Intervista Rita El Khayat

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Intervista Rita El Khayat
È davvero riduttivo definire Rita El Khayat una psichiatra, giornalista e scrittrice. Perché in ognuno
di questi ambiti è la donna delle prime volte: prima donna psichiatra del Maghreb, prima donna a
fare la speaker radiofonica in Marocco, prima donna dell'intero mondo arabo a scrivere a un
sovrano. Da allora ha pubblicato qualcosa come 40 libri (saggi, romanzi, poesie e testi scientifici) e
circa 700 articoli sulla condizione femminile e l'universo della psichiatria nel mondo arabo. Al
lavoro somma del resto un fervido attivismo civile per i diritti umani universali, che l'ha portata per
due anni di seguito (2008 e 2009) ad essere candidata al premio Nobel per la pace. Rita El Khayat è
considerata una tra le più importanti intellettuali del Maghreb, motivo per cui il 28 marzo, a
Benevento, è stata la protagonista del secondo appuntamento di “Transiti Mediterranei”, il ciclo di
conferenze organizzate da Mediterraneo Sociale scarl e dal Dipartimento di diritto, economia e
metodi quantitativi dell'università del Sannio. Il viaggio di ritorno fatto insieme verso Roma è stato
l'occasione per un'intervista a tutto campo sulle tematiche da lei affrontate.
Rita, cosa ne pensa della cosiddetta “Primavera araba”?
Innanzi a tutto che non è il termine giusto.
In che senso?
La “Primavera araba” è stata creata dai giornalisti e dai politologi dei Paesi occidentali. Il mondo
arabo non si riconosce affatto in quel termine. La cosiddetta “Primavera araba” non è una
rivoluzione, quanto piuttosto una contaminazione che da un Paese all'altro ha portato
ultimamente nelle strade miliardi di persone senza un'organizzazione, senza leader. Si è trattato
soltanto di grandi disordini di piazza.
Quindi non ci vede nulla di positivo?
In Siria, ad esempio, doveva avvenire cinque anni fa, quando il potere è stato tramandato dal padre
al figlio maggiore. Siamo alle comiche.
Perché?
Vedere Bashar al-Assad (attuale dittatore siriano, nda) che viene ricevuto in Francia, al palazzo
dell'Eliseo, da Nicolas Sarkozy (presidente della Repubblica francese dal 2007 al 2012 e prima
ancora ministro dell'Interno e delle Finanze, nda) è un gesto crudele contro noi arabi che non
abbiamo alcun diritto a opporci.
Lo capisco, anche perché non è stata la prima volta e temo non sarà nemmeno l'ultima...
Non è possibile che proprio quel Paese, visto il suo passato monarchico e coloniale, riceva l'erede
di una dittatura al potere. Sarkosy ha convocato Bashar al Assad, come del resto fece con
Muammar Gheddafi (dittatore libico al potere dal 1969, assassinato dai ribelli nel 2011, nda) e
questa è soltanto una forma di disprezzo verso tutti quei Paesi che sono sotto dittatura, incapaci di
opporsi all'Occidente e fermare i propri dittatori. E in questa tirannia siamo precipitati da
cinquant'anni o più.
Torniamo alla “Primavera araba”.
È sotto gli occhi di tutti che quei movimenti di piazza non sono riusciti a ottenere nulla di
importante. Anzi, la condizione delle donne è addirittura peggiorata. Le cosiddette primavere
arabe hanno generato situazioni molto simili a quanto accaduto da noi in Marocco, dove nel giro di
trent'anni tutte le persone di sinistra sono finite in galera, uccise o scomparse. È attraverso il
sacrificio di questa gente se un'enorme numero di persone ha poi ottenuto maggiori libertà,
peraltro con il consenso del re stesso, il quale ha capito che era arrivato il tempo di diventare un
Paese pluripartitico, con tante formazioni politiche e avviò così la transizione tra la sua forma di
potere e quella conferita al suo erede, Mohammed VI° (l'attuale giovane re del Marocco in carica
dal 1999 e succeduto al padre, Hassan II°, nda). Prendiamo, ad esempio, il rapporto con
Abderrahmane Youssoufi (storico militante del nazionalismo marocchino, leader del principale
partito, quello socialista, diventato premier nel 1998, nda), che era stato condannato a morte ma
col quale sono poi diventati amici, anzi intimi amici.
E come mai questa inversione di rotta?
