Percorso Integrato per il sost. maternità e patenità
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Percorso Integrato per il sost. maternità e patenità
Percorso integrato per il sostegno della maternità e paternità fragile “Credo che il modo migliore per difendere i bambini. sia quello di difendere e custodire i loro genitori. ricostruire i loro genitori nella loro dignità di adulti. e in questo senso restituire dei genitori integri ai bambini”. M.C. Kock Settembre 2014 Coordinatori Podavitte Fausta Direttore Dipartimento ASSI Narra Mauro Responsabile U.O. Famiglia Infanzia ed Età Evolutiva Ferrari Adele Responsabile U.O. Consultori Familiari e Tutela Minori Altri componenti ASL Cecchi Daniela Direttore del Servizio Assistenza Medica Territoriale Dagani Annarita Assistente Sociale - DGD 5 Di Meo Simonetta Responsabile S.I.T.R.A. Soldati Luigia Responsabile Coordinamento area Materno Infantile, Igiene, Prevenzione e Medicina di Comunità Testa Adriana Responsabile U.O. Famiglia - DGD 2 2 Strutture/Enti coinvolti nella elaborazione del percorso integrato Dr. Emilio Sacchetti Dr. Fabio Panariello A.O. Spedali Civili BS A.O. Mellino Mellini A.O. Desenzano del Garda Fondazione Poliambulanza Istituto Clinico S. Anna Direttore Unità Operativa di Psichiatria n.22 - Servizio Psichiatrico Diagnosi e Cura (DSM) Equipe medica Unità Operativa di Psichiatria n.22 - Servizio Psichiatrico Diagnosi e Cura (DSM) Dr.ssa Francesca Ramazzotto Unità Operativa Ostetricia e Ginecologia Dr.ssa Claudia Stegher Unità Operativa Ostetricia e Ginecologia Dr.ssa Emanuela Beretta Responsabile Servizio di Psicologia dell’Area Ostetrica Sig.ra Chiara Pedersoli Unità Operativa Ostetricia/Ginecologia P.O. Iseo Sig. Fabrizio Perillo Coordinatore Infermieristico Ostetrico Dr. Renato Brighenti Direttore Dipartimento Salute Mamma e Bambino Dr.ssa Agnese Angeli Responsabile Terapia Intensiva Neonatale - Dipartimento Salute Mamma e Bambino Dr.ssa Giovanna Ghitti Servizio Assistenti Sanitarie Dr. Roberto Garbelli Responsabile Unità Operativa Ostetricia e Ginecologia Dr.ssa Annamaria Della Vedova Cattedra di Psicologia Dr. Antonio Vita Cattedra di Psichiatria Università degli Studi di Brescia Referente PDF Dr.ssa Chiara Ticozzi Referente PDF Dr. Barbara Adinolfi Referente MMG Dr.ssa Grazia Rinaldis Consultori Familiari Accreditati Dr.ssa Francesca Stefana Rappresentanti Ambiti Territoriali Consultori CIVITAS Valletrompia Dr.ssa Piera Valenti Ambito Territoriale n. 6 Sig.ra Caterina Brianza 3 INDICE Premessa pag. 5 Obiettivi del percorso integrato pag. 7 Definizione di maternità fragile pag. 7 Indicatori di rischio e di protezione pag. 9 Maternità a rischio e Psichiatria pag. 12 Quando segnalare alla Psichiatria pag. 13 La fragilità specifica dei bambini migranti e la vulnerabilità delle famiglie migranti pag. 14 I Servizi dell’ASL, la rete integrata ed i progetti in atto pag. 15 Il Tavolo di Lavoro per la costruzione della rete per il sostegno alla maternità fragile pag. 17 Percorsi di intervento pag. 17 Sintesi delle strategie di intervento pag. 18 Tipologia famiglie destinatarie del percorso integrato pag. 18 Gli attori del percorso integrato pag. 18 Sintesi del percorso pag. 21 Collaborazione del Consultorio Familiare con il Servizio di Psichiatria pag. 22 Attuazione e prima verifica del percorso integrato pag. 22 Allegato n. 1: Interazioni tra rischio, stress e fattori protettivi nella violenza all’infanzia. Allegato n. 2: Richiesta di collaborazione e attivazione progetto. PREMESSA Una parte significativa del disadattamento infantile nei primi anni di vita può essere attribuita a condizioni di genitorialità a rischio che precedono la nascita del bambino. La capacità di rilevare tempestivamente, già a partire dalla fine della gravidanza e nei primi mesi di vita del bambino, la presenza di fattori di rischio psicosociale permette di migliorare e favorire lo sviluppo delle capacità genitoriali e di prevenire il disadattamento infantile. Negli ultimi decenni si è assistito ad uno sviluppo esteso di interventi precoci a favore dei bambini a rischio (Ammaniti, 2006). Si è sempre più affermata la convinzione che gli svantaggi iniziali con cui nasce un bambino possono essere compensati con opportuni interventi volti a fornire un supporto alla relazione precoce madre-bambino, aiutando il genitore a riconoscere e ad interpretare i segnali del bambino, ad instaurare una comunicazione intima, a trovare i giusti ritmi con il figlio nei vari momenti della vita quotidiana. E’ dimostrato che gli interventi di prevenzione nei primi anni di vita, fra cui in particolare gli interventi domiciliari di sostegno alla genitorialità, sono più utili e meno costosi rispetto ad interventi più tardivi finalizzati a rimediare situazioni ormai deteriorate nel bambino più grande o nell’adolescente. L’attività rivolta alle situazioni/famiglie problematiche a diversi livelli, nell’area ostetrica e pediatrica e nell’area psicologico-sociale, è ormai consolidata, pur essendo in costante trasformazione ed evoluzione. La riflessione sull’attività dei Consultori Familiari, in particolare sull’evoluzione avvenuta in questi anni, la letteratura ormai decennale, le sollecitazioni provenienti dalle Istituzioni impegnate in questo settore, hanno motivato la decisione di avviare un percorso di collaborazione interistituzionale con l’obiettivo di costruire prassi operative di rilevazione delle situazioni di fragilità e attivare, con un progetto integrato, interventi di sostegno. Il focus di questo progetto è, pertanto, prioritariamente quello di rivolgersi alla prevenzione, orientando l’attenzione all’individuazione delle situazioni di rischio e fragilità che possono essere sostenute a sviluppare potenzialità per un sereno rapporto genitoriale. L’elaborazione di un percorso integrato permette di condividere tutte le esperienze in atto, evidenziare le buone prassi e attivare sinergie per un efficace intervento di potenziamento del benessere della madre, della coppia e del rapporto genitoriale. Da diversi anni l’attività consultoriale ha sperimentato sinergie positive, soprattutto con le Aziende Ospedaliere, per quanto riguarda l’interruzione di gravidanza, la gestione delle gravidanze difficili e la dimissione protetta, tramite accordi interistituzionali e formazione congiunta per gli operatori interessanti. Il rapporto quotidiano con le famiglie ha sollecitato l’avvio di riflessioni in merito all’esigenza di costruire una rete cooperante tra tutte le realtà che si occupano della “maternità fragile” per favorire un reale sostegno in un’ottica progettuale e orientata allo sviluppo delle potenzialità della famiglia. Pertanto è stato avviato un confronto tra i rappresentanti dei Consultori Familiari dell’ASL, dei Punti Nascita, delle Amministrazioni Comunali, dei Servizi di Psichiatria, oltre a quelli dei Pediatri di Famiglia e dei Medici di Medicina Generale. 5 Al progetto partecipa l’Università di Brescia, cattedra di Psicologia Generale, collaborando alla fase progettuale, alla valutazione dell’attuazione del progetto, dei risultati conseguiti ed alla formazione degli operatori. 6 OBIETTIVI DEL PERCORSO INTEGRATO 1. Individuare in modo precoce le situazioni di disagio/rischio nella relazione genitoriale, condividendo indicatori, prassi efficaci e validate, strategie di intervento, al fine di: sostenere le competenze genitoriali e favorire la costruzione di legami di attaccamento sicuro nei bambini; prevenire episodi di trascuratezza, di maltrattamento fisico–psicologico e di abuso; aiutare il/i genitore/i ad adattare il proprio comportamento allo sviluppo del bambino e favorire la relazione; aumentare la capacità di osservazione materna, attivare le sue capacità di comunicazione e di ascolto del bambino; rafforzare l’autostima della madre/ dei genitori; sostenere l’autoefficacia materna focalizzandosi su piccoli obiettivi. 