La mia tesi sul mito di Lilith

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La mia tesi sul mito di Lilith
UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI FIRENZE
Facoltà di Lettere e Filosofia
Corso di Laurea in Lingue e Letterature Straniere
Moderne
Tesi di laurea in Lingua e Letteratura Tedesca
Un epos al femminile:
“Die Kinder der Lilith” di Isolde Kurz
Relatore:
Prof. Patrizio Collini
Candidata:
Sara Bini
Anno Accademico
2001\2002
A mia madre
Indice
Introduzione
pag. 5
I. Notizie Biografiche 9
I.1. Infanzia - genitori - primi approcci poetici
9
I.2. In Italia –la cerchia di ‘spiriti affini’
15
I.3. Genesi e ricezione dell’epos Die Kinder der Lilith 22
I.4. Gli anni a Monaco - la Grande Guerra - gli ultimi tempi
II. Alcuni aspetti del pensiero dell’autrice
26
30
II.1. Il rapporto con la madre in relazione al ruolo della donna 30
II.2. Visioni esistenziali, concezioni artistiche e religiose 40
Lilith: il mito, la poesia
49
III. Lilith figura del mito e del folclore 49
III.1. Presentazione generale 49
III.2. Lilith presso i Sumeri e i Babilonesi
III.3. Lilith in ambiente giudaico-cristiano
III.4. Lilith, la prima donna di Adamo
53
58
61
IV. Lilith nello specchio della letteratura
70
IV.1. Breve introduzione 70
IV.2. La ‘femme fatale’ 72
IV.3. Nuove prospettive 82
IV.4. Paul Heyse e Primo Levi 88
V. Commento e interpretazione del testo
97
V.1. Premessa
97
V.2. Incipit: la creazione del mondo e dell’uomo 101
V.3. Entra in scena Lilith104
V.4. Il piano di Dio: l’universo musicale, l’uomo e l’invidia
di Lucifero 112
V.6. Lilith-Sophia 120
V.7. Le lamentele di Adamo e la creazione di Eva 127
V.8. La separazione da Lilith e la ‘caduta’ dell’uomo nella
‘valle di lacrime’ 135
V.9. I figli di Eva - I figli di Lilith
144
V.10. Qualche considerazione finale 153
Breve nota alla traduzione 158
Traduzione del testo 161
Bibliografia
222
Introduzione
Chi è Isolde Kurz? Chi sono Die Kinder der Lilith?
Ciò che, documentandomi sulle varie storie della letteratura tedesca, ho
intuitivamente percepito nei riguardi di quest’autrice, oggi quasi dimenticata o
misconosciuta, è stata come un’aura di imbarazzo o di sbrigativa indifferenza. Nella
Geschichte der deutschsprächigen Literatur 1870-1900 di Peter Sprengel1 ho trovato
menzionata la Kurz nel contesto delle ‘Erzählformen’ , accanto ai nomi di Paul
Heyse, Hermann Kurz, Conrad Ferdinand Meyer e Ricarda Huch. Questo testimonia
il fatto che, all’interno della sterminata opera di questa autrice, che abbraccia
fondamentalmente tutti i generi letterari -dalla poesia, al dramma, al romanzo, alla
autobiografia- soltanto le pubblicazioni novellistiche, e in particolare le Florentiner
Novellen2 e le Italienische Erzählungen 3, sembrano aver lasciato una traccia di
qualche rilievo.
Ciò è piuttosto imbarazzante se si pensa che la Kurz, all’inizio della sua carriera
letteraria, inaugurata nel 1888 con la pubblicazione della sua prima silloge di liriche,
trovò immediatamente una forte risonanza e un largo apprezzamento sia da parte del
pubblico che dalla critica. Soprattutto venne lodata per la sua correttezza formale, la
capacità di attenersi alla forme classiche della tradizione e la sua padronanza della
metrica; tutte cose che, all’epoca, venivano considerate aldilà della portata di una
donna-autrice4. Forse proprio è stato proprio questo suo stile “classico” ad
allontanarla dai favori del lettore moderno, il cui gusto è ormai abituato a nuovi
parametri di sperimentazione formale. Come ha ricordato Gisela Spies-Schlienz5, in
occasione del Convegno sugli intellettuali tedeschi nella fin de siècle fiorentina,
Isolde era riottosa a tutti gli ‘ismi’, soprattutto il Naturalismo, ritenendosi estranea ad
ogni influsso esterno. Soltanto in Maupassant riconosceva un modello di perfetta
tecnica narrativa; tuttavia lei, in quanto artista, si dichiarava allieva della natura e
della vita:
Und was ist modern? Das Wort kommt von Mode. Mode ist, was einen Tag glänzt und am
nächsten alt wird. Und was ist Stil? Lässt er sich ändern? Mein Stil kommt aus meinem
Blutkreislauf und dem Rhythmus meines Lebens.6
Generalmente ho trovato la Kurz incasellata sotto varie etichette: ‘realismo poetico’,
‘epigona del classicismo tedesco’, ‘romanticismo svevo’ ecc. Non è da escludersi
1
P. Sprengel, Geschichte der deutschsprächigen Literatur 1870-1900. Von der Reichsgründung bis zur
Jahrhundertwende, Verlag C.H. Beck, München, 1998.
2
I.Kurz, Florentiner Novellen, (1890). In: Gesammelte Werke, Georg Müller Verlag, München 1925, Bd.2.
3
I.Kurz, Italienische Erzählungen , (1895). In: Gesammelte Werke, Georg Müller Verlag, München 1925, Bd.2.
4
cfr. H.Marbach ,Gedichte von Isolde Kurz. In : Die Grenzboten, Jg. 49, H. 1, 1889\90.
5
Gisela Spies-Schlienz, Isolde Kurz. Ein Porträt. Intervento al Convegno: Cultura tedesca a Firenze. Scrittrici ed
artiste tra Ottocento e Novecento, promosso dal Dipartimento dell’Università di Firenze, presso il Kunsthistorisches
Institut e Villa Romana a Firenze, 24-25 Maggio 2002, non ancora pubblicato.
6
I.Kurz, Die Pilgerfahrt nach dem Unerreichlichen.Lebensrückschau. Rainer Wunderlich Verlag in Tübingen, 1938.
„Cos’è moderno? La parola viene da moda. Moda è ciò che un giorno brilla e il giorno dopo già invecchia. E cos’è lo
stile? Lo si può cambiare? Il mio stile nasce dalla mia circolazione sanguigna e dal ritmo della mia vita.”
quindi che, una parte dell’imbarazzo avvertito nei confronti di questa scrittrice sia
dovuta proprio alla difficoltà da parte degli storici letterari di inserirla in un preciso
movimento di pensiero o in una determinata corrente stilistico-formale, come del
resto si legge anche nell’ Autoren Lexikon Deutschsprächiger Dichter edito dalla
Metzler:
Wenn K. in Vergessenheit geraten ist, dann weil sie mit ihrem Werk in kein Schema passt, nicht als
Heimatdichterin, nicht mit Frauenthemen oder Klassik-Epigonin rezipierbar ist, vielleicht auch
wegen ihrer Kritik an der christlichen Religion, ihrer Vorliebe für Träume und entrückte
Seelenzustände. Als Aussenseiterin fernab literarischer Stränge lohnt sie eine Beschäftigung, sind
ihre Texte noch von feinem Humor, leiser Ironie durchzogen und bei allem Formwillen überaus
anschaulich, denn ihr Vorbild und „grösse Sehnsucht war das Leben mit all seinem Reichtum“.7
Per quel che concerne questa autrice dunque, ho intenzione di delineare un ritratto,
nel quale i cenni biografici diano soprattutto l’occasione per approfondire alcuni
aspetti della vita e del pensiero della Kurz che ritengo funzionali ad una migliore
comprensione del lavoro qui trattato, ossia l’epos Die Kinder der Lilith , uscito nel
1908 in Germania.
E’ un testo nel quale mi sono imbattuta per caso, poiché, come afferma la SpiesSchlienz, la Kurz cadde in totale oblio alla fine degli anni sessanta, tanto che nel
catalogo dei libri in commercio si trovano solo tre titoli disoponibili: le Florentiner
Novellen, le Italienische Erzählungen e le Nächte von Fondi. Questa opera, che a suo
tempo passò praticamente sotto silenzio, viene invece oggi riletta e analizzata,
specialmente dalla critica femminista, per la stupefacente manipolazione, o meglio,
inversione di senso e ruoli, che la Kurz opera sull’antichissimo mito di Lilith, il lato
oscuro del Femminile, tradizionalmente incarnato nella figura della ‘femme fatale’. A
questo scopo aggiungo anche una parte esplicativa che cerca di ripercorrere il più
chiaramente e sinteticamente possibile lo sviluppo di tale mito sia nel folclore che
nella letteratura.
Il commento, infine, appoggiandosi dapprima a interpretazioni femministe
recentemente uscite, cercherà di prendere una direzione più letteraria-filosofica
riconoscendo in alcuni tratti della Lilith kurziana delle affinità con alcune posizioni
platonico-ermetiche e con la teologia d’indirizzo sofianico.
I. Notizie biografiche
7
Irene Ferchl, in Autoren Lexikon deutschsprächiger Dichter und Schriftsteller vom Mittelalter bis zur Gegenwart,
Verlag J. B. Metzler, Stuttgart-Weimar, 1994. „Se la K. è finita nel dimenticatoio, allora è é perché essa, con la sua
opera, non si adatta ad alcun schema; non è recepibile né come poetessa patriottica, né solamente collegata al
femminismo, né come epigona del Classicismo, forse anche a causa della sua critica alla religione cristiana, la sua
preferenza per i sogni e gli stati estatici della coscienza. Come outsider lontana dalle correnti letterarie si merita una
trattazione; i suoi testi sono pur sempre attraversati da un humor fine e una leggera ironia evidentissimi in ogni volontà
formale, poiché il suo modelloe la sua “grossa nostalgia era la vita con tutta la sua ricchezza”.
I.1. Infanzia- genitori -primi approcci poetici.
Isolde Kurz (1853 – 1944) attraversa quasi un secolo di storia tedesca ed europea;
sperimenta due guerre mondiali e vive sotto le forme statali più disparate, dal regno
del Württemberg fino al Terzo Reich del nazionalsocialismo. Raramente, tuttavia,
prende una precisa posizione politica, poiché ritiene lo spirito una valenza universale
e soprattutto tende a rappresentarsi l’arte come un valore assoluto extra-temporale.
A dispetto di ciò, la sua storia inizia proprio sotto il segno del più fervente impegno
sociale e politico. Suo padre, lo scrittore e redattore Hermann Kurz (1813 – 1873)
incontrò la sua futura moglie e madre dei suoi figli, la baronessina Marie von
Brunnow (1826 – 1911) in occasione della rivoluzione del 1848, dove entrambi
lottavano per la libertà e il bene del popolo. Marie, influenzata dalle idee di JeanJacques Rousseau e della Rivoluzione Francese, aveva rifiutato il suo titolo nobiliare
e si era autoproclamata “cittadina Brunnow”. Ancora anni dopo il fallimento della
rivoluzione, mentre attendeva la nascita della sua secondogenita Isolde, sebbene in
stato di avanzata gravidanza, Marie dovette presentarsi di fronte al collegio penale di
Stoccarda perché autrice di poesie politiche ‘sovversive’. Sul rapporto con la madre,
probabilmente l’influenza più forte nella vita di Isolde, tornerò in un paragrafo a
parte, dedicato appunto alle sue concezioni del Femminile.
Isolde quindi, nasce a Stoccarda il 21 Dicembre del 1853 “unter dem Zeichen des
Steinbocks”, data praticamente coincidente col solstizio d’inverno e vicinissima al
Natale, cosicché per lei c’era “nur ein Fest im Jahre, aber dieses war ein kosmisches,
woran die ganze Erde teil hatte”.8 Ha un fratello maggiore, Edgard, e tre minori,
Alfred, Erwin e il piccolo Garibaldi (Balde), quest’ultimo nato nel 1860, il mese
stesso della presa di Palermo. Marie è una grande ammiratrice di Giuseppe Garibaldi
ed Hermann non si oppone, anche perché, secondo i suoi studi filologici, “Garibald”
è un nome germanico di stampo longobardo. Purtroppo Balde ha una salute molto
cagionevole e, nonostante il viaggio curativo in Italia nel 1877, muore cinque anni
dopo, a poco più di vent’anni.
I fratelli Kurz vivono comunque una prima infanzia libera e spensierata, a contatto
con la natura e circondati da un olimpo di dei greci e germanici:
Das Leben dieses seltsames Kindes und junges Mädchens kann nicht verstanden werden, wenn
man es nicht auf der Grundlage des vereinigten Griechen- und Germanentums liest, dessen
Doppelmythos als dauerndes Wunderzeichen an meinen Jugendhimmel stand.9
E’ la madre che si occupa della loro educazione e che vuole dare, specialmente alla
figlia, “was sie [Marie] nur teilweise erreichte […]: eine humanistische Ausbildung,
8
I.Kurz, Die Pilgerfahrt nach dem Unerreichlichen, p.31 “...solo una festa all’anno, ma questa era cosmica, a cui la
terra intera prendeva parte.
9
Die Pilgerfahrt nach dem Unerreichlichen, p.68, “La vita di questa singolare bambina e giovane fanciulla non può
essere compresa se non la si legge sulla falsariga dell’unione tra cultura greca e germanica. I miti di entrambe stavano
come segni prodigiosi nel cielo della mia gioventù.”
wie sie damals nur Männern zustand.”10 Decisamente contraria agli insegnamenti
impartiti allora nelle cosiddette ‘scuole per fanciulle’, Marie stessa si dedica
all’educazione d’Isolde, insegnandole il latino, l’italiano , il francese, così come i
testi di Omero, le ballate di Schiller, l’epica nordica. Si tratta di un insegnamento
libero, anticonvenzionale e non sistematico. In proposito Isolde scrive della madre :
“Sie besass kein wirkliches Lehrtalent, weil alles Methodische ihrer Natur auf tiefste
widerstrebte“11.
Per quanto riguarda il padre Hermann, egli proviene da un’antica famiglia di artigiani
della libera città di Reutlingen. Grazie a una borsa di studio conclude gli studi di
teologia presso il ‘Tübinger Stift’ decidendo però di diventare scrittore. Il suo campo
d’interesse abbraccia soprattutto l’oppressione feudale in Svevia e la vita dei villaggi,
tuttavia né i suoi racconti svevi, né il suo romanzo più noto, Der Sonnenwirt, gli
portano successo o benessere materiale. Per sopravvivere lavora come traduttore
(traduce anche Shakespeare, Chateaubriand, il ‘Tristano’ di Gottfried von
Strassburg), redattore presso giornali popolari, e infine come bibliotecario
nell’università di Tubinga (1863). Isolato sia politicamente che letterariamente,
trascorre gli ultimi anni chiuso nel suo studio senza uscirne neppure per i pasti.
Ciononostante, seguendo l’esempio della madre, i figli nutrono una vera e propria
venerazione per quel padre geniale ma incompreso, e ne vanno fieri, come i figli di
un re in esilio che non può portare la corona.12
A livello poetico, la Kurz si sente debitrice verso entrambi i genitori, in quanto la
madre ha fornito il contenuto ‘dionisiaco’ alla sua opera, mentre dal padre ha
ereditato il severo rispetto per la forma e per la purezza dell’espressione:
An Stelle des Chaotischen, das ich als Erbteil meiner höchst genialen, aber allem Planmässigen
abholden, im Urstoff wesenden Mutter in mir kenne, tritt nun das Blut des Vaters mit dem strengen
Zwang zur Gesetzlichkeit und lässt mich nicht ruhen, bis ich diese ganz lose Gesellschaft
[d’impressioni poetiche] wie eine Koppel wildweidender Fohlen zusammengespannt und zu
richtiger Gangart fest in die Zügel genommen habe.13
Già verso i dieci anni Isolde inizia a scrivere le prime poesie e poco più tardi, tenta di
comporre i primi drammi in ‘Blankversen’. Il modello per questi ultimi non può
essere che Schiller, del quale, fin da bambina predilige la ballata Kassandra. Isolde
si riconosce in questa figura mitologica, poiché pure lei è posseduta da Apollo, il dio
dell’arte e della poesia. Ma soprattutto, nella tragica solitudine della profetessa
10
Nachlass Isolde Kurz. In: Onodi M., Isolde Kurz. Leben und Prosawerk als Ausdruck zeitgenössischer und
menschlich-individueller Situation von der Mitte des 19. bis zur Mitte des 20. Jahrhunderts. Verlag Peter Lang,
Frankfurt am Main, 1989, p. 37, “Ciò che lei solo in parte raggiunse […]: una formazione umanistica, come allora
spettava solo agli uomini.”
11
I.Kurz, Aus meinem Jugendland, Stuttgart und Berlin, 1922, p. 29, “Lei non possedeva un vero talento per
l’insegnamento, poiché tutto ciò che era metodico si contrapponeva profondamente alla sua natura”.
12
Cfr. I.Kurz, Das Leben meines Vaters, München, 1906, p. 3.
13
I. Kurz, Im Spiegel. Autobiographische Skizze. In: Das literarische Echo, Jg. 4, Maggio 1901\02, p.1019, “Al posto
del Caotico, che io riconosco in me compresente nella materia prima e parte ereditata dalla mia mamma genialissima,
ma poco incline alla regolarità , fa ora ingresso il sangue del padre, con la sua severa tensione verso la norma, e non mi
lascia in pace finchè io non ho tirato insieme questa compagnia, sciolta come puledri selvaggi al pascolo, e non ne tengo
saldamente la redini in mano imponendo la giusta andatura.”
troiana, inascoltata o perlopiù fraintesa da tutti, rivede come riflesso in uno specchio
il suo stesso ruolo di donna ‘outsider’ all’interno della società borghese-patriarcale.
Non a caso percepisce il suo talento poetico come qualcosa di strettamente personale,
imbarazzandosi molto quando la famiglia mette in mostra i suoi primi lavori. Nel
periodo di grande disorientamento dopo la morte del padre (1873), Isolde giunge
perfino a personificare la sua ispirazione, il suo estro creativo in un ‘Er’ (Lui) o in un
invisibile “geflügelter Freund” (amico alato):
In meinem Inneren befand sich ein unsichtbares Turmzimmer, wohin ich zurückziehen konnte.
Dort warteten die Wundergestalten aus Mythe und Dichtung, mit denen ich meine Kindheit verlebt
hatte und die mir immer naheblieben. [...] Dorthin kam auch der unsichtbare Helfer, dessen Stimme
seit der Kindertagen mit mir ging und den ich zeitlebens meinen ‚Andern’ nannte. Ihm konnte ich
mein Leid klagen in der einzigen Sprache, die er zur Zeit verstand, der poetischen, denn das
uferlose Wallen des Inneren war noch zu ungeformt, um sich irgend in Prosa niederzuschlagen.“14
Altro fattore discriminatorio tra i piccoli Kurz e il resto dei bambini di Tubinga è la
religione. Marie infatti lascia i figli deliberatamente all’oscuro della dottrina cristiana,
per preservarli da quei conflitti di coscienza di cui lei stessa ha sofferto da bambina.
Inoltre, essendo una convinta giacobina, rifiuta ogni credo clericale. Di conseguenza,
i fratelli Kurz vengono additati per strada come “i piccoli pagani”.15 Naturalmente
però, i quattro maschi possono usufruire dell’insegnamento liceale e universitario,
mentre Isolde, a cui la madre insegna in casa tra una faccenda domestica e l’altra,
rimane sempre più isolata sia fisicamente che psicologicamente dalle ragazze della
sua età.
Sempre durante gli anni di Tubinga conosce Ernst Mohl, figlio di pastore, che le
insegna il greco antico, lingua di cui la madre non ha alcuna conoscenza. Di sei anni
più vecchio, Ernst s’innamora della giovane Isolde e, sebbene non corrisposto a
livello erotico, rimane il suo amico più fidato per tutta la vita. Isolde si è sempre
sentita chiamata alla scrittura, all’arte, e quindi percepisce il matrimonio borghese
come un ostacolo all’ autorealizzazione personale:
Mich verlangte nicht nach Geborgensein, nicht einmal nach dem landläufigen ‚Glücklichwerden’.
16
Ich wollte mich selber erfüllen bis zur letzten Möglichkeit, sei es durch Freude, sei es durch Leid.
La sua sete di libertà e conoscenza le dà la forza di opporsi ai progetti di matrimonio
che le prospetta la madre, peraltro lei stessa contraria alle convenzioni, ma in questo
caso non altrettanto illuminata. Del resto, per Isolde l’energia della donna deve
scegliere se votarsi all’arte o all’amore, alla creazione fisica o alla creazione
spirituale:
14
Die Pilgerfahrt nach dem Unerreichlichen, p.129, “Nel mio intimo si trovava una invisibile camera di torre dove io
potevo ritirarmi. Là mi attendevano i personaggi favolosi dei miti e della poesia, con i quali avevo condiviso la mia
infanzia e che mi erano sempre rimasti vicini. […] Là veniva anche anche l’aiutante invisibile, la cui voce mi
accompagnava fin da quando ero piccola e che durante la mia vita ho chiamato ‘l’Altro’. A lui potevo confidare il mio
dolore nell’unica lingua che egli allora capiva, quella poetica, perché lo sconfinato tumulto del mio intimo era ancora
troppo informe per potersi precipitare in qualche modo in prosa.”
15
Crf. Aus meinem Jugendland, 1918, p. 69.
16
Die Pilgerfahrt nach dem Unerreichlichen , p.121, “Non desideravo protezione e neppure il solito ‘diventare felici’.
Io mi volevo realizzare fino all’ultima possibilità, sia che fosse attraverso la gioia che attraverso il dolore.”
Aber dieses Alfa und Omega der natürlichen Weibes [l’amore] hat wohl nie im Leben der
schöpferischen Frau eine bleibende Stätte. Zwei Götter können sich nicht nebeneinander vertragen.
Der Eros will seine Beute ganz und der Genius ebenfalls; sie können sich nicht auf
Stundeneinteilung einrichten. Und der Eros bringt für die Frau unausweichlich die Dienstbarkeit
mit, das Wesen des Genius aber ist Freiheit.17
I.2. In Italia – la cerchia di ‘spiriti affini’
Con la morte del padre il 10 ottobre del 1873, finisce per i fratelli Kurz il tempo
della spensierata giovinezza. Alfred ed Edgar si laureano in medicina, Isolde scrive la
sua prima prosa, la fiaba Die goldenen Träume, che improvvisa per il fratello malato
Balde. Questi racconti inventati al capezzale del fratellino usciranno poi nel 1890 a
Stoccarda sotto il titolo Phantasien und Märchen.
Nel 1876 Isolde segue il fratello Erwin a Monaco. Il giovane inizia qui i suoi studi
artistici mentre la sorella si mantiene con traduzioni e dando lezioni di lingue
straniere. Entra nella cerchia di Paul Heyse, uno scrittore amico del padre, ma,
nonostante alcune affinità di vedute, come per esempio l’ideale artistico di stampo
classico-romantico e l’importanza data alla forma in letteratura, non si sente a proprio
agio in un ambiente per lei troppo elitario ed estetizzante.
Così, nel 1877 decide di partire per Firenze, dove il fratello maggiore, Edgar, ha
aperto un fiorente ambulatorio per stranieri. Non soltanto cura i ricchi turisti europei
provenienti da tutta Europa e dal Nuovo Mondo, bensì, e qui ritroviamo in azione i
semi democratici e filopopolari dei genitori, Edgar si occupa gratuitamente dei malati
poveri che non possono permettersi di pagare un medico. Lo aiuta l’amico Carlo
Vanzetti, ed entrambi, per autofinanziare questo servizio sociale, prestano di nascosto
l’ambulatorio per gli illegali ma allora frequentissimi ‘duelli d’onore’. Pare che lo
stesso D’Annunzio abbia usufruito del laboratorio di Edgar, lasciandogli poi una
cospicua mancia. In ogni caso, anche Marie con Balde si trasferiscono in Italia, di
modo che l’ammalato possa beneficiare del mite clima mediterraneo.
Alla fine del diciannovesimo secolo Firenze è veramente un centro di raccolta per
artisti musicisti, scrittori, studiosi e nondimeno ricchi turisti provenienti da tutte le
parti del mondo. Gisela Spies-Schlienz ne parla come di un “punto di fuga per spiriti
stanchi della civiltà che riparavano nel mondo del bello di fronte all’ utilitarismo
dell’arte” e aggiunge che la Kurz, di formazione umanistica e appartenente alla
borghesia intellettuale, non può che diventare la “grande cronista” della fin de siècle
fiorentina. Paradossalmente, è proprio in Italia che Isolde trova la sua ‘patria
dell’anima’ e i suoi veri connazionali, che Gertrude Bäumer descrive così:
17
Ibidem, p. 681, “Ma questa alfa e omega della donna naturale forse non ha mai un posto duraturo nella vita della
donna creativa. Due dei non possono tollerare la reciproca presenza. L’eros vuole il suo bottino al completo e altrettanto
lo vuole il genio. L’eros comporta immancabilmente per la donna un’attitudine di servizio, mentre l’essenza del genio è
la libertà.”
Sie waren jener Zwischentypus von antikem und romantischem Menschen, Spätlinge der Periode
Goethes und Hölderlins, die in den Staat Bismarks und die Gründerzeit gar nicht passten.18
Tra le sue amicizie e conoscenze fiorentine è opportuno ricordare lo scultore tedesco
Adolf Hildebrand, che allora viveva con la moglie Irene nel chiostro di San
Francesco. Egli generalmente viene citato come il maggior rappresentante
dell’indirizzo neoclassico tedesco di fine ottocento, per cui la classicità, come pure il
primo Rinascimento italiano rappresentano il suo ideale artistico. Con lui Isolde
condivide proprio questa visione sovrastorica e assoluta dell’arte, secondo la quale
esistono leggi estetiche costanti, svincolate dalla pura contingenza del divenire
storico. Non è forse l’Italia per entrambi “ein Splitter vom zerstückten Paradies” e la
“nachgeborne Schwester Griechenlands”19? Isolde scrive:
So wenig wie er [Hildebrand] auf seinem Gebiet wusste ich in dem meinigen von Richtungen,
Strömungen, ‘Ismen’ aller Art, ich kam mit keinem Tagesgestirn in Berührung, das mich hätte in
seine Bahn ziehen können, noch lief ich Gefahr, von einer der vielen literarischen Gemeinden
eingesaugt zu werden, deren Dasein ich nicht einmal kannte.20
Ad Hildebrand, come anche all’amico Vanzetti, Isolde dedica un capitolo nelle sue
Florentinische Erinnerungen. Al polo opposto c’è la cerchia del pittore svizzero
Arnold Böcklin, che fin dal 1875 si è insediato in San Domenico presso Fiesole con
la sua famiglia e ha allestito un atelier a Firenze. Come Hildebrand, e del resto è un
tratto che accomuna tutta l’intellighenzia tedesco-fiorentina di allora, anche Böcklin
s’ispira alla classicità, alla quale però si accompagna un forte gusto romantico.
Rispetto allo scultore tedesco, egli integra la fantasia e il lato notturno della realtà
nella sua concezione estetica, di modo che, nei suoi quadri, fantastico, reale e mitico
si fondono armoniosamente:
Wo Arnold Böcklins Name aussgesprochen wird, da fallen die engen Wände der Wirklichkeit ein,
alles Triviale schwindet, und auf geht eine Welt der Phantasie in jugendlichster Glorie […]21
Un altro incontro importante è con lo storico Robert Davidsohn, che le è assai d’aiuto
nei suoi studi sul Rinascimento italiano. Inoltre conosce il critico d’arte Conrad
18
G. Bäumer, Isolde Kurz. In: G.B. : Frauen der Tat. Gestalt und Wandel. Tübingen, 1959, “Essi erano quell’ibrido di
uomo classico e romantico, ritardatario dell’epoca di Goethe e Hölderlin, che non si adattava assolutamente allo stato di
Bismark e ai ‘Gründerjahre’”
19
Dalla poesia Immer zu zweien. In: Gesammelte Werke, Bd.1, p. 91, “Una scheggia del Paradiso frammentato” e la
“sorellina della Grecia”.
20
Die Pilgerfahrt nach dem Unerreichlichen, p. 226 e seg. “ Così poco come lui nel suo campo. così io nel mio
conoscevo gl’indirizzi, le correnti, gli ‘ismi’ di tutti i tipi. Non venni a contatto con nessuna stella del giorno che
avrebbe potuto tirarmi nella sua scia, né corsi il rischio di venir risucchiata da una delle tante comunità letterarie delle
quali neppure conoscevo l’esistenza.”
21
I. Kurz: Arnold Böcklin. Zum siebzigsten Geburtstag des Meisters. In: Die Gartenlaube, Leipzig 1897 p. 698. “Dove
si pronuncia il nome di Arnold Böcklin crollano le strette barriere della realtà, svanisce il tutto ciò che è banale e sorge
il mondo della fantasia in tutta la sua gloria giovanile…”
Fiedler, il saggista Karl Hillebrand, e una serie di donne assai in vista: Gisela Grimm,
figlia di Bettina von Arnim e nuora di Wilhelm Grimm, la scrittrice Malwida von
Meysenburg, il collezionista d’arte Graf Adolf von Schack e Cosima Wagner.
Ma qual’è l’impatto personale di Isolde nei confronti dell’Italia e della Toscana in
particolare? L’autrice stessa ci confida che per prima cosa ha dovuto imparare
klassische Landschaft zu sehen. […] Erst musste die Romantik des Deutschen Naturwebens in
meiner Erinnerung zurücktreten, bevor mir das hesperische Land [...] unverlierbar in die Seele
wuchs. Aber die Stadt, die Stadt war bezwingend auf ersten Anblick und stilgebend für immer!22
Grazie all’amico Adolf Kröner, insigne personalità del mercato librario e in seguito
successore del Cotta Verlag, Isolde contatta una casa editrice di Stoccarda per la
quale sceglie e traduce romanzi italiani. Gli amici la incoraggiano a pubblicare le sue
poesie ed ecco che nel 1888 esce la sua prima raccolta, dapprima in Svizzera e poco
dopo a Stoccarda presso Kröner stesso. E’ un successo che rafforza la sua intenzione
di dedicarsi totalmente alla carriera letteraria, per la quale rifiuta anche un posto
d’ufficio che Heyse le ha assicurato in Germania.
Il resto viene da sé, quasi come per caso: mi riferisco alle Florentiner Novelle. Per
aumentare le sue entrate, delle quali una buona parte se ne va nei continui traslochi
alla ricerca di case meno rumorose oppure con più spazio, la Kurz decide, in
collaborazione col vecchio illustratore Althofen, di scrivere una guida turistica di
Firenze per i visitatori tedeschi. Il progetto fallisce a causa della morte di Althofen,
ma ormai Isolde è già un’ ‘abituée’ della Biblioteca Nazionale, specialmente della
sezione riservata alle donne del Rinascimento fiorentino. Sebbene storicamente si
rifaccia all’ “unschätzbarer Besitz”, ossia il tesoro inestimabile costituito da Die
Kultur der Renaissance in Italien di Jakob Burkhardt, è chiaro che la Kurz utilizza
gli avvenimenti storici e culturali come “das hochwertige Plasma, um
Menschengeschick daraus zu formen”, mentre i modelli di comportamento e parlata
li trova “unter den lebendigen Florentinern, die mir jeweils Züge ihres Wesens lassen
mussten um die Züge ihrer Vorfahren zu bilden”23. Quindi, nel 1890 escono a
Stoccarda le Florentiner Novellen e, sempre lo stesso anno, le fiabe che lei ha
improvvisato e poi trascritto per il fratello Balde, morto otto anni prima. E’ un
successo di pubblico e critica che segna ciò che lei definisce “Durchbruch”, la svolta
decisiva verso l’attività letteraria. La scrittrice è ora pienamente cosciente della sua
missione.
Insisto particolarmente su questo periodo fiorentino, proprio per la sua portata
globale nella vita della Kurz, sia in crescita di consapevolezza di sé come autrice che
come donna, tramite appunto il contatto con le figure femminili del Rinascimento.
Timothy Bennett, in un suo interessante articolo sul dilemma kurziano tra impulso
22
Die Pilgerfahrt nach dem Unerreichlichen, p. 148, „...a vedere paesaggi classici. [...] Dapprima doveva ritirarsi il
romanticismo del mondo naturale tedesco prima che la terra delle Esperidi si fissasse indelebilmente nella mia anima.
Ma la città, la città mi dominò fin dal primo sguardo e mi dette il suo stile per sempre!”
23
Die Pilgerfahrt nach dem Unerreichlichen, p. 279, “il prezioso plasma da cui formare i destini umani”, “tra i
fiorentini viventi, che volta per volta dovevano lasciarmi i tratti del loro essere affinché potessi plamare quelli dei loro
antenati”.
emancipatorio ed estetica conservatrice, particolarmente evidente secondo lui nelle
Florentiner Novellen, afferma che “for Kurz, the Renaissance schone forth as an era
of femminine equality”24. Su questo tema dell’ ‘uguaglianza femminile’, e sulla
concezione del ruolo della donna nella Weltanschauung kurziana ritornerò comunque
in un paragrafo a parte, data l’importanza fondamentale che riveste questo tema
nell’opera qui di seguito trattata, ossia I figli di Lilith.
Essenziale è ricordare il valore dell’Arcadia toscana, che sembra fatta apposta per
liberare il corpo e l’anima della scrittrice. Insieme al fratello Edgar, riesce infatti a
realizzare uno dei suoi più grandi sogni infantili: avere una casa sul mare. E’ a Forte
dei Marmi, all’epoca un paesino di pescatori, che Isolde si costruisce una piccola casa
sulla spiaggia nella quale trascorre estati felici con famiglia e amici, dando spazio
anche al lato fisico del suo ideale classico: la cura della bellezza corporea tramite il
movimento, il nuoto e le cavalcate in riva al mare. Anche a Firenze trova
relativamente stabile dimora, dapprima a Poggio Imperiale, poi all’inizio del secolo,
in via de’ Bardi, con vista sull’Arno.
Purtroppo tale idillio viene interrotto dalla morte del fratello Edgar nel 1904 e, dieci
mesi dopo, da quella di Alfred, che dal 1887 viveva a Venezia lavorando anche lui
come medico. Superfluo dire che tali dolori peggiorano sensibilmente anche lo stato
di salute dell’ormai anziana, amatissima madre Marie. Per Isolde, i sette anni tra la
morte di Edgar e quella della madre, avvenuta nel 1911 a Monaco, dove viveva
Erwin, l’ultimo fratello rimasTo, rappresentano il momento più oscuro e doloroso
della sua vita:
Ein stetes Umherziehen von Pension zu Pension, von möblierter Wohnung zu Möblierter Wohnung,
von Italien nach Deutschland und umgekehrt.[...] Es kamen die langen Nächte, wo ich neben ihrem
Bette kniend in den verkrampftesten Stellungen ihren Puls hielt und ihre Atemzüge überwachte. [...]
Und die Welt wurde leer und leerer.25
Nonostante (o forse è il caso di dire grazie a) tale dolore , questi anni si rivelano,
letterariamente parlando, molto produttivi. Già prima della morte di Edgar aveva
pubblicato altre opere più o meno specificamente connesse all’esperienza fiorentina,
come le Italienische Erzählungen, (1895) ispirate, a differenza delle novelle
precedenti, all’ambiente della gente semplice, e Die Stadt des Lebens (1902), che si
concentra su personaggi storici del Rinascimento fiorentino quali il Magnifico, il
pittore Botticelli, Bianca Capello ecc. A partire dal 1905 esce poi una nuova silloge
di poesie, la raccolta di aforismi e riflessioni Im Zeichen des Steinbocks (1905), la
biografia del padre Das Leben meines Vaters (1906), i nove racconti di Lebensflüten
(1907), il nostro epos Die Kinder der Lilith (1908) e le Florentinische Erinnerung
(1910).
24
T. Bennett, Isolde Kurz’s Florentiner Novellen: Renaissance, Feminist, and Bougeois Mythology. In: German
Quarterly 63.1 (1990) p. 94, „Per la Kurz, il Rinascimento appariva come un’epoca di uguaglianza femminile“
25
Die Pilgerfahrt nach dem Unerreichlichen, p. 474-476, “Un incessante spostarsi da pensione a pensione, da un
appartamento ammobiliato a un altro, dall’Italia alla Germania e viceversa. […] Vennero le lunghe notti in cui io,
inginocchiata accanto al suo letto, nelle posizioni più scomode, le tenevo il polso e vegliavo sul suo respiro. […] E il
mondo diventava sempre più vuoto.”
I.3. Genesi e ricezione dell’epos Die Kinder der Lilith
L’idea germinale de I figli di Lilith, è da situarsi tuttavia molto più indietro nel tempo
rispetto al momento della sua effettiva stesura e pubblicazione. Sentiamo cosa scrive
in proposito la stessa Isolde:
Schon seit dem Poggio Imperiale trug ich einen Lieblingsstoff mit mir, über den ich des öfteren,
ganz gegen meine Gewohnheit, mit meiner Nächsten sprach. Ich hatte von je die altjüdische Sage
von Lilith, Adams erste Frau, als von einem bösen dämonischen Wesen, das sich aus Hoffahrt mit
dem Manne nicht vertrug und nach einem Zwist, ein Bezauberungswort aussprechend, ihm entflog,
um fortan in Klüften und Höhlen als gefährlicher, männerauflauernder, männerkraftzerstörender
Vampyr zu hausen, für eine Ungereimtheit angesehen. Warum sollte Gott, der Alleswissende,
seinem Adam eine so üble Lebenskameradschaft ausgesucht haben? Und was hatte es damit auf
sich, das Lilith Flügel besass und Adam keine? Sie sollte, hiess es, drei Dinge mit den Engeln, drei
mit den Menschen gemein haben: mit den ersten das Schwingepaar, das leichte Schweben von Ort
zu Ort und die ahnende Kenntnis der Zukunft. Mit den Menschen aber das Sichernähren,
Fortpflanzen und Sterben. Sollte Gott bei einer so ungleiche Verbindung nicht einen höheren Zweck
im Auge gehabt haben? Lag hier nicht eine verdorbene, parteiisch gefärbte Überlieferung des
frauenverachtenden alten Judentums vor, hinter der sich eine frühere edlere Gestalt verbarg? [...]
Doch das ging mich im Grunde nichts an, ich wollte ja keine Mythenforschung treiben; um so mehr
hatte ich die Freiheit, nach meiner Eingebung zu schalten. So schrieb ich das Gedicht Die Kinder
der Lilith, worin ich versuchte, die Züge der Sage zu einer Erklärung des Weltplans und seiner
Widersprüche umzudeuten.26
Quindi Isolde spiega il contenuto del suo epos, il cui tratto distintivo e ‘sovversivo’
consiste proprio nella totale riabilitazione della figura di Lilith quale creatura divina,
superiore per natura allo stesso Adamo.
La madre resta entusiasta di tale lavoro, nel quale vede come filo conduttore la lotta
del sesso debole per raggiungere pari dignità; in realtà vedremo che per Isolde non è
la rappresentazione di questo conflitto la molla scatenante della sua opera. Tanto è
vero che, ingenua e fiduciosa, la consegna a Kröner, senza rendersi conto di aver
inflitto un colpo mortale alla mentalità dell’epoca. Si deve scontrare con lo stesso
26
Die Pilgerfahrt nach dem Unerreichlichen, p. 478-79, “Già da Poggio Imperiale portavo con me un soggetto
prediletto, del quale, contrariamente alle mie abitudini, parlavo spesso con altri. La vecchia leggenda ebrea di Lilith, la
prima donna di Adamo, intesa come demone cattivo, che per superbia non si adattò all’uomo e che dopo un litigio
scappò pronunciando una parola magica e andò a dimorare negli abissi e nelle caverne come pericoloso vampiro pronto
all’agguato del maschio per succhiargli le forze e distruggerlo, questa leggenda mi era sempre parsa un’illogicità.
Perché mai Dio, l’onnisciente, doveva scegliere per Adamo una così pessima compagna di vita?
E cosa significava il fatto che Lilith avesse le ali e Adamo no? Significava, che lei doveva avere tre cose in comune con
gli angeli e tre con gli uomini: con i primi le ali, il leggero librarsi da luogo a luogo e la presaga conoscenza del futuro.
Con gli uomini il nutrirsi, il riprodursi e il morire. Non doveva forse Dio, con questa unione così dissimetrica, avere in
mente uno scopo superiore? Non troviamo forse qui una tradizione parziale e distorta dall’antico maschilismo ebreo
sotto la quale, invece, si celava una ben più nobile figura? […] Tuttavia la cosa non era per me determinante, non
volevo certo imbastire un’indagine mitologica; tanto più anzi avevo la libertà di regolarmi secondo la mia ispirazione.
Così scrissi la poesia I figli di Lilith, nella quale tentai di reinterpretare i tratti della leggenda e le sue contraddizioni in
funzione di una spiegazione del progetto divino per il mondo.”
Heyse, anch’egli autore prima di una novella e poi di un epos incentrato sul mito di
Lilith.27 Egli ritiene ingiustificabile la totale revisione e il ribaltamento del mito. La
pronta risposta di Isolde, che nel Medioevo anche la stessa Afrodite, dea dell’amore e
della bellezza, era stata rovesciata in una seduttrice demoniaca. non fa che gettare
olio sul fuoco, poiché “man damals nicht gewöhnt war, festgestellte
Männermeinungen durch eine Frau sachlich widerlegen zu hören”28. Amaramente, la
Kurz deve prendere atto del destino avverso riservato a questo lavoro, da lei
considerato “uno dei suoi figli prediletti”, e commenta:
Aber ich hatte wieder einmal ahnungslos in ein Wespennest gestochen. Ich wusste ja gar nicht, dass
die Wespen der rückständigen Männlichkeit noch soviel Gift in ihren Stacheln hatten. Die
männliche Bequemlichkeit, die in dem Evastyp über Küche und Alkoven ihre Bedürfnisse erfüllt
sah, schnob vor Entrüstung; meine erstaunten Ohren konnten sogar aus sonst verständigem Munde
die Behauptung hören, dass es gerade die dumpfe, erdgebundene Frau sei, die den Mann zum
grössten Aufschwung beflügle, -schauerlicher Irrtum gleich dem Alkoholikers, der zu schweben
glaubt, während er taumelt. Andere zeigten sich beleidigt, da für sie doch ein für allemal das ‚Er
soll dein Herr sein’ zu gelten hatte.29
Non c’è da stupirsi dunque se questo epos, che urta contro i capisaldi dell’ideologia
familiare borghese e smaschera la sacra imago dell’ ‘angelo del focolare’, sparisce
velocemente dalla circolazione, per cui ancora oggi è rintracciabile solo nel primo
volume dell’opera omnia kurziana. Tuttavia, come fa notare giustamente Irmgard
Roebling, Lilith resta l’incarnazione di un ideale troppo caro all’autrice perché non
possa ripresentarsi, sotto altri nomi, in altri personaggi della sua opera:
Wie sehr die Gestalt der Lilith zu einer heimlichen Spiegelfigur der Autorin Kurz wurde, lässt sich
an verschiedenen Variationen in ihrem Erzählwerk nachweisen. In ihrem stark mit
autobiographischen Elementen durchsetzen Roman Vanadis. Der Schicksalsweg einer Frau. (1931)
erscheint eine Lilith-ähnliche Vision am emotionalen Höhepunkt des Romans. Die Vision erfolgt
aus der Perspektive der Heldin mit dem Namen Vanadis, welche die Autorin in Erinnerung an die
germanischen Göttin Freya gewählt hat; Freya war, wie wir es auch von der frühgeschichtlichen
30
Lilith wissen, halb Liebes-, halb Todesgöttin.
