Il Simbolismo dei colori nell`Arte
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Il Simbolismo dei colori nell`Arte
! ! ! ! Il Simbolismo dei Colori nell’Arte Iconografica Dio, dopo il Diluvio, disse a Noé: “Il mio arco pongo sulle nubi/ ed esso sarà il segno dell’alleanza/ tra me e la terra. ” Anche Ezechiele nella sua visione profetica vide un “arcobaleno simile a smeraldo” che avvolgeva il Trono sul quale Gesù Cristo, “simile nell’aspetto a diaspro e cornalina”, stava seduto. L’arco di cui si parla nelle Sacre Scritture è l’arcobaleno, quel “ponte” etereo di sette colori che ad un tratto si staglia nel cielo sulle nubi in un giorno di pioggia. Se andiamo ad indagare sul significato etimologico della parola “verde”, ci accorgiamo che proviene dal latino “viridem”, che a sua volta deriva dal termine “iris” che in greco significa “arcobaleno”, simbolo di quel legame che unisce il Cielo alla Terra, il Divino all’Umano in un’eterna indissolubile alleanza. Il nome “viridem”, composto da “vir” - uomo - che richiama alle voci “viro, virile, vero, verità, virtù” e da “idem” che significa “identico, uguale a se stesso”, riconduce al significato dell“eroe virile”, l’uomo vero, ricco di sapienza e virtù che con volontà e capacità decisionale ha dato ordine alla sua vita interiore per dirigersi verso un’unica direzione, quella Divina. Anche nei miti nordici si legge lo stesso concetto: il popolo degli Asi, partì al seguito del dio Odino dall’Asia verso le terre del Nord, per andare a vivere in un’inaccessibile dimora celeste nella quale solo gli eroi potevano entrare transitando sul ponte dell’arcobaleno. Il frate francescano Francesco Zorzi nel suo “De Harmonia Mundi”, pubblicato a Venezia nel 1525, fornì la conoscenza delle infinite relazioni che esistono tra il corpo umano ed i Mondi superiori. Lo Zorzi ricorda che poiché tutte le cose derivano da Dio - che è suprema Bellezza ed armoniosa Unità - “nulla nell’uomo è stato fatto a caso o senza rispettare l’armonia; tutto è stato disposto in lui con numeri tali che le sue membra mantengono una proporzione costante fra 1 loro e rispetto alle parti del mondo, come le corde di una cetra.”. Il frate francescano individuò nei numeri non solo una maniera ordinata di suddividere le cose, ma delle vere e proprie “energie” che irradiano dall’Unità. Tommaso Palamidessi, profondo conoscitore di Dottrina Ermetica, negli anni sessanta riprese lo stesso concetto e, nel suo libro “La spiritualità dei numeri sacri”, mise in relazione i sette colori fondamentali dell’arcobaleno con la gamma diatonica musicale di Pitagora e con tutta una serie di corrispondenze sacre che fanno del numero sette “il numero più armonico e perfetto” che segna la storia della salvezza dell’umanità. Purtroppo, come aveva già amaramente sottolineato lo Zorzi, l’aspetto spirituale è decaduto e l’anima, trovandosi a vivere una realtà inquinata dall’attrazione per una bellezza di grado inferiore, ha perso di vista l’ordine e la Bellezza dell’Universo e del suo Artefice. Ecco che lo studio della simbologia, e soprattutto quella legata ai sette colori fondamentali - rosso, arancione, giallo, verde, blu, indaco e violetto - può venire in aiuto al cammino personale di trasmutazione interiore, fornendo strumenti importanti capaci di far ritrovare quell’antica sintonia: l’immaginazione. Questi concetti spiegano come mai, fin dalle più arcaiche Tradizioni, l’uomo è ricorso al simbolo ricercando, attraverso quelle colorate primitive incisioni su pietra, il “ponte” sottile per mezzo del quale poter entrare in relazione con i mondi superiori. Frédéric Portal, storico e archeologo degli inizi del XIX secolo, affermava che esiste una “rivelazione primitiva e perfetta deposta nella culla dell’umanità” dalla quale sono nate tutte le dottrine tradizionali che hanno alimentato la vita spirituale di ogni civiltà, nel corso dei secoli. Lo storico, nel suo libro “Sui colori simbolici nell’Antichità”, ha voluto fornire la prova inconfutabile che vi è un’unità di 2 tutte le