Foglio di stile

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Foglio di stile
Arabisseide.
L’Odissea dell’arabista
MICHELE ARCURI, VALENTINA F IORITTO, ILARIA SOLLAZZO
ALBERTO SPICCIOLATO, VALENTINA VANNELLA1
Un piccolo saggio (ma non troppo) che si occupa di… Nulla.
Praticamente nulla!
Sono solo i deliri di alcuni (sopracitati) neuroni arabisti.
Un piccolo “saggio” che tra studi disparati e disperati si occupa delle
avventure e delle sventure nelle vite di giovani arabisti in erba.
Dedicato a tutti coloro che hanno intrapreso quest’infausta ma nondimeno
magnifica strada.
1. Introduzione
L’arabista è colui che, consciamente o inconsciamente,
intraprende la via dell’arabo (arq al-‘arabiyya).
Giunto in un tratto del proprio percorso, l’arabista si pone la
domanda: perché non ho scelto serbo-croato?
Nessuno finora è riuscito a fornire una valida risposta a tale
quesito.
Nonostante i dubbi, le crisi mistiche, più comunemente detti
“attacchi di panico incontrollati”, l’arabista vero non demorde,
continuando così per la sua via.
Questo viaggio intorno l’arabista (as-safar awla almusta‘rib) descriverà le varie fasi della vita di tali straordinarie
creature, e tenterà di spiegarne la vera essenza.
Occorre però, prima d’incamminarci nell’analisi di tali
forme di vita, accompagnare il lettore in una prima conoscenza
dell’arabista.
Cos’è che distingue un arabista da un anglista, o un
francesista?
La risposta a tale domanda è riscontrabile nell’espressione
idiomatica “Parli arabo?”, che riassume in due parole la
difficoltà e l’enorme differenza della lingua araba (al-lua al1
Laureandi presso la Facoltà di Lingue e Letterature Straniere
dell’Università degli Studi “G. d’Annunzio” di Chieti-Pescara
‘arabiyya) rispetto alle lingue europee. Da questo presupposto, è
chiaro quanto l’intraprendere tale percorso comporti coraggio e
una sana dose di masochismo e follia (che non guastano mai).
2. L’iniziazione
Un giorno comunemente detto “sciagurato”, l’ignara
matricola entra in contatto con creature volgarmente definite
“professori”, che l’introdurranno nella “arq al-‘arabiyya”
durante un’innocua lezione universitaria, il più delle volte
casuale.
Il professore inizierà il suo monologo, o spiegazione,
introducendo la cultura araba nei suoi vari e affascinanti aspetti
e avvertendo sin dal primo istante che la Via dell’arabo non sarà
affatto una passeggiata ma, anzi, la perfetta via per coloro i
quali hanno qualche rotella fuori posto. Inoltre ci terrà a
sottolineare la completa (o quasi) inutilità della lingua che si
appresteranno ad esplorare, essendo il Mondo Arabo ricco di
dialetti, che variano da Paese a Paese, di generazione in
generazione, di casa in casa, da uomo a donna, da centimetro a
centimetro.
In parole povere, l’arabo classico verrà solo udito nei
telegiornali (e non è neanche sicuro).
I pochi audaci che non si lasceranno intimidire da tali
avvertimenti, muoveranno i primi passi verso il sentiero
dell’arabismo.
Dopo l’avvenuta conoscenza dell’alfabeto arabo, con le sue
28 lettere e varianti di scrittura di esse, in base alla loro
posizione nella parola, si noterà la misteriosa sparizione di
alcuni elementi della classe.
Il percorso continuerà con gli approcci grammaticali, tramite
lo stato costrutto (al-ifa) e gli aggettivi (a-ifa), e i loro
esercizi su di un recentissimo libro (1936), che faranno dannare
gli ancora innocenti e puri studenti di arabo con frasi del tipo:
«La porta della moschea», «Un bel castello d’un re», «Il medico
dell’emiro è ammalato», «Io sono il maestro del sultano», «Il
vecchio è presso la porta del castello del re»2.
Superata la prova della frase nominale, (al-umla alismiyya), verranno introdotti allo studio del perfetto (al-m) e
dell’imperfetto (al-muri‘).