27
P. Heyse, Lilith. Ein Mysterium. In: Mythen und Msterien. Stuttgart und Berlin, 1904.
Die Pilgerfahrt nach dem Unerreichlichen, p. 481, „allora non si era abituati a sentire una donna confutare
oggettivamente le opinioni fisse maschili.”
29
Ibidem, p. 480-481, “Ma io non sapevo di aver ancora una volta,inconsapevolmente, messo le mani in un vespaio.
Davvero non sapevo che le vespe dell’arretrata mascolinità avessero ancora così tanto veleno nei loro pungiglioni. La
comodità maschile, che vedeva soddisfatti i suoi bisogni dalla donna-Eva della cucina e dell’alcova, sbuffò di sdegno; i
miei orecchi allibiti poterono ascoltare da una peraltro ragionevole bocca , che proprio la donna pesante e terrestre dà le
ali all’uomo per il più ampio slancio, -errore tremendo simile a quello dell’alcolizzato che crede di librarsi e invece
barcolla. Altri si mostrarono offesi, poiché per loro il famoso ‘Egli deve essere iltuo signore’ doveva valere una volta
per tutte.”
30
I. Roebling, Lilith oder die Umwertung aller Werte. Eine Untersuchung zum Frauen-Bilder-Sturz um die
Jahrhundertwende am Beispiel von Isolde Kurz’ Versepos ‚Die Kinder der Lilith’. In: Lulu, Lilith, Mona
Lisa...Frauenbilder der Jahrhundertwende. Pfaffenweiler, 1989, „Quanto la figura di Lilith divenne segreto alter ego
dell’autrice Kurz si può dedurre dalle molteplici variazioni che subisce nella sua opera narrativa. Nel suo romanzo a
carattere fortemente autobiografico Vanadis. Der Schicksalsweg einer Frau. (1931) appare una simile visione di Lilith
all’apice emotivo del romanzo. La visione nasce dalla prospettiva del’eroina il cui nome Vanadis era stato scelto
dall’autrice in ricordo della dea germanica Freya; Freya, in corrispondenza a ciò che sappiamo dell’antica Lilith, era sia
dea dell’amore che della morte.”
28
In nota ad un successivo articolo sulla Kurz, la Roebling aggiunge anche che Die
Kinder der Lilith sono stati ristampati nel 1993 presso il Kore-Verlag di Friburgo,
un’edizione però, che non sono riuscita a trovare.
Tornando alla vita di Isolde, l’epos in questione viene in gran parte steso durante il
felice soggiorno in via de’ Bardi e rappresenta l’ultima opera di un certo respiro,
insieme alle Florentinische Erinnerungen, che la scrittrice porta a termine prima della
morte della madre. Marie si spegne a Monaco, in casa del figlio Erwin, tra le braccia
di Isolde dopo una dura notte di lotta contro gli attacchi di cuore che ormai da anni la
tormentano.
I.4. Gli anni a Monaco – la Grande Guerra – gli ultimi tempi
Fortunatamente, a far da contrappeso a tale quasi insostenibile perdita,
riappare l’amico di gioventù Ernst Mohl, che per ben quaranta anni ha vissuto e
insegnato in Russia presso una prestigiosa università di S. Pietroburgo. Isolde e
l’amico affittano a Monaco due appartamenti adiacenti , dove trascorrono tutto l’anno
eccetto l’estate, che entrambi amano passare a Forte dei Marmi. Gisela SpiesSchlienz si chiede in che misura la perdita della madre abbia contribuito a riportare
Isolde in Germania, alla sfera dell’eredità paterna.
In questi anni Isolde è ormai diventata una ‘scrittrice tedesca’ molto stimata e
apprezzata, come dimostrano le recensioni favorevoli di Theodor Kleiber nel 1907 e
di Heinrich Spiero nel 1913 e poi nel 1927. Quest’ultimo addirittura la celebra come
esimia rappresentante della “vertieften Form”, ossia di quella corrente letteraria della
Germania meridionale, a cui appartenevano Heyse e la sua cerchia, che, a suo avviso,
univa classicismo e romanticismo in una specie di superiore realismo. In conclusione,
ciò che si loda nella Kurz è sempre la sua capacità formale e il suo stile che, rispetto
ad altre contemporanee come Ricarda Huch, è caratterizzato da una “kühle Ruhe”31,
una fresca serenità. Il Württemberg le attribuisce la ‘Grande medaglia d’oro per l’arte
e la scienza’ e , nel 1913, in occasione del centenario dalla nascita del padre, alla
presenza della coppia reale viene conferito la laurea ‘ad honorem’ dall’università di
Tubinga. Si tratta della prima donna in assoluto a ricevere tale onoreficenza.
Il 1913 rappresenta per lei anche l’anno della realizzazione di un altro suo grande
sogno: visitare la Grecia, sua patria spirituale dell’infanzia. Dall’entusiasmo di questo
viaggio sorge il ‘Reisebuch’ Wandertage in Hellas, edito a Monaco quello stesso
anno. Dopodiché Isolde bilancia tale tuffo nella classicità con un’esplorazione della
approfondita della Germania e delle sue radici. Sale oltre Francoforte, visita Kassel,
fino a giungere al porto di Amburgo, dove si sente fiera della grandezza della propria
patria.
Tale sentimento patriottico, in verità molto idealistico, si riflette allo scoppio della
Prima Guerra Mondiale nella sua poesia Schwert aus der Scheide (‘Estraete le
31
M. Onodi: Isolde Kurz, Leben und Prosawerk als Ausdrück zeitgenössischer und menschlich-individueller Situation
von der Mitte des 19. bis zur Mitte des 20. Jahrhunderts, Frankfurt am Main, 1987, p. 9
spade’), in cui invita la spada germanica a compiere il proprio sacro dovere nei
confronti dei nemici. Naturalmente la Kurz non è l’unica a cedere alla militanza
lirica; tuttavia la mobilitazione lettereraria femminile a favore della prima guerra
mondiale tende ad irritarci ancor di più rispetto a quella dei loro colleghi uomini. Già
molto tempo prima del 1914 le scrittrici alla ricerca della propria emancipazione
avevano trovato una genealogia in immagini femminili eroiche. La stessa Kurz si è
autorappresentata come Diana, Minerva, Antigone, Cassandra o la regina delle
Amazzoni Pentesilea. Simili eroine erano allora incompatibili col modello della
moglie borghese, ma potevano venir astutamente sfruttate dal programma
nazionalistico in rapporto al mito eroico di Germania, la Madre.
La Kurz però, troppo informata dall’ideale classico di armonia tra i popoli nel rispetto
delle reciproche diversità, non può che ricredersi sul suo momento d’infervorato
patriottismo e ritornare sui suoi passi, in un clima di ritiro dalla scena politica e
pubblica. Durante la repubblica di Weimar, quell’epoca dilaniata dai conflitti politici
e sociali, esce nel 1925 l’edizione completa delle sue opere in sei volumi. L’anno
successivo pubblica una biografia della madre, Meine Mutter, e nel 1929 una di Ernst
von Mohl, morto quello stesso anno (Ein Genie der Liebe). Fra la altre opere
pubblicate nel corso degli anni venti si distingue il romanzo Die Nächte von Fondi
(1922), di nuovo ambientato nel Rinascimento, a testimonianza del fatto che, a
dispetto del trasferimento in patria, l’Italia e Firenze rimasero la sua ineguagliabile
fonte d’ispirazione.
Nel 1931 esce il romanzo Vanadis. Der Schicksalsweg einer Frau, particolarmente
significativo per capire l’ambivalente alternanza tra impulso emancipatorio e visione
conservatrice della nostra autrice. In effetti si tratta del mito di Pentesilea svolto in
chiave moderna, il cui leitmotiv è la donna che donandosi all’eros, si perde e muore.
Nel romanzo si tratta proprio di una morte fisica, in quanto alla protagonista, dopo
essersi concessa all’amato e geniale fratello acquistato Roderich, si apre una piaga
inguaribile nel petto che la uccide. In senso traslato, la donna che si consacra al dio
Eros rinuncia alla propria autorealizzazione.
In epoca nazionalsocialista la Kurz, insieme alla Huch, fa parte delle ‘eretiche
tollerate’, anche perché riesce a mantenere un atteggiamento assai prudente e, pur
disapprovando profondamente la politica antisemita del Reich, esprime le sue critiche
prevalentemente in ambiente privato. Il regime apprezza tale riservatezza spedendole
telegrammi di auguri per il suo compleanno e limitandosi, d’altro canto, a ‘premurose
sollecitazioni’ affinché elimini dalle sue opere ,soprattutto da quelle autobiografiche,
ogni riferimento ad amicizie con famiglie ebree. Un amico ricorda:
Sie hatte Sorgen. Sie war in den damals gegründeten nationalsozialistischen Kultursenat gewählt
worden. Sie wollte nicht hinein. Aber sie wagte auch nicht zu refüsieren. Sie war ein energischer,
aber keineswegs radikaler Typ wie Ricarda Huch. [...] Sie war eine gütige Frau, besonderes Mitleid
hatte sie mit den damals in Deutschland gequälten Juden. Sie sprach auch diesmal mit mir über
sie.32
32
Kasimir Edschmid: Tagebuch 1958-1960. Vienna, Monaco e Basilea 1960, p. 115, “Era preoccupata. Era stata scelta
nel senato culturale allora fondato dai nazionalsocialisti. Lei non voleva entrarci. Ma non osava neppure rifiutare. Era
Dopo l’autobiografia Die Pilgerfahrt nach dem Unerreichlichen (1938), la sua
ultima opere di grande respiro, Das Haus de Atreus, accentua ulteriormente la sua
volontà di ritiro dai fatti del giorno e l’evasione nella mitica Grecia degli Atridi. In
seguito al bombardamento del suo appartamento di Monaco ritorna a Tubinga, città
della sua giovinezza, e qua come un cerchio, conclude la sua vita il 6 Aprile 1944.
Viene sepolta nel cimitero locale accanto alla tomba del padre.
II. Alcuni aspetti del pensiero dell’autrice
II.1. Il rapporto con la madre in relazione al ruolo della donna
“ Aber alle Liebe ist grausam, selbst die heiligste, die Mutterliebe”33 così scrive
Isolde, nella sua autobiografia nel capitolo ‚Mutterrrecht’, dedicato al rapporto con la
madre e, se si vuole, al suo ambiguo rapporto col femminile. Marie viene definita
come l’Alfa e Omega di quella particolare comunità spirituale rappresentata dalla
famiglia Kurz. Descriverla è un’impresa ardua, lei è “das unbegreiflichste aller
Frauenwesen” e, per la figlia, rappresenta dunque una sorta di sfuggente archetipo
della stessa femminilità, in quanto “die unbegreiflichsten Gegensätze waren in
diesem Menschenbild zu einem einfachen und bruchlosen Ganzen
zusammengeschwisst”34.
L’unica figura che si avvicina, per molti tratti, a quella che Isolde definisce “die
bedeutsamste, geliebteste, edelste, aber auch in manchem Sinn die
verhängnisvollste”35 antagonista sul palcoscenico della propria esistenza è San
Francesco. Entrambi possiedono un forte “tierischer Magnetismus” per cui “alles
Lebewesen sich unwiderstehlich zu ihr gezogen fühlte, Tiere, Kinder, junge Leute“ .
Nel loro temperamento predominano „das Irrationale und das Plötzliche [...] die
quecksilberne Überbewegligkeit“36; l’amore e lo spirito di sacrificio sono il segreto
del loro potere. Tutte caratteristiche che, come vedremo, saranno applicate dalla Kurz
alla sua personale presentazione della figura di Lilith, colei che, misteriosamente, sta
“an den Kreuzgangspunkt des Geistigen mit dem Körperlichen”37.
A differenza del marito, che dopo l’entusiasmo del 1848, prende posizioni politiche
più moderate, Marie Kurz rimane una fanatica idealista. Non vuole saperne di
proprietà, comfort, ordine, o questioni inerenti al lato formale e materiale della vita.
un tipo energico, ma non una radicale come Ricarda Huch. […] Era una donna di buoncuore, provava una particolare
compassione per le famiglie ebree allora tormentate in Germania. Anche quella volta ne parlò con me.”
33
Die Pilgerfahrt nach dem Unerreichlichen, p. 48, „Ma ogni amore è crudele, perfino il più sacro, l’amore materno.“
34
Ibidem, p. 42-44, “il più inafferrabile di tutti gli esseri femminili”e “i più incomprensibili opposti si fondevano in lei
in una semplice e unitaria totalità”.
35
Ibidem, p. 43, “la più significativa, nobile, amata, ma anche in un certo senso fatale”.
36
Ibidem, p. 45, “magnetismo animale”, “ogni essere vivente si sentiva irresistibilmente attratto da lei, animali,
bambini, giovani”, “l’irrazionale e l’improvviso […] la mercuriale ipermobilità”.
37
Ibidem, p. 45, “al punto d’incrocio tra corpo e spirito”.
Hätte dies liebglühende Herz nur einigen Sinn für den Wert einer fraulichen Heimstätte besessen,
für die Wohltat der Ordnung und der Harmonie, für ein wenig Mass- und Takthalten!38
Essa incarna i suoi stessi ideali nella vita quotidiana, senza tuttavia pretenderli dagli
altri, eccetto che, e qui viene la ‘crudeltà’ dell’amore materno, dai propri figli e in
particolare dalla figlia femmina. Costei le fa da specchio, uno specchio mitigato però
dall’influenza del sangue paterno, ed è ben cosciente di alcuni dei problemi che
questo “schmerzhaft enge” legame porta nella sua vita.
Uno per tutti il doloroso, forse eccessivo isolamento dalla società ‘filistea’ dell’epoca,
dovuto all’educazione privata e anticonvenzionale da parte della madre. Irmgard
Roebling scrive in proposito:
Vor allem Isolde wurde früh zur Paria in der schwäbischen Provinz, da einem Mädchen eine so
unbürgerliche Erziehung doppelt fatal anstehen musste. Welche Demütigungen und Anfeindungen
hatte sie zu bestehen, als sie in ihrer prüden, körperfeindlichen Landwelt auch noch reiten und
schwimmen lernte! Die Erfahrung, etwas Besonderes und dadurch zugleich Aussenseiterin in einer
repressiven Gesellschaft zu sein, prägt sich der Autorin massgeblich als Lebenseinstellung ein und
spiegelt sich in beinahe allen grossen Gestalten ihrer Dichtung, den Frauen vor allem und den
Künstlern.39
Questa associazione di donna e artista, probabilmente sulla base del comune impulso
creativo, sarà molto utile per decodificare una delle possibili funzioni di Lilith in
rapporto ad Adamo al momento dell’interpretazione dell’epos. La Roebling avanza
anche l’ipotesi, che proprio l’esempio materno di assoluta dedizione alla famiglia e ai
figli, costretti in un amore possessivo, immenso e spezzacuore, abbia ulteriormente
consolidato il rifiuto della Kurz nei confronti del matrimonio. Tuttavia è caduta
inevitabilmente nel ruolo della figlia-sorella ‘libera’ da cui la buona società si aspetta
la cura dei parenti, dei fratelli, e soprattutto dei vecchi genitori. La madre stessa non
le dà la pace e la serenità necessarie al suo lavoro poetico, convalidando
indirettamente l’opinione corrente che, se una donna si dà all’opera, non può
usufruire degli stessi diritti e riguardi dovuti all’uomo creativo.
Tutto ciò porta naturalmente Isolde a interrogarsi sul destino della donna e ad
elaborare teorie in proposito. Va tenuto presente, comunque, che lei stessa non si
considera una diretta rappresentante del femminismo, del quale, col suo solito
orientamento classico, rifiutava gli estremi e non condivideva a pieno l’idea di
‘uguaglianza assoluta’ tra uomo e donna.
38
Ibidem, p. 45, “ Avesse avuto questo cuore ardente un po’ di senso del valore del tocco femminile per la casa, per il
bene dell’ordine e dell’armonia, per un po’ di ritmo e misura!”.
39
I. Roebling, Isolde Kurz. Aber alle Liebe ist grausam. In: Frauen im deutschen Südwesten, hrsg. von Birgit Knorr und
Rosemarie Wehling, Kohlhammer, Stoccarda ,1993, “Soprattutto Isolde divenne una paria nella provincia sveva, poiché
una tale educazione non borghese doveva rivelarsi doppiamente fatale per una ragazza. Che umiliazioni e ostilità
dovette affrontare, allorché nel suo ambiente bigotto e pudico imparò perfino a cavalcare e nuotare! L’esperienza di
essere un caso particolare e perciò una ‘diversa’ influenzò in maniera determinante la sua visione della vita e riflette in
quasi tutti i grandi personaggi della sua poesia, soprattutto nelle donne e negli artisti.”
Unterdessen ging die Frauenbewegung in Deutschland ihren leise gang ohne mich zu berühren.
Meine früheren Erfahrungen liessen mich vom Durchschnitt meines Geschlechts nicht viel
erwarten...40
Oppure:
Ich darf die tapferen Wegbereiterinnen rühmen, denn ich habe nicht zu ihnen gehört. Sie haben den
Nachkommenden einen Boden geschaffen, auf dem sich wohnen und werken lässt.41
Lo stesso Bennett osserva che per la Kurz l’oppressione femminile resta soprattutto
un fenomeno culturale, e non si concentraquindi sull’oppressione politica e storica
della donna. La sua stessa estetica classica e conservatrice le impedirebbe cioè di
sviluppare uno stile femminista e di corroborare anche dal lato formale il suo nuovo
messaggio di vitalità femminile.42
Interessante è la sua teoria sull’evoluzione (o involuzione?) dell’ideale femminile in
Germania e che , secondo lei, avrebbe raggiunto il suo culmine di negatività proprio
alla metà del diciannovesimo secolo, allorché “die unselbständige, tief entmündigte,
ja, sagen wir es offen heraus: die ungebildete Frau war die herrschende Norm”43.
Isolde lo considera il risultato di un processo iniziato a partire dalla Guerra dei
Trent’anni. Prima, sempre secondo la sua teoria, la donna dei ceti superiori era
addirittura più istruita dell’uomo, poiché aveva più tempo per leggere e intrattenersi
con i dotti. Dopo la guerra, a causa della crescente penuria economica della patria si
era cominciato a propugnare un ideale di donna il cui scopo nella vita era
l’abnegazione e il servizio incondizionato al marito e ai familiari. A una conclusione
molto simile sono arrivate le storiche femministe odierne allorché hanno preso in
considerazione il singolare declassamento e assoggettamento della donna nel popolo
ebraico. Un popolo questo,
das gezwungen ist, am Rande anderer Kulturen zu leben, ständig beargwöhnt und verfolgt von den
Herren des Landes, entwickelt verständlicherweise Ängste und Minderwertigkeitsgefühle. [...] Es
waren die Männer, die Kompensation brauchten für das Leiden des Exil. [...] Eine widerspenstige,
aufbegehrende Frau verstärkt die Verunsicherung des Mannes. Wenn er nirgends mehr Herr war,
seiner Frau gegenüber musste er bleiben. Männliche Neurosen und Ängste werden daher auf die
Schattenfrau Lilith, die Kehrseite der Eva, projiziert.44
40
Nachlass Isolde Kurz. In: Manuskript zu einem Vortrag über das Thema ‚Über das Schicksal der Frau von heute’,
senza titolo, Deutsches Literaraturarchiv, Marbach, citato secondo Onodi M., op. cit., p. 38, „Intanto il movimento
femminista in Germania procedeva senza toccarmi. Le mie precedenti esperienze mi lasciavano poco da sperare da
parte della media delle mie compagne di sesso…”
41
Die Pilgerfahrt nach dem Unerreichlichen, p. 30, „Posso inneggiare alle più coraggiose precorritrici, perché io non
ho fatto parte di esse. Hanno creato ai posteri un terreno su cui abitare e poter lavorare.”
42
T. Bennett, op. cit., p. 92-106.
43
Vortrag-Manuskript Das Schicksal der Frau von heute, citato secondo Onodi M., op. cit., p. 89, „la donna non
autosufficiente, eternamente minorenne, sì, diciamolo chiaro, la donna non formata era la norma predominante“.
44
Susanne Schaup, Sophia. Das Weibliche in Gott, Kösel Verlag, München, 1994, „che è costretto a vivere al margine
delle altre culture, costantemente minacciato e perseguitato dal signore di quella terra, sviluppa comprensibilmente
paure e sentimenti d’inferiorità. […] Erano specialmente gli uomini, che necessitavano una compensazione per la
sofferenza dell’esilio. […] Una donna ritrosa e ribelle rafforza l’insicurezza dell’uomo. Allorché egli non è più signore
di niente, almeno della sua donna deve esserlo. Le nevrosi e le fobie maschili vengono dunqueproiettate sulla donna
oscura Lilith, il rovescio di Eva.”
Durante il periodo classico-romantico, prosegue poi la Kurz, alcune donne, come ad
esempio Bettina von Arnim, riuscirono a imporre le loro doti intellettuali, oltre che
‘casalinghe’. Tuttavia, soprattutto secondo le teorie pedagogiche di matrice
rousseauiana, le fanciulle andavano preservate da un’eccessiva acculturazione, che
avrebbe messo a rischio la loro naturale ‘innocenza’ e ‘purezza’. Regula Fankhauser,
nel suo excursus a proposito dell’interesse antropologico per la donna nel
diciannovesimo secolo, ha rilevato che alla ragazza borghese veniva fornito un
minimo d’istruzione, magari tramite la lettura di qualche operetta di facile accesso
Um durch einen gebildeteren Verstand ihren Mann besser zu unterhalten, besser zu verstehen, mehr
Abwechselung in die häuslichen Freuden zu bringen. [...] Das Weib muss lesen, um die
Unterredungen ihres Mannes und seiner Freunde einigermassen zu verstehen, um nicht durch den
Ausdruck der höchsten Langeweile auf ihrem Gesicht diese oft zu unterbrechen.45
Questa era una citazione che la Fankhauser trae da Brandes, un pedagogo dell’epoca
che mostra una donna a uso e consumo dell’uomo. Il commento della saggista infatti
è:
Ein Minimum an Bildung soll dafür sorgen, dass die Frau innerhalb der Gemeinschaft Gebildeter
nicht zum Störfaktor wird und dadurch deren Selbstverständnis in Frage stellen würde. Letztlich
aber ist die istitutionalisierte Ausbildung für die höhern Töchter von zweitrangiger Bedeutung, denn
durch den Mann und die Ehe, „soll das Weib seine vollkommene Ausbildung erhalten“46
Purtroppo proprio Goethe che, con la sua concezione dell’‘eterno femminino’
dem Wesen der Frau am nächsten kam und es in vielfachen Spiegelungen am echtesten dargestellt
hat, die Gestalt erschuf und mit dem Schmelz der höchsten Poesie umkleidete, die die deutsche Frau
um Jahrhunderte zurückwerfen half. Der Gretchenkult war ein allzu bequemer, man konnte ihr in
Hemdärmel dienen, sie stellte keine kulturelle Forderung an den männlichen Partner und erhöhte
sein Selbstgefühl durch ihre tiefe Unterworfenheit. [...] Demütige Magd oder Weibchen -Leib ohne
Seele- das machte der männliche Formungswille aus dem handlichen Plastilin.47
Naturalmente le donne, per sopravvivere, hanno incorporato tale ideale e lo hanno
utilizzato a loro vantaggio. Coloro che intenzionalmente e consapevolmente si sono
45
R. Fankhauser, Des Dichters Sophia: Weiblichkeitsentwürfe im Werk von Novalis, Böhlau Verlag, Köln,1997, p. 207
„affinchè, tramite un intelletto più sviluppato, sappia meglio intrattenere il proprio marito, capirlo meglio e portare
variazione nelle gioie casalinghe. [...]
La donna deve leggere, per capire in qualche misura le conversazioni del marito e degli amici di lui, per non
interromperle con l’espressione della massima noia sul suo volto.
46
Ibidem, p. 207, “un minimo d’istruzione doveva far sì che la donna non divenisse un fattore di disturbo all’interno di
una comunità di persone istruite e quindi non mettesse in discussione la sua funzione all’interno di essa. In fin dei conti,
però, l’educazione istituzionalizzata era per le figlie del ceto superiore, d’importanza secondaria poiché attraverso
l’uomo e il matrimonio ‘la donna deve ricevere la sua completa formazione’ “
47
Die Pilgerfahrt nach dem Unerreichlichen, p. 21-22, „..che è giunto più vicino all’essenza della donna e più
autenticamente l’ha rappresentata in molteplici riflessi, creò quella figura , ammantandola dello smalto della più alta
poesia, che contribuì a riportare la donna tedesca indietro di secoli. Il culto di Gretchen era troppo comodo, lo si poteva
officiare in maniche di camicia, lei non poneva pretese culturali al partner maschile e anzi, aumentava il l’egocentrismo
di costui tramite la propria profonda sottomissione. […] Umile serva o femminetta –corpo senz’anima- questo era il
prodotto della volontà plasmatrice dell’uomo da questa maneggiabile plastilina.”
adeguate a tale posizione, hanno il potere sottile nella relazione erotica con l’uomo.
Facendo leva sul suo orgoglio e sul suo desiderio narcisistico di potenza, possono
manipolarlo a loro piacimento. Come vedremo, questa è la funzione-ruolo di Eva e
delle sue figlie nell’economia de I figli di Lilith. La Kurz, abbastanza lucida da
vedere entrambi i lati della medaglia, nei suoi aforismi e riflessioni, scaglia un
pesante anatema nei confronti di questo genere di donna:
Das sind die Schmarotzerpflanzen des weiblichen Geschlechts. Sie haben nichts als ihre
Bedürfigkeit, womit sie sich am Manne anklammern und festsaugen. [...] Sie haben keinen Willen,
keine Gedanken, keine eigene Geschmacksrichtung, sie haben nur den Trieb, sich festzuklammern,
sie fordern keine Achtung, dulden jeden Fusstritt, arten sich nach belieben um, aber halten fest. Die
sind, die das Unglück des ganzen Geschlechts in der Liebe verschulden. Sie entwerten die
Weiblichkeit!48
Tuttavia c’è da dire che alla Kurz non interessa tanto lottare per rendere giustizia alla
donna strappando tutto il potere all’uomo, quanto bloccare una decadenza generale
della cultura proponendo la donna proprio come preservatrice del bello e di quanto di
più alto e sacro è stato prodotto dall’umanità:
Wenn die ungeheuren Anforderungen der modernen Zivilisation den Mann immer mehr zum
Fachmenschen plattdrücken und ihm die Zeit zur humanistische Ausrundung beschränken, so muss
es Sache der Frau werden, der Menschheit ihre höchsten Erbgüter zu bewahren. Nach diesem Ziele
hat die unaufhaltsam gewordene Frauenbewegung, die zunächst nur praktische Zwecke verfolgt,
allmählich umzulenken.49
Da qui risulta chiaro come l’interesse della Kurz non si diriga verso l’indipendenza
economica della donna o verso la conquista femminile dei campi tradizionalmente
riservati agli uomini. In questo essa si distanzia notevolmente dalle femministe del
suo tempo. Piuttosto si augura un riconoscimento e un potenziamento della donna
nelle sue doti specificamente femminili. Queste per lei sarebbero: la tendenza alla
conservazione e trasmissione dei beni artistici e spirituali, una più profonda capacità
di empatizzare e una maggiore mobilità e flessibilità mentale: cosa, quest’ultima, non
di poco conto, considerata l’inclinazione maschile alla cristallizzazione e fissazione
dell’esperienza in concetti e strutture. Per Isolde, il Rinascimento italiano, con
personalità del calibro di Isabella d’Este, Elisabetta Gonzaga, Vittoria Colonna o
Caterina Sforza, era stato l’aureo esempio di un periodo in cui la donna era stata
valorizzata in quanto tale:
48
Gesammelte Werke, Bd.4, p. 392 e seg. „Esse sono i parassiti del sesso femminile. Non hanno altro che il loro
bisogno, con il quale si aggrappano all’uomo e succhiano. […] Non hanno volontà, non hanno pensieri, nessun gusto
personale, ma solo l’impulso ad attaccarsi, non richiedono attenzione, sopportano ogni abuso, si modellano secondo
l’altrui piacimento, ma tengono stretto. Loro sono le responsabili dell’infelicità in amore dell’intero sesso! Esse
degradano la femminilità!”
49
Ibidem, p. 402, “Quando le terribili pretese della moderna civilizzazione appiattiranno sempre più l’uomo al grado di
tecnico specialistico e gli ridurranno il tempo per una completa formazione umanistica, allora sarà la donna a dover
conservare i maggiori tesori dell’umanità. A questa meta dovrà gradualmente mirare l’ormai inarrestabile movimento
femminista, che dapprima ha perseguito solo scopi pratici.”
Die Frau blieb immer Frau, ihre Domäne der geistlichen Herd, ihr Ausdrucksmittel die
Konversation und der Briefwechsel mit bedeutenden Persönlichkeiten, sie stand neben dem Manne
wie die begeisternde Muse neben dem Künstler, wie die Göttin, die treibt und tröstet, neben dem
antiken Heros.50
E ancora:
Die italienische Renaissance, die mit ihrer gewaltigen Bejahung der Persönlichkeit auch dem Weibe
die positiven Eigenschaften abforderte, stellte neben ihre grandiosen Männergestalten fort und fort
ebenbürtige, herrliche Frauen, die teils sichtbar, teils unsichtbar in das Ringen der Zeit eingriffen.
Niemand nannte diese Frauen unweiblich, denn es war gerade die Entfaltung ihre weiblichen Natur,
51
die sie berechtigte, neben die Männer zu treten, wie siegverleihende Göttinnen neben ihre Heroen.
Perciò la cosa fondamentale che la Kurz chiede per la donna è la possibilità di
un’educazione libera, che permetta alle ragazze di realizzarsi secondo le loro doti e
capacità. Lei vede nella donna l’educatrice delle future generazioni, ruolo per il quale
essa deve essere non solo fisicamente, bensì anche intellettualmente e spiritualmente
equipaggiata. Poiché per lei l’umanità è, o perlomeno dovrebbe essere, un tutto
armonico che il colpo d’artista della natura ha diviso in due metà complementari, non
ha senso considerare la donna come creatura separata, dal destino singolo e solitario.
La donna e l’uomo dovrebbero piuttosto formare un ‘team’ compatto e affiatato, nel
quale entrambi, a pari merito e valore, interagiscono e si completano grazie ai
differenti doni e sfumature:
Denn die Frau schafft das äussere Gepräge einer Kultur; sie ist die Erzieherin des Mannes zu Form
und Schönheit, und ihre feinerer Tastsinn ist berufen, seine starre, abstrackte Sachlichkeit zu
mildern.52
E anche:
Gleichklang gibt keine Harmonie. Es kann in der grossen Symphonie der Zukunft nicht Aufgabe
des Weibes sein, dieselbe Stimme zu singen wie der Mann. [...] Dann wird die Frau frei und
geachtet sein, wenn man von der bedeutenden Leistung eines Weibes nicht mehr sagen wird, dass
es eine männliche Leistung sei.53
50
I.Kurz, Die Frauen der italienischen Renaissance. In: Die Gartenlaube, 1908, p. 656, „La donna rimaneva pur
sempre donna, il suo dominio era il focolare dell’ospitalità, i suoi mezzi d’espressione la conversazione e lo scambio
epistolare con le personalità più significative, essa stava accanto all’uomo come la musa ispiratrice presso l’artista e la
dea che stimola e consola al fianco dell’antico eroe.”
51
I.Kurz, Im Zeichen des Steinbocks. Aphorismen und Gedankengänge, Müller, Monaco-Lipsia, 1905, p. 71-72, „Il
Rinascimento italiano, con la sua decisa affermazione dell’individuo, evocava anche nella donna le sue qualità positive.
Accanto alle grandiose figure maschili poneva via via donne altrettanto valide e signorili, che, in parte visibilmente, in
parte in sordina, entravano nell’arena dell’epoca. Nessuno considerava queste donne non femminili, perché era proprio
dispiegarsi della loro natura femminile che le rendeva degne di affiancarsi agli uomini, come le dee della vittoria che
stavano vicine ai loro eroi.
52
Die Pilgerfahrt nach dem Unerreichlichen, p. 26, „Poiché la donna crea l’impronta esteriore di una cultura; lei educa
l’uomo alla forma e alla bellezza e il suo tatto più fine è chiamato a mitigare la rigida, astratta oggettività di lui.”
53
Gesammelte Werke, p. 399-401, „Omofonia non dà armonia. Non è verosimile che nella grande sinfonia del futuro il
compito della donna sia cantare la stessa voce dell’uomo. […] Allora la donna sarà libera e rispettata, quando non si
dirà più di un suo lavoro significativo che è una prestazione maschile.”
II.2. Visioni esistenziali, concezioni artistiche e religiose
Poiché I figli di Lilith è una revisione della Genesi, un’opera che tratta la creazione
dell’uomo e il suo stesso significato all’interno del piano universale, mi sembra
giusto accennare ad alcuni aspetti del pensiero dell’autrice che sono rintracciabili in
questo epos e aiutano a capirlo meglio. Ho già insistito sull’importanza dell’ideale
umanistico che Isolde, a livello tedesco, vede concretizzato nella figura e nell’epoca
di Goethe. L’aspirazione di entrambi è rivolta verso una completa formazione
dell’individuo in tutte le sue componenti, fino alla costituzione di un’ ‘humanitas
superiore’ che rispecchi e rispetti l’armonia e la bellezza macrocosmica.
Wenn ich einen Briefwechsel oder ein Tagebuch aus dem Anfang des neunzehnten Jahrhunderts
lese oder wenn ich mir ganz alte Leute ins Gedächtnis zurückrufe, deren Jugend noch durch jene
Zeit beeinflusst war, so überrascht mich nichts so sehr, als wie diese Menschen an sich selbst
gemodelt und gemeisselt haben. Sie sahen ihr Ich als ein Kunstwerk an, das die Natur nur roh
anlegen konnte, und dessen Ausführung ihnen selbst überlassen blieb. […] Wer von uns heutigen
hat noch den Trieb, an seiner inneren Vollendung zu arbeiten?54
Purtroppo sono pochi gli individui che sentono e seguono quest’impulso alla continua
autotrascendenza, al passaggio dalla sfera del mero individuale a quella
dell’incarnazione dei valori universali.
Per lo più tale prototipo si presenta nella
personalità dell’artista. Il vero artista non può che rivolgere lo sguardo al
sovrapersonale, a quel regno dove gli opposti si conciliano e dal quale il ritorno al
mondo dell’ ‘homo homini lupus’ è sempre doloroso perché implica solitudine e
fraintendimento. Scrive Marion Onodi:
Die Fähigkeit, auch das Persönlichste von einem übergeordnete Standpunkt aus zu betrachten,
isoliert also den Dichter von seinem Mitmenschen.55
Alla maniera di Schopenauer, l’arte è per Isolde una via maestra d’elevazione, forse
l’unica, giacché significa un ritorno all’innocenza primigenia, allo ‘Spieltrieb’ del
bambino libero e puro. Chiaramente tale visione non può essere compresa né
tantomeno condivisa in una società che, come lei stessa constata, tendeva sempre più
a valorizzare i parametri della produttività, competitività e dell’utilitarismo. Niente di
più alieno dall’ottica kurziana ‘sub specie aeternitatis’.
Kunst ist Glückseligkeit. [...] Sie versetzt in einen Zustand, wo alles Wollen aufhört, also auch das
Sichbildenwollen. Durch ihren Anblick wird die Welt vollkommen .[...] Sie stammt aus den
Anfängen der Menschheit, aus ihrem Spiltrieb und Kindersinn.56
54
Gesammelte Werke, Bd.4, p. 386 e seg. „Quando leggo uno scambio epistolare o un diario dell’inizio dell’ottocento,
oppure quando richiamo alla memoria persone molto vecchie, la cui gioventù fu influenzata da quel periodo, non c’è
cosa che mi stupisca maggiormente di come questi uomini si siano scolpiti e modellati. Essi vedevano il loro Io come
un’opera d’arte, che la natura aveva fornito grezza, lasciandone poi a loro lo sviluppo. […] Chi di noi oggi possiede
ancora lo stimolo a lavorare al proprio completamento?”
55
M. Onodi, op. cit., p. 125, “La facoltà di osservare anche ciò che è più personale da una prospettiva superiore isola
l’artista dagli alti uomini.”
Quindi etica e estetica per la Kurz non sono affatto due campi distinti, o almeno non
dovrebbero esserlo. L’ideale sarebbe la perfetta coincidenza di forma e contenuto,
secondo la famosa triade greca del Bello-Buono-Vero. Invece c’è stata una rottura,
una scissione tra forma-materia e essenza-anima. Probabilmente questo è uno dei
temi rappresentati nel nostro epos tramite la separazione tra Adamo e Lilith. Compito
dell’uomo decaduto è dunque quello di sforzarsi per recuperare l’armonia con se
stesso e con il Tutto, un’armonia che la Kurz vede riprodotta nel ritmo della musica e
della poesia:
Alles Gute ist nur Harmonie, Rhythmus, Einstimmen und Takthalten mit der Musik der
Weltganzen. Kleinlich-selbstische, boshafte Zwecke sind ein Aus-dem-Takt-Fallen das sich gleich
mit eigener innerer Disharmonie und Unlust bestraft.57
Riguardo poi alla gerarchia delle arti, la Kurz si rivela perciò più figlia del
romanticismo che del classicismo tedesco:
Die Musik, die transzendentale Kunst, bringt von jenseits der Dinge die grosse Heilsbotschaft einer
ewigen Ordnung und durchflutet damit unsere innere Welt. Die Poesie dehnt diesen Rhythmus auf
das Menschenleben aus und verdolmetsch ihn durch ihre Bilder der irdischen Geschicke in einer
Sprache, die wiederum Rhythmus ist. Die bildenden Künste verbreiten ihn durch Form und Farbe
über alle sichtbaren, von Menschen geschaffene Dinge und schliessen damit den Ring, denn die
Naturgebilde haben von selber den Rhythmus in sich.58
Nonostante questa fondamentale impostazione umanistica, sarebbe riduttivo
appiattire la Kurz su una natura esistenzialmente pacificata, immersa nella serena
contemplazione del suo pantheon di divinità greche e germaniche ed esente da ogni
confronto con la religione cristiana. Al centro di molte sue opere stanno
l’interrogazione su un ordine superiore del mondo e la riflessione su Dio; tematiche
queste che svelano una Kurz pur sempre alla ricerca, come del resto attesta lo stesso
titolo della sua autobiografia, Die Pilgerfahrt nach dem Unerreichlichen. Qui non
solo la scelta di un termine come ‘pellegrinaggio’ rimanda esplicitamente a una
dimensione religiosa, ma lo stesso ‘Irraggiungibile’ ha molto a che vedere con la
divinità, intesa alla maniera romantica di Infinito, Assoluto. Illuminante è, in questo
contesto, la professione di fede che Isolde, molto autoreferenzialmente, fa
pronunciare a Vanadis, una delle sue eroine preferite:
56
I. Kurz, Gesammelte Werke, Bd.4, p. 473, „L’arte è beatitudine. [...] Essa trasporta in uno stato dove cessa ogni
volere, anche la volontà di formarsi. Attraverso il suo sguardo il mondo si compie. […] Essa proviene dai primordi
dell’umanità, dal suo istinto di gioco e senso infantile.”
57
Ibidem, p. 421, “Tutto ciò che è buono è solo armonia, ritmo, accordo nel tenere il tempo con la musica dell’universo.
I piccoli, egoistici scopi maligni sono un perdere il ritmo, che subito viene punito con una disarmonia e uno sconforto
interiore.”
58
Ibidem, p. 423, “La musica, l’arte trascendentale, porta dall’aldilà delle cose il grande messaggio risanatore di un
ordine eterno e con esso permea il nostro mondo interiore. La poesia allarga questo ritmo alla vita dell’uomo e lo
traduce, attraverso le sue costellazioni di destini terreni, in una lingua che è di nuovo ritmo. Le arti figurative lo
diffondono tramite la forma e il colore a tutte le cose visibili create dall’uomo, visto che le immagini naturali hanno già
il ritmo in se stesse.”