2. Costruire e implementare una rete di collaborazione tra Enti per condividere i criteri di rischio, per utilizzare le competenze di ogni interlocutore con procedure concordate e rendere fattibile l’integrazione operativa. 3. Attivare alcune sperimentazioni di supporto e di accompagnamento al/i genitore/i. DEFINIZIONE DI MATERNITÀ FRAGILE Il termine maternità fragile è inteso come “fragilità delle cure primarie del bambino” e quindi anche il padre entra in gioco, nel caso sia presente nel nucleo familiare. Infatti il benessere della madre e quindi del bambino, dipende in buona parte dalla positiva relazione di coppia. Possiamo evidenziare quanto affermano Cena, Imbasciati, Baldoni, nel testo “Prendersi cura dei bambini e dei loro genitori” – Springer, 2012, “la qualità dello sviluppo psichico e anche psicosomatico di un bambino dipende dalla situazione in cui si svolge la cura primaria del bimbo e cosa egli assimili per strutturare la sua mente e – come oggi dimostrato – il suo stesso cervello: da tali acquisizioni primarie, che a loro volta dipendono dalla qualità delle interazioni che con i genitori accadono nell’accudimento, dipende uno sviluppo ottimale del bambino e di qui del futuro individuo, piuttosto che uno sviluppo disfunzionale, difettoso, patologico. Il senso del curare un bambino rimanda al concetto di “cure materne”. Da tempo ormai si sa che un deficit delle cure materne produce facilmente patologie psichiche, spesso evidenti solo tardivamente.” La qualità delle relazioni che il bambino stabilisce nei primi mesi/anni di vita, in particolare il legame di attaccamento, influenza, quindi, profondamente il suo sviluppo emotivo, cognitivo ed affettivo. Nel testo “ La promozione della salute psichica perinatale”, curato da A.M. Della Vedova e C. Cristini, Imbasciati afferma: “…. ne discende la necessità, per assicurare un adeguato passaggio di significati ed esperienze fra le generazioni, in altri termini una positiva transgenerazionalità, che tutti i genitori possano fruire di un’adeguata consulenza e assistenza, preventiva e curativa, onde potenziare le loro capacità, se sufficienti, o aver cura di loro, con eventuali interventi psicoterapeutici, se queste capacità sono insufficienti a garantire un adeguato sviluppo del bimbo…..Occorre in altri termini poter supportare e incrementare la capacità dei genitori di trasmettere transgenerazionalmente delle adeguate strutture mentali”. Occorre dunque curare le relazioni e tale cura può aver senso solo se rivolta, preventivamente, ai genitori durante il periodo della perinatalità dei loro piccoli. 7 È sulla coppia genitoriale che potrà essere esplicata quella ulteriore strutturazione emotiva che arricchirà le doti esistenti nella coppia o, se queste sono deficitarie, potrà modulare una ristrutturazione che supplisca, almeno in parte, a quanto quella coppia mancò nelle esperienze primarie. La cura della transgenerazionalità va dunque intesa come assistenza globale alla coppia, in tutte le sue fasi, di formazione, di sintonia di coppia, di decisione e di filiazione. L’attenzione dell’operatore non può essere sul bimbo, ma sulla relazione che si svolge coi suoi genitori, o meglio che i genitori, con le loro capacità psichiche adeguate o inadeguate, modulano in bene o in male, col loro bimbo”. M. Prezza nel suo libro “Aiutare i neo-genitori in difficoltà” ribadisce che “fare famiglia vuol dire, oggi più che mai, avviare un delicato processo di trasformazione e condivisione che, per tutelare nel modo migliore il nuovo nato, deve garantire la capacità di stare insieme in uno scambio reciproco di legittimazione e sostegno, con una contemporanea chiarezza dei confini, dei ruoli e dei compiti, sia a livello di coppia, sia di famiglia allargata e di gruppo sociale”. Oltre alle importanti e significative riflessioni evidenziate dagli autori sopra citati, non si possono omettere gli studi di Bowlby che ci hanno condotto alla conoscenza dell’esistenza di specifici “modelli operativi interni”, che sono implicati e deputati alla costruzione dei primi e significativi legami di attaccamento che intercorrono tra genitori e bambini. Sono inoltre tali modelli, che, tramandandosi di padre in figlio, veicolano la trasmissione transgenerazionale delle specifiche modalità di attaccamento e conseguentemente del possibile disagio o della futura “salute mentale”. La genitorialità quindi, il divenire genitore e l’assumersi la cura del proprio figlio, ha il potere di attivare funzioni mentali adeguate al nuovo compito, quali il favorire la crescita del bambino attraverso i legami di attaccamento, ma allo stesso tempo può suscitare turbolenze emotive ed identificatorie che possono creare transitorie difficoltà in ogni genitore, o, anche, problematiche e conflittualità che riguardano il passato genitoriale e che risultano più difficilmente affrontabili e superabili. Intervenire in questo ambito è estremamente significativo, proprio perché (Bowlby) “…la storia dei genitori non diventi il destino dei figli…”. D. Stern, nel suo libro “La Costellazione Materna” (1995), ci indica infatti come faccia parte proprio della specificità di questa fase della vita che i genitori sentano di aver bisogno di un aiuto o meglio di una “rete di aiuti” per le molteplici difficoltà che possono sperimentare. Tali aiuti possono a volte essere intesi come il bisogno di essere capiti, confortati, supportati anche nella quotidianità da figure benevole e supportive. Questi bisogni non sempre trovano una risposta adeguata, soprattutto per le famiglie migranti prive di un supporto familiare e con modelli interiorizzati di assistenza e di cura che non sempre corrispondono a quelli del Paese dove si trovano a far nascere e crescere i figli. Anche in famiglie italiane però si rileva l’incidenza di una situazione di isolamento sociale e relazione favorisca una condizione connotata da rischio evolutivo per il bambino. Gli interventi preventivi e clinici nel campo della prima infanzia comportano la necessità di essere coinvolti empaticamente e sintonicamente nel clima suggestivo della genitorialità per costruire e offrire un’autentica “matrice di supporto della relazione” (Stern “La Costellazione Materna”) che sia affidabile, disponibile e propositiva. Nel rapporto con questi nuclei familiari, la capacità di osservare risulta di grande rilevanza. Lo sviluppo della capacità di osservare, di mantenere una posizione di attesa benevola e recettiva, di ascoltare le profonde implicazioni emozionali, di acquisire una “capacità negativa”, cioè di non accedere ad un sapere già precostituito, ma di scoprire realtà e nuovi saperi sono alcuni degli elementi tra i più significativi degli interventi nel settore dell’infanzia. 