religioni e che il significato dei colori è analogo, se non identico, a quello di ogni cultura. Per gli Egiziani, ad esempio, il colore era parte integrante di ogni aspetto della vita quotidiana e con la parola “iwen” ne esprimevano il concetto. I loro artisti utilizzavano sei colori, ottenuti per lo più da pigmenti di origine minerale. Accanto a quelli tradizionali come il bianco, il nero, il rosso e il giallo, introdussero anche i blu ed i verdi estratti dall’azzurrite e dalla malachite; ad ogni colore fu poi avvicinato il suo valore simbolico. Presto ci si accorse che il blu, derivato dall’azzurrite, in alcune particolari condizioni ambientali tendeva a virare al verde, fu così che gli Egiziani si preoccuparono di trovare una diversa soluzione inventando il più antico pigmento sintetico: il “blu Egiziano”, sorprendente per la genialità del processo di sintesi e per la qualità del prodotto finale. Questo colore, che risale al 3000 a.C., divenne talmente pregiato da venir pagato a Roma, più della porpora di Tiro. Esso fu usato per la decorazione di oggetti e manufatti preziosi che spesso venivano adoperati per precise ritualità, come testimoniano le tracce riscontrate su un piccolo contenitore d’olio d’oliva, risalente a quel periodo, utilizzato come olio benedetto della dea Iside. Sempre in “blu Egiziano” furono dipinti, ad esempio, la corona della regina Nefertiti, le pitture tombali di Ramsete II ed il copricapo regale di Ramsete III, consacrando questo colore al ruolo di perfezione divina e di maestà. Il suo impiego cessò nel XVIII secolo per essere sostituito dal “blu di Prussia”, pigmento sintetico molto meno costoso ed ancora usato nella pittura iconografica. Per quanto riguarda il colore verde, estratto in un primo tempo dalla malachite, esisteva già presso gli Egiziani in epoca Predinastica. Durante la IV Dinastia, questo pigmento venne utilizzato in tutte 3 le tecniche pittoriche e soprattutto per la decorazione del corpo del dio Osiride. Il colore verde, simbolo di crescita, rigenerazione e nuova vita, ben si adattava al dio dell’Oltretomba, come del resto per raffigurare l’ambiente acquatico e la vegetazione, perché per gli Egiziani acqua e mondo vegetale riassumevano lo stesso simbolico significato. Altri pigmenti nuovi che andarono ad incrementare la tavolozza dei pittori Egiziani furono il “turchese”, associato alla rinascita, estratto dall’omonima pietra conosciuta per il suo alto potere protettivo, ed il “blu oltremare”, utilizzato per dipingere i particolari più importanti delle vesti. Quest’ultimo veniva estratto dal lapislazzulo, pietra di grande preziosità, il cui colore ricordava quello del cielo notturno e delle acque primordiali. Anche ai colori base come il “bianco”, il “nero”, il “rosso” e il “giallo” fu dato il loro significato. Di “bianco” erano le vesti dei sacerdoti, simbolo di luce, purezza rituale e sacralità, mentre di “nero” si tingeva il fondo dei sarcofagi per evocare il potere rigeneratore di Osiride. Il “rosso”, la Terra rossa estratta dalle aree desertiche, era considerato simbolo di vita e di vittoria e con esso gli Egiziani erano soliti dipingersi durante le celebrazioni rituali, mentre il “giallo”o ocra gialla, era simbolo di tutto ciò che è eterno ed indistruttibile e veniva associato all’oro ed al Sole. Infine completava la gamma l’ “orpimento”, un pigmento pregiato di colore simile all’oro, utilizzato per per creare delle sottili velature rosato-dorate sui volti femminili. Da questi primi colori, nacque poi una vasta gamma di sfumature delle quali accenna anche il Portal: “In Egitto la veste di Iside risplende di tutti i colori, di tutte le sfumature che brillano della natura; Osiride, il dio onnipotente le dà la luce; Iside la modifica e la dà agli uomini riflettendola.” Lo storico archeologo francese ricorda che nei templi egiziani agli artisti non veniva permesso di distaccarsi dai canoni simbolici consentiti, perché vi erano delle 4 regole pittoriche ed architettoniche severe ed inderogabili. Stessa cosa fu