Percorso Integrato per il sost. maternità e patenità

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Percorso Integrato per il sost. maternità e patenità
Percorso integrato
per il sostegno della maternità e paternità fragile
“Credo che il modo migliore per difendere i bambini.
sia quello di difendere e custodire i loro genitori.
ricostruire i loro genitori nella loro dignità di adulti.
e in questo senso restituire dei genitori integri ai bambini”.
M.C. Kock
Settembre 2014
Coordinatori
Podavitte Fausta
Direttore Dipartimento ASSI
Narra Mauro
Responsabile U.O. Famiglia Infanzia ed Età Evolutiva
Ferrari Adele
Responsabile U.O. Consultori Familiari e Tutela Minori
Altri componenti ASL
Cecchi Daniela
Direttore del Servizio Assistenza Medica Territoriale
Dagani Annarita
Assistente Sociale - DGD 5
Di Meo Simonetta
Responsabile S.I.T.R.A.
Soldati Luigia
Responsabile Coordinamento area Materno Infantile, Igiene,
Prevenzione e Medicina di Comunità
Testa Adriana
Responsabile U.O. Famiglia - DGD 2
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Strutture/Enti coinvolti nella elaborazione del percorso integrato
Dr. Emilio Sacchetti
Dr. Fabio Panariello
A.O. Spedali Civili BS
A.O. Mellino Mellini
A.O. Desenzano del Garda
Fondazione Poliambulanza
Istituto Clinico S. Anna
Direttore Unità Operativa di Psichiatria
n.22 - Servizio Psichiatrico Diagnosi e
Cura (DSM)
Equipe medica Unità Operativa di
Psichiatria n.22 - Servizio Psichiatrico
Diagnosi e Cura (DSM)
Dr.ssa Francesca Ramazzotto
Unità Operativa Ostetricia e
Ginecologia
Dr.ssa Claudia Stegher
Unità Operativa Ostetricia e
Ginecologia
Dr.ssa Emanuela Beretta
Responsabile Servizio di
Psicologia dell’Area Ostetrica
Sig.ra Chiara Pedersoli
Unità Operativa Ostetricia/Ginecologia
P.O. Iseo
Sig. Fabrizio Perillo
Coordinatore Infermieristico Ostetrico
Dr. Renato Brighenti
Direttore Dipartimento Salute Mamma
e Bambino
Dr.ssa Agnese Angeli
Responsabile Terapia Intensiva
Neonatale - Dipartimento Salute
Mamma e Bambino
Dr.ssa Giovanna Ghitti
Servizio Assistenti Sanitarie
Dr. Roberto Garbelli
Responsabile Unità Operativa
Ostetricia e Ginecologia
Dr.ssa Annamaria Della Vedova
Cattedra di Psicologia
Dr. Antonio Vita
Cattedra di Psichiatria
Università degli Studi di Brescia
Referente PDF
Dr.ssa Chiara Ticozzi
Referente PDF
Dr. Barbara Adinolfi
Referente MMG
Dr.ssa Grazia Rinaldis
Consultori Familiari Accreditati
Dr.ssa Francesca Stefana
Rappresentanti Ambiti
Territoriali
Consultori CIVITAS Valletrompia
Dr.ssa Piera Valenti
Ambito Territoriale n. 6
Sig.ra Caterina Brianza
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INDICE
Premessa
pag. 5
Obiettivi del percorso integrato
pag. 7
Definizione di maternità fragile
pag. 7
Indicatori di rischio e di protezione
pag. 9
Maternità a rischio e Psichiatria
pag. 12
Quando segnalare alla Psichiatria
pag. 13
La fragilità specifica dei bambini migranti e
la vulnerabilità delle famiglie migranti
pag. 14
I Servizi dell’ASL, la rete integrata ed i progetti in atto
pag. 15
Il Tavolo di Lavoro per la costruzione della rete per
il sostegno alla maternità fragile
pag. 17
Percorsi di intervento
pag. 17
Sintesi delle strategie di intervento
pag. 18
Tipologia famiglie destinatarie del percorso integrato
pag. 18
Gli attori del percorso integrato
pag. 18
Sintesi del percorso
pag. 21
Collaborazione del Consultorio Familiare con il Servizio
di Psichiatria
pag. 22
Attuazione e prima verifica del percorso integrato
pag. 22
Allegato n. 1: Interazioni tra rischio, stress e fattori protettivi nella violenza all’infanzia.
Allegato n. 2: Richiesta di collaborazione e attivazione progetto.
PREMESSA
Una parte significativa del disadattamento infantile nei primi anni di vita può essere
attribuita a condizioni di genitorialità a rischio che precedono la nascita del bambino. La
capacità di rilevare tempestivamente, già a partire dalla fine della gravidanza e nei primi
mesi di vita del bambino, la presenza di fattori di rischio psicosociale permette di
migliorare e favorire lo sviluppo delle capacità genitoriali e di prevenire il disadattamento
infantile.
Negli ultimi decenni si è assistito ad uno sviluppo esteso di interventi precoci a favore dei
bambini a rischio (Ammaniti, 2006). Si è sempre più affermata la convinzione che gli
svantaggi iniziali con cui nasce un bambino possono essere compensati con opportuni
interventi volti a fornire un supporto alla relazione precoce madre-bambino, aiutando il
genitore a riconoscere e ad interpretare i segnali del bambino, ad instaurare una
comunicazione intima, a trovare i giusti ritmi con il figlio nei vari momenti della vita
quotidiana.
E’ dimostrato che gli interventi di prevenzione nei primi anni di vita, fra cui in particolare gli
interventi domiciliari di sostegno alla genitorialità, sono più utili e meno costosi rispetto ad
interventi più tardivi finalizzati a rimediare situazioni ormai deteriorate nel bambino più
grande o nell’adolescente.
L’attività rivolta alle situazioni/famiglie problematiche a diversi livelli, nell’area ostetrica e
pediatrica e nell’area psicologico-sociale, è ormai consolidata, pur essendo in costante
trasformazione ed evoluzione.
La riflessione sull’attività dei Consultori Familiari, in particolare sull’evoluzione avvenuta in
questi anni, la letteratura ormai decennale, le sollecitazioni provenienti dalle Istituzioni
impegnate in questo settore, hanno motivato la decisione di avviare un percorso di
collaborazione interistituzionale con l’obiettivo di costruire prassi operative di rilevazione
delle situazioni di fragilità e attivare, con un progetto integrato, interventi di sostegno.
Il focus di questo progetto è, pertanto, prioritariamente quello di rivolgersi alla prevenzione,
orientando l’attenzione all’individuazione delle situazioni di rischio e fragilità che possono
essere sostenute a sviluppare potenzialità per un sereno rapporto genitoriale.
L’elaborazione di un percorso integrato permette di condividere tutte le esperienze in atto,
evidenziare le buone prassi e attivare sinergie per un efficace intervento di potenziamento
del benessere della madre, della coppia e del rapporto genitoriale.
Da diversi anni l’attività consultoriale ha sperimentato sinergie positive, soprattutto con le
Aziende Ospedaliere, per quanto riguarda l’interruzione di gravidanza, la gestione delle
gravidanze difficili e la dimissione protetta, tramite accordi interistituzionali e formazione
congiunta per gli operatori interessanti.
Il rapporto quotidiano con le famiglie ha sollecitato l’avvio di riflessioni in merito
all’esigenza di costruire una rete cooperante tra tutte le realtà che si occupano della
“maternità fragile” per favorire un reale sostegno in un’ottica progettuale e orientata allo
sviluppo delle potenzialità della famiglia. Pertanto è stato avviato un confronto tra i
rappresentanti dei Consultori Familiari dell’ASL, dei Punti Nascita, delle Amministrazioni
Comunali, dei Servizi di Psichiatria, oltre a quelli dei Pediatri di Famiglia e dei Medici di
Medicina Generale.
