259-264 Edit-Gandini - Recenti Progressi in Medicina
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Editoriale Vol. 94, N. 5, Maggio 2004 L’artropatia emofilica Giorgio Gandini, Massimo Franchini Riassunto. L’emartro rappresenta la più frequente manifestazione clinica dell’emofilia grave. Emartri ripetuti a livello di un’articolazione portano all’instaurarsi di alterazioni anatomiche che esitano, attraverso uno stadio intermedio chiamato sinovite cronica, nell’artrite degenerativa, una condizione estremamente invalidante. In quest’articolo sintetizziamo le caratteristiche fisiopatologiche, cliniche e terapeutiche dell’artropatia emofilica. Parole chiave. Artropatia, emofilia, sinovite cronica. Summary. Hemophilic arthropathy. Hemarthrosis is the most frequent clinical manifestation of severe hemophilia. Recurrent hemarthroses in a joint lead to the development of anatomical changes which result, through an intermediate stage called chronic synovitis, in degenerative arthritis, an extremely disabling disease. In this review, we briefly report the main physio-pathologic, clinic and therapeutic characteristics of the hemophilic arthropathy. Key words. Arthropathy, chronic synovitis, hemophilia. Introduzione I ripetuti sanguinamenti articolari (emartri) rappresentano la manifestazione clinica più frequente dell’emofilia grave e l’artropatia che ne risulta è la principale causa di morbilità legata alla malattia 1. L’artropatia emofilica infatti è una patologia estremamente invalidante caratterizzata dalla progressivo, dolente, deterioramento articolare che nelle fasi avanzate ricorda quanto si vede nell’artrite reumatoide 2. La disponibilità dei concentrati dei fattori della coagulazione, consentendo la possibilità di un trattamento domiciliare precoce o addirittura di evitare l’episodio emorragico attraverso il trattamento profilattico, ha profondamente cambiato la storia naturale e l’approccio terapeutico dell’artropatia emofilica. Analizzeremo brevemente la patogenesi, le caratteristiche cliniche, la diagnosi ed il trattamento dell’artropatia emofilica. La patogenesi La degenerazione articolare in corso di emofilia è condizionata da aspetti legati allo stato infiammatorio della sinovia, al danno direttamente indotto dall’emartro sul tessuto cartilagineo e sui nuclei di ossificazione epifisaria. Sin dal 1892, König identificò nel ripetersi degli emartri il primum movens del lento ma inesorabile cammino verso la panartrosi e la fibrosi articolare. La patogenesi dell’artropatia emofilica può essere suddivisa in 3 fasi 2-4. Nella prima fase, chiamata fase dell’emartro acuto, a causa delle ripetute emorragie intra-articolari, la sinovia non è più in grado di riassorbire il sangue e conseguentemente l’emosiderina si deposita nella sinovia e nei condrociti della cartilagine articolare con effetto tossico. Si viene così creare uno stato infiammatorio acuto (sinovite reattiva) del tessuto sinoviale. Anche a livello cartilagineo sono presenti alterazioni: è stato infatti dimostrato in vitro come i condrociti umani mostrino lievi ma irreversibili modificazioni biochimiche e metaboliche (ridotta sintesi di proteoglicani) dopo solo 4 giorni di esposizione al sangue, che, come è noto, è il tempo medio richiesto per il riassorbimento di un emartro. Successivamente si sviluppano sulla superficie sinoviale alcune aree di ipertrofia villosa che, a causa della loro intrinseca friabilità, continuano a sanguinare in seguito a minimi traumi o al normale stress cui è sottoposta l’articolazione. Si viene così a creare un circolo vizioso in cui la medesima articolazione diventa bersaglio di ripetuti episodi emorragici. Servizio di Immunoematologia e Trasfusione, Centro Emofilia, Azienda Ospedaliera, Verona. Pervenuto il 18 gennaio 2004. 