riscontrata presso i Persiani, gli Indiani, i Greci, i Cinesi, gli Etruschi ed i Romani: l’arte era considerata depositaria di sacri misteri e ogni raffigurazione o colore aveva un suo preciso significato che doveva innalzare verso la divinità. Con il passare dei secoli ogni religione andò a perdere la sua auteticità e la vera spiritualità si spense nel materialismo: superficialità, superstizione e fanatismo condussero alla visione degradata di quell’antico sapere, del quale si seppe cogliere solo la sua manifestazione esteriore e quindi profana. Così Frédéric Portal commenta: “Questa legge fatale dell’umanità spiega la necessità di rivelazioni successive; il mosaismo e il cristianesimo sono divini per il solo fatto che l’intervento della divinità era necessario, indispensabile”. Quest’affermazione spiega come mai quando in una civiltà non vi è più il “personaggio storico” capace di contenere quell’originaria Sapienza, si avverte subito la gravità della perdita e per quel popolo si apre un periodo di decadimento morale e religioso che coinvolge inevitabilmente anche la vita politica, sociale ed artistica a tutti i livelli. Ecco perché, come afferma l’archeologo francese, se la Divinità non intervenisse dall’alto per riportare un “ordine” ed una nuova “rivelazione” adatta al momento storico che si sta vivendo, per l’umanità non ci sarebbe possibilità di salvezza. “Ogni cosa è tanto più bella e migliore quanto più partecipa di Dio”, affermava lo Zorzi . Anche oggi si avverte il necessario richiamo a voler recuperare, attraverso l’Arte e la simbologia, quell’antica Bellezza. E’ per questo motivo che negli storici, scienziati e studiosi dell’ultimo millennio si è sentita la necessità di riscoprire conoscenze arcaiche che si erano completamente perse e di riportare, con la nuova visione cristica, quell’antico Sapere. 5 Ad esempio il dottor Albert Leprince, medico e ricercatore francese, ha dedicato tutta la sua vita ad interessanti studi sull’importanza della cromoterapia per la cura delle malattie, ma già dalla più remota antichità si sapeva che i colori risultavano efficaci per curare, per dare energie o toglierle. Nel suo “Couleurs et métaux qui guérissent” affrontò lo studio della presenza di colori (forti o delicati) nella “nebulosa” che ricalca la forma del corpo fisico: un’aura colorata che porta l’impronta dei sette colori dello spettro solare e che indica a quale livello morale si trova l’individuo esaminato. Il dottor Leprince riportò in luce antiche conoscenze che si avvalevano di una speciale sperimentazione di luce e colori, per curare ogni tipo di malattia e con essa anche la sagoma energetica dell’individuo. Questi studi hanno anche riscoperto l’importanza di un’educazione artistica appropriata, che si avvalga dello studio simbolico dei colori per il benessere fisico e morale dell’artista e di chi osserverà le sue opere. Il colore, a seconda della tonalità utilizzata e della sua miscelazione con altri colori, può essere fautore di un accrescimento spirituale interiore o di un malessere che ne accentua il vizio e lo stato depressivo. Esiste infatti un linguaggio segreto dei colori, di cui è necessario venire a conoscenza, per combattere il linguaggio profano che si è instaurato da quando il simbolo è stato impoverito del suo arcaico significato per relegarlo ad una espressione puramente formale. Il Cristianesimo ha restituito questa “morale dei colori” e la pittura sacra iconografica ha riportato in luce la grandezza del messaggio che si era perso. I monaci-iconografi, nel silenzio, l’isolamento, nello studio, il digiuno e la preghiera, riuscivano a riportare su quelle tavole dei colori-luce di sottile vibrazione percepiti durante le loro 6 mistiche esperienze; fino a quando non portavano a termine la loro opera pittorica, niente doveva venire a turbare la profondità del loro intimo raccoglimento. Ecco perché le icone sacre hanno un loro segreto linguaggio tutto da riscoprire e da interiorizzare. Ogni colore aveva un suo preciso significato. Il “rosso”, ad