Il perfetto rappresenta un ostacolo di poca importanza,
dovendo l’arabista memorizzare per bene le sue desinenze.
L’imperfetto invece inizia già a provocare le prime orticarie allo
studente. Come dice il nome, è “imperfetto”, ergo “non
perfetto”. E infatti non è perfetto. A differenza del perfetto, che
è perfettamente comprensibile ad una prima occhiata grazie alla
presenza di sole desinenze, l’imperfetto presenta suffissi e
prefissi. La perfetta perfezione del perfetto passa ormai in
secondo
piano
rispetto
all’imperfetta
imperfezione
dell’imperfetto.
Nondimeno la difficoltà (e il vetusto sapore) delle frasi in
cui incoccia l’imberbe semitista salgono drasticamente: «Il
castello, a cui pervenni, è grandioso», «Non trovai presso la
porta del bagno altro che questo facchino», «Non ritornai dalla
caccia che a sera», «Questo cammello porta tutte le mie
ricchezze »3.
Nonostante il sublime tocco vintage, tutte queste situazioni
non possono dirsi esattamente quotidiane, anche se l’ormai
ammaliato studente non può fare a meno di immergersi in un
mondo favolistico che lo porta lontano dalla biblioteca, a
cavalcare cammelli, dromedari, facchini, tappeti volanti e ad
immergersi in pozzi, ad entrare in castelli, dimore di mercanti e
a sostare presso porte grandi, piccole, di moschee o di città.
3. I temerari
Giunti a questo punto, gli innocenti si evolveranno in
temerari, considerando la consapevolezza di ciò che stanno
facendo, e la decisione di continuare. Alcune scuole di pensiero
li denominano masochisti.
2
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Tutti gli esempi sono tratti da Veccia Vaglieri, (1936: 197)
Tutti gli esempi sono tratti da Veccia Vaglieri, (1936: 197)
L’aspirazione arabista si renderà riconoscibile in vari
atteggiamenti, fra cui possiamo annoverare gli occhi lucidi
dinnanzi opere calligrafiche, o la compulsiva eccitazione
nell’udire parole arabe in televisione e comprenderne mezza
(normalmente congiunzioni e/o preposizioni,
mezza
preposizione vale come una congiunzione).
Va detto inoltre che l’arabista, specialmente finito (con la
solerzia e la perizia che lo contraddistinguono) il primo anno, si
accorge che il mondo intorno a lui è pieno di luoghi nei quali
sono presenti scritte in lingua araba. I loro occhi si illuminano
riuscendo a leggere quelle scritte, e nella migliore delle ipotesi
anche a capire cosa ci sia scritto. I loro occhi si illuminano ma
non solo, perché nella gioia di vedersi sorpassati in macchina da
un camion proveniente dal Medio Oriente, la vettura diventa un
contenitore di urla e grida nel vedere nella propria terra un
mezzo di trasporto proveniente da quelle zone.
In questo frangente, appare la componente P (Parenti), che,
venuti a conoscenza dell’insana (a loro avviso) decisione del
pargolo, gli porranno scioccati una serie di assurde domande,
fra cui, le più gettonate: «Ma quindi ora diventerai
musulmano?», «A lezione porti il burqa? (per le donne)»,
«Arabo e Musulmano non sono la stessa cosa?», «Ti stai
facendo crescere la barba per diventare musulmano? (per gli
uomini)», «Non dire a nonna che studi l’arabo che quella sennò
sai che pensieri si fa, che alla religione ci tiene!».
Posto di fronte a tali affermazioni, l’arabista medio si farà
una grassa risata.
Piccoli incidenti familiari a parte, l’arabista approfondirà lo
studio dei tempi verbali, e gli verranno inculcate innumerevoli
parole, la maggior parte delle quali verranno dimenticate in
meno di un secondo.
Dopo otto/nove mesi dal primo approccio, si giunge infine
alla prova finale di arabo I.
Ritenendo accantonate le prime ardue difficoltà,
ricostruendo stati costrutti e perfezionando imperfetti, ecco che
si erge davanti allo studente la grande sfinge del dettato con
traduzione senza dizionario. Qualora l’enigma venisse risolto, la
temporanea ultima fatica del discente si concentrerà nell’esame
orale, il primo di un’interminabile serie. Egli riterrà che questa
sia la solita formalità, accorgendosi troppo tardi che in realtà si
sbaglia, perché all’orale ci si gioca tutto, perdendo il più delle
volte.