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Al progetto partecipa l’Università di Brescia, cattedra di Psicologia Generale, collaborando
alla fase progettuale, alla valutazione dell’attuazione del progetto, dei risultati conseguiti
ed alla formazione degli operatori.
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OBIETTIVI DEL PERCORSO INTEGRATO
1. Individuare in modo precoce le situazioni di disagio/rischio nella relazione
genitoriale, condividendo indicatori, prassi efficaci e validate, strategie di
intervento, al fine di:
sostenere le competenze genitoriali e favorire la costruzione di legami di
attaccamento sicuro nei bambini;
prevenire episodi di trascuratezza, di maltrattamento fisico–psicologico e di
abuso;
aiutare il/i genitore/i ad adattare il proprio comportamento allo sviluppo del
bambino e favorire la relazione;
aumentare la capacità di osservazione materna, attivare le sue capacità di
comunicazione e di ascolto del bambino;
rafforzare l’autostima della madre/ dei genitori;
sostenere l’autoefficacia materna focalizzandosi su piccoli obiettivi.
2. Costruire e implementare una rete di collaborazione tra Enti per condividere i
criteri di rischio, per utilizzare le competenze di ogni interlocutore con procedure
concordate e rendere fattibile l’integrazione operativa.
3. Attivare alcune sperimentazioni di supporto e di accompagnamento al/i genitore/i.
DEFINIZIONE DI MATERNITÀ FRAGILE
Il termine maternità fragile è inteso come “fragilità delle cure primarie del bambino” e
quindi anche il padre entra in gioco, nel caso sia presente nel nucleo familiare. Infatti il
benessere della madre e quindi del bambino, dipende in buona parte dalla positiva
relazione di coppia.
Possiamo evidenziare quanto affermano Cena, Imbasciati, Baldoni, nel testo “Prendersi
cura dei bambini e dei loro genitori” – Springer, 2012, “la qualità dello sviluppo psichico e
anche psicosomatico di un bambino dipende dalla situazione in cui si svolge la cura
primaria del bimbo e cosa egli assimili per strutturare la sua mente e – come oggi
dimostrato – il suo stesso cervello: da tali acquisizioni primarie, che a loro volta dipendono
dalla qualità delle interazioni che con i genitori accadono nell’accudimento, dipende uno
sviluppo ottimale del bambino e di qui del futuro individuo, piuttosto che uno sviluppo
disfunzionale, difettoso, patologico. Il senso del curare un bambino rimanda al concetto di
“cure materne”. Da tempo ormai si sa che un deficit delle cure materne produce facilmente
patologie psichiche, spesso evidenti solo tardivamente.”
La qualità delle relazioni che il bambino stabilisce nei primi mesi/anni di vita, in particolare
il legame di attaccamento, influenza, quindi, profondamente il suo sviluppo emotivo,
cognitivo ed affettivo.
Nel testo “ La promozione della salute psichica perinatale”, curato da A.M. Della Vedova e
C. Cristini, Imbasciati afferma: “…. ne discende la necessità, per assicurare un adeguato
passaggio di significati ed esperienze fra le generazioni, in altri termini una positiva
transgenerazionalità, che tutti i genitori possano fruire di un’adeguata consulenza e
assistenza, preventiva e curativa, onde potenziare le loro capacità, se sufficienti, o aver
cura di loro, con eventuali interventi psicoterapeutici, se queste capacità sono insufficienti
a garantire un adeguato sviluppo del bimbo…..Occorre in altri termini poter supportare e
incrementare la capacità dei genitori di trasmettere transgenerazionalmente delle
adeguate strutture mentali”.
Occorre dunque curare le relazioni e tale cura può aver senso solo se rivolta,
preventivamente, ai genitori durante il periodo della perinatalità dei loro piccoli.
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È sulla coppia genitoriale che potrà essere esplicata quella ulteriore strutturazione emotiva
che arricchirà le doti esistenti nella coppia o, se queste sono deficitarie, potrà modulare
una ristrutturazione che supplisca, almeno in parte, a quanto quella coppia mancò nelle
esperienze primarie.
La cura della transgenerazionalità va dunque intesa come assistenza globale alla coppia,
in tutte le sue fasi, di formazione, di sintonia di coppia, di decisione e di filiazione.
L’attenzione dell’operatore non può essere sul bimbo, ma sulla relazione che si svolge coi
suoi genitori, o meglio che i genitori, con le loro capacità psichiche adeguate o inadeguate,
modulano in bene o in male, col loro bimbo”.
M. Prezza nel suo libro “Aiutare i neo-genitori in difficoltà” ribadisce che “fare famiglia vuol
dire, oggi più che mai, avviare un delicato processo di trasformazione e condivisione che,
per tutelare nel modo migliore il nuovo nato, deve garantire la capacità di stare insieme in
uno scambio reciproco di legittimazione e sostegno, con una contemporanea chiarezza
dei confini, dei ruoli e dei compiti, sia a livello di coppia, sia di famiglia allargata e di
gruppo sociale”.
Oltre alle importanti e significative riflessioni evidenziate dagli autori sopra citati, non si
possono omettere gli studi di Bowlby che ci hanno condotto alla conoscenza dell’esistenza
di specifici “modelli operativi interni”, che sono implicati e deputati alla costruzione dei
primi e significativi legami di attaccamento che intercorrono tra genitori e bambini. Sono
inoltre tali modelli, che, tramandandosi di padre in figlio, veicolano la trasmissione transgenerazionale delle specifiche modalità di attaccamento e conseguentemente del
possibile disagio o della futura “salute mentale”.
La genitorialità quindi, il divenire genitore e l’assumersi la cura del proprio figlio, ha il
potere di attivare funzioni mentali adeguate al nuovo compito, quali il favorire la crescita
del bambino attraverso i legami di attaccamento, ma allo stesso tempo può suscitare
turbolenze emotive ed identificatorie che possono creare transitorie difficoltà in ogni
genitore, o, anche, problematiche e conflittualità che riguardano il passato genitoriale e
che risultano più difficilmente affrontabili e superabili. Intervenire in questo ambito è
estremamente significativo, proprio perché (Bowlby) “…la storia dei genitori non diventi il
destino dei figli…”.
D. Stern, nel suo libro “La Costellazione Materna” (1995), ci indica infatti come faccia parte
proprio della specificità di questa fase della vita che i genitori sentano di aver bisogno di
un aiuto o meglio di una “rete di aiuti” per le molteplici difficoltà che possono sperimentare.
Tali aiuti possono a volte essere intesi come il bisogno di essere capiti, confortati,
supportati anche nella quotidianità da figure benevole e supportive.
Questi bisogni non sempre trovano una risposta adeguata, soprattutto per le famiglie
migranti prive di un supporto familiare e con modelli interiorizzati di assistenza e di cura
che non sempre corrispondono a quelli del Paese dove si trovano a far nascere e crescere
i figli. Anche in famiglie italiane però si rileva l’incidenza di una situazione di isolamento
sociale e relazione favorisca una condizione connotata da rischio evolutivo per il bambino.
Gli interventi preventivi e clinici nel campo della prima infanzia comportano la necessità di
essere coinvolti empaticamente e sintonicamente nel clima suggestivo della genitorialità
per costruire e offrire un’autentica “matrice di supporto della relazione” (Stern “La
Costellazione Materna”) che sia affidabile, disponibile e propositiva.
Nel rapporto con questi nuclei familiari, la capacità di osservare risulta di grande rilevanza.
Lo sviluppo della capacità di osservare, di mantenere una posizione di attesa benevola e
recettiva, di ascoltare le profonde implicazioni emozionali, di acquisire una “capacità
negativa”, cioè di non accedere ad un sapere già precostituito, ma di scoprire realtà e
nuovi saperi sono alcuni degli elementi tra i più significativi degli interventi nel settore
dell’infanzia.