Perché anche se lottavano l'uno contro l'altro hanno reciprocamente riconosciuto di farlo con
correttezza. Di conseguenza, in quel periodo, un momento fantastico di transizione tra quel regno
e un altro regno, abbiamo ottenuto maggiori libertà. Questo è avvenuto alla fine degli anni
Novanta, all'arrivo di Mohammed VI°. Ad offrircela, la lotta contro il sistema precedente. Proprio
come la rivolta nelle strade, dove si incitava a dire “via Gheddafi”, il quale stava preparando l'islam
a divenire suo erede, non considerando affatto chi in Egitto voleva lo stesso né gli altri eventuali e
dove noi abbiamo ottenuto libertà e democrazia, gli islamici dicevano “Bene, questa è democrazia
e anche noi vogliamo avere questa democrazia” e così si sono “presi” tale democrazia. Più che
prenderla, direi che l'hanno considerata come una torta da spartirsi. Poiché hanno saccheggiato la
democrazia, dicendo “vanno bene le donne velate, il sistema islamico, le norme religiose dei Paesi
ecc…”. Per il momento, questo è lo scenario esistente, peraltro sostenuto dagli Usa, visto che gli
Stati Uniti sono contro un mondo arabo libero.
Perché pensa questo?
Nel mondo arabo abbiamo il petrolio, senza il quale i Paesi occidentali sarebbero in ginocchio. Lo
abbiamo già visto nel 1973 (durante la crisi energetica scatenata dall'interruzione delle forniture da
parte dei Paesi mediorientali che appoggiavano l'Egitto nel conflitto con Israele, nda). Oggi il
problema è che gli Usa appoggiano la destra del mondo arabo orientata verso un sistema fascista,
rispetto alla modernità chiesta dalle persone di sinistra (che sono vicine al 70% del totale, al livello
dei Paesi dell'Europa occidentale, degli Usa o del Canada, qualcosa del genere), a partire dalla
libertà per le donne. Attualmente è questo il problema, al quale almeno per ora non vedo
soluzione.
Però lo scorso 30 marzo, durante la sua visita a Riad (Arabia Saudita), il presidente Obama ha
detto che agli Usa non serve più il petrolio arabo...
Oh, è una cosa bellissima. Perché nel 1947 gli Stati Uniti hanno blindato il regime saudita,
composto da 2.000 persone che possiedono il Paese, chiamato famiglia reale. Quella però non è
una famiglia reale, nel senso che esistono da massimo cento anni. È quindi una notizia fantastica,
dato che sono protetti da questo accordo del '47 il cui unico scopo è vendere il petrolio negli Stati
Uniti al “miglior prezzo”. Se i Paesi occidentali non saranno più dipendenti dai sauditi, le cose
cambieranno nel mondo arabo e soprattutto in Arabia Saudita. Una nazione che dice: “Siamo il
Paese che ospita i luoghi santi (la Mecca, che ogni musulmano deve visitare almeno una volta nella
vita, si trova infatti in quel Paese, nda), siamo il più importante, abbiamo più petrolio, abbiamo
tutto, anche per darlo a tutti voi arabi”. Ma non è così, perché sono fascisti. Riuscite a immaginare
un Paese nel quale le donne non possono guidare? Ecco l'Arabia Saudita.
Perché pensa che il femminismo sia morto?
No, non è morto, è sopravvissuto ma in condizioni pietose. Perché da voi, nei Paesi occidentali,
oppure da noi, nel mondo arabo, piuttosto che in Africa o altrove, mi rendo conto che è finito
quello che le donne erano 30 anni fa. Le ragazze di oggi rincorrono soltanto compagni o mariti,
auto, gioielli, le sac Chanel (la borsa di Chanel, nda), fine della storia. Sono donne vuote, anche
perché ottengono tutto facilmente: dalla pillola anticoncezionale al resto. Non devono più lottare
per qualcosa e ormai è così in tutto il mondo. Il problema è proprio questo e ho capito che non
riguarda solo il femminismo ma l'intero ambito intellettuale. È il motivo per cui ritengo che gli
ideali siano ormai più deboli in tutto il mondo. Cosa pensa, si tratta sempre e solo di economia,
soldi e potere. Questo è un grande, davvero enorme, male per tutta l'umanità. Perché non
possiamo pensare solo a consumare. A quale scopo acquisto la mia borsa Gucci o la mia auto
Maserati? La debolezza del femminismo è collegata a tutte le altre debolezze che si osservano negli
altri ambiti.
C'è chi ritiene che tra gli uomini e le donne, a parità di diritti corrisponda però una differenza di
genere, soprattutto riguardo ai comportamenti. Cosa ne pensa?
Non sono d'accordo. Quando io svolgo il mio lavoro, faccio la psichiatra, sono per così dire più
“potente” di un uomo. Quando le persone si rivolgono a me devo aiutarli con il mio cervello che,
per quanto ne so, è lo stesso di un uomo, o forse anche migliore data questa famosa maggiore
sensibilità femminile, ottima per la psichiatria. Non sono conosciuta come un'importante psichiatra
ma per essere efficace, come un luminare. Facessi politica mi tornerebbe utile ma rifiuto
categoricamente di farla.
Come mai?
Perché è solo un gioco, il peggiore dell'essere umano. Devi mentire, mangiare con persone che odi,
immaginare cosa una cavolo di persona sta pensando. Tutto questo non fa per me, mi rifiuto anche
solo di pensarci, ma sono tuttavia convinta che entrassi in politica, potrei farla meglio rispetto a un
uomo.
