i cattolici perdono un papa ma la crisi della chiesa è globale
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i cattolici perdono un papa ma la crisi della chiesa è globale
biennale Il padiglione Italia tra arte e politica aa vve ve nn im im ee nn t it i N. 9N.|99|marzo 9 marzo 2013 2013 left left + l’unità + l’unità 2 euro 2 euro (0,80+1,20) (0,80+1,20) da vendersi da vendersi obbligatoriamente obbligatoriamente insieme insieme al numero al numero di sabato di sabato 9 marzo 9 marzo de l’Unità. de l’Unità. Nei Nei giorni giorni successivi successivi euroeuro 0,80+il 0,80+il prezzo prezzo del quotidiano del quotidiano ,è c n o n settimanale left avvenimenti poste italiane spa - SPED. abb. Post. - D.L. 353/2003 (conv. in l. 27/02/2004 n. 46) ART.settimanale 1, COMMA left avvenimenti italiane spa - SPED. abb. 1 DCB roma - ann0poste XXv - ISSN Post. - D.L. 353/2003 (conv. in l. 1594-123X 27/02/2004 n. 46) ART. 1, COMMA 1 DCB roma - ann0 XXv - ISSN 1594-123X politica Così Grillo reportage Caccia ha divorato la sinistra all'ultimo squatter , e n o i g i l Non c è e r religione I cattolici perdono un papa ma la crisi della Chiesa è globale di Cecilia Tosi, Federico Tulli, Andrea Ventura la settimanaccia 2 left.it 9 marzo 2013 left left.it left Direttore editoriale Donatella Coccoli [email protected] Direttore responsabile Giommaria Monti [email protected] vicedirettore Manuele Bonaccorsi [email protected] caporedattore cultura e scienza Simona Maggiorelli [email protected] Redazione Via Francesco Benaglia 13, 00153 - Roma Sofia Basso [email protected], Paola Mirenda [email protected], Cecilia Tosi [email protected], Rocco Vazzana [email protected] Tiziana Barillà (segreteria di redazione) [email protected] progetto grafico Newton21 Roma Lorenzo Tamaro [email protected] GrAFICA Gianluca Rivolta [email protected] photoeditor Arianna Catania [email protected] Editrice DElL’altritalia soc. coop. 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Ma l’esperienza recente ci insegna che il rapporto tra economia e politica dev’essere invertito. Viene prima la politica, solo dopo l’economia. Alla fine del 2011, dinanzi ai diktat dei mercati, l’Italia scelse un governo tecnico con l’unica missione di placare la fame della finanza. Missione riuscita, sul momento: spread in discesa, ricucitura dei rapporti in Europa, conti pubblici sotto controllo. Ma quella scelta politica e istituzionale, tutta ricalcata sull’andamento delle Borse, è stata solo una soluzione parziale, perché più profondi e complessi erano i problemi del Paese, come queste elezioni hanno dimostrato senza appello. Sarebbe il caso di non rifare oggi lo stesso errore. Di non anteporre le decisioni prese in Parlamento, l’ipotesi di un nuovo governo di salvezza nazionale, alla ricostruzione di una visione complessiva. Mi spiego. Il risultato delle elezioni politiche mette sul piatto una drammatica crisi di consenso. L’analisi dei flussi elettorali lo dimostra chiaramente: milioni di voti si sono spostati, abbandonando i vecchi schieramenti. Consensi un tempo sicuri, oggi contendibili, aperti, liberi. Di più: interi territori e blocchi sociali non hanno più punti di riferimento stabili, hanno perso ogni rapporto coi corpi intermedi che prima ne mediavano la partecipazione politica e sociale. Non è solo una crisi dei vecchi partiti. È una crisi più complessiva, di rappresentanza. Riguarda i partiti come i sindacati, le associazioni di interesse, le categorie, i mestieri. È come se la società, con le sue strutture forti, fosse esplosa in un big bang originario (non quello da laboratorio, della Leopolda), lasciando 60 milioni di individui soli, separati. Individui senza appigli, senza società. È la conseguenza della crisi, la cui gravità è stata sottovalutata anche dalla sinistra. Le conseguenze di questa catastrofe - se essa sarà distruttiva o se presto si troverà un nuovo, più avanzato, ordine - sono per ora imprevedibili. Dunque, discutiamo pure di programmi di governo, assetti istituzionali, esecutivi del presidente. Ma senza dimenticare che la prima missione, oggi, non può che essere rimboccarsi le maniche (davvero, non nei manifesti). Ritornare nel campo aperto della società, ricostruire le basi del consenso nel rapporto diretto con la società e il lavoro. Riedificare un immaginario collettivo, un “campo di forze”, una parte. Una parte contro un’altra, anche per la sinistra, che il proprio popolo e la propria identità l’ha persa da vent’anni, inseguendo la presunta modernità del neoliberismo. Non bastano le primarie; i giovani, il ricambio della classe dirigente, sono una precondizione, non una soluzione. Serve piuttosto una grande mobilitazione, che ci permetta di riscoprire il nostro mondo. Dialogando e ascoltando. Anche con il Movimento 5 stelle e i suoi elettori. Noi di left stiamo provando a farlo. Chi invece non l’ha capito è vittima dello stesso autismo politico che ci ha portato dritti dentro questa situazione. 3 [email protected] Movimento 5 stelle al bivio Buongiorno left, le elezioni 2013 ce le ricorderemo, sicuramente e principalmente per l’affermazione del Movimento 5 stelle, al di là di tutte le altre considerazioni politiche. È evidente che questo movimento ha raccolto un’insoddisfazione ampiamente radicata. Di diverso c’è che ha fatto sentire le persone finalmente libere di potersi esprimere, non delegando più la propria rappresentanza ad un apparato che ha perso completamente la sua credibilità. “Trasparenza, onestà e competenza” sono principi fondamentali per un buon governo. Molti dei presupposti su cui si fonda il movimento, sono indiscutibili; se applicati, renderebbero la politica un organo reale di rappresentanza e non “l’odiata casta”, fatta di privilegi insopportabili. Mi riferisco alle proposte riguardanti gli stipendi dei parlamentari, il loro numero, i benefici di cui usufruiscono, il tempo indefinito al suo interno. Se pur apprezzabili sono state troppo timide le modifiche fatte dal Pd in tal proposito. Certamente c’è da tenere in considerazione tutto quel che riguarda le proposte che vanno al di là dell’etica. Quali sono le idee con le quali si intende procedere in questo periodo di profonda crisi. Se sono realizzabili e se c’è una maggioranza che porti avanti proposte sociali che idealmente appartengono alla cultura di sinistra (fra le quali il reddito di cittadinanza). Il movimento ora si trova ad un bivio, deve 4 left.it scegliere se continuare a essere “duro e puro”, oppure fare un pezzo di strada assieme al fianco del “corrotto” centrosinistra (unica possibile alleanza), richiedendo in cambio quei passaggi che sarebbero un cambiamento epocale per la nostra politica. Flavio Chimenton E ora riforme ma sul serio Ho letto gli articoli presenti nel n. 8 del 2 marzo e, pur apprezzando alcune riflessioni e analisi, non condivido l’impostazione complessiva, e cioè di presentare il fenomeno “Grillo” come l’avvento del “Sol dell’Avvenir”. Purtroppo tutta questa attenzione e l’immagine di questo risultato elettorale che riempie l’orizzonte a 360 gradi mi conferma la assoluta incapacità di vedere oltre e di portare alla luce (cioè davanti agli elettori) dei problemi ben più gravi e grandi di fronte ai quali i temi di vittoria del Movimento 5 stelle sono poco più che una barzelletta. In questi anni stiamo vivendo una crisi tragica (ha già prodotto centinaia di suicidi e di morti in genere), una crisi di sistema, anzi di sistemi, da cui non si riesce a intra- avvenimenti vedere una via di uscita perché non si riesce ad avviare una profonda riflessione oserei dire “filosofica” (cioè di pensiero) su come modificare alla radice i suddetti sistemi per renderli adeguati ai “Segni dei tempi”. Ricordo che “riformare” vuol dire “dare una nuova forma” totalmente diversa da quella fino a ora adottata. Alberto Spalla Basta morti sul lavoro Luciana Littizzetto ha fatto davvero una bella cosa, quando a chiusura della puntata di Che tempo che fa, ha dedicato il suo intervento al dramma delle morti sul lavoro. Un tema, di cui si parla raramente sui media e di cui gli schieramenti politici non hanno detto una sola parola in campagna elettorale. Tanto che molte volte viene da chiedersi, se gliene frega qualcosa se i lavoratori muoiono o si infortunano sul lavoro. Non so se questo governo Bersani nascerà, io spero ovviamente di sì, perché al di là di tutto, ho a cuore il bene del Paese. Vorrei però che al primo posto ci fosse inserita “la salute e sicurezza sul lavoro”. O è chiedere troppo? Beppe Grillo, il 2 gennaio 2013, pubblican- do sul suo blog il post “Basta morti sul lavoro”, aveva detto: «Il MoVimento 5 Stelle porterà in Parlamento il tema della sicurezza sul luogo di lavoro come prioritario. Nessuno deve trarre profitto dalla morte di un lavoratore». Io attendo fiducioso, anche se non posso fare a meno di notare, che da allora anche lui ha smesso di parlarne. Il mondo politico ne vuole fare un priorità in Parlamento o vuole continuare a prenderci in giro? Marco Bazzoni Cambiamo le nostre lenti o sarà troppo tardi Ho netta la sensazione che proprio si fatichi a capire ciò che si muove, si agita, si manifesta... nella società. Ciò che comunque ha espresso il voto al M5s. In troppi offrono letture consolatorie ed in altrettanti tentano semplificazioni tutte ripiegate su dispute interne e rese dei conti. Attenzione! La portata del mutamento in atto è epocale. Nulla sarà più come è stato. Non basterà “il colpo di genio” per far approvare una nuova legge elettorale e poi “tutto si calmerà”. Cambiamo le nostre “lenti”, o sarà troppo tardi! Giacomo Sanavio abbonati a left. la versione web a 40 € l’anno vai su www.left.it o scrivi ad [email protected] 9 marzo 2013 left left.it left.it sommario ianno XXV, nuova serie n. 9 / 9 marzo 2013 copertina politica ARTE Dopo le dimissioni del papa, non è solo il clero cattolico a scoprirsi diviso. Le Chiese cristiane si frantumano inseguendo le richieste dei fedeli. E le questioni etiche spaccano protestanti e ortodossi in mille rivoli. La comunione resta una chimera. I troll, gli influencer, le regole dei forum, la forza del consenso in rete. Ecco come il M5s, dove uno vale uno, organizza il suo «parlamento elettronico». E Grillo vince dove la sinistra rinuncia alla lotta. Dai lavoratori di San Precario alla Val di Susa. Il direttore del Macro Bartolomeo Pietromarchi racconta il suo Padiglione Italia che debutterà il primo giugno alla Biennale d’arte di Venezia. Quattordici artisti in mostra con opere site specific che riflettono sulla storia del Paese e sul presente. poveri cristi 16 la settimana 02 03 04 06 la settimanaccia La nota Lettere fotonotizia l’incontro 12 Emilio Solfrizzi: Ci metto la faccia di Tiziana Barillà copertina 16 Poveri Cristi di Cecilia Tosi 22 Due miliardi di scandali di Federico Tulli 24 L’intesa impossibile di Andrea Ventura il parlamento elettronico 26 Così i grillini cambiano la democrazia di Filippo Barone Il Grillo di battaglia di Rocco Vazzana Sicilia, un modello di cartapesta di Salvo Toscano Corleone. Una bara per due di Claudio Reale mondo 36 Occupazione a tempo determinato di Alberto Mucci e Luigi Serenelli left 9 marzo 2013 48 IDEE RUBRICHE di Adriano Prosperi di Emanuele Santi a cura della redazione Interni a cura della redazione Esteri 08 Il taccuino 09 altrapolitica di Andrea Ranieri 10 La locomotiva di Sergio Cofferati 11 ti riconosco di Francesca Merloni 54TRASFORMAZIONE di Massimo Fagioli 31 calcio mancino 34 Cose dell’altritalia 44 newsglobal 58 puntocritico cinema di Morando Morandini arte di Simona Maggiorelli libri di Filippo La Porta 60 bazar Junior, buonvivere, Commedia, personaggi 61 in fondo di Bebo Storti 62 appuntamenti a cura della redazione Cultura società 26 28 30 32 Anteprima Biennale 42 Intifada a tratti di Paola Mirenda cultura e scienza 48 Biennale di Venezia: arte, società e viceversa di Simona Maggiorelli 52 Politeisti della lettura di Filippo La Porta 56 Opg, la fine della barbarie di Adriana Pannitteri Chiuso in tipografia il 6 marzo 2013 5 fotonotizia 6 left.it 9 marzo 2013 left left.it fotonotizia Morte di un bolivariano Dopo un lungo periodo di malattia, il presidente venezuelano Hugo Chavez si è arreso al cancro. Cresciuto dalla nonna in una capanna di paglia e fango, Chavez ha preso una laurea in Arti militari prima di cominciare la sua carriera politica. Ha elaborato un’ideologia nazionalista “di sinistra” e l’ha chiamata bolivariana, per celebrare il più grande rivoluzionario del Sudamerica. Col suo Movimento V repubblica ha vinto le elezioni nel 1998 e poi non se n’è più andato. Criticato dalla borghesia per la conduzione autoritaria e populista del potere, i poveri lo venerano soprattutto per la lotta all’analfabetismo e all’indigenza. Fondatore di un’alleanza sudamericana che propugna l’indipendenza dagli Usa (Alba), Chavez è stato uno dei leader politici più carismatici degli ultimi vent’anni e difficilmente il “suo” continente potrà trovare una figura con cui sostituirlo. (Rodrigo Abd/Ap/Lapresse) left 9 marzo 2013 7 il taccuino di Adriano Prosperi il taccuino Adesso i grillini sono arrivati Cosa pensano di fare per risollevare le famiglie che non ce la fanno? O per rilanciare la ricerca e i beni culturali? Per ora si sono trincerati dietro una sorridente modestia di principianti L i aspettavamo, i grillini. Erano i nostri barbari (qualcuno ha citato la poesia di Costantino Kavafis sull’attesa dei barbari). Poi sono arrivati. Sono stati accolti in trionfo: chi li aveva votati è uscito allo scoperto vantandosene. Erano giovani, sconosciuti, sorridenti. Avevano facce nuove, fresche, mai viste prima. E in un Paese sempre sedotto da tutto ciò che è nuovo (e sempre pronto a rifiutare le proposte della sinistra) è scattata una apertura di credito. Presto, prestissimo vedremo se la meritano. è vero che molte cose che dicono di voler fare assomigliano a proteste e proposte che hanno preso tante volte espressione in movimenti collettivi di piazza e di strada e in referendum popolari. La sordità di una classe politica chiusa a corporazione che ha fatto spesso della politica la carriera esclusiva di burocrazie di partito ha le sue colpe, che ora paghiamo tutti. E non parliamo di quello che il pubblico ministero Sangermano ha definito il “sistema prostitutivo” di Berlusconi: definizione che vale non solo per le notti di Arcore, che sono pur sempre affare privato dei vizi di un vecchio signore, ma anche e soprattutto per quel che è accaduto sui banchi del Parlamento. E la cosa ci riguarda tutti, come cittadini defraudati del diritto ad avere rappresentanti onesti e governi costituzionali. Bene ha fatto Bersani ad alzare una diga nei confronti di ogni tentazione di “larghe intese” che riporti ancora Berlusconi nelle case degli italiani: ma con chi lo farà? Adesso che i “barbari” sono arrivati c’è una domanda che ci poniamo: possiamo davvero sperare nell’abolizione di una legge elettorale oscena, nell’approvazione di una legge sul conflitto di interessi, di una reale abolizione del finanziamento pubblico dei partiti, di una cancellazione delle province, di una riduzione dei membri del Parlamento, di misure di tutela del lavoro e di aiuto ai disoccupati e altre cose del genere? E cosa pensano di fare per risollevare la condizione di un 60 per cento di famiglie che non ce la fanno ad arrivare a fine mese, o per rinnovare e rilanciare la ricerca e i beni culturali in un Paese dove si brucia in una notte la Città della Scienza a Napoli? A questo non ci sono finora risposte dagli eletti del movimento di Grillo riuniti a Roma. Si sono trincerati dietro una seducente e sorridente modestia di principianti. Ma per loro ha risposto Grillo: con un no secco e senza alternative. Non appoggerà un governo dei partiti - la peste, il cancro del Paese come li chiama. Ora, questa strategia del puntare sul disastro istituzionale e politico e sulla crisi economica come leva per distruggere ordinamenti democratici la conosciamo già. è stata quella che ha affossato l’Italia liberale e la Germania di Weimar. Il giudizio benevolo sul regime di Mussolini di una “grillina” forse non è stato solo un infortunio. Se è così non resta che sperare nella saggezza di Napolitano, l’unica figura autorevole e illuminata capace di rappresentare ancora il punto di riferimento per tutto il Paese, almeno finché resterà al suo posto. Chi lo sostituirà? è stato fatto un nome, quello di Stefano Rodotà. C’è da augurarsi che tutti i cittadini sinceramente preoccupati per il gorgo in cui si sta inabissando il Paese facciano quello che è in loro potere perché questa candidatura non sia fatta naufragare nelle retrovie fangose dei mercanteggiamenti. Non capiterà mai più di avere un candidato di così alta qualità intellettuale e morale, di così ininterrotta presenza nella vita civile. Chi sa quale sia il suo valore e la sua probità di studioso esita ad augurargli un simile impegno. Ma la sua presenza sul Colle più alto di Roma garantirebbe a tutti i cittadini quel “diritto di avere dei diritti” così ben definito nel più recente dei suoi moltissimi libri. Rodotà al Quirinale garantirebbe a tutti i cittadini quel «diritto di avere dei diritti» 8 9 marzo 2013 left altrapolitica di Andrea Ranieri il taccuino Coda lunga alle urne Gli esclusi dalla crescita e dalla crisi sono entrati in politica. Spazzando via l’influenza della classe media, che nel frattempo si è svuotata L a coda lunga per gli economisti segnala i consumi di cose e di idee che fino a poco tempo fa il mercato considerava irrilevanti. I prodotti la cui vendita non compensa il costo dello spazio che occupano nel supermercato, i film che non trovano una sala, la musica che non c’è più e quella che non c’è ancora, le idee che non vanno sui giornali e alla televisione. Ci ha scritto non tanto tempo fa un libro Chris Andersen, quand’era direttore di Wired, spiegandoci che la coda con l’avvento di internet si fa più lunga e più spessa, e mette a disposizione di tutti cose, pensieri, emozioni e canzoni che prima restavano sommersi. E che la coda lunga, se la mettiamo in verticale, è più alta dei picchi dei beni di consumo su cui ancora si attesta la media dei consumatori. I ragazzi di oggi sempre meno comprano cd. Le loro personali compilation aggregano cose vicine e lontane nel tempo, musiche dimenticate e il più tosto dei rapper di periferia. E per ogni scelta è possibile trovare qualcun altro che quella scelta l’ha fatta, e che la può condividere in rete, contenti di essere in tanti, contenti di essere in pochi. La cultura di massa, ci spiega Andersen, è la risultante di un mercato un po’ rozzo, che non sa fare i conti con la diversità e la ricchezza dei gusti e dei desideri. Tende ostinatamente alla media, ma quella media pian piano, talvolta con accelerazioni improvvise, tende inesorabilmente a svuotarsi. Mi è tornato in mente Chris Andersen il giorno dopo delle elezioni, che hanno segnato l’accelerazione del declino già in atto dei grandi schieramenti politici, quelli che parlano all’opinione pubblica attraverso i media tradizionali, la tv generalista soprattutto, che per loro natura parlano alla “media”, o quella supposta tale. Berlusconi ha perso 9 milioni di voti, il Pd più di 3. La sinistra non ha vinto quando la destra crollava. Forse una delle ragioni è non aver capito per tempo che la coda si allungava anche nella società. Che la classe media, quella moderata e ragionevole, il target a cui siamo attrezzati a rivolgerci, perdeva peso e influenza non solo per colpa della crisi, ma già dentro gli anni ruggenti della crescita trainata dalla finanza, che ha esasperato le disuguaglianze, frantumato i blocchi sociali consolidati. E gli esclusi dalla crescita e dalla crisi, quelli che hanno capito che nella media non ci sarebbero mai entrati, hanno cominciato a mettersi in proprio, trovando in Internet un modo di raccontarsi e di collegarsi al di fuori dei modi e dei contenuti con cui partiti e sindacati raccontavano e rappresentavano la realtà. E nascevano nuovi racconti sul lavoro e non solo. Sull’ambiente, sulla difesa del territorio, sul chilometro zero e le piste ciclabili, addensando persone che collegavano l’idea di un mondo diverso a nuove pratiche di vita. E proprio da questo intreccio fra idee e stili di vita nasceva il rifiuto della delega a narrazioni che proiettavano su un futuro indeterminato la realizzazione delle cose che già oggi si ritiene possibile praticare. Il successo elettorale del M5s, nella sua componente meno rancorosa, è la coda lunga che si è messa in politica. Non solo questo certamente, e con tanti vizi e tante semplificazioni che nel rifiuto di ogni ideologismo rischiano di costruirne di nuovi. Ma se la sinistra vuole davvero fare i conti con la sua crisi, conviene fare i conti con queste ragioni del loro successo. E riflettere sulla sua incapacità di dare spazio e rilievo a quella coda lunga culturale e sociale che sempre di più caratterizzerà il nostro futuro. La sinistra ha continuato a parlare a un target che perde peso left 9 marzo 2013 9 la locomotiva di Sergio Cofferati il taccuino Mani libere, ma vuote La scelta è affidata al M5s. Se deciderà di affossare il dialogo col Pd rinuncerà anche a riforme che stanno nel suo stesso programma L a vittoria che auspicavamo non c’è stata. Il centrosinistra, pur essendo la prima coalizione, non ha sufficiente forza per formare un governo e deve allo stesso tempo prendere atto dei propri errori e farsi carico della ricerca di una soluzione. Il risultato elettorale ci segnala in maniera chiara una forte sofferenza prodotta dalla crisi economica e sociale, unita a una sfiducia complessiva per una politica incapace di mettere in campo soluzioni efficaci e di autoriformarsi. Emerge nitida una enorme richiesta di cambiamento che evidentemente non siamo riusciti a soddisfare durante la campagna elettorale. Abbiamo dato l’idea, con le nostre proposte, di essere l’unica coalizione in grado di dare al Paese un governo stabile, caratterizzato da maggior equità e giustizia rispetto ai precedenti, ma non siamo stati in grado di trasmettere quella prospettiva radicalmente diversa di società e di politica di cui c’è bisogno. Su molte persone ha fortemente pesato il sostegno dato al governo dei tecnici e a misure fortemente impopolari e spesso decisamente inique. Non credo sia necessario adesso insistere su analisi quasi tutte interne e molto caratterizzate dal senno di poi. Credo invece che questa situazione di difficoltà politica e istituzionale possa paradossalmente rivelarsi utile sia alla sinistra