8 INDICATORI DI RISCHIO E DI PROTEZIONE La letteratura inerente il tema della genitorialità, pone grande attenzione alla necessità di interventi di prevenzione rivolti alla popolazione in generale e di azioni preventive per fasce di popolazione considerata a rischio. Nell’ideare interventi di prevenzione efficaci, occorre fare riferimento a un modello eziologico che tenga conto di tutti i fattori, di qualsiasi valenza, presenti in quel contesto, per quella persona. La vulnerabilità non è una caratteristica delle persone, non è una loro qualità. Si tratta di una condizione, transitoria, che può evolvere in maniera positiva o negativa da una serie di fattori personali, relazionali e ambientali che interagiscono fra loro. Si tratta di un concetto dinamico perché riguarda il processo di sviluppo; la condizione di funzionamento psichico in situazione di vulnerabilità è tale per cui una variazione anche di poco conto della situazione interna o esterna può causare una disfunzione, una sofferenza, un arresto anche grave. Superata la prospettiva della causalità diretta e anche quella, più evoluta, della causalità multifattoriale, “appare particolarmente importante dotarsi di un modello interpretativo che consenta di non sottovalutare né gli eventuali elementi familiari che mettono a rischio il bambino né le potenzialità e le risorse su cui far leva per contrastare o ridurre l’impatto dei fattori negativi”. (Di Blasio, 2002). Questo modello interpretativo prende in considerazione la presenza di fattori di rischio, distali e prossimali, e di fattori di protezione, distali e prossimali, nonché di fattori di resilienza presenti nel bambino. “I fattori distali sono così denominati perché esercitano un’influenza indiretta e rappresentano lo sfondo su cui vengono a innestarsi altri elementi più vicini e prossimi all’esperienza di cui sono intessute le relazioni”, rendendo “le famiglie e gli individui più vulnerabili…I fattori prossimali, invece, si riferiscono a caratteristiche individuali o ambientali oppure a eventi che esercitano un’influenza diretta nelle relazioni” ( Di Blasio, 2000). I fattori di rischio sono da considerarsi quali potenziali veicoli di disagio psico-sociale per la persona e la famiglia e possono sfociare in difficoltà nella modulazione delle competenze genitoriali, creando vere e proprie situazioni di maltrattamento od omissione parziale o totale di cure verso il bambino. Ormai appare consolidato il concetto della trasmissione intergenerazionale del comportamento deviante, cioè le condotte devianti possono essere trasmesse da una generazione all’altra. L’idea che ci guida è anche quella di interrompere questa “catena di trasmissione del disagio familiare” e creare condizioni di vita e di relazioni adeguate e sane. Orientarsi alla prevenzione vuol dire assumere la prospettiva del pensare al futuro, allo sviluppo delle potenzialità e alle risorse delle persone e dei contesti che offrono accoglienza, relazioni di appartenenza e di solidarietà reciproca. In questo modo gli interventi vanno rivolti alla singola famiglia, ma anche al contesto per incrementare le relazioni, contrastando le situazioni di isolamento personale e sociale. E’ una scelta di campo basata sulla protezione del bambino e dell’intera comunità. Il modello di lettura adottato è quello che fa riferimento a fattori di rischio e protettivi per valutare se sia più opportuno tutelare il bambino da genitori che sono causa delle sue difficoltà o intervenire a sostegno di una famiglia che, seppur in crisi, è tuttavia sostanzialmente in grado di far fronte alle difficoltà da cui è attraversata, senza mettere i figli in condizione di pregiudizio (Di Blasio, 1997; 1999; 2000). Gli operatori che sono chiamati a intervenire con l’obiettivo di ridurre la prevalenza della violenza, e che quindi devono individuare precocemente i segnali di rischio e comprendere 9 se i bambini si trovino in una situazione pericolosa, hanno un compito tutt’altro che facile, poiché spesso la consapevolezza di dover fare qualcosa si intreccia alla mancanza di elementi chiari e definiti che permetterebbero di agire in modo appropriato. In assenza di segni palesi di maltrattamento fisico o di trascuratezza o di dichiarazioni riguardanti un abuso sessuale, seppur in presenza di bambini sofferenti e di famiglie in difficoltà, ci si trova in una zona d’ombra, attraversati dal dubbio sul significato da assegnare a quel complesso intreccio di elementi che ancora non si sono organizzati in un quadro intellegibile. In questa fase possono manifestarsi pregiudizi culturali e personali che possono, a secondo dei casi e del contesto storico, orientare verso atteggiamenti che privilegiano a tutti i costi la tutela del bambino o che, al contrario, salvaguardano il presunto diritto dei genitori a occuparsi dei figli come credono o possono. Appare quindi importante dotarsi di un modello interpretativo che consenta di non sottovalutare né gli eventuali elementi familiari che mettono a rischio il bambino né le potenzialità e le risorse su cui basarsi per contrastare o ridurre l’impatto dei fattori negativi. L’esperienza ha permesso di osservare molte persone (bambini e adulti) che presentano la capacità di mantenere un discreto livello di adattamento anche in condizioni di vita particolarmente sfavorevoli, una capacità di non soccombere anche nelle situazioni più avverse. Queste analisi hanno favorito lo sviluppo di un approccio più completo sul rischio, basato sui profili di rischio, sul rapporto tra rischio e risorse e fattori protettivi, superando le classiche concezioni della causalità diretta o della causalità multifattoriale. I concetti di “ risorsa” e di “ fattori protettivi” e di “processi protettivi” sono opposti a quelli di rischio poiché la loro presenza è predittiva di un buon adattamento. Con fattori di resilienza si fa riferimento al concetto di resilienza introdotto da Cyrulnik nell’ambito della psicologia dell’età evolutiva, con cui si intende la capacità di resistere ai fattori di crisi e di superarli (Cyrulnik, 1999). Le situazioni familiari multiproblematiche o difficili, nelle quali potrebbe esserci il rischio di violenza nei confronti dei figli e per le quali sembra opportuno avviare progetti di prevenzione o di contenimento del danno, appaiono contrassegnate da dinamiche e da condizioni di vita instabili che non consentono di prevedere se prevarranno i fattori di rischio o quelli protettivi. Spesso, poi, la propensione di queste famiglie a nascondere e a celare i problemi genera negli operatori un assetto mentale che privilegia l’osservazione e l’individuazione delle sole condizioni di rischio, a scapito dei fattori protettivi. Occorre, invece, rispondere alla complessità che caratterizza le condizioni di vita delle famiglie e dei bambini con un repertorio ampio di progettualità, per cogliere le sfumature e gli spazi entro cui sollecitare possibili risorse. L’interazione fra rischio e protezione appare, al momento attuale, un modello concettuale valido che viene proposto anche in questo lavoro. Si assume quale riferimento per la valutazione del rischio la scheda predisposta dalla dott.ssa De Blasio e riportata nella bibliografia (All.1). I fattori distali sono così denominati perché esercitano un’influenza indiretta, rappresentano lo sfondo su cui vengono a innestarsi altri elementi più vicini e prossimi all’esperienza di cui sono intessute le relazioni. Essi determinano una sorta di sensibilizzazione nel senso che creano un mal adattamento che rende le famiglie e gli individui più vulnerabili, ma non sono connessi in termini di causa-effetto alle specifiche situazioni relazionali o individuali che concorrono a favorire l’emergere di comportamenti maltrattanti o abusanti. 