Nein, mein Glauben kann sich keine vergänglichen Form verpflichten. Gäbe es eine allgemeine,
ewiggültige, so müsste sie dem Menschen eingeboren sein. Aber nichts ist ihm eingeboren, als die
Sehnsucht nach dem Unerreichbaren und der Drang, sich hinzugeben. Die Gottheit verhüllt ihr
Gesicht, damit wir sie an immer höherer und höherer Stelle suchen.59
Ogni religione istituzionalizzata contiene per lei qualche elemento che urta contro il
suo più intimo sentire. Per quel che riguarda la religione cristiana, che lei comunque
rispetta in quanto una delle molteplici “Spiegelungen des einen undurchdringlichen
Geheimnisses, als Etappen auf dem Weg zu Gott”, ciò che non riesce a spiegarsi è il
significato della Passione e il ruolo di Giuda in essa. Come poteva Dio abbandonare il
suo figlio più amato e fare di Giuda il ‘villain’ della situazione, destinandolo ‘ab
aeterno’ all’eterna dannazione? E queste fiamme infernali, non contraddicono
profondamente l’immagine di un Dio, la cui natura è anche amore e misericordia,
oltre che giustizia? Riguardo al sacrificio di Cristo, tuttavia, Isolde può ricavare un
certo senso solo se rapportato al mito della morte e risurrezione della divinità solare
(Dioniso, Osiride, Tammuz) presente in tutti i culti misterici dell’umanità. Tale
sacrificio farebbe parte di un piano divino di redenzione, la cui essenza è andata
perduta oppure è stata distorta nel corso dei millenni:
Christus konnte das blutige Lebensgesetzt des Planeten nicht wenden. [...] Aus uralter östlicher
Weisheit raunt eine Verkündigung herüber, dass der Lichtgeist mit jedem neuen Weltalter
wiederkommen müsse, um das Erlösungswerk ein Stück vorwärts zu tragen. [...] Wer ohne den Stab
der Überlieferung, die für mich abgerissen war, allein die Suche antritt aus Wust und Zorn der Welt
nach dem liebglühenden Gottesherzen, der fühlt wohl an dem zunehmenden Erwarmen des eigenen,
dass er Ihm schrittweise näherkommt.60
Quindi agli occhi d’Isolde non tiene neppure l’illogica rappresentazione di un
Paradiso nell’aldilà come ricompensa di una vita terrestre considerata solo come
‘valle di lacrime’ in cui soffrire ed espiare. Troppo radicato è in lei il senso di una
segreta connessione e affinità tra tutte le apparenze e le modalità della realtà per poter
accettare un dualismo radicale uomo-Dio, terra-Cielo, così come viene divulgato dal
cristianesimo convenzionale. La Onodi osserva:
Die Wurzeln ihres Glaubens liegen eher im Monismus als der Anschauung, die Vielfalt der
Erscheinungen des Wirklichen auf ein letztes, bestimmtes Prinzip zurückführen will. Dieses Letzte
ist für sie das Göttliche, die Weltregierung, der ‚kosmische Zusammenhang’.61
59
I. Kurz, Vanadis, Tübingen, 1931, p. 631, “No, la mia fede non può vincolarsi a nessuna forma caduca. Ce ne fosse
una universale, eternamente valida, allora dovrebbe essere innata nell’uomo. Ma niente è in lui innato se non lo
struggimento verso l’Irraggiungibile e lo slancio a donarsi ad esso. La divinità si vela il volto, affinché noi la cerchiamo
in luoghi sempre più elevati.”
60
Die Pilgerfahrt nach dem Unerreichlichen, p. 65 e seg., „Cristo non poteva rovesciare la sanguinosa legge di vita del
pianeta. […] Dall’antica sapienza orientale arriva bisbigliando il messaggio che lo spirito della luce debba ritornare ad
ogni nuovo ciclo mondiale per portare avanti di un altro pezzo l’opera di redenzione. […] Chi, senza il bastone della
Tradizione, che per me fu stroncato, comincia da solo, a causa della rabbia, del vuoto e dell’orrore del mondo, la ricerca
del cuore amorevole di Dio, si accorge dal crescente riscaldarsi del proprio, che passo dopo passo Gli si avvicina.”
61
M. Onodi, op. citata, “Le radici della sua fede risiedono piuttosto nel monismo, secondo la teoria che vuole
ricondurre la molteplicità delle apparenze del reale a un unico, ultimo principio. Questo Ultimo è per lei il Divino,
l’ordine dell’universo, l’insieme cosmico.”
Tale visione la porta automaticamente nelle vicinanze dell’induismo, la cui
affermazione basilare è proprio l’unità di tutto il vivente in Brahman. Sappiamo che a
Firenze, alla fine dell’ottocento, la Kurz assisteva alle conferenze di un giovane
bramino che si proponeva di diffondere la filosofia Vedanta in occidente e di
dimostrarne la complementarità con gl’insegnamenti base del Buddismo. La nostra
autrice trova un’importante conferma riguardo la sua visione organicistica (oggi
diremmo ‘olistica’) del mondo e dell’umanità oltre alla spiegazione razionale e
risolutiva della regola aurea cristiana ‘ama il prossimo tuo come te stesso’:
Liebe deinen Nächsten wie dich selbst! Sagt das Christentum, aber es sagt nicht den Grund dieser
so paradoxen Vorschrift, denn es kennt ihn selber nicht. Den Grund weiss nur die indische Lehre, in
deren Geist dieses Licht zu-erst und am hellsten aufgefangen ist. Er heisst: tat twam asi –das bist
du. Du selber bist dieser Nächste, denn du bist in allem Seienden und alles Seiende ist in dir. Die
Individuation ist nur ein Traumbild.62
Inoltre, il contributo del buddismo all’interno del pensiero di Isolde, prende la forma
di un conflitto infraculturale tra il culto occidentale della personalità e dell’individuo,
contrapposto alla meta orientale della dissoluzione dell’Io nel Nulla nirvanico.
Probabilmente la Kurz non aveva ancora ben chiaro il nesso tra Nirvana e Unità in
Brahman, e tra l’Io samsarico buddista e il ‘principium individuationis’. Ciò che si
dissolve non è quel che lei chiama “metaphysische Ich-Bewusstsein”, il Sé immortale
e costante dell’odierna psicologia, bensì proprio il “gewöhnliches, triebartiger selbst
Ichgefühl, das sich im Handeln äussert und dessen Überwuchern Selbstsucht und
Eigennutz heisst”63. Non si tratta dunque di una ‘regressio in uterum’ nel senso di una
dispersione dell’unità della persona nell’inconscio, bensì di un’entelechìa del
superconscio, di un’identificazione con ciò che è universale ed eterno nell’uomo
stesso e che presuppone necessariamente il superamento dell’ottica limitata e
limitante dell’ego empirico. Come abbiamo visto, questo rappresenta il cuore
dell’ideale umanistico da lei stessa propugnato e si realizza in un ritorno alla
semplicità e innocenza originarie come risultato paradossale di un laborioso,
intenzionale forzo di riflessione e automodellazione. Anche la Onodi sottolinea i
dubbi della Kurz sull’aldilà tra il perdurare dell’individualità umana come entità
separata e separativa e, invece, il riunirsi all’ Uno cosmico da parte del Sé
transpersonale di ogni essere vivente. Sempre la Marion fa notare come, alla fine
della sua vita, l’autrice si avvicini sempre più alla seconda tesi, e cita, come prova, la
frase conclusiva della sua autobiografia:
62
I. Kurz, Gesammelte Werke, Bd.4, p. 434, „Ama il prossimo tuo come te stesso! Dice il cristianesimo, ma non ci dice
la ragione di questa paradossale prescrizione, poiché non la conosce neppure lui. Il motivo lo sa solo la dottrina indiana,
nel cui spirito si è dischiusa questa luce per prima e più chiara. Significa: tat twam asi –questo sei tu. Tu stesso sei
questo prossimo, perché tu sei in tutto il vivente e tutto il vivente è in te. L’individuazione è solo un’immagine di
sogno.”
63
Ibidem, p. 433, „l’ordinario, istintuale senso dell’io, che si manifesta nell’agire e la cui pelle si chiama egoismo e
interesse personale”.
“Näher zu dir! Du hast mich ausgeatmet, du wirst mich einatmen. Möchte dann mein letzter Atem
rein geworden wie Atem der Kindheit in den deinigen zurückfliessen.“ 64
In conclusione a questa esposizione sulla Weltanschauung della Kurz, nella quale
s’intrecciano, ampliano e completano visioni etiche, estetiche e metafisiche,
possiamo riportare il commento del pastore Giesen a seguito di un’approfondita
analisi del ‘Lebensrückschau’ kurziano centrata sul rapporto della scrittrice col
cristianesimo:
Isolde Kurz steht auf der Linie der Gottgläubigkeit unserer Tage, freilich nicht aus dem Tage
geboren, sondern in einem langen Leben gewonnen. Sie geht, bisweilen in buddhistischer
Grundstimmung, den Weg der Naturmystiker, den Weg der Stoa und Renaissance und den Weg
Goethes.65
Lilith: il mito, la poesia
III. Lilith figura del mito e del folclore
III.1. Presentazione generale
Se c’è una figura contenitore di quei lati del femminile che da millenni sono stati
repressi e demonizzati, questa è proprio Lilith, la ‘signora oscura’, il polo
64
Die Pilgerfahrt nach dem Unerreichlichen, p. 699, „Più vicina a Te! Tu mi hai espirato, tu mi ri-inpirerai. Possa il
mio ultimo respiro, divenuto puro come quello dell’infanzia, rifluire nel Tuo.”
65
Pfarrer Giesen, Das Christenturm in Isolde Kurz ‘Pilgerfahrt nach dem Unerrreichlichen’. In: Deutsches Pfarrerblatt,
Jg. 43, 1940, citato secondo Onodi M., op. cit., p.167, „Isolde Kurz sta nella linea dell’odierna religiosità, però non nata
tutta d’un colpo, bensì conquistata nel corso di una lunga vita. Lei percorre, talvolta con spirito buddista, la via del
mistico panteista, la via della Stoa e del Rinascimento e la via di Goethe.”
complementare all’immagine della donna ‘innocua’, ‘pura’ e subordinata al volerepotere maschile. L’immagine di un potere femminile, invece, rimanda con molte
probabilità a un lungo periodo di matriarcato, dominato dall’archetipo della Grande
Dea Madre, fonte di vita e di saggezza, che poi è stata gradualmente sostituita o
addirittura condannata dalla figura del Dio Padre, in concomitanza al formarsi di una
civiltà maschile di guerrieri e proprietari terrieri a partire dal 5000 a.C.66
I miti matriarcali percepiscono un’unità inscindibile tra l’uomo materiale e spirituale,
in quanto la Dea Madre è personificazione della ‘santa materia’ come grembo
ricettivo e campo d’azione dello stesso spirito. Lo stadio di coscienza che precedette
il matriarcato fu di tipo magico-corporeo; in epoca matriarcale si sviluppò la
coscienza mitico-psichica e quindi, col patriarcato, iniziò la fase razionale-analitica
dell’umanità. C’è da augurarsi che la coscienza del futuro integri questi retaggi
genetici evolvendo una mentalità spirituale completa, in cui la parte maschile e la
parte femminile vengono considerate di pari valore e ugualmente determinanti per il
benessere globale dell’individuo. Infatti il pensiero mitico si sviluppa sotto il segno
della partecipazione soggettiva agli avvenimenti e del coinvolgimento emotivo in essi. E’ un altro
modo di riflettere, un ‘essere dentro’ gli avvenimenti. L’uomo di oggi, abituato a pensare
razionalmente, crede di poter considerare oggettivamente un fatto, di poter, per così dire, rimanere
‘fuori’ e ‘davanti’. Egli si distacca dalla totalità, rappresenta e dispiega idee su di essa, ma non vive
più in essa.67
Questo non è che un’altra variazione del tema hegeliano della filosofia come ‘nottola
di Minerva’, che cerca di razionalizzare in concetti la vita e così facendo la manca,
non la esperisce nella sua pienezza. La Voss aggiunge che il vero colpo di grazia alla
presunta validità del pensiero scientifico è stato inferto proprio dalla fisica
subatomica allorché i ricercatori hanno scoperto che l’elettrone può apparire come
onda o come particella a seconda delle aspettative dello sperimentatore:
Ciò che la teoria dei quanti descrive (che nelle reazioni l’osservatore e l’osservato si condizionano
reciprocamente e costituiscono un’unità e che quindi lo scienziato oggettivo in realtà agisce come
partecipante soggettivo) è ben noto al pensiero mitico. Attraverso la fisica dei quanti risaliamo
all’esperienza mitica della totalità di ogni vita, alla materia visibile e alla sua essenza invisibile che
68
risplende dietro a tutto.
La chiave della coscienza mitica è dunque l’intuizione, facoltà più simile alla ragion
pura che non alla mente analitico-discorsiva. L’intuizione ha bisogno di sviluppare
una linea complessiva e, se anche non può essere sottoposta a verifiche scientificocausali, è però concreta ed esatta sul piano dell’esperienza interiore. L’intuizione è
empatia, inclusività, ‘sapienza del cuore’ intesa come recettività senza giudizio, ed è
66
Cfr. Jutta Voss, La luna nera. Il potere della donna e la simbologia del ciclo femminile. Como, 1996, p. 68-69.
J. Voss, op. citata, p. 20-21.
68
Ibidem, p. 21.
67
la forma più alta di un’intelligenza qualitativamente femminile, localizzata
nell’emisfero cerebrale destro di ogni essere umano.69
La mente razionale empirica maschile, tutta volta all’analisi e quindi alla scissione
della originaria totalità ha operato una netta separazione tra ‘donna bianca buona’ e
‘donna nera cattiva’, motivata anche da fattori storici e culturali. Abbiamo la Vergine
Maria e la Strega, la donna-angelo e la donna-vampiro, Sofia e Lilith. Un lato della
‘Magna Mater’ originaria è stato stigmatizzato e poi rimosso; di conseguenza se ne
teme la vendetta poiché “es ist ein energetisches Gesetzt, dass alles Verdrängte zum
bedrohlichen ‚Schatten’ wird”70. Erich Neumann spiega a proposito dell’archetipo
primordiale:
L’archetipo primordiale possiede una prerogativa essenziale: esso fonde in sé attributi e gruppi di
attributi positivi e negativi. […] Per la confluenza di tanti momenti o simboli contraddittori
nell’unità dell’archetipo primordiale, la natura di esso è paradossale. Esso è invisibile e non
rappresentabile.71
Si potrebbe aggiungere ‘come la Vita’, di cui appunto la Grande Madre è simbolo.
Essa racchiude anche l’aspetto doloroso della caducità di ogni forma e quello infero
dell’inconscio come potenza notturna istintuale che entra in conflitto con la crescita
della coscienza e della consapevolezza. La Grande Madre produce infatti l’uovo
cosmico bianco-nero; l’Archetipo del Femminile, cioè, contiene gli opposti e la
vitalità del mondo viene garantita proprio dal loro incessante gioco. Terra e cielo,
morte e vita, notte e giorno, sono relativi l’uno all’altro, si connettono e si bilanciano
reciprocamente. Scrive ancora Neumann:
Nel corso dello sviluppo ulteriore verso i valori patriarcali e verso il dominio degli dèi maschili
della luce e del sole la dimensione negativa dell’archetipo femminile è stata rimossa. Per tale
motivo essa appare oggi come contenuto primordiale e inconscio.72
Nella seguente indagine mitologica ripercorrerò le tappe di trasformazione del mito di
Lilith proprio in rapporto al modificarsi e al degenerare della ricezione del Femminile
da parte di una cultura sempre più polarizzata su una prospettiva apollinea-maschile.
Una prospettiva che, portata all’estremo, non riconosce le sue stesse radici, ossia la
nascita della coscienza maschile solare all’interno delle ‘acque primordiali’
femminili. Così facendo, si rende colpevole di un matricidio interiore che
necessariamente provoca una scissione schizoide all’interno della psiche
dell’umanità. Ne è prova il mito di Oreste, tormentato dalle Furie, semidivinità
ctonie, ossia proiezioni del suo stesso senso di colpa nei confronti dell’uccisione della
madre. Una madre adultera, ‘una madre cattiva’, però pur sempre madre.
69
Sul finire del secolo scorso, passati gli entusiasmi positivisti, si svilupparono molte filosofie che davano ampio rilievo
a queste facoltà, come quella di Bergson o quella di Dilthey. Contemporaneamente, sul piano sociale prendeva forza il
movimento femminile e in campo letterario si assisteva a una decisa rivalutazione di Lilith.
70
S. Schaup, op. cit., p. 64 „è una legge energetica che tutto il rimosso si trasformi in spettri minacciosi.”
71
E. Neumann, La Grande Madre. Fenomenologia delle configurazioni femminili dell’inconscio, Astrolabio, Roma,
1981.
72
E. Neumann, ibidem, p. 157.
III.2. Lilith presso i Sumeri e i Babilonesi
Se esaminiamo la fenomenologia di Lilith secondo l’ottica della ricerca storica,
religiosa e antropologica, scopriamo che si possono individuare almeno quattro
passaggi fondamentali nell’evoluzione di tale figura73:
1. Lilith come divinità matriarcale altamente sessualizzata e ambivalente, nella
tradizione sumerica-babilonese;
2. Lilith come demone strangolatore di bambini e seduttore di uomini nella
cultura giudaica;
3. La nascita del mito di Lilith come prima donna di Adamo, secondo gli scritti
cabalistici;
4. L’adozione in campo letterario di tale personaggio e la sua rivalutazione
soprattutto nella fiction del diciannovesimo secolo.
La prima apparizione di un demone femminile chiamato Lilith dunque, si trova in
una versione sumerica dell’epos di Gilgamesch. Questa redazione risale al quarto
secolo prima di Cristo e il demone appare come ‘Ki-sikil-li-la-ke’, cioè la compagna
di ‘Lila’ o ‘Lilu’ che è il nome del padre di Gilgamesch. Di questo padre viene detto
che era un ‘demone Lilu’ e che nel suo gruppo c’erano: ‘Lilitu’ (Lilith), un demone
femminile, ‘Ardat Lili’, un altro demone femminile che la notte visitava gli uomini
per partorire loro dei figli astrali e infine Irdu Lili, demone maschio che invece la
notte metteva incinte le donne. Questi quattro spiriti venivano classificati come
‘demoni della tempesta’, poiché una delle etimologie della parola Lila\Lilu è proprio
‘vento’ o ‘tempesta’.
Un’altra etimologia, che invece rimanda alla parola ebraica ‘laila’ (notte) o a quella
assira ‘lilatu’ (sera), viene utilizzata soprattutto in ambiente giudaico dove Lilith
viene rappresentata prevalentemente come incubo o spettro notturno. Spesso viene
simbolizzata dalla figura del gufo, nel quale s’incontrano i due elementi fondamentali
della sua iconologia, la notte e le ali. Nelle arti figurative si presenta poi quasi sempre
come donna nuda con ali d’uccello, talvolta anche incrocio di donna e animale, ad
esempio il serpente.
Ma la sua rappresentazione più antica e famosa, su un rilievo in terracotta sumera del
1950 circa a.C., mostra una donna di giovanile bellezza, circondata da due gufi. I suoi
piedi assomigliano ad artigli d’uccello, e due grandi ali d’uccello escono dalla sua
schiena. Il volto ricorda la dolce rotondità della luna piena e indossa un curioso
copricapo a forma di serpentina spirale. Nelle mani tiene anelli che rimandano
all’egizio Uroboro, il serpente circolare che si morde la coda, simbolo polivalente
dell’eterna ciclicità, della fusione degli opposti nel ‘Grande Cerchio della Vita’, ecc..
Susanna Schaup commenta, estendendo metonimicamente la figura di Lilith a quella
della Dea Madre:
Die Schwingen und Vogelklauen deuten auf die innere Verwandtschaft der Göttin mit der
Vogelnatur. Wie der Vogel sich himmelwärts in die Lüfte erhebt, so bewohnt auch die Göttin den
73
Crf. I.Roebling, Lilith oder di Umwertung aller Werte, p.163.
Himmel und breitete ihre Fittiche schützend über die Erde aus. In viel spätere Zeit wird aus der
Fittichen der göttlichen Vogelfrau der Schutzmantel der Madonna werden. Darstellungen der
ägyptischen Himmelsgöttin Nut drängen sich auf, die ihren Leib über die Erde beugt und die Hände
segnend zur Erde streckt. Der Himmel gehörte der Göttin, bevor das Patriarchat den Vatergott in
den Himmel erhob und die Göttin auf die Erde verbannte. Die Eule war die weise Begleiterin der
Göttin, bevor die patriarchale Weltordnung sie zur Botin des Unheils, zu einem lichtscheuen
74
Unglücksvogel machte.
Tornando all’epos di Gilgamesch, qui il demone Lilith costruisce la sua casa
sull’albero Huluppu, che si trova sulle riva dell’Eufrate e che è stato piantato il giorno
della Creazione. Un drago fa il nido tra le sue radici e l’aquila Anzu deposita i suoi
piccoli sulla chioma. Gilgamesch uccide il drago, mentre l’aquila con gli aquilotti
fugge sulle montagne. Il tronco dell’albero si apre, Gilgamesch vede Lilith in una
nube di fumo e la descrive come “eine schwarzhaarige weibliche Gestalt in
flatternden Gewändern mit schneeweissen Gesicht und grossen, flammenden Augen,
die fortflog in die Wüste“75.
E’ in ambiente babilonese che si evidenzia in particolar modo l’ambiguità del nostro
personaggio, che incorpora contemporaneamente le due dee ‘Lamaschtù’ e ‘Ischtar’,
laddove Lamaschtù è naturalmente il lato oscuro e ‘cattivo’ della sensualissima
regina del cielo Ischtar. Quest’ultima appunto simboleggia quella che poi sarà la
greca Afrodite Pandemia, ossia la dea dell’amore carnale, dell’estasi e della
seduzione. In suo onore venivano eretti templi in cui si esercitava la prostituzione
sacra, secondo la quale le sacerdotesse dovevano donarsi almeno una volta a uno
sconosciuto di passaggio per celebrare simbolicamente lo ‘hieros gamos’ il ‘santo
matrimonio’ del principio femminile terrestre con quello maschile spirituale.
Lamaschtù è invece il rovescio distruttivo e terribile di tale divinità, in quanto tenta di
rubare e uccidere i bambini alle donne gravide, costrette a proteggersi tramite
scongiuri e amuleti. Questo aspetto infanticida rimane una costante del mito di Lilith,
insieme a quello della seduttrice peccaminosa. Studiando gli antichi testi babilonesi,
la Schaup scrive di Lamaschtù:
Ihr Vater ist der babylonische Himmelsgott Anu. Stets gehören die wilden, aufgelösten Haare, meist
feuerrot oder rabenschwarz, und die nackte Brüste zu ihrem Bild. Sie kann verführerisch schön oder
animalisch grässlich sein [...]76
74
S. Schaup, op. cit., p. 56, „Le ali e gli artigli d’uccello indicano l’intima parentela della Dea con la natura alata. Così
come l’uccello si alza nell’aria verso il cielo, anche la Dea abita il cielo e allarga le sue ali protettive sulla terra. In tempi
molto più tardi diventano le piume della signora alata il mantello protettivo della Madonna. Le raffigurazioni della dea
egiziana Nut insistono sull’immagine del suo corpo che si piega verso la terra tendendo benedicente le mani. Il cielo
apparteneva alla Dea, prima che il patriarcato ci insediasse il suo Dio Padre e bandisse la Dea sulla terra. Il gufo era il
saggio accompagnatore della Dea prima che il regime patriarcale ne facesse un messaggero della sventura, un uccello
del malaugurio nemico della luce.”
75
Victoria Brockhoff, Götter, Dämonen, Menschen. Mythen und Geschichten aus dem Zweistromland, Stuttgart, 1987,
„una figura femminile dai capelli neri, in vesti fluttuanti , col viso bianchissimo e gli occhi fiammeggianti, che volò via
nel deserto.”
76
S. Schaup, op.cit., p. 54, „Suo padre è il dio babilonese Anu. Alla sua immagine appartengono sempre i capelli sciolti
e selvaggi, perlopiù rosso fuoco o corvini, e il petto nudo. Può essere seducentemente bella o animalescamente orrenda
[…]”
Lamaschtù diviene in seguito la Lamia della mitologia greca. Essa è l’amante di
Zeus, che gli dà anche alcuni figli. La gelosissima Era però, la perseguita e uccide
tutti i suoi bambini. Dal dolore Lamia perde la sua bellezza e per vendetta inizia ad
uccidere i figli delle altre donne e a succhiar loro il sangue. Questo è il ritratto che ne
dà Karl Kerényi:
Sie ist imstande, ihre Augen herauszunehmen, damit sie immer wachen, auch wenn die Lamia
selbst schläft. Und sie kann sich in alle Gestalten verwandeln. Gelingt es aber, sie
gefangenzunehmen, so können die geraubten Kinder aus dem Bauch der Lamia lebendig
77
hervorgezogen werden.
Nel suddetto passo, Lamaschtù-Lamia assume chiaramente anche i connotati delle
‘Stringes’, maghe ruba-bambini, tutt’ora presenti nel folclore e nelle fiabe popolari
greche. Da tale parola pare provengano le ‘Striges’ della mitologia romana e infine
l’italiana ‘strega’. B. Schmidt aggiunge che i Greci credettero per lungo tempo che:
Wenn ein Jüngling, zumal ein wohlgestalteter, um Mittag oder Mitternacht am Strande singt oder
die Flöte blase lässt, die Lamia des Meeres aus der Tiefe emportaucht und denselben unter
Verheissungen eines glücklichen Lebens zu bewegen sucht, ihr Gatte zu werden und mit ihr ins
78
Meer zu kommen. Weigert sich der Jüngling, so tötet sie ihn .
Qui si sottolinea la vicinanza di Lamaschtù-Lilith con la Sirena, la Medusa, l’Ondina,
la Melusina, la Loreley e tutte le insidiose donne acquatiche del mondo classico e
germanico.
III.3. Lilith in ambiente giudaico-cristiano
Nella tradizione rabbinica-talmudica e in quella greco-bizantina la Dea dalla doppia
faccia, madre e seduttrice, viene naturalmente scomunicata e inserita nella categoria
dei demoni. La Roebling spiega:
Deutlich wird in allen Fällen das Weibliche sowohl in seiner naturhaften Produktivität und
Fruchtbarkeit (immer waren ja die Muttergottheiten zugleich Schutzgottheiten der Vegetation und
damit des Ackerbaus) wie auch in seiner erotischen Sinnlichkeit als bedrohlich empfunden. Der im
Vegetationsmythos positiv aufgehobene Todesaspekt wird nun negativ hypostasiert im Bild der
verschlingenden würgenden Furie, die ihre Fruchtbarkeit nur sündhaft einsetzt (Lilith, heisst es,
raubt nachts den Männern in einsamen Häusern den abgehenden Samen) zur Erzeugung eines Heers
von schädlichen und Gott unfälligen Dämonen.79
77
K. Kerényi, Die Mythologie der Griechen. Band 1. Die Götter- und Menschheitsgeschichten. München, 1988, p. 37.
„Lei è capace di cavar loro gli occhi, di modo che essi vegliano, anche quando Lamia stessa dorme. Se però si riesce a
catturarla, si possono estrarle dalla pancia i bimbi rubati ancora vivi.”
78
B. Schmidt, Das Volksleben der Neugriechen und das hellenistische Altertum. Leipzig, 1871, „Quando un giovane,
soprattutto di bella presenza, canta sulla spiaggia o suona il flauto, allora la Lamia del mare emerge dalle profondità e
con promesse di una vita felice cerca di convincerlo a diventare suo marito e scendere nel mare con lei. Se il giovane si
nega, lei lo uccide.”
79
I. Roebling, Lilith oder die Umwertung aller Werte, p.165 e seg., „In tutti i casi è chiaro che il femminile, sia nella
sua naturale produttività e fertilità (le divinità matriarcali sono sempre state protettrici della vegetazione e della
Scompaiono totalmente gli elementi luminosi ancora presenti nella tradizione
babilonese e solo in un testo gnostico-mandeo troviamo Lilith come figlia del mondo
sotterraneo che, sposata con un rappresentante della luce, genera con lui il demiurgo
creatore Ptahil.80 Questa è ancora una rivisitazione del motivo della nascita
dell’anima-consapevolezza attraverso l’unione di luce e oscurità, spirito e materia. In
alcune leggende iranico-irachene Lilith sarebbe addirittura una protettrice delle
partorienti e dei bambini. Scrive ancora Neumann:
Il principio creativo dello spirito è certamente un’esistenza eterna e viene esperito nel mondo
patriarcale come autogeneratosi, ma in linea genealogica esso è derivato anzitutto dall’inconscio del
81
Caos o dall’Oceano Primordiale e viene concepito come principio filiale del femminile.
Invece le leggende pesantemente negative su Lilith di stampo ebraico sembrano
motivate storicamente dalla prigionia babilonese e dalla diaspora. E’ precisamente nel
periodo della cattività babilonese che sorgono le prime demonizzazioni di questa
figura, poiché il popolo d’Israele aveva bisogno di proiettare in qualche modo i lati
ombrosi del femminile che non era più capace d’integrare. Allora tirava un’aria di
profonda insicurezza: via dalla patria, senza sacerdote e senza tempio il rischio di un
adeguamento alla religione straniera era molto alto, e con esso la perdita dell’identità
nazionale. Quello che occorreva era demonizzare l’estraneo, nella figura di Lilith, per
potersene meglio distanziare. Così Lilith diventa demone e in seguito simbolo di una
femminilità aggressiva, emancipata, che mina le già traballanti sicurezze dell’uomo
ebreo.
Nel Talmud, Lilith si presenta principalmente come demonessa seduttrice che la notte
caccia gli uomini solitari per rubar loro il seme: “man darf nicht in einem
alleinstehenden Hause schlafen, denn wer in einem Hause allein schläft, wird von der
Lilith überfallen”82. Infatti, secondo la concezione talmudica, i demoni sono stati
creati la sera del venerdì al crepuscolo, sotto forma di spiriti che non poterono
ricevere un corpo perché nel frattempo era iniziato il sabato (per il popolo ebraico
giorno di perentoria astensione da ogni attività). Da qui l’idea che i demoni cercano
di procurarsi un corpo attaccando gli uomini. A ciò si aggiunge poi la leggenda che,
quando Adamo, dopo l’assassinio di Abele, si rifiutò di avere rapporti con Eva, fu
agganciato da demoni femminili ‘succubi’. Questa unione dovuta a un uso perverso
della facoltà procreatrice di Adamo generò una schiera di ‘spiriti nocivi che
provengono dall’uomo’. Scholem scrive:
Queste antiche immagini sulla procreazione demoniaca nella polluzione o in altre pratiche,
specialmente onanistiche, furono riprese dai cabalisti e sistematizzate nello Zohar, nel senso che
Lilith, la regina dei demoni, o i demoni che appartengono alla sua corte, cercano di indurre l’uomo
coltivazione), sia nella sua erotica sensualità viene percepito come minaccioso. L’aspetto distruttivo, che nei miti della
vegetazione veniva positivamente evidenziato adesso viene ipostatizzato negativamente nell’immagine della Furia
strozzante e risucchiante, che impiega la sua fertilità solo in modo peccaminoso (cioè Lilith, di notte, ruba il seme degli
uomini nelle case solitarie) per la produzione di un esercito di spiriti dannosi e invisi a Dio.”
80
Cfr. Sigmund Hurwitz, Lilith. Die erste Eva. Zurigo, 1983, p. 91 e seg.
81
E. Neumann, op. cit., p. 242.
82
Ibidem, p. 67, “Non si può dormire in una casa solitaria perché chi dorme solo in una casa viene attaccato da Lilith”.
ad atti sessuali dove manca il partner femminile, per potersi così fabbricare un corpo per sé, col
seme che cade nel vuoto. […] E’ vero che Lilith non partecipa solo delle pratiche sessuali
illegittime. Minaccia persino l’unione coniugale dell’uomo con sua moglie, poiché anche qui essa
cerca di penetrare nel regno di Eva. E quindi veniva ampiamente praticato un rito raccomandato
dallo Zohar, che aveva lo scopo di tenere lontana Lilith dal talamo coniugale.
Nell’ora in cui l’uomo si unisce con sua moglie deve volgere il suo pensiero alla santità del suo
Signore, e dire:
“Coperta di morbido velluto –sei tu qui?
Via, via!
Non entrare e non uscire!
Nulla di tuo e nulla della tua parte!
Voltati, voltati, il mare infuria,
Le sue onde ti chiamano.
Ma io afferro al parte santa,
Con la santità del Re sono ricoperto“
Poi deve avvolgere per un certo tempo la sua testa e quella di sua moglie in un panno, e
successivamente spruzzare acqua limpida intorno al letto.
Nei riti di questo tipo, che ovviamente compaiono proprio in connessione con la sfera sessuale, si
mostrano i lati più oscuri del rituale cabalistico, che rispecchiano le più profonde angosce ed
emozioni dell’uomo.83
III.4. Lilith, la prima donna di Adamo
Ancora Scholem ci parla di un testo cabalistico, l’Alfabeto di Ben Sira, che, tramite
una nuova collocazione e funzione di Lilith, chiarirebbe la contraddizione insita nelle
prime pagine della Genesi, al momento della creazione dell’uomo e della sua
compagna. Infatti nel primo capitolo troviamo scritto: “Dio creò gli uomini a sua
immagine; a immagine Dio li creò; maschio e femmina li creò”; mentre nel secondo
capitolo, quello determinante per la tradizione giudaico-cristiana patriarcale, la donna
viene creata da una costola dello stesso Adamo, che esclama soddisfatto: “Questa (ma
in altre traduzioni appare un significativo ‘questa volta’) è osso delle mie ossa e carne
della mia carne! Costei si chiamerà donna perché dall’uomo fu tratta”. La Roebling
commenta:
Diesen Widerspruch in den Genesis-Ansätzen versuchen die Autoren der kabbalistischen Schriften
zu lösen, indem sie einerseits die Lilith-Figur als erste weibliche Schöpfung einführen, andererseits
auf die platonische Phantasie vom zweigeschlechtlichen Menschen, der von Gott erst im nachherein
getrennt wurde getrennt wurde, zurückgreifen.84
E Scholem scrive:
Così secondo un midrash, che peraltro in questa forma è testimoniato solo nel secolo IX o nel X,
venne creata dapprima una donna per Adamo fatta di terra, non con la sua costola o con il suo
83
Gershom Scholem, La Kabbalah e il suo simbolismo, Einaudi, Torino, 1980, p. 196 e seg.
I. Roebling, op. cit., p. 168, “Gli scritti cabalistici cercano di sanare questa contraddizione nelle proposte della genesi,
da un lato introducendo la figura di Lilith come prima creatura femminile, dall’altro riferendosi alla fantasia platonica
dell’uomo androgino, che in seguito fu diviso da Dio.”
84
fianco. Era Lilith, che tuttavia pretese una parità che non piacque al Signore del creato. Il suo
argomento era questo: siamo pari, poiché siamo fatti entrambi di terra. Allora litigarono, e Lilith
passò i limiti, pronunciò il nome di Dio e volò via, incominciando una carriera demoniaca. Prima,
ancora nel secolo III, questo mito era noto in una forma un po’ diversa, senza rapporto col motivo
demoniaco di Lilith. Si parlava della ‘prima Eva’, e Caino ed Abele avrebbero litigato per il
possesso di questa donna creata indipendentemente da Adamo e che quindi non era loro parente,
dopo di che Dio l’avrebbe nuovamente trasformata in polvere.
Il ‘midrash’ di cui parla Scholem è appunto l’Alfabeto di Ben Sira, un’opera del nono
o decimo secolo, composta da più parti. La prima narra la vita di Ben Sira; la seconda
tratta di come egli imparò l’Alfabeto; la terza illustra la vita alla corte di
Nabuccodonosor , presso il quale Ben Sira aveva dimorato, e la quarta parte contiene
22 epigrammi in ordine alfabetico.
Il numero delle lettere dell’alfabeto e quindi degli epigrammi rimanda alla teoria
cosmologica della Cabala, esposta nel Sefer Yetsirà (Libro della Creazione). Secondo
questo testo, Dio creò il mondo tramiti le 32 vie segrete della sapienza, e il numero
32 viene dalla somma delle 10 Sefirot con le 22 lettere dell’alfabeto. Abbiamo qui
esposta una creazione a più momenti, che possono essere raggruppati su due piani.
All’inizio Dio pronuncia 10 parole, le 10 Sefirot, che sono i numeri primi e
archetipali della manifestazione divina. Nella terza Sefirà, cioè l’Acqua, Dio incide le
22 lettere. Mentre le Sefirot regnano su un piano intelligibile-astratto e sono la causa
della materia, le lettere sono funzioni attive sul piano della manifestazione materiale.
Per riconnetterci all’Alfabeto di Ben Sira, troviamo qui per la prima volta
l’apparizione di Lilith nella veste della prima donna di Adamo:
Als Gott Adam erschuf, sagte er: Es ist nicht gut, dass der Mensch allein sei. Daher erschuf er für
ihn eine Gehilfin, ebenfalls aus Erde (andere Lesart: aus der gleichen Erde) und nannte sie Lilith.
Sobald sie geschaffen war, begann sie eine Streit und sagte: Weshalb sollte ich unten liegen? Ich
bin ebenso viel (wert) wie du, wir sind beide aus Erde geschaffen. Als aber Lilith sah, dass sie
Adam nicht überwältigen konnte, sprach sie den unaussprechlichen Gottesnahmen aus und flog in
die Luft. Adam betete und sagte: Herr der Welt, die Frau, die du mir gegeben hast, ist von mir
weggegangen. Darauf sandte Gott drei Engel, die sie zurückbringen sollten. Diese sagten zu ihr:
Gott hat beschlossen: Wenn du zurückkehren willst, ist es gut. Wenn nicht, dann musst du als Strafe
es auf dich nehmen, dass jeden Tag hundert Kinder von dir sterben. Die Engel suchten Lilith und
fanden sie im reissenden Wasser, in dem später die Ägypter ertrinken sollten. Sie meldeten ihr den
göttlichen Befehl. Aber sie weigert sich, zurückzukehren. Da sagten sie (die Engel) zu ihr: Wir
müssen aber dich in diesem Wasser ertränken. Aber sie bat und sagte: Lasst mich, denn ich bin dazu
geschaffen worden, kleine Kinder zu verderben. Wenn es ein Knabe ist, werde ich acht Tage, wenn
es ein Mädchen ist, werde ich zwanzig Tage Gewalt über das Kind haben. Als sie ihre Worte
hörten, drängten sie noch mehr, dass sie ihnen gehorche. Da sagte sie: Ich schwöre euch im Namen
des lebendigen und grossen Gottes: Wenn ich eure Namen auf einem Amulett geschrieben sehen
85
werde, dann werde ich das Kind nicht schädigen.
85
S. Hurwitz, op. cit., p. 93, “Quando Dio creò Adamo, disse: ‘Non è bene che l’uomo stia da solo’. Perciò gli face
un’aiutante, anch’essa dalla terra (altra lettura: dalla stessa terra) e la chiamò Lilith. Appena fu creata cominciò una lite
dicendo: ‘Perché dovrei sottostare? Valgo quanto te, siamo entrambi stati fatti con la terra.’ Quando però Lilith vide
che non riusciva a sopraffare Adamo, pronunciò l’impronunciabile nome di Dio e volò via. Adamo pregò e disse:
‘Signore del mondo, la donna che mi hai dato se n’è andata via da me.’ Dio allora mandò tre angeli a riprenderla. Questi
le dissero: ‘Dio ha deciso: Se torni, va bene. Altrimenti, come punizione, ogni giorno cento bambini moriranno per
opera tua. Gli angeli cercarono Lilith e la trovarono in acque impetuose, in quelle stesse acque dove sarebbero annegati
Ciò che qui si evidenzia è una lotta per il potere, e ‘l’impronunciabile nome di Dio’ ,
come ci conferma Scholem sempre nel suo lavoro sul simbolismo della Cabala,
rappresenta la suprema concentrazione di forza divina, l’infinita potenza del Logos.
Una donna di potere dunque, andava detronizzata nell’immaginario patriarcale del
popolo ebraico, per cui si opera la radicale perversione e rovesciamento
dell’immagine della Dea Madre amorosa e potente. Invece di dar vita, dà morte,
invece di aiutare le partorienti, tormenta i loro neonati, seduce ma è frigida: se ne fa
la nemica della femminilità per eccellenza, in modo di strappare definitivamente
l’immagine della Grande Dea dal cuore di ogni donna terrestre.
Altro elemento ricorrente legato a Lilith è l’acqua, in questo caso impetuosa, simbolo
delle pulsioni che si agitano nel subconscio, e che rimanda ancora una volta al topos
della ‘discesa agli Inferi’ della divinità femminile. La Roebling cita ad esempio la
discesa nell’oltretomba da parte di Ischtar, tramandata su tavolette d’argilla di
provenienza accadica e sumerica. Qui la simbologia è da ricollegarsi ai miti della
vegetazione per cui per metà anno la natura sembra andare incontro al sonno della
morte per poi rinascere a primavera. La Roebling trae la conclusione che, nel sistema
veterotestamentario patriarcale, l’ ‘andare da sola’ di una donna (e basta confrontarlo
con Eva, che, assente Adamo, incontra il serpente) significa perversione e colpa. La
morte, o meglio, il trapassare delle forme, invece di essere
percepito come polo integrante del ciclo vitale, diventa omicidio. Ciò è caratteristico
della mente empirica separativa maschile che, concentrandosi solo sulla parte e sul
lato esteriore formale della realtà, pensa per opposti inconciliabili: donna\uomo,
vita\morte, bene\male , ecc.
Per quanto riguarda la Bibbia così come arriva alla fruizione dell’odierno cristiano,
troviamo Lilith menzionata alla sfuggita soltanto in Isaia 34, 13-14:
Nei suoi palazzi cresceranno le spine, nelle sue fortezze ortiche e cardi; esso diventerà dimora di
sciacalli, riparo degli struzzi. Cani selvatici s’incontreranno con le iene, e i satiri si chiameranno
l’un l’altro; ivi ancora abiterà Lilìt, trovandovi il riposo.
Siamo nel contesto dell’annunciazione della punizione della città pagana di Edom da
parte di Jahvè. La descrizione indugia su paesaggi d’infinito orrore e decadenza
morale, dove animali selvaggi e spettri girovaghi prendono possesso della città
devastata. Poiché nel testo originale ebraico ‘Lilith’ sta per ‘demone notturno’,
Lutero la tradusse con ‘Kobolde’ (spiritello) e altri con ‘Nachteule’(gufo), favorendo
così la totale scomparsa di questo personaggio dalla Bibbia.
Altra interessante interpretazione del mito ci viene offerta dallo Zohar. Con lo Zohar,
il Libro dello Splendore, la Cabala perviene alla maturità sul piano della speculazione
teosofica. ‘Splendore’ sta per lo Spirito che riunisce tutte le luci che dalle Sefirot si
gli Egiziani. Le comunicarono l’ordine divino. Ma lei si rifiutò di ritornare. Allora le dissero gli angeli: ‘Ti dobbiamo
annegare in quest’acqua. Ma lei pregò e disse: ‘Lasciatemi, perché io sono stata creata per questo: per rovinare i bimbi
piccoli. Se si tratta di un bimbo, gli farò violenza per otto giorni, se è una bambina, per venti. Appena udirono le sue
parole, essi insisterono ancor di più affinché lei ubbidisse. Ma lei disse: ‘ Vi giuro sul nome del grande Dio vivente: se
vedo scritto i vostri nomi su di un amuleto, allora non danneggerò il bambino.”
irradiano sulla terra. Sembra sia stato redatto tra il XIII e il XIV sec. d. C., ad opera
soprattutto del cabalista spagnolo Moshè de Leon. Per ciò che riguarda la creazione
dell’uomo, ritorna in quest’opera il riferimento ad un’originaria androginìa
dell’Uomo Primordiale, Adam Kadmon, ossia “Dio che si svela nel mondo delle
Sefiroth”86 che in seguito si differenzia in una parte maschile e in una femminile.