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INDICATORI DI RISCHIO E DI PROTEZIONE
La letteratura inerente il tema della genitorialità, pone grande attenzione alla necessità di
interventi di prevenzione rivolti alla popolazione in generale e di azioni preventive per
fasce di popolazione considerata a rischio.
Nell’ideare interventi di prevenzione efficaci, occorre fare riferimento a un modello
eziologico che tenga conto di tutti i fattori, di qualsiasi valenza, presenti in quel contesto,
per quella persona.
La vulnerabilità non è una caratteristica delle persone, non è una loro qualità. Si tratta di
una condizione, transitoria, che può evolvere in maniera positiva o negativa da una serie
di fattori personali, relazionali e ambientali che interagiscono fra loro. Si tratta di un
concetto dinamico perché riguarda il processo di sviluppo; la condizione di funzionamento
psichico in situazione di vulnerabilità è tale per cui una variazione anche di poco conto
della situazione interna o esterna può causare una disfunzione, una sofferenza, un arresto
anche grave.
Superata la prospettiva della causalità diretta e anche quella, più evoluta, della causalità
multifattoriale, “appare particolarmente importante dotarsi di un modello interpretativo che
consenta di non sottovalutare né gli eventuali elementi familiari che mettono a rischio il
bambino né le potenzialità e le risorse su cui far leva per contrastare o ridurre l’impatto dei
fattori negativi”. (Di Blasio, 2002).
Questo modello interpretativo prende in considerazione la presenza di fattori di rischio,
distali e prossimali, e di fattori di protezione, distali e prossimali, nonché di fattori di
resilienza presenti nel bambino.
“I fattori distali sono così denominati perché esercitano un’influenza indiretta e
rappresentano lo sfondo su cui vengono a innestarsi altri elementi più vicini e prossimi
all’esperienza di cui sono intessute le relazioni”, rendendo “le famiglie e gli individui più
vulnerabili…I fattori prossimali, invece, si riferiscono a caratteristiche individuali o
ambientali oppure a eventi che esercitano un’influenza diretta nelle relazioni” ( Di Blasio,
2000).
I fattori di rischio sono da considerarsi quali potenziali veicoli di disagio psico-sociale per la
persona e la famiglia e possono sfociare in difficoltà nella modulazione delle competenze
genitoriali, creando vere e proprie situazioni di maltrattamento od omissione parziale o
totale di cure verso il bambino.
Ormai appare consolidato il concetto della trasmissione intergenerazionale del
comportamento deviante, cioè le condotte devianti possono essere trasmesse da una
generazione all’altra. L’idea che ci guida è anche quella di interrompere questa “catena di
trasmissione del disagio familiare” e creare condizioni di vita e di relazioni adeguate e
sane.
Orientarsi alla prevenzione vuol dire assumere la prospettiva del pensare al futuro, allo
sviluppo delle potenzialità e alle risorse delle persone e dei contesti che offrono
accoglienza, relazioni di appartenenza e di solidarietà reciproca.
In questo modo gli interventi vanno rivolti alla singola famiglia, ma anche al contesto per
incrementare le relazioni, contrastando le situazioni di isolamento personale e sociale.
E’ una scelta di campo basata sulla protezione del bambino e dell’intera comunità.
Il modello di lettura adottato è quello che fa riferimento a fattori di rischio e protettivi per
valutare se sia più opportuno tutelare il bambino da genitori che sono causa delle sue
difficoltà o intervenire a sostegno di una famiglia che, seppur in crisi, è tuttavia
sostanzialmente in grado di far fronte alle difficoltà da cui è attraversata, senza mettere i
figli in condizione di pregiudizio (Di Blasio, 1997; 1999; 2000).
Gli operatori che sono chiamati a intervenire con l’obiettivo di ridurre la prevalenza della
violenza, e che quindi devono individuare precocemente i segnali di rischio e comprendere
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se i bambini si trovino in una situazione pericolosa, hanno un compito tutt’altro che facile,
poiché spesso la consapevolezza di dover fare qualcosa si intreccia alla mancanza di
elementi chiari e definiti che permetterebbero di agire in modo appropriato. In assenza di
segni palesi di maltrattamento fisico o di trascuratezza o di dichiarazioni riguardanti un
abuso sessuale, seppur in presenza di bambini sofferenti e di famiglie in difficoltà, ci si
trova in una zona d’ombra, attraversati dal dubbio sul significato da assegnare a quel
complesso intreccio di elementi che ancora non si sono organizzati in un quadro
intellegibile. In questa fase possono manifestarsi pregiudizi culturali e personali che
possono, a secondo dei casi e del contesto storico, orientare verso atteggiamenti che
privilegiano a tutti i costi la tutela del bambino o che, al contrario, salvaguardano il
presunto diritto dei genitori a occuparsi dei figli come credono o possono.
Appare quindi importante dotarsi di un modello interpretativo che consenta di non
sottovalutare né gli eventuali elementi familiari che mettono a rischio il bambino né le
potenzialità e le risorse su cui basarsi per contrastare o ridurre l’impatto dei fattori negativi.
L’esperienza ha permesso di osservare molte persone (bambini e adulti) che presentano
la capacità di mantenere un discreto livello di adattamento anche in condizioni di vita
particolarmente sfavorevoli, una capacità di non soccombere anche nelle situazioni più
avverse. Queste analisi hanno favorito lo sviluppo di un approccio più completo sul rischio,
basato sui profili di rischio, sul rapporto tra rischio e risorse e fattori protettivi, superando le
classiche concezioni della causalità diretta o della causalità multifattoriale. I concetti di “
risorsa” e di “ fattori protettivi” e di “processi protettivi” sono opposti a quelli di rischio
poiché la loro presenza è predittiva di un buon adattamento.
Con fattori di resilienza si fa riferimento al concetto di resilienza introdotto da Cyrulnik
nell’ambito della psicologia dell’età evolutiva, con cui si intende la capacità di resistere ai
fattori di crisi e di superarli (Cyrulnik, 1999).
Le situazioni familiari multiproblematiche o difficili, nelle quali potrebbe esserci il rischio di
violenza nei confronti dei figli e per le quali sembra opportuno avviare progetti di
prevenzione o di contenimento del danno, appaiono contrassegnate da dinamiche e da
condizioni di vita instabili che non consentono di prevedere se prevarranno i fattori di
rischio o quelli protettivi. Spesso, poi, la propensione di queste famiglie a nascondere e a
celare i problemi genera negli operatori un assetto mentale che privilegia l’osservazione e
l’individuazione delle sole condizioni di rischio, a scapito dei fattori protettivi.
Occorre, invece, rispondere alla complessità che caratterizza le condizioni di vita delle
famiglie e dei bambini con un repertorio ampio di progettualità, per cogliere le sfumature e
gli spazi entro cui sollecitare possibili risorse.
L’interazione fra rischio e protezione appare, al momento attuale, un modello concettuale
valido che viene proposto anche in questo lavoro.
Si assume quale riferimento per la valutazione del rischio la scheda predisposta dalla
dott.ssa De Blasio e riportata nella bibliografia (All.1).
I fattori distali sono così denominati perché esercitano un’influenza indiretta,
rappresentano lo sfondo su cui vengono a innestarsi altri elementi più vicini e prossimi
all’esperienza di cui sono intessute le relazioni. Essi determinano una sorta di
sensibilizzazione nel senso che creano un mal adattamento che rende le famiglie e gli
individui più vulnerabili, ma non sono connessi in termini di causa-effetto alle specifiche
situazioni relazionali o individuali che concorrono a favorire l’emergere di comportamenti
maltrattanti o abusanti.
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Fattori di rischio distali
1. basso livello di istruzione;
2. giovane età della madre;
3. famiglia monoparentale;
4. carenza di reti interpersonali e di integrazione sociale;
5. esperienze di rifiuto e/o violenza subite nell’infanzia;
6. sfiducia nelle norme e istituzioni sociali;
7. accettazione della violenza e delle punizioni come pratiche educative;
8. accettazione della pornografia;
9. scarse conoscenze e disinteresse per lo sviluppo del bambino.