che al Paese. Soltanto però se riusciremo a lavorare con forti dosi di umiltà e di pragmatismo. Affinché questo possa realizzarsi, la via che abbiamo davanti è sicuramente molto stretta; forse non percorribile, ma non per questo deve venir meno il coraggio di compiere tutti i tentativi possibili. La richiesta di cambiamento proveniente dalle urne credo renda assolutamente improponibile l’ipotesi di “governissimo” con chi del cambiamento stesso è stato in questi anni il peggiore avversario. La proposta di Bersani al M5s risulta quindi l’unica via praticabile per un governo, anche di breve durata, che abbia il compito di realizzare i cambiamenti necessari e urgenti. Nessun tavolo segreto, nessuna contrattazione di poltrone, soltanto la reciproca assunzione di responsabilità rispetto alla realizzazione, concreta e immediata, di alcuni punti che possono essere condivisi e che sono fondamentali per il futuro del Paese. Le proposte che il Pd avanzerà, come noto, riguarderanno da un lato una riforma delle istituzioni e della politica: una riforma del finanziamento dei partiti, una riduzione netta dei costi della politica, una legge sui conflitti di interesse e contro la corruzione; dall’altro interventi urgenti per l’occupazione e per le politiche in Europa che facciano segnare un rovesciamento di linea rispetto alle politiche di austerità fin qui praticate. Con quella stessa trasparenza che li ha resi forti in questa campagna elettorale i deputati del M5s dovranno chiarire se sono d’accordo sulla realizzazione di questi punti o se invece preferiscono rimanere con le mani libere, ma vuote rinunciando alla concretizzazione di alcuni punti centrali del loro stesso programma. Nel primo caso si potrà aprire una (seppur breve) stagione per un governo che realizzi alcuni cambiamenti importanti, nel secondo caso resterà solo la strada di un esecutivo di scopo che nel tempo del semestre bianco provi a varare una nuova legge elettorale per tornare alle urne. Ciascuno però col suo carico di responsabilità per le occasioni di cambiamento mancate. È stretta e in salita la strada per uscire da questa crisi. Ma sia la sinistra che il Paese potrebbero ricavarne qualcosa di buono 10 9 marzo 2013 left ti riconosco di Francesca Merloni il taccuino C’è ancora tempo Marco, diciotto anni a febbraio: «L’Italia è il mio Paese e voglio fare cose giuste». Al seggio in quel momento c’ero anch’io. Il suo sguardo mi inchioda: non lo vedi? È così semplice «S ono Marco e ho compiuto 18 anni a febbraio. Così ho potuto votare e ho potuto dire la mia per la prima volta. Non nego che sentivo il peso e non me l’aspettavo di sentirlo. M’hanno aiutato gli scrutatori perché avevo paura di fare un casino e non sarebbe stato giusto sbagliarmi. Dopo tutto l’Italia è il mio Paese e voglio fare le cose giuste. Quando ascolto l’inno io mi emoziono sempre e non mi vergogno a dirlo. Ho votato Grillo perché era l’unico votabile. Si capisce bene ciò che vuole e che dice. Ora la fiducia va meritata. Io voglio fare le cose giuste. Per tutti, oltre che per me. Vorrei che fosse lo stesso per gli altri. Io voglio vivere in questo Paese, non voglio andarmene. Voglio contare qualcosa, voglio dire la mia. Si, è vero, siamo giovani ma studiamo e possiamo prepararci bene. Ce la possiamo e ce la vogliamo fare». Marco, 18 anni a febbraio. Vorrà pur dire qualcosa. Strano allineamento di date e fatti. A diciotto anni l’emozione si tocca nel passo, nell’incedere di slancio ma con malcelata esitazione, nel tornare indietro poco, nel guardare se lo segui, comunque. Si traduce nelle domande alle quali ha dato una sua risposta, ma chiede, comunque. Al seggio in quel momento c’ero anch’io. A diciotto anni si contempla l’emozione, la si riconosce come qualcosa di stabile, nostra per sempre. A diciotto anni la passione diventa categoria che edifica. Assolutamente si crede, si vive di slancio. Di sogni possibili. Il mondo è ancora bello a causa nostra. Si percorre la vita per linee di forza essenziali. E necessarie. Prendi e vai. È tuo il mondo, con tutto ciò che contiene. A diciotto anni per vivere hai bisogno di poco. Ma quel poco deve essere vero e molto chiaro, senza possibilità di confusione, di doppia lettura. E così il linguaggio. Corrispondente, raffinato. Cioè affinato e ridotto all’essenziale. Al suo punto esatto di verità. Senza fronzoli. Nulla si concede. Non c’è più tempo per credere, se no, non c’è più voglia. Il tempo spazza via impalcature di storia che La vita non è uno scherzo. Prendila sul serio hanno fatto storia. E se i riferimenti costituiti si fancome fa lo scoiattolo, ad esempio, no argini per il fiume in piena, se incanalano in modo senza aspettarti nulla costruttivo l’energia che arriva, allora le generaziodal di fuori o nell’aldilà. ni di ieri e di oggi vincono insieme la scommessa. C’è Non avrai altro da fare che vivere. La vita non è uno scherzo. ancora voglia allora, c’è ancora tempo. Ecco cosa mi Prendila sul serio ha detto Marco, nel suo linguaggio scarno e duro, da ma sul serio a tal punto adolescente, in cui tutto torna. E non posso far finta di che messo contro un muro, ad esempio, le mani legate non aver capito, il suo sguardo mi inchioda e mi intero dentro un laboratorio col camice bianco e i grandi occhiali, roga: ma come, non lo vedi? È così semplice! Ma non tu muoia affinché vivano gli uomini ti sembra ovvio? E io non posso non rispondere che gli uomini di cui non conoscerai la faccia sì, mi sembra ovvio. E che vorrei avere diciotto anni e morrai sapendo che nulla è più bello più vero della vita. anch’io e provare a ricostruire insieme a lui. Perché Prendila sul serio lo stesso fuoco mi incendia. Provare a riprendermi il ma sul serio a tal punto Paese che è mio. E tenerlo con amore. Nelle mani, nel che a settant’anni ad esempio pianterai degli ulivi cuore soprattutto. Perché non voglio essere altrove, non perché restino ai tuoi figli ma perché non crederai alla morte in nessun altro posto nel mondo. Voglio poter dire la pur temendola, mia senza possibilità di non venire compresa. Perché e la vita peserà di più sulla bilancia. le parole edificano. Perché la vita, a diciott’anni, è una Nazim Hikmet, La vita non è uno scherzo cosa seria. [email protected] left 9 marzo 2013 11 l’incontro 12 9 marzo 2013 left l’incontro left.it Ci metto la faccia di Tiziana Barillà emilio solfrizzi. In tempi di comici, left incontra uno dei volti più amati della commedia. Una conversazione che diventa, inevitabilmente, uno spettacolo. “In scena” per noi: la vita, il lavoro e la politica che «è meravigliosa nella sua accezione più alta» F orse per capire cosa sta succedendo intorno ci serve un comico. Un attore, uno che sa cos’è il pubblico, il palcoscenico, la notorietà. Emilio Solfrizzi quel mondo lo conosce bene. È uno dei volti più noti e amati dagli italiani. Cinquant’anni tondi tondi e una lunga carriera: dalle televisioni locali pugliesi, alle fiction di Raiuno, fino ai teatri di tutta Italia. E proprio a teatro è impegnato in questi giorni con la tournée Due di noi, la pièce scritta nel 1970 da Michael Frayn - al Quirino di Roma dal 13 al 24 marzo -, al fianco di Lunetta Savino. Ci è venuto a trovare nella nostra redazione, nel quartiere di Trastevere, a Roma. L’incontro con lui è uno spettacolo pirotecnico di sguardi, mimica, gestualità, non detti e allusioni. È lo stile di Solfrizzi. Commedie, duetti comici, serie tv: spettacoli “leggeri”, direbbero i più. Leggeri, senz’altro, ma non per questo poco seri. «Perché la comicità, come diceva Pirandello, nasce dal sentimento del contrario, dalla tragicità», ci spiega. Il fenomeno Grillo è tutt’altro che uno scherzo. Da cosa nasce secondo lei? Dalla paura. E la paura radicalizza le scelte. L’elettorato non è vigliacco o cattivo, ha semplicemente paura. Di Grillo ho visto tutti i comizi e ho capito che quello era uno show. Io faccio il comico, ho fatto centinaia di spettacoli in piazza e so come imbonire la gente. Anche se, sicuramente, meno bene di lui. Certo, ho paura anch’io del fatto che una pletora di persone che non hanno mai avuto nulla a che fare con la gestione della res pubblica, abbia tanto peso. Ma a questa critica lui potrebbe rispondere: “Hai ragione, ma sarà sempre meglio de sta monnezza”. Su questo, lo seguo. Perché la vecchia politica non ha saputo rispondere alle nostre domande. left 9 marzo 2013 Nemmeno la sinistra ha saputo farlo. Lei in passato ha sostenuto con forza il governatore della sua Regione, Vendola. Come si spiega questa débâcle? Il punto è la logica del compromesso. Se ti proponi come il rinnovamento e poi il rinnovamento non lo fai, la gente non ti capisce più. Anche se sei sano, resti sempre portatore di quelle logiche. Sono di questa parte politica e sono certo che ogni cosa sia stata fatta con le migliori intenzioni e al servizio della cosa pubblica. Ma sempre con quella logica. La sinistra si propone come alternativa... ma ’ndo stà l’alternativa? Del resto, tutte le forze di rinnovamento e di cambiamento radicale finiscono sempre lì. È successo addirittura per la Lega. Erano pieni di Fiorito pure loro... Poi arriva uno e dice che con queste logiche non ci sta. Lo ha votato, Grillo? Non lo avrei mai votato, ma per senso di appartenenza a un altro mondo. Io sono di sinistra. Anche se è un po’ come far parte di un club, una gang di ragazzini, insomma... ci si sente più al sicuro... Anche lei ha paura? Sì, ho paura per i miei figli. Non per la crisi economica. Siamo in Europa, qualcuno ci salverà! La cosa che mi sgomenta è la crisi di valori. Da trent’anni, dal boom economico in poi, l’Italia è sempre in declino. Vittima della logica del minimo impegno per il massimo risultato. Sempre alla ricerca di scorciatoie. Mio padre mi diceva sempre: “Prendi la laurea”. Lui era un ottimista nonostante venisse dalla guerra. È l’idea dell’impegno e della fatica per raggiungere un risultato: lui ce l’aveva tutta e me l’ha trasmessa. E invece ha fatto l’attore. Forse suo padre 13 l’incontro left.it La sinistra? Se ti proponi come il rinnovamento e poi il rinnovamento non lo fai, la gente non ti capisce più l’avrebbe preferita avvocato. Specialmente al Sud, a Bari. Ma quando ha visto la quantità di impegno fisico, le ore e la fatica, era tranquillo. Ha capito che questa enormità avrebbe prodotto risultati. Ha capito che era un lavoro? Esatto. E ha avuto sempre rispetto per questo mestiere. Oggi fare l’attore è un mestiere sempre più difficile. Precarietà, insicurezza, concorrenza sleale. Perché i giovani dovrebbero intraprendere questo mestiere? Per fare l’attore devi volerlo fare, non hai bisogno che di un testo e quattro stracci... ma devi sentire una motivazione forte, “il fuoco sacro sul palcoscenico”. Oggi, le nuove generazioni di attori sono impegnate nel tentativo di fare della qualità uno stile. Una condizione della propria vita, oltre che del proprio lavoro. Giovani attori impegnati, sì. Ma oggi il successo arriva soprattutto passando dai reality. È vero, spesso la scorciatoia garantisce quel minimo impegno per il massimo risultato. I reality non li contesto in quanto tali, ma per l’effetto che producono. Un ragazzo a quel punto si chiede: ma allora perché devo fare tanti anni di formazione? Fare l’attore non significa solo diventare famosi. Sennò buttati da un grattacielo e lo diventi comunque... La verità è che il mondo è fatto di uomini. Quando ho conosciuto Pietro Taricone mi sono sentito un idiota perché avevo una serie di pregiudizi che lui mi ha smontato tutti, uno a uno. Anche Luca Argentero adesso è uno degli attori più richiesti. Alcuni utilizzano lo strumen14 to dei reality: ben venga a patto che poi ci mettano del loro e che non si lascino travolgere dal meccanismo e mostrino autonomia di pensiero. Intelligenza, saper fare, questo ci vuole. Poi ci sono altri che rimangono “quelli del Grande fratello” o aprono una pizzeria. È duro il mestiere di attore? È un lavoro e mi piacerebbe che anche i critici lo capissero. Quando Sordi e Gassman facevano i film l’Italia era un Paese che produceva 300-350 pellicole l’anno, la critica sapeva che c’era il film per la Storia e poi c’erano i film “alimentari”... coi quali ti compravi la casa. Adesso se un attore fa un film che non incassa manca solo che lo menano. Sarebbe meraviglioso se si capisse che il cinema e la tv sono in assoluto i mestieri più democratici. A voglia a essere De Niro, se non c’hai Scorsese... ’ndo vai? Lei chi ha avuto? Io? Beh, Scorsese (si atteggia ironico) e poi me stesso, per molti anni. Già, dai tempi del duo Toti e Tata, quando insieme ad Antonio Stornaiolo faceva ridere tutto il Sud. Erano gli anni Ottanta, l’epoca d’oro delle tv locali. A partire da Telenorba avete sdoganato la comicità pugliese. Erano tempi in cui l’Italia sembrava molto più lunga... arrivava fino a Napoli... Anche la Puglia è stata scoperta “dopo”, quando è entrata la storia, quando sono arrivati gli albanesi. Ero presente al primo sbarco, lo ricordo benissimo. Il resto del Paese, invece, è stato solo vedendo quei servizi in tv che si è accorto delle nostre splendide coste. L’Italia era lontana, e l’Albania molto vicina. È vero che eravate molto famosi lì? Certo. Essendo così vicina alla Puglia lì si trasmetteva Telenorba, ed era molto seguita. Per noi è stato anche un modo di raccontare loro l’Italia con ironia. Ricordo un episodio, in particolare. Era andato a fuoco il Petruzzelli di Bari, perciò decidemmo di ambientare la trasmissione insce9 marzo 2013 left l’incontro left.it nando i resti del teatro. C’erano pure i musicisti anneriti, si chiamavano: I resti dell’orchestra del teatro Petruzzelli (annuncia con enfasi). Trasmettemmo “Teledurazzo”, e in studio come scenografia c’erano due cassonetti con sopra le bandiere italiana e albanese. I vicini non la presero tanto bene... Ci chiamò il direttore della tv locale per dirci che a Roma era arrivata una lettera dalle autorità albanesi. E chi pensava di arrivare fino a Roma?! A Tirana avevano ritenuto offensive quelle immagini e ci chiedeva delle scuse ufficiali. Le avete fatte? Ehm... Ok, cambiamo discorso. Il successo è arrivato con Tutti pazzi per amore. Una delle più amate fiction della Rai. La qualità è cresciuta da quando la Rai ha cominciato a fare le fiction. Certo, i soldi sono sempre meno e si fa una grande fatica. Io ho avuto la fortuna di fare Tutti pazzi per amore che ha una qualità di scrittura straordinaria e ha tentato di coniugare l’innovazione nella messa in scena con l’innovazione del linguaggio. Ha cambiato il linguaggio di Raiuno. E, di fatto, ha tramortito lo zoccolo duro della prima rete, la fascia over sixty. Ha tirato dentro i giovani, tra i 25 e i 45 anni. Se lo aspettava? La reazione del pubblico è sempre più difficile da prevedere. E poi gli anziani stanno diventando sempre più anziani e i giovani si fanno la loro tv. Mio figlio, che ha quasi 16 anni, se ne fa una sua rivedendo attraverso la Rete le cose che gli vengono consigliate dagli amici. È troppo vecchia la Rai, ormai. Non voglio dire questo. Però qualsiasi cosa che abbia un palinsesto rigido è inevitabilmente meno competitiva di una programmazione modulata in base alle esigenze individuali. Raiuno è ancora l’ammiraglia della Rai, ma ha dovuto aprire altri canali per essere concorrenziale. Con Tutti pazzi per amore esplora i rap- left 9 marzo 2013 porti uomo-donna nelle più disparate circostanze. Oggi, a teatro con Due di noi, torna sull’argomento. In che modo Michael Frayn legge la vita di coppia? È una denuncia feroce, una critica della società e della condizione della donna. Non sono stati fatti molti passi in avanti, per questo il tema è ancora attualissimo. Frayn è un autore di grande livello, coglie l’attimo della vita di coppia. E lo fa in modo molto divertente. Lo spettacolo ha un inizio molto frizzante, poi una fase un po’ cupa ma sempre ironica. E il finale col botto. Insomma, un Frayn che innova il vaudeville, la farsa. Al cinema la rivedremo presto in Mi rifaccio vivo. Dove sarà ancora diretto dal suo conterraneo Sergio Rubini. Insieme a lei Neri Marcorè e Lillo (senza Greg). Per Sergio è un esordio, perché da regista finora non si era mai avventurato in un territorio come la commedia. Il film parla delle persone che individuano in qualcuno un nemico e gli attribuiscono il negativo della propria vita. Ma poi si ricredono quando conoscono meglio l’altro. È davvero un film ben riuscito, molto divertente ma anche molto poetico. Da sinistra: Emilio Solfrizzi nei panni del suo personaggio Piero Cicala; insieme a Sergio Rubini per la campagna di Save the children contro la mortalità infantile nel mondo; con Lunetta Savino in Due di noi; con Antonia Liskova in Tutti pazzi per amore Per fare l’attore devi volerlo. Devi sentire “il fuoco sacro sul palcoscenico” Solfrizzi, un attore è un artista con la “faccia”. E spesso gli viene chiesto di “metterla”, la faccia, per rendere pubblico il suo pensiero. Anche qui in redazione, oggi, è andata così. Credo che questo sia più che mai il momento di metterci la faccia. Non mi piace chi non si espone. Prima ancora che un attore sono un uomo, questo mestiere mi da una visibilità che mi permette di dire delle cose. Questo fatto lo considero un privilegio. E ne sento la responsabilità. (ha collaborato Ilaria Bonaccorsi Gardini) 15 copertina copertina left.it poveri cristi di Cecilia Tosi 9 marzo 2013 left left.it Divise al loro interno, incapaci di inseguire le esigenze dei fedeli, costrette ad affidarsi a figure carismatiche. Sono tutte le Chiese cristiane, non solo quella cattolica, che si frantumano sui temi etici. Dilemmi che i loro sistemi decisionali non sono in grado di dirimere. E la comunione ormai è una chimera left 9 marzo 2013 copertina copertina copertina copertina left.it A ricchiscono di dilemmi che Gesù non aveva neanche preso in considerazione. I matrimoni gay, nel 30 dC, non andavano ancora di moda. Negli Stati Uniti, dove lo shopping di fedi religiose è la norma, hanno pure stilato uno schema sulle diverse posizioni etiche delle principali denominazioni cristiane: non vuoi la pena di morte ma in alcuni casi ammetti l’aborto? Scegli i presbiteriani. Sei d’accordo con la contraccezione e con lo staccare la spina ai malati terminali? Gli ortodossi possono venirti incontro. Se poi non sopporti più che tuo marito non sbrighi le faccende domestiche, vai dai metodisti, che non ammettono standard diversi per uomini e donne uniti dal matrimonio. I cristiani vogliono ritagliarsi da soli la fede che più si confà al loro stile di vita. Lo fanno analizzando direttamente le virtù di una Chiesa, non affidandosi più ai parroci a quelle strutture che hanno sempre fatto da intermediazione tra i fedeli e i vertici decisionali. Preferiscono semmai affidarsi a un leader carismatico, che sa risvegliare le loro speranze, alimentare il loro immaginario. Può essere un predicatore pentecostale ma anche il papa. L’importante è che la religione vada incontro alle loro esigenze, e non il contrario. © lane/ ap/lapresse pologia del leader, crisi delle strutture di intermediazione, regole ritagliate sulle esigenze individuali. Altro che Grillo, il laboratorio della politica contemporanea è la Chiesa cristiana, che lotta contro le sue spaccature interne da molto prima che papa Ratzinger decidesse di denunciare, con le sue spettacolari dimissioni, quelle della Curia. Oggi le organizzazioni religiose che si riconoscono sotto il segno della Croce sono 43mila e si calcola che entro il 2025 saranno 55mila. Ognuna di queste denominazioni ha un suo capo carismatico, sfumature diverse con cui interpretare i dogmi, riti celebrati con diverse scenografie. La Chiesa che ne partorisce di più è quella protestante, tradizionalmente incline a dare libertà di scelta ai suoi fedeli. Ma anche quella ortodossa non scherza, visto che prevede l’autocefalia e ogni territorio che diventa autonomo ambisce a ottenere la sua. Mentre i cattolici, quelli più gerarchizzati, perdono praticanti e guadagnano al loro posto simpatizzanti, ognuno con la propria idea di Cristo e di come vada venerato. La distanza tra i fedeli cristiani si allarga. Ad approfondire il varco sono quei temi etici su cui la comunità cristiana si è sempre divisa, e che ogni giorno si ar- 18 9 marzo 2013 left copertina left.it Impegnate a inseguire i propri fedeli, le organizzazioni religiose non hanno più tempo per dialogare tra loro e trovare una linea comune per unire il proprio popolo. E falliscono nella loro missione, che dai tempi di Cristo viaggia sotto il nome di comunione. «È un problema di tutti i cristiani», ci spiega Guido Dotti, della Comunità di Bose, uno dei pochi luoghi dove ancora si pratica il dialogo ecumenico. «Perché le strutture di comunione interna, necessarie per analizzare le differenze tra le varie correnti e capire se i contrasti si possono comporre o meno, sono ormai inadeguate. Gli ortodossi da secoli non riescono a convocare un concilio, i protestanti vivono una frammentazione progressiva. Le questioni più spinose sono quelle etiche. Spesso cattolici e ortodossi si trovano uniti sul fronte conservatore mentre i protestanti rappresentano i liberal, ma anche questo posizionamento crea divisioni: gli ortodossi più liberali, così come i protestanti più conservatori, non si riconoscono in queste definizioni». Non che agli scontenti e ai disorientati manchino opzioni diverse: il mondo è ormai pieno di offerte religiose, in primis quelle dei predicatori evangelici, protestanti che predicano il ritorno alle scritture promettendo la conquista del successo personale. Ma ci sono anche le denominazioni “di sinistra” come l’unitarianesimo, che spopola tra gli intellettuali americani riunendo fedeli delle più svariate confessioni, dai quaccheri ai panteisti, dagli ebrei ai buddisti, senza lasciar fuori nemmeno gli atei. E se proprio vuoi essere alternativo, una Corte americana ha appena accettato di qualificare come religione anche il rispetto della dieta vegan. Alla corte dei cattolici Le dimissioni del papa hanno ricordato al mondo le immense difficoltà dei cattolici a rinnovarsi. Ingessata come pochi, la Chiesa di Roma preferisce coprire invece che rimuovere i motivi della sua crisi, rifiutandosi di sanare ferite che le hanno alienato milioni di fedeli. Nel XX secolo il diktat più impopolare è stata la proibizione della pillola anticoncezionale (1968), in questo potrebbe essere la messa al bando dei diritti omosessuali. Eppure attivisti Lgbt come Peter Tatchell sostengono che il 40 per cento dei preti cattolici siano gay. E la stessa