Poiché lo Zohar non è un testo unico e omogeneo ma una silloge di più testi
temporalmente stratificati e formalmente assai diversi tra di loro, abbiamo varie
versioni e vari significati della figura di Lilith. In un passaggio, esattamente come
nell’Alfabeto di Ben Sira, essa è la prima donna dell’Adamo originario, dunque
l’energia femminile cosmica originaria. Però quando egli si divide in Adamo ed Eva,
logicamente Lilith se ne va. Quindi in questo caso è la creazione di Eva la causa
scatenante la fuga di Lilith, e questa componente permane nella narrazione della
Kurz:
Später sägte Gott den Menschen entzwei und formte seine weibliche Seite. Er brachte sie (Eva) zu
ihm wie eine Braut ins Brautlager. Als Lilith dies sah, floh sie und sie ist noch jetzt in den Städten
der Seeküste und versucht dort, die Menschen zu fangen. 87
In un altro passo tuttavia, quando Dio divide Adamo nelle sue due polarità, è Lilith la
parte femminile che fugge via dopo un alterco; allora Dio crea Eva dalla famosa
costola del primo uomo. Da lì in poi lo Zohar descrive Lilith come regina della notte,
la cui energia aumenta col calare della luna, mentre la luna piena la indebolisce. A
questo punto Lilith si configura nella variegata costellazione dei personaggi
dell’opera come la controparte ‘cattiva’ di Eva, madre della vita. Talvolta è anche
identificata come il lato oscuro della Shekhinah, letteralmente ‘il domicilio di Dio nel
mondo’.
Proprio la figura della Shekhinah, con la sua qualità spiccatamente femminile che la
accomuna alla Sofia degli gnostici, rappresenta uno dei punti focali della teoria e
dell’escatologia cabalistica. Essa è la decima Sefirah, appartenente a quelle potenze
di Dio a carattere fortemente ricettivo. Storicamente e religiosamente è stata
identificata con l’Ecclesia mistica d’Israele, psicologicamente con la psiche umana,
metafisicamente è la presenza di Dio ‘in potenza’ nel mondo.
Infatti, nella cosmogonia dello Zohar, Dio, dopo essersi contratto in se stesso, in un
goethiano momento di sistole, si espande, cioè si manifesta ispirato dalla forza
dell’amore, e getta nello spazio la luce della sue ipostasi, le dieci Sefiroth. Questa
luce viene contenuta e fasciata in ‘vasi’: i primi tre sono puri, gli altri sette formati di
miscele luminose di specie inferiore, dove Dio estromette le ultime impurità che lo
adombrano. Questi ultimi vasi non reggono la luce divina e si frantumano, per cui le
scintille divine si sparpagliano in ogni angolo della futura creazione. Esse sono
dovunque ma esiliate, degradate, incoscienti. Da questa incoscienza-ignoranza, cioè
da questa apparente prima separazione dall’Origine, nasce la possibilità della
86
G. Scholem op. cit., p. 132.
S. Hurwitz, op. cit., p. 105, „Poi Dio divise l’uomo in due e formò la sua parte femminile. Egli la (Eva) portò a lui
come una sposa nel suo letto di nozze. Quando Lilith vide ciò fuggì, e tutt’ora è nelle città delle coste e cerca di
catturare gli uomini.”
87
‘caduta’, dell’errore, dell’esilio, ma anche la possibilità del ritorno e la tensione alla
riunione. L’esilio della Shekhinah, come divisione del principio maschile da quello
femminile in Dio, è comprensibile solo alla luce della ‘rottura dei vasi’ all’inizio del
tempo stesso. Scholem scrive:
Nella Cabala questa idea [dell’esilio], significa: qualcosa che appartiene a Dio stesso è esiliato da
Dio stesso. […] L’esilio della Shekhinah, o, in altre parole, la separazione del principio maschile e
femminile presenti in Dio, viene concepito in gran parte come azione distruttiva del peccato umano
e un suo senso magico. Il peccato di Adamo si ripete in ogni altro peccato. Invece di scrutare, nella
sua contemplazione, la totalità delle sefiroth nella loro unità immensa , quando gli fu detto di
scegliere Adamo preferì la soluzione più semplice, di contemplare l’ultima sefirah soltanto, in cui
tuttavia pareva rappresentarsi tutto il resto, e di vedere la divinità in essa, staccata dalle altre
sefiroth. Invece di confermare e rafforzare con la propria opera personale, l’unità dell’opera divina
in tutti i mondi, che erano ancora governati dalla vita misteriosa della divinità, Adamo lacerò la loro
unità. Da allora il sopra è scisso internamente e profondamente dal sotto, il maschile dal femminile.
Questa separazione è descritta con molti simboli. E’ la separazione dell’albero della vita da quello
della conoscenza, ma anche della vita dalla morte, è lo strappare il frutto dall’albero dove dovrebbe
restare appeso, è anche lo spremere i succhi e le potenze della giustizia dal sacro frutto della
Shekhinah, che vengono interpretati con profondità in questo contesto. Ma è anche la menomazione
della luna che diventa ricettore senza luce della luce, che qui ricompare in altri simboli cosmici. E
come per il sentimento religioso dei vecchi cabalisti l’esilio della Shekinah è un simbolo della
nostra colpa, così il senso dell’azione religiosa è necessariamente quello di sopprimere tale esilio, o
almeno di creare le condizioni per il suo superamento. La riunificazione di Dio e della sua
Shekhinah è il senso della redenzione. In essa -vista nuovamente in una prospettiva interamente
mitica- il maschile e il femminile sono ricondotti alla loro unità originaria, e nell’unificazione
88
ininterrotta dei due elementi le forze generatrici percorrono di nuovo liberamente tutti i mondi.
Sempre secondo tale mito cosmogonico, nella decima Sefirah si raccolgono tutte le
Sefiroth precedenti, ma, in un certo senso ‘abbassate di tono’, poiché tramite la
mediazione della capacità ricettiva della Shekhinah diventano esse attive nel mondo
inferiore prettamente materiale. Da qui la scelta separatista di Adamo, che diventa
‘demiurgo cattivo’ in seguito al cattivo uso delle potenze generatrici e delle potenze
ricettrici affidategli da Dio. Il male così come lo conosciamo è nostra libera scelta.
Scholem infatti parla esplicitamente dell’ ‘aspetto oscuro’, del lato-Lilith della
Shekinah:
Come entità femminile, ma anche come psiche, la Shekhinah rivela, in parte, anche tratti orrendi.
Poiché in essa si sono raccolte tutte le sefiroth antecedenti, che diventano attive verso il mondo
inferiore solo attraverso la sua mediazione, operano, nella Shekhinah (che di per se stessa è
puramente ricettiva e ‘non ha nulla che abbia prodotto essa stessa’), con alterna prevalenza, le forze
della grazia e quelle della giustizia. […] Come dice lo Zohar: ‘In certi momenti la Shekhinah
assaggia l’altro lato, amaro, e allora il suo volto è oscuro’. Non a caso in questo contesto viene
nuovamente fuori un antichissimo simbolismo lunare. Vista sotto questo aspetto, la Shekhinah
appare allora come ‘albero della morte’, demonicamente separato dall’albero della vita.89
88
89
Scholem, op. cit., p. 137-38.
Ibidem, p. 136.
Con ciò ritorniamo immancabilmente al mitologema di Lilith-Eva, all’ambivalenza
intrinseca dell’Urmutter. Un’ ultima menzione di Lilith nello Zohar la vede come
partner di Samaele, il nostro Lucifero, l’angelo caduto che in origine era il Principe
delle schiere angeliche. Samaele-Lilith sarebbero dunque il contraltare alla coppia
Dio-Shekhinah; questa lettura del mito di Lilith, ovviamente con aggiunte
e interpolazioni personali, viene ripresa in campo letterario proprio da Paul Heyse.
IV. Lilith nello specchio della letteratura
IV.1. Breve introduzione
Se consideriamo la letteratura internazionale, non possiamo fare a meno di constatare
che una forte ripresa della figura mitologica di Lilith si verifica proprio a partire del
diciannovesimo secolo. In questo periodo infatti, il ruolo della donna nella società
va incontro a un deciso mutamento. In Inghilterra, dove la severa ideologia puritana
aveva portato allo stremo le capacità di adattamento e sopportazione della donna,
troviamo già alla fine del settecento personalità del calibro di Mary Wollstonecraft
Godwin, che col suo libro del 1791, A Vindication of the Rights of Women, si
configura come la pioniera del movimento femminile.
Anche la rivoluzione industriale apporta il suo contributo, principalmente offrendo la
possibilità di lavorare alle donne, cosa che fa scattare in loro la voglia di organizzarsi
politicamente e anche la coscienza di una (fino ad allora inconcepibile) indipendenza
economica dal marito. Le donne del proletariato lottano per migliori condizioni di
lavoro e per una rappresentanza sindacale pari a quella dei colleghi maschi; le donne
della borghesia reclamano il diritto all’istruzione e il diritto di voto. Relativamente a
quest’ultimo, interessante è il manifesto del movimento delle suffragette inglesi che,
oltre a volere un peso politico, predicavano l’amore libero e la riscoperta di una
sessualità femminile attiva e soddisfacente. Esse furono comunque un caso
particolare ed estremo poiché, come afferma anche Swantje Christow, in Germania
tali femministe radicali furono una minoranza, mentre il resto di movimenti seguiva
indirizzi più liberali e moderati.90 Ciò non toglie che il Frauenbewegung tedesco
ottenne i suoi risultati, tra i quali, proprio nel 1908, anno di pubblicazione dell’epos
kurziano, spicca l’apertura a Berlino della primo politecnico femminile.
Tutto questo sommovimento psichico e sociale si ripercosse immediatamente in
ambito letterario, manifestandosi appunto col ritorno della mitica Lilith nei sogni e
incubi degli autori dell’epoca, soprattutto inglesi. Era il segnale artistico
dell’emergere del terrore patriarcale di fronte a questo nuovo tipo di donna che
cominciava a mettere in discussione il comodo ‘status quo’ in vigore fino ad allora.
Questa reazione da parte del mondo maschile viene così descritta dalla Christow:
Die patriarcale Gesellschaft hingegen, die seither nur an stille, unterwürfige und dem Manne
gegenüber folgsame Frauen gewöhnt war, wurde zu jener Zeit in ihren Grundfesten erschüttert. Den
Schock, den dies zum Teil in England auflöste, finden wir noch heute in zahlreichen Zeugnissen der
Literatur um die Jahrhundertwende widergespiegelt. Kein Wunder, dass der Mythos des weiblichen
Dämons Lilith, ähnlich wie auch andere Erscheinungsformen der Femme fatale, genau in dieser
Zeit stark rezipiert wurde, und zwar hauptsächlich von männlichen Autoren. Die ‚Lilith-Welle’
offenbart die Angst der Männer vor diesem neuen Typus Frau, der ihnen doch abnormal scheint.
90
Swantje Christow, Der Lilith-Mythos in der Literatur: Der Wandel des Frauenbildes im literarischen Schaffen des
19. und 20. Jahrhunderts, Shaker, Aachen, 1998, p. 32 e seg.
Darin verankert ist die Furcht vor einem bevorstehenden Machtverlust des Patriarchats, die Angst
vor dem unbekannten Wesen und dessen unheimlichen Charakter.91
IV.2. La ‘femme fatale’
Probabilmente una delle prime menzioni di Lilith all’interno di un’opera letteraria di
ampia portata è quella del Faust I di Goethe. Il contesto è quello della notte di
Valpurga, allorché Faust e Mefistofele si trovano sul monte Brocken, a un raduno di
streghe. Costoro, insieme a schiere di demoni scatenati, confondono Faust che è sul
punto di cedere alle tentazioni demoniache, che all’inizio riusciva ancora a
contrastare. Ecco che però una figura richiama la sua attenzione, per cui domanda:
“Wer ist denn das?“
Mephistopheles: „Betrachte sie genau! Lilith ist das.“
Faust: „Wer?“
Mephistopheles: „Adams erste Frau. Nimm dich in acht vor ihren schönem Haaren, vor diesem
Schmuck, mit dem sie einzig prangt. Wenn sie damit den jungen Mann erlangt, so lässt sie ihn so
bald nicht wieder fahren“92
Anche qui Lilith gioca il ruolo della ‘vamp’, alla quale Faust deve stare attento,
perché se cade nelle sue grinfie è perduto. Probabilmente Goethe si rifà alla
tradizione talmudica , in cui Lilith appare in veste di demone notturno lusinghiero e
fatale. Del resto, in questo passaggio, lo stato di coscienza alterato e annebbiato di
Faust ha molto a che vedere col torpore del dormiente. Tant’è vero che il protagonista
cede ai suoi impulsi animali, dimenticandosi il proposito di resistere alla tentazioni di
Mefistofele. Proprio all’apice del suo degrado, vede improvvisamente (esattamente
come poco innanzi aveva improvvisamente notato Lilith) un’immagine paradisiaca
nella quale riconosce la sua amata Gretchen, con una striscia di sangue al collo. La
Christow commenta:
Gretchen, die Verkörperung des guten, keuschen, braven Mädchens, steht als Spiegelbild zu Lilith,
der blendenden Verführung. Goethe lebte noch in einer Zeit, in der die verführerische Frau die
Sünde in Person darstellte, so wie sie im 19. Jahrhundert bekämpft wurde.93
91
Ibidem, p. 32, “Invece, la società patriarcale, che fino ad allora era stata abituata solo alla donna silenziosa,
ubbidiente e docile all’uomo, in quel periodo venne scossa alle sue stesse fondamenta. Lo shock, che in parte si scatenò
in Inghilterra, lo ritroviamo ancora oggi riflesso in numerose testimonianze letterarie della svolta di secolo. Nessuna
sorpresa che il mito del demone femminile Lilith, così come altre manifestazioni della femme fatale, fu recepito assai
fortemente in quest’epoca, e principalmente da autori maschi. L’ ‘ondata-Lilith’, esprime l’ansia degli uomini di fronte
a questa nuova tipologia di donna, che a loro appare come anormale. Qui ancorato è il terrore di un imminente perdita di
potere del patriarcato, l’angoscia davanti a un essere sconosciuto dal carattere perturbante.”
92
J.W. von Goethe, Faust –Erster Teil. In: Faust. Urfaust. Introduzione di Italo Alighiero Chiusano. Sommario,
traduzione e note di Andrea Casalegno. Garzanti, Milano,1994, p. 354 e seg. “Faust: ‘Quella chi è?’ Mefistofele:
‘osservala per bene! E’ Lilith’ Faust: ‘Chi?’ Mefistofele: ‘Prima moglie di Adamo. Guardati dalle sue belle chiome\
solo ornamento di cui va superba.\ Se con quelle conquista un giovanotto\ non lo lascia scappare tanto presto.”
93
Ibidem, p. 47, “Gretchen, l’incarnazione della brava, buona, casta ragazza, sta come immagine speculare di Lilith,
l’accecante seduzione. Goethe viveva ancora in un tempo in cui la donna seducente rappresentava il peccato in persona,
così come nel diciannovesimo secolo veniva combattuto.”
Nel periodo romantico, poi, inizia a delinearsi l’estetica del sublime, che può
assumere anche tratti terrificanti, se non addirittura orrendi, e che aprirà la strada al
gusto del patologico, della decomposizione e del male tipici del decadentismo. Viene
scoperto il ‘lato orribile’ della bellezza, o la bellezza dell’Orrore, dell’eccesso,
dell’oscuro, quella che Praz definisce ‘la bellezza medusea’:
Pei romantici la bellezza riceve risalto proprio da quelle cose che sembrano contraddirla: dalle cose
orride; è bellezza tanto più gustata quanto più è triste e dolente. ‘Welch eine Wonne!’ ‚Welch ein
Leiden!’. Versi come quelli ora riportati sembrano segnare l’apogeo di quella estetica dell’orrido e
del terribile che si era andata svolgendo sullo scorcio del secolo decimottavo.94
Frattanto, si fa sempre più avanti la donna come individuo indipendente, non più
catalogabile e inquadrabile nelle immagini preconfezionate della ‘master fiction’
patriarcale. Si cerca allora di sondarla, e ciò porta alla nascita di una serie incredibile
delle più disparate e bizzarre figure femminili. Ogni autore infatti, si connette a quel
livello dell’archetipo primordiale che gli è più accessibile e congeniale e attinge dalla
tradizione quell’immagine che più si adatta alla sua concezione personale. Abbiamo
quindi la Sfinge, la Medusa, Salomè, Elena e Cleopatra, tutti emblemi della donnacarnefice, del lato distruttivo della Grande Dea. Donne che riescono a rendere l’uomo
schiavo, dipendente, risvegliando in lui forse un masochistico istinto di
subordinazione, se non addirittura il piacere stesso di Thanatos, dell’autodistruzione.
Istinti atavici razionalmente negati ma che sono pronti a riapparire come spettri
incontrollabili e minacciosi. Ancora Praz, relativamente alla Cecily di Sue:
Le donne del tipo di Cecily esercitano un’azione immediata, un’onnipotenza magica sugli uomini di
una sensualità brutale come Jacques Ferrand. Al primo sguardo essi identificano tali donne e le
desiderano; una forza fatale li attira presso di esse e presto delle affinità misteriose, indubbiamente
delle simpatie magnetiche li incatenano inesorabilmente ai piedi del loro mostruoso ideale; perché
loro sole possono placare i fuochi impuri che esse stesse accendono.95
La Sfinge in particolare è un ottimo esempio della ricezione della ‘nuova donna
emancipata’ come ‘enigma’ e, sostanzialmente, enigma pericoloso, perché se non lo
risolvi ti uccide. In pittura, famosissimo è il quadro di Moreau, Edipo e la Sfinge
(1964), dove quest’ultima, oltre al distintivo corpo di leonessa e testa di donna,
possiede anche un paio di grosse ali che ricordano quelle della Lilith mesopotamica
in terracotta. La pittura simbolista è, d’altra parte, piena d’immagini di donne fatali.
Osserva la Gutjahr:
Ikonographisch wird der Frauenkörper zum erotischen Anziehungsfeld und zugleich zum
Waffenarsenal, das zur Vernichtung des Mannes bereitsteht. Augen, Hüften, Mund, Schenkel,
Brüste, Haare und Schoss, sie sollen locken, umklammern und wollen verletzen und vernichten.96
94
Mario Praz, La carne, la morte e il diavolo nella letteratura romantica, Sansoni, Firenze, 1966, p. 25.
Ibidem, p. 180-181.
96
Ortrud Gutjahr, Lulu als Prinzip. Verführte und Verführerin in der Literatur um 1900. p. 52. In: Lulu, Lilith, Mona
Lisa….Frauenbilder der Jahrhundertwende. Pfaffenweiler, Stuttgart, 1989, „Iconograficamente, il corpo della donna
diviene campo d’attrazione erotica e, allo stesso tempo, arsenale bellico pronto all’annientamento dell’uomo. Occhi,
fianchi, cosce, bocca, seni, capelli e grembo; essi devono allettare e agganciare, vogliono ferire e annientare.”
95
La Christow chiarisce tale ipertrofia iconografica col fatto che proprio nella seconda
metà del diciannovesimo secolo un numero non indifferente di donne pervenne a una
nuova percezione del proprio corpo e a una riscoperta del proprio fascino, imparando
a utilizzarlo a proprio vantaggio.
In letteratura, ritroviamo la Sfinge nei Fleurs du Mal di Baudelaire, nell’introduzione
al Buch der Lieder di Heine, nella scena di Kokoschka Sphinx und Strohmann, nel
racconto di Wilde La Sfinge senza indovinello. Insieme alla Gioconda leonardesca, è
la personificazione del mistero femminile che, spogliato dalle tinte oscure delle
fantasie maschili di dominio e terrore, si svela come:
An erster Stelle NATUR im unfassenden Sinn, aber auch STÄRKE, die nicht aus der Logik kommt,
Irrationalität, Widersprüchlichkeit bis hin zu einer neuen Dialektik, SPIRITUALITÄT jenseits des
Dualismus von Gut und Böse, jenseits christlichen Hierarchiedenkens, jenseits von Omnipotenzund Demutsgesten, jenseits aller Vergewaltigung durch philosophische Systeme und Modelle.97
Dopo questa breve carrellata introduttiva, torniamo alle apparizioni di Lilith, in
quanto prototipo della stessa ‘femme fatale’. Rimanendo nell’ambito dell’estetismo
preraffaelita troviamo la nostra eroina nel sonetto Body’s Beauty (1881) di Dante
Gabriele Rossetti. Lo cito secondo la versione inglese riportata dalla Christow nella
sua opera già citata:
Of Adam’s first wife, Lilith, is told
(The witch he loved before the gift of Eve,)
That, ere the snake’s her sweet tongue could deceive,
And her enchanted hair was the first gold.
And still she sits, young while the earth is old.
And, subtly of herself contemplative,
Draws men to watch the bright web she can weave,
Till hearth and body and life in its hold.
The rose and poppy are the flowers; for where
Is he not found, O Lilith, whom shed scent
And soft-shed kisses and soft sleep snares?
Lo! As that youth’s eyes burned at thine, so went
Thy spell through him, and left his straight neck bent
And round his heart one strangling golden hair.98
Ho riportato il sonetto per intero, data la sua brevità ed esemplarità. Rossetti si rifà
chiaramente alla tradizione giudaico-cabalistica, per cui Eva è un ‘dono’, mentre
Lilith la solita seduttrice assassina. Tuttavia la qualità della rappresentazione è assai
97
Elke Liebs, Möglichkeitsfrauen und Wirklichkeitsmänner. Nachdenken über die Ursachen der vegetative und ideellen
Dystonie im literarischen Umfeld des Melusinen-Motivs. In: vedi sopra, p. 108, “Al primo posto NATURA nel senso
più comprensivo possibile, ma anche FORZA, che non viene dalla logica, irrazionalità, contraddittorietà fino ad una
nuova dialettica, SPIRITUALITA’ aldilà del dualismo di BENE e MALE, aldilà del pensiero gerarchico cristiano,
aldilà dei gesti di onnipotenza o di umiliazione, aldilà di tutte le violenze attraverso modelli e sistemi filosofici.
98
Dante Gabriele Rossetti, Body’s Beauty. In: Gedichte und Balladen , Heidelberg 1960, cit. sec. S. Christow, op. cit.,
p. 49.
diversa. Grande importanza viene data ai capelli di lei -una parte del corpo a valenza
fortemente magica (basti pensare alla storia di Sansone)- qui di un colore dorato, che
emerge come elemento nuovo rispetto alla maggioranza delle precedenti
raffigurazioni. Si potrebbe osservare che qui Lilith viene evocata in una tonalità
pressoché angelica fino agli ultimi tre versi del testo. Il campo semantico a lei riferito
è quello dell’eterna gioventù, del tessere ‘lucenti trame’, dei fiori, dell’incanto. Molti
di questi tratti torneranno anche ne “I figli di Lilith’, in questo caso però, con
carattere esclusivamente positivo. Forse un particolare della biografia di Rossetti ci
può fornire qualche indizio per la sua assimilazione e interpretazione del mito di
Lilith. Egli infatti sposò la sua amata solo dopo dieci anni di amicizia. La paura di
consegnarsi totalmente ad una donna era tale stata tale, da averlo fatto attendere tutto
quel tempo prima di decidersi.
Due anni dopo, nel 1883, Robert Browning pubblica il suo ciclo di poesie Jocoseria,
tra le quali è presente il testo Adam, Lilith and Eve, che porta la nuova componente
del patto d’amicizia tra le due donne di Adamo. La fonte mitologica è pur sempre lo
Zohar, con la storia della ribellione di Lilith ad Adamo dopo la prima notte d’amore.
Non riproduco il testo nella sua interezza, poiché la trama è essenzialmente questa: le
due donne si scusano con Adamo, ognuna per la propria disubbidienza (quella di Eva
è naturalmente l’essere andata a zonzo da sola e aver ceduto alle lusinghe del
serpente). Nella strofa finale tuttavia, gli errori passati si rivelano tutto uno scherzo:
per cui niente è perduto, il Paradiso è ancora disponibile, soprattutto ora che si è
ricreata l’armonia in Adamo con le sue controparti femminili. La poesia dunque
termina in tono leggero, arioso, sollevato:
It ceased to lighten and thunder.
Up started both in wonder,
Looked round and saw that the sky was clear,
Then laughed “Confess you believed us, Dear!”
“I saw through the joke!” the man replied
They re-seated themselves beside.99
Passando in area tedesca, nel 1867 esce, dapprima anonimo, poi attribuito a Friedrich
Christoph Johannes Wedde l’epos in versi Lilith. Die Lösung des Welträtsel –
ausgeplaudert durch den Jüngling von Sais. L’autore si rifà formalmente ai poemi
epici di Heine, mentre la figura del discepolo di Sais è di derivazione schillerianonovalisiana. La prospettiva è appunto quella del discepolo che, nella sua ‘notte
d’iniziazione’(Entwicklungsnacht) incontra una maestosa figura femminile,
chiaramente una “Frau-Venus-Figuration”, come la definisce la Roebling. Il giovane
segue la donna, ora tramutata in serpente alato, in un viaggio che ripercorre tutti i
tempi e gli spazi della poesia occidentale, finché non trova la dea, sotto forma della
terribile Lilith, in un deserto dello Yemen. Questa Lilith si svela come
99
Robert Browing, Poetical Works, Vol 15., Londra, 1989, p. 197 e seg.
ein grausam Leviathan der Begierde, ein weiblich-schopenhauerscher Weltwille, möchte man
sagen, dem Gott selbst und seine Schöpfung mitsamt der Liebes-Mission Christi in die Arme
arbeitet.100
Il masochistico Io lirico si sottomette a tale diabolica potenza, mentre Lilith, esulta
nel suo canto di trionfo:
Wie glotzt da der Gott, wie jammert der Christ!
Wie will triumphierend ich gähnen,
Und scharf zerknirschen, wer trotzig ist,
Mit den diamanten Zähnen.
[...]
Und es schwindet, was sein wird, ist und war,
Und den Schleier der Zeitheit heb ich
Und der Raum wird körperlos, gaslos, klar,
101
Denn die Neinheit bin ich, bin ewig.
Ritroviamo tale sottile fascino dell’‚assoluta negazione’ anche nel grande poema
epico di Victor Hugo La légende des Siècles, dove Lilith appare come Isis-Lilith
nell’ultima sezione, La fin de Satan, aggiunta nel 1886. L’opera nel suo complesso
tratta l’evoluzione dell’umanità sulla verso la felicità e la conoscenza intese come
luce e idealità. Nella sezione considerata, composta soprattutto da alessandrini rimati
a coppie, si tratta del caos e dell’anarchia entrati nel mondo in seguito alla rivolta di
Satana. Lilith incorpora “le monstre femme”, come dice Hugo, la „unverwüstliche
verschleierte Urmutter alles Bösen, ist eine Tochter des Teufels, selbst satanisch,
chaotisch, dunkel, und begann ihre Herrschaft, bevor die lichtvolle Eva kommt.“102
Femmes, l’homme est le roi; tremblez ! Et songez bien
A la sombre Lilith, femme née avant Eve
Adam la renvoya dans l’ombre et dans le rêve ;
Lilith repudiée est un spectre de nuit.
Lilith etait l’orgueil, la querelle et le bruit ;
Satan, voulant saisir l’homme, l’avant créée.
Elle s’appelle Isis dans l’Inde où Satan luit,
Et l’encens de l’Egypte horrible la poursuit.103
Legato a Lilith ricorre questo tema dell’oscurità, della lotta alla luce; essa è
veramente la degna compagna di Satana stesso, così come ci è presentata dalla
tradizione cabalistica. Ma ciò che a me interessa particolarmente è questo riferimento
in negativo a Iside, all’Egitto e all’India. Il culto di Iside è stato sicuramente uno tra i
100
Mario Praz, op. cit., p. 173, “un crudele Leviatano delle brame, si potrebbe dire una Volontà di stampo
schopenhaueriano, alla quale soggiacciono Dio stesso e la sua creazione insieme alla missione salvifica di Cristo.”
101
F. C. J. Wedde, Lilith. Die Lösung des Welträtsels –ausgeplaudert durch den Jüngling von Sais. Hamburg, 1867, p.
67, „Come sbigottisce il Signore, come piange il Cristo! \ Come mi spalanco io trionfante \ e stritolo chi si oppone \
coi miei denti di diamante. […] E svanisce ciò che fu, è e sarà,\ e sollevo il velo della temporalità \ e lo spazio diventa
vuoto, chiaro, inconsistente \ perché io sono la negazione, io sono eternamente.”
102
I. Roebling, op. cit., p. 172, “indistruttibile, velata madre primigenia del Male, è una figlia del diavolo, essa stessa
satanica, caotica, oscura, e iniziò il suo dominio prima che venisse la luminosa Eva.”
103
Victor Hugo, La Fin de Satan. In : Oeuvres complètes, vol. 11, Club francese del libro, 1969, p. 1666.
maggiori e più famosi culti della Grande Dea, qui svalutato a livello di puro
paganesimo orgiastico di un popolo spiritualmente sottosviluppato. D’altro canto,
l’India è corifea di una religione che da sempre prevede divinità maschili
accompagnate dalla loro controparte femminile: Shiva e Parvati (o Shakti), Vishnu e
Lakshmi, Brahma e Sarasvati. Di più, al giorno d’oggi la Trimurti indiana tende a
sostituire la figura di Brahma con quella della Devi, ossia della Dea stessa. Insomma,
Hugo, in questo caso adotta la tipica prospettiva patriarcale demonizzando con un sol
colpo d’ala tutte quelle culture in cui l’elemento femminile rivestiva e riveste un
ruolo di gran prominenza.
Je suis Lilith, l’âme noir du monde
Tremble ! L’être inconnu, funeste, illimité,
Que l’homme en frémissant nomme Fatalité,
C’est moi. Tremble ! Ananké, c’est moi ! Le voile,
C’est moi. Je suis la brame et tu n’est que l’étoile ;
Tu n’est qu’un des flambeaux possible ; moi je suis
La noirceur éternelle et farouche des nuits.104
A mio avviso, sono molto notevoli, sia nel caso di Wedde che in quello di Hugo, i
riferimenti a Lilith come matrice dello spazio e del tempo; Hugo arriva addirittura ad
identificarla con la stessa fatalità. Probabilmente in maniera inconsapevole, viene
evocato ancora un altro volto della Grande Madre, e cioè proprio quello che
Neumann chiama ‘la dea del Fato’. Egli osserva che il legame dell’Archetipo del
Femminile con lo spazio è evidente già nel suo carattere essenziale di vaso, uovo
cosmico, ossia nella sua funzione di contenente. Tuttavia non dobbiamo scordarci del
suo legame col tempo:
La Grande Madre è la Signora del Tempo, in quanto signora della crescita. […] Anche il mistero
primordiale della tessitura e della filatura è stato esperito nelle proiezione sulla Grande Madre che
tesse la vita e fila la matassa del fato […] In generale, la Grande Madre come tessitrice del fato è
certamente da un lato un’entità negativa, ma dall’altro presenta sullo sfondo un aspetto naturale
creativo e vitale.105
IV.3. Nuove prospettive
Evidentemente, sia Hugo che Wedde hanno colto il lato negativo del Femminile, in
quanto trama di istinti, emozioni, energie e pulsioni che seducono il principio
maschile apollineo di coscienza unitaria minacciandone la stessa integrità. Se, da un
lato, è necessario un momento d’individuazione e focalizzazione, ad esso però
dovrebbe seguire un altro momento di ri-espansione della stessa coscienza, volto ad
abbracciare e trasmutare le sue stesse origini materiali. Ma tale processo presuppone
104
105
Ibidem, p. 1750.
E. Neumann, op. cit., p. 227 e seg.
nuovamente che si sia conservato anche nel momento apollineo-contrattivo della
coscienza quella tendenza femminile al movimento e alla trasformazione che spesso,
purtroppo, viene soppressa dalla rigidità della mente maschile concettualizzata:
Ovunque domini l’ossessione, ostile alla vita, del principio spirituale maschile, il Femminile diventa
negativo e malefico proprio nel suo aspetto creatore, sostenitore e alimento di vita. Ora, ciò che è
vitale -e la Grande Madre è l’Archetipo di tale aspetto vitale- incanta e seduce, attrae e possiede; e
le pulsioni e gli istinti, in quanto elementi naturali, portatori di piacere, sopraffanno l’uomo e il
principio luminoso maschile della coscienza con la trama che struttura la vita, il velo di Maya, l’
‘incantevole’ illusione della vita di questo mondo. Perciò la Grande Dea viene discriminata e
demonizzata dal principio della coscienza maschile, che esige la permanenza e non il mutamento,
l’eternità e non la trasformazione, la norma e non la spontaneità creativa.
Il principio maschile trascura in tal modo il segreto aspetto spirituale e amoroso del principio
femminile, che, nella trasformazione spirituale, guida ciò che è terreno e umano verso un senso
superiore, illuminandolo.106
In quest’ultimo capoverso, in forma concentrata e in vesti psicologico-spirituali, si
dispiega il significato che la Kurz attribuisce a Lilith nel suo poema; di questo però
ci sarà modo di parlare più diffusamente. Essenziale è notare l’esistenza di un
principio spirituale nel mondo (nella cosiddetta ‘materia’) che guida la materia stessa
verso la propria autocoscienza. Questa è una tematica che Bernard Shaw amplia,
estremizza e ripropone in chiave teleologica nel suo ciclo drammatico Back to
Methuselah- A metabiological Pentateuch, uscito nel 1921.
Ancora una volta si tratta di un epos sulla storia dell’umanità, sotto una prospettiva
metabiologica, in una singolare mistura di critica e filosofia vitalistica nella linea di
Schopenhauer, Lamarck, Nietzsche e Bergson. L’azione si svolge nel giardino
dell’Eden. Dapprima appaiono Adamo ed Eva che fanno la prima esperienza della
morte. Essi ne restano traumatizzati e ciò apre la strada al serpente per avvicinare Eva
e confidarle che il modo per scampare a tale esperienza è la nascita, il mettere al
mondo figli. Quindi le offre la famosa mela che le renderà possibile la visione
interiore di molte cose. Infine le narra di Lilith, il primo umano creato da Dio, che,
quando riconobbe la morte, tentò di rinnovare tutta la vita. Ma poiché tale compito
era eccessivo per un singolo essere, la sua pelle si squarciò e ne vennero fuori due
esseri: Adamo ed Eva. I due sessi sono così diversi tra loro proprio perché possano
meglio dividersi il lavoro e assicurare così la sopravvivenza della razza umana.
Dunque qui abbiamo Lilith come ‘Urmutter’, madre originaria dell’intera specie
umana: lei non è sottoposta al maschio, bensì il principio maschile è nato da lei
stessa. Quindi Shaw si riaggancia a un primitivo matriarcato, dal cui seno, secondo
un processo di scissione e contrapposizione, si sarebbe poi sviluppata l’attuale civiltà
patriarcale. Questa Ur-Lilith viene dunque equiparata a una “life-force” dotata di
“mighty will”, cioè di quella potente volontà che le consente di realizzare
concretamente il proprio concetto di auto-rinnovamento. La sua struttura interna e il
suo meccanismo di funzionamento si esplica attraverso la catena energetica
immaginazione-desiderio-volontà-creazione. Essa rappresenta ciò che in India viene
106
Ibidem, p. 234.
esperito come ‘il mistero della maya”, vale a dire la capacità proiettiva dell’ente, sia
macrocosmico (Dio) che microcosmico (l’uomo). Il serpente racconta anche
l’entusiasmo di Lilith dopo il suo primo atto creativo:
She did not know then that imagination is the beginning of creation. You imagine what you desire;
you will what you imagine; and at last you create what you will107.
Dopo molte deviazioni, e tentativi più o meno riusciti, questa forza vitale dovrebbe
portare all’evoluzione di una razza di ‘superuomini’, nel senso di uomini spirituali
capaci di ergersi aldilà degli impulsi primordiali della materia stessa. Il fine si
configurerebbe perciò come una conciliazione di Spirito e Materia, nella quale la
trinità Dio- Lilith -Uomo viene a ricomporsi in un’inscindibile, sacra unità.
Interessante è quindi l’identificazione di questa energia evolutiva attiva con lo stesso
elemento femminile, non più confinato al mero ruolo passivo della materia
plasmabile e ricettiva. Tutto ciò va molto nella direzione di pensiero della Kurz, che,
come abbiamo visto nello scorcio biografico, accentua il carattere di ‘educatrice’
della donna. Ogni donna sarebbe dunque un’incarnazione di questa Lilith cosmica
che guida la materia ancora inconscia e passiva verso una consapevolezza delle
proprie potenzialità di sviluppo e espressione. La Schaup, tuttavia, trova che in
quest’opera di Shaw, “die Weisheit der Materie als Manifestation göttlichen Wirkens
ist dieser Lilith unbekannt.“ Essa afferma che la Lilith di Shaw „ist eine Kopfgeburt
in ihrer Unsinnlichkeit und geschwätzigen Intellektualität“108. Probabilmente ciò è da
attribuirsi al fatto che, quando un autore maschile tratta tematiche del femminile, la
qualità che emana dal suo lavoro è chiaramente diversa da quella di una voce
femminile. E’ per lui uno sforzo d’intelletto il calarsi in una realtà biologicamente
sconosciuta e aliena alla sua ordinaria esperienza quotidiana. Perciò è normale che
alcune delle sue componenti ‘genetiche’ e delle sue categorie maschili s’intromettano
in qualche modo nell’ opera. Del resto, come fa notare Bennett, per la stessa donna è
difficile svincolarsi
dalle trappole del linguaggio e del pensiero tradizionalepatriarcale, sia a livello letterario, sia a maggior ragione nella sua esperienza nel
mondo.
Tornando indietro nel tempo e in ambito francese, troviamo una riabilitazione della
figura di Lilith nel racconto di Anatole France La fille de Lilith, apparso nel 1889.
Studiando e indagando questo personaggio, France si prefiggeva di offrire all’uomo
la possibilità “que la science et la foi fussent enfin réconciliées”109.
Il racconto si apre col colloquio tra Ary e il parroco Martial Safrac. Quest’ultimo,
dopo lunghi studi intensivi della Bibbia e del Talmud, è convinto di aver trovato la
soluzione all’enigma vetero-testamentario della doppia creazione della donna.
Secondo i risultati delle sue assidue ricerche, Adamo avrebbe avuto due donne, Lilith
ed Eva, di cui la prima sarebbe appartenuta a un gruppo di preadamiti, più belli e più
intelligenti degli uomini, che sarebbero vissuti già da molto tempo prima della
107
B. Shaw, Back to Methuselah. A metabiological Pentateuco, Londra, 1931, p. 9.
S. Schaup, op. cit., p. 69, „La saggezza della materia come manifestazione dell’operare divino è sconosciuta a questa
Lilith.” “un prodotto cerebrale nella sua a-sensualità e intellettualità logorroica”.
109
Anatole France, La fille de Lilith. In : Oeuvres Complètes. Volume IV. Parigi, 1925, p.191.
108
creazione dei comuni terrestri. Questa razza non è ulteriormente menzionata nella
Bibbia, poiché dopo l’episodio-Lilith, non avrebbe più interagito con l’umanità se
non forse da dietro le quinte della stessa storia. Una volta lasciato Adamo però, Lilith
avrebbe avuto una misteriosa relazione dalle quali sarebbero nate delle figlie, che,
come lei vivono aldilà della morte e del dolore, del bene e del male, essendo
totalmente esenti dal peccato originario di Adamo ed Eva.
Il parroco Safrac però non ottiene dalla Chiesa il riconoscimento ufficiale delle sue
teorie. Ma proprio allorché le autorità predisposte si rifiutano di comprendere e
‘rimuovono’ una tale scoperta, essa passa dal piano della fiction-storica alla ‘realtà’
dell’azione romanzesca. Ary infatti rimane a tal punto stregato da una giovane donna
che la rompe tutti i legami familiari e addirittura la porta via ad un amico. Ancora
affascinato Ary racconta:
Elle ne me parut pas naturelle. [...] dans l’expression de ses yeux d’or qui jetaient par moments des
gerbes d’étincelles, dans la courbe de sa bouche énigmatique, dans le tissu de sa chir à la fois brune
et lumineuse, dans le jeu de lignes heurtées et pourtant harmonieuses de son corps, dans la légèreté
aérienne de ses pas. Jusque dans ses bras nus auxquels des ailes invisibles semblaient attachées ;
enfin dans tout son être ardent et fluide, je sentais je ne sais quoi d’inférieur et de supèrieur à la
femme telle que Dieu l’a faite, en sa terre d’exil. Non, certes, ce n’était pas une femme naturelle,
car rien d’humain ne transparaissait en elle ; son visage n’exprimait aucun sentiment bon ou
mauvais, hors celui d’une volupté à la fois sensuelle et céleste. [...] je ressentis le degoût infini de
tout ce qui n’était pas cette femme.110
Dunque il tratto dominante di questa creatura è la misteriosa capacità di conciliare e
trascendere in sé i poli opposti del pensare e ragionare prettamente umano-maschile;
in lei si fondono chiaramente Afrodite Urania e Afrodite Pandemia, la Vergine Maria
e la concubina, insomma i due tipi di amore che la tradizione occidentale ha così ben
imparato a scindere e classificare. Non a caso la donna qui in questione si chiama
Leila, nome significativo se si ripercorre l’etimologia di ‘Lilith’, e quando accetta
Ary come amante, questo quasi impazzisce dalla beatitudine :
Je me sentis devenir l’égal de Dieu, et je crus posséder en mon sein toute la beauté du monde et
toutes les harmonies de la nature, les étoiles et les fleurs, et les forêts qui chantent et les fleuves et
les mers profondes. J’avais mis l’infini dans un baiser......111
Tuttavia per Ary comincia una vita dura. Ha il costante terrore di perderla, soffre di
gelosia e in più gli rimorde la coscienza per aver tradito l’amico. Si scopre allora che
Leila viene dalla Persia, che ‘è molto vecchia’ e che lei, sua madre e le sue sorelle
vivono aldilà di ogni morale perchè sono figlie di Dio. Esse non sanno niente della
morte e del dolore, né dei comuni concetti umani di colpa e peccato. Poi regala ad
Ary un amuleto e torna in Persia. Sull’amuleto viene decifrata la preghiera delle figlie
di Lilith che pregano Dio di dar loro la mortalità affinché possano esperire la vita
esattamente come le figlie di Eva. Sia per il parroco che per Ary è adesso chiaro che
Leila altro non è che una reincarnazione della stessa Lilith. Dunque l’elemento
110
111
Ibidem, p. 63.
Ibidem, p. 65.
significativo in questa variante del mito è proprio il fatto che Lilith non si presenta
come incarnazione del male, bensì come una creatura tormentata che desidera le gioie
e i dolori del destino umano.