Eh si, perché il panico da arabo ti secca la gola e ti spegne il
cervello, ti chiedi quale sia la capitale del Paese X piuttosto che
il nome del Nilo in arabo, entra in gioco la paura che ti porta
dapprima a guardare il tuo professore con occhi spauriti da
gazzella del deserto e in secondo luogo ad accettare qualunque
voto ti venga proposto.
La maggior parte dei discenti la supererà senza grandi
problemi. Ma altri segni di follia galoppante inizieranno ad
apparire.
4. La debolezza
L’inizio del II anno segna la svolta decisiva per la vita del
neo-arabista. Esso viene infatti definito il “giro di boaconstrictor”. Passato il II anno, l’arabista avrà affrontato circa la
metà del suo percorso, o almeno così si dice.
Il II anno viene definito anche come il più difficile ed il più
noioso di tutte le annualità, specialistiche, dottorati e master
compresi. Al che l’innocente e (ancora per poco) ingenuo
arabista cerca di farsi forza e si tuffa nello studio dei macabri
argomenti che l’annualità prevede.
Sarà quindi ben lieto di notare che essi variano di capitolo in
capitolo, passando da tipologie verbali a tipologie verbali, senza
dimenticare anche le tipologie verbali e qualche tipologia
verbale. Ah si, ci sono anche delle tipologie verbali. E qui arriva
la prima scelta del neo-arabista: lasciare tutto finché si è in
tempo o iniziare lo studio di qualche tipologia verbale?
La maggioranza opterà inevitabilmente per lo studio di altre
lingue (sono stati registrati casi in cui studenti hanno addirittura
cambiato facoltà, città, nome e nazionalità, pensate!), e solo un
piccolo gruppo di impavidi varcherà la soglia dell’aula
universitaria per assistere alle nuove lezioni.
Inizia così la scoperta di un mondo tutto nuovo: i verbi!
I verbi sono l’Everest dello studente di arabo, c’è chi li impara
subito e chi li ripassa ancora pochi minuti prima di discutere la
tesi. Esistono tre tipologie di verbi del tipo himalayano:
-Forme derivate: l’arabista, superato lo shock iniziale, se
davvero interessato, potrebbe arrivare a divertirsi nell'applicare
gli schemi grammaticali che suddette forme prevedono;
-Verbi hamzati: si raffrontano nello studente ulteriori segni
di instabilità: ipotermia, denti del giudizio, bronchiti
termonucleari, psoriasi, perdita di coscienza e schizofrenia
galoppante (a cammello, ovviamente). Ma egli, con solerzia e
perizia, decide di proseguire;
-Verbi deboli (da cui il titolo del nostro capitolo).
L’argomento più odiato dall'arabista, da qualunque arabista. Gli
arabi nemmeno li volevano.
I verbi deboli vengono presentati quando ormai è tardi per
tornare indietro. Quando l’arabista, dopo la ripida salita,
comincia al-amdu li-llh a scorgere la vetta del monte, sul
quale sventola felice la bandiera dell'esame, ecco piombare su
di lui la ventata di debolezza pronta a farlo ricadere nel baratro
(da cui il motto “Non sono i verbi ad essere deboli, sono io”).
“Media debole, prima debole, ultima debole, prima e ultima
debole” sono parole che rimbombano nella testa dei poveri
studenti, i quali accarezzano sempre più l’idea di cambiare
lingua di studio. Ma ormai il dado è tratto, e combattendo con
graffi e pugni contro la ratio che dice di prendere altre vie,
l’arabista arriva, affronta e vince (in šʼa Allh) il duello con
l’esame.
5. L’amara verità
Siamo giunti quindi alla fase conclusiva (dal punto di vista
prettamente teorico) del ciclo di studi dell'arabista standard.