10 Fattori di rischio distali 1. basso livello di istruzione; 2. giovane età della madre; 3. famiglia monoparentale; 4. carenza di reti interpersonali e di integrazione sociale; 5. esperienze di rifiuto e/o violenza subite nell’infanzia; 6. sfiducia nelle norme e istituzioni sociali; 7. accettazione della violenza e delle punizioni come pratiche educative; 8. accettazione della pornografia; 9. scarse conoscenze e disinteresse per lo sviluppo del bambino. I fattori prossimali si riferiscono a caratteristiche individuali o ambientali oppure a eventi che esercitano un’influenza diretta nelle relazioni, sono percepibili nell’esperienza soggettiva e investono lo spazio di vita, le emozioni e i comportamenti quotidiani. Possono avere una valenza negativa e per questo contribuiscono a potenziare ed amplificare il rischio, nel senso che ne amplificano l’effetto, oppure una valenza positiva che contribuisce a ridurre la portata dei fattori di rischio. Nel primo caso, vale a dire quando hanno una valenza negativa, si parla di “fattori di stress o di amplificazione del rischio”, nel secondo caso di “fattori protettivi”, intesi nella specifica accezione di elementi che entrano in gioco riducendo l’effetto dei fattori di rischio. Fattori di rischio prossimali o aggravanti 1. psicopatologia dei genitori; 2. devianza sociale; 3. abuso di sostanze; 4. debole o assente capacità di assunzione delle responsabilità; 5. sindrome da risarcimento; 6. distorsione di emozioni e capacità empatiche; impulsività; 7. scarsa tolleranza alle frustrazioni; ansia da separazione; gravidanza e maternità non desiderate; 8. relazioni difficili con la propria famiglia e/o con quella del partner; 9. conflitti di coppia e violenza domestica; 10. malattie fisiche o disturbi alla nascita del bambino. La dinamicità dei processi protettivi risiede, quindi, nell’intreccio con quelli di rischio. Quando un fattore protettivo entra in gioco, è probabile che una traiettoria precedentemente a rischio cambi direzione in senso positivo. Se, invece, a causa dei fattori di stress, le condizioni di vulnerabilità della famiglia vengono ulteriormente aggravate, aumenta la probabilità di una evoluzione maltrattante o abusante. Fattori protettivi 1. sentimento di inadeguatezza per la dipendenza dai servizi; 2. capacità empatiche; 3. rielaborazione della violenza subita nell’infanzia; 4. assunzione di responsabilità; 5. desiderio di migliorarsi; 6. autonomia personale; 7. buon livello di autostima; 8. relazione attuale soddisfacente almeno con un componente della famiglia d’origine; 9. rete di supporto parentale e amicale; 10. capacità di gestire i conflitti. 11 In sintesi il valore esplicativo del modello consiste nella interconnessione che viene a determinarsi tra i diversi fattori. MATERNITÀ A RISCHIO E PSICHIATRIA L’approccio alla depressione puerperale o post partum si deve collocare non solo nel periodo postnatale, poiché rischierebbe di essere tardivo e solo parzialmente efficace sul decorso dei sintomi psichici che si possono verificare nella maternità. Diversi sono i fattori di rischio che è bene considerare già in epoca prenatale; tra di essi in modo particolare hanno rilevanza una depressione in gravidanza associata ad una storia positiva per depressione, la presenza di ansia in gravidanza, la presenza di disturbi del sonno ed una scarsa tolleranza al dolore. Anche l’assetto strutturale di personalità di una donna può contenere elementi di rischio, come tratti di perfezionismo e di controllo che possono rendere complessa la gestione di una gravidanza vissuta come elemento nuovo da imparare a gestire senza perdere l’equilibrio e la stabilità ormai raggiunta ed assestata da tempo, oppure una bassa autostima, una scarsa considerazione delle proprie abilità e risorse nel saper affrontare una nuova esperienza. Inoltre anche l’ambiente, il contesto nel quale vive e si confronta una donna è importante, perché capace di modularne il suo assetto biopsichico. Pertanto eventi di vita accaduti nell’anno prima della gravidanza e individuati dalla futura madre come particolarmente stressanti o negativi, possono essere predittivi di depressione pre e post natale. Anche uno scarso supporto sociale, in modo particolare quello del proprio partner, sembra incidere come fattore di rischio sullo sviluppo di una psicopatologia in maternità. Altri fattori ambientali sono sicuramente da contestualizzare rispetto all’ambiente socioculturale vissuto dalle donne oggi. A fronte di dati di letteratura che ancora evidenziano i livelli socioeconomici più disagiati come a rischio patologico, vi sono sottogruppi di puerpere depresse che appartengono ad un livello scolastico ed economico di medio-alto profilo, con partner e con un’attività lavorativa. E’ verosimile che anche questo nuovo modello di vita proponga elementi disadattativi e di stressor da rivisitare o meglio da prendere in considerazione non più come fattori protettivi, ma come condizioni di rischio alla patologia. Si dimostra un intervento preventivo assai funzionale nella gravidanza, la gestione dell’ansia primaria e dei suoi correlati somatici. La gravidanza è accompagnata spesso da sintomi fisici, particolarmente evidenti nel primo trimestre. In questo periodo, infatti, la nausea e il vomito sono molto frequenti (50-70% delle gravide), ma se perdurano o assumono una particolare gravità divengono oggetto anche di interesse psicologico. Lo stato d’ansia può aumentare progressivamente con il progredire della gravidanza con valori più alti nel 3° trimestre. Soprattutto la presenza di ansia alla 32° settimana predice un significativo aumento della depressione nel periodo post-natale. Anche la depressione, soprattutto quella in fase attiva, può influire negativamente sul decorso della gravidanza e sulla salute del nascituro: possono essere alterate le capacità di autogestione della madre (cura di sé, alimentazione), possono essere messi in atto comportamenti rischiosi (abuso di alcool e di sostanze, comportamenti discontrollati) o francamente autodistruttivi, e la perdita di energia e di volontà possono provocare uno scarso interesse alla gestione della gravidanza con una trascuratezza verso la propria salute e quello dal nuovo nato. 12 Secondo una ricerca condotta su oltre 4.500 tra genitori e bambini da un team dell’Università di Bristol, i figli di donne che durante la gravidanza hanno sofferto di depressione, rischiano di soffrire della stessa patologia entro i diciotto anni di età. Stando a quanto emerge dallo studio pubblicato sulla rivista JAMA Psychiatry (Journal of the American Medical Association), il cortisolo (ormone dello stress i cui livelli si innalzano in presenza di disturbo depressivo) danneggia il feto, in quanto la salute mentale si sviluppa già durante la gestazione. Anche la depressione post-partum, che accomuna molte donne che devono affrontare un periodo di assestamento dopo la nascita del figlio, è risultata essere un fattore di rischio tra le madri con un basso livello di istruzione: i loro figli avevano più probabilità di essere anch’essi depressi. "Questi risultati suggeriscono che curare la depressione in gravidanza, indipendentemente dall'ambiente di provenienza, può essere la mossa più efficace per prevenire la depressione nei figli", afferma Rebecca Pears, epidemiologa e ricercatrice presso l’Università di Bristol. Inoltre ha spiegato che le persone più adatte per curare la depressione in gravidanza sono i medici ginecologi, che più di psicologi, psichiatri e neurologi, sembrerebbero avere maggiore influenza sulle future madri. La rivista JAMA Psychiatry ha sottolineato l’importanza di questi risultati che permettono di elaborare un minuzioso piano d’azione. Sarà possibile infatti stabilire scrupolosamente la natura e la tempistica dell’intervento per prevenire il disturbo nella generazione immediatamente successiva. Secondo March of Dimes, un’associazione di ricercatori, educatori e volontari statunitense che ha come missione l’approfondimento della ricerca nel campo delle nascite premature, della mortalità infantile e dei problemi di salute alla nascita, la depressione durante la