I fattori prossimali si riferiscono a caratteristiche individuali o ambientali oppure a eventi
che esercitano un’influenza diretta nelle relazioni, sono percepibili nell’esperienza
soggettiva e investono lo spazio di vita, le emozioni e i comportamenti quotidiani.
Possono avere una valenza negativa e per questo contribuiscono a potenziare ed
amplificare il rischio, nel senso che ne amplificano l’effetto, oppure una valenza positiva
che contribuisce a ridurre la portata dei fattori di rischio.
Nel primo caso, vale a dire quando hanno una valenza negativa, si parla di “fattori di
stress o di amplificazione del rischio”, nel secondo caso di “fattori protettivi”, intesi nella
specifica accezione di elementi che entrano in gioco riducendo l’effetto dei fattori di rischio.
Fattori di rischio prossimali o aggravanti
1. psicopatologia dei genitori;
2. devianza sociale;
3. abuso di sostanze;
4. debole o assente capacità di assunzione delle responsabilità;
5. sindrome da risarcimento;
6. distorsione di emozioni e capacità empatiche; impulsività;
7. scarsa tolleranza alle frustrazioni; ansia da separazione; gravidanza e maternità
non desiderate;
8. relazioni difficili con la propria famiglia e/o con quella del partner;
9. conflitti di coppia e violenza domestica;
10. malattie fisiche o disturbi alla nascita del bambino.
La dinamicità dei processi protettivi risiede, quindi, nell’intreccio con quelli di rischio.
Quando un fattore protettivo entra in gioco, è probabile che una traiettoria
precedentemente a rischio cambi direzione in senso positivo.
Se, invece, a causa dei fattori di stress, le condizioni di vulnerabilità della famiglia vengono
ulteriormente aggravate, aumenta la probabilità di una evoluzione maltrattante o abusante.
Fattori protettivi
1. sentimento di inadeguatezza per la dipendenza dai servizi;
2. capacità empatiche;
3. rielaborazione della violenza subita nell’infanzia;
4. assunzione di responsabilità;
5. desiderio di migliorarsi;
6. autonomia personale;
7. buon livello di autostima;
8. relazione attuale soddisfacente almeno con un componente della famiglia
d’origine;
9. rete di supporto parentale e amicale;
10. capacità di gestire i conflitti.
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In sintesi il valore esplicativo del modello consiste nella interconnessione che viene a
determinarsi tra i diversi fattori.
MATERNITÀ A RISCHIO E PSICHIATRIA
L’approccio alla depressione puerperale o post partum si deve collocare non solo nel
periodo postnatale, poiché rischierebbe di essere tardivo e solo parzialmente efficace sul
decorso dei sintomi psichici che si possono verificare nella maternità. Diversi sono i fattori
di rischio che è bene considerare già in epoca prenatale; tra di essi in modo particolare
hanno rilevanza una depressione in gravidanza associata ad una storia positiva per
depressione, la presenza di ansia in gravidanza, la presenza di disturbi del sonno ed una
scarsa tolleranza al dolore.
Anche l’assetto strutturale di personalità di una donna può contenere elementi di rischio,
come tratti di perfezionismo e di controllo che possono rendere complessa la gestione di
una gravidanza vissuta come elemento nuovo da imparare a gestire senza perdere
l’equilibrio e la stabilità ormai raggiunta ed assestata da tempo, oppure una bassa
autostima, una scarsa considerazione delle proprie abilità e risorse nel saper affrontare
una nuova esperienza.
Inoltre anche l’ambiente, il contesto nel quale vive e si confronta una donna è importante,
perché capace di modularne il suo assetto biopsichico. Pertanto eventi di vita accaduti
nell’anno prima della gravidanza e individuati dalla futura madre come particolarmente
stressanti o negativi, possono essere predittivi di depressione pre e post natale.
Anche uno scarso supporto sociale, in modo particolare quello del proprio partner, sembra
incidere come fattore di rischio sullo sviluppo di una psicopatologia in maternità.
Altri fattori ambientali sono sicuramente da contestualizzare rispetto all’ambiente
socioculturale vissuto dalle donne oggi. A fronte di dati di letteratura che ancora
evidenziano i livelli socioeconomici più disagiati come a rischio patologico, vi sono
sottogruppi di puerpere depresse che appartengono ad un livello scolastico ed economico
di medio-alto profilo, con partner e con un’attività lavorativa.
E’ verosimile che anche questo nuovo modello di vita proponga elementi disadattativi e di
stressor da rivisitare o meglio da prendere in considerazione non più come fattori
protettivi, ma come condizioni di rischio alla patologia.
Si dimostra un intervento preventivo assai funzionale nella gravidanza, la gestione
dell’ansia primaria e dei suoi correlati somatici.
La gravidanza è accompagnata spesso da sintomi fisici, particolarmente evidenti nel primo
trimestre. In questo periodo, infatti, la nausea e il vomito sono molto frequenti (50-70%
delle gravide), ma se perdurano o assumono una particolare gravità divengono oggetto
anche di interesse psicologico. Lo stato d’ansia può aumentare progressivamente con il
progredire della gravidanza con valori più alti nel 3° trimestre. Soprattutto la presenza di
ansia alla 32° settimana predice un significativo aumento della depressione nel periodo
post-natale.
Anche la depressione, soprattutto quella in fase attiva, può influire negativamente sul
decorso della gravidanza e sulla salute del nascituro: possono essere alterate le capacità
di autogestione della madre (cura di sé, alimentazione), possono essere messi in atto
comportamenti rischiosi (abuso di alcool e di sostanze, comportamenti discontrollati) o
francamente autodistruttivi, e la perdita di energia e di volontà possono provocare uno
scarso interesse alla gestione della gravidanza con una trascuratezza verso la propria
salute e quello dal nuovo nato.
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Secondo una ricerca condotta su oltre 4.500 tra genitori e bambini da un team
dell’Università di Bristol, i figli di donne che durante la gravidanza hanno sofferto di
depressione, rischiano di soffrire della stessa patologia entro i diciotto anni di età. Stando
a quanto emerge dallo studio pubblicato sulla rivista JAMA Psychiatry (Journal of the
American Medical Association), il cortisolo (ormone dello stress i cui livelli si innalzano in
presenza di disturbo depressivo) danneggia il feto, in quanto la salute mentale si sviluppa
già durante la gestazione. Anche la depressione post-partum, che accomuna molte donne
che devono affrontare un periodo di assestamento dopo la nascita del figlio, è risultata
essere un fattore di rischio tra le madri con un basso livello di istruzione: i loro figli
avevano più probabilità di essere anch’essi depressi. "Questi risultati suggeriscono che
curare la depressione in gravidanza, indipendentemente dall'ambiente di provenienza, può
essere la mossa più efficace per prevenire la depressione nei figli", afferma Rebecca
Pears, epidemiologa e ricercatrice presso l’Università di Bristol. Inoltre ha spiegato che le
persone più adatte per curare la depressione in gravidanza sono i medici ginecologi, che
più di psicologi, psichiatri e neurologi, sembrerebbero avere maggiore influenza sulle
future madri. La rivista JAMA Psychiatry ha sottolineato l’importanza di questi risultati che
permettono di elaborare un minuzioso piano d’azione. Sarà possibile infatti stabilire
scrupolosamente la natura e la tempistica dell’intervento per prevenire il disturbo nella
generazione immediatamente successiva.
Secondo March of Dimes, un’associazione di ricercatori, educatori e volontari statunitense
che ha come missione l’approfondimento della ricerca nel campo delle nascite premature,
della mortalità infantile e dei problemi di salute alla nascita, la depressione durante la
gravidanza è un malessere relativamente comune, con cifre che, secondo le loro stime,
possono toccare una donna su dieci.