L’annualità viene presentata come fase di rodaggio, come
ripasso con l’aggiunta di poche piccole nozioni. Ebbene queste
“poche piccole nozioni” sono alla base dell’aggravarsi delle
condizioni psico-fisiche dell’arabista. Egli infatti, illudendosi
che “poche piccole nozioni” non possano essere tremende
quanto le tipologie verbali affrontate l’anno precedente, si reca
con fare goliardico alle lezioni, convinto (a torto) che ormai
nulla possa più nuocergli. L’arabista si troverà, nevvero, davanti
a difficoltà tali da fargli nuovamente rimpiangere la non-scelta
di altre lingue.
Il III è l’anno dove si affinano le nobili arti della lettura e
della traduzione. In breve, la totale messa in pratica di ciò che si
è studiato in precedenza. Ancora più in breve, suicidio di massa.
Sì, perché durante questo anno si affronterà la dura realtà che
per ben due anni (o quasi) era stata celata agli studenti: i testi
non vocalizzati.
Qui c’è bisogno di aprire una piccola parentesi. Chi inizia a
studiare la lingua araba verrà subito avvertito, tra le altre cose,
che gli arabi hanno un brutto rapporto con le vocali, e per
questo quando scrivono non le mettono. Lo studente, dapprima
stupito e scioccato da tale nozione, la prende e la depone nel
famoso cassettino dei ricordi, poiché egli si troverà davanti
termini e frasi interamente vocalizzati. Almeno fino alla terza
annualità.
Già, perché qui viene svelato l'arcano: i testi affrontati
durante questi mesi saranno solo ed esclusivamente senza
vocali. E lo studente, davanti a questa ennesima prova di
sopravvivenza, mostrerà definitivamente segni di squilibrio,
facilmente riscontrabili in risatine isteriche e nell'uso più che
frequente di frasi del tipo «aaaahhh sono depresso» o anche
«ma non potevo studiare ungherese?».
Oltre alla scoperta di suddetti testi, l’arabista ormai folle si
troverà davanti a delle magiche ed inaspettate combinazioni.
Infatti scoprirà che la lingua araba prevede anche delle strane
mescolanze tra le varie tipologie verbali affrontate durante la
seconda annualità. Ed è così che, derivando forme deboli o
indebolendo forme derivate, arriva a stento a ricordarsi il suo
nome. Ed in alcuni casi nutre dubbi anche su quello.
Cionondimeno, l’arabista si trova ad affrontare altri ed
innumerevoli problemi: lo studio delle lingue semitiche, la cui
sola iniziazione dovrebbe prevedere la consegna di un nobel per
la pace, visto che egli troveràssi davanti a 174 pagine di lingue
morte, o moribonde. Lingue dai nomi più impensabili
(giangerò, male, kotoko, karekare) 4 vengono posti sotto gli
occhi dello sciagurato studente, ormai pronti a tutto.
Ma proprio a tutto.
Si aggiunga, per inciso, che la già fiaccata condizione
psicologica dello studente si scontrerà anche con lo studio di
alcune varietà dialettali dell’arabo, che nel più fortunato dei casi
porterà lo studente a vedersi nello specchio come fosse un
autoritratto di Van Gogh.
Ma andando avanti, come dire, alla buona, tra istanti di
depressione acuta inframezzati da momenti di divertimento allo
stato puro, lo studente arriva alla vigilia dell’esame, conscio del
fatto che l’esito sarà dettato da un unico fattore: fato. E così lo
studente standard si ritrova costretto ad inseguire la dea bendata
per un minimo di due volte, fino a quando, sia ringraziato san
Gelasio5, riesce ad ottenere il tanto sudato bottino e chiude
ufficialmente, ma non ufficiosamente, la sua avventura con
l’arabo.
Almeno per ora.
6. La via dell’aceto
Nella lunga carriera arabista lo studente è affetto da crisi
mistiche ed esistenziali, chiedendosi quale sia la migliore delle
punizioni da infliggersi per aver scelto questa carriera.
Spesso l’arabista incappa, volente o nolente, consciamente o
inconsciamente, per volontà o per disperazione, nella cosiddetta
“Via dell’Aceto” (arq al-all). Questa strada porta
irrimediabilmente alla rovina, accumulando nel proprio corpo
litri di bevande alcoliche inebrianti al fine di dimenticare tutto il
dolore subito nel corso degli anni, per sentire un po’ di calore,
per cercare di stare meglio, ma soprattutto per dimenticare quel
poco che ancora si ricorda.