E cosa glielo fa credere?
Il fatto che non sono qui per ottenere più soldi, donne e potere. Mi accontento di quello che
possiedo. Proprio per questo ritengo che per la maggior parte delle donne, il potere non ha la
stessa accezione che riveste per gli uomini. Tra i miei pazienti, nel mio lavoro, molti sono uomini
politici e il problema che affligge la stragrande maggioranza di loro è il sentirsi o meno debole
rispetto ai propri avversari. Per loro il potere è qualcosa da dimostrare, della serie: “Sono un
uomo”. Chiaro? È questo il problema principale, un grande problema. Sto lavorando molto sul
binomio potere e follia, che può diventare esplosivo. Le donne che fanno politica ritengo non siano
ancora al livello degli uomini e che questo tipo di giustizia nella politica, chiamato parità, non sia
una buona cosa per la politica. Se il mio governo conta dodici persone, non considero un bene
avere sei donne e sei uomini al comando. Ma forse devo piuttosto scegliere dodici donne di
altissimo livello, in grado di far correre l'Italia, oppure dodici uomini. O perché no, una donna e
undici uomini, o viceversa. Dipende soltanto dalle loro capacità. Il problema non è il loro sesso,
quanto piuttosto la competenza. Come, ad esempio, nel mettere in piedi un sistema che garantisca
cure e salute per le persone. Fornendo, in questo caso al maggior numero di italiani, una sanità di
qualità. È quello il mio compito. Non l'ottenere la Maserati, l'autista e la cameriera. Peccato che
siamo tanto, tanto lontani da quest'obiettivo. Perché penso sia finita, in quanto stiamo solo
cercando di avere la democrazia. In tutto il mondo, ce ne sono sempre meno.
Qual è secondo lei il ruolo della donna nel mondo e in particolare in quello arabo?
Nel mondo arabo non hanno alcun ruolo. Sono dominate. Ma ritengo non sia questo in punto.
Questa è un'emozione dei giornalisti dei Paesi occidentali, perché gli uomini sono eccitati dal
vedere donne velate. Soltanto le giornaliste occidentali, o almeno quelle moderne, sono in grado di
capire che esistono anche donne come me. Nel mondo arabo non questo è il problema e anche se
ora lo sta diventando resta un problema secondario. Ad essere in crisi è l'intera composizione della
società e la strada che stanno intraprendendo. Il problema tra uomini e donne, penso stia per
essere risolto, in quanto stanno nascendo intellettuali in grado di imporre nuove idee, nuove forme
di società. È questa la chiave di volta, non le imposizioni degli uomini nei confronti delle donne.
Stiamo vivendo l'apice di questa crisi e ritengo che i Paesi occidentali non sono in grado di risolvere
nemmeno i propri problemi. Devono quindi ascoltare persone dell'Asia, dell'Africa, del Sudamerica
e del mondo arabo. Perché anche loro hanno qualcosa da dire.
In pratica dei Paesi in via di sviluppo?
No, del terzo mondo. Dobbiamo creare le condizioni per una possibile rinascita del terzo mondo.
Prendiamo la Russia, che sta cominciando a dire: “Esisto e non condivido il modello Usa”. Stiamo
sostanzialmente rivivendo quanto avvenuto negli anni Sessanta. La differenza sostanziale è che ora
la forza è nel terzo mondo: India, Cina, Sudamerica, Sudafrica, giocano oggi un ruolo importante.
Bisogna quindi ascoltare quei Paesi, cosa che l'Occidente si rifiuta di fare.
E come mai, secondo lei? I Paesi che ha citato, con l'aggiunta dell'India, compongono il
cosiddetto Brics (che sta appunto per Brasile, Russia, India, Cina e Sudafrica), nazioni che hanno
parecchi punti in comune (grande popolazione, immenso territorio, abbondanti risorse naturali,
forte crescita del Pil e della loro quota di commercio mondiale) e nel prossimo mezzo secolo
potrebbero dominare l'economia mondiale. Oggi la Cina detiene circa l'8% del debito pubblico
americano...
È una questione di orgoglio. I Paesi occidentali dicono da sempre agli altri: “Siamo i migliori”. Il
problema, come fa giustamente notare, è che lo erano in passato ma ora non è più così. Inoltre,
sono diventati che sono oggi soltanto grazie a due guerre mondiali. La Seconda con i suoi quasi 60
milioni di morti è stata terribile. E lo sviluppo che si è avuto fino alla metà degli anni Novanta è la
conseguenza del boom generato dalla fine di quel conflitto. Ma ora non possiamo mica subire
un'altra guerra per rivivere quello sviluppo. Eppure la quantità di armi che i Paesi occidentali sono
pronti a vendere in Africa e ovunque nel mondo, per uccidere altre persone, è qualcosa di
mostruoso. La civiltà occidentale un giorno dovrà pur pagare per tutto questo.