Due ricercatori americani hanno condotto uno studio di recente basato sulla raccolta di
dati riguardo all’insorgenza della depressione in 791 donne durante il periodo di
gravidanza. Secondo i risultati, il 44% di queste soffriva di una forma depressiva, che nella
metà dei casi risultava essere decisamente grave. Non sempre si trattava di depressione
clinica, ma anche di uno stato dell’umore molto basso.
I ricercatori hanno poi monitorato le donne nel periodo del parto ed hanno rilevato che
quelle che avevano manifestato sintomi depressivi, risultavano più a rischio di avere un
parto prematuro, ovvero prima della trentasettesima settimana.
Il parto prematuro è uno dei fattori di rischio più elevati di mortalità infantile, ed il fatto che
le donne con problemi di depressione risultino più facilmente a rischio di questa
condizione, non fa altro che consolidare la tesi che la depressione è una condizione
sfavorevole per il buon andamento della gravidanza e per la salute del bambino, anche se
ancora è oscuro il meccanismo che associa il malessere con l’aumento del rischio di parto
prematuro.
Tale problema è ulteriormente amplificato dal fatto che durante la gravidanza è difficile e
problematico ricorrere ad antidepressivi, perché non è ancora ben chiaro l’effetto che molti
di questi farmaci possono avere sul nascituro.
I ricercatori sostengono che comunque è di importanza fondamentale che le donne che
sentono di soffrire di problemi depressivi, si consultino con il medico, perché insieme a
questo si possa valutare quali terapie mettere in campo per contrastare il malessere.
QUANDO SEGNALARE ALLA PSICHIATRIA
Si consiglia di inviare all’attenzione della valutazione specialistica psichiatrica le madri che
presentano almeno uno dei seguenti quadri:
13
1. importante cambiamento del tono dell’umore da almeno uno mese, con contestuale
scadimento del funzionamento psicosociale;
2. presenza di livelli di ansia, in forma sia libera che somatizzata, compromettenti il
riposo notturno, il livello di funzionamento psicosociale;
3. presenza di almeno due distinti attacchi di panico con ansia anticipatoria
4. comparsa di insonnia importante che segna un radicale cambiamento delle
abitudini nel riposo notturno o una alterazione dei ritmi circadiani sonno-veglia;
5. comparsa di disforia e/o elevazione del tono dell’umore;
6. presenza di sintomi psicotici (allucinazioni e/o deliri).
LA FRAGILITÀ SPECIFICA DEI BAMBINI MIGRANTI E LA VULNERABILITÀ DELLE
FAMIGLIE MIGRANTI
Le letteratura italiana e straniera, oltre all’esperienza professionale degli operatori, mette
in evidenza alcuni momenti di particolare vulnerabilità nella crescita dei bambini migranti.
Vulnerabilità che non va intesa in maniera meccanica, come causa di malessere o di
patologia, ma come condizione relazionale complessa, nella quale intervengono fattori
psicologici, sociali, culturali e ambientali, che possono costituire delle condizioni
potenzialmente sfavorevoli a un sano sviluppo. In questo modo si intende evitare di
diffondere un approccio semplificatorio secondo il quale la condizione migratoria in certe
fasi evolutive costituisca di per sé un fattore negativo dal punto di vista evolutivo.
Occorre invece considerare la migrazione come condizione di vulnerabilità, a fronte della
quale possono essere messe in atto risorse positive e resilienti da parte delle famiglie, ma
anche progetti o occasioni di incontri favorenti nell’ambiente di accoglienza, un aiuto a
traghettare nel nuovo mondo. L’esito quindi della condizione di vulnerabilità può essere
molto diverso a seconda di variabili individuali, familiari, gruppali, ambientali, che possono
permettere lo sviluppo della situazione critica in una direzione favorevole o perfino
eccellente, o viceversa essere all’origine di una sofferenza che impedisce l’evoluzione e lo
sviluppo.
Per le famiglie immigrate che si trovano in una condizione di transizione tra due culture, i
processi familiari che potevano essere funzionali nel loro paese d’origine, possono
pertanto rivelarsi inadeguati ad accogliere le sfide o le nuove regole incontrate nella
cultura di adozione (Falicovm 1998; Landau 2005), dove non possono contare più sul
sostegno offerto dalla famiglia estesa e dalle reti comunitarie che si sono lasciate alle
spalle. Queste famiglie sono incastrate tra due realtà sociali, sospese e in trazione tra due
direzioni inconciliabili. Sono famiglie che necessitano un sostegno, non tanto per adattarsi
al loro nuovo mondo, ma anche a conservare importanti connessioni con la famiglia
estesa, la comunità e la cultura d’origine.
Una fase critica per la famiglia migrante è certamente il periodo perinatale ed il primo anno
di vita.
Mettere al mondo un bambino in un Paese straniero costituisce un’esperienza di forte
intensità emotiva, perché alla situazione di crisi che ogni madre e padre sperimentano, si
somma il fatto di vivere un momento molto importante e trasformativo per la propria
identità e per il proprio ruolo in assenza della famiglia allargata, normalmente con funzione
di contenitore che sostiene sia dal punto di vista concreto che dal punto di vista simbolico
e tradizionale la nuova genitorialità. Nei Paesi tradizionali la funzione della famiglia
allargata è più importante rispetto al nostro contesto, dove prevale una rappresentazione
di famiglia nucleare indipendente e dove la relazione con la competenza femminile trans
generazionale non è ritenuta molto significativa. La nascita di un bambino fa sentire inoltre
più acutamente la nostalgia per le modalità tradizionali con le quali al Paese si realizzano
14
le trasformazioni dei legami familiari, il riconoscimento della maternità, la valorizzazione
sociale della coppia genitoriale; tutti elementi strettamente connessi con relazioni di
prossimità con le famiglie allargate e con la società di appartenenza. La nascita non è un
fatto privato, ma ha a che fare con la comunità. Quando l’evento si svolge altrove non tutti
i rituali e i compiti della famiglia per la protezione del nuovo bambino possono svolgersi in
modo regolare, e questo può creare ulteriore insicurezza nei genitori. Inoltre il nuovo
bambino viene deposto, affidato ad una terra non sua, che lo renderà sempre “più
straniero” rispetto ai suoi genitori. Sul piano clinico possono svilupparsi nelle madri
depressioni, che non corrispondono pienamente alla depressione puerperale “classica”,
ma sono più legate alla solitudine, alla mancanza di sostegno femminile, all’isolamento e
all’insicurezza nel saper utilizzare le risorse che il mondo di accoglienza offre. Ma l’effetto
di una madre depressa e infelice su un bambino piccolo si esprime attraverso i disturbi
delle funzioni di base: cibo, sonno, oppure attraverso difficoltà nell’intesa comunicativa e
nella holding. L’evoluzione è naturalmente varia: per alcune madri una visita al Paese e la
presentazione del bambino alla famiglia costituisce soddisfazione e riavvicinamento anche
dal punto di vista psichico e della possibilità di sentirsi una madre competente, anche se
altrove. Per altre il tempo e lo sforzo permettono di decodificare i messaggi e le risorse del
mondo di accoglienza. Per altre ancora esiste l’esperienza di un investimento affettivo
importante verso una figura di sostegno, l’amica, la vicina, una parente.
Occorre un’attenzione specifica a questo periodo e la messa a disposizione di risorse
creative a bassa soglia d’accesso per favorire il superamento del periodo critico.
Nei casi più gravi dove la sofferenza è persistente e mette a rischio la capacità di
accudimento dei bambini,occorrono interventi specifici sul piano clinico o psicoeducativo:
dall’accompagnamento alla nascita, alle visite domiciliari dopo la dimissione, progetti di
sostegno nel primo anno di vita, gruppi di sostegno all’allattamento e alla genitorialità.