dottrina cattolica recita che tutti dovrebbero riconoscere e accettare la propria identità sessua- © Schalit/ ap/lapresse Nella pagina accanto, Jessica Lee, 19 anni, e Ashley Cavner, 21, si sposano alla First Congregational Church di Vancouver, nello Stato di Washington (Usa). Qui a fianco, un monastero di Mar Elias, in Palestina. Alcuni monaci aspettano l’arrivo del Patriarca greco-ortodosso di Gerusalemme Theofilos III left 9 marzo 2013 19 copertina left.it do Dotti - ha portato con sé i rischi di ogni corte, dove si combatte tra chi organizza sotterfugi e chi diventa più papista del papa». © anand/ ap/lapresse Riformati e divisi I protestanti seguono un’agenda liberal, ma le congregazioni conservatrici si staccano Jammu, India. Una suora partecipa alla processione del Venerdì santo 20 le. Ma le gerarchie ecclesiastiche vanno per la loro strada, lasciando soli i fedeli. «È quello che alcuni chiamano scisma sommerso», spiega Dotti. «Molti cattolici si richiamano al papa ma poi ne disattendono gli insegnamenti, seguendo un proprio sistema di valori. È un fenomeno che si è accentuato con Giovanni Paolo II, quando c’è stata una sovraesposizione del papa, diventato una figura mediatica “da vedere” più che da ascoltare». Con Wojtyła superstar sono sparite le figure intermedie ed è iniziata una personalizzazione culminata oggi con i tweet di @pontifex. E mentre la tecnologia avanza, la Chiesa non si muove, anchilosata da un meccanismo decisionale che prevede di stabilire tutto in un Concilio, salvo poi non fornire strumenti a chi negli anni ha bisogno di interpretare quelle decisioni e di adattarsi a una società complessa. «La struttura monarchica assunta dalla Chiesa cattolica durante i secoli - conclude Gui- Non hanno di questi problemi i protestanti, che in molti casi hanno un clero più liberale dei propri fedeli. Tra gli anglicani varie diocesi canadesi benedicono le unioni gay. Negli Usa i vescovi episcopali sono liberi di fare altrettanto. La Chiesa luterana di Svezia celebra matrimoni tra persone dello stesso sesso dal 2009, ha cominciato a farlo in Danimarca e presto sarà possibile anche in Islanda. Ma se ci si allontana dal Polo nord anche i protestanti diventano conservatori e su questo tema si spaccano. Tra i sostenitori dello strappo c’è la più vitale delle denominazioni evangeliche (6 milioni di membri, di cui 3 conquistati negli ultimi 15 anni): la Chiesa etiope Makane jesus. Dopo 150 anni, ha appena rotto la sua comunione con la Chiesa svedese perché è contraria all’ordinamento di preti gay e alla benedizioni di matrimoni omosessuali. La frammentazione in questo caso deriva da un modello organizzativo opposto a quello cattolico. I protestanti si affidano al sinodo, l’assemblea di pastori e laici, e prendono decisioni a maggioranza. Ma sui temi etici le votazioni rischiano di allontanare le minoranze, mentre in alcuni casi la maggioranza richiesta è così alta che impedisce di prendere posizione. Nella Chiesa d’Inghilterra, ad esempio, ci vogliono i 2/3 di favorevoli in tre Camere e in certi casi il risultato delle votazioni è un controsenso. L’ammissione delle donne all’episcopato, ad esempio ha ottenuto una maggioranza superiore ai 2/3 nella camera dei vescovi e in quella del clero, ma l’ha mancata per un pugno di voti in quella dei laici, così la proposta non è passata. Le capitali dell’ortodossia Gli ortodossi cercano di risolvere il problema decisionale col nazionalismo: ogni Paese ha la sua Chiesa e la sua gerarchia ecclesiastica. Il problema è che le Chiese nazionali risentono delle divisioni politiche interne. Per anni la Chiesa bulgara è stata spaccata in due perché il patriarca Maxim era accusato di avere lavorato come spia ai tempi del comunismo. Così nel 1989 un gruppo di prelati di Sofia ha indetto un suo sinodo indipendente. Due mesi fa Maxim è 9 marzo 2013 left copertina left.it morto e solo la sua scomparsa apre prospettive per la riunificazione tra le due Chiese. «Nella Chiesa ortodossa esiste un problema di nazionalismo», conferma Marcel Pirard, ricercatore di teologia all’università di Louvain. «Perché i fedeli si ritengono ortodossi in quanto bulgari, romeni, russi. Mosca ha la forza dei numeri e cerca di imporsi sulle altre Chiese, mentre la sua rivale di sempre, Costantinopoli, cerca di avvicinarsi ai cattolici per recuperare importanza. Questo fa il gioco della Russia, che si erge a rappresentante degli ortodossi duri e puri». A Mosca la strumentalizzazione tra Chiesa e Stato è biunivoca, c’è chi lo chiama cesaropapismo e chi papacesarismo. Ma il problema della dimensione etnica crea tensioni soprattutto col fenomeno migratorio: di chi è la giurisdizione degli ortodossi dove sono minoranza, come in Italia o negli Usa? C’è tensione tra i rappresentanti delle varie Chiese nazionali. Contano molto i numeri e i russi stanno prendendo il sopravvento, seguiti di rumeni. La confusione tra politica e religione a Mosca è talmente grande che a febbraio 134 gruppi - tra musulmani, ebrei e cristiani - si sono riuniti per creare un forza politica, il Partito dei 10 comandamenti - benedetto dall’arcivescovo Vsevolod Chaplin. Nuove tendenze Anche in Russia, però, si allarga l’influenza delle Chiese evangeliche. Se in America hanno già Macinano successi i predicatori evangelici, pronti alla conquista dell’Europa orientale conquistato il 26 per cento dei fedeli e in Brasile stanno provocando un’emorragia tra i cattolici, nell’est Europa trovano tanta terra vergine: dopo decenni di ateismo di Stato c’è ancora chi non ha scelto a quale santo votarsi. È qui che il fenomeno di evangelizzazione procede spedito, ma resta difficile da “intercettare”, da convogliare nella comunità cristiana. Ogni parrocchia è una Chiesa, manca un referente per gli altri cristiani che vogliano coinvolgerli nel dialogo. Eppure stiamo parlando di 350 milioni di fedeli e solo con 40 milioni di questi gli altri cristiani hanno qualche forma, seppur labile, di contatto. Impossibili da mettere in comunione, i pastori evangelici preferiscono seguire la via individuale, a costo di finire in qualche scandalo, come quello del coreano David Yonggi Cho, fondatore della più grande congregazione pentecostale e ora sotto processo per essersi appropriato di 9 milioni di dollari col marketing piramidale. L’ignominia non ricadrà sugli altri protestanti, che possono tranquillamente sentirsi estranei agli scandali altrui. Nel cristianesimo che avanza, è meglio che ognuno pensi alla propria parrocchia. © infografica martina fiore Ogni Chiesa ha una procedura per nominare il suo capo. In quella d’Inghilterra l’arcivescovo di Canterbury è una carica a termine, stabilita da una commissione composta da clero e laici: il nome deve essere accettato dalla Regina. Il Patriarca copto d’Egitto e quello d’Etiopia vengono scelti a sorteggio tra candidati eletti da un’assemblea. Il Patriarca d’Antiochia, che guida la Chiesa ortodossa siriaca, viene scelto da un sinodo di clero e laici. Mentre l’elezione di quello bulgaro prevede una riunione di vescovi che propone tre nomi. Poi il sinodo ne sceglierà uno left 9 marzo 2013 21 copertina left.it © Borgia/ap/lapresse I nscenare una pulizia radicale e attuare invece interventi mirati a salvare la reputazione e le casse della Chiesa, evitando ogni coinvolgimento del Vaticano e della Santa Sede. Di fronte agli scandali finanziari e alla mala gestione degli scandali di pedofilia, è stata questa la strategia che ha viaggiato sotto traccia per tutto il pontificato di Benedetto XVI, sotto la sua “benedizione”. In sintesi, cambiare tutto perché nulla cambi, per preservare il potere del Vaticano e la propria influenza all’interno della Santa Sede. Formulando in latino l’intenzione di abdicare da pontefice, la “storica” mattina dell’11 febbraio, Joseph Ratzinger, ha rinnovato quest’antica prassi riuscendo in pochi secondi a cancellare dalla memoria collettiva otto anni di governo. Anni vissuti sotto l’insegna della restaurazione, che hanno visto l’arroccamento della Chiesa cattolica su posizioni intransigenti e conseguenti attriti con le altre dottrine monoteiste. Gli ultimi anatemi in difesa del celibato dei preti e contro il sacerdozio femminile risalgono ad appena due mesi fa, quando Benedetto XVI ha anche affermato che aborto ed eutanasia, in quanto forme di «omicidio», sono contro la pace nel mondo. Ratzinger, da cardinale prefetto della Congregazione per la dottrina della fede, aveva lasciato dissolvere nel nulla diversi crimini di pedofilia clericale pur di preservare l’immagine pubblica della Chiesa universale. E poi, all’improvviso, sono arrivate le sue dimissioni. Definite dai media italiani un gesto rivoluzionario, lo hanno tramutato agli occhi dell’opinione pubbli- Due miliardi di scandali Papa Ratzinger si dimette e riveste di modernità un papato all’insegna della restaurazione. È l’ennesima operazione di immagine per una Chiesa costretta a investire tutte le sue energie per riconquistare credibilità 22 di Federico Tulli 9 marzo 2013 left copertina left.it ca in un eroe dell’epoca moderna. E insieme agli otto anni di pontificato sono scomparsi gli oltre quattro lustri dello zelante capo della Congregazione, che si erano conclusi nel momento in cui è diventato papa. Trent’anni vissuti da braccio armato della controriforma evaporati con un gesto che potrebbe cambiare il corso della storia della Chiesa, modificando l’immagine di Ratzinger in quella di un riformatore, e restituendo ai cattolici la fiducia nell’istituzione intaccata da una serie impressionante di scandali. Forse. Perché con il Conclave alle porte aumentano le richieste di fare chiarezza da parte dei cardinali chiamati a eleggere il nuovo papa, mentre anche la stampa internazionale si concentra sui cosiddetti Vatileaks. La “Relatio” riservata sulla fuga di documenti e i veleni interni alla Curia romana, redatta dalla commissione dei cardinali incaricati da Benedetto XVI e solo a lui presentata, potrebbe deflagrare da un momento all’altro. L’“operazione pulizia” realizzata da Joseph Ratzinger e dai suoi collaboratori rischia di risultare vana. Dando anche tutto un altro significato alla sua abdicazione. «Già oggi le dimissioni di Benedetto XVI dimostrano il fallimento della sua politica», osserva Tommaso Dell’Era docente di Teorie e tecniche della propaganda politica all’università della Tuscia. «Su scandali finanziari e abusi pedofili la sua azione è stata finalizzata più a un’operazione d’immagine che a una pulizia interna della Chiesa». Vale la pena ricordare il caso della legge 127 antiriciclaggio emanata dal papa il 30 dicembre 2010 per attuare la Convenzione monetaria tra il Vaticano e l’Unione europea. Dopo la pubblicazione nel 2012 di Sua Santità, il libro-inchiesta firmato da Gianluigi Nuzzi per Chiarelettere basato in gran parte sugli stessi documenti vagliati dalla commissione cardinalizia, questa norma «concernente la prevenzione e il contrasto del riciclaggio dei proventi di attività criminose e del finanziamento del terrorismo», presentata e accolta come una vera e propria “rivoluzione”, si è rivelata inadeguata a rompere col passato. Quel passato che, nei settant’anni di vita dell’Istituto opere religiose, ha consegnato alla cronaca le scorribande “finanziarie” di personaggi come il cardinal Marcinkus, Sindona o Calvi. I soldi sono sempre fonte di preoccupazione per la Chiesa, che tra il 2011 e il 2012 ha perso 2 miliardi di dollari per il danno d’imma- left 9 marzo 2013 gine provocato dagli abusi clericali sui minori. La cifra è stata calcolata dal National catholic risk retention group e presentati a un simposio mondiale all’università Gregoriana di Roma. A incidere di più sono stati i costi non strettamente finanziari, vale a dire: investimenti mancati in opere di bene e danno alla missione evangelizzatrice. In poche parole: perdita di potere politico, fuga di fedeli e soprattutto di offerte. «Ratzinger - prosegue Dell’Era - da prefetto della Congregazione è stato personalmente coinvolto nella copertura di alcuni casi di abusi, su tutti quello del fondatore dei Legionari di Cristo, Maciel Degollado. Pertanto se anche da pontefice ha avuto intenzione di fare pulizia, non è potuto andare oltre un certo limite. Nel corso del suo pontificato invece di “tolleranza zero” contro la pedofilia ha favorito una condotta adattata ai singoli casi via via emergenti, per evitare al massimo le perdite economiche e di immagine, con il minimo possibile impegno, soprattutto pubblico. Basti ricordare le polemiche per la scarsa attenzione alle “vittime” nei suoi viaggi pastorali in Usa o Australia». Per non dire dei numerosi insabbiamenti, oscurità e resistenze specie in Italia. Le maggiori resistenze sarebbero tra complici dello stesso livello che difendono interessi diversi (diocesi locali, episcopati nazionali versus curia romana, cordate cardinalizie varie). Invece della tolleranza zero, il Vaticano ha preferito affrontare le grane caso per caso In apertura, Joseph Aloysius Ratzinger di fronte a una suora La gestione dello scandalo pedofilia e degli abusi in questo momento è la cartina tornasole delle contraddizioni del neo papa emerito. Secondo Dell’Era lo dimostra il fatto che il cardinal Mahony, accusato negli Stati Uniti di aver “mal gestito” i casi di 122 sacerdoti pedofili evitando di segnalarli alla magistratura, è stato chiamato dal Vaticano a partecipare al Conclave, mentre l’ex primate di Scozia, Keith O’Brien, accusato (e poi reo confesso) di abusi su quattro seminaristi, è stato escluso. «In pratica, quando le violenze diventano pubbliche e non si può più impedire la fuga di notizie, la Santa Sede interviene facendo passare questa azione come se fosse una sua iniziativa. Contro chi invece ha coperto gli abusi non si agisce perché Ratzinger è il primo ad averli insabbiati. Le dimissioni gli permettono di rimanere dentro il Vaticano da papa emerito, mantenendo un’influenza ed esercitando una forma di controllo». Senza il peso della tiara. 23 l’intervento copertina left.it l’intesa impossibile di Andrea Ventura* Li chiamano marxisti ratzingeriani. Propongono l’alleanza tra pensiero laico e cattolico contro liberismo e individualismo. Ma questa tesi non funziona. E non ha fatto un buon servizio alla sinistra O ltre l’economia, le nostre società appaiono investite da una crisi che, per i diversi aspetti in cui si presenta, è indubbiamente una crisi di civiltà; e se l’ideologia liberista e il dominio delle relazioni di mercato appaiono come componenti essenziali della crisi, la sfida per la sinistra è quella di individuare le basi, anzitutto culturali, per proporre un’idea di uomo e di società che ad essa possa efficacemente contrapporsi. In relazione a queste problematiche, anche a seguito della pubblicazione di un volume dal titolo Emergenza antropologica (a cura di P. Barcellona, P. Sobri, M. Tronti e G. Vacca, Guerini e associati editori) i curatori dello stesso, alcuni dei quali noti studiosi di formazione marxista, sono intervenuti più volte sulla stampa facendosi portatori - a partire dai temi dell’economia - della necessità di una convergenza più vasta tra laici e credenti sulla base delle posizioni del pontefice. Certo, le frequenti prese di posizione provenienti dalle più alte gerarchie ecclesiastiche sull’egoismo, la diseguaglianza, la devastazione dell’ambiente e gli effetti catastrofici della crisi possono essere apprezzate da qualsiasi persona di buon senso; non si vede dunque perché su questi problemi la sinistra non pos- 24 sa convergere con la dottrina cattolica. Più problematica, come riconoscono anche gli autori del volume, sarebbe invece la possibilità di un’intesa sui temi dell’inizio e del fine vita, della sessualità e dei diritti civili in genere. Contro una siffatta convergenza, in effetti, potrebbe essere sufficiente ricordare l’oggettivo sostegno al berlusconismo offerto dalle gerarchie vaticane, berlusconismo che della crisi stessa è un’evidente manifestazione. In queste settimane poi, più crudamente, le vicende connesse alle dimissioni del papa hanno mostrato che quella prospettiva, che avrebbe dovuto essere di lungo periodo, si è già infranta contro il dato evidente che questa crisi di civiltà investe le strutture portanti della Chiesa stessa. Così, quella che sulla stampa era una presenza quasi quotidiana, è diventata un imbarazzato silenzio. Oltre la contingenza, appare comunque utile prendere spunto dalle problematiche sollevate dai curatori del volume per rivolgere l’attenzione su alcune questioni fondamentali. In particolare va individuata la struttura di pensiero che sostiene le proposizioni della Chiesa cattolica, per chiedersi, in sostanza, se sia accettabile che, a partire da alcune preoccupazioni comuni di tipo economico, la sinistra laica possa convergere con un’idea di «verità» (che fonda quelli che, dal punto di vista cattolico, sarebbero i «valori non negoziabili») dove questa è cercata non nel rapporto con la realtà, o con la scienza, ma sulla base di una «legge di natura» - di origine divina - della quale la Chiesa sarebbe l’autentica interprete. A tal fine può essere chiarificatore un richiamo all’esperienza storica, troppo spesso oscurata; non va infatti dimenticato che, almeno fino al Concilio Vaticano II, ma anche oltre, la Chiesa non ha mai accettato la moderna dizione «diritti dell’uomo» preferendo i «diritti della persona». È stata questa la forma della contrapposizione che ha visto, per oltre duecento anni, da un lato la Chiesa e dall’altro lo sviluppo dei 9 marzo 2013 left cultura left.it diritti e della democrazia in senso moderno. Dietro la diversa denominazione dei diritti vi è un pensiero sulla loro origine: a partire dalla Rivoluzione francese i diritti dell’uomo si definiscono su base dell’idea per la quale essi trovano un limite solo se intaccano la libertà altrui; la società democratica dà perciò legge a se stessa. I diritti della persona, per la Chiesa, avrebbero invece la loro origine nell’ordine divino come voluto da dio e come da essa interpretato. È da Dio che proviene la sovranità, non dal popolo. Peraltro, ancora secondo il Codice canonico del 1917, l’uomo si costituisce come persona con il battesimo, per cui questi diritti della persona sarebbero esclusivo appannaggio dei cattolici... e non a caso, dunque, non comprendevano l’uguaglianza, la libertà religiosa, di stampa e di pensiero, la sovranità popolare: non è un diritto della persona vivere nell’errore, contro i fondamentali «diritti di Dio» dei quali la Chiesa di Roma sarebbe appunto l’unica interprete. Questo fondamento dei diritti, se da un lato, dalla Rerum Novarum di Leone XIII (1891), non ha impedito alla Chiesa di far rientrare nei diritti della persona alcuni diritti «naturali» di tipo economico - come la proprietà, un salario dignitoso, la protezione del lavoratore con un contratto, la difesa delle condizioni di lavoro delle donne e dei bambini - dall’altro non ha consentito che essa ne riconoscesse la base politica, cioè le gambe su cui sostenersi. Ed è per il sostanziale disinteresse ma, meglio, per l’opposizione alla democrazia e allo sviluppo dei diritti politici, che la Chiesa ha potuto convergere con il corporativismo fascista - visto come la possibilità della ricostruzione di rapporti sociali armoniosi oltre la contrapposizione capitale/lavoro - così come con le leggi razziali del regime, il franchismo e le dittature dell’America latina. Peraltro la costituzione di Franco, che negava la libertà religiosa, fino alla vigilia della caduta del regime fu considerata dalla Chiesa un modello ideale di costituzione, anche in contrapposizione alla carta delle Nazioni unite del 1948 che invece si richiamava alla dichiarazione dei diritti della Rivoluzione francese (si veda su questo il bel libro di D. Menozzi, Chiesa e diritti umani, Il Mulino). La compromissione della Chiesa di Roma con le dittature fasciste e le leggi razziali del 1938 è nota e numerose sono le ricerche storiche che ne ricostruiscono i dettagli. Il contrasto con il fasci- left 9 marzo 2013 smo sulle leggi razziali, nello specifico, non era sulla discriminazione in quanto tale, ma sul fatto che questa andasse effettuata dallo Stato su base “razziale”, oppure, come rivendicava la Chiesa, sul piano della credenza religiosa. Infatti, alla caduta del fascismo, il Vaticano chiese al governo Badoglio l’abolizione di quella parte della legislazione sulla razza che impediva il pieno riconoscimento della famiglia mista, mentre per gli altri aspetti se ne chiedeva il mantenimento poiché conformi alla dottrina cattolica. La Chiesa non può riconoscere i propri errori ed è perciò costretta a costruirsi un passato di comodo: questo perché la sua missione si definisce, appunto, nell’interpretazione dei voleri di Dio, dunque un’analisi critica della propria storia di per sé la delegittima in quanto intacca alla radice l’idea che essa possa assolvere la sua funzione. Per il pensiero laico l’analisi storica è invece essenziale: non certo per schiacciare il mondo cattolico nel suo insieme alle responsabilità di chi ne dovrebbe costituire la guida, ma per sottolineare che non basta estrapolare dal contesto quelle posizioni delle gerarchie ecclesiastiche sui temi dell’economia che appaiono condivisibili per affermare l’oggettiva convergenza tra esse e la sinistra. Essendo stata posta una questione antropologica, si tratta piuttosto di valutare se il discorso complessivo sull’identità umana portato avanti dalla Chiesa può essere accettato e dunque se, oltre ai temi dell’economia, anche su libertà, democrazia, inizio e fine vita, sessualità, posizione della donna nella società, è possibile una convergenza come quella proposta dagli autori sopra citati. Lo stesso mondo cattolico appare diviso e incapace di trovare una sua sintesi da tradurre in azione politica. Individuando in Benedetto XVI l’interlocutore privilegiato per un dibattito sulla possibilità di superare quella crisi dei fondamenti che investe la società contemporanea, i marxisti ratzingeriani hanno fatto un pessimo servizio alla sinistra e a tutti quei cattolici che, sui temi dei diritti civili, del fine vita, della contraccezione e dell’aborto quelle posizioni non hanno condiviso e si sono mossi cercando una propria autonomia. *docente di Politica economica università di Firenze Da una parte la Chiesa, che difende i diritti della persona, di origine divina. Dall’altra i diritti dell’uomo, sanciti dalla Rivoluzione francese 25 società left.it Così i grillini cambiano la democrazia di Filippo Barone 26 9 marzo 2013 left © Leonardi / LaPresse L’influencer, il troll e il parlamento elettronico. società left.it «Il bello di facebook è che con un click puoi dire: mi piace... E il bello di un revolver è che con un click puoi dire: non mi piace». Lo sketch di Maurizio Crozza, il confronto tra il Padrino e i suoi sgherri invaghiti di Grillo, rappresenta bene il tenore del dialogo che in questi giorni si sta consumando tra Movimento 5 stelle e Pd. L’imbarazzo del confronto con la prima forza politica cresciuta a pane e blog è palpabile, dentro e fuori il Palazzo. Ma per capire il partito di Grillo bisogna volgere lo sguardo verso il common law di tradizione anglosassone. Qui “onorabilità” e “consuetudine” non sono semplici parole, pesano quanto nel nostro sistema giuridico “legge” e “rappresentanza”. Bene, i blog e i forum vengono dalla cultura anglosassone, i meetup sono blog, il Movimento 5 stelle nasce e cresce con i meetup. © Leonardi / LaPresse Nel girone dei “bannati” Sui blog del Movimento ognuno può iscriversi e dire la sua alla pari, promuovere azioni da compiere, sondare l’opinione altrui o mettere al voto una proposta. Tutti possono entrare, belli e brutti, e parlare con lo stesso peso degli altri. La prima idea che viene è che un sistema del genere porti all’anarchia, confusione e inconcludenza. Eppure non succede su internet come non succede nel Movimento 5 stelle, dove il modello è consolidato da anni. Non serve alcuna adesione ideologica: destra come sinistra, gay e omofobi, filoatlantici o maoisti, non fa alcuna differenza: ognuno apre la sua discussione e chi vuole aderire aderisce. Il segreto è nelle due parole del common law: consuetudine e onorabilità. Le regole sui blog si fanno col tempo, con continui aggiustamenti, tra successi e fallimenti, con prassi che si consolidano fino a diventare inossidabili e irreversibili. Spesso non sono scritte, ma le conoscono tutti. Una di queste è quella che nessuno si può mettere a consultare il Paese senza essere passato prima dal proprio gruppo territoriale. L’altra è che non si parla di temi diversi da quelli stabiliti dalla conversazione: niente “off topic”. Per il resto valgono le regole del consenso: chi si è conquistato il rispetto altrui, quando indica che qualcuno o qualcosa non va, riceve l’ascol- left 9 marzo 2013 to di tutti. Il “troll”, il disturbatore, è bandito, o meglio “bannato”. Stessa sorte al giornalista scorretto o all’infiltrato, il doppiogiochista. Se il verdetto proviene dall’opinion leader, l’“influencer”, allora vale doppio. Dal girone dei bannati non c’è redenzione. Salvo che un altro influencer non rimetta tutto in discussione. È la democrazia elettronica, bellezza. L’onorabilità non si compra, si conquista sul campo, frase dopo frase, incontro dopo incontro. Basta dire cose interessanti, affascinare, essere affidabili nel tempo. Forse Max Weber la chiamerebbe leadership. E non farebbe fatica il filosofo a dire che non è dissimile da quella che nel Pd mette D’Alema in cima e il militante del circolo in basso. Con l’unica differenza che la partita, in rete, è sempre aperta. In Inghilterra un mestiere non si ottiene con l’abilitazione da parte di un ordine: tutti possono fare gli avvocati e i giornalisti senza diplomi o permessi, semplicemente facendolo, conquistando sul campo meriti e fiducia di colleghi e clienti. Se faranno bene avranno la direzione del giornale o il caso giudiziario del secolo. Se tradiranno le regole e perderanno l’onorabilità saranno fuori dai giochi. Nulla di scritto, eppure non è anarchia, sono regole indiscutibili. Con questo sistema Grillo ci ha vinto le elezioni. E ora si appresta a conquistare la Capitale, dove si voterà a maggio. Macchina in moto. Direzione: Campidoglio Ogni gruppo di Roma e provincia è allertato. Qualcuno ha i candidati in tasca, altri devono ancora inventarsi le procedure. Ma la regola è uguale per tutti: prima si discute come proporre i propri candidati, poi si scelgono e si votano insieme. I meccanismi possono fregiarsi dei migliori istituti della politologia classica: Cuis regio eius religio e pacta sunt servanda. Ognuno si da le regole che vuole, ma poi diventano legge per tutto il gruppo e vanno rispettate. Scelti quanti e quali candidati, partirà l’email allo Staff nazionale che ha il compito di stilare la lista di papabili da proporre al voto di tutti i cittadini. Chiunque potrà votare con pari diritti. Il vincitore sarà il candidato del Movimento. I gruppi sul territorio sono una ventina. I più forti, l’ottavo e il tredicesimo municipio, contano quanto i piccoli gruppi di Genziano e di Fiumicino. Così come il voto di chi si iscriverà domani, conterà quanto quello di chi è iscritto da anni. La garanzia è sempre quella: difficilmente il gruppo candiderà uno sconosciuto o si farà influenzare da un neofita. In apertura, Beppe Grillo 27 società left.it Poche regole, ma indiscutibili. Si parte dal meetup locale, niente “off topic”. Poi valgono le regole del consenso Il parlamento elettronico L’obiettivo è portare forza e disciplina dei forum fin dentro le Commissioni parlamentari. Perché la trasparenza, per i Cinquestelle, non si ferma alla fatidica webcam, ma si basa un complesso sistema di controllo remoto. E il progetto per «aprire il parlamento come una scatoletta di tonno» è già scritto nero su bianco, sul web, ovviamente. Il modello in- formatico pilota è già attivo: lqfb.bergamo5stelle. it. Si tratta di costruire un sistema dove le opinioni e le proposte non si confondono, non vengono strumentalizzate e producono risultati. Rousseau ci aveva rinunciato, ma quelli del Movimento sono più testardi. Cosa che finora sembra aver pagato. Per seguirne gli sviluppi su twitter l’hashtag è #demLiquida. Ma il cantiere è la pagina facebook “Parlamento elettronico del M5S”: un gruppo chiuso a nove attivisti che macinano protocolli reputazionali, sistemi di certificazione Token (le chiavette usate da alcune banche), procedure di gestione di emendamenti o controlli dei vincoli di bilancio. A fornire le coordinate per comprendere il proget- Grillo di battaglia Ex vendoliani, NoTav e precari. Nel vuoto della rappresentanza, il Movimento 5 stelle si radica nelle lotte abbandonate dalla sinistra Q uando la sinistra non c’è i grilli saltano. Perché il Movimento di Beppe Grillo, al momento, ha saputo sporcarsi le mani sui campi di battaglia da tempo abbandonati dai partiti tradizionali. Dal NoTav alle lotte dei precari, gli attivisti 5 stelle rispondono sempre presente all’appello. Così a sinistra un mondo ha trovato in Grillo un appiglio a cui agganciarsi. Un cero a San Precario Se i partiti guardano ancora con sospetto a Beppe Grillo, i movimenti sociali hanno già avuto modo di conoscere i 5 stelle sui territori. E su alcuni temi il M5s riscuote molti più consensi della sinistra tradizionale. Il reddito di cittadinanza, ad esempio, ha fatto breccia nel cuore di San Precario, il santo patrono dei lavoratori a intermittenza che da anni si batte per il salario garantito. «Crediamo che il Movimento 5 stelle porti avanti delle battaglie giuste anche se al suo interno ci sono molte contraddizioni», dice Alessandro, militante della rete San Precario. «Ma non pensiamo che siano fascistoidi come hanno scritto in tanti. Certo, dovranno risolvere alcuni problemi al loro interno, ma hanno avuto la forza di imporre il tema del reddito in campagna elettorale». Una forza che evidentemente è mancata al Partito democratico nonostante l’alleanza con Vendola, sostenitore del salario sociale. «Il 28 di Rocco Vazzana Pd è stato l’unico partito di sinistra che non ha parlato di reddito di cittadinanza», continua Alessandro. L’errore democrat, per San Precario, sta nell’analisi: ferma agli schemi del Novecento e troppo legata alla visione della Cgil, impegnata esclusivamente nella difesa dei privilegi già acquisiti. E in questo, il santo protettore dei sottopagati ha una visione molto simile a quella del Movimento 5 stelle. «Susanna Camusso si è mostrata abbastanza perplessa sull’introduzione del reddito di cittadinanza», dice Alessandro. «Ma la Cgil non ha capito che il mondo del lavoro è cambiato. Quel sindacato è contrario anche al salario minimo, cioè una paga minima oraria sotto la quale un lavoratore non può scendere. Per Camusso tutti dovrebbero rientrare nel contratto nazionale a tempo indeterminato. Ma si dimentica che negli ultimi vent’anni il sindacato non ha fatto nulla per impedire la precarizzazione del lavoro». Almeno le critiche dal fuoco “amico” non dovrebbero essere liquidate col semplice appellativo di populismo. Grillo ringrazia e porta a casa. Le fabbriche di Beppe Ma l’erosione di consensi non si limita ai temi del lavoro e non riguarda solo il Pd. A sinistra, fino a poco tempo fa, erano in tanti a sperare nelle “nuove narrazioni” di Nichi Vendola. Migliaia di ragazzi, spinti dal vento di 9 marzo 2013 left società left.it cambiamento che soffiava in Puglia, avevano costituito in tutta Italia 601 “fabbriche di Nichi”. Un’esperienza unica che aveva avvicinato alla politica una generazione fatta di ragazzi che non avevano mai messo piede in una sezione di partito, prima che Grillo straripasse. Vendola aveva intercettato un bisogno di partecipazione del tutto simile a quello che oggi anima gli attivisti a 5 stelle. «Prima di entrare nelle Fabbriche di Nichi, nel 2009, ho partecipato per caso a due meetup del Movimento 5 stelle a Bologna», dice Massimiliano Perrone, ex “operaio” della fabbrica romana di Vendola. «Il clima che si respirava nelle assemblee grilline era molto simile a quello delle fabbriche». Trasparenza, solidarietà, cambiamento. Erano queste le parole d’ordine che animavano le discussioni dei comitati vendoliani. Ma con lo spontaneismo si rischia l’anarchia. E invece di coccolarsi i suoi giovani, Vendola impose lo scioglimento delle fabbriche che sarebbero dovute confluire dentro Sel. Prendere o lasciare, alla faccia di chi oggi si oppone alla gestione autoritaria della politica. Un affronto imperdonabile per chi aveva creduto in lui. Risultato: poche decine di militanti entrarono nel partito del presidente pugliese, gli altri cominciarono a vagare nel “mercato” della partecipazione. Il grosso di quel patrimonio di freschezza ha aderito al Movimento 5 stelle. Alcuni, invece, hanno dirottato le speranza di rinnovamento su Matteo Renzi. Come l’ex “operaio” Massimiliano, che ha animato i comitati a sostegno del sindaco di Firenze in occasione delle primarie del centrosinistra. «Renzi non ha mai trattato con sufficienza Grillo - dice - ha sempre sostenuto la necessità di dare delle risposte al popolo che si riconosce nei 5 stelle. Non è un caso che gli attacchi che oggi subisce left 9 marzo 2013 tisti, ma il livello di ingegneria che emerge dal documento dimostra che il lavoro dei supertecnici del M5s ha già superato molti ostacoli. Quella che sembra essere liquidata troppo in fretta è la questione della sovranità. Il sistema immaginato è bicefalo, un’assemblea per il Movimento e una per la “Cosa pubblica”, dove ciascun cittadino può partecipare da casa votando leggi e regolamenti online. Qui il discorso si fa complesso: Montesquieu, Spinosa e Locke ci hanno sbattuto la testa, ora è il turno di Davide Barillari (sviluppatore del gruppo, più noto come candidato alla presidenza della Regione Lazio). D’altro canto, google ieri non c’era e mai un Blog aveva conquistato un Parlamento. Torino, 3 maggio 2012, proteste davanti al palazzo di Giustizia durante il processo a Beppe Grillo e NoTav per la rottura dei sigilli al cantiere Valsusa © Bottallo / LaPresse to, un video appello di Federico Pistono, attivista di 28 anni, voce autorevole nella rete: due libri alle spalle sul futuro della rete e la decrescita e 21mila seguaci su twitter. «Il progetto dev’essere gestito da tutta la comunità», dice il cyber attivista su youtube. Per ora, il parlamento elettronico è un file di dieci pagine in pdf aperto: proposte e critiche si possono aggiungere liberamente sullo stesso documento usando l’applicazione Pdfzen. Ogni variazione sarà una copia nuova che potrà essere segnalata al gruppo. Utopico, irrealizzabile, fallace? Le ipotesi sono sul campo, intanto governa la regola propositiva: chi vede un problema aiuti a risolverlo. Che ogni sistema sia violabile è noto ai proget- il comico genovese li abbiamo subiti anche noi, quando facevamo campagna per Renzi». Un treno per la Val di Susa E mentre tutti si interrogano sulla futura compagine di governo, sono altri i dibattiti che animano le pagine virtuali del Movimento 5 stelle. La preoccupazione maggiore è come arrivare in Val di Susa il 23 marzo, giorno della manifestazione contro l’alta velocità. Il partito di Grillo da queste parti ha ottenuto consensi plebiscitari. In alcuni piccoli paesi della Valle, il Movimento ha sfiorato quota 60 per cento. Proprio come era accaduto in passato a Rifondazione comunista. I valligiani sono abituati alle promesse non mantenute dai partiti che negli anni hanno pescato a piene mani nel bacino elettorale NoTav. Ma stavolta, nonostante le remore, la speranza è forte. Tutti gli eletti grillini manifesteranno in Val di Susa per ringraziare i cittadini che hanno scommesso su di loro. Agli altri il compito di districare le matasse di palazzo. 29 società © Imbesi /ap/lapresse left.it Sicilia, un modello di cartapesta di Salvo Toscano L’asse Crocetta-M5s non può essere esportato al Senato. A Palermo il presidente della Regione governa soprattutto grazie al sostegno dei transfughi del centrodestra e senza necessità del voto di fiducia. Ma i grillini ottengono un “pacchetto tsunami” di riforme S Manifesto elettorale di Giancarlo Cancelleri, candidato alle elezioni regionali siciliane del 2012 30 i fa presto a dire modello Sicilia. Il rapporto tra la giunta regionale guidata da Rosario Crocetta e la cospicua pattuglia del Movimento 5 stelle all’Assemblea regionale siciliana è stato più volte scomodato in questi giorni come paradigma di una possibile collaborazione tra centrosinistra e grillini nel Senato senza maggioranza. Ma al di là delle semplificazioni, tra Palermo e Roma corre più di una differenza. A partire dalla più decisiva, che si chiama fiducia. Un passaggio che non esiste a livello di Regione, dove il presidente viene votato direttamente dagli elettori, e che invece è necessario per la nascita del governo nazionale. Il “modello Crocetta”, «meraviglioso» a detta di Beppe Grillo, ha preso corpo all’indomani delle elezioni regionali che non hanno attribuito alla coalizione Pd-Udc che sosteneva l’ex sindaco di Gela una maggioranza in Consiglio regionale. I 15 deputati (così si chiamano i consiglieri regionali siciliani) del 5 stelle hanno aperto da subito un’interlocuzione con il governatore, riuscendo, alle prime battute della frammentata Assemblea, a eleggere il vicepresidente vicario del Parlamento regionale (l’ex mimo Antonio Venturino), e ottenendo posti strategici nelle commissioni. Il confronto con Crocetta fin qui si è giocato su singole questioni: emblematica quella del Muos, il mega radar militare che gli americani intendono realizzare a Niscemi, contro il quale i grillini si sono battuti, riuscendo a strappare al governatore posizioni intransigenti. Proprio in quei giorni, l’Assemblea regionale discuteva il Documento di programmazione economico finanziaria della giunta, la cui approvazione è slittata più volte per la scelta dei grillini di lascia- re l’Aula al momento della votazione. Lo “sblocco” della vicenda Muos ha portato contestualmente all’uscita dall’impasse e all’approvazione del Dpef. Anche sulla riforma delle Province, Crocetta, dopo qualche tentennamento, complice la “spinta” del 5 stelle ha tirato fuori dal cilindro un disegno di legge che produrrebbe cospicui risparmi di cassa e che porrebbe la Sicilia all’avanguardia nel panorama nazionale: un pacchetto di misure, che contempla anche qualcosa di simile al reddito di cittadinanza cavallo di battaglia dei grillini, che non a caso il governatore ha battezzato davanti ai giornalisti “pacchetto tsunami”. Ma il canovaccio siciliano, a Roma si scontrerebbe, come detto, con l’imprescindibile scoglio del voto di fiducia. Ed è lì che le cose si complicano. La “lezione siciliana” non finisce qui. Perché se è vero che su alcune questioni di merito centrosinistra e 5 stelle hanno trovato convergenze in questi primi mesi, è anche vero che contestualmente Crocetta ha lavorato per puntellare la sua maggioranza a prescindere dall’appoggio pentastellato. Partito da 39 deputati su 90, il governatore è arrivato oggi a contarne 46, dopo avere aperto le porte a una cospicua pattuglia di transfughi traghettati dal centrodestra al centrosinistra, dei quali una fetta consistente è arrivata dalla disgregazione di Grande Sud, il movimento di Gianfranco Miccichè. Le opposizioni di centrodestra hanno parlato di “mercato delle vacche”, ma Crocetta ha fatto spallucce. Perché il modello Sicilia sarà pur “meraviglioso”, ma una maggioranza autosufficiente a prescindere dallo sporadico sostegno grillino fa senz’altro dormire sonni più tranquilli a chi governa. 9 marzo 2013 left calcio mancino società left.it Le Politiche del ’92, le prime senza Pci, nella decima giornata di ritorno Election day di Emanuele Santi Il Milan di Fabio Capello trionfa e vola verso la conquista dello scudetto left 9 marzo 2013 e la Juve è attesa nel derby contro il Toro su un campo allentato dalla pioggia. La Roma, invece, va in scena al San Paolo di Napoli dove, secondo il luogo comune (meteorologico e non solo) di un’Italia divisa in due, il sole splende e i giocatori sudano più del solito. Al Delle Alpi il primo tempo si chiude senza reti mentre, a San Siro, Frank Rijkaard trascina il Milan avanti di due gol e la Roma, sfruttando il contropiede, va al riposo in vantaggio per 0-2. I rossoneri dilagano e chiudono sul 5-1. La Roma si fa rimontare e superare da Careca e da Zola per il 3-2 finale. A Torino, sotto gli occhi vigili di Henry Kissinger in tribuna accanto all’Avvocato, il brasiliano granata Walter Casagrande infila due volte Peruzzi nel giro di pochi minuti. Il Milan vola a più sei sulla Juve e ipoteca lo scudetto. Primo partito si conferma la Democrazia cristiana che sfiora il 30 per cento, secondo è il Pds fermo al 16; terzi i socialisti al 13 e mezzo. Quarto partito è la Lega nord, poi c’è Rifondazione con 35 seggi appaiata al Movimento sociale con 34. Ma è un Parlamento che durerà solo due anni. Dopo tre scudetti di fila, infatti, sarà proprio il presidente del Milan a vincere le Politiche del ’94 incassando i voti dei democristiani in Sicilia, degli orfani di Craxi a Milano e dei fascisti romani ripuliti dal congresso di Fiuggi. E i leghisti? Impararono a cantare Forza Italia meglio di tutti. [email protected] © Ravezzani/LaPresse D omenica 5 aprile ’92: si vota per il rinnovo del Parlamento, sciolto anzitempo dal Presidente Cossiga svelto a eludere la guardia del medico curante e ad anticipare l’inizio del semestre bianco. Per un’opinione pubblica che non poteva prevedere gli sviluppi dell’inchiesta chiamata Tangentopoli, l’unica certezza rimaneva la svolta della Bolognina. Per la prima volta nella storia della Repubblica, infatti, non c’era il Pci. Al suo posto il Pds e Rifondazione comunista che aveva Frank Rijkaard accolto i resti di Democrazia con la maglia rossonera proletaria. Dall’altra parte dello schieramento c’era il quintetto base del pentapartito: Dc, Psi, Pri, Psdi e Pli. Si vota di domenica e, come ogni domenica, si gioca anche il campionato. Il sistema proporzionale prevede un’unica scheda, così come fo e da Martin Vazquez. La Sampdoria la serie A prevede tutte le partite in campione in carica è troppo distratcontemporanea nell’immediato do- ta dalla Coppa dei campioni mentre po pranzo e due soli punti in caso di la Roma del taciturno Ottavio Bianvittoria. In testa c’è l’imbattibile Mi- chi tenta una disperata rimonta verso lan di Fabio Capello, erede di Arrigo l’ultimo posto utile in coppa Uefa con Sacchi chiamato da Matarrese a gui- la fascia di capitano passata dal bracdare la Nazionale. All’inseguimento: cio di Peppe Giannini alla zampa della la Juve di Trapattoni, tornato in ca- volpe argentata Rudi Voeller. Dall’alsa Agnelli come minestrina riscalda- tra parte del Tevere c’è la Lazio di Dino ta dopo le zuppe di Gigi Maifredi. Ter- Zoff e dei tedeschi Riedle e Doll menza forza: il Napoli di Claudio Ranieri tre l’esigente Milano nerazzurra ha con il piccolo Zola numero 10 al posto dovuto digerire Corrado Orrico fino di Maradona e con il grande Careca al all’ultima di andata quando è stato socentro dell’attacco. Più indietro: il To- stituito dal traghettatore Luisito Suarino di Mondonico, solido in difesa e rez. Il Milan ospita la Sampdoria sotcon un centrocampo sorretto da Sci- to un’acqua tutt’altro che primaverile 31 società left.it di Claudio Reale © arianna catania corleone. una bara per due Volevano commemorare Bernardino Verro, eroe locale assassinato dalla mafia nel 1915. Ma nella sua tomba c’erano due scheletri. E la vittima di Cosa nostra è in un altro cimitero. Un mistero tutto siciliano. Su cui indaga la procura di Termini Imerese L a beffa era contenuta già nel numero della tomba: 47. Che, smorfia alla mano, avrebbe dovuto suggerire un “morto che parla”. Ma il morto, questa volta, è stato in silenzio per qualche mese. E così, il 3 novembre, a Corleone, sindaco e associazioni locali hanno celebrato in pompa magna un corteo antimafia per traslare il cadavere che ritenevano essere quello di un eroe locale, il sindaco socialista Bernardino Verro, ucciso nel 1915 dai boss, senza sapere che, con tutta probabilità, le ossa che stavano trasportando in una cappella aperta per l’occasione erano in realtà quelle di un mafioso. Con un cognome di peso: Bagarella. Già, perché il corpo di Verro, che tutti a Corleone credevano essere stato sepolto in quella tomba 47, era stato spostato a Palermo alcuni 32 decenni fa. E sulle ossa trovate nel loculo, adesso, la procura di Termini Imerese ha aperto un’inchiesta: il sospetto del procuratore Alfredo Morvillo è che quei resti appartengano a Calogero Bagarella, fratello di Leoluca e cognato di Totò Riina, ucciso nella strage di viale Lazio e mai più ritrovato. Almeno fino a qualche giorno fa. Per spiegare questa storia, però, è necessario tornare indietro di tre mesi e appunto ripartire da quel 3 novembre. L’occasione è solenne: si celebra il 98esimo anniversario della morte di Verro. Le associazioni antimafia, guidate dal combattivo sindacalista Dino Paternostro, chiedono