapproduzione e si inquinano le falde acquifere. L’allevamento iperproduttivo dei Paesi ricchi ha causato problemi di sovrapproduzione e il fenomeno BSE. La pesca ha provocato il depauperamento delle risorse ittiche: un’alternativa è l’acquacoltura. ➤ Che cosa si intende per risorse ambientali? Il suolo coltivabile è solo l’11% delle terre emerse ed è una risorsa non rinnovabile, per la lentezza della sua ricostituzione. Le foreste producono ossigeno e assorbono cospicue quantità di anidride carbonica; inoltre regolano il ciclo idrico. Ogni anno vengono abbattuti o bruciati da 150 a 200 000 km2 di foresta.