Dal punto di vista clinico i bambini possono sviluppare un ritardo nella comunicazione o
dei disturbi simili al disturbo pervasivo dello sviluppo, che, tuttavia, con una presa in carico
attenta alla sofferenza materna e al trauma migratorio, possono migliorare rapidamente e
riprendere un’evoluzione positiva.
I SERVIZI DELL’ASL, LA RETE INTEGRATA ED I PROGETTI IN ATTO
L’ASL di Brescia gestisce 15 Consultori Familiari ubicati nei distretti del territorio. Sono
altresì presenti n. 14 Consultori Familiari privati accreditati, operanti in sintonia con le linee
guida per l’attività consultoriale predisposte dall’ASL.
Complessivamente l’utenza dei Consultori Familiari pubblici e privati accreditati assume
proporzioni significative. Nel 2012 ai Consultori Familiari dell’ASL hanno avuto accesso
20.288 persone, mentre a quelli privati 22.135, per un totale di 42.423 utenti. Di questi il
numero più rilevante è rappresentato da donne e madri che chiedono di essere seguite nel
percorso nascita, che offre interventi omogenei in tutte le sedi consultoriali pubbliche e
private.
In questi anni gli operatori hanno potuto usufruire di percorsi formativi ed un’attenzione
particolare è stata dedicata all’area della genitorialità.
L’integrazione professionale ed operativa, la ricerca e sperimentazione di metodologie
condivise è stata raggiunta soprattutto negli interventi previsti dal percorso nascita, che ha
inizio con l’assistenza alla gravidanza fino al sostegno alla genitorialità. In esse sono
consolidati gli interventi di consulenza individuale e gli incontri di gruppo per madri e per la
coppia genitoriale.
L’esigenza di offrire all’utenza percorsi interistituzionali integrati basati sulla continuità
assistenziale, ha favorito l’attivazione di Accordi con le Aziende Ospedaliere, sottoscritti da
15
tutte le strutture del territorio. I documenti sono stati elaborati con l’attiva partecipazione di
rappresentanti delle diverse equipe, portatrici delle rispettive specificità; sono state
sperimentate alcune iniziative, favorenti la costruzione di un percorso strutturato di
collaborazione.
In questi anni è stato costruito e attuato un accordo con i Punti Nascita di tutte le Aziende
Ospedaliere pubbliche e private accreditate accordo di collaborazione/integrazione ASL di
Brescia/Strutture di ricovero e cura “Dimissione protetta-integrata per la puerpera ed il
neonato”, per favorire una continuità assistenziale tra il Consultorio ed il ricovero per il
parto. L’accordo prevede che il personale sanitario, quando rileva una situazione di
difficoltà significativa della donna, propone alla donna di essere accompagnata e seguita,
dopo la dimissione, dall’èquipe consultoriale.
Anche per l’assistenza alle gravidanze patologiche, la necessaria esigenza di integrazione
Consultorio e Ospedale – struttura di 2° livello - ha portato alla sottoscrizione di un
accordo di collaborazione/integrazione ASL di Brescia/strutture di ricovero e cura per le
gravidanze problematiche “Dimissioni e ammissioni protette per donne con gravidanze
problematiche”, finalizzato alla collaborazione e definizione di “accesso agevolato” agli
ambulatori specialistici delle strutture ospedaliere.
Presso l’A.O. Spedali Civili di Brescia è attivo il servizio di psicologia dell’area ostetrica
che si occupa di pazienti, ricoverate o seguite presso gli ambulatori della stessa azienda,
per le quali i medici ritengono opportuno una valutazione psicologica.
Questo servizio segue le donne con patologie materno o fetali o neonatali o anamnesi
ostetriche complicate e patologiche. In alcuni casi vengono coinvolti successivamente i
servizi del territorio (MMG, PDF, Psicologi dei Consultori Familiari, Servizi Sociali del
Comune e Servizi Psichiatrici) per la continuazione del percorso di accompagnamento.
I casi di gravidanza patologica, a tutti gli effetti credo rappresentino un ambito inseribile nel
capitolo maternità fragile, per le conseguenze che l'evento diagnosi, prognosi, percorso
decisionale implica per la madre, il padre, la coppia, i fratelli, le nascite successive, la
famiglia.
Gli operatori consultoriali si confrontano con la complessità di bisogni delle famiglie con
figli neonati, dalle problematiche abitative, a quelle economiche, alle difficoltà di
inserimento sociale. In questi anni la grave crisi economica ha creato e crea molte
difficoltà alle famiglie, spesso impossibilitate anche al mantenimento del neonato.
Quali soluzioni di ausilio alle famiglie, la Regione Lombardia ha istituito in questi anni il
Fondo Nasko ed il Fondo Cresco che prevedono contributi economici alle donne in
gravidanza e alle famiglie con figli neonati, con un progetto d’intervento elaborato dal
Consultorio Familiare.
Inoltre è stato predisposto un Accordo con i Centri di Aiuto alla Vita del territorio per una
presa in carico integrata dei nuclei familiari con figli di età inferiore ai 12 mesi.
Un’altra area di intervento di particolare rilievo all’interno dei Consultori Familiari, riguarda
le situazioni familiari con provvedimenti della Magistratura, per cui è previsto l’intervento
psicologico, mentre la competenza sociale è in carico ai Comuni o agli Organismi
Associati.
I dati relativi alla Tutela Minori hanno messo in evidenza l’incidenza delle situazioni di
conflittualità coniugale in merito all’affidamento dei figli o alle modalità di visita. Queste
situazioni, con un alto tasso di conflittualità, impegnano notevolmente gli operatori del
settore. Pertanto sono stati organizzati percorsi formativi ed elaborate Linee Guida per la
presa in carico dei nuclei familiari conflittuali con provvedimento della Magistratura.
16
Infine, altro settore di rilievo riguarda l’accesso dell’utenza straniera. Il loro numero assai
elevato ed il ruolo che il Consultorio Familiare riveste quale “contenitore” e riferimento in
particolare per l’assistenza in gravidanza ed il sostegno nel periodo del puerperio, ha
richiesto l’adozione di specifiche metodologie di approccio ed intervento. Essendo la
genitorialità una dimensione intrisa e caratterizzata dagli aspetti culturali originari di ogni
persona, gli operatori debbono dare rilievo a questi aspetti nella valutazione e nel
sostegno alla genitorialità per i nuclei familiari migranti, in particolare per le donne che si
trovano frequentemente a vivere la gravidanza, il parto ed il puerperio prive del supporto
della famiglia di origine, in una situazione di solitudine.
Oltre ai progetti sopra citati ed agli accordi fra le diverse istituzioni ed enti del privato
sociale, significativa è l’attuazione di progetti di Home Visiting nel nostro territorio.
E’ un modello di intervento riferito all’esperienza ormai pluridecennale degli Stati Uniti con i
risultati positivi riportati dalla letteratura specifica, che si sta diffondendo anche in Italia.
Infatti sono stati attivati progetti nella Regione Lazio e in Liguria si stanno consolidando
alcune sperimentazioni. Anche la Regione Lombardia ha sollecitato gli Enti Sanitari e gli
Enti Locali per avviare progetti integrati di Home Visiting, orientati alla prevenzione del
disagio familiare e minorile.
Nel territorio dell’ASL di Brescia sono stati, negli anni scorsi, finanziati quattro progetti
gestiti da altrettanti Enti Gestori in diversi territori, con risultati positivi. L’obiettivo è favorire
la diffusione di questa modalità di lavoro nei diversi territori.
IL TAVOLO DI LAVORO PER LA COSTRUZIONE DELLA RETE PER IL SOSTEGNO
ALLA MATERNITÀ FRAGILE
L’attività consultoriale ha visto negli anni un incremento del disagio familiare in nuclei con
figli minori e agli operatori d’altro canto è richiesto un rilevante investimento sulle situazioni
gravemente compromesse dando priorità ai problemi, e ponendo in secondo piano il
sostegno per lo sviluppo delle potenzialità e delle risorse dei genitori.