al sindaco di spostare i resti dell’eroe socialista, conservate appunto in un anonimo loculo, in una cappella 9 marzo 2013 left società left.it realizzata appositamente accanto a quella di Placido Rizzotto. Così avviene: quando però il sindaco Lea Savona fa aprire la tomba, all’interno trova i resti due persone. Ma non si insospettisce. Tutto normale, dice lei. Uno dei teschi, in effetti, aveva il foro di un proiettile sul cranio. «Mi hanno fatto notare che era giusto: Bernardino Verro fu ucciso con due colpi di arma da fuoco, uno dei quali lo raggiunse proprio dietro la testa». Tanto più, spiega Paternostro, che una vecchia tradizione locale vuole che due parenti possano essere sepolti nella stessa tomba. Nessuna anomalia, nessun allarme: il corteo si tiene come da programma. La cappella viene inaugurata e il Comune celebra la vittoria dell’antimafia sulla mafia. L’allarme, però, arriva all’inizio di gennaio. Un ex consigliere comunale con la memoria più lunga degli altri, Ettore Piccione, scrive al sindaco. Dice che no, quello trovato nella tomba non può essere il cadavere di Verro. E per argomentare allega un vecchio articolo del 2007. «Nel ritaglio di giornale - spiega adesso il sindaco Lea Savona c’era scritto che i resti di Bernardino Verro, molti anni fa, erano stati spostati al cimitero dei Rotoli di Palermo. Giustamente Piccione chiedeva che fosse ripristinata la verità». A quel punto, ovviamente, il sospetto diventa grande. Il sindaco si rivolge alla polizia, che a sua volta trasmette l’incartamento alla procura di Termini. Il capo della procura, Alfredo Morvillo, sa bene di cosa sono capaci i boss corleonesi: sua sorella, Francesca, era la moglie di Giovanni Falcone, e con lui è stata uccisa nella strage del 23 maggio 1992. Morvillo avvia gli accertamenti, e dai registri del cimitero palermitano scopre che effettivamente Verro si trova nel capoluogo. C’è, però, un giallo nel giallo. Se Verro è stato portato a Palermo il 23 marzo del 1959 e nel capoluogo la documentazione parla chiaro, a Corleone non tutte le carte sono in regola. Negli archivi del cimitero il fascicolo su Verro è molto grosso, ma manca un solo atto: quello del 23 marzo 1959. La traccia della traslazione nel capoluogo. L’ipotesi, a questo punto, è chiara: qualcuno avrebbe fatto sparire i documenti per tenere “in caldo” una tomba da utilizzare nell’eventualità di una lupara bianca.Resta da scoprire per chi sia stato utilizzato quel loculo. Di certo si sa che i resti di Calogero Bagarella, morto nel 1969 nell’agguato che segnò l’esordio criminale di left 9 marzo 2013 Totò Riina e Bernardo Provenzano, furono portati via da Riina. A raccontare i dettagli, ipotizzando che il corpo sia stato cremato, è stato il pentito Gaetano Grado, uno dei killer che facevano parte del commando: «Recuperammo il corpo - ha detto ai pm nel 2009 - e lo nascondemmo nel baule della macchina. Dissi che siccome era caduto con onore doveva essere seppellito con la sua famiglia. Ma Riina disse che era meglio bruciarlo. Ci pensò lui». Altrettanto certo è che il cadavere trovato a Corleone è compatibile con la dinamica della morte di Bagarella. È il 10 dicembre 1969, i Corleonesi stanno iniziando la propria ascesa e Totò Riina decide di sbarazzarsi del boss rivale Michele Cavataio: un commando composto da Riina, Provenzano, Bagarella, Grado, Damiano Caruso ed Emanuele D’Agostino fa irruzione negli uffici del costruttore Girolamo Moncada, dove Cavataio lavora. I killer, secondo la ricostruzione del pentito Francesco Di Carlo, sono vestiti da poliziotti e devono sparare al grido di “fermi polizia”. Provenzano, però, non controlla i nervi e spara troppo presto. «Il clan di Cavataio - racconta Di Carlo, che conosce la storia dai resoconti di Damiano Caruso - aveva subito intuito il pericolo. Caruso attribuisce il fallimento dell’agguato a Provenzano. “Per colpa sua ci stavano ammazzando tutti”, ripete». A morire non è uno qualsiasi: è il cognato del capo. Raggiunto, appunto, da un colpo alla testa. Come quel teschio trovato a Corleone. A questo punto, a risolvere il mistero, ci penserà l’esame del Dna disposto dalla procura. Non una novità, per Corleone: appena un paio di anni fa, infatti, l’allora procuratore aggiunto Antonio Ingroia aveva deciso di riesumare i resti del bandito Salvatore Giuliano, ucciso in circostanze misteriose nel 1950 dopo aver compiuto il più atroce dei delitti politico-mafiosi del dopoguerra, la strage di contadini e lavoratori avvenuta a Portella della Ginestra il Primo maggio 1947. Obiettivo, capire se il cadavere sepolto nella tomba di Giuliano fosse davvero quello del bandito. Folla, giornalisti da tutto il mondo, clamore mediatico per una scoperta ben al di sotto delle attese: il corpo era davvero quello del bandito. Del resto, in barba alla smorfia, a Corleone i morti che parlano non abbondano. Ma i misteri non mancano mai. Le ossa ritrovate forse appartengono a Calogero Bagarella, cognato di Riina Bernardino Verro. In apertura, un incrocio presso le Madonie, in provincia di Palermo 33 cose dell’altritalia società left.it 1 BARI Riciclaggio, anche la Sacra corona unita punta sul videopoker Scommesse online e videopoker per riciclare il denaro sporco della Sacra corona unita. Nel brindisino, la Guardia di finanza nei giorni scorsi ha eseguito 19 ordinanze di custodia cautelare, di cui 9 in carcere e 10 ai domiciliari. La Direzione distrettuale antimafia di Lecce ha setacciato l’attività di società delle scommesse online e di vari commercialisti e avvocati della zona. Nel mirino degli inquirenti, l’attività della società scommettendo.it, che conta oltre mille centri affiliati in tutta Italia e un volume d’affari superiore a 300 milioni di euro. La Dda salentina la considera «in posizione di contiguità con la Sacra Corona Unita avendone agevolato le attività imprenditoriali». Ma le indagini riguardano anche aziende più piccole. Ad esempio la Fast service line srl, fallita da tempo, che avrebbe ottenuto dal commercialista brindisino Gian Paolo Zeni l’accesso al concordato preventivo che consentì di scongiurare il dissesto finanziario. Tuttavia, secondo la Dda, i dati certificati da Zeni sarebbero stati falsi. Il professionista è finito nei guai: ai domiciliari con l’accusa di concorso in bancarotta fraudolenta. Stessa sorte per l’avvocato Italo Sgura. I reati contestati agli arrestati sono trasferimento fraudolento di valori, riciclaggio, impiego di denaro di provenienza illecita per agevolare l’attività della Sacra corona unita, bancarotta fraudolenta ed emissione di fatture per operazioni inesistenti. Gli altri arrestati sarebbero legati al clan che fa capo ad Albino Prudentino, arrestato nel 2010 e attualmente in carcere per droga e mafia. Il boss si sarebbe avvalso di prestanome e società compiacenti per reinvestire i proventi derivanti dall’attività illecita. Niente di nuovo, per la Puglia. Secondo la Banca d’Italia il fenomeno del riciclaggio di denaro sporco è in forte aumento in questa regione: le operazioni finanziarie sospette sono passate dalle 575 del 2008 alle 1.948 del 2011. Ma se gli istituti di credito segnalano ogni operazione dubbia, i professionisti non fanno altrettanto. Come dimostra anche il blitz della Dda. 2 REGGIO CALABRIA La Sa-Rc entro fine anno Parola di Scopelliti Completare la Salerno-Reggio Calabria? Entro fine anno, secondo il governatore della Calabria Giuseppe Scopelliti. Parole confermate dall’amministratore unico dell’Anas Pietro Ciucci e dal ministro dei Trasporti e delle Infrastrutture Corrado Passera. «Manterremo l’impegno di fine anno», ribadisce Ciucci. Presente all’apertura di 9 chilometri di carreggiata della nuova A3 Salerno-Reggio Calabria, Scopelliti si è detto soddisfatto per il rispetto del calendario per il completamento dei lavori. «A questo punto mancano solo 50 chilometri aggiuntivi - ha commentato il governatore - e su questo c’è l’impegno di tutto il gruppo dirigente parlamentare del Pdl che deve sostenere questa battaglia. La riapertura definitiva di tutto il tratto entro il 31 dicembre 2013 sarà sicuramente un obiettivo che libererà questa terra da una situazione di grande emarginazione». 34 4 3 PALERMO Assunzioni clientelari? Paga la giunta Cuffaro «Logiche clientelari e pressioni lobbistiche». Questi i motivi delle assunzioni di 512 autisti-soccorritori delle ambulanze del 118 in Sicilia. Diciassette politici, tra ex componenti della giunta Cuffaro ed ex membri della commissione Sanità, sono stati condannati dalla Corte dei Conti e dovranno risarcire più di 12 milioni di euro all’erario. Secondo la contestazione iniziale il danno avrebbe superato i 37 milioni. Poi era arrivata l’assoluzione in primo grado. Ma l’appello ha cambiato le carte in tavola. I magistrati contabili hanno dichiarato legittima la scelta degli amministratori di ampliare il numero delle ambulanze, ma non le 512 nuove assunzioni. Una scelta «inutile e irragionevole». Senza, cioè, fatti o dati oggettivi che ne comprovassero la necessità. E gliel’hanno fatta pagare. 9 marzo 2013 left cose dell’altritalia left.it società 4 cagliari Il senatore “sale” in banca. È rivolta nella base Antonello Cabras sta per arrivare al timone della Fondazione Banco di Sardegna. La notizia che il senatore uscente del Pd starebbe per sostituire l’attuale presidente Antonello Arru circolava da mesi, ma la conferma è arrivata il 4 marzo, destando sconcerto soprattutto tra iscritti e simpatizzanti del partito, reduci dalla sconfitta elettorale per l’incetta di voti grillini “contro la casta”. Eppure sull’onda dello scandalo Mps Pier Luigi Bersani era stato netto: «Basta politici di lungo corso alla presidenza delle fondazioni bancarie». A capeggiare la rivolta sono due professori di area Pd. Il primo a prendere posizione è stato Guido Melis, deputato uscente, che su facebook si è dichiarato “esterrefatto”: «Dopo il caso Monte dei Paschi? Quanti voti ancora vogliamo regalare a Grillo?». Un’ora dopo è stata la volta dell’economista Francesco Pigliaru, assessore al Bilancio nella giunta Soru, che accompagna le sue riflessioni con una scheda sui nodi da sciogliere al Banco di Sardegna, richiamando ben altre competenze e terzietà. «Dal partito alla Fondazione, dalla Fondazione alla banca: non vi ricorda qualcosa?». Tantissimi i commenti a entrambi i post, con parole durissime nei confronti del senatore e del partito. Ma non è solo la base del Pd a indignarsi. Simone Campus, consigliere comunale del Pd a Sassari, minaccia di stracciare la tessera del partito. Ad aggiungere benzina sul fuoco il fatto che il 29 agosto 2011 la Fondazione aveva affidato la ristrutturazione della sede di Cagliari, tra gli altri, proprio all’ingegner Cabras. 5 L’AQUILA 5 Un sindaco part time tra le macerie Il sindaco de L’Aquila Massimo Cialente torna alla sua prima professione: il medico. Senza rinunciare alla carica, sarà impegnato 24 ore a settimana all’Ospedale San Salvatore. Una città interamente da ricostruire avrà dunque un sindaco part time. «Sono da anni in aspettativa e ho necessità di un riequilibrio ai fini pensionistici», spiega il sindaco-dottore. «Nulla cambierà in termini degli impegni da primo cittadino». Sarca1 stico Vincenzo Vittorini, consigliere comunale che sotto le macerie ha perso moglie e figlia: «Il sindaco si mette part-time e abbandona la nave. Due legislature da deputato e il vitalizio evidentemente non bastano per una pensione accettabile». Non si fa attendere la piccata replica di Cialente, che parla di «attacco sguaiato» e aggiunge: «Anche da medico credo che Vittorini non stia molto bene». Reazioni ancor più dure arrivano dalle associazioni dei familiari delle vittime. Mentre a dover ancora guarire è la città. 6 6 LATINA Minacce mafiose ai grillini 3 2 left 9 marzo 2013 Alcuni militanti del M5s sarebbero stati minacciati dalla criminalità organizzata a Fondi, in provincia di Latina. Lo ha denunciato il candidato alla presidenza della Regione Lazio, Davide Barillari: «Durante la campagna elettorale sono venuti alcuni esponenti della famiglia camorristica locale e hanno fotografato gli attivisti che preparavano la nostra manifestazione». Risultato? «In piazza ci sono state molte meno persone che altrove - continua Barillari - dimostrando che a Fondi la mafia controlla il territorio. Torneremo presto a parlare con la gente, così come altrove, non la abbandoneremo dopo le elezioni come fanno gli altri». Fondi è stata per anni sotto osservazione per le infiltrazioni criminali nell’Amministrazione comunale, fino alle 23 condanne (110 anni di carcere) del 2011. 35 mondo 36 9 marzo 2013 left mondo Occupazione a tempo determinato di Alberto Mucci e Luigi Serenelli foto di Tom Hunter L’Europa degli squat cambia volto. Da Londra a Berlino, passando per Amsterdam, i governi locali varano leggi contro il recupero abusivo degli immobili. Chiudendo esperienze decennali di arte e cultura L ondra. Brixton, prima periferia sud della capitale britannica. Defilato, in una stradina laterale, c’è lo squat di Giacomo. Venticinque anni, italiano, studente, ciclista, Giacomo vive in quella casa a due piani da più di un anno. Sorride a chi vuole entrare, indica la cucina dove bolle l’acqua per un tè. Ma appena entrati chiude con forza la porta. Non può permettersi rischi, la nuova legge antisquat entrata in vigore a settembre ha cambiato molte cose: per chi occupa una casa sfitta è prevista una multa di 5mila sterline (7mila euro circa) e fino a sei mesi di galera. Lungo il corridoio ci sono arnesi da lavoro sparpagliati, le scale sono scoperchiate, pronte per essere rifatte. Dentro fa freddo, il riscaldamento funziona a malapena. «Quando siamo arrivati - racconta entusiasta a left - in casa era tutto rotto. Pian piano abbiamo risistemato e adesso ognuno ha la sua stanza con bagno e cucina. Un lusso no?». Seduto su una poltrona recuperata per strada, Giacomo racconta di come due anni fa sia arrivato a Londra disilluso dalla situazione italiana e di come si left 9 marzo 2013 sia subito scontrato con il problema casa: prezzi alti, qualità bassa, padroni predatori. «Quando arrivi a Londra fa tutto paura. Ma basta cercare spiega orgoglioso - e trovi decine di reti di attivisti che tengono d’occhio e segnalano case vuote». Che secondo uno studio della Empty homes agency ammontano a 100mila nella sola Londra. Un vero e proprio spreco, che contribuisce all’aumento dei prezzi degli affitti. L’occupazione, per alcuni, è l’unica soluzione. Squattare è una tradizione britannica dagli anni Sessanta. Dai Sex Pistols ai Pogues, centinaia di musicisti, artisti, scrittori o persone che semplicemente credono in una vita comunitaria hanno vissuto un periodo della loro vita in uno dei 7mila squat sparsi per il Regno. «Come fare altrimenti?», chiede retorica Theresa, tedesca, 24 anni, barista e pittrice. Seduta al tavolo della cucina del suo squat ad Hackney, periferia nordest della capitale, spiega che in una città dove gli affitti sono tra i più alti del mondo la vita di un’artista esordiente è di fronte a un bivio: «O rinuncio ai miei sogni e pago l’affitto o squatto e vado avanti». Le foto di questo servizio fanno parte della serie Person unknown realizzata da Tom Hunter nelle case occupate di Hackney, Londra. In apertura, Woman Reading Possession Order (Donna che legge una ordinanza di sfratto) è una rievocazione del quadro di Vermeer Donna che legge una lettera davanti alla finestra. Qui Hunter ritrae una scena quotidiana che conferisce nobiltà a un’outsider, cioè a una giovane squatter londinese 37 mondo Una necessità talmente riconosciuta che - fino a settembre - se una casa era vuota la permanenza degli squatter era garantita fino a quando il padrone non contattava le autorità e mostrava il suo titolo di proprietà. A quel punto il tribunale civile poteva al massimo sfrattarli. «Quella legge permetteva di ribellarsi alle ingiuste regole del mercato», continua Liz, 27 anni, inglese, mentre prepara un caffè su un cucinino da campeggio. «E dava una possibilità anche a chi non è figlio della classe media e vuole provare la strada dell’arte». La scure dei conservatori londinesi The Glass of Wine (Il bicchiere di vino). Una giovane coppia di artisti nella loro casa occupata Il primo sostenitore della nuova filosofia antisquat è Mike Weatherley, parlamentare conservatore eletto nella regione meridionale di Portslade. Senza remore, Weatherley ha cavalcato l’onda di panico e sfiducia calata su tutto il Regno Unito dopo la crisi finanziaria. Costretti a tirare la cinghia, gli elettori hanno cominciato a guardarsi intorno e a cercare chi non faceva “la sua parte”. L’occhio è caduto subito su quello che il parlamentare ha definito «un gruppo di privilegiati che vivono sulle spalle degli altri». A Weatherley hanno fatto eco i giornali conservatori come il Daily mail, il Telegraph e il Sun, che si sono lanciati in facili invettive giustizialiste. Eppure lo squat non può essere il vero problema se su 500mila case vuote solo 20mila sono occupate e non tutte da «bohémien scansafatiche». Una parte non indifferente di squatter, come racconta al Guardian Duncan Shrubsole, direttore della onlus Crisis dedicata ai senza tetto, «sono persone che altrimenti vivrebbero per strada e che non hanno altra possibilità per ripararsi dai freddi inverni inglesi». Eppure, dopo mesi di polemiche, il premier David Cameron ha deciso di firmare la nuova legge. «È una manovra del tutto populista», spiega Henry, 30 anni, attivista della campagna Squash per i diritti delle occupazioni. «E non lo dico solo io: anche la polizia di Londra, si è espressa a favore del rapporto che abbiamo presentato alla Camera dei Lord. La nostra posizione è semplice: questa legge va abrogata perché la perdita è doppia. Da una parte danneggia i senzatetto, dall’altra colpisce la scena artistica britannica che da decenni conta su queste realtà per trovare un suo spazio». E se prima un concerto si organizzava in quattro e quattr’otto, ora quasi nessuno si assume il rischio di essere fermato dalla polizia. Basta che un vicino si arrabbi per essere scoperti, multati e buttati fuori in pochi minuti. «Nessuno vuole andare in galera per uno spettacolo, di conseguenza sono mesi che nessuno organizza qualcosa di ambizioso», racconta triste Touko, 22 anni, finlandese, fotografo e membro di un collettivo che ha occupato a Limehouse, nel profondo eastside della capitale. Non tutto però è perduto. La nuova legge mantiene il diritto di squat sulle proprietà commerciali che superano una determinata dimensione e tutta l’arte, la musica, e la vita comunitaria potrebbe spostarsi li. Per il momento, però, è tutto fermo, anche perché si teme che anche questo diritto venga abrogato: Weatherley e i suoi alleati hanno già promesso battaglia. Berlino in movimento Gli spazi si restringono ovunque, e anche la Germania non è più quella dei primi anni Novanta, quando la caduta del Muro “regalò” infiniti palazzi dell’Est da occupare. Eppure a Berlino resistono vecchie e nuove esperienze: l’elenco inizia con la A di Anarchistischer-Laden e termina con la Z di Zwille, 190 tra squat, luoghi d’incontro e d’informazione, archivi multimediali, biblioteche e bar. Costas è membro del collettivo Morgenrot, che gestisce l’omonimo bar a Prenzlauer Berg, parte orientale della città. «Siamo 11 persone ed è un modo autonomo di organizzare un ambiente di lavoro, senza gerarchie». Lo spazio del collettivo è aperto ai movimenti politici che hanno bisogno di un luogo dove trovarsi. L’Anarchistische Föderation Berlin, la federazione anarchica, per esempio si riunisce e discute i temi all’ordine del giorno. Com’è scritto sul manifesto di presentazione, all’interno non sono tollerati «i razzisti, i sessisti e l’estrema destra». «Gruppi come il Nationaldemokratische partei Deutschlands (Npd) e il partito populista Pro-Deutschland vengono attentamente monitorati», spiegano. Filix, invece, è volontario all’Antifaschistisches Pressarchiv: l’archivio conta 15milalibri, 33mila tra magazine, giornali e una quantità consistente di filmati sui gruppi neonazisti. «Ci chiedono spesso come riconoscere un neonazi», dice. Perciò collezionano anche i vestiti. «Una delle marche usate di più oggi dagli skinheads è la Eric & Sons, si trova anche nei negozi della Npd. A Berlino uno dei punti di ritrovo è il bar Henka, a Schöneweide, in periferia». In un vecchio ospedale diventato un luogo d’esposi9 marzo 2013 left mondo left 9 marzo 2013 mondo Nei Paesi Bassi i proprietari difendono gli appartamenti vuoti affittandoli a custodi pro tempore The Art of Squatting (L’arte di occupare). Questa foto fa parte della collezione del Moma (Museum of Modern Art) di New York 40 zione per artisti si trova il New Yorck. Sulla porta d’uscita dello squat c’è scritto «Nessun uomo è illegale». È la sede di diverse organizzazioni politiche. L’ultima serie di incontri s’intitolava “Policing the crisis”. Ovvero, come la polizia reagisce alla crisi. Jason, filmmaker, racconta come un gruppo di attivisti sia venuto da Barcellona «a spiegare che le forze dell’ordine cercano di de-umanizzare, come in una guerra psicologica, i manifestanti». Val è un’attivista di Netpol, network di Cardiff che tiene sotto controllo i comportamenti degli agenti. Parla delle conseguenze per i movimenti dopo le rivolte in Inghilterra. «Allora furono pubblicate le foto delle persone ricercate sui giornali, in tv e su facebook. La polizia usava la paura come arma di deterrenza. Pensiamo che l’intelligence inglese abbia a disposizione un database con 3mila-4mila fotografie e quest’anno tutte le informazioni sono passate all’unità anti terrorismo». Così, commenta, «le proteste sono equiparate ad atti di terrorismo». L’attivismo berlinese si scontra però con un fenomeno che assume proporzioni sempre più ampie, quello della “gentrificazione”. «Gli investitori acquistano case o interi palazzi in una zona urbana spiega un ragazzo - e costringono i residenti ad abbandonare le loro abitazioni». Gli spazi indipendenti finiscono così sotto attacco. Però, dopo una battaglia legale durata 13 anni con il proprietario, il Kulturproject Schokoladen - fino al 1971 una fabbrica di cioccolato - è riuscito a restare in vita. L’edificio ospita un teatro, due gruppi di artisti e una quarantina di persone. Un progetto culturale. «All’interno del Schokoladen - spiega Stephan - noi gestiamo il teatro indipendente Acker Stadt Palace e diamo voce agli artisti, anche internazionali, che altrove non trovano spazio». Ora la fondazione svizzera Edith Maryon ha comprato la struttura, concedendo agli