260 Recenti Progressi in Medicina, 95, 5, 2004 Numerosi studi hanno cercato di spiegare il motivo per cui alcune articolazioni (ginocchio, gomito, caviglia) sono più colpite rispetto ad altre (anca e spalla)2. Il sanguinamento anomalo sembra originare dal plesso venoso subsinoviale sottostante la capsula articolare dove i capillari formano numerose circonvoluzioni. Questi capillari differiscono da quelli subsinoviali più profondi in quanto sono fenestrati per permettere un più rapido scambio di soluti ed acqua, caratteristica che può predisporre al sanguinamento. Sebbene non vi siano differenze anatomiche tra le sinovie delle diverse articolazioni, tuttavia la particolare disposizione della sinovia nel ginocchio, gomito e caviglia in una membrana pieghettata con recessi e tasche può renderla più vulnerabile alle sollecitazioni meccaniche ed ai traumi. Inoltre, il fatto che gli emartri cominciano a comparire quando il bambino emofilico inizia a dare carico sulle articolazioni, che le articolazioni degli arti inferiori sono più colpite rispetto a quelle degli arti superiori e che l’artropatia è più severa nel lato dominante del corpo, suggerisce fortemente che i fattori meccanici sono altrettanto importanti. Infine, l’assenza di attività tromboplastinica nella sinovia – combinata con la sintesi da parte delle cellule sinoviali di inibitore del fattore tessutale – può contribuire al sanguinamento articolare. Manifestazioni cliniche Figura 1. Fisiopatologia dell’artropatia emofilica. In associazione con la deposizione di ferro vi è il rilascio di citochine infiammatorie che richiamano fibroblasti e macrofagi all’interno dello spazio articolare creando così il microambiente favorevole per la progressione del danno articolare. Infatti queste cellule rilasciano a loro volta enzimi idrolitici e proteolitici, quali la fosfatasi acida e la catepsina D, elastasi, collagenasi, i cui effetti tossici si sommano a quelli dell’emosiderina. È questa la seconda fase dell’artropatia emofilica in cui il processo infiammatorio articolare, dapprima acuto, diventa cronico. Questa fase è caratterizzata dallo sviluppo della sinovite cronica con dolore, fibrosi e progressiva rigidità articolare con ridotta mobilità. Nello stadio finale dell’artropatia emofilica (terza fase o artrite degenerativa) appaiono evidenti la progressiva erosione e distruzione della cartilagine, il restringimento dello spazio articolare, la formazione di cisti subcondrali ed infine il crollo e la sclerosi dell’articolazione. La figura 1 mostra le principali fasi dell’artropatia emofilica. Ai 3 stadi sequenziali di progressione dell’artropatia emofilica corrispondono 3 quadri clinici distinti 3,5. La figura 2 (alla pagina a fronte) mostra le caratteristiche cliniche delle varie fasi dell’artropatia emofilica. Nell’emartro acuto la severità del deficit coagulativo si correla direttamente con la frequenza dei sanguinamenti articolari. Il sanguinamento articolare inizia a diventare problematico usualmente tra i 2 ed i 3 anni di età e colpisce più spesso, in ordine decrescente, le ginocchia, i gomiti e le caviglie. Emartri nelle spalle, nelle anche e nei polsi sono più rari, sebbene traumi anche modesti possano causare emorragie in ogni articolazione. Pure infrequente è il coinvolgimento bilaterale di una medesima articolazione. La maggior parte dei pazienti riesce ad accorgersi del sanguinamento articolare ancor prima che compaiono i caratteristici segni e sintomi (dolore acuto, gonfiore, calore e limitazione funzionale assoluta dell’articolazione che viene spesso mantenuta in atteggiamento antalgico di flessione). Questi sintomi premonitori, chiamati “aura” e che vengono avvertiti dal paziente come una sensazione di formicolio e bruciore all’articolazione colpita, sono molto importanti per il trattamento precoce dell’emartro con il concentrato del fattore della coagulazione carente. Quantunque la diagnosi clinica di emartro acuto in un emofilico noto non sia difficile, essa dovrebbe essere confermata da indagini ecografiche. Tuttavia alcune difficoltà diagnostiche possono derivare nel distinguere un emartro a livello dell’anca da un ematoma dell’ ileopsoas e del gluteo. G. Gandini, M. Franchini: L’artropatia emofilica 261 sanguinamento sinovite sanguinamento, in cui la sinovia stessa, ipertrofica a causa della sua friabilità, è fonte di sanguinamento 6,7. Le articolazioni più colpite sono quelle interessate più frequentemente dagli emartri acuti (ginocchia, caviglie e gomiti). Da un punto di vista clinico, è presente una limitazione funzionale di tipo antalgico alla flesso-estensione (il dolore è comunque generalmente minore rispetto all’emartro acuto) ed una tumefazione costante dell’articolazione che limita in maniera importante le attività di relazione del paziente. La tumefazione è imputabile sia alla sinovite che al sanguinamento intra-articolare. Lo studio radiografico dell’articolazione è, in questa fase, utile più per quantificare l’estensione dell’erosione della cartilagine e del danno osseo (perdita della densità ossea attorno all’articolazione) che per scopo diagnostico. Maggiormente efficace ai fini diagnostici risulta la risonanza magnetica. Figura 2. Caratteristiche cliniche delle varie fasi dell’artropatia emofilica. Inoltre, nei pazienti con artrite cronica risulta spesso difficile distinguere un’esacerbazione acuta di un dolore artritico da un emartro e purtroppo in parecchi casi l’esame obiettivo non è di aiuto, dal momento che la capsula articolare fibrotica può mascherare i classici segni dell’emartro acuto. Se l’emartro si è verificato in assenza di traumi, non sono necessari ulteriori indagini diagnostiche. Infatti, il quadro radiologico in questo primo stadio è usualmente negativo. Invece, in presenza di traumi, può essere necessario un esame radiologico per escludere eventuali fratture. Nei pazienti HIV positivi, inoltre, dovrebbe essere considerata anche l’ipotesi di un’artrite settica che, se sospettata, andrà confermata o esclusa attraverso un’artrocentesi. Emartri ripetuti a livello della medesima articolazione portano al secondo stadio dell’artropatia emofilica, caratterizzato dall’insorgenza di una sinovite cronica che, se non trattata prontamente, conduce all’instaurazione di un circolo vizioso di La persistenza di una sinovite cronica per più di 6 mesi provoca un grave quadro di artrite degenerativa. Tuttavia, le caratteristiche cliniche e le deformità ossee ed articolari proprie di questa fase sono più gravi rispetto a quelle osservate nei pazienti non emofilici, in quanto i processi distruttivi ossei ed articolari iniziano più precocemente ed inoltre vi è un importante coinvolgimento muscolare legato ai precedenti ematomi muscolari. Questi ultimi, infatti, rivestono un ruolo importante nell’evoluzione del quadro clinico, determinando sia ipotrofia sia retrazioni delle masse muscolari. Inoltre, fattori meccanici rappresentati dal peso del paziente contribuiscono ad esacerbare il danno articolare che, alla fine, potrà esitare in deformità permanenti quali sublussazione, disallineamento dei capi articolari, perdita di mobilità, anchilosi e differenza di lunghezza degli arti inferiori. La compromissione di una articolazione può a sua volta causare danni alle altre articolazioni in quanto esse vengono sovraccaricate per compensare la disfunzione dell’articolazione danneggiata. Il risultato finale sarà pertanto una grave e diffusa artropatia degenerativa caratterizzata da grave ipotrofia muscolare, deviazioni assiali, dolore e limitazione funzionale. Il segno radiologico più precoce dell’artropatia degenerativa è la riduzione dello spazio articolare. Con il procedere della perdita cartilaginea compaiono pure la sclerosi subcondrale, la formazione di cisti e la presenza di osteofiti ai margini articolari. Infine, merita un cenno una complicanza molto seria, fortunatamente rara, dell’artropatia emofilia: lo pseudotumor. Esso può originare da un sanguinamento persistente a livello di masse muscolari che arriva a comprimere ed erodere le corticali di strutture ossee circostanti oppure può originare dal confluire di ampie aree cistiche che, se non trattate, distruggono il tessuto osseo ed, estendendosi alle parti molli circostanti, causano lesioni vascolari o neurologiche. Con lo scopo di stadiare la progressione dell’artropatia emofilica per selezionare l’intervento terapeutico più appropriato, sono state introdotte nel corso degli anni varie classificazioni radiologiche 8. 