VI.6. Paul Heyse e Primo Levi
Avvicinandoci di più al background della Kurz, scopriamo che l’amico di famiglia e
scrittore Paul Heyse, con cui lo stesso Hermann Kurz aveva collaborato per la
monumentale raccolta ed edizione del patrimonio novellistico tedesco112, tratta per
ben due volte nel corso della sua opera il tema di Lilith. Ricordiamo che fu anche
uno tra i più feroci contestatori dell’epos di Isolde, a cui l’autrice nel suo amaro
commento al fallimento del proprio lavoro si riferisce come “sonst verständigem
Munde”.
La prima apparizione di Lilith è nella omonima novella, uscita nel 1898.113 Qui si
parla di una donna che, abbandonata dal marito con la sua bambina, matura un
profondo odio verso gli uomini, tanto che stringe un patto con il ‘Gottseibeiuns’, si
potrebbe dire con le forze oscure dell’universo, per lasciarsi iniziare alla magia nera e
alla stregoneria. Immediatamente gli uomini la temono e la rifuggono, mentre la
figlia, Lilith, cresce in bellezza e incanto. Molti uomini s’innamorano perdutamente
di lei e, poiché essa non li ricambia, soffrono le pene dell’inferno, cosa che fa esultare
la vecchia madre della fanciulla.
Come si nota, in questa novella, di Lilith abbiamo solo il nome senza alcuna ripresa
diretta del mito. Tuttavia la protagonista è sempre circondata dal diabolico, al quale
comunque fa resistenza senza problemi. Quando alla fine, tenta la via oscura come
ultimo scampo e per finalità sostanzialmente buone, viene annientata da queste
potenze sinistre.
Nel 1903 Heyse riprende il motivo di Lilith, stavolta con preciso studio e riferimento
alle fonti, in special modo a quelle cabalistiche. Nella raccolta Mythen und Mysterien
è contenuto infatto il mistero “Lilith”.
L’angelo caduto Samaele risveglia l’addormentata Lilith per utilizzarla come alleata
nel destabilizzare il piano divino. Tuttavia, già dal primo dialogo tra i due emerge la
loro differente opinione sulla creazione e il principio d’indipendenza di Lilith nei
confronti sia di Dio, che dello stesso Lucifero. Lilith a questo punto è neutra, né luce
né ombra, le piace la bellezza del creato e soprattutto l’uomo. Chiaramente ribatte a
Samaele che
…zu gehorchen fühl ich mich wenig gelaunt
Wie? Weil fremdem Gebot uns zu beugen,
Und wär’s dem allmächtigsten,
Die freie Seel’ uns empörte,
112
Deutscher Novellenschatz, 24 Bde, hrsg. von Paul Heyse und Hermann Kurz, Oldenbourg-Verlag, München,18711876.
113
P. Heyse, Meisternovellen, Köln, 1898,cit. sec., S. Christow, op. cit.,p. 67.,
Duldeten wir Verbannung und Sturz
Aus himmlischer Hoheit,
Und sollt ich hier nun
Dem eigenen Will entsagen,
Deinem zu dienen?
Geh du, wenn dir’s geliebt
114
Doch mich lass thun nach meinem Gelüst.
Nonostante le minacce di Lucifero, Lilith non si lascia intimidire. La Christow
osserva che questo era il tipo di donna che si andava delineando nel corso
dell’ottocento, una donna che rivendicava la propria forza e individualità, minando in
tal modo la tradizionale visione borghese che la voleva oggetto e proprietà del padremarito. Nel corso del poema scopriamo che Lilith, quando ancora dimorava in cielo,
si era innamorata del supremo Cherubino di Dio. Costui l’aveva rifiutata e in lei si era
accesa la rabbia della ribellione e lo spirito di vendetta e opposizione.
Allorché essa appare ad Adamo in tutta la propria bellezza, questo perde la ragione.
Anche Lilith è però attirata da quello che Samaele aveva definito “ein athmend
Schattenbild des Herrn”115, poiché le ricorda i bei momenti trascorsi in cielo. E’
interessante questo interno dissidio dell’eroina tra passato luminoso e presente
demoniaco.
Adamo e Lilith dunque trascorrono una stupenda notte d’amore ma, il mattino dopo,
Adamo è sopraffatto dal moralismo e dai sensi di colpa per aver ceduto alle lusinghe
dei sensi. Perciò caccia via Lilith, tipico comportamento maschile per cui la ‘colpa’
del rapporto sessuale viene immancabilmente scaricata sulla donna che strega e
seduce l’uomo ‘indifeso’ e ‘innocente’.
Adamo chiede perdono a Dio e contemporaneamente gli chiede una nuova
compagna: ecco la creazione di Eva, uscita dal suo stesso corpo. Adamo adora questo
riflesso di se stesso, ma ne teme anche la sessualità , così la notte la tiene lontana da
sé, cosa che addolora assai la nuova creatura. Al contrario di Lilith, Eva rappresenta
infatti la donna docile e sottomessa che per il bene del suo amato rinuncia ai propri
desideri e reprime le proprie pulsioni.
Lilith viene allora ad aprirle gli occhi e a tirarla fuori dal suo atteggiamento di totale
assoggettamento. Occorre furbizia e malizia. Eva deve nascondersi ad Adamo, di
modo che lui la desideri, e farsi poi trovare sotto l’albero proibito. Quindi deve
convincerlo a mangiarne i frutti. L’ideologia di Lilith, cioè della femminilità
vendicativa ed emancipata in confronto a quella ingenua e succuba all’uomo, si
condensa nei seguenti versi:
Glaub mir, nichts wird dir je zu schwer,
wozu es Künste braucht und List.
So sehr ich selbst erfahren bin
114
Paul Heyse, Lilith. Ein Mysterium. In: Mythen und Mysterien. Stuttgart und Berlin, 1904, cit. sec. S. Christow, op.
cit., p. 69 e seg, “…mi sento poco portata all’obbedire \ Come? Giacché la nostra anima libera s’indignò \ di piegarsi
all’ordine estraneo \ fosse anche quello dell’Onnipotente \ sopportammo esilio e caduta \ dall’altezza celeste \ E ora
dovrei rinunciare alla mia volontà \ per servire la tua? \ Vai tu, se così ti piace \ Ma lasciami fare ciò che mi pare.”
115
Ibidem, p. 13, “una ombra respirante del Signore”.
In Trug und Tücken balde bist
Du selber Liliths Meisterin
Und wirst es trefflich lernen,
116
Den Mann, den tölpischen anzukörnen.
Adamo infine mangia la famigerata mela, mentre Lilith, in forma di serpente,
sghignazza avvolta all’albero. Tutto si chiarisce, Adamo scorge la malizia
dell’accaduto e irato caccia Eva via da sé. Ancora una volta ritroviamo il meccanismo
di proiezione e deresponsabilizzazione dell’uomo per le sue stesse scelte, cosicché
Adamo si configura fondamentalmente come personificazione della debolezza di
carattere maschile. Segue la cacciata dal Paradiso terrestre, la vita di sudore e dolore,
e il paternalismo dell’uomo verso la donna . Infatti la rabbia di Adamo contro Eva si
placa sì, ma non si cancella, soltanto impara a non mostrarla. La Christow ne deduce
che
Hier beginnt sich das männliche Rollenklischee herauszukristallieren: ‘Man darf keine Gefühl
zeigen’. Heyse gelingt es, die stereotypen Rollen von Mann und Frau mit den Zwängen,
Empfindungen und Wertmassstäben seiner Zeit darzustellen. [...] Die beiden Frauenfiguren sind ein
Sinnbild für die Doppelmoral, wobei Lilith den triebhaften Aspekt repräsentiert. Sie steht für den
Drang der männlichen Gesellschaft, sich in Bordellen zu vergnügen. Eva dagegen verkörpert die
idealisierte Ehefrau, die in der Geborgenheit der Familie zur Zeugung des Nachwuchses diente.117
Oltre al fenomeno epocale della doppia moralità, si evidenzia anche l’aspetto
psicologico di tale processo: effettivamente siamo alle soglie della moderna
psicanalisi con la conseguente scoperta della silenziosa potenza dell’Es. La Lilith di
Heyse rappresenta proprio la forza di quell’energia libidica, che, rifiutata e rimossa
nell’inconscio, prende strade distorte e ‘cattive’ per potersi comunque manifestare.
Heyse riconosceva il problema del confronto col femminile, ma era egli stesso ancora
troppo ancorato nelle sue radici alto-borghesi per poter proporre delle reali soluzioni
innovative. Egli spalleggiò il movimento di liberazione della donna, ma solo
all’esterno: in casa sua vigeva comunque l’organizzazione e la spartizione dei ruoli
caratteristica del più convenzionale matrimonio borghese.
Per concludere, vorrei parlare di Lilith in Italia. Quello che ho trovato a riguardo di
questa figura, è il racconto Lilìt di Primo Levi, pubblicato nel 1981, quasi un secolo
dopo Heyse e la Kurz. Essenzialmente si tratta di una rivisitazione del mito secondo
la lettura tradizionale, alla quale però viene giustapposta la figura della Shekinà.
La narrazione si svolge all’interno di un lager nazista, setting dominante nell’opera di
Levi, dove l’io narrante intavola una conversazione con il ‘Tischler’, ossia un
116
Ibidem, p. 44, “Credimi , niente ti sarà mai troppo difficile \ di ciò che richiede arte e furbizia. \ Io stessa sono così
esperta \ che nella menzogna e malizia presto sarai \ maestra di Lilith tu stessa \ e a menadito imparerai \ a punzonare
quel balordo dell’uomo.”
117
S. Christow, op. cit., p. 51 e seg., “Qui comincia a cristallizzarsi il cliché del ruolo maschile: ‘Non si possono
mostrare i sentimenti’. Heyse riesce a rappresentare i ruoli stereotipati di uomo e donna con tutte le costrizioni,
sensazioni e metri di giudizio del suo tempo. […] le due figure femminili simboleggiano la doppia moralità della quale
Lilith concretizza l’aspetto pulsionale. Essa sta per il bisogno della società maschile di trovare appagamento nei
bordelli. Eva invece incarna la moglie idelizzata, che viveva nella protezione della famiglia e serviva alla produzione di
eredi.”
falegname ebreo che sa un po’ d’italiano. E’ un giorno di pioggia ed entrambi, sia il
Tischler che il protagonista sono rifugiati sotto un tubo e festeggiano il loro
compleanno –sono entrambi nati lo stesso giorno- gustandosi una mezza mela. Il
protagonista confida che, in quell’anno di prigionia, quella sarebbe stata l’unica volta
che avrebbe potuto mangiare un frutto.
Mi trattengo molto su questa mela perché è proprio allora che appare una donna:
giovane, infagottata in panni neri, forse un’ucraina della Todt. Aveva un viso rosso e largo, lucido
di pioggia, ci guardava e rideva; si grattava con indolenza provocatoria sotto la giubba, poi si
sciolse i capelli e incominciò a rifarsi le trecce.118
Qui il narratore commenta che in quei tempi era raro vedere una donna da vicino, per
cui si trattava di “un’esperienza dolce e feroce allo stesso tempo, da cui si usciva
affranti.” Infatti continua a guardare la donna, che si è accovacciata canterellando
finchè il Tischler dice che si tratta di Lilìt. Il narratore allora chiede se la conosce, e
l’altro risponde sibillinamente che ‘non la conosce , ma la riconosce’, e inizia a
prendere in giro il narratore che , da ebreo occidentale ‘epicureo’, non sa la storia di
Lilìt, la prima moglie di Adamo. Si decide a raccontargliela, partendo proprio dal
famoso enigma biblico sulla doppia creazione della donna, Lilìt e Eva, quest’ultima
“una ‘Männin’, una omessa, una femmina d’uomo”. Di Eva si è scritto, di Lilìt si è
solo raccontato, per questo ci sono molte leggende e pochi le sanno. Il Tischler
comincia:
“La prima storia è che il Signore non solo li fece uguali, ma con l’argilla fece una sola forma, anzi
un Golem, una forma senza forma. Era una figura con due schiene, cioè l’uomo e la donna già
congiunti; poi li separò con un taglio, ma erano smaniosi di ricongiungersi, e subito Adamo volle
che Lilìt si coricasse a terra. Lilìt non volle saperne: perché io di sotto? Non siamo forse uguali, due
metà della stessa pasta? Adamo cercò di costringerla ma erano uguali anche di forze e non riuscì, e
allora chiese aiuto a Dio: era maschio anche lui, e gli avrebbe dato ragione. Infatti gli diede ragione,
ma Lilìt si ribellò: o diritti uguali, o niente; e siccome i due maschi insistevano, bestemmiò il nome
del Signore, diventò una diavolessa, partì in volo come una freccia, e andò a stabilirsi in fondo al
mare. C’è anzi chi pretende di saperne di più, e racconta che Lilìt abita precisamente nel Mar Rosso,
ma tutte le notti si leva in volo, gira per il mondo, fruscia contro i vetri delle case dove ci sono dei
119
bambini appena nati e cerca di soffocarli.”
Dopo di ciò, il Tischler passa anche alla variante o aggiunta del mito che vede Lilìt
come golosa del seme maschile sparso al di fuori del lecito rapporto matrimoniale, e
con esso genera figli-spettri che alla morte dell’uomo vanno a tormentarlo
reclamando la loro eredità. Tuttavia, si affretta a dire il Tischler, la storia d’amore più
strana non riguarda Adamo e Lilìt, bensì lo stesso Dio:
“Ebbene, i cabalisti dicevano che anche per Dio stesso non era bene essere solo, ed allora, fin dagli
inizi, si era preso per compagna la Shekinà, cioè la sua stessa presenza nel creato; così la Shekinà è
diventata la moglie di Dio, e quindi la madre di tutti i popoli. Quando il tempio di Gerusalemme è
118
119
Primo Levi, Lilìt e altri racconti. In: OpereII, Nuova Universale Einaudi, Cuneo, 1997, p. 19.
Ibidem, p. 21.
stato distrutto dai Romani, e noi siamo stati dispersi e fatti schiavi, la Shekinà è andata in collera, si
è distaccata da Dio ed è venuta con noi nell’esilio. […] Così Dio è rimasto solo, come succede a
tanti, non ha saputo resistere alla tentazione e alla solitudine, e si è preso un’amante: sai chi? Lei,
Lilìt, la diavolessa, e questo è stato uno scandalo inaudito. […] Perché devi sapere che questa tresca
indecente non è finita , e non finirà tanto presto: per un verso, è causa del male sulla terra; per un
altro verso, è il suo effetto.”120
La narrazione, sebbene in stile semplice e tono leggero, ripercorre i tratti basilari
delle descrizioni cabalistiche. Per la prima volta però, Dio s’immischia nel divenire e
agisce ‘umanamente’. Egli, che ha creato Lilìt, ne rimane sedotto e per causa sua
lascia che il dolore e la miseria regnino sulla terra.
Se si volesse leggere il racconto in chiave microcosmica, si potrebbe forse affermare
che Dio, la Shekinà e Lilìt sono presenti in ogni uomo. Nell’epos della Kurz
cambiano i nomi ma la sostanza è molto simile. Troveremo infatti che proprio a
seguito della separazione tra Adamo e Lilith, che ripercorre quella di Dio e della
Shekinà, Eva, prodotto di Lucifero, prende campo e causa la caduta dell’uomo nella
pena e nell’affanno. Invece il piano divino aveva riservato all’uomo la potenzialità di
divenire egli stesso Dio, proprio tramite il continuo rapporto con la luminosa Lilith.
Per cui è abbastanza plausibile vedere in Adamo un ‘dio inesperto’, ancora ‘in fieri’,
che sbanda e si separa dal principio femminile celeste abbandonandosi alla tentazione
luciferina di onnipotenza a dispetto del Padre e della legittima compagna.
In fin dei conti si può comunque constatare che, con l’avanzare del tempo e delle
coscienze, si è sempre più evidenziata la tendenza a passare da un quadro di Lilith
demoniaco e terrificante, nel segno della più pura civiltà patriarcale, a
un’immaginario che, in qualche misura, ripropone sempre più insistentemente il
motivo di una riunificazione e riappacificazione dei due principi (maschile e
femminile) in nome del recupero di un’Unità perduta. Questa è la direzione che
alcune autrici femminili, come appunto la Kurz insieme ad altre più moderne, hanno
voluto imprimere al mito di Lilith, rileggendolo e spogliandolo dalle stratificazioni e
distorsioni accumulatesi in millenni di cultura maschile.
120
Ibidem, p. 22-23
Testo Tradotto:
Ribolle e si scuote la gloria celeste
Rimbomban le sale di porfido eterne
Fuori dal grembo del Caos in doglia
Sussultano i lampi e fragor d’onda
Gli Elohim stanno e bisbigliano a due:
Cosa è mai preso al nostro Signore?
Che mugghia e spumeggia il suo Soffio Creatore,
Come in burrasca il Tutto trapassa
E dietro si tira gli spiriti a schiera
Come una cometa la propria criniera?
Già da sei giorni s’affanna inquieto,
smuove aspirando un infinito peso
Fa tempestare un oceano dalle nubi
Scorrono le acque, crescono i tripudi
Veste la terra di tenero verde
Accende le luci del cielo che arde
Monti lui fa da rocce spalancate
Le acque si devon ruotare in cascate,
Poi crea le piante, che diventan feconde
E anche le bestie, le docili e iraconde
Creazione svelta, a cui è stata data
Come scadenza una sola giornata.
Voi Cherubini, sapienti e supremi,
Qual è il suo volere? Quali sono i suoi piani?
Serafici cori che chiedono, amorosi,
Stanno i Cherubini tutti confusi
Fissando attoniti il furore creativo,
niente capiscono, non sondano il motivo.
Soltanto questo: nella Struttura Eterna,
avverte Lui divina insufficienza.
Stanco è oramai del cerchio sempre uguale
Delle cose perfette che non possono mutare.
Adesso desidera vedere il cambiamento,
il divenire, il crescere, perfino il tramonto.
Egli ha creato i cori del cielo
Come compagni della sua infinità,
plasma ora il verme, la scimmia e l’uccello
figli del mondo della temporalità.
L’Incompiuto è adesso tutto il suo scopo.
Chi osa chiedere, se sul serio o per gioco?
Suo l’imperscrutabile completare,
nostra la lode e in suo onore cantare.
Intanto arriva sorridente
Dall’appena creato suolo terrestre
Una coppia d’angeli di laggiù volati,
di tutta la schiera i più giovani e vivaci.
Essi sedevano sulla più alta cima
Della montagna dell’Eden verdolina
Mangiavano frutti in santa pace
E guardavano il lavoro del Maestro alacre.
Neppur per il saper del cherubino
scambierebbero ciò che laggiù spiaron,
Come egli con le argille a forma forzate
L’uomo fece. –Narrate, narrate!-Vedemmo il Signore davanti a un massiccio
onnipotente pezzo di fango
Che nella sua mano rende morbido e molle
E forma un’immagine a lui somigliante.
Coglier si può, sebbene in sordina
Ancor riconoscibile la traccia divina.
Tutto assorto nell’impastare
Lo udiamo ad alta voce con se stesso parlare
Intorno al colosso si aggira e controlla
Se pur ci sia da migliorar qualcosa.
Alla fine dell’opera ammolla la creta
Che sorge già come fosse viva
Poi da ultimo le viene insufflato
Da naso e bocca il vitale fiato.
Soddisfatto indietreggia il Signore
E: “Adamo!” Così chiama il capolavoro.
Che vista! Una volta e un’altra ancora
Prova, si allunga, le membra stira,
gli occhi apre, ammicca alla luce,
si alza, cammina, balbetta, poi dice!
Mentre dal sonno via via si sbarazza
E di se stesso pian pian s’impossessa,
Allora lo prende il Signore per mano
E lo porta attraverso il fiorente Giardino
Laddove Adamo ogni cosa tocca
Tra la bestia e la pianta veloce si affretta
Ciò che gli piace, libero esprime,
Ingoierebbe la rosa con le spine
Se il buon Signore non lo fermasse
E a discerner i frutti e fior gl’insegnasse.
Poiché Adamo nella sua frenesia
Più ottuso degli altri animal par che sia.
Mentre però con voglia e gran schiocco
Si riempie la pancia fin quasi allo scoppio,
Gli emerge improvviso il senso di sé:
dalla formicolante ressa che c’è,
si isola toccando il petto suo
e trova la prima parolina: Io!
Il Buon Signore con viso radioso,
come niente ci fosse di più meraviglioso,
lo guida attento per tutte la strade
lo protegge dai danni e dalle cadute.
Adamo tuttavia salmi non canta
Ma si distende tra l’erba alta,
adora i fiori , annusa l’erbetta,
guarda nell’etere che lassù blueggia,
e ascolta col collo e l’orecchio teso
il canto mormorato dal rivo scosceso.
Basta che un attimo si allontani il Signore
E la testa di Adamo è già tra le viole
Che son sulla sponda del rivo fiorita;
si appisola dopo il primo sforzo di vita.
Ecco che torna nella terrestre aiola
Nostro Signore e una bella creatura.
Come l’abbia creata, a noi è sfuggito,
brilla come un mattino del Paradiso,
Dalla testa le scende dorato sole,
due alette ha, ancor tutte nuove,
come germogli sempre arrotolate,
altrimenti sarebbe ad Adamo uguale,
Eppure diversa, e comunque più fine
Dello snello, flessibile stelo di un fiore.
Appena Adamo vede questa figura
Un salto spicca con un grido di gioia,
avendo capito che questa delizia
come compagna gli è stata prescelta.
E tosto si gonfia e mette a danzare,
come un acceso gallo cedrone
il collo alzato, sulle punte librando,
le braccia a guisa di ali alzando,
In tal modo davanti a lei si destreggia,
e i suoi arti pomposamente sfoggia,
si accosta di più alla nuova arrivata,
che si stringe al Creator con ritrosia malcelata.
Tuttavia anche lei pian pian si riprende
Negli occhi uno sguardo birichino accende,
gli fluttua incontro, intorno gli vola
proprio come una trottola che in tondo gira,
Poi di colpo dietro al Maestro
Alla vista di Adamo si sottrae per scherzo,
Lui si impietrisce in un lamento,
Finché burlato a suo piacimento
Lei da lui torna –e allora estasiato,
volteggia Adamo e va dritto in delirio,
si getta a terra, le ginocchia le afferra
e: “Lilith! Lilith!”, così la battezza.
Pensate ora un po’ cosa ha fatto l’uomo:
Lei ha adorato, a lei si è inginocchiato!
Tememmo noi che il Maestro s’adirasse
E l’empia testa a lui stritolasse:
Quando gli Elohim usciron di sua mano
In ginocchio a Lui lode cantaron.
Invece Adamo non vede il Creatore
Bensì di Lilith soltanto il fulgore.
Il folle rimane tuttavia impunito,
Una tenda di nubi il Signore ha tirato
E soli soletti i due son lasciati
Ad ogni sguardo sempre più infiammati.
Lei già sta sui piedi di Adamo,
per salutarlo bocca a bocca vicino,
Si baciano e baciano ancora le labbra
Bevono l’uno dalla bocca dell’altra,
Come dell’ ottima ambrosia divina
Lì fosse ascosa una gocciolina.
Se la ride il Signore da orecchio a orecchio,
Come pensasse “Bene ho fatto!”
Così folleggiano i due tutto il giorno,
ma ora sprizza l’or del tramonto,
E Lilith sui bordi fioriti dell’Eden,
Stanca oramai e spossata diviene.
“Guarda, Adamo, come il cielo rosseggia,
Nel bosco di là, dove l’usignolo gorgheggia,
nella grotta di viole, voglio ristoro,
laggiù, schiavo, portami ora.
Qui si distende, giaciglio preparato,
Adamo lì accanto, come incatenato,
mentre al baglior di una lucciola tarda
Si china in ginocchio, rapito, e la guarda.
Lei per un po’ sembra dormire,
mentre si gode il suo patire,
Poi all’improvviso distende un braccio
E a lui si stringe in un caldo abbraccio.
E fu un fremito, un incanto
Uno stringersi al petto, uno schianto,
e tante altre folli effusioni,
l’aria notturna si riempì di sospiri.
Lilith! Risuona il fruscìo dei rami,
Lilith! Profuman degli alberi i fiori,
Lilith! Sorride la pioggia di stelle
Adamo! Esala, sognante e più lieve.
Allora in silenzio abbiam preso il volo
Mentre ancora dal blu del cielo
L’Occhio Creatore vigila amante.
La prima notte sull’Eden scende.
II
Sabato! La forza creatrice riposa
Il settimo giorno dall’inizio dell’opra.
Egli passeggia sull’oceano immenso
E allo scivolar dell’ Accordo del Mondo
Le corde dell’Anima accorda a puntino.
Solo Samael può stargli vicino,
Della stella mattutina signor egregio,
Lucifero dagli angeli è chiamato,
ché un raggio di Spirito lo incorona,
davanti a cui tutta la schiera trema.
Solo in lui, tra tutti, è caduta
Una scintilla di luce propria.
Ma pure lui sforza i pensieri,
non sa penetrar i superni piani,
non sa strappar il potente velo,
a cosa sia destinato l’uomo,
e se il girotondo dell’Eternità,
sia più di un’ eterna uniformità.
La mano maestra allora disegna
Quieta una spirale nella sabbia.
Samael la guarda ed è subito luce:
“C’è dunque una via che in su conduce?”
“Sì all’insù, oltre il firmamento”
Sopra voi tutti nei mondi del cosmo,
Sopra a te pure, benché splendi chiaro,
Alla mia destra salirà in futuro
L’Uomo –sole di tutti i soli,
Con Dio dividendo i creativi poteri,
di tutto il creato, egli soltanto,
degnato di essere il mio compagno.
Decisi che a lui non si confà,
come invece a voi, una sol qualità.
Che mentre sonanti intorno a me vibrate,
pur sempre tutti la propria voce cantate.
A lui per la sua scintilla di vita
Ho dato l’organo di registri completo:
Gl’impulsi della bestia e della divinità,
l’amore terrestre e l’amore di qua,
Il temere, lo struggersi, lo sperare, l’odiare,
a lui l’arrossire, a lui lo sbiancare
la timidezza e la temerarietà,
l’ebbrezza e la sobrietà,
Ciò che è più dolce, ciò che è più amar,
Il massimo o il minimo lui può diventar.
La saggezza e la pazzia,
la serietà, gioco e follia,
il ghiaccio polare, il vulcanico ardore,
dimorano insieme dentro al suo cuore,
al quale io ho affidato la creatività,
affinché lui con lei a me giungerà.
Lui no, a dire il vero: nei giorni lontani,
I figli dei figli dei suoi bambini.
Cioè la progenie andrà scavalcando
Il padre Adamo, il pezzo di fango;
Tramite Lilith costruisco una scala,
verso la somma celeste cima.
Per questo l’amica ho per lui prodotta,
metà di sua sorta e metà della vostra,
affinché lei con spine d’amore
lo svegli, lo tempri, gli faccia da sprone,
Lui troppo rozzo, lei troppo fine,
Da solo ognuno sarebbe un patire.
A lei non detti terrestre operare,
lei elettrifica, a lui il fare.
Da lui la forza, che spacca la pietra
La mente ferma, che ordinando amministra,
Da lei la fiamma che già movimenta,
l’irrequietezza, che il tempo tormenta.
I tesori dell’arcobaleno
Dono a Lilith come corredo,
Con cui ondeggiando lo spazio riempie,
Il velo cangiante sul Tutto poi tende.
Con lui lei può gioire e giocar
Con bolle di sapone lo può distrar,
E dal variopinto spettro solare
Come presagendo un dissigillare
Delle sue mutevoli figure
Nulla avvizzisce, niente può invecchiare.
Che lei si gingilli e si culli sui fiori,
che lei esultante sulle nuvole voli,
Dove lei appare, deve tutto fiorire,
Ciò che lei tocca, fresco inverdire.
E la bocca di Lilith non può mai mentire
Perciò dove vaga, con ali di fiabe,
il pigro gigante la deve seguire!
Quante volte a lui l’attrezzo è ostile,
ma lui non molla, lotta e si sforza,
finché col pugno creatore lo forza.
Davanti ad un tale osare e volere
Anche l’ultimo no deve cadere.
Già vedo io in lontananza brillare
Il mattino che lui, mai succubo al Male,
nobile figlio del paradosso,
stirando possente il suo essere grosso,
dal cerchio terrestre che lo soggioga,
alle mie porte del cielo lui suona.
In un abbraccio lo stringerò stretto,
Il Figlio, dal Padre prediletto,
Dovrà effondersi con me creando
Attraverso le vene di tutto il mio mondo.
La via del vento e le maree,
dirigerà, come giusto ritiene,
il suo occhio attento mi accompagnerà,
per il labirinto dell’immensità.
Lui in me, come io in lui colato
Alla Gioia Suprema verrà infine innalzato
Nel Cuore mio, dal quale è irradiato,
lui, il Perfetto, ripongo beato.
E operando, sapendo, crescendo, tessendo,
la Vita Divina condividendo,
produce in me ringiovanita voglia.
Non più maestoso in solitaria soglia,
attraverso gli eoni sarò vissuto,
covando in petto l’Intentato:
In barba ai Troni e al Cherubino,
Solo l’uomo partecipa dell’Assoluto.
Per ora voi nell’edenico giardino
Vegliar dovrete sul maldestro bambino.
Voi, che il Male e il Ben conoscete,
dall’elemento lui proteggete,
che fa infuriare il suo maestro futuro.
Finché non si rafforza e di sé è sicuro,
con le ali schermate in continuità
del mio figlio diletto la futura maestà.
Parla così. Tace il Principe del mattino,
fino alla polvere il volto chinato.
Trema il suo cuore orgoglioso e in tumulto.
Perché deve cedere al fangoso aborto,
Lui, la cui anima è tutta un dolore,
per non esser lui stesso, Dio, il Signore?
Le scure ciglia abbassa ombreggiando
Degli occhi suoi il fiammeggiante tormento,
gli occhi tradiscono, ciò che l’Angelo pensa,
ché proprio attraverso la varia e intensa
luce degli occhi al Capo lui parla,
che al Messagger solo la parola dona.
Evita quindi da allora il Signore
Nella sua stella mattutina si chiude,
di modo che il verme che l’anima rode
agli occhi di Dio celare lui crede.
III
Appena l’aurora incendia le vette
E i primi uccellini annuncian la luce,
esce Lilith dal rifugio roccioso
e al pigro compagno con grido gioioso:
“Alzati, Adamo! Il sole occhieggia,
si liquefanno gli spiriti-nebbia,
loro, i vaganti, sul prato vicino,
dove ogni stelo fa capolino.
Con canto d’allodole e rugiada perlata
Già ci saluta la nuova giornata.
Adamo sveglia! Svegliati Adamo!
Beve il leprotto al ruscellino.
Se vuoi trovarmi
Fra cime e abissi,
Allora sveglia,
Adamo, e di corsa!
L’ha sentita intanto l’amico
E è arrivato, ancor rintontito.
Purtroppo ahimè! Com’è ripagato?
Lilith, cattivella, il volo ha preso.
Giorno per giorno, la storia è la stessa,
lui esce fuori, quella si eclissa.
Presso il ruscello, palude e canneto,
lei si nasconde e lo aizza dietro.
Nella foresta, sotto il tetto di faggi
Fra spine e boscaglia bisogna che cerchi.
Lilith! Lui grida la centesima volta,
In ogni valle il suo nome urla,
Allarga le braccia nello spazio vuoto.
Cip-cip! Dall’albero vien replicato.
Lì siede un uccello che lo sbeffeggia.
Pieno di rabbia una pietra afferra,
poiché la bestiola alla fine lui manca,
sradica allora con man furibonda
l’alberello, in cui stava cantando,
Dopo si getta sull’erba piangendo.
Ma ecco che un’ombra obliqua e ampia,
cade su lui dalla Via superna,
appare nel rosso del mattino,
San Gabriele, messaggero divino.
“Mi manda la più alta Maestà,
a chiedere come la nostra coppia sta”
Allora Adamo esplode in lamento:
“Magari non fossi mai venuto al mondo.
Accanto a me ho una febbre vivente,
sempre con me la mia Lilith contende.
E’ una tortura, un istigare
Un tra le selve costante ansimare,
Da quando il Signore ci ha ordinato
Di conoscere tutto il creato
E ogni cosa dobbiam nominare:
Il bufalo, l’orso, anche il leone,
la moltitudine grande dei fiori,
perfino le stelle, nei cieli lontani,
Sì, ridi pure, che a noi pure sta
Aldebaran e chi più ne ha,
Quel che ci capita, così come arriva
A me è seccata di già la saliva,
Ma a lei i nomi saltano in mente,
Dio solo lo sa, da dove li prende.
Quello risponde:
“Per superno decreto
Viviamo noi in total celibato,
Eppure una donna sì vispa e vivace,
sarebbe l’hobby che più mi piace.
E Adamo:
“Per me non sarebbe troppo noioso,
Se dopo il lavoro ci fosse il riposo.
Ma quel che faccio, le pare poco,
due volte non vuole lo stesso gioco.
Vedi laggiù brillare il blu specchio,
di mille pesci infinito regno?
Intrepidamente i suoi confini rompemmo,
Il mare è nostro, come i pesci allor fummo!
Con forti braccia solchiamo l’onda,
lei ci solleva, ci culla e trasporta.
Nuotiamo immergendoci come cigni fieri,
Canoe ci scaviamo dal legno dei pini
E alla Creazione intera annunciamo
Che l’acqua è suddita adesso all’uomo.
Ma Lilith neppure mi disse grazie,
io pensai subito, qui son disgrazie.
Appena che pesce per amore divenni,
ecco occorreva, che nubi spostassi,
E l’indomani dovevo essere uccello.
Così lunatico le gira il cervello.
Perché anche nel sonno lei non ha pace,
posso ascoltarla a mezze nottate.
E’ un incessante tesser di fiabe,
e nella tela su e giù oscillare,
finché a me non cadon le ciglia,
lei tuttavia ancor nel sogno bisbiglia,
la sento, balbetta di cose mai viste.
Per questo le ho io legato le alette,
con un lungo e forte capello d’oro,
di modo che ella non prenda il volo,
e sulle nuvole a cullarsi vada,
spesso così mi minaccia e mi bada.
E a ogni risveglio davvero io tremo,
in eterno timore davvero io vivo,
che lei tutto a un tratto se ne voli via.
Se tra le braccia la credo mia,
mi angoscia l’idea, che lei si dissolva.
E in una tale agrodolce doglia,
la vinco e la perdo centomila volte.
E ciò che più di lei mi sconvolge,
è come tutto sia a lei intonato.
Il leone scodinzola nel roveto,
In macchia e fra i giunchi,
nel canneto stagnante,
Tutto è il di lei cavalier servente!
Perfino il serpente, velenoso s’avvinghia,
fa al corpo di lei carezzevole cinghia,
E quando poi percorriamo i fiumi,
vengono i pesci e la guardan beati.
Odiar la vorrei, perché mi tormenta,
eppure non posso, non riesco a lasciarla.
E’ come se anche il fiore sbiadisca,
quando Lilith manca alla vista.
Senza di lei o con lei assieme,
in ogni caso, io sto nelle pene.”
Mentre si sfoga con strazio e con scorno,
arriva Lilith dall’alto raggiando,
Di rose una tonda coron luccicante
Tiene soave appesa alla fronte,
E dei capelli il mare dorato,
come un mantello le fluttua dietro.
Catene di fiori dondolanti
Lunghe circondano i suoi arti,
mentre su colli e tappeti d’erba,
cantando in picchiata lei si getta.
Esalan profumi ad ogni suo passo,
uno sciam di farfalle le vola appresso.
Come il divino inviato lei vede,
tosto si s’inchina a braccia incrociate,
sparge le rose ai piedi di lui,
saluta quest’ospite coi profumi suoi,
che il cibo terrestre non ristora mai.
Ma già sente Adamo freddo e nemico,
perché non ha avuto il primo saluto,
Il mazzo di fiori, che in braccio lei regge,
che lui non colse, ora lo affligge.
L’angelo parla:
“Tu fuorviato,
a te l’amica il Signore ti ha dato,
perché scuotesse te ostinato,
nel tuo narcisismo cristallizzato,
dall’indolenza del pigro egoismo.
E comunque il suo corpo,forzier di piaceri,
ti dette a sostegno e scacciapensieri.
Non vi creò l’uno a pienezza dell’altro?
Vano è perciò il tuo lamentarti.
Cosa sia meglio, cosa sia peggio,
certo non devi tu domandarti
Lei fa ciò, per cui Dio l’ha creata,
seguissi tu, con tal zel, la Chiamata!”
Svanisce sfrecciando, ma il suo discorso
Risuona invano per un orecchio sordo.
Appena Lilith si avvicina mielosa,
la investe il cattivo con rabbia furiosa,
strappa il gingillo di catene di fiori,
lo pesta a terra stridendo orrori.
Scoppia immediata e ardente la lite:
“Sol senza di te potrò esser felice”
“Lo so, e per questo fuggo via lontano”
“Bene, perfetto, oggi ci separiamo”
E l’uno dall’altro si allontana in fretta,
e all’uno e all’altro il cuore si spezza.
Lei al ruscello, lui alle rocce scappa,
là, disperato,ognuno si blocca.
La loro valle, di mandorli fiorita,
oggi sembra una piana inaridita.
Ma già Adamo volta la testa,
Lilith esitante attorno si guarda,
finché il loro sguardo alla fine s’incontra
e i loro piedi, come mossi da soli,
li tirano insieme quasi involontari,
ed ora con tale primigenia forza,
si attacca e riunisce inscindibil la coppia
E baci dal cielo come infuocata pioggia.
“Perdonami” fa lui in dolce sussurro,
“Io son della terra il più rozzo figlio.
Capir tu non puoi, o esser di luce,
quando la bestia in me non dà pace.
Volentieri sconto, ciò che feci di male:
Per quelle rose, che a te ho pestate,
strapperò io dalla roccia rubini,
rose son essi, dai duraturi bagliori.
Catene e fermagli di oro zecchino,
forgerò io in bollente fucina
a gioiello per te, creatura divina.
E ancora di più ho pensato di fare:
una casa di pietra per te costruire,
Colonne che reggono e sostengono,
pareti che celano e proteggono,
e sulle colonne, sulle impalcature,
che non appassiscono fioriture.”
Parla Lilith:
“Tra le tue braccia stare,
E’ molto più dolce che oro e collane,
Il tuo cuore è per me, casa e ostello,
qui dormo libera da ogni rovello:
ma tu lavora e la fiamma attizza,
la pietra scava, che ben costruisca.
Se in te lo spirito all’azione spumeggia,
in me l’amore mai si raffredda.”
Così faccia a faccia e petto sul petto,
tutti abbracciati respirano stretto.
Dalle lacrime, che il loro occhio piange,
e dal raggio d’amore, che in esse splende,
sboccia da solo e multicolore,
sui loro capi, l’arco di pace.
IV
Calma di mezz’estate sul caldo piano,
sogna la natura in un sonno meridiano,
un soffio non muove il biondo terreno,
così giaci tu, Adamo, nel grano,
una gamba distesa e un ginocchio alzato,
il braccio sinistro sotto il capo piegato,
ecco l’emblema della pace più piena,
spaparanzato, russa addirittura.
Tal debolezza, certo gli rimane,
la zolla che lo fece, troppo gli piace.
Si piazza volentieri lungo disteso,
lasciando a Dio ogni pensiero.
Ma anche così ha sempre Lilith in testa
Lila Lilitno! E la lingua s’impasta.
Un moto attraversa quell’oro assopito,
dalle cui spighe a serpente inanellato
sbuca Samael:
“Che caso fortunato!
Ecco il futuro padron del creato!
Elohin ammirate, come lui riposar fa
In custodia del sonno, dignità e maestà.
Ma bene! Balbetta, l’erede al potere!
Sarai tu il padrone, sì, Samaele!
Eppur benché bestia e da bestia agisca,
Lilith tuttavia dalla terra lo innalza,
Lei che ha rinunciato ai mondi astrali
Finché anche lui non avrà le ali.
Già sull’incudine un paio stanno,
un fiasco, invero –gli uccelli a beffa lo hanno:
senza penne maestre, goffamente pensato,
lui tenta comunque, finchè l’avrà compiuto.
E una volta assaggiata la gioia del volo,
la terra lo tira più peso al suolo.
Occorre agganciarlo prima che riesca,
non deve raggiungere la sua alta meta!
Adesso, Samael,è il tuo capolavoro.
Benché mi manchi la vera forza creatrice,
ho visto comunque come il Vasaio produce.
Già modellai bambole in cera e creta,
con tutto il fascino della seduzione.
Ma il respir che anima, a lor difetta
Non so come il soffio alla materia s’intreccia.
Amico Adamo, permetti uno scherzo,
non c’è dolore e sarò svelto.
Qui la costola, ben delineata,
dal braccio alzato, ancor più accentuata,
la tolgo via, la carne rimpiazza,
e con ciò ti ci faccio una bella ragazza.
Piegare la costola, è arte e fatica,
rimarrà la via curva nel favor dell’amica.
Modellare di più! –Corpo in movimento!
Ecco la nuova donna –un vero portento.
Dalla casa di Adamo, prende il respirare,
qui io la metto, il sole la sa covare.
Manca solo una cosa, una croce e una delizia:
Non c’è alcun cervello, in questa primizia!
Ancor più facilmente lo potrà domare.
Andiam, già respira! Che possa riuscire.
Il campo silente, prima come adesso,
sogna e non pensa, qualcosa sia successo.
Solo la canna, piano bisbigliando,
parla di ciò che è andata vedendo.
In trepido ascolto, come accordi lontani,
avvolta sfarzosa nel suo vel di profumi,
arriva Lilith, sui pendii montani.
Proprio adesso una nota il suo orecchio incontra,
come mezza carpita all’eterea orchestra.
Com’era, come? Oh suona ancora!
Stormisce un canto di quei canti là sopra,
sopra la sua testa, a inafferrabil distanze
Forse sbagliò? Già il suo orecchio si arrende?
Spesso in tal modo nel cuor della notte,
quando le stelle intrecciano volte,
Lei ascolta la luna che sale suonando.
Risuona sì! E con il suo raggio,
un suono d’arpa la valle addolcisce
che l’anima lusinga, bacia e assopisce.
Poi cade come gocce, grosse e piccine,
Dai cerchi fraterni dei pianeti vicini,
una corrente che inonda e irrora il mondo.
E Lilith immota, siede sul bordo
del suo giaciglio come fosse esiliata,
finché il compagno la richiama intontita.
Perché per quanto la notte taccia,
della pioggia stellare mai ha udito traccia,
che anche per lei raramente sboccia.
Oggi però le si schiude ai sensi,
Giù si riversa come in torrenti:
Nel calor dello zenit meridiano,
canta anche il sole a tutto spiano.
Le nebbie stagnanti poter penetrare,
le sfere ammirare, con loro cantare!