Nonostante ciò, si confermano alcuni orientamenti ritenuto basilari per il sostegno delle
competenze genitoriali:
- dalla cura al prendersi cura e alla prevenzione del disagio;
- dall’attenzione prioritaria ai problemi allo sviluppo delle potenzialità e delle risorse
delle persone e del contesto sociale;
- dalla priorità del disagio allo sviluppo della resilienza.
E’ un orientamento che valorizza le persone in difficoltà con un percorso di sostegno, che
assume anche una valenza economica non trascurabile. La prevenzione favorisce un
miglior investimento di risorse umane ma anche economiche.
PERCORSI DI INTERVENTO
Sul piano degli interventi, la presenza di elementi protettivi in grado di contrastare quelli di
amplificazione del rischio, crea la condizione basilare per attivare un progetto di sostegno
alla famiglia e al bambino. Le situazioni possono essere suddivise in tre gruppi così
riassunti:
a) nuclei che sono in grado di accogliere l’aiuto offerto dai servizi e riprendere la
propria autonomia;
b) famiglie caratterizzate dalla compresenza di fattori di rischio e di fattori protettivi.
Sono famiglie nelle quali gli elementi di rischio non sono compensati a sufficienza
dai fattori protettivi che non riescono a modulare o ridurre l’effetto dei fattori di
17
amplificazione del rischio. Anche in questi casi la precoce rilevazione permette di
ottenere risultati soddisfacenti con l’attivazione di progetti di sostegno efficaci ed
appropriati. In questa categoria va posta la massima attenzione e un notevole
investimento di risorse;
c) nuclei familiari caratterizzati da assenza o da ridotta presenza di fattori protettivi che
non riescono a compensare quelli di rischio distali o prossimali. Situazioni nelle
quali spesso vi sono anche segni di violenza che richiedono interventi di tutela e di
protezione esplicita e immediata del bambino non disgiunta dall’opportunità offerta
alla famiglia di essere aiutata a comprendere le cause del disagio.
SINTESI DELLE STRATEGIE DI INTERVENTO
Prevalenza di fattori protettivi
Aiuto e sostegno al bambino e alla famiglia
Compresenza di fattori di rischio, di
amplificazione del rischio e di fattori
protettivi
Protezione del bambino
Potenziamento delle risorse familiari
Monitoraggio del bambino e della famiglia
Assenza di fattori protettivi
Protezione e tutela del bambino
Prescrizioni alla famiglia
Valutazione delle risorse della famiglia
TIPOLOGIA FAMIGLIE DESTINATARIE DEL PERCORSO INTEGRATO
Il target delle famiglie prese in considerazione è definito da nuclei familiari con un evidente
livello di disagio sociale e psicologico che presentano uno o più fattori di rischio. Sono
famiglie dove la madre è in stato di gravidanza oppure ha partorito e il bambino è nei primi
mesi di vita.
Non si escludono a priori segnalazioni di nuclei familiari con bambini di età superiori e che
presentano un alto rischio di disagio familiare e/o sofferenza materna.
Situazioni con bisogni e sofferenze psicopatologiche gravi restano in carico ai Servizi di
riferimento con le modalità di collaborazione positiva ormai consolidate nel tempo.
GLI ATTORI DEL PERCORSO INTEGRATO
La rete è composta dai seguenti Servizi/attori:
- Consultori Familiari;
- Punti Nascita delle Aziende Ospedaliere;
- Pediatri di Famiglia;
- Medici di Medicina Generale;
- Servizi Sociali dei Comuni.
a) Chi segnala
-
pediatri di famiglia, in particolare nelle visite per i bilanci di salute;
medici di medicina generale, nel rapporto con la famiglia;
servizi sociali dei Comuni che possono già conoscere il nucleo familiare.
punti nascita delle Aziende Ospedaliere, durante il ricovero ospedaliero per il parto;
18
Pediatri di Famiglia
Il pediatra, in occasione delle 5 visite filtro proposte ai familiari del bambino durante il
primo anno di vita, ha la possibilità di effettuare indagini anamnestiche precise e mirate ad
evidenziare problematiche non solo in ambito strettamente patologico - sanitario, ma
anche in quello familiare, professionale, sociale ed etnico.
Le visite programmate sono incontri di ascolto, di conoscenza, di attenzione alle
esperienze e alle emozioni riferite dalla donna, durante le quali si pone particolare
attenzione alla relazione madre-figlio, al comportamento e alla modalità di rapportarsi della
neomamma con il neonato e gli altri membri della famiglia.
Quando nel colloquio con la madre o con i genitori il pediatra ravvede la presenza di
indicatori di rischio rilevante, si impegna a ricercare il loro consenso per un’attivazione da
parte degli operatori del Consultorio Familiare, di un progetto di sostegno mirato e
personalizzato.
Medici di Medicina Generale
Il medico di Medicina Generale è il riferimento dell’assistenza sanitaria degli adulti e quindi
dei genitori. Pertanto ha la possibilità di conoscere il nucleo familiare prima della nascita
del bambino e può conoscere le fragilità genitoriali ed eventuali variazioni.
Servizi Sociali del Comune
I Servizi Sociali dei Comuni seguono diverse situazioni familiari soprattutto in questo
momento storico in cui la crisi lavorativa ed economica ha gravi ricadute sulle famiglie,
soprattutto quelle con bambini in tenera età e con bisogni di cura ed assistenza
abbastanza impegnativi.
I servizi sociali, ad integrazione del proprio progetto di aiuto al nucleo familiare, motivano
la partecipazione della donna alle varie proposte del Consultorio Familiare e coinvolgono
l’èquipe consultoriale per un progetto di sostegno mirato e specifico per quel nucleo
familiare, quando ravvedono la presenza di indicatori di rischio rilevante.
I Servizi Sociali dei Comuni sono altresì coinvolti dall’èquipe consultoriale per le situazioni
familiari prive o carenti di mezzi di sostentamento. Possono essere coinvolte anche le
associazioni di volontariato che forniscono aiuti alle famiglie con neonati.
Punti Nascita delle Aziende Ospedaliere
Per i Punti Nascita si confermano le prassi e gli strumenti attualmente in uso con l’accordo
di collaborazione/integrazione ASL di Brescia/Strutture di ricovero e cura “Dimissione
protetta-integrata
per
la
puerpera
ed
il
neonato”
(percorso
sito:
ASL
Brescia > Operatori > Professioni sanitarie > Ostetriche e Assistenti Sanitarie).
b) Come attivare un progetto integrato di intervento
La richiesta di collaborazione da parte del segnalante avviene dopo un colloquio e
un’approfondita osservazione della situazione problematica, prestando attenzione ai fattori
di rischio evidenziati nella scheda allegata (All.1). E’ indispensabile avere il consenso della
donna al coinvolgimento del Consultorio Familiare per un progetto mirato di sostegno alla
relazione genitoriale. È auspicabile, prima di procedere alla comunicazione scritta
motivare la donna perché acceda spontaneamente al Consultorio Familiare.
Alcuni aspetti da conoscere, oltre all’anamnesi del bambino, possono essere i seguenti:
19
•
•
•
•
•
•
•
•
luogo di vita, abitazione, spazi di vita quotidiana, distanza dai luoghi abitati;
presenza e ruolo del padre del bambino;
aiuti da parte del partner, familiari, amiche;
organizzazione di vita con il bambino;
progetti lavorativi;
situazione economica del nucleo;
tempi e modalità della migrazione, il progetto migratorio per le donne straniere;
le fatiche/ disagi che la madre incontra in questi periodi di vita del bambino.
c) A chi inviare la richiesta di collaborazione
Chi rileva le situazioni di rischio e di disagio, invia la segnalazione all’ostetrica/assistente
sanitaria e all’assistente sociale del Consultorio Familiare tramite la scheda allegata (All.