262 Quella sicuramente più utilizzata, adottata dalla World Federation of Hemophilia (WFH), è la classificazione a punti di Pettersson (vedi tabella 1) che, combinando informazioni cliniche e radiologiche, crea un punteggio (minimo 0, massimo 13) che dà una valutazione del danno articolare. Tuttavia, dal momento che la radiologia convenzionale e l’esame clinico spesso sottostimano l’estensione del danno articolare, sono stati introdotti mezzi alternativi per la valutazione dell’artropatia emofilica8. Tra di essi, il più interessante è rappresentato dalla risonanza magnetica, che permette una miglior discriminazione dei cambiamenti nella cartilagine, nella sinovia e nello spazio articolare9. Recenti Progressi in Medicina, 95, 5, 2004 Tabella 1. - Classificazione a punti del danno articolare di Petterson. Tipo di cambiamento Conclusioni Punteggio Osteoporosi Assente Presente 0 1 Allargamento delle epifisi Assente Presente 0 1 Irregolarità dell’osso subcondrale Assente Parzialmente coinvolta Totalmente coinvolta 0 1 2 Riduzione dello spazio articolare Assente Spazio articolare > 1mm Spazio articolare ≤ 1 mm 0 1 2 Formazioni di cisti subcondrali Assente 1 cisti > 1 cisti 0 1 2 Erosione dei margini articolari Assente Presente 0 1 Incongruenza dei capi ossei articolari Assente Lieve Pronunciata 0 1 2 Deformità articolare Assente Lieve Pronunciata 0 1 2 Possibile punteggio dell’articolazione 0-13 Il trattamento I tre cardini principali della terapia dell’artropatia emofilica includono il trattamento sintomatico, la prevenzione della progressione del danno articolare ed il mantenimento della funzionalità articolare. Questi obiettivi vengono raggiunti attraverso la prevenzione o il trattamento precoce dell’emartro acuto, limitando gli effetti della sinovite cronica o attraverso la terapia fisica o chirurgica nei pazienti in cui si sia instaurata un’artropatia degenerativa10. Di seguito analizzeremo per ciascun stadio dell’artropatia emofilica i relativi interventi terapeutici (tabella 2). Tabella 2. - Il trattamento dell’artropatia emofilica. 1) Emartro acuto a) Impacchi con ghiaccio, riposo, temporanea immobilizzazione in posizione antalgica dell’articolazione, evitare il carico, uso di analgesici (paracetamolo). b) Rapida mobilizzazione con successiva riabilitazione. c) Terapia sostitutiva con concentrati del fattore della coagulazione carente: “on- demand” (trattamento dell’emartro acuto), profilassi primaria, profilassi secondaria. d) Terapia anti-infiammatoria: steroidi, FANS (rofecoxib). e) Artrocentesi. 2) Sinovite cronica a) Profilassi secondaria. b) Sinoviectomia medica e chirurgica. 3) Artrite degenerativa a) Uso di analgesici. b) Trattamento chirurgico. EMARTRO ACUTO L’emartro acuto richiede il trattamento con il concentrato del fattore della coagulazione carente, in modo da raggiungere livelli plasmatici attorno al 30-40%, in caso di carenza del FVIII (25-40 U/kg) ed attorno al 20-30% in caso di carenza del fattore IX (20-30 U/kg). La terapia domiciliare consente un trattamento più precoce, e quindi più efficace, dell’emartro. Per far cessare il sanguinamento e/o per ridurre il dolore possono essere necessarie più infusioni di concentrato. Durante la fase acuta è necessario applicare impacchi ghiacciati, immobilizzare temporaneamente l’articolazione in posizione antalgica ed evitare il carico sull’articolazione colpita: queste misure hanno lo scopo di ridurre l’infiammazione, ulteriori spandimenti emorragici ed il dolore, che accompagnano l’emartro. È inoltre indicata una terapia antalgica (paracetamolo da solo o in associazione con la codeina) per il controllo