Altrimenti a che cosa le servon le piume?
Che cosa significa il salir su potente?
Non fu proprio a lei che assegnò il Signore,
nel regno di luce, il potersi librare?
Tuttavia non da sola lei si vuol sollevare,
Mai senza lui, mai senza lui!
Lui che può fare, quel che può voler,
il primo battito d’ali or con lei deve aver.
Che lassù si sveli la Parola,
a lei nascosta dal sipario,
che risuonò il mattino del mondo,
e nutre l’anima sua nel profondo?
Spesso a lei ignara ritorna nel sogno
come in un lampo, sovrumano possesso,
ma prima che conscia la possa afferrare,
essa si scioglie in nebbie immaginarie,
e vola lontano al più remoto orizzonte,
là come nuvola, all’eter si rifonde.
La Parola in cui si specchiano Alfa e Omega,
divien ciò che tien, e allo spirito si spiega,
Quando esultando dai cor celesti vibra?
Guardati intorno, Lilith, sognatrice!
Cosa cerca il tuo occhio nel ciel che riluce?
Piuttosto guarda un po’ la terrestre dimora,
un uccello straniero adesso ci vola.
All’ombra di olivi non siede forse,
una donna nuda, che i capelli intesse?
Gli occhi ha aperti, eppure velati,
ancora dal sonno del nulla segnati.
Lilith si fa avanti, un po’ tremarella:
“Dimmi chi sei, estranea fanciulla?”
Ma quella confusa fissa nel vuoto.
“Alzati, dico, ti do’ la mia mano”
Quella sta zitta, e la smorta inerzia,
plumbea, al suolo, la tiene ben stretta.
Allora Lilith le atterra accanto.
“Com’è rigido e freddo, il tuo povero corpo!
Da te a me scorre un brivido sordo,
trema il mio cuore, quando ti guardo,
Come fossi vicina ad una sventura.
Come la vita, in te, si scolora!
Prendi il mio velo, tu ghiacci, tu geli,
T’impaurì il leone, coi suoi ruggiti?
Lo sciacallo che passa qui innanzi affamato?
Dimmi, poverina, chi ti si è avvicinato?
Fatica sprecata! La bocca dell’altra
Gioia o terrore di certo non mostra.
Il suo occhio assente e irreale,
Ancora dal Niente sembra guardare.
Solo nel morbido elastico velo,
fruga tastando vogliosa la mano,
e sopra i tratti pesanti del viso,
scivola il primo sentor di sorriso.
Appena però lei tocca il tessuto,
esso scompare, dall’aria rapito.
Scioccata rimane la figlia della luce
Che a svegliare il compagno, pronta si muove.
“Caro, guarda, sul ciglio è seduta,
una cosa di carne ed ossa formata.
Sembra vivente, ma si muove fiacca,
mi spaventerebbe, che un anima abbia.”
“Come mi tocca questa figura”,
parla Adamo,rivolto alla creatura,
“Quasi fosse ossa delle mie stesse ossa,
quasi fosse carne, dalla mia stessa rimossa.”
Sotto il suo sguardo e al suo salutare,
l’apparizione inizia a sobbalzare,
ammaliati i suoi occhi dalla di lui luce
trema il suo labbro, eppur niente dice.
Con vene e membra che diventano calde,
dall’abbraccio di Lilith piano si scioglie,
di fronte all’uomo, in ginocchio si mette,
con mani invocanti a lui si rimette.
Egli stupito, la incalza di domande:
“Chi sei, donna, di dove vieni, donde?”
Lei, ubbidiente, trova la parola:
“Tranne questo luogo, non so alcuna cosa.”
“Chi sei almeno, fammelo sapere.”
“Io non sono, se sola devo stare.
Sono solo una parte, che è stata strappata,
e che al suo Insieme, di riunirsi è ansiosa.”
“Allora dimmi ciò che il Signor ti ordinò!”
“Eccetto te, io signori non ho.
Tu il mio padrone, che cielo e terra,
infallibile reggi con gesti di potenza,
sotto il tuo sguardo germogliano i fiori,
a te si riversano correnti e fiumi,
al sole tu insegni la via e la strada,
a te la tua serva si prostra e prega.”
A ciò freme Adamo fin dentro al midollo:
“La donna dev’esser di nobile senno,
dalle sue labbra sgorga dolcezza,
come miele odoroso che dal favo si versa.”
Ma salta su Lilith senza perdere tempo:
“Tu, poveretta, sei fuori di senno,
Non è il buon Dio, che stai implorando,
bensì è l’uomo, nel corpo abitando,
Il mio compagno, che ti è buono e amico.
Perciò non tremar, stai d’umore allegro.
Di manna ti voglio ungere e sanare,
cibo e riparo tu dovrai avere.
Finché da sola non te la sai sbrogliare,
sappi che puoi tu da noi riparare.”
O Lilith,Lilith, che senti le sfere,
cosicché il buon senso ti viene a mancare!
La serpe in seno puoi anche nutrire,
ma non la costola di Adam favorire.
Intanto va avanti e dolcemente abbracciata,
in casa conduce l’ospite ottusa,
che sulla soglia mentre vien via tirata,
lo sguardo girato, dall’uomo ammaliata.
V
Nel bosco, alla riva del rio scrosciante
Sventola di Lilith la vestecangiante.
“Dov’è la mia gioia?” chiede agli animali.
“Quando mai tornerà?” interroga i fiori.
Ahimè, laggiù, nel nido di amori,
non vive già più, ne è scappata fuori.
L’amarezza, al suo posto, è subentrata.
Da dov’è venuta, chi l’ha invitata?
Lei non lo sa, non le va giù:
L’uomo non è più, quel che già fu.
Lui così pronto, così volitivo,
Pigro è divenuto, mutevole e capriccioso.
Lesina, avaro, ogni buona parola,
assorto si blocca, si fissa in una zona,
lui che si scioglieva al di lei sguardo,
s’inalbera tirannico, duro e superbo,
ed ogni gioire è finito, finito.
E come il suo fare si è intorpidito!
Il paio di ali con arte innervato
Di legni sicuri già fatto pennuto,
giace nell’officina mezzo scordato.
L’apparecchio in un angolo arrugginisce,
tutto ciò che iniziò, adesso poltrisce.
Fine dello zelo e dell’alacre pazienza.
Ci sarebbe da chiedersi, di chi è la colpa?
Eva, l’immagine, a Lilith aliena,
E’ lei che le forze di lui raffrena.
In sua presenza, così cupa e pesa,
anche Lilith da sé stessa è divisa.
La fiacca terra, il piombo degli occhi,
la monotonia dei suoi immobili tratti,
Un pezzo di pietra, da lei fredda diffonde,
un fascio di corde, che solo all’uomo risponde.
Poiché solo quando lui a lei si apprende,
l’immagine allora vita riprende.
Troppo bramosa a lui lei si stringe,
dalle sue labbra devota poi pende
come il cagnolino, quando arriva il padrone
s’accosta e scodinzola con mille moine.
Il suo sguardo umido, che all’amore ambisce,
la voce da brava massaia che squittisce!
Tutto ciò sopportare, Lilith più non vuole.
Il piano abbandona, di sementi splendore
E il canto diurno delle ebbre cicale,
tutto alle spalle, continua a scappare.
Già in un attimo la foresta è passata,
lei mica si accorge, come sale scoscesa,
tanto che il bosco prende commiato,
sempre più in alto, finché neanche il pino,
più non la segue, e sempre più in basso,
il luogo del suo dolor affoga nell’abisso.
Il dente di leone, quassù, il selvaggio,
nell’etere profumato s’inarca superbo
e beve la frescura del celeste respiro.
Dardeggia il sole, ormai più non brucia,
sublime, sovrumana quiete montana.
S’arriccia, s’impiglia ai denti di roccia
Il velo di lei e presto si straccia,
indietro rimane, ma lei non lo cura,
nuvole colorate, di sogno e spuma.
Ancora più in alto! Quanto piccola appare,
la sua casa laggiù e con lei il suo dolore.
Oh, se tu Adamo, fossi qui al suo fianco,
Come sparirebbe, il tuo blocco, nel bianco,
Il tuo torbido rimuginare,
Il tuo oscuro recriminare,
Sì come con lei la gravità scompare.
Fiumi laghi e valli squadernati stanno,
come se nell’alto anche lor voleranno,
E l’andare oltre è leggero, leggero.
Le ali, il cui laccio una pietra ha tagliato,
alla quale strisciò, ora sono d’aiuto.
Al precipizio si trova lei adesso,
dove manca lo spazio per un piccolo passo,
dove l’abisso sbadigliando si apre,
dove un uccello le urla:”Attenzione!”
Un grido, lei scivola, precipita mentre,
il buio mortale le oscura la mente.
-Non si è sfracellata? Così lungo è il tratto?
La tien forse il vuoto? E udite, uno schianto!
Non è lei che cade, fu la terra che cadde,
lei sale, e il cielo, che musica gran
*
Dal focolare si spande il bagliore
Intorno alla forte figura di Adamo,
Attizza e martella, salda e brasa,
la faccia cupa dal fuoco arrossata.
Metalli estrasse dal cavo roccioso
li piega, li attacca, li incastra deciso,
oggi il lavoro deve esser finito.
Le ali guizzano come già vive,
e par che da sole si vorrebbero alzare,
eppur l’inquietudine gli serra il corpo,
un trepido vago angoscioso trambusto,
al posto del giusto vittorioso tumulto.
Non sa ciò che via da Lilith lo spinge,
da cui tuttavia la sua vita dipende,
non sa perché lui così odioso,
la debba angustiare senza riposo.
Il suo sempre nuovo gioiello del cielo,
Eppur sempre uguale, nel cambio fedele,
questa è lei; e gli dona pienezza,
lui lo sente, lo sa, ma sempre guerreggia,
poiché dietro loro Eva sogghigna.
Chi ha dato il potere alla muta maligna,
che qui giù al suolo accovacciata,
con sguardo che a lui la carne aggioga,
sorveglia il fare delle forti membra?
Un agnellino lui con lei sembra
E lei gli dice: “Che Dio ce ne scampi!
Per lei devi sempre sforzarti e piagarti,
che mai si degna di ringraziarti,
non hai piacere in questa breve vita,
che invece a ogni bestia è tanto gradita –
cerca la femmina, fa il nido e muoretu solo, mio caro, dovresti patire,
dannato al lavoro e al faticare?
Così crudele non è certo il Creatore,
Lilith, la strega, ti vuol schiavizzare.
A lei ti pieghi, quando crei e lavori,
la sua superbia col tuo sforzo onori.
Come vorrei che volasse lontana,
allora potresti imparare la gioia,
dimenticheresti strapazzo e fatica,
godresti libero la corporal vita,
come le bestie della brughiera,
una femmina pronta, a dolce pastura
in pace la tana ti costruiresti,
Oh, quanto meglio ti sentiresti!
Allora a lui cadon le braccia.
Non suona forse come dal proprio petto,
questa nenia di pascoli verdi,
sospira e si allentano arti e nervi,
mentre la bocca prova a obiettare :
“La felicità non è il divino volere.
Egli mi spinge a più alte mète,
vuole che all’ora io neghi il piacere,
e invece le dedichi sudor su sudore.
Vuol che io vada, che sollevi lo sguardo,
alla sua Luce, che piove dall’alto,
come tremul fulgore, questo lui vuole,
in eterno Lui solo, io devo seguire.
Perciò non toccare, dove già mi duole,
donna, rallegrami con una canzone,
al suon del martello che io batto intanto.”
“Allora ascolta, come a te io mi canto!
Io sono il fiore, tu sei il raggio,
O volgi a me il tuo fulgido volto!
Quando allontani il brillar dei tuoi occhi,
si chiude il mio calice e cala la notte.
Vieni, ti prego!
Io son la terra, che soffre assetata,
sii tu la pioggia, dall’alto mandata!
Vieni con grandine, sii temporale,
accada di me, quel che deve accadere!
Ma vieni, ti prego!
Io sono l’opera della tua mano,
che tu, creatore, a metà hai lasciato.
Così scocca il colpo maestro,
rendimi donna, concludi il resto!
Vieni, ti prego!
Ah, è tutto falso, quello che dico
Niente nel mondo mi ha mai compreso.
Non sono fiore,non sono terreno,
né pezzo d’arte a metà o intero,
un vuoto soltanto, pien di desire,
che solo con te si può riempire!
Vieni, amore!
Con la tua forza adesso avvolgimi,
con soffio infuocato tutta pervadimi!
Che nella pienezza dell’esser risorga
E dal dolor dell’amor poi ancor mi dissolva!
Vieni, ti prego!”
“Taci, infelice! Cosa mi canti mai,
proprio la lotta, da cui io fuggii,
risvegli tu ignara dal mio profondo,
Ciò che dovrebbe dormire in eterno?
Mi tira a te una segreta tensione,
inquieta, opprimente eppur singolare,
un cupo slancio gravitazionale,
e mi addolora di angoscia mortale.
Tutt’altra cosa da ciò che provai,
quando Lilith quel giorno guardai
e nel giubilo dei sensi in me gridai:
Ora il mondo è perfetto, c’è lei!
Ciò che in me rode, che mi fa infuriare,
che mi spinge a ferire, a danneggiarevorrei triturarlo, quel che mi è di tormento,
noi tre congiunti in un solo tramonto.
Con sorda violenza, lei già giaceva
Ai piedi di lui convulsa e prostrata:
“Se batter mi vuoi, con piacer io sopporto,
per esser felice, mi basta il tuo tocco.
Ecco il mio corpo, che a te io consacro,
lo puoi pestare come zolla da aratro.
Dimmi soltanto, cosa vuoi che tributi.
Vuoi che alla fiamma io forse mi bruci,
per te mi disciolga in fumo d’incenso?
Volentieri io tollero, ciò che m’imponi,
basta che viva, tu non mi ripudi.”
Cosa resta ad Adamo, se non che, pietoso,
tirarla a sé in un abbraccio amoroso?
Subito a lui lei forte si aggrappa,
beata esultante femminetta
così attaccata, docile e stretta,
quasi una parte delle sue membra.
E appena lui i suoi lacci avverte,
ancora più forte a sé la stringe.
E’ come se in lui infuriasse un ciclone,
giacché con baci di cieca passione
l’attacca e aggredisce, e come preda dll’ira
nella carne bruciante i denti infila.
Ma adesso cos’è che la voglia oscura,
e riempie la valle di floreale frescura?
Con gran dondolare in alto nel blu,
la donna sublime or scende giù,
lei che dai regni della luce immensa
amorosa alla terra nostalgica pensa.
Gli occhi di lei ancor ebbri di luce,
che lei là godette, non posson vedere
che tutt’a un tratto i due, intimiditi,
il suo sguardo evitano assai spaventati.
Lei si abbassa, atterra al suolo
E gioia risuona il suo primo saluto:
“O Adamo, rallegrati e saluta,
della vittoria la nuova venuta!
Un giorno nuovo oggi s’annuncia.
Mi trascinò su una tal divin forza,
che ho udito la musica che creò il mondo.
Con te voglio udirla una volta ancora,
vieni, ci accoglie la celeste dimora.”
Lui, confuso, è ancor nella carne.
Sussultan le vene, arde il suo sangue,
i suoi occhi sfuggono quelli di lei
a malapena la sente, mentre parla a lui.
“Caro, sei irato per il mio volo?
Sapessi come, da dentro mi è nato,
potessi udire l’armonia delle sfere,
ti giuro, nient’altro vorresti cercare.
Niente, nessuno dei piaceri terrestri,
Vale di fronte ai cori celesti.
Le note si cercano, fuggono e odiano,
eteree creature scrosciando si fondono.
La brama selvaggia, il delirio, la voglia,
l’urlo di pena dal petto in doglia,
conquistatori che infuriano e vincono,
possenti al cancello del cielo bussano,
finché dall’impeto li libera Amore
e i soli si sciolgono in un dolce rumore.
Ma di nuovo si alza, scorrendo e gonfiando,
di qua, di là come un’ onda in crescendo,
cori di giubilo si uniscon mugghiando
il trionfo del Vero e lode all’Uno cantando.
Seguimi, caro, ci chiamano i soli,
dan Verità da fonti sorgivi.
Ma sibila Eva:
“Attento al tranello,
Se lei ti tiene, tu sei il suo zimbello.”
Ecco che muta il dolor dell’oppresso
Tutto d’un colpo in un rabbioso accesso:
“Tu hai fatto, ciò che avevo proibito,
via da me!” Il suo sguardo è cattivo.
“Come, Adamo, mi parli così?
Serva e padrone non sono qui,
bensì solo Uno, che tutti serviamo,
lui mi chiamò, sono apparsa al richiamo.”
“Sentila, sentila, come essa insiste!”
Fa intanto l’altra, che nel petto ruggisce.
“Oggi al trionfo tu devi far festa,
perché finalmente le abbasserai la cresta.
“Io sono il padrone. Il mondo fu fatto
a me come trono. Il lampo io scaglio,
io che il baglior trassi dalla pietra,
mio è il potere, chi è saggio si piega.”
“Compagno mio, mi accompagna il Signore,
lungi da me con te questionare.
Il Vero io udii nel coro stellare,
stonatura terrestre non mi può più toccare.
Fa’ solo questo, per me, manda via,
quella bambola là, priva di Vita!
Da lei soltanto viene tutta la pena,
neppure respiro, se lei ti è vicina.”
“Da lei separarmi, nemmeno parlarne!
La amo io come la mia stessa carne,
il suo respiro dal mio dipende,
lei tutto il suo essere ai miei piedi stende.”
Giubila Eva. Lilith freme,
adesso realizza: è finito il piacere,
si sforza e non riesce davvero a capire,
non vuol ciò che amò, adesso lasciare.
Perciò lo richiama una volta ancora:
“Pensa alla nostra iniziale gioia,
Pensa, Adamo, alla grotta delle viole!”
Ma l’altra lo cinge e con derisione
Intanto lo aizza “Non ascoltarla,
Tu sei perduto, quando lei parla.”
E lui ormai folle, con cieche percosse,
battute nel fuoco che sprizzan faville,
La gioia di Lilith disfà e distrugge,
cioè il bel paio di ali dorate.
Qui Eva lancia il suo grido di festa:
egli alla terra ha chinato la testa.
Appena però ha compiuto il misfatto
Fissa lui Lilith esterrefatto:
Non è più la stessa! Feroce e straniera,
una fortissima sovrumana creatura,
che alto si staglia, la testa drizza,
l’occhio blu si fa nero e fiammeggia,
si alza, crepita la chioma dorata,
un urto d’onda, giallo infuocata,
di mille scintille è circonfusa,
le ali schizzano di luce propria;
Mutata, tremenda a lui appare,
sorella del cherubinico fiammeggiare.
Via la visione terrorizzante!
Lei è di nuovo bella e raggiante
Come nei giorni d’amore di maggio,
bianca però, d’angoscia e d’oltraggio.
Dalla sua bocca, che emanava delizia,
le sfugge un addio pien di mestizia:
“Addio Adamo, mi strappa lontano
un forte vento, è lo Spirito Divino.
Ciò che tu hai fatto! Ahimè, è successo!
A mai rivederci, ti saluto adesso!”
Con l’occhio la segue. Il fiocco rosato,
di porpora e viola laggiù sfumato
nel crepuscolo, è Lilith ancora?
E’ forse il suo velo? E’ una nuvola?
Adesso è scomparso. Lilith se n’è andata.
Ora risuona in lui forte e chiara:
“Adamo addio, ormai è successo,
A mai più rivederci, a mai più, da adesso!”
Via per sempre la sua gioia giovanile,
e in pezzi ciò che lo poteva strappare
via dalla polvere. E dal rimpianto
e dalla vergogna l’ira prende slancio.
Dal focolare strappa ardenti tizzoni
E incendia rabbioso tetto e pareti,
la sua roba distrugge.
“Via le inezie!
Sian maledetti fatica e aspirare
Un albero basta, per poterci abitare!”
Ed Eva lo aiuta con mano lesta.
La lira, bella del tocco d’ artista,
dalle dita di Lilith spesso suonata,
adesso scricchiola e gracchia ancora
come un urlo di morte, violenza e paura.
Si sveglia un eco dalla quiete:
Con sbuffi irati, mugghiar di dolore
Irrompe improvviso un uragano
E ravviva le fiamme smanioso.
Poi dal frontone tuona la vampa
Di lato si getta e in seguito l’ampia
Distesa d’olivi con l’olio si beve,
guizzando in alto sulfuree bandiere.
Fuggono i due in colpa e vergogna,
par che l’incendio via via li rincorra
e dove spira il suo soffio bruciante,
si secca e accartoccia ciò che era verde.
E quale orrore! Da ogni tronco
Esce una fiamma a lingua guizzando.
Il bosco cade e rosso bagliore
Avvolge le edeniche pianure.
Parlan tra loro i custodi alle porte:
“Oggi nell’Eden non cala la notte?”
Ma al bordo del prato più remoto
Sta solitario un grosso ginepro
Su cui Sammael dal baglior coronato
alla coppia fuggiasca dà il benvenuto,
che spinta dal fuoco e dal calore
barcollando si sottomette al dolore.
Dall’alto lui ride alla loro unione:
“Vi benedica questa ora d’amore!
Eva, tu figlia del mio ingegno creativo,
esegui fedele il mio intento d’odio,
laddove Lilith con la sua nobile essenza
spandeva la pace che la creazione incrementa,
tu sempre più pesa col tuo sordo bramare
alla polvere, da cui viene, l’uom fai ritornare.
Fertile sarai e ti moltiplicherai,
ma mai un semidio gli partorirai.
E lui per il vano piacere sensuale,
alla terra di cui è fatto inerte ricade.
Quindi godete e questo ascoltate:
dai vostri eredi io avrò pace.
Adesso è silenzio. Si smorza la fiamma,
dal cielo precipita la stella più bella.
C’è solo l’angelo caduto che veglia
Su quella notte nuziale sì empia.
VI
Da un sogno torbido e annebbiato
Si alza Adamo con secco palato,
sospira, ha piombo nelle membra,
cerca Lilith, poiché non rammenta,
Ma come un incubo gli piomba addosso:
Ora ricorda quel che è successo!
E la distruzione, orrore e tremore!
Casa sua era là ove or son rovine.
Il quadrilatero era il camino,
la panca laggiù, il letto vicino
e dove il terreno è più annerito
C’era l’officina –tutto liquidato.
Nei campi dove la furia incendiaria
Le speranze autunnali dissolse nell’aria
Tutto è finito –visione funesta!Animali da pascolo e della foresta
Si strinsero assieme nell’angoscia
E urlando s’immersero nella fiamma.
Il campo dov’essi divenner carbone
Appesta l’aria e brucia le suole,
Capace non è certo più di fruttare.
Tardi il rimorso. Vuoto e deserto
Anche il suo cuore, in cenere arso,
dal quale egli Lilith ha bandito,
e ora e per sempre la gioventù cacciato.
Ed Eva dov’è? Anche lei se n’è andata?
Dovrà lui da solo nella nera rovina
Dimorare fra nere fumanti spoglie ?
Ma no, ché dal fondo della valle,
arriva lei con viso ridente.
Si è mossa presto per cercare il cibo,
visto che il grano l’ha divorato il fuoco,
Anche la manna è seccata nell’incendio,
e l’albero del pane non dà più nutrimento,
eppure allegra gli sventola incontro
un grosso, dorato, maturo frutto.
Come fiorì la donna nella notte!
Il suo sorriso l’umor gli addolcisce,
come il fioco raggio sulla zona triste
che fiacco rischiara ma non trasfigura,
figlio della nebbia benvenuto tutt’ora,
a cui manca il pieno della giornata pura.
“Adesso lodami!” gli fa lei da lontano
“guarda come io per te mi affatico
e non ti faccio mancare ristoro”
“Che frutto è questo? Io lo ignoro.”
“Padrone mio, devi tutto sapere?
L’amica non porta che il boccone migliore.”
“Chi te lo dette?”
“Beh’, il serpente,
che lungo bisbiglia assai dolcemente,
che tante volte si mostrò amico
e mi guidò per il Paradiso,
giacché io ho molto girato,
lungo tutti i sentieri strisciato,
e ne so più di quanto tu pensi.
Per questo da sola la via trovai oggi.
Ci sono due alberi –lo so da tempoIn una radura nel cuore del bosco,
sono protetti da un recinto spinato,
il serpente la strada mi ha mostrato.
Uno è nodoso, come polvere grigio
Somiglia al cipresso, ma è più severo,
e chi ne mangia, vivrà in eterno.
Un altro però verdeggia lì accanto-“
“Lo so. Da sempre è stato dannato,
colui che del frutto suo si è nutrito.
Solo gli angeli ne posson mangiare,
mentre è vietato a creatura mortale.”
“Non angustiarti per il divieto,
davvero il frutto è assai delizioso.
E’ la Conoscenza, così dice il serpente,
Io ne ho serbato per te solamente.
Prendilo e mangialo, ti ristorerai,
Quel che tu cerchi in te tutto avrai,
A me del sapere non importa niente,
e ogni bacca mi sazia ugualmente.”
La sua bocca è assetata, così lo prende
E lo mangia. Ma subito tutto comprende.
Gli si aprono gli occhi e come per magia,
guarda se stesso e la compagna sua.
Quale vergogna, che orrore crudo!
“Ma sono nudo, io sono nudo!
E tu come me! La pelle bianca!
Visione indecente, che mi spaventa.
Vieni con me, che in siepi e cespugli,
nel bosco profondo andiamo a celarci,
di modo che il giorno più non ci guardi.”
“Ahimè, cosa c’è, che cosa ti rode?
Mi guardi come mi volessi ammazzare.
Son divenuti i nostri corpi impuri?
Dei nostri piaceri, ora ti addolori?”
“Taci, silenzio, che io ti risparmio,
rimani pure nel tuo senno tardo.
La Conoscenza fu a me chiara e tremenda,
come la nudità nostra netta e orrenda,
mi ha sopraffatto e maciullato,
la felicità per sempre stroncato.”
“Ehi tu selvaggio compagno peloso!
Vieni, mi attira il tuo manto villoso.
Dammelo tosto o lo prendo a forza.”
La scimmia ovviamente scappa di corsa,
L’uomo balzando le corre dietro,
brandendo un ramo che ha appena spezzato
avido subito l’ammazza e la scuoia,
e la sanguinosa pelliccia rapina.
Rotea gli occhi, gli schiuma la bocca,
orribilmente ulula e mugghia,
più bestia lui della bestia sembra.
Eva si torce le mani e lamenta,
che la follia il suo signore oltraggi,
poi anche lei lo segue fra gli urli.
La caccia continua, dal cuore del bosco
Il triplice grido rimbomba fosco.
*
Dai galleggianti vascelli di nube
Un trasfigurare afflitto traspare,
occhi negli occhi, un fedele pastore,
commisera l’uomo che vuole errare.
“Ahimè, egli vaga in un sogno cattivo,
poiché ha gustato dell’alber proibito
il frutto vietato della conoscenza,
invece di vivere in tutta innocenza.
Fissa sinistro, tristemente assorto,
in grigie maglie densamente attorto,
senza aspirare, senza sperare,
così siede lui, chiuso alla luce,
ogni lavoro ha poi rifiutato,
lo sguardo in dentro ha ripiegato.
Ahimè che può fare la Conoscenza,
a colui che le vette non scalò abbastanza!
-Uom dei dolori, al suo lato
siede colei che empiamente ha sposato,
lei nella tenebra mentale giace,
neanche capisce, quello che fece.
Pensa solo una cosa, solo questo sente,
frugando nel sordo desiderio ardente,
se mai dalle ceneri dei piaceri di ieri
oggi un rimasuglio attizzando scovi.
I distruttori del Paradiso,
udite, udite, cosa si dicon?
Parla la donna: perché a lambiccarci
Su mali da noi stessi prodotti
Sprechiamo il giorno che volge al tramonto?
Lui geme solo: silenzio, silenzio.
-Guardate la folgore nel sereno!
Ecco Jahvè, dall’alto disceso,
che col suo soffio crea o disfà.
Ahimè, ora l’uomo giudicherà,
fratelli, scappate, è la resa dei conti.
Non testimoniate agli umani tormenti!”
Ancora siede nel bosco sacro,
il traviato, a giorno finito,
dove la fiamma omicida arretrò
e il timor di Jahvè sempre abitò.
Dalla fumante distesa deserta,
qui lui si trova con la compagna di colpa,
lui che il delirio guidò per le selve,
sotto l’albero fatale adesso attende.
Come lucido acciaio su per il tronco
Gode il serpente il chiaror del tramonto.
Ma si alza un frusciare, ronzare e stormire,
si china la chioma, di foglie un tremare,
freme nell’aria una muta attesa,
gira il Signore nel giardino, a sera.
“Dove sei Adamo?” Adam sta scioccato,
Dov’egli smaniando s’era appisolato.
Prima, al suon della voce di Dio,
sarebbe subito accorso pieno di brio.
Oggi invece si cela fra i rami,
“Io sono nudo, non vengo se chiami,
e la pelliccia non mi dan gli animali.
Solo un riparo per i miei lombi,
volle la foglia di fico darmi.”
“Che tu sei nudo, chi te l’ha detto?”
“Signore, fu Lilith a farmi sgambetto.
Lei prese i rosei vestiti odorosi,
Che erano nostri, e via li ha portati.
Senza di quelli felice non sono.
Giudica tu: che lei velo per velo,
le indispensabili vesti dia indietro.
La luce variopinta, era la felicità.”
“E’ vero, il riflesso, che tutto bello fa
per Lilith e i suoi figli, era in verità.
Il velo che a Lilith grazioso s’intreccia,
al corpo di Eva inver non si adatta.
All’amata celeste, natur di cherubino,
che io nella polvere, per te, ho mandato,
detti quel velo come unico bene
e la tua fedeltà, a mo’ di bastonema tu hai perduto, lei che aveva il gioiello,
e all’umanità hai portato scompiglio.”
“E tu, il Signore, l’hai fatto accadere?”
“A te deve forse render conto il Creatore?
Ti feci libero, non impedii il male,
ma ciò che è successo, sta a me giudicare.
Ogni sentiero ti stava aperto,
proprio il peggiore tu ti dei scelto.
L’amor che doveva portarti in alto,
di nuovo alla polvere ti tirò in basso.
Chi il primo amore abbandonò
E i doni di Lilith da sé scacciò,
per ottenere i favori di Eva
merita sì, che la sua razza decada.
Eppure Lilith per te ha pregato,
per questo non voglio tu sia eliminato.
A tua salvezza la mia legge ti crea
Una nuova aguzzina, e cioè la miseria.
Hai devastato questo giardino,
non resterà perciò in tua mano.
Ti do’ residenza in più aspro luogo,
non usufruirai di un bel liscio prato,
ma il pane guadagnarai con l’aratro.
In più maledico la tua fatica,
che il campo ti porti spine e ortica!
Bagnerai di sudore i morsi di fame
L’affanno dovrai per cuscino usare.
Intorno a te, come eredi di pena,
fioriscono figli come zizzania,
ché il grembo di Eva, da me maledetto,
a un fratricidio darà nutrimento,
frutto di questa sacrilega notte,
che il sangue fraterno già succhia a morte.
Egli sarà dell’umanità padre,
da lui nella terra si riverserà grave,
in sempre crescente fioritura,
una stirpe immane di lupesca natura,
che mai di Lilith vide il velo,
nutriti di carne, vicini al suolo,
di cui i loro corpi concime poi sono.Inoltre alla fine di tanto soffrire
amaro sarà perfino il partire.
Qui come in sogno e senza alcun pena,
avresti lasciato l’albero della vita,
e ancor nel morir ti saresti specchiato
nei tuoi eredi trasfigurato.
Essi crescendo copiosamente
E superandoti in nobil tendenze,
il tuo lavoro ti avrebbero preso
e a più alta meta poi completato.
Ma non si sciolgon così dolcemente,
i lacci vitali nella terra scostante;
là dove l’essere è tutta una lotta,
anche la morte ha un viso che sciocca!
E tu, mai-voluta, che la mia pianta
Avvelenasti, per me resta in vita,
gran guastafeste, colpevole ignara,
in pena e affanno espierai silenziosa,
con lui e a lui suddita sempre,
ti resta il veleno dell’uomo demente.
Il suo tutto è il tuo niente, che lo consola,
Un vero enigma, guai se lo svela!
E adesso a te, vicino al mio cuore,
che il tradimento volesti tentare.
Odi tu il pianto dei cori fratelli,
per la stella più bella finita a brandelli?
Nella Geenna dei futuri poeti,
io non ti caccio, tu stesso ti rodi,
nel petto covando un inferno privato.
Distrugger la gioia sarà il tuo gioco:
mai il male ti sazia, perciò sei dannato,
in eterno dall’odio dilacerato.
Tu superbissimo, resta serpente,
presso la donna a terra strisciante.
Insegnale l’arte dell’ingannare,
il tuo biforcuto doppiogiocare,
Insegnale come si spezzan le unioni,
finché il bello brutto e il vero falso chiami.
Dove i fratelli l’un con l’altro lottano
E le sorelle per un uomo s’insultano,
promesse si rompono, la lealtà piange,
tu là con la donna gozzovigli, serpente.
Servendo lei sei il padrone del mondo,
la stirpe di Adamo a te io consegno.”
Nel loro orecchio ancor tuona questo,
mentre alla porta con fare incerto
i due colpevoli, uomo e donna,
avvolti stanno in rude pelliccia.
Seguono muti la traccia di fuoco,
del serpente che sibila guidando il paio.
Due pellegrini, due diverse reazioni,
Eva bruciante, ancor nei suoi amori,
mentre abbassa la fronte Adamo,
dalla vergogna per il patto violato.
“Sia benvenuto” dice lui “ogni strazio,
dopo i giorni di orribile ozio,
benvenuto il penare in questa valle di pianto,
speriamo mi sciolga il pensier dal tormento.
Vieni, mia complice, mi resti vicina,
e per mio scorno devo amarti ancora.
Perché tu sei me,
quella parte che abbassa,
l’altra non c’è,
la mia prima letizia.
Si chiude la porta per noi in eterno
seguimi tu, ché ti tenni di conto.
VII
Il sole che brilla e le nuvole frange
Sembra un occhio di vedova che piange.
Guarda la terra con tenue fiamma:
l’affanno dell’uomo che mai si ferma,
capanne di fango nel campo disperse,
il campo che porta una scarsa messe,
e in mezzo a uno sciame di giovani forti
un uomo lui vede, dai capelli bianchi.
Nutre il suo corpo diverse bocche,
e intorno a lui fitta e densa nasce,
una razza rozza, il cui scopo
è soddisfare il corporal appetito.
Lì presso una donna, grigia, rugosa
Da strazii e fatica ormai piegata,
membra decrepite, flosce mammelle,
fonti seccate di passate ebbrezze,
il marchio di schiava sulla fronte china,
ava degli uomini, vizza e sbiadita.
Solo all’urgenza si apre il suo senno,
che all’intera progenie ovviamente ha trasmesso.
Egli però, che su più puro suolo,
Dio lo creò signor del creato,
conserva benché nel giogo alienato
il sigillo d’origine ancora immutato.
Nel corso degli anni, porta senza bestemmia,
irrevocabile la sua condanna.
Mai più da allora egli ha cercato
Il posto da cui Dio lo ha cacciato.
A volte nei lampi durante il maltempo,
scorge severe le spade d’argento
e nella folgore l’edenica porta,
così lui sa che ogni forza sinistra
è combattuta dai guerrier della luce
per il Paradiso, che a lui si chiuse.
Giorni felici, lontani splendete!
Lui a malapena le stelle antiche
Che Lilith mostrò, or riconosce,
e che brillano meste sulla terra di angosce;
i loro nomi ha già scordato
con tutto ciò che ha là posseduto.
Il suo cuore è come una foglia vizza,
per il ricordare ormai troppo fiacca.
Solo allorché sul ciglio del campo
I pallidi anemoni sbocciano intanto,
in mente gli torna, come nel sacro bosco
i loro fratelli fiorivano folto;
Quando poi vede l’arcobaleno
Fugge colpevole e abbassa il viso.
Eppure di notte gli capita, in sogno,
che la morta gioia si svegli di botto.
Poi vede lei, da tanto lontana,
come graziosa ogni mattina
sui suoi piedini scattanti e veloci
si bilanciava sui di lui piedi
tutta slanciata fino alle labbra
che miele succhiavan a mo’ farfalla.
Il volto sincero e senza bugia
Ché,come nell’angelo lì traspariva
Ogni pensiero suo luminoso
Il cui fulgore irradiava copioso.
La voce di lei tutt’ora gli suona
Che “caro” diceva, una parolina
In cui un coro di lodole era,
che libero in monti e valli vibrava.
Ringiovanente gli scorre le membra,
l’antica forza e primiera innocenza,
il velo di lei che l’aria riempie
nell’azzurro profumo alto si tende,
loro lì sotto giovani in fiore
per gioco litigano e fanno la pace.
Quiete, da archi di vario colore
Li osservan serafiche creature.
Le bacia lui i piedini argentati
Si avvolge nei suoi capelli dorati,
egli è tutt’uno con la sua gioia,Guai a quel dì che buttò tutto all’aria.
Di fronte al ricordo della sua giovinezza,
la vita di ora è il doppio più fredda;
La terra gli ansima nebbia e fumo
Rispetto al suo primo, celeste respiro.
Ma il sogno neppure può trattenere
Che subito il nastro si viene a spaccare
Ed egli la fine è costretto a vedere:
l’ultima, drastica sua apparizione,
accesa di fuoco dai piedi alla testa!
Straziante l’addio ancora gli resta,
L’“a mai più rivederci” dalla sua bocca.
Si avvia a lavorare senza speranza,
la coppia di arieti col giogo barda,
il proprio terriccio scontento solca,
sprezzante ogni fiore frattanto pesta,
che il maggese gli porge amico
ma che non viene dal Paradiso!
Dietro all’aratro, un ragazzo ostinato,
il primo dal grembo di Eva uscito,
Orgoglio di lei e a lei solo devoto,
fu concepito tra l’edenico fuoco,
per questo non trova il favore del padre.
Sulla sua fronte una stella arde,
marchio sanguigno come di fiamma;
forse ricorda che lo fece la colpa?
Forse preannuncio dell’orribile azione?
Sparge con mano veloce il seme
Ma brucian selvaggi in quegli occhi scuri,
pronti all’azione, i suoi desideri.
Nella sua astuzia, forza e scaltrezza,
la cura domestica or gli va stretta,
egli con cupo giudizio disprezza,
lo zelo paterno, la fraterna mitezza
che sotto il suo tetto placida alberga.
Quella capanna, che rabbioso spartisce,
la magra mensa, priva di carne,
son per Abele, assai sufficienti.
Caino però, vuol godimenti,
la caccia, il banchetto, il favor delle donne,
bevande alcoliche, una veste elegante,
Tessuti pregiati di man femminile,
Inoltre i fratelli lo devon servire,
scossi dal suo minacciar signorile.
Al nom del Signore non rende lui onore,
appena rispetta la pietà filiale.
Fin da neonato le bestie tortura,
trapassa uccidendo foresta e pianura,
trappole e lacci dispone ed attende,
a casa trascina la preda nel sangue.
Fu il serpente a seguirlo solerte,
ad insegnargli sapere ed arte,
ad affilare le frecce e la scure,
a sottomettere le creature.
Pur tuttavia ottenuto anche questo,
lui mai si sazia, neppur nell’eccesso.
Tale rampollo del suo stesso sangue,
Adamo guarda e il cuor gli si stringe,
poiché nel figlio, come rispecchiato,
lui riconosce il suo Io più malvagio,
che lui in instabile temperamento,
crescer lasciò come un fiore orrendo.
Sol la paura della forza del padre
Frena le voglie del figlio feroce,
però non per molto. La mano che adesso
sparge ubbidiente la pia semente,
che farà domani? Cosa, in futuro,
seminerà, quando il padre è in declino?
La prole restante è fiacca e pigra,
sicuro non cerca una propria strada,
e anche in loro lui vede se stesso,
non disperato, comunque depresso.
Adamo vorrebbe al più alto aspirare,
che egli mancò, i figli incitare
ma essi seguon le orme materne,
il proprio interesse è il loro orizzonte.
Attinge e riattinge nel vuoto eterno,
Il cielo gravoso aumenta il suo piombo,
nessuno dei figli conosce per niente
la valle fiorita eternamente,
che il padre un giorno avrebbe innalzato,
se lui non avesse il suo seme tradito,
perché i genitori non ne fanno menzione.
In tutta, però, la loro progenie
Vive presaga e pien di dolore
Questa ineffabile nostalgia,
di una terra più bella e pien di poesia.
Anche al più misero fra tutti loro,
è apparso in sogno il Paradiso.
Terra, ora trema e mettiti a lutto
Fiori ed erba, inaridite!
Sopra le zolle insanguinate,
la prima morte ha fatto ingresso.
Udite il lamento del povero anziano,
in penitenza tutto velato:
Ciò che Jahvè ha profetizzato,
ahimè, adesso tocco con mano!
Orrendamente doveva accadere.
Oh, che la terra mi abbia portato,
là dove con omicida mano
un fratello l’altro doveva colpire!
Guai a questa maledetta razza,
figli e figlie, nessuno escluso,
che sotto leggi di orribile peso,
sconta la prima, grande caduta!
Ancora si fila e ancora si tesse,
di colpa e orrori una nuova tela.
Salgono per la sanguinosa scala
Gli eredi di quella sacrilega notte.
Nel corso di eoni li puoi sentire
in mezzo ai peccati contro il cielo urlare,
Maledizione è il ricompensare
Che l’adamitico ceppo ottiene.
Questa è la morte! Venite e guardate!
Di fronte a lei, le bocche gelate.
Il grande enigma, che fu presagito,
ma ancora non visto; chi le ha spianato
la via verso il cuore di loro fratello?
Era Abele ammalato? Aveva un rovello?
Dorme tranquillo – no, è insanguinato.
Sangue, sangue, la terra ha bevuto.
Buona bevuta. Stranamente dolce!
Sebbene pesa! Ancora ne vuole!
I figli di Adamo pallidi stanno.
Questo il fratello? Non è mica quello,
il volto del tutto inanimato,
fisso, immutabile, così silenzioso.
Un sasso sarebbe meno grave e freddo.
Forse il suo ritratto. Ma dov’è lui adesso?
Ahimè, nelle grinfie della morte sorda.
Egli è via, mai più dunque ritorna?
Ognuno chiede, ciò che non sa nessuno.
Rabbrividendo, in cerchio si chiudon.
-Sorella, tu piangi?
Così giaceranno i genitori nostri
Ed io, e tu, e un giorno noi tutti.