affittuari un contratto di 99 anni. Salvati dalla chiusura, ma costretti a fare i conti con il mercato: «Questa sera abbiamo venduto pochi biglietti, dobbiamo fare di più». Altrimenti c’è lo sfratto, causa morosità. L’Olanda del cambiamento Quello del Kulturproject Schokoladen di Berlino si chiama canone sociale, ma finisce per essere un mezzo per espellere “democraticamente” gli occupanti dai loro luoghi. Dal 2010 succede anche nei Paesi Bassi. L’Olanda, che era il modello per i ragazzi di tutta Europa, ha cambiato pelle già da un po’. Oggi il diritto all’abitare non è più quel valore assoluto che ne ha fatto una meta per tanti giovani senza soldi: prima viene il mercato, poi un letto dove dormire. Teoricamente la legge varata due anni e mezzo fa doveva servire a creare un equilibrio tra proprietari di case e homeless. Nella pratica, chi prende possesso di un immobile non suo rischia fino a due anni di prigione. La legge viene contestata ad Amsterdam, dove le occupazioni continuano in barba alle severe norme volute dall’allora governo conservatore di Jan Peter Balkenende. Fortunatamente non tutti i Comuni hanno scelto di applicare pienamente la direttiva, e in molte città si può contare sulla complicità degli amministratori locali. Ma i proprietari di appartamenti sanno come controbattere e del resto non hanno aspettato la legge per mettere un freno agli inquilini “abusivi”; il loro malcontento ha dato vita quasi vent’anni fa a società anti kraaker (dal nome olandese per gli squatter) che si offrono di trovare finti occupanti per evitare le vere occupazioni, che fino al 2010 erano pienamente legittime. La più nota è la Camelot, aperta nel 1993 e oggi presente in 5 Paesi. Dell’anti-kraaker ha fatto un business, proponendo anche soluzioni al limiti dell’etica, come quella di affittare a basso prezzo uffici disabitati, con lo slogan “Assicurati un guardiano guadagnandoci”. Camelot offre alloggi a 200 euro al mese a giovani studenti o lavoratori stagionali, che in cambio tengono lontani ladri e squatter con la loro presenza. Con rigide regole: controlli senza preavviso, divieti di tenere animali o dare feste, solo 15 giorni di “vacanza” l’anno e un preavviso di appena quattro settimane per lo sfratto. Però poche settimane fa a Zaandam, nel nord dell’Olanda, una di queste famiglie ha rifiutato di lasciare l’abitazione assegnata da Camelot, invocando il diritto alla casa. A dargli manforte sono arrivati a decine da tutte le occupazioni olandesi, e ora la società dovrà vedersela con i giudici. Perché i mulini degli squatter macinano lento, ma macinano fino. 9 marzo 2013 left mondo left 9 marzo 2013 41 mondo left.it Intifada a La morte di un giovane palestinese nelle carceri israeliane ha riacceso gli scontri nei Territori occupati. Netanyahu, senza un governo, scarica le responsabilità su Fatah. Ma Abu Mazen non parla più al suo popolo. Che ora deve fare i conti con una nuova segregazione L a Palestina aspetta i risultati dell’autopsia sul corpo di Arafat. Non il vecchio leone Yasser, la cui salma è stata riesumata poche settimane fa. Ma il giovane Arafat Jadarat, morto il 23 febbraio in un carcere israeliano dopo 5 giorni di detenzione e, dicono, di tortura. Perché Arafat - sostiene chi gli era vicino - «è stato ucciso». Ma ci vorranno ancora giorni prima che arrivino i risultati ufficiali e che si possa aprire un’inchiesta. I palestinesi però se ne infischiano di aspettare i referti medici, la loro verità la stanno urlando nelle strade da due settimane, sfidando a colpi di slogan e pietre l’esercito israeliano. Non sono soli. Dalle carceri sparse nelle zone occupate e nei territori governati da Tel Aviv arriva la solidarietà dei prigionieri, che già erano in sciopero della fame da mesi. Degli oltre 4mila detenuti palestinesi, più di 200 stanno rifiutando il cibo per protestare contro le condizioni di detenzione. Perché è vero che dal 1999 alcuni metodi di tortura sono stati vietati anche in Israele, ma è vero anche che gli abusi continuano, inventando nuove forme e nuovi sistemi. Nella denuncia presentata il 28 febbraio dall’israeliano Pcati (Comitato pubblico contro la tortura in Israele) si chiede di cessare «l’impiego di metodi di interrogatorio illegali, tra cui 42 gli interrogatori prolungati per ore, mentre i detenuti sono ammanettati mani e piedi, le minacce verso i familiari, la detenzione disumana utilizzata come mezzo di coercizione psicologico e fisico». Le torture fisiche sono ben illustrate da Amnesty international, che insieme al Pcati ha realizzato una serie di foto per mostrare come lo Shin Beit tratti i prigionieri palestinesi. Dal cappuccio in testa alla schiena costretta a restare inarcata su una sedia, mani e piedi a terra, il catalogo delle violenze è ampio. Solo che Amnesty utilizza attori, Israele no. Arafat Jadarat aveva trent’anni, una moglie e due bambini. Lo hanno arrestato perché accusato di aver lanciato pietre contro i soldati israeliani. Non faceva parte di nessuna organizzazione, non era conosciuto come militante. Curiosamente, come scrive il quotidiano Haaretz, «la morte di uno sconosciuto ha finito per unire centinaia di palestinesi in suo nome». Persino la polizia di Fatah ha deciso di intervenire discretamente durante le manifestazioni di protesta: la situazione nei Territori è così tesa che una terza Intifada non è esclusa dal presidente Abu Mazen. Lo percepisce anche il premier israeliano Netanyahu, ma viene il dubbio che voglia ap9 marzo 2013 left mondo left.it a tratti profittare di questa tensione per forzare la mano ai suoi colleghi in Parlamento, così da arrivare velocemente a un nuovo governo da lui presieduto, superando l’impasse politica causata dalle elezioni. Il compito di controllare che la situazione non degeneri lo affida all’Autorità palestinese, lasciando nelle mani di Fatah la patata bollente della rivolta. Se il governo di Ramallah sceglierà di mettere la sordina, rischia di trovarsi davanti la rabbia dei giovani ormai disillusi. Se dà corpo alle proteste, arriverà la repressione, giustificata da Netanyahu come “diritto alla difesa”. E intanto Israele continua ad arrestare. Mohammad Saba’aneh di anni ne ha 25, fa il disegnatore satirico, e non sa nemmeno perché lo hanno messo in prigione il 16 febbraio, due giorni prima di Arafat. Si chiama detenzione amministrativa, consente a Israele di incarcerare senza accuse per periodi di 15 giorni, però prorogabili. Come è successo a lui, che il 28 febbraio si è visto comunicare un nuovo ordine di arresto: altre due settimane da passare nel centro di Jalameh. Mohammad non è il primo a sperimentare questa particolarità del sistema giudiziario israeliano. Secondo il Centro B’Tselem, sono 159 i detenuti che subiscono analogo trattamento. Alcuni per mesi, persino anni. Come il calciatore della nazionale palestinese Mahmoud Sarsak, rilasciato a luglio 2012 dopo una lunga mobilitazione internazionale e tre anni di carcere. Per il disegnatore Saba’aneh, invece, si sono mossi i suoi colleghi, quelli palestinesi prima, quelli arabi poi. Vignettisti che raccontano a left 9 marzo 2013 di Paola Mirenda matita la storia dei detenuti palestinesi, confidando che il lavoro artistico riesca là dove non arrivano le decine di petizioni e di sollecitazioni inviate al governo di Tel Aviv. Persino l’Unione europea, che pure ha di recente stabilito accordi commerciali con Israele, ci ha provato. Catherine Ashton, in genere avara di commenti, ha chiesto al governo israeliano «di autorizzare immediatamente il ristabilimento del diritto di visita dei familiari e il pieno rispetto degli obblighi internazionali nei confronti di tutti i detenuti». Per quanto la Ashton conti poco, Netanyahu dovrebbe tener conto della sua voce. Come di quella delle Nazioni Unite, che non rimproverano a Tel Aviv solo gli standard carcerari imposti ai palestinesi. L’ultimo “sgarbo”, rivelato pochi giorni fa sempre da Haaretz, riguarda i profughi sudanesi, che il governo ha deciso di rimpatriare in barba alle norme internazionali. Anche loro erano detenuti, ma Israele dice che hanno scelto “volontariamente” di tornare in patria. «Ma come può essere volontaria la parola di chi è in situazione coatta?», ha chiesto l’Alto commissario per i rifugiati. Nessuna risposta da parte del governo, e l’ombra del razzismo resta. Il fatto che il 4 marzo sia stata inaugurata una linea di autobus separata per i palestinesi che vanno a lavorare in Israele non aiuta a dissiparla. «Lo facciamo per loro, così viaggiano più comodi», ha spiegato con aria innocente il ministro dei Trasporti. L’apartheid non ha bisogno della pelle nera. Il 4 marzo è stata inaugurata una linea separata di bus. Così i non ebrei non si mescoleranno Le immagini in queste pagine sono state realizzate dal vignettista palestinese Mohammad Saba’aneh, arrestato senza accuse il 16 febbraio al ritorno da un viaggio in Giordania. Per lui si sono mobilitate le associazioni dei disegnatori arabi e Reporters sans frontières 43 newsglobal mondo left.it © Qadri/ap/lapresse 22 Le donne indiane stanno partecipando in massa alle manifestazioni contro le diseguaglianze sociali nel subcontinente. «Il governo dice che siamo la terza economia del pianeta», ricorda il Partito comunista-marxista. «Ma i poveri non diminuiscono». E dalla città orientale di Kolkata è partita una marcia di protesta diretta a Delhi:10mila chilometri a piedi, arrivo il 19 marzo svizzera le regole di al Qaeda per sfuggire alla sorveglianza dei droni, secondo un documento ritrovato in una base di Aqmi in Mali. Tra le raccomandazioni, quella di bruciare copertoni di automobili per nascondersi sotto il fumo, o di organizzare finti raduni con fantocci di pezza per ingannare i nemici Croati non graditi © Brinon/ap/lapresse 44 «L’Unione europea è come l’Unione sovietica: non si può riformare» Marine Le Pen, leader del Front national, invitando François Hollande a indire entro gennaio 2014 un referendum sull’uscita della Francia dalla Ue © Bandic/ap/lapresse Dopo la sconfitta nel referendum sul tetto ai salari dei manager, Economiesuisse - la federazione “ombrello” delle imprese elvetiche - rischia un’altra batosta. Secondo un sondaggio confidenziale, il 50 per cento degli svizzeri è contrario all’estensione della libera circolazione alla Croazia. Zagabria entrerà nell’Unione europea a giugno 2013, e la Confederazione elvetica deve discutere con Bruxelles l’allargamento degli accordi sul libero mercato. Poi saranno i cittadini a esprimersi sul tema con un referendum. Ma questa volta potrebbero dire “no”, mettendo in discussione i trattati con la Ue. Eppure un recentissimo studio dell’università di Ginevra dimostra come non ci sia correlazione tra la libera circolazione delle persone e l’abbassamento dei salari. un messaggio per obama La Corea del Nord non vuole la guerra con gli Usa, anzi. Il giovane presidente della dittatura più isolata del mondo, Kim Jong Un, ha dichiarato che riceverebbe volentieri una telefonata da Barack Obama. Per recapitare il suo messaggio al presidente americano, lo ha affidato all’ex campione di basket Dennis Rodman, suo ospite insieme agli Harlem Globetrotter, una squadra di pallacanestro che gira il mondo con i loro spettacoli in cui fondono acrobazie e comicità. Rodman è stato il primo americano a incontrare Kim da quando ha assunto il ruolo di presidente nordcoreano. 9 marzo 2013 left mondo left.it Scorecard 2013, l’Europa dei fannulloni e degli iperattivi © infografica martina fiore Ideato dall’European council for foreign relations (Ecfr), lo Scorecard della politica estera europea fornisce una valutazione sistematica dei risultati dell’Europa nel trattare con il resto del mondo. L’Ecfr valuta la performance dei 27 Stati membri e delle istituzioni Ue su sei temi chiave: Cina, Russia, Stati Uniti, Europa allargata, Africa e Medioriente, Relazioni multilaterali. Nel complesso, i Paesi meno colpiti dalla crisi sono quelli che più si spendono nelle relazioni estere, mentre il Sud e l’Est della Ue restano impegnati a risolvere i loro problemi finanziari Jorge Fernández Díaz, ministro dell’Interno nel governo di Mariano Rajoy © Mojica/ap/lapresse curiosità left 9 marzo 2013 messico, maestra di lusso Finora era intoccabile, adesso solo ritoccata. La presidentessa del sindacato degli insegnanti messicani era la potentissima custode di una rete di corruzione e clientele. Ora, però, Elba Esther Gordillo deve difendersi dall’accusa di aver stornato dai conti del sindacato ben 156 milioni di dollari per finanziare il suo lussuoso stile di vita. Con quei soldi avrebbe pagato interventi di chirurgia plastica, un jet privato, lo shopping selvaggio. Quando era giovane faceva l’insegnante in una scuola povera del Chiapas - da qui il suo soprannome “La Maestra”- ma da decenni è nota per l’abbigliamento griffatissimo e le pochette da 5mila dollari. Mentre lo stipendio medio di un professore messicano è 650 dollari. © ap/lapresse «Inutile ricorrere alla religione per manifestare contrarietà al matrimonio gay. Ci sono anche argomenti razionali: per esempio, non garantisce la sopravvivenza della specie» Incinta per comodità La metropolitana è troppo piena e tutti i posti sono occupati? Con la protesi “gravidanza” in silicone, qualcuno si alzerà e vi cederà il suo. La protesi spopola in Cina dove viene usata, scrive il Global times, «per mascherare un’infertilità, per non perdere il posto di lavoro, per essere avvantaggiate nelle code agli uffici». E ovviamente per trovare posto a sedere. 45 © helmut newton Rue Aubriot (French Vogue, Paris)1975 Italia digitali e la chiusura 48Padiglione L’arte e la storia 52Nativi nuova letteratura 56Dopo degli Opg cultura Helmut Newton ha sfidato la storia e il mondo della moda, superando i canoni tradizionali e fornendo la sua visione personale della donna. Una vera rivoluzione nel mondo della fotografia. Al Palazzo delle Esposizioni, fino al 21 luglio, una retrospettiva di questo protagonista del Novecento: White Women, Sleepless Nights, Big Nudes racconta in 200 immagini l’eleganza dei gesti, la magnificenza dei corpi, i fili sottili che corrono fra erotismo e sensualità. cultura Arte, società 9 marzo 2013 left Da Paolini a Ghirri, da Mauri a Bartolini. Tra storia e presente. Con radicali aperture al sociale. Il direttore del Macro Bartolomeo Pietromarchi racconta il suo Padiglione Italia alla prossima Biennale di Venezia & viceversa di Simona Maggiorelli Quattro opere di quattro dei 14 artisti che Bartolomeo Pietromarchi ha inviato a esporre alla Biennale di Venezia 2013, nel Padiglione Italia: in senso orario dall’alto Francesco Arena 3,24 mq, 2004, Wood, forniture; Marco Tirelli Veduta della mostra presso il Macro Testaccio, Roma 2012. Nella pagina a sinistra in basso Giulio Paolini Requiem, 2003-04, in alto Francesca Grilli Oro, 2011 16 mm film on Dvd left 9 marzo 2013 49 cultura left.it L In alto un’opera di Vasco Bendini (1967) al centro Giulio Turcato, Comizio (1950), entrambe in mostra al Macro, a Roma. A destra un ritratto di Bartolomeo Pietromarchi (classe 1968) 50 ontano dall’idea che l’epicentro dell’arte sia, sempre e comunque, in capitali occidentali come New York, Londra e Parigi, il direttore del Macro Bartolomeo Pietromarchi è un attento e curioso esploratore anche di culture lontane, come quelle asiatiche. E l’Estremo Oriente sarà protagonista nei prossimi mesi nel museo di arte contemporanea della Capitale attraverso una personale dedicata al giapponese Hidetoshi Nagasawa («Un artista molto sottovalutato, a mio avviso», dice Pietromarchi) e a un artista cinese, Ji Dachun, che riprende la tradizione antica della pittura del suo Paese per leggere il contemporaneo. Ma Bartolomeo Pietromarchi è anche e soprattutto uno studioso di arte italiana contemporanea. Agli ultimi cinquant’anni della nostra storia il direttore del Padiglione Italia della Biennale internazionale di arte 2013 ha dedicato il suo ultimo libro L’Italia in opera, la nostra identità attraverso le arti visive, uscito nel 2012 per Bollati Boringhieri. Un volume in cui, forte dell’esperienza alla Fondazione Adriano Olivetti (che ha diretto dal 2002 al 2007) traccia un’appassionata mappa delle arti visive italiane che narrano il nostro tempo presente. Raccontando come l’Italia sia diventata «il soggetto di opere che con impegno politico e civile scandagliano le cronache quotidiane e i nodi irrisolti della nostra storia». «Opere che - scrive il critico d’arte - s’infiltrano tra le pieghe di realtà sommerse, scuotono le coscienze e aprono squarci di verità scomode o ignorate». Pietromarchi, il pensiero espresso nel suo libro è anche alla base della collettiva intitolata Vice versa nel suo Padiglione Italia alla Biennale che aprirà il primo giugno? Sì, è un pensiero che giunge da lontano, che fa tesoro della lezione di Olivetti e si è sviluppato in un percorso che ho fatto in questi anni seguendo, con studi e mostre, sia gli artisti della mia generazione, nati intorno al ’68, sia quelli della generazioni precedenti. Il Padiglione italiano rappresenta per me un passaggio ulteriore, un approfondimento ma anche un sostegno e una promozione dell’arte italiana degli ultimi anni. Ci credo moltissimo. Ci sono molti artisti validi nel nostro Paese ai quali però manca un sostegno quantitativo e continuativo. Molto spesso gli artisti italiani devono trovarsi le proprie occasioni andando all’estero. Qui non trovano chi li sostenga con una strategia. Mi piacerebbe che questo mio lavoro potesse essere un segnale di come si può e si deve fare a livello istituzionale. Con un po’ di creatività, che è la cosa fondamentale Tra il caos della collettiva organizzata due anni fa da Vittorio Sgarbi e l’aristocratica mostra di Ida Gianelli che scelse due soli autori, lei come si collocherà? Ho scelto 14 artisti. Il progetto Vice versa prevede 7 ambienti: di cui 6 sono all’interno del Padiglione e uno è nel Giardino delle Vergini. Ogni ambiente ospiterà due artisti per volta, accostati in un dialogo ideale sulla base di affinità sia tematiche che processuali. È pensato come una riflessione sulla loro opera. Ma il curatore ha anche il compito di aiutare gli artisti, di metterli nelle condizioni perché possano esprimersi al meglio. Un esempio di “connessione”? Quella fra Fabio Mauri e Francesco Arena sul tema del corpo e della storia, per esempio. Entrambi hanno interpretato passaggi importanti della nostra storia: Mauri, il fascismo, Arena, il terrorismo. Ma filtrati attraverso il proprio corpo. In Mauri la performance. Con Arena ritroviamo quei suoi lavori che fanno riferimento al suo corpo come misurazione delle cose. L’attenzione al sociale ha sempre connotato fortemente il suo lavoro di curatore. Anche in questo caso? Sì, per me l’arte è inscindibile da una prospettiva sociale. E i veri artisti interpretano il loro tempo. Questo nel Padiglione sarà estremamente evidente. Da curatore penso sia importante arricchire il lavoro degli artisti con la sociologia, con la storia, con la politica, in senso alto. Anche con la geografia. A Venezia ci sarà, per esempio, Luigi Ghirri che ha lavorato tantissimo sull’idea di paesaggio. Così come Luca Vitone. Saranno insieme nella stessa stanza. In tutto il mio percorso è sempre stato vitale questo tipo di approccio. Già questo è un elemento di novità rispet9 marzo 2013 left cultura © adolfo franzo left.it to al main stream che va per la maggiore nei musei occidentali. Forse sono meno visibili di altri ma ci sono artisti che affrontano questioni a livello globale, non solo a livello locale. Parlo di un’arte che ha riflettuto sulle tematiche del territorio, del sociale, a livello politico. Un tipo di arte con cui molti della mia generazione sono cresciuti. Il tipo di arte di cui lei parla è ascrivibile a una dimensione di mercato. E in effetti in questi anni a prevalere sono state altre logiche, legate a derive di quel sistema. Il mercato in sé non sarebbe un male ma negative sono le derive del mercato, quando il mercato diventa speculazione, quando diventa pura finanza e alcuni musei, gallerie e molti collezionisti hanno rivolto l’attenzione a quell’aspetto. Con la crisi, oggi, questo sistema si è molto ritratto. Un tipo di arte di “successo” fa già parte di un panorama passato. E un altro modo di fare arte penso abbia ora la possibilità di essere più visibile. La crisi, paradossalmente, ha avuto effetti positivi? Positivi fra virgolette. Virtualmente positivi. Anche questo sarà evidente a Venezia. Gli interventi saranno molto secchi, le opere non voglio dire che siano dure, ma avranno un aspetto di grande impegno. Anche rispetto allo spazio, che sarà molto forte, molto caratterizzato. Gli artisti stanno sviluppando dei progetti che reagiscono al contesto. Visivamente sarà un percorso teso. Di certo non farà leva sulla decorazione. Nelle ultime tre edizioni della Biennale d’arte, nella mostra internazionale, ha prevalso l’arte concettuale, quella più autoriflessiva, razionale, disseccata. Al confronto le ultime edizioni delle Biennali architettura sono apparse più ricche di fantasia, “calde”, coinvolgenti. Forse perché l’architettura deve tener conto dell’abitare umano. C’è una distinzione da fare: mentre i padiglioni nazionali presentano delle monografiche o co- left 9 marzo 2013 Il direttore Pietromarchi: «Gli interventi artistici nel Padiglione Italia saranno tesi e impegnati» munque contano su un numero limitato di artisti e lì si può fare un discorso curatoriale, la mostra principale, quella internazionale, ha a che fare con più di cento artisti; ha a che fare con tutto e con tutti, l’obiettivo è far vedere, documentare ciò che sa accadendo. Con titoli molto ampi. Per usare un eufemismo. Titoli del tipo “Fare mondo”, “Illuminazioni”... Ma non è responsabilità anche di quelli che Bonito Oliva chiama «curatori camerieri»? Certo, c’è chi tenta di dare una propria visione e chi fa un lavoro più di servizio. Non è il caso di Massimiliano Gioni (il direttore della Biennale 2013, ndr) a mio avviso, che invece ha individuato un tema molto interessante e guarda anche fuori dal mondo dell’arte recuperando aspetti antropologici, sociologici, intorno al tema dell’archivio e della classificazione. Con uno sguardo al mondo della moda? No, decisamente. Lei ha sempre detto che le piace collaborare. Con Gioni avete avuto modo di confrontarvi in questi mesi? Collaborare è una parola grossa in questo caso. Il tempo è pochissimo. Però ho trovato molti punti di contatto nella scelta dei temi, c’è un contesto che ci unisce. La collaborazione invece si è sviluppata nel grande team che sta lavorando al padiglione e per la realizzazione del catalogo: ho invitato più autori - fra loro Marco Belpoliti, Elena Volpato e Stefano Chiodi - ad affrontare le tematiche sviluppate dagli artisti nelle varie stanze. Questa riflessione sfocerà in un convegno ad ottobre dove riprenderemo i fili di quanto succederà in Biennale. 