del dolore che rappresenta il principale fattore determinante la velocità di ripresa della mobilizzazione dell’articolazione colpita. Tale ripresa dovrebbe avvenire non appena il sanguinamento e la fase acuta del dolore sono cessati. Nonostante i farmaci contenenti acido acetilsalicilico o i FANS siano da evitare nell’emartro acuto per la loro azione inibente sulla funzionalità piastrinica e per il potenziale rischio emorragico, una recente segnalazione11 ha mostrato l’efficacia di un nuovo farmaco anti-infiammatorio non steroideo, il rofecoxib, nel ridurre i sintomi dell’artropatia emofilica, con conseguente minor consumo di concentrato del fattore carente. G. Gandini, M. Franchini: L’artropatia emofilica Per ridurre l’infiammazione, in caso di persistenza del dolore e del gonfiore, può pure essere utilizzato un breve ciclo di corticosteroidi (prednisone 1 mg/kg/die), comunque da evitare nei pazienti emofilici HIV positivi. L’artrocentesi, in caso di emartro in un paziente emofilico, rappresenta un capitolo ancora oggi controverso. Se fino a pochi anni fa era considerata una procedura estremamente pericolosa per l’elevato rischio di complicanze emorragiche ed infettive (artrite settica), oggigiorno un numero sempre maggiore di ortopedici che seguono i pazienti emofilici crede nell’efficacia di un’artrocentesi precoce. Tale procedura dovrebbe essere eseguita esclusivamente da personale specializzato in collaborazione con specialisti ematologi e sotto adeguata copertura con il concentrato del fattore carente. Nella nostra esperienza clinica, l’artrocentesi dovrebbe essere eseguita esclusivamente negli emartri caratterizzati da cospicuo versamento e da dolore importante nonostante la terapia sostituiva con il concentrato del fattore carente della coagulazione o, a scopo diagnostico, in quei pazienti in cui è presente anche febbre e si sospetta un’artrite settica. Se viene eseguita un’artrocentesi, è raccomandata una immobilizzazione di 3-5 giorni (con un bendaggio compressivo) seguìta da un periodo di fisioterapia e mobilizzazione. L’artrocentesi dovrebbe inoltre essere evitata nei pazienti con inibitore, a causa dell’aumentato rischio di complicanze emorragiche post-procedura. Accanto alla terapia “on-demand”, che consiste nel trattamento dell’episodio acuto con il concentrato del fattore carente, sono la profilassi primaria e la profilassi secondaria 12-14. Il razionale del trattamento profilattico in un paziente con emofilia grave (livelli di fattore VIII o IX inferiori all’1%) è basato sull’osservazione che i pazienti con emofilia moderata (livelli di fattore VIII o IX compresi tra 1 e 4%) raramente sviluppano un’artropatia cronica. Pertanto lo scopo della profilassi sarà quello di portare e mantenere il fattore carente a livelli superiori all’1%: questo viene ottenuto attraverso infusioni ad intervalli regolari (ogni 2 o 3 giorni) del concentrato del fattore carente. Se la profilassi primaria (cioè quella iniziata prima della comparsa di qualsiasi emartro clinicamente evidente) iniziata nell’infanzia e protratta fino all’età adulta rappresenta il trattamento ideale in grado di prevenire le complicanze ortopediche dell’emofilia, la profilassi secondaria (cioè quella iniziata quando si sono già verificati gli emartri) è altrettanto importante. Infatti, se mantenuta per almeno 3 mesi, è in grado di interrompere il circolo vizioso di ripetuti emartri nella stessa articolazione 15. SINOVITE CRONICA La sinovite cronica è dovuta a ricorrenti episodi di sanguinamento intra-articolare che determinano un’ipertrofia sinoviale, a sua volta fonte di 263 emorragia16-21. La somministrazione profilattica (profilassi secondaria) di concentrati del fattore carente della coagulazione è in grado di prevenire ulteriori emartri. Tuttavia, nei pazienti che hanno sviluppato una sinovite cronica associata ad emartri ricorrenti refrattari alla terapia medica, dovrebbe essere presa in considerazione la sinoviectomia, il cui