Il vecchio cade in ginocchio pregando,
la madre piano piagnucolando,
non per il morto, ché da parte sua,
giacessero tutti in quella maniera,
non piangerebbe una lacrima sola,
avesse con sé il primogenito ancora,
Colui che, errante in solitario rimorso,
solo il serpente ha come compagno.
E’ il suo favorito fin dalla culla,
prova vivente della sua vittoria,
allorché lei con la sua seduzione,
l’uomo da Dio riuscì a separare.
Ciò che era il volto del giovane padre,
ora è il figlio -suo idolo e luce.
Per quale motivo il fratello uccise?
Per i sacrifici, la lite si accese?
Ma no, fu la donna! La donna, di nuovo!
La figlia di lei dal candido corpo,
che scelse per sé il mite pastore,
al quale Adamo volentieri la diede.
Odia ora la figlia, da lei partorita,
che fu l’inizio di dolori e fatica.
E Adamo dà il primo colpo di vanga.
Proseguono i figli. Alla tua propria razza,
apriti, terra. Al virgineo regno
essi affidano il primo morto.
Gabriele:
Ti saluto, o esiliato nell’espiazione,
padre degli uomini, in segno di pace.
Ancor mi riconosci? Io te a malapena,
sorgente e immagine di ogni pena!
Sei assai tramutato, dalla tua creazione,
quando di fronte a te si smorzò il mio fulgore!
Adamo:
I tratti dell’angelo, li risparmia il dolore,
libero sta nelle eteree dimore,
sono i millenni, per lui, un secondo,
Cosa ne sai tu dell’invecchiamento?
Gabriele:
Lo vedo. –Fin’ora mai l’avevo visto.
Adamo:
Neppur’io la morte. Venne all’improvviso
E il figlio rubò dalla dimora paterna.
Era la Sua Volontà, o luminosa essenza?
Gabriele:
Così era scritto. Ora è il tuo momento.
Adamo:
La Sua Vendetta, faccia ciò che è richiesto.
Si china il mio capo –sono vecchio e stanco.
Di farla finita, lo spero ora tanto.
Del brutto sogno della Sua Creazione,
in bocca mi resta un amaro sapore.
Gabriele:
Accusi tu il Cielo come un giusto tu fossi,
Laddove da solo tu ti rovinasti?
Seminatore del popol futuro,
su quale terreno hai seminato?
Non puoi negare ciò che hai fatto,
il peso terrestre troppo ti ha tratto
e ancor di più la cara comare,
il pezzettino delle tue membra amare.
Or tutto questo nei tuoi figli agisce,
cupa ignoranza, istinti e morte.
Le ali dell’anima, Dio ti dette,
Figlio del fango, dove le hai messe?
Il ventre è il tuo Dio. Salvezza nel morso,
che ruba un fratello all’altro più tardo,
rapace egoismo, pronto all’assalto
affonda la zanna nell’onestà dell’altro.
Razza aggiogata nell’avidità,
orrore che sempre nuovo si fa,
un affaticarsi senza requie o pace
un affannarsi, per quale fine?
Dimmelo un po’, per quale fine?
Adamo:
Vieni tu a rendere doppio il patire?
All’affanno di oggi, il futuro mostrare?
Gabriele:
E poi tua figlia –falso prodotto!
Del patto tradito pregiato frutto!
Nata dall’ora della voglia turpe,
con miele aspersa la lingua di serpe,
le sue carezze, il suo civettare,
il viscido intorno al padrone ronzare,
di modo che egli di lei s’infiammi,
il suo serpentino tessere inganni,
finchè vero e falso neanche Dio separa.
Sbornia dell’uomo, diretta alla preda,
del noto serpente ubbidiente scolara,
ecco la donna, che ‘madre’ Eva chiama!
Adamo:
Tu sei venuto, a eliminar la mia razza.
Compi il tuo ufficio, Dio è giustizia.
Gabriele:
Ti sbagli. Arrabbiato lui non mi manda,
ma portatore della sua Grazia.
Vedi tu l’arco di pace innalzato,
che la tua terra ha trasfigurato?
Perché di Lilith niente mi chiedi?
Adamo, tu taci, e il volto chini?
Eppure io leggo la muta richiesta.
Solo il Maestro,sa dov’è nascosta.
Nell’Eden di lei è rimasta leggenda,
ricordo amorevole di primavera,
e quando l’arcobaleno splende,
dicono i piccoli:’Lilith piange.’
Eppure partendo un dono ha lasciato,
per te, sebbene immeritato.
Ascolta: il suo grembo fu benedetto,
da lì nacque un caro bimbetto.
Adamo, è quello il tuo vero figlio
A cui tutti gli angeli rendon servizio.
Nel Paradiso io l’ho portato,
i Cherubini gli hanno insegnato,
morbide pecore dai velli d’oro,
giocan con lui e lui con loro.
Gli pettina i riccioli un Serafino,
e della madre gli parla un pochino;
Gli occhi del bimbo son pieni di sole,
A tratti lo turba un sogno di dolore,
che, generato dal materno cuore,
vela leggero tale splendore.
Adamo:
Vederlo, la madre poter salutare!
In pace allora me ne potrei andare!
Gabriele:
Vederlo purtroppo non ti è concesso,
Ti basti la gioia, che sai di lui adesso,
tu devi morire, prima che scenda.
IL Creatore gli allunga l’infanzia,
e quando il tempo sarà compiuto,
ai suoi fratellastri in segno d’aiuto
lo manderà, in una culla terrena,
di modo che lui, pieno di luce,
guida sarà nelle loro ore cieche.
Egli riporta, ciò che a voi è scivolato,
il velo di Lilith colorato,
che tutto ciò su cui si posa
in cieli di luce rischiara e solleva.
Quando l’umanità, che tardi impara,
al compimento più si avvicina,
la benedizione, che egli porge,
spesso inumidirà con sudore e sangue.
Poiché la battaglia lo circonderà
E per le sue imprese lui assai soffrirà.
Schiaccerà il serpente con il suo piede,
ma questo, ahimè, gli morderà il tallone.
Ché i figli di Eva, al giogo piegati,
odiano dal profondo gli illuminati.
Lo incateneranno, l’ostacoleranno,
alla gogna e al macello lo condanneranno.
Invano! Perché dopo l’ultima lotta,
Il sangue di Lilith regnerà sulla terra.
Non chiedermi come: l’Unico e Trino,
L’Illimitato, insondabil Mistero,
attraverso i pericoli, con il Suo Potere,
la stirpe di lei saprà mantenere.
Ogni qual volta l’andar della terra
È bisognoso di una qualche svolta,
nella tenebra ottusa risveglia Lui
uno che viene dal sangue di Lilith.
Egli un segno di riconoscimento ha:
la logica del serpente non lo circuirà.
Con la fiducia dell’eterno fanciullo,
così starà lui accanto al fratello,
senza i lacci del male vedere,
che vengono messi attorno al suo piede.
Lui vede il mondo che, semplici e puri,
all’inizio splendette ai suoi genitori.
E continuerà egli sempre a tornare,
croce e martirio non lo san spaventare.
Come scienziato cercherà nelle sfere
La verità dell’insostenibile Luce,
guiderà la nave tra i flutti deserti
e “Terra!” dirà al cuor degli incerti.
Verrà condottiero,quando il popolo è esangue
Veggente verrà, se la fede si spenge.
Coi lampi dorati dei poeti sognanti,
della terra empirà i più cupi spazi,
e traversa scrosciando le mondane miserie,
con l’impetuosa armonia delle sfere.
Poi dallo smacco della schiavitù sensuale,
strappa i fratelli, verso pure atmosfere.
Sempre lui sale, senza paura,
ogni piolo della vorticosa scala,
mentre l’orecchio ancor gli risuona,
della mezza afferrata Prima Parola.
Sempre più prossimi gli spazi splendenti,
sempre più forte il canto dei mondi,
finché lui appare dinanzi all’ Eterno,
il fior dell’Umano, il glorioso tuo figlio!
*
L’angelo sale, e col suo colpo d’ali
Trascina di Adamo i finali respiri!
Ma intorno alla madre,lagnosa in un canto,
si stringe lo sciame, che la venera tanto:
“Ascolta tu il nostro giuramento:
pronti noi siamo
a perseguitarlo con lama e veleno,
Col tradimento, che nero colpisce,
della sua cenere farci le beffe.
E le sorelle nostre:
ascolta il lor voto;
Col fascino vogliono
Il suo cuore annebbiato,
Con carezze e lusinghe
Nell’eccesso indurlo
Lasciarlo, cacciarlo,
nell’abisso annegarlo.
Ascoltaci adesso tutti insieme:
anche se ardessimo in mezzo alla lite,
Appena il figlio di Lilith appare,
come nostro nemico lo farem catturare.
Contro lui armati,
ci opporremo riuniti,
per allontanarlo dai suoi stessi scopi.
Madre consolati, e tira avanti,
lui è uno solo, noi siamo tanti.”
V. Commento e interpretazione del testo
V.1. Premessa
Dopo i riferimenti biografici, le notizie mitologico-folcloristiche la rassegna di
alcuni dei più significativi antecedenti letterari -e anche la menzione di qualche
successiva rielaborazione del mito di Lilith- esaminiamo dunque più da vicino il testo
della Kurz.
Premettendo che la letteratura concernente Die Kinder der Lilith non è molta, partirò
(e terminerò) con i pochi studi disponibili per ricavare alcune tracce di discussione ed
eventualmente approfondire alcune tematiche che vengono solo velocemente
proposte o sfiorate. Per lo più si tratta di letture di stampo femminista, ma che
possono aprire interessanti prospettive e campi d’indagine anche a livello
psicologico, estetico e spirituale.
Da un punto di vista formale, ci troviamo di fronte un epos in versi, ossia un tipo di
poesia narrativa che, secondo la Roebling, segue la tradizione di Heine, Wedde e
Hugo:
Von Heine, Wedde und auch Hugo inspiriert könnte die Form des Versepos sein, von Anatole
France eine in der Tradition des Talmud liegende starke Bindung an den Mythos als Realität des
Wortes und seine Deutung. Dichterisches Sprechen hat in dieser Tradition inhaltlich und strukturell
immer den Charakter von Transzendentalpoesie, und Figuren wie Lilith erscheinen wie Versuche,
im mytho-poetischen Sprechen sich einer neuen (geschlechtesspezifischen) ‚transzendentalen
Menschenkunde’ anzunähern.121
Del resto, il racconto dell’origine del mondo e della creazione dell’uomo costituisce il
tema prediletto di tutte le grandi epiche delle varie culture. Difatti il linguaggio
poetico è stato spesso considerato l’ultima tappa prima dell’ineffabile e quindi la
prima chiave ermeneutica dell’universo e dell’esistenza. Alcuni degli autori
occidentali che hanno seguito tale tradizione ripercorrendola in senso cristiano, sono
naturalmente Milton, col suo celeberrimo Paradise Lost, e Klopstock col suo
monumentale Messias.
L’epos della Kurz è in realtà assai breve, costruito con versi di metro variabile,
prevalentemente a rima baciata, anche se talvolta troviamo la rima alternata, quella
incrociata o anche versi non rimati. Tali variazioni ricorrono spesso in punti del testo
che esprimono un forte pathos o comunque grande tensione: per esempio la parte
finale del brano che tratta la fuga di Lilith da Adamo e la sua perigliosa ascesa sulle
montagne presenta qualche mutazione nello schema rimico, la cui irregolarità
121
I. Roebling, op. cit., p. 175, “La forma dell’epos in versi può essere stata ispirata da Heine, Wedde e anche Hugo,
mentre da Anatole France proviene il forte legame col mito radicato nel Talmud; un mito inteso come realtà della Parola
e della sua interpretazione. Il parlare poetico ha sempre, in questa tradizione, contenutisticamente e strutturalmente il
carattere di poesia trascendentale, e figure come Lilith appaiono come tentativi di avvicinarsi, col linguaggio mitologico
e poetico, ad una nuova conoscenza dell’umanità, in questo caso specificamente riferita al rapporto tra i due sessi.”
restituisce effettivamente il senso di conflitto, dolore e confusione della protagonista.
Oppure troviamo cambiamenti metrici e di rima al momento dell’annuncio di Lilith
ad Adamo della sua esperienza mistica nelle più alte sfere. In altre occasioni, tuttavia,
le variazioni non si legano a un evidente corrispondente contenutistico e sembrano
piuttosto un’ elegante scelta stilistica per introdurre movimento e vivacità su un piano
puramente formale.
Ma sentiamo direttamente come l’autrice spiega e presenta brevemente la sua opera:
So schrieb ich das Gedicht “Die Kinder der Lilith”, worin ich versuchte, die Züge der Sage zu einer
Erklärung des Weltplans und seiner Widersprüche umzudeuten.
Gott war im Laufe der Äonen seiner wandellos vollkommenen Engelscharen und das ewig gleichen
Ganges aller Dinge müde geworden. Jetzt lüstet ihn nach dem Unvollkommenen, nach Werden,
Wachsen und Vergehen, er schafft die Pflanzenwelt und alles Getier der Erde, aber sie befriedigen
nicht seine Sehnsucht nach einem Wesen, das wie er das All in der Brust trüge und würdig wäre
sein Gefährte zu sein. So bildet er aus einem Erdenkloss den Menschen und gibt ihm den holdesten
seiner Geister, die lichte, leichte, mit Sternen wie Seifenblasen spielende Lilith zur Gefährtin, dass
sie mit tausend Lieblichkeiten und Launen den erdenschweren Adam zu schöpferischem Tun
ansporne. Aus dem täglichen verliebten Zwist und der Wiederversöhnung der beiden entstehen die
Anfänge der Kunst, und es scheint, als sollte der Mensch das Ziel der göttlichen Absicht im Fluge
erreichen. Aber mit der von Gott nicht gewollten Eva tritt ihm ein Hemmnis in den Weg, das den
Entwicklungsplan durchkreuzt. Als ein Stück von Adams Körper, dem er gezwungen ist,
anzuhangen, zieht sie ihn in seine sinnliche Trägheit zurück und zerstört den ersten jugendholden
Liebesbund. Lilith, an dem entarteten Adam verzweiflend, entflieht, und Eden, die Stätte ihrer
Jungen Seligkeit, geht in Flammen auf. Der Mensch, auf die Erde verbannt, muss mit der Menschin
ein sinnliches, wölfliches Geschlecht erzeugen, in dem sich Schuld und Strafe unauflöslich weiter
verketten, bis der Schöpfer seinen Plan auf langen Umwegen durch die Nachkommen der Lilith
doch ans Ziel führt. Ihr im Paradies geborener, durch Seraphim aufgezogener Sohn ist es, den Gott
je und in neuer Verkörperung als Führer seiner geringeren Brüder zur Erde schickt, gegen den sich
aber auch die Kinder der Eva im voraus zusammenrotten: „Er ist Einer und wir sind viele“.122
Già da questa succinta esposizione possiamo dedurre alcune linee basilari del
pensiero kurziano. Una di queste è rappresentata dalla visione estetico-erotica della
vita, che richiama molto l’ideale platonico del Bello e dell’Amore come scala
ascensionale verso l’Uno; a questa si affianca l’idea di un’evoluzione a spirale verso
122
I. Kurz, Die Pilgerfahrt nach dem Unerreichlichen, p. 478 e seg., „Così scrissi la poesia ‚Die Kinder der Lilith’,
dove tentai di reinterpretare i tratti della leggenda per spiegare il piano del mondo e le sue contraddizioni. Dio, nel corso
degli eoni si era stancato delle sue immutabili schiere angeliche e del corso delle cose eternamente uguale a se stesso.
Adesso ha voglia d’incompiutezza, del divenire, del crescere e trapassare; egli crea il regno vegetale e tutti gli animali
della terra, ma essi non soddisfano il suo desiderio per un essere, che come lui porti il Tutto nel petto e sia degno di
diventare suo compagno. Così forma l’uomo da una zolla di terra e gli da’ come compagna il più nobile dei suoi spiriti,
la luminosa, leggera Lilith che gioca con le stelle come con bolle di sapone, di modo che lei con migliaia di coccole e
capricci stimoli il terrestre Adamo all’agire creativo. Dalle liti e riconciliazioni giornaliere dei due nasce l’arte, e sembra
che l’uomo debba raggiungere la meta dell’intento divino in un attimo. Ma Eva, non voluta da Dio, entra come un
ostacolo sul percorso, interferendo con il piano dell’evoluzione. Essendo un pezzo del suo stesso corpo, al quale lui è
costretto ad attaccarsi, lei lo trascina di nuovo nel suo torpore sensuale e distrugge il precedente legame amoroso. Lilith,
dubitando dell’uomo ormai degenerato, fugge, e l’Eden, il luogo della loro felicità giovanile, va in fiamme. L’uomo,
bandito sulla terra, deve generare con la sua compagna una stirpe materialista e lupesca, nella quale colpa e punizione
s’intrecciano indissolubilmente, finché il Creatore porta a compimento il suo piano per vie traverse grazie ai discendenti
di Lilith. Suo figlio, nato in Paradiso ed educato dai Serafini, è colui che Dio manda sulla terra in sempre nuove
incarnazioni e personificazioni, in qualità di guida dei suoi fratelli minori. Contro di lui però già in anticipo si
coalizzano i figli di Eva: ‘Egli è uno, e noi siamo molti’.”
sempre più alte forme di manifestazione dell’Essere. Lilith viene dunque
completamente capovolta da principio involutivo e distruttore a forza luminosa che
trascina in alto e in avanti l’intera creazione. Quest’ultima, vedremo, si svela
soprattutto in termini artistici-estetici in quanto ‘musica’, ‘armonia’, ‘parola
creatrice’. Ma ciò verrà approfondito nell’analisi più dettagliata del poema stesso.
V.2. Incipit: la creazione del mondo e dell’uomo
Il nostro poema si apre in tono solenne con l’attività creatrice del Logos divino. Una
vibrazione, un ribollire attraversano “la gloria celeste”, elemento questo, che nei versi
seguenti assume caratteri sempre più spiccatamente femminili, come “Schoss”,
“kreissendem” e “Wellenstoss”. Con la definizione di “Chaos” ci avviciniamo forse a
una cosmogonia di tipo gnostico-ermetico che vede nel Caos-Abisso-Vuoto
primordiale la potenza, la matrice e lo spazio metafisico di attuazione della stessa
manifestazione logoica. Leggiamo infatti all’inizio del Poimandres:
…regnava un’oscurità discendente, spaventosa e tetra, avvolta tortuosamente a spirale e, da quel
che si poteva presumere, simile a un serpente. Quindi l’oscurità si mutò in una sorta di natura
umida, indicibilmente turbolenta, che sprigionava fumo come ne esce dal fuoco e produceva una
specie di suono, un gemito indescrivibile. Da quella scaturì poi un grido di richiamo, ma
inarticolato, simile – per quanto potevo immaginare- a una voce di fuoco. Dalla luce un Logos santo
coprì la natura umida […] E quella luce disse: ‘Sono io, il Nous, il tuo Dio, colui che è prima della
natura umida apparsa nell’oscurità.’123
Non una creazione ‘ex nihilo’ quindi, bensì una creazione ‘in nihilo’ la cui
processione sarebbe dunque Vuoto-Luce-Materia, laddove il Vuoto iniziale, potenza
del Tutto, presenta nella Kurz connotazioni chiaramente materne e femminili. Lo
Spirito emerge dal Caos stesso trasformandolo nelle famose ‘acque’ bibliche,
fondamento della creazione come noi la conosciamo.
Questa scena iniziale viene ripresa dalla prospettiva delle schiere angeliche e delle
potenze generatrici (Serafini, Cherubini e Elohim) che non si sanno render ragione di
questa improvvisa attività di Dio-Logos. Egli, preso da “göttliches Ungenügen”,
decide di abbandonare il suo riposare in se stesso nell’eternità per svelarsi come
Demiurgo produttore dello spazio-tempo, del divenire, dell’imperfetto e
dell’incompiuto. Dio immagina se stesso come ‘in fieri’: il prodotto di tale pensiero
divino è l’uomo e la forza trainante di tale sviluppo, vedremo, è appunto Lilith.
Tornando però a considerazioni di tipo più specificamente formale e letterario, la
Roebling osserva come il carattere utopico del messaggio del poema, ossia l’ideale di
123
Ermete Trismegisto, Poimandres. In: Corpus Hermeticum, Biblioteca Universale Rizzoli, Milano, 2001, p. 59-61.
un una donna-guida che attira e spinge l’uomo alla sua attuazione in Dio, si riflette
innanzitutto nella scelta di una prospettiva ‘neutra’, né maschile né femminile, cioè
quella angelica. La creazione di Adamo e il suo primo incontro con Lilith vengono
narrati attraverso gli occhi di una coppia di angeli giovani e birichini che hanno
spiato dall’alto di un albero il lavoro del Creatore. La Roebling commenta:
Formal wird die Utopie durch die Verlagerung der Erzählperspektive auf die Engel realisiert, aus
unserer Welt hinaus in ein menschliches Nirgendwo also. Wird doch mit der Engelsperspektive
sowohl die männliche, wie die weibliche Weltsicht -die beide von den Deformationen des
Patriarchats betroffen sind- umgangen zugunsten einer quasi androgynen oder
vorschöpfungsmässigen vorurteilsfreien Sicht.124
Questo punto di vista viene utilizzato dall’autrice con sapiente flessibilità, talvolta
sotto la forma di monologo interiore, talvolta di racconto vero e proprio, talvolta va
indovinato indirettamente all’interno di riflessioni e delucidazioni di più ampio
respiro. La nota fondamentale di tale prospettiva resta comunque lo stupore di fronte
alle cose viste e successe, cosicché il mito stesso si raddoppia nella narrazione di sé
stesso.
La creazione di Adamo segue le coordinate bibliche dei primi capitoli della Genesi,
con Dio che modella un pezzo di terra a sua immagine e somiglianza -sebbene “ganz
im Groben nur”- e gl’insuffla l’alito vitale. Molto interessanti sono i tre versi che
descrivono il primo processo cognitivo di Adamo da pura materia fisica, istintuale ed
emozionale a individuo:
Vom ganzen wimmelnden Gewühl,
Seine Brust berührend er sondert sich
125
Und findet das erste Wörtlein: Ich!
E’ l’individuazione: la nascita e quindi separazione del principio di coscienza
individuato e non a caso maschile (Adamo) dal resto del creato, dalla Madre TerraMateria con le mille voci dei suoi regni elementari, vegetali, animali.
Tale processo viene osservato “mit leuchtendem Angesicht”, ossia con gioia dal
Demiurgo, poiché si tratta di una tappa indiscutibile nel cammino dello Spirito da
‘natura addormentata’ e pura potenza a
perfetto atto di autocoscienza e
autotrasparenza. L’uomo si situa dunque a metà strada tra Materia e Spirito. E’ una
concezione dinamica dell’universo, che viene visto come una catena di creature
gerarchicamente ordinate secondo la loro più o meno ampia consapevolezza della
divinità e comunque tutte in moto verso di essa, ad eccezione degli angeli, statici
nella loro perfezione. Tutto questo ricorda molto le speculazioni ermetiche e
neoplatoniche di un Pico della Mirandola e di un Goethe ed esse verranno ancor
meglio precisate nel dialogo tra Dio e l’arcangelo Samaele-Lucifero.
124
I. Roebling, op. cit., p.181, “Formalmente l’utopia viene realizzata con lo spostamento della sugli angeli della
prospettiva narrante, fuori dal nostro mondo e dunque in un umano ‘nessun luogo’. Grazie alla prospettiva angelica, sia
la visione del mondo maschile che quella femminile –entrambe affette dalle deformazioni del patriarcato- vengono
evitate a favore di un punto di una focalizzazione quasi androgina o comunque precreazionistica e libera da pregiudizi.”
125
I. Kurz, Die Kinder der Lilith, p. 305.
V. Entra in scena Lilith
Per facilitare all’uomo il resto del percorso evolutivo, ecco che Dio gli pone accanto
Lilith, definita dagli angeli spioni “der lieblichsten Wunderbild”, e della quale non
riescono a vedere la genesi, né a penetrarne il mistero. Si limitano quindi ad una
descrizione esteriore di tale apparizione e del suo impatto su Adamo.
Es strahlt wie Paradiesmorgen,
vom Scheitel fliesst ihm Sonnengold,
Zwei Flüglein hat’s noch auf gerollt,
Wie junge Blätter unentfaltet,
sonst ist es Adam gleich gestaltet
Und anders doch und feiner viel
126
Ein schlanker, beweglicher Blumenstiel.
E’ interessante notare come, già al suo ingresso in scena, Lilith si mostri chiaramente
come creatura ibrida fra cielo e terra: i suoi attributi angelici sono senz’altro la
luminescenza, l’irraggiamento (“wie Paradiesmorgen”) e le ali. Tuttavia, già
quest’ultime vengono paragonate a “junge Blätter”, e il suo corpo snello viene
assimilato a un “beweglicher Blumenstiel”. Questo ricorrere di elementi appartenenti
al regno vegetale sottolineano dunque la connessione col mondo terrestre e materiale,
di cui Lilith incorpora il ‘fiore’, la più pura ‘quintessenza’. Senza queste
caratteristiche ‘terrene’ probabilmente Adamo non la riconoscerebbe
immediatamente come propria ‘Gefährtin’ e non tenterebbe inconsciamente
d’imitarla:
Den Hals gereckt, auf Zehen schwebend,
Die Arme wie zwei Flügel hebend,
127
so turnt er vor ihr auf und nieder
Dunque Adamo cerca di conquistarla ma ne è lui medesimo conquistato, le si prostra
davanti, le abbraccia le ginocchia, la prega e la adora fra lo sgomento degli angeli che
lo giudicano idolatra ed empio. Adamo infatti „sieht den Schöpfer nicht \ Er sieht nur
Liliths Angesicht“.
Secondo l’ottica storico-femminista con cui ha impostato la propria analisi, la
Christow scrive riguardo a questa scena:
Isolde Kurz lässt also neben dem Adam ein liebliches weibliches Wesen entstehen, dem der Mann
sogar ergeben ist. Für ihre Zeit ein absolut revolutionärer Gedanke, da das Herrschaftsmonopol, wie
schon berichtet, unangefochten den Männern zustand, während die Frau auf die drei K’s –Kinder,
Küche, Kirche- festgelegt war. [...] Lilith ist den Engeln gleich, während Adam als träger Gefährte
126
127
Ibidem, p. 306.
Ibidem, p. 306.
erscheint. Diese Sichtweise steht im absolute Widerspruch zu der gängigen Vorstellung von Lilith,
128
dem weiblichen Dämon.
Infatti Dio benedice complice tale comportamento e tale unione, sancendo così
indirettamente la natura e l’essenza divina della stessa Lilith, che già in questo primo
passo inizia a configurarsi come Sophia, l’Eterno Femminino, o la donna-angelo dei
Fedeli d’Amore e del Dolce Stil Novo. Da un punto di vista occulto e psicologico si
potrebbe dire che Adamo rappresenta la personalità umana costruita sul senso dell’io,
sul senso del limite e sul possesso e quindi incapace di comunicare direttamente con
il ‘totalmente Altro’ della divinità. A tale scopo viene provvisto di una ‘Vermittlerin’
, anima o sé superiore, capace di guardare contemporaneamente sia alla sfera
prettamente individuale che a quella universale o transpersonale.
Vedremo comunque che la Lilith della Kurz riassume in sé tutti le ipostasi ‘positive’
dell’archetipo del femminile, dalla Signora delle Piante e degli Animali, alla Musa
ispiratrice, fino appunto alla divina Sophia. Al contrario, i lati elementari, statici,
passivi e maliziosi di tale archetipo troveranno espressione nella figura di Eva,
materializzazione e specchio dell’ ottusità e passività insita nella stessa personalità di
Adamo. Già da ora si può preannunciare la seguente proporzione: Lilith è specchio
ricevente e riflettente del volere divino nella stessa misura in cui Eva sarà riflesso
dell’arroganza e ignoranza di Adamo.
Ma torniamo al punto dove eravamo rimasti. Siamo al primo incontro di Lilith e
Adamo, al momento in cui, sotto gli occhi compiaciuti di Dio, sboccia il loro
giovanile amore. Esso trova il suo compimento nella “Veilchengrotte” che, secondo
le analisi di Neumann129 attinenti alle connessioni tra il Femminile e la sua
simbologia, rimanda alla donna-contenitore, al vaso alchemico della trasmutazione
delle sostanze pesanti in elementi leggeri. Effettivamente la notte nuziale di Adamo e
Lilith, come osserva ancora la Roebling nel saggio citato, ricorda molto l’antico rito
dello ‘hieros gamos’, connotato dalla partecipazione cosmica di tutto il creato in
questo amore dalla valenza sacra e universale:
Das war ein Schauern, ein Entzücken,
Ein Umhalsen und an den Busen drücken
Und andere närrische Dinge mehr.
Die Nachtluft wird von Seufzern schwer.
Lilith! Hallt’s von der Bäume Zweigen,
Lilith! Lächelt der Sternenreigen,
Lilith! Duftet der Blütenbaum.
130
Adam! Haucht’s leiser, wie aus dem Traum.
128
S. Christow, op. cit., p. 90-91, “Isolde Kurz fa apparire accanto ad Adamo un adorabile essere femminile al quale
l’uomo è addirittura devoto. Un pensiero assolutamente rivoluzionario, per la sua epoca, visto che il monopolio del
dominio, come già riportato, spettava incontestabilmente all’uomo, mentre la donna era relegata alle tre ‘C’ –chiesa,
cucina, cura dei figli. […] Lilith è uguale agli angeli, mentre Adamo appare come compagno più pigro. Questa visione
sta in assoluta contrapposizione con la corrente rappresentazione di Lilith, il demone femminile.”
129
E. Neumann, op. cit., p. 48 e seg.
130
Die Kinder der Lilith , p. 308.
Lo ‘hieros gamos’, in origine, simboleggiava la sacra unione di cielo e terra, laddove
il polo maschile rappresentava il principio attivo e luminoso e polo femminile la
controparte ricettiva ma altrettanto luminoso, in quanto grembo fecondo in cui era
concepito il figlio divino. Neumann fa notare che tale hieros gamos veniva
immaginato come avente luogo su una montagna “che fonde in sé i simboli della
terra, della caverna e dell’altezza”.131
A livello più tardo e più astratto, lo hieros gamos è il tema di fondo del libro più
appassionato e ‘matriarcale’ della Bibbia, ossia il Cantico dei Cantici. Da sempre
interpretato come il canto d’amore di Cristo per la sua Chiesa pellegrina sulla terra e
sottoposta alle tentazioni del mondo, viene considerato dalla Schaup come
raffigurazione della coppia divina Dio-Sapienza132, quest’ultima intesa appunto come
Schekinà o Sophia errabonda per il mondo alla ricerca del suo Sposo-Figlio Cristo. A
livello simbolico, la Sapienza divina, o ‘intelligenza del cuore’, fa da tramite tra cielo
e terra, dapprima scendendo su di essa e mescolandosi ad essa e poi provocando la
spinta per la risalita verso l’Uno.
Nel nostro caso, cioè l’unione di Adamo e Lilith nell’epos kurziano, ci troviamo di
fronte, secondo me, ad una concezione dello hieros gamos che rimanda, a livello
antropologico, alla tarda fase del matriarcato, in cui la sacerdotessa, incarnazione
della dea immortale, “celebra il rituale culto delle nozze sacre col suo sposo mortale,
il re di un anno”.133 Cioè abbiamo ancora, da un punto di vista sessuale e formale,
un’inversione dei ruoli, in quanto la figura femminile Lilith si fa portatrice di un
principio maschile attivo capace di ‘spiritualizzare’ ed ‘elevare’ Adamo, simbolo del
materiale terrestre in gran parte passivo e istintuale.
Da un punto di vista estetico-filosofico, secondo l’ottica kurziana (che affonda
comunque le sue radici almeno nella concezione platonica dell’ispirazione poetica e
che trova la sua sistematizzazione scientifica nella psicologia transpersonale di
Maslow ed Assagioli) l’arte stessa, nella sua autenticità, non è che il prodotto dello
hieros gamos tra la personalità necessariamente limitata dell’artista e il suo ‘Genio’:
Der wirkliche Künstler hat für sie nicht nur Talent, sondern auch einen Genius, der ihn beherrscht.
Talent bedeutete ihr die Fähigkeit zur Gestaltung einer künstlerischen Idee, der Genius dagegen
134
eine vom Künstler selbst nicht zu beeinflussende Kraft, die ihm die künstlerische Idee eingibt.
Formulata in modo diverso, ritroviamo tale convinzione espressa in modo conciso e
aforistico in apertura delle riflessioni della stessa Isolde sulla natura della poesia:
Die Mischung von Tierheit und Gottheit im Menschen gibt den Naturlaut in der Poesie.135
131
E. Neumann, op. cit., p. 102.
S. Schaup, op. cit., p. 29.
133
Jutta Voss, op. cit, p. 15.
134
M. Onodi, op. cit., p.124, “Per lei il vero artista non ha solo il talento, bensì anche un Genio, che lo comanda.
Talento significa per lei la capacità di dare forma a un’idea artistica, il Genio invece è una forza che l’artista stesso non
può influenzare e che gli da’ l’idea artistica.”
135
I. Kurz, Gesammelte Werke, Bd 4, p. 456, „La mistura di animalità e divinità nell’uomo sfocia come espressione
naturale nella poesia.”
132
Lilith, qui inquadrata nella sua funzione di Musa ispiratrice ed educatrice, rappresenta
il ‘Genio’ di Adamo. Quanto per la Kurz il ‘Genio’ abbia valenza divina lo
dimostrano le connessioni tra Genio-Verità-Poesia-Bellezza-Amore che attraversano
come un filo rosso le sue speculazioni estetiche, etiche, ma anche metafisiche.
Troviamo infatti che
Kennzeichen des Genies ist sein Wahrheitsdrang. Es ist wahr, weil es gar nicht anders kann, weil
sein ganzes Sein im Anschauen der Grundwahrheiten besteht. Alles Flunkern, Vertuschen,
136
ausweichen ist ihm seiner Natur nach unmöglich.
Questa descrizione del Genio è perfettamente calzante all’immagine che l’autrice ci
offre della sua Lilith, che nel corso del poema viene immortalata nel suo slancio
verso l’Altissimo, nel rapito ascolto dell’Armonia Universale e nella contemplazione
dei cori celesti:
In Jubelchöre, die rauschend sich einen
Zum Siege der Wahrheit, zum Preise des Einen.
Komm, folge mir, Liebster, uns rufen die Sonnen,
Die Wahrheit schenken aus ewigem Bronnen.
[...]
Ich hörte die Wahrheit in Sternenchören,
137
kein irdischer Missklang darf mich stören.
Le ‘stonature terrestri’, il “Flunkern, Vertuschen, Ausweichen”, ossia tutta la malizia
e la menzogna si depositeranno sul contraltare di Lilith, cioè Eva. Ancora sul legame
indissolubile tra poesia e verità, tipico della forma mentis classica dell’autrice:
Um das Schöne zu schaffen, muss man das Wahre kennen.
138
E infine, sul legame tra Amore e Genio:
Alle hohe Liebe ist Geniesache, und der grösste Genius ist die höchste Verkörperung der Liebe
gewesen:
139
L’Amor che muove il sole e l’altre stelle.
Bisogna comunque sottolineare il fatto che, nel nostro passo sull’unione tra Adamo e
Lilith, tale amore è fortemente sensuale: ci si riferisce piuttosto esplicitamente alle
gioie dell’amplesso e all’estasi dell’orgasmo. Non troviamo dunque una scissione tra
amore sacro e amore profano in base alla presenza o assenza sublimata del sesso. E’
come se l’autrice dichiarasse che non ci sono vari ‘tipi’ di amore distinti tra loro in
136
Ibidem, p. 453, “Segno distintivo del Genio è il suo inesorabile slancio verso la verità. Esso è vero, perché non può
essere altrimenti, perché il suo intero essere consiste nella contemplazione delle verità fondamentali. Tutto il mentire,
nascondere e deviare è estraneo e impossibile alla sua stessa natura.”
137
Die Kinder der Lilith, p. 335.
138
I. Kurz, Gesammelte Werke , Bd 4, p. 456, “Per creare il Bello , occorre conoscere il Vero”.
139
Ibidem, p. 455, “Ogni grande amore è geniale, e il genio più grande è stato la massima incarnazione dell’amore:
L’Amor che muove il sole e l’altre stelle.
‘puri’e ‘impuri’, bensì quella forza d’amore che tiene insieme e muove il cosmo è la
stessa che favorisce la fusione tra Adamo e Lilith, uomini e donne. L’unica cosa che
potrebbe, in un certo senso, contaminare tale forza è la motivazione con cui essa
viene applicata. Solo se, come nel caso della “frevelnde Hochzeitsnacht’ di Adamo
ed Eva, le intenzioni dell’unione sono desiderio di potere sull’altro e ribellione al
piano divino per favorire la forze dell’involuzione (Lucifero), allora e soltanto allora
si può parlare di un eros desacralizzato e avvilente.
A conclusione di questo capitoletto dedicato ad un primo commento sulla polivalenza
della figura di Lilith, in concomitanza al suo ingresso nel poema kurziano, riporto
un’osservazione della Roebling che sottolinea ancora una volta il rapporto allegorico
tra l’arte e la nostra protagonista:
Mit Adam und allen Geschöpfen des Paradies sind auch die Engel vor allem von Lilith entzückt, die
–halb Sein von ihrem Sein- gewissermassen den zündenden Funken in ihrer Mythenproduktion
darstellt. Lilith, das in Töne und Farben sich auflösende schwerelose Wunderwesen, bekommt hier
den Charakter beinahe einer Muse, stellt mit ihren „Fabelflügen“ den Geist der Poesie selber dar.140
V.4. Il piano di Dio : l’universo musicale, l’uomo e l’invidia di
Lucifero
Arriva il Sabato, fine del lavoro per Dio che si riposa spiegando il progetto della sua
Creazione al “Principe del Mattino”, l’arcangelo Samaele, detto anche Lucifero,
perché “In ihn allein ist unter allen \Ein Funkchen Eigenlichts gefallen”141. Costui, a
cui preme il proprio fin’ora indiscusso potere sul cosmo, è incapace di comprendere il
fine che soggiace alla creazione dell’uomo.
Questo passo dai contenuti cosmo-antropogonici e teleologici, richiama ancora, a mio
avviso, concezioni di stampo ermetico-neoplatonico. Cosa del resto non sorprendente
se si pensa che Isolde ha maturato quest’opera negli anni terminali del suo soggiorno
fiorentino. A quel punto, evidentemente, era imbevuta fino al midollo di
Rinascimento italiano; aveva letto la storiografia in proposito, si era
rivolta alle fonti stesse degli umanisti e degli accademici di Marsilio Ficino e aveva
tratteggiato con ammirazione la figura di Lorenzo de’ Medici all’interno del suo
lavoro Die Stadt des Lebens. Verosimilmente, non poteva non essere venuta a
contatto con gl’ideali e la spiritualità dell’epoca, che d’altronde, nel suo culto per
l’uomo ‘centro dell’universo’, rispecchiava allo stesso tempo la sua stessa formazione
classica e il suo anelito mistico verso un’humanitas superiore.
Per tale ragione, mi servirò di riferimenti a testi ermetici e neoplatonici per
commentare questo passo, in cui l’autrice esprime, tramite la figura del Creatore, la
140
I. Roebling, op. cit., p. 181, “Insieme ad Adamo e a tutte le creature del Paradiso anche gli angeli sono innamorati di
Lilith, che –per metà della loro stessa essenza- rappresenta in una certa misura la scintilla innescante la loro produzione
mitica. Lilith, meraviglioso essere etereo che si scioglie in suoni e colori, riceve qui quasi il carattere di una Musa, e
simboleggia con le sue “ali di fiaba” lo spirito stesso della poesia.”
141
Die Kinder der Lilith, p. 309.
propria opinione sul significato del mondo, dell’uomo e sul ruolo escatologico di
Lilith all’interno del piano divino.
Innanzitutto una notazione che, partendo dal piano formale del vocabolario e del
campo semantico, si estende comunque al nodo più profondo del pensiero kurziano,
ossia una visione della divinità come Unità che si manifesta nella triade Vero-BelloBuono, di cui il Bello è primariamente percepito come Armonia. Più volte ricorre la
metafora musicale riferita alla Creazione ancora non corrotta dal peccato di Adamo e
perfettamente intonata alle intenzioni del suo Creatore. Dio, infatti, all’inizio del
nostro brano, è il bravo musicista che accorda l’ ‘Anima Mundi’:
Er wandelt über Meeresbreiten,
Und an der Weltakkorde Gleiten
142
Stimmt er der Seele Saiten rein.
Poco più sotto, per puntualizzare la differenza tra gli angeli e l’uomo, Dio ricorre di
nuovo ad un’analogia musicale:
Ihn schloss ich nicht zu dauernder Haft
Wie euch in eine Eigenschaft,
Dass, wie ihr tönend um mich schwingt,
Jeder nur seine Stimme singt.
Ihm hab’ ich zu dem Fünkchen Leben
143
Die Orgel mit allen Registern gegeben
Più oltre, mentre Lucifero crea Eva, Lilith lascia Adamo incustodito proprio per
seguire ‘ einen halb vernommenen Ton’ dai cori della sfere superiori, che risveglia in
lei il ricordo dell’alba universale, della manifestazione del Logos. Dapprima dunque
il divino si rivela a lei come nota indefinita che attraversa e informa l’intero creato
ma percepibile solo a Lilith, ‘orecchio interiore’ dell’anima. Poi si precisa in “Wort”,
la Parola creatrice che illumina il Silenzio ma che non perde il suo carattere di
musicalità. In effetti, la totale rivelazione della Divinità, al cui cospetto Lilith
perviene quando lascia la casa sua e di Adamo, ormai infestata da Eva, prende la
forma di “Orgelspiel”, “Weltsymphonie”,“Weltchöre” e “soli” che si sciolgono in
“zitterndem Klang”. E lei stessa giubila:
Mich trug so göttlich hohe Kraft,
Ich hab’ das Lied, das Welten schafft,
Vernommen.144
L’equiparazione Logos-Musica, ossia la coincidenza di apollineo e dionisiaco che
caratterizza la Vita divina, può trovare fondamento nel fatto che la musica, come
afferma anche Bodei a proposito del rapporto bellezza-pathos-misura, “unisce tutt’ora
142
Ibidem, p. 309.
Ibidem, p. 309-310.
144
Ibidem, p. 334.
143
il massimo di precisione col massimo di emotività”145. In Dio non c’è scissione
intelletto-cuore o ragione-sentimento. L’universo musicale della Kurz è perfettamente
giusto e perfettamente compassionevole allo stesso tempo.