gravidanza è un malessere relativamente comune, con cifre che, secondo le loro stime, possono toccare una donna su dieci. Due ricercatori americani hanno condotto uno studio di recente basato sulla raccolta di dati riguardo all’insorgenza della depressione in 791 donne durante il periodo di gravidanza. Secondo i risultati, il 44% di queste soffriva di una forma depressiva, che nella metà dei casi risultava essere decisamente grave. Non sempre si trattava di depressione clinica, ma anche di uno stato dell’umore molto basso. I ricercatori hanno poi monitorato le donne nel periodo del parto ed hanno rilevato che quelle che avevano manifestato sintomi depressivi, risultavano più a rischio di avere un parto prematuro, ovvero prima della trentasettesima settimana. Il parto prematuro è uno dei fattori di rischio più elevati di mortalità infantile, ed il fatto che le donne con problemi di depressione risultino più facilmente a rischio di questa condizione, non fa altro che consolidare la tesi che la depressione è una condizione sfavorevole per il buon andamento della gravidanza e per la salute del bambino, anche se ancora è oscuro il meccanismo che associa il malessere con l’aumento del rischio di parto prematuro. Tale problema è ulteriormente amplificato dal fatto che durante la gravidanza è difficile e problematico ricorrere ad antidepressivi, perché non è ancora ben chiaro l’effetto che molti di questi farmaci possono avere sul nascituro. I ricercatori sostengono che comunque è di importanza fondamentale che le donne che sentono di soffrire di problemi depressivi, si consultino con il medico, perché insieme a questo si possa valutare quali terapie mettere in campo per contrastare il malessere. QUANDO SEGNALARE ALLA PSICHIATRIA Si consiglia di inviare all’attenzione della valutazione specialistica psichiatrica le madri che presentano almeno uno dei seguenti quadri: 13 1. importante cambiamento del tono dell’umore da almeno uno mese, con contestuale scadimento del funzionamento psicosociale; 2. presenza di livelli di ansia, in forma sia libera che somatizzata, compromettenti il riposo notturno, il livello di funzionamento psicosociale; 3. presenza di almeno due distinti attacchi di panico con ansia anticipatoria 4. comparsa di insonnia importante che segna un radicale cambiamento delle abitudini nel riposo notturno o una alterazione dei ritmi circadiani sonno-veglia; 5. comparsa di disforia e/o elevazione del tono dell’umore; 6. presenza di sintomi psicotici (allucinazioni e/o deliri). LA FRAGILITÀ SPECIFICA DEI BAMBINI MIGRANTI E LA VULNERABILITÀ DELLE FAMIGLIE MIGRANTI Le letteratura italiana e straniera, oltre all’esperienza professionale degli operatori, mette in evidenza alcuni momenti di particolare vulnerabilità nella crescita dei bambini migranti. Vulnerabilità che non va intesa in maniera meccanica, come causa di malessere o di patologia, ma come condizione relazionale complessa, nella quale intervengono fattori psicologici, sociali, culturali e ambientali, che possono costituire delle condizioni potenzialmente sfavorevoli a un sano sviluppo. In questo modo si intende evitare di diffondere un approccio semplificatorio secondo il quale la condizione migratoria in certe fasi evolutive costituisca di per sé un fattore negativo dal punto di vista evolutivo. Occorre invece considerare la migrazione come condizione di vulnerabilità, a fronte della quale possono essere messe in atto risorse positive e resilienti da parte delle famiglie, ma anche progetti o occasioni di incontri favorenti nell’ambiente di accoglienza, un aiuto a traghettare nel nuovo mondo. L’esito quindi della condizione di vulnerabilità può essere molto diverso a seconda di variabili individuali, familiari, gruppali, ambientali, che possono permettere lo sviluppo della situazione critica in una direzione favorevole o perfino eccellente, o viceversa essere all’origine di una sofferenza che impedisce l’evoluzione e lo sviluppo. Per le famiglie immigrate che si trovano in una condizione di transizione tra due culture, i processi familiari che potevano essere funzionali nel loro paese d’origine, possono pertanto rivelarsi inadeguati ad accogliere le sfide o le nuove regole incontrate nella cultura di adozione (Falicovm 1998; Landau 2005), dove non possono contare più sul sostegno offerto dalla famiglia estesa e dalle reti comunitarie che si sono lasciate alle spalle. Queste famiglie sono incastrate tra due realtà sociali, sospese e in trazione tra due direzioni inconciliabili. Sono famiglie che necessitano un sostegno, non tanto per adattarsi al loro nuovo mondo, ma anche a conservare importanti connessioni con la famiglia estesa, la comunità e la cultura d’origine. Una fase critica per la famiglia migrante è certamente il periodo perinatale ed il primo anno di vita. Mettere al mondo un bambino in un Paese straniero costituisce un’esperienza di forte intensità emotiva, perché alla situazione di crisi che ogni madre e padre sperimentano, si somma il fatto di vivere un momento molto importante e trasformativo per la propria identità e per il proprio ruolo in assenza della famiglia allargata, normalmente con funzione di contenitore che sostiene sia dal punto di vista concreto che dal punto di vista simbolico e tradizionale la nuova genitorialità. Nei Paesi tradizionali la funzione della famiglia allargata è più importante rispetto al nostro contesto, dove prevale una rappresentazione di famiglia nucleare indipendente e dove la relazione con la competenza femminile trans generazionale non è ritenuta molto significativa. La nascita di un bambino fa sentire inoltre più acutamente la nostalgia per le modalità tradizionali con le quali al Paese si realizzano 14 le trasformazioni dei legami familiari, il riconoscimento della maternità, la valorizzazione sociale della coppia genitoriale; tutti elementi strettamente connessi con relazioni di prossimità con le famiglie allargate e con la società di appartenenza. La nascita non è un fatto privato, ma ha a che fare con la comunità. Quando l’evento si svolge altrove non tutti i rituali e i compiti della famiglia per la protezione del nuovo bambino possono svolgersi in modo regolare, e questo può creare ulteriore insicurezza nei genitori. Inoltre il nuovo bambino viene deposto, affidato ad una terra non sua, che lo renderà sempre “più straniero” rispetto ai suoi genitori. Sul piano clinico possono svilupparsi nelle madri depressioni, che non corrispondono pienamente alla depressione puerperale “classica”, ma sono più legate alla solitudine, alla mancanza di sostegno femminile, all’isolamento e all’insicurezza nel saper utilizzare le risorse che il mondo di accoglienza offre. Ma l’effetto di una madre depressa e infelice su un bambino piccolo si esprime attraverso i disturbi delle funzioni di base: cibo, sonno, oppure attraverso difficoltà nell’intesa comunicativa e nella holding. L’evoluzione è naturalmente varia: per alcune madri una visita al Paese e la presentazione del bambino alla famiglia costituisce soddisfazione e riavvicinamento anche dal punto di vista psichico e della possibilità di sentirsi una madre competente, anche se altrove. Per altre il tempo e lo sforzo permettono di decodificare i messaggi e le risorse del mondo di accoglienza. Per altre ancora esiste l’esperienza di un investimento affettivo importante verso una figura di sostegno, l’amica, la vicina, una parente. Occorre un’attenzione specifica a questo periodo e la messa a disposizione di risorse creative a bassa soglia d’accesso per favorire il superamento del periodo critico. Nei casi più gravi dove la sofferenza è