Però, in pochissimi e rari casi, seguire la “Via dell’Aceto”
4
Cfr. Durand, Garbini, (1994: 159)
Gelasio I (Cabilia, 400 – Roma, 21 novembre 496) 49º vescovo di
Roma e papa della Chiesa cattolica dal 1° marzo 492 fino alla morte.
5
porta all’accettazione di se stessi, alla consapevolezza che
l’inebriante è solo un piccolo Nirvana nel quale rifugiarsi dopo
ore passate a uccidere quei pochi neuroni rimasti in testa, con le
armi più devastanti al mondo: le letture non vocalizzate e la
Veccia Vaglieri.
7. Conclusione
Dopo tale approfondita analisi, il lettore potrebbe intimorirsi
dell’esistenza placida di creature il cui intelletto rasenta la
follia, la stessa follia che ha ispirato i sopracitati a scrivere
questo pamphlet.
Ma il lettore non deve preoccuparsi di loro. Se non
disturbati, sono totalmente innocui, delle volte anche piacevoli a
vedersi. Tuttavia, se la loro presenza sul suolo terracqueo
intimorisce il lettore, sia avvertito l’interessato dell’inutilità di
armamenti o precauzioni di qualunque genere.
L’arabista non è individuabile a prima vista. Egli passeggia
placidamente nella società, e solo dopo una chiacchierata sarà
possibile individuarlo.
L’arabista non indossa abbigliamenti diversi dalla massa, o
non eccessivamente, e non andrà certamente a spasso con abiti
orientali.
L’arabista è la persona della porta accanto.
Anche il più insospettabile individuo potrebbe esserlo.
Anche tu, caro lettore.
Anche tu.
Bibliografia “a causa di”6
AMALDI D., 2004, Storia della letteratura araba classica, Zanichelli,
Bologna
BALDISSERA E., 2008, Arabo Compatto – Dizionario Italiano-Arabo
Arabo-Italiano, Zanichelli, Bologna.
CAMERA D’AFFLITTO I., 2007, Letteratura araba contemporanea,
nuova edizione, Carocci, Roma.
DURAND O., 2001, La lingua ebraica, Paideia Editrice, Brescia.
DURAND O., 2009, Dialettologia Araba, Carocci, Roma.
DURAND O. GARBINI G., 1994, Introduzione alle lingue semitiche,
Paiedeia Editrice, Brescia.
DURAND O., LANGONE A.D. (a cura di), 2008, Il filo di seta, studi
arabo islamici- in onore di Wasim Dahmash, Aracne, Roma.
DURAND O., LANGONE A.D., MION G., 2010, al-babbaaʼ – Corso di
Arabo Contemporaneo. Lingua Standard, Hoepli, Milano.
MION G., 2007, La lingua araba, Carocci, Roma.
MION G., 2010, Sociofonologia dell’arabo, La Sapienza Orientale –
Richerche, Roma.
FAZZINI E., CIANCI E. (a cura di), 2009, Guardando verso Sud, Rocco
Carabba, Lanciano.
RUTHVEN M., 2007, Islam, Einaudi, Torino.
TRAINI R., 2004, Vocabolario Arabo-Italiano, Istituto Per l’Oriente,
Roma.
VECCIA VAGLIERI L., 1936, Grammatica teorico-pratica della lingua
araba, Istituto Per l’Oriente, Roma.
6
Questa bibliografia, pur non avendo fatto citazioni di sorta
nell'articolo, se si eccettuano i prestiti dal Veccia Vaglieri, è un omaggio
necessario: se siamo arrivati a concepire questo divertissement, è grazie a (o,
appunto, a causa di) questi testi, principalmente. Non ce ne vogliano gli
autori: senza di essi non saremmo di sicuro entrati a far parte di questa
fantastica avventura linguistica, o almeno non con lo stesso entusiasmo e
curiosità. Avremmo voluto estendere l’elenco ai molti altri testi che ci sono
stati propinati, consigliati, caldamente raccomandati, o che semplicemente
abbiamo letto per curiosità durante i nostri percorsi di studio; l’elenco sarebbe
stato tuttavia più lungo dell’articolo, sicché ci siamo limitati a citare i
principali.