esempio, ricordava l’amore e la carità, l’ “arancio” le nozze celesti, il “giallo” la rivelazione divina, il “verde” la rigenerazione, il “blu” la saggezza di Dio, l’ “indaco” la giustizia e la sapienza ed infine il “violetto” la passione e la redenzione. Per ogni colore poi si apriva una scala infinità di tonalità e combinazioni ed anche i significati si ampliavano e si allineavano alle vibrazione più sottili (o più basse) a seconda della loro miscelazione. Vi sono colori di luce e colori terrosi, colori “primari” (rosso, giallo e blu o azzurro) e colori “secondari” (arancio, viola e verde); poi colori a “tinta calda” (rosso e giallo), altri a “tinta fredda” (verde e azzurro) ed altri ancora a “tinta neutra” (bianco e nero uniti insieme). Ai tre colori “primari” corrispondono i tre “complementari” (verde, viola, arancio); poi vi sono colori a “contrasto simultaneo” ed a “contrasto successivo”, con tutti gli effetti che ogni combinazione può generare. Ma oltre a questi colori ufficiali, visibili, ve ne sono altri che sfuggono totalmente alla nostra vista perché oscillano su frequenze vibratorie che salgono ad un tale grado di purezza e di rarefazione (o che scendono talmente di tono in tono), che l’occhio, non essendo allenato a captare, non riesce a portarli alla coscienza per tradurli in colore. Questi colori “invisibili” ad una visione ordinaria, sono gli “ultravioletti” e gli “infrarossi”. La natura delle vibrazioni di entrambi é sempre la medesima; si tratta infatti di onde elettromagnetiche la cui frequenza varia in base alla loro lunghezza d’onda. Normalmente l’uomo e la donna, non sono in grado di vederli, ma lo stesso ne possono venire influenzati. Albert Leprince aveva capito che il fenomeno della risonanza, che si studia 7 in fisica, è molto importante da un punto di vista spirituale e che l’uomo e la donna, a seconda di come sono messi da un punto di vista fisico, morale ed energetico, emettono una “nota fondamentale” di colore che riassume tutte le diverse vibrazioni ad alta, media e bassa frequenza. Praticamente ognuno di noi ha il suo “cielo interiore” e può rispondere positivamente o negativamente alle buone o alle cattive vibrazioni universali. Ogni colore che si utilizza ha la sua importanza, ma più il tono è grave e grezzo e più va ad influire sul ritmo della persona rallentandola, intristendola. Il lavoro che il pittore iconografo, dunque, deve compiere è di conoscere prima di tutto il significato morale dei colori, poi di saperli scegliere, combinare e sperimentare. Se poi - come già Pitagora aveva capito - a questi sette colori dell’arcobaleno si avvicineranno le corrispondenti note musicali, l’effetto benefico sul corpo fisico ed animico sarà ancora più completo. Così scrive Tommaso Palamidessi nel suo libro “L’Icona, i Colori e l’Ascesi artistica”, indirizzando con mirati consigli la via da percorrere per ogni futuro iconografo. “L’icona ha una funzione didattica, è un costante richiamo a Dio, alle sue energie, allo Spirito Santo, alla Vergine, a Sofia, ed al desiderio di imitarli. Fissarne i simboli significa entrare in risonanza con gli archetipi di essi e riceverne i benefici influssi”. Quando le aspirazioni del pittore sono di natura spirituale, i colori diventano sempre più delicati e sottili fino ad entrare in risonanza con un mondo che si distacca sempre di più da quello materiale, per aderire ad un modello ideale, perfetto, che le Schiere Angeliche ben rappresentano. Sarà così che il pittore iconografo scoprirà il “rosa” dell’altruismo, l’“azzurro” della pura religiosità, il “giallo” dell’unione dell’anima a Dio ed il “verde” della bellezza e verginità. E’ importante riscoprire il significato dei colori e dei 8 simboli di un’icona sacra. Cercare di rivivere le segrete, intime esperienze di quei monaci-pittori può avvicinare sempre più a quel mondo angelico il cui contatto riesce a fare di un individuo qualsiasi, un vero “artista”. ! " ! " " Volto della Madre di Dio, “Deesis” Cattedrale dell’Annunciazione, Mosca, fine XIV sec. 9