persistente e mette a rischio la capacità di accudimento dei bambini,occorrono interventi specifici sul piano clinico o psicoeducativo: dall’accompagnamento alla nascita, alle visite domiciliari dopo la dimissione, progetti di sostegno nel primo anno di vita, gruppi di sostegno all’allattamento e alla genitorialità. Dal punto di vista clinico i bambini possono sviluppare un ritardo nella comunicazione o dei disturbi simili al disturbo pervasivo dello sviluppo, che, tuttavia, con una presa in carico attenta alla sofferenza materna e al trauma migratorio, possono migliorare rapidamente e riprendere un’evoluzione positiva. I SERVIZI DELL’ASL, LA RETE INTEGRATA ED I PROGETTI IN ATTO L’ASL di Brescia gestisce 15 Consultori Familiari ubicati nei distretti del territorio. Sono altresì presenti n. 14 Consultori Familiari privati accreditati, operanti in sintonia con le linee guida per l’attività consultoriale predisposte dall’ASL. Complessivamente l’utenza dei Consultori Familiari pubblici e privati accreditati assume proporzioni significative. Nel 2012 ai Consultori Familiari dell’ASL hanno avuto accesso 20.288 persone, mentre a quelli privati 22.135, per un totale di 42.423 utenti. Di questi il numero più rilevante è rappresentato da donne e madri che chiedono di essere seguite nel percorso nascita, che offre interventi omogenei in tutte le sedi consultoriali pubbliche e private. In questi anni gli operatori hanno potuto usufruire di percorsi formativi ed un’attenzione particolare è stata dedicata all’area della genitorialità. L’integrazione professionale ed operativa, la ricerca e sperimentazione di metodologie condivise è stata raggiunta soprattutto negli interventi previsti dal percorso nascita, che ha inizio con l’assistenza alla gravidanza fino al sostegno alla genitorialità. In esse sono consolidati gli interventi di consulenza individuale e gli incontri di gruppo per madri e per la coppia genitoriale. L’esigenza di offrire all’utenza percorsi interistituzionali integrati basati sulla continuità assistenziale, ha favorito l’attivazione di Accordi con le Aziende Ospedaliere, sottoscritti da 15 tutte le strutture del territorio. I documenti sono stati elaborati con l’attiva partecipazione di rappresentanti delle diverse equipe, portatrici delle rispettive specificità; sono state sperimentate alcune iniziative, favorenti la costruzione di un percorso strutturato di collaborazione. In questi anni è stato costruito e attuato un accordo con i Punti Nascita di tutte le Aziende Ospedaliere pubbliche e private accreditate accordo di collaborazione/integrazione ASL di Brescia/Strutture di ricovero e cura “Dimissione protetta-integrata per la puerpera ed il neonato”, per favorire una continuità assistenziale tra il Consultorio ed il ricovero per il parto. L’accordo prevede che il personale sanitario, quando rileva una situazione di difficoltà significativa della donna, propone alla donna di essere accompagnata e seguita, dopo la dimissione, dall’èquipe consultoriale. Anche per l’assistenza alle gravidanze patologiche, la necessaria esigenza di integrazione Consultorio e Ospedale – struttura di 2° livello - ha portato alla sottoscrizione di un accordo di collaborazione/integrazione ASL di Brescia/strutture di ricovero e cura per le gravidanze problematiche “Dimissioni e ammissioni protette per donne con gravidanze problematiche”, finalizzato alla collaborazione e definizione di “accesso agevolato” agli ambulatori specialistici delle strutture ospedaliere. Presso l’A.O. Spedali Civili di Brescia è attivo il servizio di psicologia dell’area ostetrica che si occupa di pazienti, ricoverate o seguite presso gli ambulatori della stessa azienda, per le quali i medici ritengono opportuno una valutazione psicologica. Questo servizio segue le donne con patologie materno o fetali o neonatali o anamnesi ostetriche complicate e patologiche. In alcuni casi vengono coinvolti successivamente i servizi del territorio (MMG, PDF, Psicologi dei Consultori Familiari, Servizi Sociali del Comune e Servizi Psichiatrici) per la continuazione del percorso di accompagnamento. I casi di gravidanza patologica, a tutti gli effetti credo rappresentino un ambito inseribile nel capitolo maternità fragile, per le conseguenze che l'evento diagnosi, prognosi, percorso decisionale implica per la madre, il padre, la coppia, i fratelli, le nascite successive, la famiglia. Gli operatori consultoriali si confrontano con la complessità di bisogni delle famiglie con figli neonati, dalle problematiche abitative, a quelle economiche, alle difficoltà di inserimento sociale. In questi anni la grave crisi economica ha creato e crea molte difficoltà alle famiglie, spesso impossibilitate anche al mantenimento del neonato. Quali soluzioni di ausilio alle famiglie, la Regione Lombardia ha istituito in questi anni il Fondo Nasko ed il Fondo Cresco che prevedono contributi economici alle donne in gravidanza e alle famiglie con figli neonati, con un progetto d’intervento elaborato dal Consultorio Familiare. Inoltre è stato predisposto un Accordo con i Centri di Aiuto alla Vita del territorio per una presa in carico integrata dei nuclei familiari con figli di età inferiore ai 12 mesi. Un’altra area di intervento di particolare rilievo all’interno dei Consultori Familiari, riguarda le situazioni familiari con provvedimenti della Magistratura, per cui è previsto l’intervento psicologico, mentre la competenza sociale è in carico ai Comuni o agli Organismi Associati. I dati relativi alla Tutela Minori hanno messo in evidenza l’incidenza delle situazioni di conflittualità coniugale in merito all’affidamento dei figli o alle modalità di visita. Queste situazioni, con un alto tasso di conflittualità, impegnano notevolmente gli operatori del settore. Pertanto sono stati organizzati percorsi formativi ed elaborate Linee Guida per la presa in carico dei nuclei familiari conflittuali con provvedimento della Magistratura. 16 Infine, altro settore di rilievo riguarda l’accesso dell’utenza straniera. Il loro numero assai elevato ed il ruolo che il Consultorio Familiare riveste quale “contenitore” e riferimento in particolare per l’assistenza in gravidanza ed il sostegno nel periodo del puerperio, ha richiesto l’adozione di specifiche metodologie di approccio ed intervento. Essendo la genitorialità una dimensione intrisa e caratterizzata dagli aspetti culturali originari di ogni persona, gli operatori debbono dare rilievo a questi aspetti nella valutazione e nel sostegno alla genitorialità per i nuclei familiari migranti, in particolare per le donne che si trovano frequentemente a vivere la gravidanza, il parto ed il puerperio prive del supporto della famiglia di origine, in una situazione di solitudine. Oltre ai progetti sopra citati ed agli accordi fra le diverse istituzioni ed enti del privato sociale, significativa è l’attuazione di progetti di Home Visiting nel nostro territorio. E’ un modello di intervento riferito all’esperienza ormai pluridecennale degli Stati Uniti con i risultati positivi riportati dalla letteratura specifica, che si sta diffondendo anche in Italia. Infatti sono stati attivati progetti nella Regione Lazio e in Liguria si stanno consolidando alcune sperimentazioni. Anche la Regione Lombardia ha sollecitato gli Enti Sanitari e gli Enti Locali per avviare progetti integrati di Home Visiting, orientati alla prevenzione del disagio familiare e minorile. Nel territorio dell’ASL di Brescia sono stati, negli anni scorsi, finanziati quattro progetti gestiti da altrettanti Enti Gestori in diversi territori, con risultati positivi. L’obiettivo è favorire la