2).
Si considera necessario attivare interventi di sostegno al nucleo familiare quando sono
rilevati almeno tre indicatori di rischio, oppure quando uno di essi manifesta una tale
gravità da porre in serio pregiudizio.
L’invio avviene attraverso posta elettronica.
d) Come avviene la valutazione della richiesta di collaborazione
Gli operatori che ricevono tale richiesta:
- si confrontano;
- concordano quali altri interlocutori attivare;
- presentano il caso in èquipe e individuano l’operatore di riferimento, a secondo del
tipo di fragilità;
- predispongono il progetto, attivando anche realtà informali del territorio;
- presentano il percorso alla famiglia, condividendo la proposta.
e) Restituzione
Ogni segnalante riceve dall’operatore consultoriale di riferimento, una restituzione ed
informazioni in merito al progetto di sostegno e viene coinvolto nella condivisione del
progetto e nelle modalità di valutazione.
20
SINTESI DEL PERCORSO
SEGNALANTE
Pediatra di
Famiglia
-
-
Medico Medicina
Generale
A CHI
SEGNALARE
PROBLEMATICA
-
-
Servizi Sociali dei
Comuni
-
Punti Nascita
-
problemi economici e/o
abitativi
ambiente sociale carente o
inadeguato: isolamento,
carenza di relazioni
interpersonali e sociali
comportamento materno
problematico e/o poco
affidabile – difficoltà nella
relazione con il bambino
problemi coniugali e/o con
famiglia estesa
carico assistenziale per un
figlio con patologie ……
nucleo familiare con gravi
problemi: precedenti
episodi di violenza, alcol
dipendenza, isolamento
sociale ecc…
sospetta violenza sulla
donna
donne con anamnesi
positiva per depressione,
manifestazioni di disagio
emotivo, abuso o violenza
subite nell’infanzia,
patologie psichiatriche
nuclei familiari in cui la
madre è in gravidanza o
ha partorito da poco e
necessita di essere
accompagnata e seguita
per fragilità
-
-
Consultorio
Familiare
problemi della donna
problemi del neonato
problemi sociali
-
Consultorio
Familiare che
potrà
coinvolgere il
PDF e/o il
MMG come da
prassi
-
-
-
COME
Consultorio
Familiare
MMG
Servizi Sociali
di Base
Consultori
familiari che
coinvolgerà il
pediatra del
bambino
Servizi sociali
comunali
Psichiatria
Invio scheda con e-mail e
restituzione di informazioni
dall’operatore consultoriale di
riferimento
Nella predisposizione dei progetti d’intervento, gli operatori possono coinvolgere anche le
Associazioni del privato sociale che si occupano di questi nuclei familiari, in particolare i
Centri di Aiuto alla Vita. Con questi Centri l’ASL ha sottoscritto un accordo per la
condivisione di progetti di intervento per le famiglie con figli entro l’anno di vita.
L’alleanza con la donna e possibilmente con il partner/nucleo familiare appare
indispensabile e necessaria per l’attuazione di un progetto di sostegno. Costruire e
ottenere la collaborazione richiede tempo e dialogo fiducioso, senza voler forzare o indurre
adesioni compiacenti che poi non manifestano adeguata collaborazione al progetto.
21
COLLABORAZIONE DEL CONSULTORIO FAMILIARE CON IL SERVIZIO DI
PSICHIATRIA
Dopo una valutazione psicologica della donna, lo psicologo può ravvisare elementi
patologici che richiedono un approfondimento diagnostico da parte dello psichiatra.
Gli elementi più significativi riguardano l’individuazione delle situazioni con patologia
psichiatrica, la modalità di invio e di accesso al Servizio Psichiatrico, per una valutazione
in tempi brevi.
ATTUAZIONE E PRIMA VERIFICA DEL PERCORSO INTEGRATO
Il percorso integrato approvato dal Tavolo di Lavoro, dal Comitato Aziendale della
Pediatria di Libera Scelta, dalle Strutture Sanitarie con punti nascita ed adottato dall’ASL,
verrà monitorato con prima verifica dopo il primo semestre di sua adozione operativa.
I dati che verranno rilevati riguarderanno il numero delle segnalazioni e dei progetti attuati.
22
ALLEGATO 1
INTERAZIONI TRA RISCHIO, STRESS E FATTORI PROTETIVI NELLA VIOLENZA
ALL’INFANZIA
(ripreso da Di Blasio e Acquistapace, 2004)
FATTORI DI RISCHIO (distali)
Povertà cronica
Basso livello di istruzione
Giovane età della madre
Carenza di relazioni interpersonali
Carenza di reti e di integrazione sociale
Esperienza di rifiuto, violenza o abuso subite nell’infanzia
Sfiducia verso le norme sociali e le istituzioni
Accettazione della violenza e delle punizioni come pratiche educative e della pornografia
infantile
VULNERABILITA’
Fattori di stress
Fattori protettivi
a) Fattori individuali
•
psicopatologia dei genitori
•
devianza sociale
• debole
o
assente
assunzione di responsabilità
a) Fattori individuali
capacità
•
sindrome da risarcimento
•
distorsione delle emozioni
capacità empatiche
•
difficoltà di role taking
•
impulsività
•
scarsa tolleranza alle frustrazioni
•
ansia da separazione
e
di
delle
b) Fattori familiari
•
matrimonio e gravidanze precoci
•
famiglia monoparentale
•
relazioni difficili con la propria famiglia
d’origine e/o con quella del partner
•
conflitti di coppia e violenza domestica
c) Caratteristiche del bambino
•
malattie fisiche o disturbi alla nascita
•
temperamento difficile
•
sentimenti di inadeguatezza per la
dipendenza dai servizi
•
rielaborazione del rifiuto e della violenza
subiti nell’infanzia
•
capacità empatiche
•
desiderio di migliorarsi
•
capacità di assunzione delle
responsabilità
•
autonomia personale e buon livello di
autostima
b) Fattori familiari e sociali
•
relazione attuale soddisfacente con
almeno un componente della famiglia
d’origine
•
rete di supporto parentale o amicale
•
capacità di gestire i conflitti
c) Caratteristiche del bambino
•
temperamento facile
ALLEGATO 2
Luogo e data____________________
Al Consultorio Familiare di
…………………………………………
Richiesta di collaborazione e attivazione progetto
Per il bambino/a ……………………………………………… nato/a il ……………………………………
paese d’origine …………………………………………………………………………………………………………
residenza o domicilio abituale: via …………………………………………………………………………
n……… Comune …………………………………………………………………………………………………………
tel ………………………………………………………………………………………………………………………………
Eventuali informazioni:
• Situazione familiare (genitori presenti) …………………………………………………………
• Situazione abitativa…………………………………………………………………………………………
• Situazione lavorativa dei genitori……………………………………………………………………
• Situazione globale del bambino………………………………………………………………………
Motivazione della segnalazione
……………………………………………………………………………………………………………………………………
……………………………………………………………………………………………………………………………………
I genitori/la madre hanno acconsentito alla proposta
Codice
o Rosso - tre fattori di rischio
o Giallo - due/tre fattori di rischio e un fattore di protezione
o Verde - due/tre fattori di rischio e due fattori di protezione
o Bianco - un solo fattore di rischio
E' opportuno che la comunicazione al Consultorio venga effettuata quando:
a) si rilevano almeno tre fattori di rischio;
b) si rileva uno o due fattori di estrema gravità.
Operatore …………………………………………………………………………………………………………………
Recapito telefonico
……………………………………………………………………….……………………………
E-mail …………………………………………………………………………………………………………………………
Ricevuta il …………………
Comunicata l’avvenuta presa in carico il ……………… da ……………………………………………
ASL di Brescia – Sede Legale: viale Duca degli Abruzzi, 15 – 25124 Brescia
Tel. 030.38381 Fax 030.3838233 - www.aslbrescia.it - [email protected]
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