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UNA GIRL BOSS
Ma esiste un femminismo fashion?
Sophia: «Siate dure»
Dai cassonetti a guru di stile delle ragazze che badano a se stesse
Motti, vita e pensieri nel libro da oggi nelle librerie
di LUISA PRONZATO
Può il femminismo passare attraverso jazz
pant, short pant, oversize o pantaloni larghi?
Per Sophia Amoruso, fenomeno del fashion
web 3.0, è passato per uno stile minimal chic,
«Gli indumenti sono l’armatura
con la quale affrontiamo il
mondo»
grintoso, camicette in “vegan leather”, top a
intagli, mix and match di linee vintage e nuovi
design per reinventare stili individuali. E una filosofia di vita per cui ogni ragazza è
boss di se stessa. Una #GirlBoss (con l’hastag per sottolinearne la generazione e
l’invito al social­passaparola) come Sophia che dal nulla (infanzia introversa e
ribelle, adolescenza tra cassonetti della spazzatura e furtarelli ai centri commerciali,
niente studi, niente lauree) ha creato un impero commerciale. Miracoli della bolla
dell’e­fashion. Nasty Gal, che ha fondato nel 2006, è uno dei siti di retail di moda e
accessori più frequentati e social­condivisi con 100 milioni di dollari di business (in
sette anni), 350 dipendenti, una sede (fisica) di 65mila metri quadri e oltre un milione
di fan su Facebook e Instagram. La prova, per Amoruso, trentenne di San Diego ora
Los Angeles, che «rigare dritti non è l’unica via del successo». E mentre #GirlBoss,
in parte manuale di business per fanciulle della generazione Y e in parte auto­
celebrazione in formato cartaceo, arriva in Italia (Sonzogno), sophia­girl­boss lascia
la carica di Co di Nasty Gal che nel frattempo ha dovuto tagliare il 10% dei
dipendenti. Dal suo blog annuncia che cede il governo a Sheree Waterson, Co di
lungo corso (e lauree), che continuerà a essere al vertice di marketing e creatività. E
COSA DICE IL PAESE
9% si sente 
soprattutto che scriverà un secondo libro.
Ci sta: «Una girl boss sa quando tirar pugni e quando incassare». Ora incassa, a
modo suo. Abito nero, stretto, collana appuntita, pugni sui fianchi e un sopracciglio
inarcato. Antagonista si affaccia dalla cover. Perfettamente in linea con le linee e le
massime snocciolate nelle oltre 230 pagine del primo, rimasto dieci settimane nella
classifica dei best seller del New York Times. «Abbandona tutto ciò che della tua
vita e delle tue abitudini ti può bloccare», scrive. «Impara a creare da sola le tue
occasioni. Sappi che non c’è traguardo: la fortuna premia l’azione». Una girl boss
nella cosmologia di Sophia Amoruso è una che lavora da matti, prende in mano la
sua vita e non cede il passo. Tre i punti di partenza: non crescere mai, non diventare
noiose, non lasciare che un uomo vi raggiunga.
Bastano per definirsi femminista? Sophia
Amoruso lo fa, cominciando dal fashion: «Gli
indumenti sono l’armatura con la quale
affrontiamo il mondo», sostiene. «Quando
«Siamo arrivate e li stiamo
facendo tutti secchi»
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scegli l’abbigliamento giusto ti senti a posto. E non c’è nulla di superficiale nel
sentirsi a posto. Personalizzare il proprio stile ha molto più a che fare con
l’atteggiamento che con quello che si porta». E fin qui ci siamo. Poi aggiunge: «Non
sottovalutare, però, le possibilità di cambiamento che ti si possono aprire grazie alla
scelta di ciò che indossi».
E lei, che si definisce l’antimoda, al suo stile
ci sta attenta, non adeguandosi: «La
quintessenza dello stile è sempre stata la
donna chic una ragazzina tipo Alexandra
«Una girl boss sa quando tirar
pugni e quando incassare»
Chung con indumenti semplici ed eleganti
come abitini morbidi e ampi generalmente un look di disinvolta e discreta eleganza»,
dice. «Ho i fianchi e appena sono arrivata a capire di dovere indossare ciò che
davvero mi stava bene ho compreso che se non sceglievo un capo che mi
accentuava la vita avrei dato l’impressione di trotterellare per strada dentro una
scatola rettangolare». Beh, il suo abbigliamento è azzeccato: di “rettangolare” nella
sua silhouette c’è ben poco. Guadatela nel servizio fotografico con Lena Dunham
pubblicato nel lookbook di Nasty Gal. Ecco: se al femminismo di nuova generazione
vogliamo riferirci, Sophia è più in linea con le ribellioni delle Millenial, precarie digitali
che con le sicurezze e il “pedigree di background e studi e istruzione” (la definizione
è di Sophia) di Sherly Sandberg.