diffusione di questa modalità di lavoro nei diversi territori. IL TAVOLO DI LAVORO PER LA COSTRUZIONE DELLA RETE PER IL SOSTEGNO ALLA MATERNITÀ FRAGILE L’attività consultoriale ha visto negli anni un incremento del disagio familiare in nuclei con figli minori e agli operatori d’altro canto è richiesto un rilevante investimento sulle situazioni gravemente compromesse dando priorità ai problemi, e ponendo in secondo piano il sostegno per lo sviluppo delle potenzialità e delle risorse dei genitori. Nonostante ciò, si confermano alcuni orientamenti ritenuto basilari per il sostegno delle competenze genitoriali: - dalla cura al prendersi cura e alla prevenzione del disagio; - dall’attenzione prioritaria ai problemi allo sviluppo delle potenzialità e delle risorse delle persone e del contesto sociale; - dalla priorità del disagio allo sviluppo della resilienza. E’ un orientamento che valorizza le persone in difficoltà con un percorso di sostegno, che assume anche una valenza economica non trascurabile. La prevenzione favorisce un miglior investimento di risorse umane ma anche economiche. PERCORSI DI INTERVENTO Sul piano degli interventi, la presenza di elementi protettivi in grado di contrastare quelli di amplificazione del rischio, crea la condizione basilare per attivare un progetto di sostegno alla famiglia e al bambino. Le situazioni possono essere suddivise in tre gruppi così riassunti: a) nuclei che sono in grado di accogliere l’aiuto offerto dai servizi e riprendere la propria autonomia; b) famiglie caratterizzate dalla compresenza di fattori di rischio e di fattori protettivi. Sono famiglie nelle quali gli elementi di rischio non sono compensati a sufficienza dai fattori protettivi che non riescono a modulare o ridurre l’effetto dei fattori di 17 amplificazione del rischio. Anche in questi casi la precoce rilevazione permette di ottenere risultati soddisfacenti con l’attivazione di progetti di sostegno efficaci ed appropriati. In questa categoria va posta la massima attenzione e un notevole investimento di risorse; c) nuclei familiari caratterizzati da assenza o da ridotta presenza di fattori protettivi che non riescono a compensare quelli di rischio distali o prossimali. Situazioni nelle quali spesso vi sono anche segni di violenza che richiedono interventi di tutela e di protezione esplicita e immediata del bambino non disgiunta dall’opportunità offerta alla famiglia di essere aiutata a comprendere le cause del disagio. SINTESI DELLE STRATEGIE DI INTERVENTO Prevalenza di fattori protettivi Aiuto e sostegno al bambino e alla famiglia Compresenza di fattori di rischio, di amplificazione del rischio e di fattori protettivi Protezione del bambino Potenziamento delle risorse familiari Monitoraggio del bambino e della famiglia Assenza di fattori protettivi Protezione e tutela del bambino Prescrizioni alla famiglia Valutazione delle risorse della famiglia TIPOLOGIA FAMIGLIE DESTINATARIE DEL PERCORSO INTEGRATO Il target delle famiglie prese in considerazione è definito da nuclei familiari con un evidente livello di disagio sociale e psicologico che presentano uno o più fattori di rischio. Sono famiglie dove la madre è in stato di gravidanza oppure ha partorito e il bambino è nei primi mesi di vita. Non si escludono a priori segnalazioni di nuclei familiari con bambini di età superiori e che presentano un alto rischio di disagio familiare e/o sofferenza materna. Situazioni con bisogni e sofferenze psicopatologiche gravi restano in carico ai Servizi di riferimento con le modalità di collaborazione positiva ormai consolidate nel tempo. GLI ATTORI DEL PERCORSO INTEGRATO La rete è composta dai seguenti Servizi/attori: - Consultori Familiari; - Punti Nascita delle Aziende Ospedaliere; - Pediatri di Famiglia; - Medici di Medicina Generale; - Servizi Sociali dei Comuni. a) Chi segnala - pediatri di famiglia, in particolare nelle visite per i bilanci di salute; medici di medicina generale, nel rapporto con la famiglia; servizi sociali dei Comuni che possono già conoscere il nucleo familiare. punti nascita delle Aziende Ospedaliere, durante il ricovero ospedaliero per il parto; 18 Pediatri di Famiglia Il pediatra, in occasione delle 5 visite filtro proposte ai familiari del bambino durante il primo anno di vita, ha la possibilità di effettuare indagini anamnestiche precise e mirate ad evidenziare problematiche non solo in ambito strettamente patologico - sanitario, ma anche in quello familiare, professionale, sociale ed etnico. Le visite programmate sono incontri di ascolto, di conoscenza, di attenzione alle esperienze e alle emozioni riferite dalla donna, durante le quali si pone particolare attenzione alla relazione madre-figlio, al comportamento e alla modalità di rapportarsi della neomamma con il neonato e gli altri membri della famiglia. Quando nel colloquio con la madre o con i genitori il pediatra ravvede la presenza di indicatori di rischio rilevante, si impegna a ricercare il loro consenso per un’attivazione da parte degli operatori del Consultorio Familiare, di un progetto di sostegno mirato e personalizzato. Medici di Medicina Generale Il medico di Medicina Generale è il riferimento dell’assistenza sanitaria degli adulti e quindi dei genitori. Pertanto ha la possibilità di conoscere il nucleo familiare prima della nascita del bambino e può conoscere le fragilità genitoriali ed eventuali variazioni. Servizi Sociali del Comune I Servizi Sociali dei Comuni seguono diverse situazioni familiari soprattutto in questo momento storico in cui la crisi lavorativa ed economica ha gravi ricadute sulle famiglie, soprattutto quelle con bambini in tenera età e con bisogni di cura ed assistenza abbastanza impegnativi. I servizi sociali, ad integrazione del proprio progetto di aiuto al nucleo familiare, motivano la partecipazione della donna alle varie proposte del Consultorio Familiare e coinvolgono l’èquipe consultoriale per un progetto di sostegno mirato e specifico per quel nucleo familiare, quando ravvedono la presenza di indicatori di rischio rilevante. I Servizi Sociali dei Comuni sono altresì coinvolti dall’èquipe consultoriale per le situazioni familiari prive o carenti di mezzi di sostentamento. Possono essere coinvolte anche le associazioni di volontariato che forniscono aiuti alle famiglie con neonati. Punti Nascita delle Aziende Ospedaliere Per i Punti Nascita si confermano le prassi e gli strumenti attualmente in uso con l’accordo di collaborazione/integrazione ASL di Brescia/Strutture di ricovero e cura “Dimissione protetta-integrata per la puerpera ed il neonato” (percorso sito: ASL Brescia > Operatori > Professioni sanitarie > Ostetriche e Assistenti Sanitarie). b) Come attivare un progetto integrato di intervento La richiesta di collaborazione da parte del segnalante avviene dopo un colloquio e un’approfondita osservazione della situazione problematica, prestando attenzione ai fattori di rischio evidenziati nella scheda allegata (All.1). E’ indispensabile avere il consenso della donna al coinvolgimento del Consultorio Familiare per un progetto mirato di sostegno alla relazione genitoriale. È auspicabile, prima di procedere alla comunicazione scritta motivare la donna perché acceda spontaneamente al Consultorio Familiare. Alcuni aspetti da conoscere, oltre all’anamnesi del bambino, possono essere i seguenti: 19 • • • • • • • • luogo di vita, abitazione, spazi di vita quotidiana, distanza dai luoghi abitati; presenza e ruolo del padre del bambino; aiuti da parte del partner, familiari, amiche; organizzazione di vita con il bambino; progetti lavorativi; situazione economica del nucleo; tempi