51 © flickr cultura left.it I nativi digitali, forse, non conoscono Volponi, ma sanno tutto di Tarantino. E hanno bisogno di personaggi come Saviano. Ma questo non significa la morte della letteratura Politeisti della lettura di Filippo La Porta V edere il mondo dal punto di vista di un genitore significa oggi mettersi nella prospettiva più difficile (così Christopher Lasch, nel suo profetico La cultura del narcisismo, 1979). Nella nostra epoca infatti sembra interrompersi in modo drammatico la tradizione culturale, si indebolisce il senso del passato e dunque rischia di vanificarsi lo sforzo stesso dell’educazione. Per la prima volta nella storia i nonni hanno pochissimo da insegnare ai nipoti, nativi digitali e abitatori di un mondo mutato troppo in fretta, appiattito sul proprio accecante presente. In che modo riuscirò a trasmettere ai miei due figli l’amore per la tradizione umanistica? E poi: ha ancora qualcosa da dirci quella tradizione, ovunque ridotta a mero intrattenimento, a consumo tra gli altri? E se avesse fallito, come sottolinea George Steiner, dato che non è riuscita nemmeno a difenderci dall’orrore e 52 dall’inumano (il nazismo nasce nel cuore dell’Europa e non nel Sahara)? 1968 (anno della rottura): il critico Sergio Solmi passeggiando per Torino è incantato dalle ragazze in minigonna e dai ragazzi capelloni, che gli evocano tanti Ariel e Puck. Però quel mondo-festa gli appare come «un mondo da cui sarebbero assenti la noia e il dolore; in cui, di conseguenza, il pensiero, l’arte, la poesia, come tutto ciò che nasce da una carenza, da una ferita, non avrebbe più ragion d’essere... in esso rimarrà soltanto il gioco, comune a tante specie animali». È a rischio la possibilità di un dialogo con l’arte e il pensiero del passato, anche se a Solmi potremmo ribattere che qualsiasi mutazione riprodurrà sempre, su altri piani, nuove carenze e nuove ferite. Altre volte nella storia la tradizione si è interrotta, e sempre ogni volta si 9 marzo 2013 left cultura left.it è riattivata, per la ragione che la condizione umana - verosimilmente - presenta alcuni caratteri di fondo destinati a restare. È vero che nella cultura attuale si tende a esorcizzare il dolore, ci si illude di espellerlo dalla realtà, ma si tratta appunto di un’illusione (che rende tutti più fragili). La vita umana non è apparsa mai così protetta, almeno in Occidente: i nostri corpi sono curati, non abbiamo più guerre o epidemie. Daniele Giglioli ha osservato che il trauma è scomparso, benché il nostro linguaggio attinga all’immaginario traumatico (la più piccola frustrazione è “devastante”...). Eppure la vita stessa resta comunque un trauma (per il solo fatto che non la controlliamo in alcun modo). E ce lo ricorda continuamente la migliore letteratura (Roth, Oz, Munro, Forrest, Kincaid), impegnata a rappresentare il tragico - mentre la cultura di massa, anche quella più trasgressiva, tende a rimuoverlo -. Esiste una bibliografia sterminata sulla modernità liquida, sui giovani come nuovi barbari, sulle caratteristiche involutive del nostro tempo: gusto della superficialità, disimpegno affettivo, omologazione, venir meno di ogni pensiero critico, iperconsumismo, trasformazione della cultura in spettacolo e status symbol (per la prima volta chiunque, attraverso il blob della Rete, può fingere una conversazione colta senza essere colto). Ma come ipotizza il già citato Steiner la tradizione culturale non è esente da colpe e ambiguità. Il ’900 ha dimostrato tra l’altro che non sempre gli studi umanistici umanizzano. È ragionevole dunque diffidarne, o almeno ripensarne certe premesse. Né l’istruzione garantisce stabilità sociale e comportamenti virtuosi. E anche quando le nuove generazioni mettono in discussione un dogma millenario, il nesso tra fatica e risultato, non tentano di liberarsi dalla condanna biblica? Benché qualsiasi apprendimento implichi disciplina e sacrificio, ci ricordano che in una attività creativa il piacere può migliorare il risultato (Debussy indicava come regola del comporre il proprio piacere...). In che modo oggi la tradizione riesce ancora a dialogare con le nuove generazioni? Quasi soltanto se riesce a incarnarsi in persone concrete, in figure esemplari. Come abbiamo visto quella tradizione, prima ancora di interrompersi, si era già screditata da sé, depotenziandosi in ornamento, finendo nel museo e nell’accademia. Perciò i giovani hanno disperatamente bisogno di esempi (più left 9 marzo 2013 che in altri momenti storici), di persone che mostrino una normale coerenza tra quello che dicono e quello che fanno, insomma di quella che Steiner definisce una “cultura vissuta”. A vent’anni mi innamoravo per lo più delle idee, anche di idee molto astratte, come ad esempio quella di rivoluzione (che è stata un’utopia bellissima ma anche il narcotico di una intera generazione), mentre mio figlio si innamora anzitutto di persone - integre, oneste - nelle quali le idee vengono continuamente collaudate (di qui, ad esempio, l’ammirazione per Saviano, al di là del suo specifico valore letterario). La sinistra dovrebbe non tanto organizzare pensosi convegni per commentare le parole-chiave della politica o suggerire elenchi di nobili valori quanto indicare esempi di esistenze in cui quei valori diventano finalmente credibili. Proprio nel mondo smaterializzato torna ovunque un bisogno di concretezza. Le idee, queste scostumate, vanno con tutti (Diderot), ancor più nello spazio sconfinato del Web: perciò ci interessa soprattutto chi vive coerentemente le proprie idee, chi ha davvero ragioni personali per esibirle. I libri, diceva Kafka, sono l’ascia anti ghiaccio. Qualunque sia il loro formato Torniamo alla letteratura, dove pure questa nostalgia per l’esempio e la trasparenza si traduce nella moda dell’autofiction (da Walter Siti a Chiara Gamberale). La cosa che più mi colpisce è che uno scrittore trentenne di oggi sembra nato da se stesso: può conoscere Tarantino e non Brancati, la serie tv Homeland e non Volponi, etc... Dobbiamo disperarne? Forse questo significa solo che la tradizione si è aperta a nuovi generi: alla morte di Dio segue non l’ateismo ma il politeismo. Il canone si è moltiplicato, si è disperso nel pulviscolo dei linguaggi, e già negli anni 80 Tondelli, che pure aveva una cultura letteraria solida, diceva di provenire dal rock e dal cinema di Wenders. L’umanità contemporanea, allenata a simulare ogni esperienza, continua nonostante tutto a innamorarsi, ad ammalarsi, ad appassionarsi a un ideale, a invecchiare, a morire, etc... Dunque quella tradizione, momentaneamente in ombra, resta un deposito inesauribile di interpretazioni intorno al nostro destino. Non ci sarà virtuale o nuova tecnologia in grado di impedire che un libro ridiventi per un lettore del terzo millennio, a qualsiasi latitudine, quell’ascia che secondo Kafka dovrebbe spezzare il mare ghiacciato dentro di lui. Roberto Saviano nel 2010 in piazza a Pietrasanta (Lu) 53 trasformazione Massimo Fagioli, psichiatra L’articolo, alla fine, fa leggere una realtà nuova SENTO quindi, senza parola, sono S draiato in poltrona, rilassato, lasciavo che la naturale pigrizia, che aveva invaso il mio corpo, restasse. Non so che scrivere... devi scrivere. Le parole fatue, che non erano pensieri, sembrava avessero invaso la mente. E passava il tempo. Poi un’improvvisa contrazione muscolare, non so per quale stimolo, mi fece trovare nella stazione eretta. I piedi si mossero andando uno davanti all’altro come fosse una gara di corsa breve. Seduto alla scrivania guardo il foglio bianco senza pensieri. E la coda dell’occhio intravede, al lato destro, le sei penne stilografiche allineate e l’una tocca l’altra. Come se fossi ancora sdraiato in poltrona, tra sonno e veglia, vedo che la mano, che si era mossa per prenderne una, scompare ed un termine verbale come se si scomponesse in cinque dita, si insinua tra l’una e l’altra, nello spazio che non c’è. Lo sconcerto, legato al pensiero di stare sognando, mi fa inclinare la testa all’indietro ed alzare lo sguardo. Vedo il gabbiano che immobile al freddo, non muove neppure la testa. Perché non sente freddo? Per le penne che lo coprono... per le piume! E rivedo la parola delle cinque dita che si disegna come: penna. Cinque lettere. Non ho mai scritto con la piuma. Un tempo lontano scrivevano con una piuma che intingeva la sua punta nel calamaio. Asciugavano ciò che avevano scritto con la sabbia, poi hanno inventato la carta assorbente, ora l’inchiostro delle penne stilografiche si asciuga all’aria. E la piuma che si era trasformata in penna è tornata ad essere soltanto piuma. I termini verbali cambiano a seconda del rapporto che l’essere umano fa con il suo esterno. Ed io direi: anche con la sua realtà interna. Poche parole sul fatto che realtà interna significa realtà non materiale. E ripeto che la sua esistenza è un fatto non discutibile, nonostante le idee di Platone, Spinoza e Freud che hanno detto che ciò che non è linguaggio verbale cosciente, non è pensiero. E “non è pensiero” significa: non è esistenza del pensiero. E la memoria di una osservazione antica mi dice che si parla ad un altro essere umano e si scrive nella solitudine del silenzio. E cerco di guardare la composizione dei suoni del linguaggio parlato, la composizione dei segni del linguaggio scritto. Riuscire a vedere come un pensiero verbale conduca l’apparato vocale a muoversi in un certo modo, la mano a fare i segni in un certo modo. E penso alle varie lingue degli esseri umani. Ma, in verità, guardo e vedo, senza occhi che fanno la percezione della coscienza, il mio modo di scrivere che usa termini verbali che sono propri della mente cosciente. Esso però indica e parla di realtà umane che non sono percepibili, nella veglia, con i sensi della coscienza. E dissi di annullamento, dissi di sparizione. Non sono termini verbali che ho inventato. E mi sono sempre chiesto se, legando il termine verbale a realtà umane esistenti e mai pensate, ho dato ad esso una identità nuova. Ed ho detto, pensando ad un altro termine verbale, diventano parola. E la mente torna a pensare al linguaggio che i poeti realizzano togliendo ai termini verbali il significato che indica gli oggetti della realtà materiale. Riescono a scrivere evidenziando “altro” al di là del linguaggio articolato imparato e ripetuto. Come? Difficile pensarlo. Un’idea è che lo esprimono componendo tra loro in modo originale e personale, le parole. È come se le ricreassero e facessero una scrittura nuova usando i termini che indicano gli organi del corpo come i primitivi per dire della realtà non materiale dei sentimenti? Cuore per amore, fegato per coraggio? In verità, facendo tanti anni di psicoterapia di quattro grandi gruppi, sono giunto alla certezza di vedere, nella separazione dal mondo che il poeta fa quando scrive, la parola ricreazione che non è regressione. Ricreazione della separazione dal ventre materno che fa l’identità della propria nascita. Il pensiero, che è fantasia, dà allo scrivere un senso che è suono non udito dalle orecchie ma dagli occhi di coloro che leggono. Ma poi sento che i termini verbali, diventati parole, Fantasia di sparizione compare, nello spazio, dopo tre parole 54 9 marzo 2013 left left.it hanno un suono che prima non c’era. Sono: movimento, tempo, pulsione, una triade di approfondimento della verbalizzazione della nascita che, cinquanta anni fa, non c’era. E così l’idea che il poeta ricrea la nascita si è rivelata povera e parziale di fronte alla domanda: quale realtà o momento della triade il poeta ricrea? Movimento? Tempo? Pulsione? Il poeta non fa immagini come il pittore e lo scrittore: questo fatto porta a pensare che, nella ricreazione della nascita, fa diventare scrittura la linea che è capacità, esclusivamente umana, di crearla e porla nella natura in cui non esiste. Il poeta non parla, scrive. Il movimento della mano ricrea il silenzio del primo momento della vita quando non c’è il respiro quando non c’è il suono della voce umana. La penna versa in silenzio il liquido scuro che contrasta con il bianco del foglio. Allora penso che il poeta non ha soltanto il movimento della mano, ma la pulsione che va da se stesso all’esterno, nel tempo infinito. Allora penso che la scrittura del poeta ha la genialità di parlare di nascita umana usando la linea: le due caratteristiche esclusivamente umane. Ma pittori e scultori ricreano la nascita facendo immagini. Il poeta conduce il linguaggio imparato alla nascita ma non usa colori e forme. Allora penso che, forse, è il momento di un prima senza tempo che ricrea il volto umano universale senza soggetto individuale. È la linea che è l’universale dell’essere umano, ben oltre le parole del linguaggio imparato. E può essere, oltre lo scrittore, anche nelle figure del pittore e dello scultore. Ed il pensiero fa la fantasia senza immagine, ovvero che la scrittura del poeta sia più vicino alla musica che non alle forme dello scultore o alle figure del pittore. Poi penso che la musica può essere ripetuta da tanti interpreti ma, ogni volta, è uguale e diversa. E le due parole che scuotono l’identità razionale, sono le stesse del volto umano e, per sette, otto miliardi di volte, fanno pensare alla parola: infinito. Poi, ogni volto scompare e la scrittura rimane nel tempo. Non scompare l’“insieme” che si rinnova con gli individui che, soli, sono come ogni pianta che si è disseccata. Lo scritto di Mozart e Beethoven rimane inalterato perché ricrea se stesso in ogni realizzazione uguale e diversa. Come se il suono, o il ritmo, melodia, armonia si incarnassero nell’interprete che sarebbe il grande attore che interpreta il personaggio, che è una realtà materiale di segni neri su carta bianca. Si realizza così il paradosso che è la realtà materiale che è espressione del pensiero umano che tende a legarsi ad un tempo infinito, come la materia inorganica delle rocce che non ha movimento. Tanti anni fa ho partorito una donna che aveva in se stessa tre termini verbali che, scritti, sono diventati parole che hanno detto la verità della nascita umana. È un pensiero nuovo che è nato dal rapporto con un se stesso uguale all’altro Come se fosse il grande amore dell’adolescenza le parole cambiano l’essere nello spazio e ripetono: movimento, tempo, pulsione, fantasia di sparizione. Così sono diventate parole, così hanno dato un nome alla vita di ogni essere umano. Adolescente solitario non sapevo pensare alla realtà non materiale e non mi rendevo conto che il rapporto invisibile con un essere umano diverso da me, il sentire sempre detto inconoscibile, poteva diventare linguaggio verbale. Un linguaggio verbale strano che, dicendo fantasia di sparizione, univa due termini verbali dal significato opposto l’uno all’altro. Evidentemente sapevo che l’umanità stava nel rapporto dialettico tra uomo e donna perché avevo realizzato l’unione tra i termini: uguale e diverso. Dopo il silenzio dei venti minuti solitari, le persone che dalle tre grandi porte entrano fanno, ovvero creano una realtà umana diversa da me che sono un singolo individuo. Ma non ci sono più le parole: uomo-donna. Il termine “diverso” sta tra singolo e moltitudine, diversa dall’individuo. La parola diversità è, dalla dialettica tra due adolescenti, universale. Individuo in rapporto con la realtà umana. È stata sempre sconosciuta perché detta inconscio. Ora c’è una luce che, con la parola nuova, fa “vedere” il non visibile. ...“conosci te stesso” è l’intelligenza del rapporto interumano... left 9 marzo 2013 55 cultura left.it Grazie alla Riforma Marino il 31 marzo chiuderanno i manicomi giudiziari. Ma dopo, che fine faranno i malati gravi che vi sono reclusi? La giornalista Rai Adriana Pannitteri ha scritto un’inchiesta sul campo. Con il titolo La pazzia dimentica esce per la casa editrice L’Asino d’oro. Ne anticipiamo un estratto La fine della barbarie M artino Riggio è medico psichiatra e ha lavorato dal 1990 al 1998 nel Centro di salute mentale di Pomezia, vicino Roma, poi nel reparto psichiatrico dell’ospedale di Monterotondo e a Tivoli fino al giugno del 2012. Mi accoglie nel suo studio privato dove si svolgono anche le terapie di gruppo. «Nella mia esperienza di tanti anni di lavoro, i centri di salute mentale sono stati sempre sotto pressione per la mancanza di organico. Quando gli ospedali psichiatrici giudiziari (Opg) chiuderanno, se non verranno risolti i problemi strutturali, la situazione potrebbe diventare critica. E non per il numero dei pazienti dimessi, che è abbastanza contenuto, ma per la tipologia. Stiamo parlando di malati a cui è stata riconosciuta una pericolo- 56 © Ponomarev/ap/lapresse di Adriana Pannitteri sità sociale e che spesso non hanno coscienza di malattia o non hanno nessuna rete sociale, famiglia o amici, o sostegno, nei loro luoghi di origine. Questo rende abbastanza aleatorio o quantomeno improbabile un nuovo inserimento sociale, che per di più sono spesso gli stessi malati a rifiutare. A questo reinserimento sociale dovrebbero provvedere i Centri di salute mentale che per carenze di organico, di strutture, di fondi, fanno un’enorme fatica ad affrontare la “routine” quotidiana. Ma a monte c’è un nodo ben più grave. Gli Opg dovrebbero essere degli ospedali innanzitutto, luoghi di cura per specifiche malattie. Gli individui ricoverati starebbero li perché sono malati, non perché devono espiare una pena. Non si può pensare che gli Opg siano delle carceri, perché si9 marzo 2013 left cultura left.it gnifica non capire che lì ci sono persone che stanno male e che hanno bisogno di cure continuative. Né si può pensare di debellare una malattia, per decreto-legge, chiudendo i luoghi nei quali la malattia andrebbe curata. E a ben vedere questo problema non nasce con la chiusura degli Opg, ma risale al 1978 quando per legge si decretò la chiusura dei manicomi civili». Riggio mi racconta la sua esperienza all’indomani della legge Basaglia. «Nei mesi e anni successivi all’approvazione della legge si è assistito al fenomeno delle dimissioni forzate. Bastava andare vicino a Santa Maria della Pietà, o a qualsiasi altro ospedale psichiatrico in chiusura per rendersi conto di quel dramma. Sono stati messi fuori pazienti che non uscivano da anni, che non avevano famiglia, che spesso rifiutavano di tornare nei loro luoghi di origine perché la loro casa, dopo anni di ricovero era proprio quella, l’ospedale. La stragrande maggioranza delle persone ricoverate erano cerebropatici, epilettici, ritardati mentali in cui la malattia mentale si riacutizzava sporadicamente. Dimessi forzatamente, molti giravano attorno a quelle strutture nelle quali, inspiegabilmente per loro, non potevano rientrare. Chi tornava in famiglia veniva, come si dice comunemente, preso in carico dai servizi psichiatrici territoriali. Ma erano malati gravi, per lo più cronici, ai quali veniva richiesta una partecipazione attiva cui non erano abituati, necessitavano di assistenza continua, molte volte si scompensavano o si riacutizzavano richiedendo una nuova ospedalizzazione. La soluzione che si è trovata almeno qui nel Lazio fu il proliferare di cliniche psichiatriche private ma convenzionate con la Regione. Alcune hanno lavorato bene, ma si tratta per lo più di mosche bianche, altre sono diventate solo dei piccoli manicomi. Dobbiamo dirci con onestà che ci sono livelli di malattia molto profondi che rendono alcuni di questi malati estremamente vulnerabili e bisognosi di cura e di assistenza continuative. Mandarli a casa, pensando che possano essere affidati ai servizi territoriali, potrebbe significare abbandonarli a loro stessi come è accaduto con l’approvazione della legge 180». Gli chiedo se dunque la riforma Marino è destinata a trasformarsi in un flop. «Ci sono dei provvedimenti che hanno un valore culturale innega- left 9 marzo 2013 bile. È stato così per la chiusura dei manicomi civili. Anche in quel caso, che la normativa fosse da rivedere e che non si potessero privare dei loro diritti civili le persone che vi erano ricoverate, che queste avevano diritto a essere curate e non a essere escluse dalla società, era scontato.... Chiudere quei manicomi è stato un atto di civiltà. Purtroppo però chiudere quei luoghi di barbarie, di violenza, di sopraffazione, è diventato anche abolire l’idea stessa di malattia mentale, così, per decreto», dice Riggio. E aggiunge: «Quello che non posso condividere è il completo esautoramento del ruolo del medico e il fatto che si possa pensare, con l’attuale legge, che una malattia o semplicemente la fase acuta di una grave malattia mentale possa essere superata con 7 giorni di ricovero, tanto dura il trattamento sanitario obbligatorio, o al più, rinnovandolo, con 14 giorni. È come se, per legge, a un cardiologo si dicesse che un infartuato dopo sette giorni deve essere dimesso. Credo che l’intero ordine dei medici si ribellerebbe. Bene, questo si ritiene invece possibile per la psichiatria. Con la legge 180 ci si è abituati a pensare che l’obiettivo importante è semplicemente la riduzione dei tempi di degenza, considerati di per sé un indice di qualità del funzionamento di una struttura. Tutto questo perché si è continuato a credere che la malattia mentale abbia natura organica e che dunque basti riattivare i neurotrasmettitori che si sono inceppati per far ripartire la macchina, come si fa per un malato di diabete con la somministrazione di insulina». Negli ospedali psichiatrici giudiziari Il 31 marzo chiuderanno gli Opg e gli internati dovranno abbandonare quelle strutture definite dal Presidente della Repubblica Napolitano «l’estremo orrore inconcepibile in un Paese civile». Tra gli oltre mille internati ci sono persone accusate di reati lievi e sostanzialmente abbandonate in quello che viene chiamato l’ergastolo bianco. Ma anche malati che hanno commesso crimini efferati. La giornalista Adriana Pannitteri nel libro La pazzia dimenticata (L’Asino d’oro) racconta un viaggio in queste strutture. Ignazio Marino, Maria R. Bianchi, Irene Calesini e Francesco Dall’Olio presentano il volume, insieme all’autrice, a Roma, nella Libreria Assaggi, il 9 marzo alle 17:30. 