scopo è quello di rimuovere il più precocemente possibile la sinovia infiammata e ipervascolarizzata onde prevenire l’insorgenza dell’artropatia emofilica. Esistono due tipi di sinoviectomia: il primo (sinoviortesi o sinoviectomia medica) consiste nell’infiltrazione intra-articolare di sostanze chimiche (l’acido osmico, la rifampicina, l’ossitetraciclina cloridrato) o radioattive (ittrio 90 o fosforo 32) in grado di produrre fibrosi della membrana sinoviale; il secondo utilizza una modalità chirurgica, per via artroscopica o a cielo aperto. Tra queste differenti metodiche, la sinoviortesi con radionuclidi è la migliore dal punto di vista dei risultati valutati in termini di riduzione degli episodi emorragici e di miglioramento della mobilità articolare. Inoltre, si tratta di una procedura semplice, non dolorosa per il paziente e gravata da minori complicanze rispetto alle procedure chirurgiche 21. ARTRITE DEGENERATIVA Nello stadio finale dell’artropatia emofilica, i principali obiettivi terapeutici sono il controllo della sintomatologia ed il miglioramento della capacità motoria. Per tale motivo, è necessario che in questa fase le decisioni terapeutiche vengano prese collegialmente da un gruppo composto da ematologi, fisioterapisti, chirurghi ortopedici, reumatologi. Nel caso in cui sia presente una componente dolorosa in più articolazioni, caso che si può verificare negli emofilici più anziani, un efficace trattamento analgesico utilizzando farmaci antiinfiammatori non steroidei (ad esempio, l’ibuprofen) è il principale strumento terapeutico. Nei pazienti con dolore grave localizzato ad una articolazione può essere indicato il trattamento chirurgico. A seconda dell’articolazione coinvolta è indicato un particolare intervento chirurgico: infatti, se per la spalla, il gomito, l’anca ed il ginocchio l’artroprotesi è il trattamento di scelta, per la caviglia è raccomandata l’artrodesi. I risultati a lungo termine della chirurgia ortopedica ricostruttiva nei pazienti emofilici sono incoraggianti e paragonabili a quelli nei giovani pazienti non emofilici con artriti degenerative di altra natura18. Questi interventi dovrebbero comunque essere eseguiti in Centri con esperienza specifica, che possano seguire adeguatamente questi pazienti sia da un punto di vista chirurgico che riabilitativo. Infine, la terapia dello pseudotumor può essere di tipo conservativo (immobilizzazione e terapia sostitutiva a lungo termine con concentrati dei fattori della coagulazione) o di tipo chirurgico. 264 Recenti Progressi in Medicina, 95, 5, 2004 Conclusioni Tra le varie complicanze legate all’emofilia, l’artropatia rappresenta sicuramente il problema clinico maggiore. La disponibilità, a partire dai primi anni ’70, dei concentrati dei fattori della coagulazione ha radicalmente cambiato la prognosi dell’artropatia emofilica, consentendo un precoce trattamento domiciliare degli emofilici e rallentando sensibilmente la progressione del danno articolare. Inoltre, per i pazienti emofilici più giovani vi è addirittura la possibilità, attraverso la profilassi primaria, di prevenire l’insorgenza di questa complicanza estremamente invalidante. Infine, l’avvento dei concentrati dei fattori della coagulazione, insieme al miglioramento delle tecniche chirurgiche, ha permesso l’esecuzione negli emofilici di interventi di chirurgia ortopedica ricostruttiva, migliorando drasticamente la qualità di vita nei pazienti con stadi avanzati di artropatia. Bibliografia 1. Rodriguez-Merchan EC. Common orthopaedic problems in haemophilia. Haemophilia 1999; 5 (suppl 1): 53-60. 2. Madhok R. Musculoskeletal bleeding in hemophilia. In: Forbes CD, Aledort R, Madhok R (eds). Hemophilia. London: Chapman and Hall, 1997: 115-122. 3. Rodriguez-Merchan EC. Effects of hemophilia on articulations of children and adults. Clin Orthop 1996; 328: 7-13. 4. Lozier JN, Kessler CM. Clinical aspects and therapy of hemophilia. 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