e modalità della migrazione, il progetto migratorio per le donne straniere; le fatiche/ disagi che la madre incontra in questi periodi di vita del bambino. c) A chi inviare la richiesta di collaborazione Chi rileva le situazioni di rischio e di disagio, invia la segnalazione all’ostetrica/assistente sanitaria e all’assistente sociale del Consultorio Familiare tramite la scheda allegata (All. 2). Si considera necessario attivare interventi di sostegno al nucleo familiare quando sono rilevati almeno tre indicatori di rischio, oppure quando uno di essi manifesta una tale gravità da porre in serio pregiudizio. L’invio avviene attraverso posta elettronica. d) Come avviene la valutazione della richiesta di collaborazione Gli operatori che ricevono tale richiesta: - si confrontano; - concordano quali altri interlocutori attivare; - presentano il caso in èquipe e individuano l’operatore di riferimento, a secondo del tipo di fragilità; - predispongono il progetto, attivando anche realtà informali del territorio; - presentano il percorso alla famiglia, condividendo la proposta. e) Restituzione Ogni segnalante riceve dall’operatore consultoriale di riferimento, una restituzione ed informazioni in merito al progetto di sostegno e viene coinvolto nella condivisione del progetto e nelle modalità di valutazione. 20 SINTESI DEL PERCORSO SEGNALANTE Pediatra di Famiglia - - Medico Medicina Generale A CHI SEGNALARE PROBLEMATICA - - Servizi Sociali dei Comuni - Punti Nascita - problemi economici e/o abitativi ambiente sociale carente o inadeguato: isolamento, carenza di relazioni interpersonali e sociali comportamento materno problematico e/o poco affidabile – difficoltà nella relazione con il bambino problemi coniugali e/o con famiglia estesa carico assistenziale per un figlio con patologie …… nucleo familiare con gravi problemi: precedenti episodi di violenza, alcol dipendenza, isolamento sociale ecc… sospetta violenza sulla donna donne con anamnesi positiva per depressione, manifestazioni di disagio emotivo, abuso o violenza subite nell’infanzia, patologie psichiatriche nuclei familiari in cui la madre è in gravidanza o ha partorito da poco e necessita di essere accompagnata e seguita per fragilità - - Consultorio Familiare problemi della donna problemi del neonato problemi sociali - Consultorio Familiare che potrà coinvolgere il PDF e/o il MMG come da prassi - - - COME Consultorio Familiare MMG Servizi Sociali di Base Consultori familiari che coinvolgerà il pediatra del bambino Servizi sociali comunali Psichiatria Invio scheda con e-mail e restituzione di informazioni dall’operatore consultoriale di riferimento Nella predisposizione dei progetti d’intervento, gli operatori possono coinvolgere anche le Associazioni del privato sociale che si occupano di questi nuclei familiari, in particolare i Centri di Aiuto alla Vita. Con questi Centri l’ASL ha sottoscritto un accordo per la condivisione di progetti di intervento per le famiglie con figli entro l’anno di vita. L’alleanza con la donna e possibilmente con il partner/nucleo familiare appare indispensabile e necessaria per l’attuazione di un progetto di sostegno. Costruire e ottenere la collaborazione richiede tempo e dialogo fiducioso, senza voler forzare o indurre adesioni compiacenti che poi non manifestano adeguata collaborazione al progetto. 21 COLLABORAZIONE DEL CONSULTORIO FAMILIARE CON IL SERVIZIO DI PSICHIATRIA Dopo una valutazione psicologica della donna, lo psicologo può ravvisare elementi patologici che richiedono un approfondimento diagnostico da parte dello psichiatra. Gli elementi più significativi riguardano l’individuazione delle situazioni con patologia psichiatrica, la modalità di invio e di accesso al Servizio Psichiatrico, per una valutazione in tempi brevi. ATTUAZIONE E PRIMA VERIFICA DEL PERCORSO INTEGRATO Il percorso integrato approvato dal Tavolo di Lavoro, dal Comitato Aziendale della Pediatria di Libera Scelta, dalle Strutture Sanitarie con punti nascita ed adottato dall’ASL, verrà monitorato con prima verifica dopo il primo semestre di sua adozione operativa. I dati che verranno rilevati riguarderanno il numero delle segnalazioni e dei progetti attuati. 22 ALLEGATO 1 INTERAZIONI TRA RISCHIO, STRESS E FATTORI PROTETIVI NELLA VIOLENZA ALL’INFANZIA (ripreso da Di Blasio e Acquistapace, 2004) FATTORI DI RISCHIO (distali) Povertà cronica Basso livello di istruzione Giovane età della madre Carenza di relazioni interpersonali Carenza di reti e di integrazione sociale Esperienza di rifiuto, violenza o abuso subite nell’infanzia Sfiducia verso le norme sociali e le istituzioni Accettazione della violenza e delle punizioni come pratiche educative e della pornografia infantile VULNERABILITA’ Fattori di stress Fattori protettivi a) Fattori individuali • psicopatologia dei genitori • devianza sociale • debole o assente assunzione di responsabilità a) Fattori individuali capacità • sindrome da risarcimento • distorsione delle emozioni capacità empatiche • difficoltà di role taking • impulsività • scarsa tolleranza alle frustrazioni • ansia da separazione e di delle b) Fattori familiari • matrimonio e gravidanze precoci • famiglia monoparentale • relazioni difficili con la propria famiglia d’origine e/o con quella del partner • conflitti di coppia e violenza domestica c) Caratteristiche del bambino • malattie fisiche o disturbi alla nascita • temperamento difficile • sentimenti di inadeguatezza per la dipendenza dai servizi • rielaborazione del rifiuto e della violenza subiti nell’infanzia • capacità empatiche • desiderio di migliorarsi • capacità di assunzione delle responsabilità • autonomia personale e buon livello di autostima b) Fattori familiari e sociali • relazione attuale soddisfacente con almeno un componente della famiglia d’origine • rete di supporto parentale o amicale • capacità di gestire i conflitti c) Caratteristiche del bambino • temperamento facile ALLEGATO 2 Luogo e data____________________ Al Consultorio Familiare di ………………………………………… Richiesta di collaborazione e attivazione progetto Per il bambino/a ……………………………………………… nato/a il …………………………………… paese d’origine ………………………………………………………………………………………………………… residenza o domicilio abituale: via ………………………………………………………………………… n……… Comune ………………………………………………………………………………………………………… tel ……………………………………………………………………………………………………………………………… Eventuali informazioni: • Situazione familiare (genitori presenti) ………………………………………………………… • Situazione abitativa………………………………………………………………………………………… • Situazione lavorativa dei genitori…………………………………………………………………… • Situazione globale del bambino……………………………………………………………………… Motivazione della segnalazione …………………………………………………………………………………………………………………………………… …………………………………………………………………………………………………………………………………… I genitori/la madre hanno acconsentito alla proposta Codice o Rosso - tre fattori di rischio o Giallo - due/tre fattori di rischio e un fattore di protezione o Verde - due/tre fattori di rischio e due fattori di protezione o Bianco - un solo fattore di rischio E' opportuno che la comunicazione al Consultorio venga effettuata quando: a) si rilevano almeno tre fattori di rischio; b) si rileva uno o due fattori di estrema gravità. Operatore ………………………………………………………………………………………………………………… Recapito telefonico ……………………………………………………………………….…………………………… E-mail ………………………………………………………………………………………………………………………… Ricevuta il ………………… Comunicata l’avvenuta presa in carico il ……………… da …………………………………………… ASL di Brescia – Sede Legale: viale Duca degli Abruzzi, 15 – 25124 Brescia Tel. 030.38381 Fax 030.3838233 - www.aslbrescia.it - [email protected] Codice Fiscale e Partita IVA: 03436310175