57 puntocritico cultura left.it arte di Simona Maggiorelli Inquieto Lotto Alcune immagini del film Educazione siberiana cinema di Morando Morandini Il miglior Salvatores N on ho ancora letto il romanzo omonimo (2009-2010) scritto in italiano dal russo Nicolai Lilin (1980) che è all’origine del film Educazione siberiana, ma sospetto che gli debba molto la sceneggiatura scritta da Sandro Petraglia e Stefano Rulli col regista. E non soltanto per gli immaginosi dialoghi («è folle volere troppo. Un uomo non può possedere più di quello che il suo cuore può amare») è in assoluto il miglior film di Salvatores, il più emozionante a livello narrativo, il più creativo e originale sul piano figurativo-estetico. Prodotto da Cattleya di Riccardo Tozzi. L’azione si svolge in una zona a sud della Russia e in un arco di tempo che va dal 1985 al 1995 all’interno di un’anomala comunità criminale che odia a tal punto il denaro da non farlo entrare in casa per non contaminarla. Lo si vede in una sequenza dominata da nonno Kuzja, cioè John Malkovich, l’attore più noto di un cast che comprende solo 7 personaggi principali. Non sono pochi i meriti di Salvatores e dei suoi sceneggiatori. Anzitutto il film è costruito benissimo, con un’efficacia che non esclude la sottigliezza nell’alternare le scene d’azione intense e febbrili, ma non convulse, con le sequenze più piane ed esplicative senza diventare quasi mai didattiche. Il film è scomponibile in tre parti. Nella prima figurano in rilievo quattro ragazzini che in un certo senso, senza saperlo, sono i discendenti dei guerrieri Urca, originari abitanti delle grandi foreste siberiane e soprattutto da parte di nonno Kuzja (J. Malkovich) ricevono un’educazione speciale: furto, rapina, uso delle armi in una città a sud della Russia, una specie di ghetto per criminali di di58 verse etnie. È un clan però che ha regole precise qualcosa che assomiglia a un codice d’onore che non può essere tradito per nessun motivo. Uno dei quattro - il più debole - annega, un altro risulta un po’ marginale. Sono in primo piano Kolima (Arnas Fedaravicius) e Jurij detto Gagarin (Vilius Tumalavicius). C’è anche Xenja (Eleanor Tomlinson), rimasta innocente bambina dentro di sé. Nella seconda parte i ragazzi sono ventenni e si accentuano i contrasti tra il serio Kolima e lo spericolato Gagarin che, siccome il mondo è cambiato, ha voglia di profittarne senza rispettarne le regole. In un grande spazio, lasciato dai palazzoni grigi di un quartiere periferico di architettura sovietica, tutti salgono su una giostra che accende le sue luci colorate e diffonde dagli altoparlanti il famoso Absolute beginners di David Bowie. La parte più interessante è forse la terza, soprattutto a livello stilistico. Le tonalità del colore - frammischiato senza apparenti motivi al bianconero - della fotografia di Italo Petriccione s’incupiscono e si impreziosiscono. Persino le musiche, curate da Mario pagani, diventano più astratte e meno realistiche. In un’intervista Salvatores dichiara: «La filosofia, l’etica di questo gruppo criminale i cui membri si definiscono “criminali onesti”, e sono profondamente legati alla natura e alle sue regole a volte anche crudeli», mi ha ricordato un film di Kurosawa, Dersu Uzala, che aveva al centro un cacciatore siberiano che viveva lontano dal mondo... Il film non ha alcun intento sociologico, politico o documentario». Girato in Lituania tra grandi difficoltà, quasi due anni tra preparazione e realizzazione. «D ifficile discriminare se più nuoccia alla fama di un artista essere dimenticato che mal conosciuto: e vien voglia di decidere che se un grande spirito potesse scegliere, preferirebbe il silenzio alle mezze parole», così scriveva la scrittrice Anna Banti ad incipit del suo libro dedicato a Lorenzo Lotto (14801556): un agile volume opportunamente recuperato e pubblicato nella collana Sms dell’editore Skira, un paio di anni fa. Il prezioso ritratto a parole firmato della romanziera e studiosa d’arte, sulla strada aperta da Roberto Longhi, finalmente restituiva la giusta statura a questo inquieto pittore, dalla vena sensibile e popolare, lontano anni luce dallo splendore e dal trionfo dei colori della pittura veneta a lui contemporanea. Benché fosse veneziano e ventenne alla svolta del 1500, la sua cultura visiva sembrava alquanto provinciale al confronto con il raffinato e poetico tonalismo di Giorgione o se paragonata al vigoroso realismo, laico ed espressivo di Tiziano. Ma i suoi santi scavati dal tormento interiore, le sue timide Madonne, i suoi aguzzi e veritieri ritratti sono, se possibile, ancor più lontani dal classicismo idealizzante di Giovanni Bellini, che secondo la tradizione sarebbe stato suo maestro nei primi anni veneziani. Brusco e immediato, poco pro- Lorenzo Lotto, La Sacra Famiglia con S. Caterina 9 marzo 2013 left cultura left.it penso alla ricerca formale e alla trasfigurazione aulica dei soggetti rappresentati (anche nelle pale sacre) Lorenzo Lotto è stato forse il maggiore interprete in Italia di quello spirito nordico e riformista che si era andato diffondendo in modo più o meno sotterraneo nella piccola “borghesia” delle regioni del Nord della penisola. Ma non solo. Lorenzo Lotto fu anche il cantore delle terre marchigiane e dei suoi rustici personaggi, come racconta la mostra “Un maestro del Rinascimento. Lorenzo Lotto nelle Marche”, aperta dal 9 marzo al 7 luglio nella piemontese Reggia di Venaria e incentrata dal curatore Gabriele Barucca su una ventina di opere realizzate da Lotto a Jesi, a Recanati e dintorni. Dedicata al periodo più fertile della produzione lottesca, l’esposizione, che ha fatto tappa anche al Museo Puškin di Mosca, in realtà è una piccola grande summa dell’arte di questo schivo e appartato artista: un viaggio sfaccettato nella sua poetica antieroica e borghese, dove trionfano penetranti primi piani di sarti e altri artigiani al lavoro, di ricche e addobbate signore di provincia, di giovani di belle speranze, di persone anonime che conquistano per la prima volta la ribalta della storia dell’arte. In questo percorso espositivo sono tante anche le opere che raccontano episodi mutuati dai testi sacri e che appaiono sempre calati nella concretezza della vita di tutti i giorni, in modeste abitazioni e in brulli tratti di paesaggio, scavati da calanchi, come i volti dei solitari santi che Lotto metteva al centro della sua pittura drammatica e fortemente narrativa. Calati nella quotidianità, nella storia, fuori da ogni distanza metafisica, così appaiono i suoi San Gerolamo e il suo San Vincenzo Ferrer proveniente dalla chiesa di San Domenico di Recanati e appena restaurato. Ma folgoranti sono anche i pannelli dell’annunciazione, dipinti a Jesi intorno al 1526 in cui le figure sacre si sporcano le mani con la faticosa quotidianità contadina, mentre lo sgomento che si legge sul volto di Maria arriva a sfiorare l’eterodossia. left 9 marzo 2013 libri di Filippo La Porta Presta a scuola da Flaiano C ominciamo con una citazione da meditare nel dopoelezioni: «Le rivoluzioni più grandi sono quelle inconsapevoli, che non hanno la pretesa programmatica di cambiare il mondo ma rispondono a esigenze primarie... prendiamo Caravaggio oppure i Beatles»; così gli stessi Padri Costituenti che volevano solo «costruire un Paese civile, dove crescere i propri figli» e l’Uomo Nuovo. L’ho estratta non da un pamphlet politico ma dal romanzo Il piantagrane di Marco Presta (Einaudi) una favola civile sul nostro triste presente. Vi si narra di Giovanni, mite ed eccentrico vivaista (dialoga con le piante) che viene sequestrato da un misterioso personaggio, il Granchio, per sottrarlo ai servizi segreti. Cosa spaventa di Giovanni? Dovunque va tende a alimentare comportamenti virtuosi e gentili. E anzi c’è un’idea altissima che attraversa (e ispira) il romanzo: la rinuncia a esercitare il potere è l’unica cosa che spezza quella inesorabile legge della forza che governa il mondo (l’incipit è un apologo su un leopardo che si lascia morire di fame per improvvisa pietà verso le gazzelle). La musa dell’autore è quella satirica. In una pagina impietosa sulle foto degli scrittori in quarta di copertina leggiamo: «Chi ostenta uno sguardo intenso, chi si tocca con una mano la montatura degli occhiali, chi si fa immortalare mentre lavora alla scrivania, fingendo di essere stato sorpreso dall’obiettivo». Presta è uno di due conduttori radio de Il ruggito del coniglio, dove commenta la vita quotidiana con intelligente umorismo e leggerezza. Anche nel romanzo precedente, Un calcio in bocca fa miracoli, riusciva a contemperare satira di costume, gusto della descrizione sociale, comicità lieve. Mica è Adorno, né pretende di ridefinire il canone letterario della contemporaneità. La scrittura è veloce, quasi da noir, con una inclinazione all’iperbole: «sentì il sangue addensarsi come marmellata di mele cotogne». L’insofferenza verso i vizi endemici dei nostri connazionali, esibizionismo, volgarità, prepotenza, sceglie il tono della commedia dolceamara. Il Piantagrane fa pensare a un film come Viva la libertà di Andò: prodotti onesti, accurati che contengono un inizio di ragionamento morale e che ci fanno ridere senza incarognirci. Poesie di Emily Dickinson, lette da Giovanna Mezzogiorno, Audiolibro Emons 35 euro MAX PERKINS, l’editor dei geni di A. Scott Berg, traduz. M.Capuani, Elliot, cd 11 euro Mare chiuso di Stefano Liberti e Andrea Segre, Minimum Fax, dvd e libro 13 euro scaffale è stata una delle voci femminili più intense della poesia. Nata 1830 in Massachusetts, Emily Dickinson scrisse 1775 poesie ma ne pubblicò solo 7. Solo dopo la sua morte nel 1886, cominciò a essere apprezzata. Una scelta delle sue liriche più belle sono lette da Giovanna Mezzogiorno in questo imperdibile audiolibro Emons. Dietro le quinte della grande letteratura Usa. Il vero deus ex machina del successo de Il Grande Gatsby di Fitzgerald di altri classici, fu Max Perkins una figura poco nota al grande pubblico ma che gli addetti ai lavori conoscono come l’editor di autori come Heminguay e Tom Wolfe. Un’avvincente biografia ne ripercorre la vita. Dall’autore di Land grabbing e di altri importanti libri inchiesta, Stefano Liberti, un libro e un puluripremiato documentario, realizzato in collaborazione con Andrea Segre, sugli abusi perpetrati durante i respingimenti di migranti, tra il 2009 e il 2010, grazie agli accordi del governo italiano con la Libia di Gheddafi. 59 bazar cultura left.it buonvivere di Giulia Ricci Rosso di passione Junior di Martina Fotia Un’estate con il maghetto C I segreti della magia o il tuffo nella natura, e poi la barca a vela oppure la più comoda bicicletta. «Mamma, dove si va in vacanza quest’anno?». A questa “classica” domanda cerca di rispondere dal 15 al 17 marzo il Children’s tour, il Salone delle vacanze 0-14, presso il quartiere fieristico di Modena. Questo è in effetti l’unico luogo dove i piccoli viaggiatori possono sperimentare dal vivo le varie proposte e decidere in prima persona. Qui i genitori possono venire a conoscenza direttamente con località turistiche, villaggi, alberghi e strutture ricettive, parchi tematici, campi sportivi e centri per le vacanze studio, fattorie didattiche e percorsi naturalistici che hanno dato vita a servizi ad hoc per il target 0-14. Per i piccoli protagonisti il salone ha predisposto numerose attività di intrattenimento per far sperimentare un “assaggio” delle vacanze pensate appositamente per loro attraverso laboratori creativi e spettacoli. Oppure scoprendo l’avventura e nuovi sport con percorsi a tema e simulazioni. Ce n’è davvero per tutti i gusti, dai soggiorni più divertenti a quelli più istruttivi. Perché non approfittare delle vacanze per apprendere ad esempio...le arti magiche? La scuola estiva di stregoneria, all’interno dell’Oasi Lipu di Crava Morozzo in Valle Maira, località alpina in provincia di Cuneo, si dice sia proprio la stessa dove ha studiato... Harry Potter! Qui, tra pozioni e incantesimi, si impara a conoscere gli animali, a prendersene cura nel rispetto delle loro caratteristiche e nel loro ambiente. Ma si può apprendere anche come far parte di un equipaggio e imparare a guidare un’imbarcazione. Così come affrontare un viaggio in bicicletta, per recuperare la dimensione lenta e antica degli spostamenti, in una avvincente sfida con se stessi. Più “slow”, invece, ma sempre attuale, la vacanza nelle fattorie didattiche, dove i bambini toccano con mano tante cose nuove prima viste solo sui libri. Qui ci si può sbizzarrire: dai giochi e le tradizioni di una volta al contatto con la natura. E possono imparare a fare il pane oppure a raccogliere la frutta. Divertimento e non solo. on la primavera alle porte, il freddo ormai passato e una situazione politica caotica, cosa c’è di meglio di un tuffo... nel vino? Il nettare degli dei, la bevanda sacra a Dioniso, ha accompagnato l’umanità sin dalle origini. E non è solo consolazione, è anche cultura. Se volete saperne di più, fino al 5 maggio la fondazione Musei Senesi (a Siena e in altri centri) ha allestito la mostra Vino fra mito e storia (www.museisenesi.org). Ma il vino è anche legato alla passione, all’eros. Per questo, c’è Enotica, il festival del vino e della sensualità al Forte Prenestino a Roma (www.enotica. net). Una full immersion dal 15 al 17 marzo tra le antiche mura con degustazioni di vini prodotti da 60 vignaioli e veri contadini, mostre, film e cene a tema. A promuovere Enotica è l’Enoteca di Forte Prenestino che dal 2004 prosegue l’esperienza di Terra e libertà/Critical Wine, ideata da Luigi Veronelli, il grande anarco-enologo che ha sempre lottato per il vino di qualità. Sempre a Roma (11 marzo, St.Regis grand hotel) anche un pomeriggio di... un’Apologia golosa con il Nobile di Montepulciano. commedia di c.b. Premier per caso U Claudio Bisio nel film Benvenuto presidente! 60 n uomo qualunque si ritrova d’un tratto Presidente della Repubblica. Lo tsunami Grillo certo insegna che tutto può succedere. Ma, almeno nel nuovo film di Riccardo Milani Benvenuto presidente! la buona volontà e l’inguaribile ottimismo di un montanaro, con il nome ingombrante di Giuseppe Garibaldi (Claudio Bisio) e per errore eletto Capo dello Stato, non bastano per rimanere al- 9 marzo 2013 left cultura left.it di Bebo Storti il taccuino IL PERSONAGGIO di Camilla Bernacchioni Angela fra teatro e cinema L a ragazza degli stracci dello stralunato Ratataplan (1979) di Nichetti, è cresciuta. Eppure Angela Finocchiaro, 57 anni, ammette che per rimanere in equilibrio tra piccoli problemi quotidiani e bilanci esistenziali, aggirando i pregiudizi della società, per le donne Ci vuole un gran fisico. E questo è il titolo del film d’esordio di Sophie Chiarello, dove l’attrice milanese - che cofirma anche soggetto e sceneggiatura - interpreta Eva: un ex marito, una figlia ribelle, autostima in calo e davanti a sé quei 50 anni che non riesce ad accettare. Angela quella soglia l’ha superata («il cinema mi fa bene, mi ha tolto 7 anni!» ironizza) con una buona dose di humor e scelte ponderate tra teatro, grande e piccolo schermo, fin dagli anni 70 con Quelli di Grock. Bizzarra e un po’ folle, ama Angela Finocchiaro la comicità che nasce dalla vita vera e nei suoi mille ritratti femminili porta ogni volta qualcosa di sé. Quanto c’è di lei in Eva? «Anche tutto», risponde. «L’idea era di fare un film al femminile sui problemi delle donne di mezza età di cui si parla poco nel nostro cinema. Eva sente che a 50 anni sta diventando invisibile. Se siamo riusciti nell’intento ogni donna ritroverà in lei qualcosa di sé». Lei si sente invisibile? «La nostra generazione è cresciuta con il la guida di un Paese. La bizzarra idea del film, in uscita il 21 marzo, è venuta a Nicola Giuliano che ha poi passato il testimone allo sceneggiatore Fabio Bonifacci. Nel cast con Bisio-Garibaldi, anche Kasia Smutniak, Stefania Sandrelli, Beppe Fiorello e Remo Girone. «Quando mi hanno presentato il progetto - racconta il regista - ero perplesso sul fatto di portare avanti l’onda lunga dell’anti politica, un sentimento che va avanti da troppi anni». Con qualche ritocco, la storia prende i toni di una favola senza comicità fine a se stessa. «Il Parlamento è una conquista - continua Milani - e credo che molte generazioni non lo sappiano». Giuseppe, Peppino per gli amici, si trova a ricopri- left 9 marzo 2013 femminismo, discutendo e mettendo in dubbio, cosa che da una parte ti dà forza ma dall’altra dolore perché senti di essere stata parte di un cambiamento e poi vai a finire nell’ombra. Ma oggi le donne non ci stanno a essere relegate ai ruoli di mamme o nonne». E il teatro cos’è per lei oggi? «Una zona piccola di libertà senza la “l” maiuscola, un terreno mio personale che porterò avanti finché ci sarà qualcuno che decide di rovinarsi una sera per vedermi». re un ruolo per il quale sa di essere inadeguato, ma contro ogni previsione raggiunge risultati inaspettati: non si farà corrompere, scuote le istituzioni in crisi. Qualche riferimento alla realtà? «Sono un italiano che vuol bene all’Italia e non credo che i politici siano tutti uguali - dice Milani - e penso che ci sia una parte della politica che ha più senso del potere invece che senso dello Stato». Da qui nasce il film «popolare ma non populista - precisa - l’Italia è divisa in due dal punto di vista etico, morale più che politico». In fondo Benvenuto presidente! «è la storia di un uomo qualsiasi che si rende conto che fare il politico è un mestiere e che bisogna saperlo fare». In fondo. L’otto m’arzo er nove me risiedo -Ma chi? Quella che sta al 9 di via Verdi? E ma doveva succedere! -Garantito! Certe minigonne si mette, da zoccola, che vai in giro a provocare! -La madre devi vedere che si trucca e si veste come una ragazzina, la pera non cade lontano dal pero! -E di pere ce ne hanno tutte e due! -Cazzo che bocciofila che hanno aperto madre e figlia! -Certo con una così in casa poi non è che non diventi puttana! Il marito dov’è? -È separata. E l’altra figlia più piccola che c’ha 14 anni ma c’ha due pere pure lei! -Ah! Ho capito, va alla scuola di mio nipote! Dice che nei cessi succede la qualsiasi, che è già sulla buona strada. Comunque la grande è puttana! -Ma l’hai vista che passa con la puzza sotto il naso e non ti guarda! -Secondo me è lesbica, non caga nessuno nel quartiere! Ha detto Pino, l’elettrauto, che lui l’ha vista una volta... -Ma se sei così non è che non ti deve succedere -Esci la sera? Te li devi prendere i tuoi rischi! Non è che puoi fare come vuoi! -Ma se c’era un marito! Fosse mia moglie sai le sberle che si prendeva! -Ma se la tua ti dice anche se devi cacare o no! -Sì, bravo lo spiritoso che la tua c’ha sempre i lividi! -Mi rompe il cazzo! -Ma i lividi non si devono vedere! Fatti furbo! -Comunque adesso è in ospedale! Ma sono stati ragazzi del quartiere? -Pare di sì, ma sono giovani c’hanno sempre il cazzo in tiro. Gli devi fare una colpa? -Allora devono essere tutti ricchioni? -Se era mia figlia le prendeva anche da me quando tornava a casa! 61 [email protected] cultura roma roma torino REGGIO EMILIA L’Oreste di Herzog Bellocchio e Muti La stella d’Oriente L’Oreste di Euripide rinasce al teatro Vascello dal 21 al 24 marzo. Lo spettacolo è scaturito da un’idea di Marco Bellocchio. Attraverso la regia di Filippo Gili la tragedia greca si intreccia con la storia de I pugni in tasca (film d’esordio di Bellocchio). Protagonista l’attore Pier Giorgio Bellocchio nel doppio ruolo di Oreste/Ale. Verdi torna al Teatro dell’Opera dopo 10 anni di assenza. Due nomi d’eccezione per la tragedia lirica I due Foscari. Il maestro Riccardo Muti, sul podio e il visionario regista tedesco Werner Herzog alla regia. In scena martedì 12 e giovedì 14 marzo sempre alle 20. Domenica 10 in scena alle 16:30 e sabato 16 alle 18. roma udine napoli Grazie alla Tav... Visionario Gondry Il pittore Compleanno n. 20 per dello schermo il FilmForumFestival. Von Arx torna a casa Dal 15 marzo al 21 aprile al Maxxi la mostra fotografica Tav Bologna-Milano. Oltre 100 fotografie raccontano le opere pubbliche e l’impatto sul paesaggio e sugli stessi fotografi. La mostra si apre il 14 marzo con un incontro pubblico. 62 Nove giorni di proiezioni, incontri, convegni ed eventi saranno legati dal tema della proprietà intellettuale. Il festival dal 12 al 21 marzo, si apre con la proiezione del docufilm The we and the I di Michel Gondry. Dal 21 al 24 marzo Torino ospiterà la kermesse Stella d’Oriente. Il festival, giunto alla XII edizione, è il più importante a livello europeo di danza musica e cultura orientale. Promotrice del progetto è Aziza Abdul Ridha, danzatrice accreditata in tutto il mondo e fondatrice del Centro Aziza a Torino. Il programma si divide tra workshop e serate di spettacoli e competizioni tra danzatrici e ballerini mediorientali e non solo. ferrara Definito così da Wenders, Antonioni sarà il soggetto di una grande retrospettiva in mostra a Palazzo dei Diamanti, dal 10 marzo al 9 giugno. Lo sguardo di Michelangelo Antonioni e le arti è il titolo della mostra firmata Dominique Paini. Si celebra il regista confrontando il suo percorso con le opere di artisti come Pollock, Burri, Morandi, De Chirico, Rothko e Vedova. In mostra anche Film, libri, dischi, foto, lettere e documenti. A tu per tu con Picasso Dall’8 marzo al 1 aprile Palazzo Magnani a Ferrara aprirà le porte a una delle migliori opere della maturità di Picasso. Femme sur un fauteuil. Buste è un ritratto del ‘62 di Jacqueline, moglie del pittore. Sarà il soggetto di questo appuntamento di Arte in Agenda. A tu per tu con... la serie di eventi che la Fondazione Palazzo Magnani ha in programma per celebrare opere e personalità della storia dell’arte. Il dipinto appartiene alla Collezione Barilla di Arte Moderna. Il 16 e 17 marzo il Teatro San Carlo di Napoli potrà riabbracciare un grande violinista partenopeo. Fabrizio Von Arx presenterà per la prima volta in Italia il suo nuovo disco. Al lavoro ha partecipato anche il direttore della Prague Sinfonia Orchestra, il maestro Christian Benda che sarà chiamato alla direzione del concerto. Max Bruch, Pablo de Sarasate e Ernst Bloch interpretati da Von Arx nell’ultimo disco saranno il programma del concerto. 9 marzo 2013 left left 7 giorni su 7 ©2012 thewashingmachine.it ww.unita.it Abituata a #voleredipiù Dal 7 maggio Dal 7L’Unità maggio L’Unità torna grande: formato, tornanuovo grande: nuovo format più pagine, rubriche piùinserti, pagine, inserti, rubriche e approfondimenti. e approfondimenti. Ogni sabato left+l’Unità 2 euro. Nei giorni successivi euro 0,80 + il prezzo del quotidiano www.left.it www.unita.it