Più che alla boss di Facebook, l’ex ragazzina
instabile, insicura e poco socievole è più
vicina a Tavi Gevinson, carriera nel
cyberspazio iniziata a 11 anni con Style
«Essere cool è essere strane e
sicure di sé»
Rookie , blog da 4milioni di lettori, e ora a 18
molla la moda per dedicarsi ad altro. Ragazze autonome, indipendenti, emancipate alla nascita, sembrerebbero i modelli
di femmine a cui guarda. Salvo poi rimetterle in riga con una griglia di imperativi,
consigli e regole, per affrontare colloqui, curriculum, colleghi, fallimenti e frustrazioni.
Il lavoro, la sua ossessione. Il modello di donna che propone è «Uno schianto di
pupa che è per un terzo genio, per un terzo ragazza delle porta accanto, per un
terzo regina dei party. È cool». E cool per Sophia è «essere strane e sicure di sé».
«Sventola la bandiera della tua eccentricità».
«Perché adeguarti quando sei nata per
«Modifica i tuoi vestiti quando
distinguerti». Sono alcuni dei motti con cui
vuoi, non modificare la tua
vuoi, non modificare la tua
introduce i capitoli. «Se avessi cercato di
eccentricità»
adeguarmi Nastry Gal sarebbe morta e
sepolta da un pezzo», scrive. «L’ultima cosa
di cui il mondo ha bisogno è di un altro individuo o un altro marchio monotono ,
accetta tutto quello che ti rende diversa. Modifica i tuoi vestiti quando vuoi, ma non
osare modificare la tua eccentricità interiore: è lei che ti protegge». #GirlBoss,
sostiene Sophia, è un libro femminista e Nasty un’azienda femminista che
incoraggia le ragazze a essere quello che vogliono e fare quello che piace. «Non ho
mai pensato una sola volta in vita mia che essere una ragazza rappresentasse un
ostacolo da superare», dice tagliando corto su qualsiasi altro discorso possa
contemplare diritti e lotte per ottenerli. I diritti che Sophia affronta sono una lunga
sequenza di inviti a lavorare duro. Che rivolge proprio a quella generazione di
giovani donne per le quali il lavoro è chimera e identità, scarso focus di
realizzazione. Sophia ne ha intuito bisogni e attese (come aveva capito le voglie di
outfit) e ha risposto con un best seller metà ribelle e candido e metà celebrazione
delle ragazze alpha. Lena Dunhan su Instagram lo ha definito «ispirazionale» per il
cervello. Lean in sta alle macinatrici di successi, zelanti ai programmi di Harvard.
come#GirlBoss sta alle cazzute. Le celebra urlandole dietro che ce la possono fare.
Anzi: «Le bastarde cazzute», dice mettendosi orgogliosamente nel gruppo, «stanno
conquistando il mondo. Siamo arrivate e li stiamo facendo tutti secchi».
Con un mare di regole: non chiedere una
promozione finche non sei rimasta nello
stesso posto almeno un anno; non
confondere il capo per amico; combatti
l’impulso naturale degli uomini a considerati
«Lavorare nella moda non è un
viaggio prolungato al centro
commerciale»
un’eccezione, attenta agli errori d’ortografia
nel curriculum. Possono sembrare rudimentali a chiunque sia nata prima degli anni
Ottanta. Sono azzeccati rispetto ai vizi tipici di maschi e femmine Millenials.
«Lavorare nella moda non è un viaggio prolungato al centro commerciale», avvisa.
A tutte le altre dice: «Sono femminista anche se è una parola che suona pesante e
poco positiva. La cosa più femminista da fare è solo essere un GirlBoss. Forse Girl
Boss è la parola nuova per il femminismo». E via ancora con le sue massime:
Sogna in grande comincia dal piccolo. Essere una ragazza è uno spasso possiamo
sperimentare il nostro look quanto ci pare e piace. Scommetti su te stessa. Possiedi
il tuo stile come possiedi un’auto usata. Lei ha una Porche Bianca.
15 gennaio 2015 | 08:45
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