D’altronde, la metafora musicale in relazione al rapporto Dio-Universo appare anche
nel Corpus Hermeticum, nel frammento XVIII. Qui si paragona l’anima a un
musicista, cui l’imperfezione dello strumento, il corpo, impedisce di cantare le lodi di
Dio. Quest’ultimo, tuttavia, che è “musicista per natura”, non solo produce l’armonia
dei canti delle varie anime, “ma fa raggiungere a ogni strumento il ritmo della
melodia a lui corrispondente”146.
Dunque è come se fosse costantemente in atto una ‘redenzione’ e un’ evoluzione
della materia stessa secondo un movimento a spirale che sembra contraddire
l’imperturbabile eternità divina. Dio stesso traccia tale spirale nella sabbia in risposta
alla muta domanda di Samaele sul perché della creazione dell’uomo:
Er kann den Schleier nicht zerreissen,
Wozu der Mensch geschaffen sei,
Und ob die Dinge, die ewig kreisen,
Mehr als ein ewiges Einerlei.
Da zeichnet still des Meisters Hand
Eine Spirale in den Sand.
Sammael sieht’s vom Blitz gerührt:
147
‚Gilt’s einen Weg, der aufwärts führt?’
Questo passo sembra echeggiare il sedicesimo trattato del Corpus Hermeticum in cui
Asclepio, allievo del divino Ermete-Thot, spiega a re Ammone il funzionamento di
Dio, della materia e dell’economia del Tutto. Più in specifico parla della luce solare
che, come sostanza intelligibile e intelligente, “dà vita e movimento” a tutti gli enti
attraverso le nascite e i mutamenti delle forme. Essa
Come una spirale, cambia e trasforma gli uni negli altri –giacché il continuo mutare cambia specie
con specie, generi con generi- così come quando esercita la sua attività demiurgica sui grandi
corpi.148
La Schiavone commenta:
La spirale è una figura carica di simbolismo; il suo movimento altrettanto ‘perfetto’ di quello
circolare, nell’avere inizio e fine che si rincorrono, senza mai davvero corrispondersi all’infinito,
sprigiona un’energia e una forza particolari. In questo senso dunque il mutamento e la
trasformazione degli esseri viventi sono visti come portati da un movimento non semplicemente
ciclico, ma a spirale: non si tratta solo di alternanza di vita e morte, generazione e dissoluzione, ma
di una sorta di ‘accumulo’ dell’evoluzione e dell’involuzione dei differenti stati.149
145
R. Bodei, Le forme del Bello, Il Mulino, Bologna, 1995, p. 20.
Ermete Trismegisto, Corpus Hermeticum, introduzione, traduzione e note di Valeria Schiavone, Biblioteca
Universale Rizzoli, Milano, 2001, p. 279.
147
Die Kinder der Lilith, p. 309.
148
Corpus Hermeticum, cfr. sopra, p. 269.
149
Ibidem, p. 268-269.
146
La legge di mutamento e perfezionamento che la speculazione ermetica applica ad
ogni essere vivente viene ristretta dalla Kurz alla specie umana soltanto. L’uomo è
destinato ad autotrascendersi; l’energia, la forza particolare che lo porta in alto
(“aufwärts”) per la Kurz è chiaramente Lilith. Del resto, il discorso di Dio sull’essere
umano ha poco da invidiare alla famosa orazione di Pico della Mirandola sulla
dignità dell’uomo. Siamo in clima pienamente platonico-ficiniano, per cui l’uomo
viene definito “der holde Sohn des Widerspruchs” , dotato di tutte le possibilità e
della libertà di autodeterminarsi secondo il proprio volere e la propria capacità di
discriminazione:
Die Tierheit und der Gottheit Triebe,
Die Himmels und die Erdenliebe
[...]
150
Das Höchste ward ihm und das Niedrigste.
Sembra di sentire il Dio di Pico della Mirandola che si rivolge ad Adamo:
Non ti ho fatto né celeste né terreno, né mortale né immortale, affinché tu, quasi libero e sovrano
creatore di te stesso, ti plasmi secondo la forma che preferisci. Potrai degenerare verso gli esseri
inferiori, che sono i bruti, potrai, seguendo l’impulso dell’anima tua, rigenerarti nelle cose superiori,
cioè in quelle divine.151
Nel nostro epos, la funzione dell’ ‘anima’ viene incorporata da Lilith che pungola
l’umanità verso la meta della propria spirale evolutiva : l’autorealizzazione dell’uomo
nell’ermetico ‘Anthropos’, il Figlio di Dio, in tutto simile al Padre e incarnazione
dello stesso Logos. Così si conclude il discorso del Creatore a Samaele, in tono
appassionato e trionfale, amorevole e solenne:
Dann werd’ ich ihn in den Arm schliessen,
Der Sohn, dem Vater nachgesellt,
Soll schaffend sich mit mir ergiessen
Durch alle Adern meiner Welt.
[...]
In mich, wie ich in ihn ergossen,
Nehm’ ich am End’ zu höchstem Glück
In meine Brust, draus er geflossen,
152
Ihn, den Vollendeten, zurück.
Riguardo a questo passo, scrive la Roebling:
Um nicht in ‚öder Grösse einsam’ zu wohnen, habe er (Gott) sich in Adam einen Sohn geschaffen,
der ihm vor allen Engeln nah und Lieb sei, ‚Das Letzte, Höchste mitbewusst’. Spiralformig werde
im Laufe der Zeit die Menschheit von Adam aus sich entwickeln zur höchsten Vollendung, um
150
Die Kinder der Lilith, p. 310.
Giovanni Pico della Mirandola, De hominis dignitate. In: Gli autori della letteratura italiana. Dalle origini alla fine
del Cinquecento, a cura di Mario Pazzaglia, Zanichelli, Bologna, 1993, p. 482.
152
Die Kinder der Lilith, p. 311-312.
151
dann wieder in den Vater einzugehen [...] Die Dynamik des Weltgeschehens zu garantieren hat Gott
153
dem trägen Erdenklotz zur Hilfe in Lilith eine ‚Leiter’ zum ‚höchsten Sitz des Himmels’ gebaut.
L’impronta femminista del saggio della Roebling si fa sentire molto più
prepotentemente in seguito, con la riflessione che „ ‘Der Menschheit Vollender’ kann
nur ‘ein herrlicher Sohn’ sein”154, per cui comunque alla donna-Lilith sarebbe
delegata solo la tradizionale funzione materna di educatrice alla divinità, e non di
realizzatrice della stessa:
Der Frau kann Teilhabe am Göttlichen nur im Mütterlichen zukommen, wie in der christlichen
155
Religion der intensive Marienkult mitsamt der Heiligsprechung der Gottesmutter verdeutlichen.
Certo, da un punto di vista formale, la Roebling ha ragione, poiché la Kurz, come ha
rimarcato anche Bennet, rimane comunque ancorata a un linguaggio tradizionale e
quindi modellato sulla forma mentis patriarcale. Ciò però non implica per forza che, a
livello del messaggio, Isolde non sia consapevole della compartecipazione totale e
paritaria del femminile alla Divinità. Infatti qui non si tratta dell’Adamo-maschio e
‘zolla di terra’ che si ricongiunge al Padre, bensì dei discendenti della coppia AdamoLilith, ossia la razza umana nel suo complesso, dotata di anima e corpo, e che
naturalmente include anche i rappresentanti de sesso femminile.
A livello teologico-misteriosofico poi, l’Adam Kadmon, il perfetto Figlio di Dio della
Cabbala, è un androgino, che rispecchia Dio sia nel suo aspetto di Padre che di
Madre. Il che significa che entrambi, l’uomo e la donna, devono sviluppare
all’interno di loro sia l’ ‘animus’ che l’ ‘anima’ per raggiungere la completezza
divina. Lilith si configura qui: a) come ‘demone buono’ simile ad Eros o ad Ermes
nella sua funzione di collegamento tra l’uomo e l’Iperuranio, b) scome polo
femminile amoroso, ricettivo e misericordioso, c) come ‘begeisternde Flamme’,
ossia elemento attivo spirituale promotore del movimento stesso della materia verso
gradi di sempre maggiore autocoscienza.
Poiché questo passo del testo è determinante anche per una comprensione più ampia
di questa figura, dedico un ancora un capitolo ad esso, ma focalizzato stavolta sul
significato di Lilith all’interno del piano salvifico del Logos in manifestazione.
V.6. Lilith-Sophia.
Bau ich durch Lilith eine Leiter
153
I. Roebling, op. cit., p. 176, “Per non dimorare in ‘solitaria maestà’, Dio si è creato in Adamo un figlio, che gli è più
vicino e più caro di tutti gli angeli, ‘consapevole con lui delle cose ultime e supreme’. Con moto a spirale , nel corso del
tempo, si sviluppa l’umanità da Adamo fino al massimo compimento, per ritornare quindi in seno al Padre. […] Per
garantire la dinamica dello svolgersi del mondo, Dio ha costruito al pigro pezzo di terra in Lilith una ‘scala’ verso ‘la
più alta sede celeste’.
154
I. Roebling, op. cit., p. 183 , “Il ‘realizzatore dell’ umanità’ può essere solo un ‘maestoso Figlio’”.
155
Ibidem, p. 182, “La donna può pervenire alla Divinità solo nella maternità, come dimostrano l’intenso culto di Maria
con la canonizzazione della Madre di Dio all’interno della religione cristiana.”
Zum höchsten Sitz des Himmels weiter.
Drum hab’ ich die Freundin ihm gepaart,
halb von seiner und halb von eurer Art,
Dass sie mit Liebesdorne
Ihn Wecke, stähle, sporne,
Er zu massig, sie zu fein,
unvermögend jedes für sich allein.
Ihr gab ich keine irdischen Waffen,
Sie soll begeistern, er sollt schaffen.
Von ihm die Kraft, die Felsen spaltet,
Den festen Sinn, der ordnend waltet,
Von ihr die Flamme stets bewegt,
156
Die Unruhe, die das Uhrwerk regt.
Per iniziare la mia analisi su di una possibile lettura sofiologica di Lilith, mi appoggio
sull’autorità di un’altra saggista già ampiamente citata, Susanne Schaup, che per
prima ha portato il discorso sull’epos kurziano in questa direzione. Tuttavia, il punto
di partenza della Schaup per tali considerazioni di teologia femminile sono le
interpretazioni a carattere estetico-poetologico della Roebling, allorché scrive di
Lilith:
Als Muse weiblicher Transzendentalpoesie sowie weiblicher Geschichte kann die Lilith im Gedicht
der Isolde Kurz gerade dadurch erscheinen, dass sie im utopischen Gegenentwurf eine Poetischmetaphorische Transzendierung der Adams-Welt wie zugleich eine Ahnung von der
Bedingungsfaktoren solcher Transzendierung Ausdruck verleiht.157
E ancora, molto più esplicitamente:
Vielmehr ist diese Lilith Phlogiston und begeisternde Kraft, zu der Adam die Materie und das
Energon, die Arbeit mitbringen muss. Sie ist es, die im Höhenflug dem schöpferischen Prinzip
Gottes –dem Wort- am nächsten kommt, und sie ist es denn auch, die Adam zum faustischen
Streben anspornt [...].158
Da qui prende le mosse la Schaup, dicendo che, sotto l’influsso della nobile e
vibrante irrequietezza di Lilith, l’uomo dovrebbe compiere grandi azioni e spiccare il
volo verso un livello di vita qualitativamente superiore. Infatti il risultato fisico
dell’unione di Adamo e Lilith sono il paio di ali meccaniche che Adamo si costruisce
con ‘duro lavoro’, ossia con quello sforzo di volontà e disciplina con cui l’uomo
inizia a modellare e ‘raffinare’ in tutti i sensi la propria materia inerte e passiva per
156
Die Kinder der Lilith, p. 310-311.
I. Roebling, op. cit., p. 184, “Lilith, nella poesia di Isolde Kurz può apparire come Musa della poesia trascendentale
femminile come della storia femminile, nel senso che essa presta espressione, in un utopico anti-progetto, a un
trascendimento poetico-metaforico del mondo di Adamo e allo stesso tempo a un presentimento dei fattori che
condizionano tale trascendimento.
158
Ibidem, p. 182, “Questa Lilith è, piuttosto, Phlogiston e forza animante, alla quale Adamo deve portare la Materia,
l’energon e il lavoro. E’ colei che nel suo volo verso le altezze arriva più vicina al principio creatore di Dio –la Parola-,
ed è ancora lei che sprona Adamo allo Streben faustiano […].”
157
farne infine il mezzo che lo eleverà. Tutto questo, con l’amorevole presenza e il
sostegno di Lilith:
Doch schmiede nur und blas die Glut
Und hau den Stein und baue gut.
Wenn dir der Geist nach Taten wallt,
159
Wird meine Liebe nimmer kalt.
La Schaup scrive:
In dieser tiefsinnigen Umdeutung des Mythos ist Lilith keineswegs die mörderische Verführerin
und Würgerin von Kindern, sondern Sophia, der von Adam vertriebene Geist Gottes. Sie ist die
Kraft, die den Menschen zu Höherem begeistert und ihn seine göttliche Heimat erinnert. Zugleich
ist sie elementar der Erde verbunden, denn: „Wo sie erscheint, muss alles blühn,\ Was sie berührt,
160
wird frisch und grün.“. Nur durch die Verbindung mit ihr wird der Mensch zum Ebenbild Gottes.
A questo punto sarebbe bene precisare un po’ meglio cosa s’intende per ‘Sophia’ sia
in generale che in riferimento alla Lilith della Kurz. Ci sono vari livelli di
comprensione, visualizzazione e rappresentazione di tale figura, e vari sono i campi
d’indagine in cui essa può comparire. Primo fra tutti, quello della speculazione
teologico-filosofica che, partendo dal significato greco della parola, (Sophia =
Sapienza), indica almeno due prospettive su tale Sapienza: la Sapienza Essenziale,
increata, sovratemporale consustanziale alla stessa Divinità e quella creata, realizzata
nel divenire temporale:
La Sophia è una sola, ed è la Sapienza Essenziale di Dio, ma agli effetti pratici della salvezza
dell’Umanità e del Mondo, essa ha assunto la parvenza della Sapienza creata per poter arrivare sino
a noi ed aiutarci a salire.161
E ancora:
Parlando di Sapienza non intendiamo definirla come abilità, scienza, perfezione nella conoscenza,
ma come realtà metafisica con la quale un asceta, un mistico possono prendere contatto, lasciarsi
guidare e trasformare sino alle più estreme conseguenze, quali il farsi somiglianti a Dio attraverso
quel processo di deificazione definito theosis.162
Questo per dare un breve squarcio sulle posizioni prettamente teologiche, anche se,
tra i seguaci di tale figura, troviamo una gran quantità di artisti tra cui Dante
Alighieri, che d’altronde era affiliato al movimento sofianico-iniziatico dei Fedeli
159
Die Kinder der Lilith, p. 319.
S. Schaup, op. cit., p. 73, „In questo profondamente significativo ribaltamento del mito, Lilith non è assolutamente
la seduttrice omicida o la strangolatrice di bambini, bensì Sophia, lo Spirito di Dio che Adamo caccia via da sé. Lei è la
forza che infiamma l’uomo verso l’alto e gli ricorda la sua patria divina. Contemporaneamente è anche elementarmente
collegata alla terra poiché: ‘Dove lei appare, deve tutto fiorire, \ Ciò che lei tocca, fresco inverdire.’ Solo tramite il
legame con lei, l’uomo diventerò immagine di Dio.”
161
Tommaso Palamidessi, Le basi della teologia sofianica. Nuove indagini bibliche, Edizioni Archeosofica, Roma,
1986, p. 18.
162
Ibidem, p. 13.
160
d’Amore. In campo tedesco sono soprattutto Jakob Böhme, Gottfried Arnold e il
pietista Franz von Baader a dare forma teorica e spesso anche poetica ai loro incontri,
tramite esperienze di visione mistica interiore, con questa figura divina femminile.
Avvicinandoci ai nostri giorni, troviamo in Russia il pensatore Vladimir Solov’ev
(1853-1900) con i suoi trattati sulla Divinoumanità e La Russia e la Chiesa
Universale, lo scrittore Sergej Bulgakov (1871-1944) col suo Paraclito. Sulla Sophia,
Saggezza di Dio, fino ad arrivare alla teologia e alla spiritualità femministe di oggi.
Di queste ultime mi sembrano interessanti le conclusioni di alcune autrici americane
che, insistendo sul ruolo centrale della figura di Sophia all’interno di un programma
risanatore della psiche e della religiosità contemporanee, la articolano secondo le sue
tre basilari modalità d’azione: “self-transformation”, “power to transform reality” e
“connectedness between all beings”163. Scrive la Cady:
This connectedness is so basic, in fact, that feminist spirituality can be defined as the experiencing,
the expressing and effecting of the radical connectedness of all creation, and the radical equality of
all human beings.164
Queste riflessioni ci guidano alle speculazioni psicologiche e antropologiche in
merito a questo simbolo, i cui i caratteri costitutivi possono dunque esser riassunti nei
termini di saggezza, amore, principio di trasformazione e trasfigurazione, intuizione
dell’unità essenziale del Tutto e quindi dell’ uguale dignità di ogni forma del vivente.
Caratteri questi, che vengono ben esposti e concentrati da Neumann quando, in
chiusura alla sua rassegna sui tratti e sulle possibili configurazioni con cui si presenta
l’Archetipo del Femminile, descrive Sofia come “totalità spirituale femminile, in cui
vengono superati ogni pesantezza e ogni torpore.”165
Essa non è negazione del Caos-Materia originario, bensì ne è il suo ‘distillato’, l’
“essenza più elevata e raffinata a cui la vita è in grado di pervenire tramite la
trasformazione”166. A livello microcosmico umano rappresenta le forze spirituali
sopite nell’inconscio e che si manifestano come intuizione e capacità di ricevere
ispirazione e illuminazione dalle sfere superiori transpersonali o ideali. Sophia non è
mai il Dio remoto, inaccessibile e iper-concettualizzato della speculazione maschile;
Sophia è partecipazione, mutamento, immanenza, “è viva, presente e vicina, è una
dea che ama, che può essere invocata ed è sempre pronta a intervenire”167:
Questa Sophia-Femminile, che raggiunge in forma di fiore la suprema forma visibile del suo
sviluppo, non svanisce nell’astrattezza nirvanica di uno spirito maschile; il suo spirito rimane,
168
invece, come il profumo di un fiore, sempre legato a essa, cioè alla base terrena della realtà.
163
S. Cady , Sophia, cit. sec. Iris Öchsener, in Arbeit an Mythos der Weiblichkeit, Dissertation zur Erlangung der
Doktorwürde der Ludwig-Maximilians-Universität München, Evangelisch-Theologische Fakultät, München, 1994, p.
175.
164
Ibidem, p. 175 “Questo senso di connessione è così basilare, infatti, che la spiritualità femminile può essere definita
come l’esperire, l’esprimere e sperimentare gli effetti della radicale connessione di tutta la creazione e della radicale
uguaglianza di tutti gli esseri umani.”
165
E. Neumann, op. cit., p. 322.
166
Ibidem, p. 322.
167
Ibidem, p. 327.
168
Ibidem, p. 322.
Da qui la funzione di “Leiter” , ossia di ‘scala’ o ponte tra Terra e Cielo, che la Kurz
attribuisce alla sua Lilith. In essa veramente comunicano, si convertono e infine
convergono gli elementi pesanti e quelli leggeri del creato, sensuali e spirituali,
terrestri e celesti, fiori e nuvole:
Ob sie über Blumen sich tändelnd wiegt
Auf Wolkenrossen jauchzend fliegt,
Wo sie erscheint, muss alles blühn,
Was sie berührt, wird frisch und grün.
Und Liliths Mund kann nimmer lügen,
Wohin sie irrt auf Fabelflügen,
169
Der träge Riese muss ihr nach!
Anche in questo passo ricorre la metafora del mondo vegetale che, come osserva
sempre Neumann, è estremamente connesso alla coscienza matriarcale anche da un
punto di vista storico e sociologico:
la ‘divisione del lavoro’ dell’umanità primitiva prevedeva difatti per la donna
mansioni quali la raccolta delle piante, dei tuberi, e delle radici, mentre la caccia era
prerogativa soprattutto maschile.170 A un livello più spirituale pure la Schaup accenna
alla simbolica del regno vegetale commentando le visioni di Hildegard von Bingen e
Jakob Böhme:
Ähnlich wie Hildegard überträgt Jakob Böhme das Grünen und wachsen in Natur auf geistige
Vorgänge, so wenn der Geist in der Seele aufgrünt und das Verständnis erleuchtet. [...] In der Natur
steckt die göttliche Mutter, und das ist eine authentische Seite der Sophia, ihre innige
171
Verbundenheit mit allem Lebendigen [...].
Con questa notazione si chiude in maniera abbastanza circolare la riflessione sulla
plausibilità o meno d’interpretare la Lilith kurziana in senso sofianico. Se per Sophia
s’intende dunque la forza trasformante e autorigenerante della materia, l’amore e
l’empatia universali, la madre dell’ ‘umanità divina’, e anche il gioco divino della
creazione, dove la Sapienza creata si cela e si vela innocentemente nel continuo fluire
delle forme, allora credo proprio che stiamo anche parlando della Lilith di Isolde, così
come ci viene presentata in questo discorso di Dio e come si mostra all’ opera nel
corso della vicenda.
VI. Le lamentele di Adamo e la creazione di Eva
169
Die Kinder der Lilith, p. 311.
E. Neumann, op. cit., p. 262.
171
S, Schaup, op. cit., p. 112, “Similmente a Hildegard, Jakob Böhme trasferisce l’inverdire, e il crescere della natura a
processi spirituali, come quando lo spirito germoglia nell’anima e la comprensione si accende. […] Nella natura si cela
la Madre Divina, è questo è un autentico aspetto della Sophia, la sua intima connessione con tutto il vivente […]”
170
La vita di coppia di Adamo e Lilith si configura fin dall’inizio come lo scontrarsi e il
rappacificarsi di due istanze polarmente opposte: l’energia mercuriale e la gioiosa
indipendenza di Lilith-Anima da un lato e la pigra lentezza di Adamo-Materia
dall’altro. Quest’ultimo purtroppo, invece di lasciarsi guidare o almeno di non
interferire con Lilith, matura una forte rabbia nei suoi confronti, motivata a livello più
profondo da un senso di separativismo, orgoglio e arroganza, che poi si tradisce come
invidia e possessività.
Tale dinamica viene chiaramente portata alla luce nel dialogo tra Adamo e
l’arcangelo Gabriele. Egli, che è venuto a informarsi per conto del Creatore
sull’andamento della giovane coppia, deve sorbirsi il piagnisteo di Adamo, che vuple
sfogare la sua rabbia e amarezza nei confronti della compagna. La prima accusa
scaturisce dalla resistenza al moto e al mutamento dovuta alla forza inerziale insita in
un qualsiasi corpo materiale, come quello dello stesso Adamo. Egli vuole pace, vuole
quiete e invece ha “ein lebendes Fieber zur Seite” che lo stimola in continuazione a
espandersi, a conoscere, ad obbedire agli ordini divini come quello di dar nome a
piante e animali.
In risposta a tali recriminazioni, Gabriele, smentendo ogni precetto patriarcaleortodosso, che vuole gli angeli asessuati, astratti e sensualmente imperturbabili,
risponde con ironico rimpianto:
Nach des Herren Rat
Lebt unsereins im Zölibat,
Doch ein solcher keck und witzig Weib
172
Wär’ mir der liebste Zeitvertreib.
Al che Adamo si appella all’ ingratitudine di Lilith, che non lo ricompensa per lo
sforzo e il sacrificio che lui compie per compiacerla; si appella alla sua volubilità, (la
definisce infatti “launisch”) e alla sua costante irrequietezza, che non la fa star
tranquilla neppure la notte ( “das ist ein endlos Fabelweben”) e che lo fa tremar
d’angoscia per il timore di perderla. A ciò si aggiunge una non apertamente dichiarata
invidia per l’intimo legame, la ‘partecipation mystique’ di lei con tutto il vivente e
quindi per il potere che s’irradia da tale capacità: “Und wie sie mich entzündet, \ Ist
alles ihr verbündet.”173
Salta subito agli occhi che le accuse di Adamo concernono proprio quelli che sono i
tratti distintivi di una femminilità conscia, potente, emancipata ed evoluta.
Relativamente a questo passo, Neumann parlerebbe probabilmente di Anima e di
“carattere trasformatore del femminile”, contrapposto al carattere “elementare”, cioè
passivo, conservatore, inconscio:
L’Anima è la portatrice per eccellenza del carattere trasformatore. Essa è il fattore che muove e
spinge alla trasformazione; la sua fascinazione spinge, alletta e incoraggia il maschile ad affrontare
174
tutte le avventure della psiche e dello spirito, e ad agire e creare nel mondo esterno ed interiore.
172
Die Kinder der Lilith, p. 315.
Ibidem, p. 316.
174
E. Neumann, op. cit., p. 42.
173
Questo, come abbiamo visto, è uno dei motivi dominanti nella Lilith kurziana, che
spinge Adamo all’azione, al lavoro, all’esplorazione di ogni forma di vita e di
esperienza che espanda la sua consapevolezza e aumenti la sua comprensione. Ma
Adamo si rifiuta di capire e svaluta tale incoraggiamento e tali stimoli parlandone alla
stregua di capricci femminili: Lilith prima vuole che lui sia pesce, poi che sia
uccello, e mai due volte le va bene la stessa cosa. Per tenerla sotto controllo lui le ha
addirittura legato le ali con uno dei suoi capelli dorati, tanta è la sua paura che lei voli
via e si dissolva nell’aria.
Mentre così si lamenta arriva la nostra eroina, carica di fiori, con i quali rende subito
omaggio al messaggero divino. Adamo, geloso anche di questo gesto, si mostra
“feindlich kalt”, di modo che lo stesso Gabriele lo rimprovera per il suo egoismo, il
suo ottuso orgoglio e la sua ostinata inerzia:
Dir gesellte der Herr die Freundin zu,
dass sie dich gern Beharrenden,
Im eignen Ich Erstarrenden
175
Aufrüttle aus träger Selbsucht Ruh,
Appena l’arcangelo se ne va, la ‘bestia’ in Adamo esplode, diventa violento e
aggressivo. I due si separano ed ecco che l’intero giardino edenico si trasforma di
colpo in un deserto. Tuttavia la forza dell’amore vince sugli attriti tra le due nature
tornando di nuovo ad unire i due amanti. Adamo allora si scusa per la sua grettezza,
riconoscendo finalmente in Lilith la sua guida luminosa e il suo tesoro più grande:
Ich bin der Erde rauhster Sohn.
Du kannst’s nicht fassen, lichter Geist,
176
Wenn mich das Tier im Busen reisst.
Il suo proposito diventa adesso quello di costruirle “ein steinern Haus”, una casa
stabile in pietra, bella, con tanto di travi e colonne intarsiate. Metaforicamente
parlando, Adamo decide di sottomettere la propria materia all’ ‘opus alchemico’ che,
tramite “die Glut”, il fuoco purificatore dello spirito e della luce, fa del corpo la
dimora e il tempio vivente del sé spirituale. Questo processo avviene nell’ ‘athanòr’
del cuore, dove si bruciano le scorie e le impurità della natura inferiore umana per far
posto a quella divina, fondata sui presupposti dell’amore gratuito, della libertà e della
saggezza. Difatti Lilith afferma che il cuore di Adamo è per lei “casa e albergo” e
con ciò torniamo ancora, se si vuole, a una simbolica di tipo sofianico per cui “la
Sapienza riposa nel cuore dell’uomo prudente” (Prov., 14:33), “il cuore, con il suo
occhio, è il tempio dell’anima”177:
Dein Herz ist Herberg mir und Haus,
Da schlaf ich allen Kummer aus:
175
Die Kinder der Lilith, p. 317-318.
Ibidem, p. 319.
177
T. Palamidessi, op. cit., p. 96.
176
Doch schmiede nur und blas die Glut
Und hau den Stein und baue gut.
Wenn dir der Geist nach Taten wallt,
Wird meine Liebe nimmer kalt.178
Tuttavia, con le sue lamentele, Adamo ha dato lo spunto a Samaele su come poter
intervenire per ostacolargli il percorso. E’ un meriggio di mezza estate, Lilith
girovaga seguendo la nota universale che culla e accompagna il creato, mentre invece
Adamo sonnecchia disteso a terra in un campo di grano. La Kurz, ironicamente fa
eco:
‘s ist eine Schwäche, die ihm blieb:
Die Scholle, die ihn schuf, ist ihm zu lieb.
Er bettet gern sich längelang hinein,
179
Lässt alle Sorge Gottes sein.
Leggendo tra le righe, a livello del messaggio, si potrebbe dedurre che SamaeleLucifero entra in azione con le sue tentazioni proprio quando la coscienza dorme,
cioè si separa dalla sua parte superiore (Lilith) e ripiomba, secondo leggi puramente
fisiche di attrazione gravitazionale, nel pesante torpore materiale. Abbiamo visto
dunque un Adamo fortemente lacerato tra volizione e inerzia, amore e indolenza; un
Adamo che fa ancora molta resistenza a quel “completamento della personalità”
postulato dalla Kurz e dal Burkhardt, premessa necessaria a un ulteriore sviluppo in
senso spirituale.
Ecco dunque che giunge Samaele sotto la forma del famoso serpente di biblica
memoria e si fa beffe del dormiente che, russando e balbettando nel sonno, può
incarnare soltanto la caricatura dell’immagine divina. A proposito del serpente,
Neumann ci dice che “appartiene all’essenza Archetipo del Maschile”, probabilmente
perché sinonimo di conoscenza intellettuale. Tuttavia egli osserva che molto spesso
tale animale viene rappresentato come avvolto intorno a un vaso oppure in
compagnia della stessa Iside, vale a dire che “il serpente mostra affinità col
Femminile”180. Le conclusioni tratte da tale documentazione iconografica,
premettendo che siamo di fronte a un simbolo estremamente poliedrico e universale,
per lui sono dunque le seguenti:
Nel nostro contesto ci basta enucleare il simbolismo del Maschile fecondante nel suo rapporto col
vaso, che si può seguire in ogni ambito simbolico. 181
Una volta stabilito il ruolo fecondatore di Lucifero, si nota come Adamo svolga
anche in questo caso un ruolo passivo. Egli, e in seguito Eva, saranno i recettori di un
tipo di conoscenza priva di cuore (Lilith), sconsiderata, che degrada la vita
178
Die Kinder der Lilith, p. 319.
Ibidem, p. 320.
180
E. Neumann, op. cit., p.147.
181
Ibidem, p. 148.
179
negandone il valore. Ciò si manifesterà dapprima con l’uccisione degli animali, poi
con la distruzione dell’Eden e infine culminerà nell’uccisione di Abele da parte di
Caino.
Tornando a Lucifero in questa scena, egli è comunque ben conscio che, finché Lilith
sta accanto ad Adamo, questo ‘aborto’ ha pur sempre la possibilità di “sollevarsi da
terra”, anche fisicamente, grazie al dorato, meccanico “Flügelpaar” che Lilith lo
ispira a costruire. Veramente qui Lilith si configura non solo come patrona delle arti,
ma anche della scienza e della tecnica, dunque promotrice ‘tout court’ del progresso
umano, in ogni ambito e settore. Non bisogna dimenticare infatti che all’epoca
dell’ideazione e produzione di questo epos, l’uomo stava realmente tentando la
conquista dei cieli con i primi aeroplani (ali meccaniche).182
Samaele dunque strappa una costola ad Adamo e ci modella la “bambolina” Eva,
riproducendo, in negativo, la creazione dell’uomo da parte di Dio. Naturalmente, a
differenza di quest’ultimo, egli non sa “wie man Stoff und Hauch vermählt”, cosicché
Eva dovrà usufruire dello stesso alito vitale di Adamo. Anche in questo caso, il tratto
dominante di Eva viene chiaramente messo in luce e poi ribattuto come un ‘refrain’
nel resto dell’opera: Eva non è una creatura indipendente, ma una creatura dello
stesso Adamo, fatta della materia dei suoi desideri carnali che viene poi plasmata,
oggettivata e materializzata dalla mente luciferina. In senso più lato, Eva è Adamo, è
il suo ‘sé inferiore’ così come Lilith è la sua Anima o ‘sé superiore’.183
Scendendo più in dettaglio, Eva non ha cervello (“kein Hirn”), preferisce i modi
“krumm”, le vie contorte, il sotterfugio. Appena Lilith le si avvicina sente il freddo
della creatura inanimata, nota l’occhio vuoto e spento, per cui, mossa a compassione,
cerca di riscaldarla col suo velo colorato e cangiante. Anche su questo velo, che
ricorre in vari passi del poema, si potrebbero azzardare ipotesi e analogie col famoso
“velo di Maya”, la grande incantatrice della mitologia indiana, che tesse il Grande
Sogno del mondo, la multiforme e cangiante Illusione del creato (nel senso
etimologico di ‘in-ludere’, ‘giocare in’). Maya, essendo la capacità proiettiva-creativa
della mente, sia divina che umana, di per sé stessa non è affatto negativa. Anzi, è
lecito dire che si colloca aldilà di ogni giudizio poiché, come nel caso delle altre
facoltà in nostro possesso, tutto dipende dall’uso che ne facciamo e a servizio di cosa
le mettiamo. Nella sua forma più alta, Maya viene celebrata come Tara bianca “colei
che nella mente dello yogi, guida attraverso l’oscurità del pregiudizio, come forza che
causa il superamento di sé e la redenzione”184.
Infatti è il velo di Lilith a ravvivare per un attimo lo sguardo di Eva, che subito si
mette a tastarlo avidamente: gesto di pura vanità della ‘Weibchen’, ma forse anche
182
Siamo sulla scia di quel fenomeno storico-sociale ribattezzato ‘Seconda Rivoluzione Industriale’. I nuovi mercati
coloniali assicurano sempre maggiori risorse, fra le innovazioni scientifiche e tecnologiche si segnalano, a partire dal
1903, le prime esperienze aeronautiche dei fratelli Wright.
183
Chiaramente non mi riferisco al ‘super-Io’ freudiano, quanto piuttosto a un modello di tipo psicosintetico in cui oltre
si prendono in esame anche le componenti superiori dell’inconscio, ossia il superconscio, che è la dimensione dei
valori divini\transpersonali. Cfr: Roberto Assagioli, Lo sviluppo transpersonale, Astrolabio, Roma, 1988. Il canale di
comunicazione risulta essere ppunto questo centro di coscienza superiore, che fa da tramite tra i due mondi, e che negli
scritti della filosofia indiana viene definito “antahkarana” (ponte) o “corpo sottile”.
184
H. Zimmer, Die indische Weltmutter. In: Eranos Jahrbuch 1938, VI, p. 194, cit. sec, E. Neumann, op. cit., p. 329.
riconoscimento di una creatività che la ‘Weibchen’ possiede solo a livello biologico
di procreazione.
Ma è l’arrivo di Adamo che finalmente mette in moto il prodotto di Lucifero. Eva
sussulta e cade in ginocchio, di modo che si ripropone, assai abbassata di tono, la
scena del primo incontro Adamo-Lilith: si scambia la creatura per il Creatore.
Tuttavia, in questo caso, Eva ha ragione: Adamo, insieme a Lucifero, è veramente
colui che l’ha fatta. Differentemente che con Lilith, Dio qui non c’entra nulla, non
l’aveva certamente voluta:
‘Doch was gebot der Herr dir, sprich!’
185
‚Ich kenne keinen Herr als dich.
In queste parole si condensa l’intera essenza (o non-essenza?) di Eva. La stessa Kurz,
benché ne sottolinei a più riprese la pesantezza (“dumpfe Schwere” “der matte Ton”,
“ein Steinbild”), insiste sul carattere d’ ‘irrealtà’ di questa figura, mera solidificazione
delle fantasie di Adamo, neppure prevista dall’Idea Divina originaria. Ci si riferisce a
lei con espressioni come “von dem Schlaf des Nichts erfüllt” “Aus dem Nichtseins
Schoss”, “wesenlos” “das Ding aus Adams Rippe”, “das Bild” e Eva stessa si
autodefinisce “eine Leere” nel suo canto di seduzione ad Adamo.
V.8. La separazione da Lilith e la ‘caduta’ dell’uomo nella ‘valle
di lacrime’
La vita con Eva si rivela subito una tortura per Lilith, la cui presenza è ormai di
troppo nella storia d’amore tra Adamo e il suo doppione al femminile. Per questo
fugge via amareggiata, sale sulle vette (in tutti i sensi), le si liberano le ali e vola
verso l’Armonia Celeste, laddove “das Wort” si svela sciogliendosi e rivelandosi in
musica:
Das Wort, drin Anfang sich und Ende spiegelt,
Wird, was es birgt, den ahnenden Geist entsiegelt,
186
Wenn’s jauchzend aus dem Chor der Sterne schallt?
Scrive la Roebling:
Die vor dem unwürdigen Schauspiel geflohene Lilith hat derweil ihre von Adam gebundenen
Flügel gelöst und sich im Fluge den Wundern des Himmels angenährt, die hier –der Bezug zur
187
Poesie ist nicht zu übersehen- als Geheimnis des Wortes beschrieben werden.
185
Die Kinder der Lilith, p. 325.
Die Kinder von Lilith, p. 323.
187
I. Roebling, op. cit., p. 177, “Lilith, fuggita da quello spettacolo indegno, ha sciolto le ali legate da Adamo e, in
volo, si è avvicinata alle meraviglie del cielo –il riferimento alla poesia non è affatto trascurabile- che qui vengono
descritte come il mistero della Parola.”
186
Nel frattempo Eva porta avanti fino al compimento la sua opera di seduzione di
Adamo: dà voce alle sue rabbie contro Lilith, giustifica i suoi difetti, gli prospetta
fantasie di sadistica onnipotenza a cui lei stessa si sottoporrebbe assai di buon grado:
Da liegt sie schon mit Sturmsgewalt
Zu seinem Füssen hingeballt:
‚Willst du mich schlagen,
Mit Wonne wird’ ich’s tragem,
Beglückt, wenn deine Hand mich nur berührt.
Hier liegt mein Leib, den ich dir zolle,
188
Du magst ihn treten wie die Scholle.
La Roebling commenta:
Nach erstem Erstaunen und freundlicher Zuwendung von Liliths Seite ist Adam begeistert von Eva,
die nur von ihm Licht empfängt, vor ihm als Herrn auf die Knie sinkt und nur ein Streben kennt,
nämlich sich ihm zum Ganzen zu vereinen. Eva hetzt im folgenden Adam in kluger Mischung von
Lob, masochistischer Unterwerfung und erotischer Aufreizung gegen Lilith und deren forderndes
189
Wesen auf.
E la Christow fa eco, entrando poi maggiormente nel contesto storico-sociologico:
Hier beschreibt Isolde Kurz einen sehr einfältigen Mann, der selbst von einem gehirnlosen
Geschöpf überlistet werden kann und dem er letztendlich nur um Anerkennung und Macht geht, da
er ein anderes, lichtvolleres Wesen nicht anzuerkennen bzw. zu ertragen vermag. Gesellschaftlich
gesehen, wählt Adam jenes Frauenideal, demgemäss das weibliche Geschlecht aufopfernd für den
Mann lebt. Das er dennoch der Knecht bleibt, ist ihm nicht bewusst, aber geistige Stärke, ja Bildung
und Intelligenz bei einer Frau vermag er, den Isolde Kurz als Exempel für das männliche
Geschlecht darstellt, nicht um sich dulden. Eva wird von Isolde Kurz als Vertreterin für jene Typus
Frau gewählt, den sie besonders ablehnt.190
Dopo essere entrata in stretto contatto col divino, ancor più trasfigurata dalla luce e
imbevuta di amore, Lilith ridiscende per render partecipe il compagno della sua gioia
e incoraggiarlo a seguirla verso il Bello, il Vero, l’Uno. La descrizione che la Kurz fa
della visione di Lilith è alta poesia, tanto più difficile perché ‘poesia del positivo’,
cioè della beatitudine e dell’ineffabile, esattamente come Dante negli ultimi canti del
Paradiso. Anche la Kurz cerca sostegno evocando immagini sonore e analogie con i
188
Die Kinder der Lilith, p. 333.
I. Roebling, op. cit., p. 177, “Dopo il primo stupore e dedizione amichevole da parte di Lilith, Adamo è entusiasta di
Eva, che riceve luce solo da lui, che gli cade in ginocchio davanti come al Signore e che conosce una sola aspirazione,
ossia riunirsi a lui per riformare l’intero. In seguito, Eva aizza Adamo contro Lilith e contro la sua esigente presenza, in
un astuto miscuglio di lode, sottomissione masochistica ed eccitamento erotico.”
190
S. Christow, op. cit., p. 91-92, “Qui Isolde Kurz descrive un uomo molto sempliciotto, che può venir raggirato da
una creatura senza cervello, di cui a lui in fin dei conti importa solo per motivi di riconoscimento e di potere, visto che
non è capace di riconoscere, anzi, di sopportare un esser altro essere pieno di luce. Interpretato socialmente, Adamo
sceglie quell’ideale di donna secondo il quale il sesso femminile vive sacrificandosi al maschio. Che egli rimane
tuttavia schiavo, non ne è consapevole; egli –che Isolde Kurz presenta come esempio del sesso maschile- non può
concepire intorno a sé una donna spiritualmente forte, colta e intelligente.”
189
più sublimi spettacoli naturali: cascate, distese marine, fiumi dirompenti, onde e flutti
vorticosi.
Ma Adamo, aizzato dalle perfide insinuazioni di Eva (“wenn sie dich hält, so bleibst
du Knecht”191), che evidentemente esprimono i suoi stessi dubbi, i suoi rancori e le
sue paure nascoste, inizia una discussione all’insegna della lotta per il potere. Egli si
dichiara “Herr”, il mondo è il trono, e suo è il potere. Lilith è sconvolta, non può
accettare altra gerarchia se non quella divina; per lei, nel mondo, non ci sono rapporti
verticali, ma solo un’unità orizzontale, sostanziale ed essenziale di tutte le creature:
,Wie, Adam, sprichst du so zu mir?
Nicht Herrn und Mägde gibt es hier,
Nur Einen, dem wir alle dienen,
192
Er rief mich, und ich bin erschienen.’
Per ristabilire la pace, Lilith prega Adamo di mandar via Eva, “die Seelenlose”, cosa
che egli si rifiuta veementemente di fare, cosicché Eva tripudia e trionfa. Nella sua
furia poi, Adamo scatena un tremendo incendio, nel quale va in fumo la sua officinalaboratorio con dentro il paio di ali dorate frutto del suo amore per Lilith. Egli, con
esse, aveva voluto rendersi simile a lei e rendersi degno; adesso però, al fianco della
deprimente e plumbea Eva, non ha certo più bisogno di lei. Riguardo al simbolismo
delle ali, ho scelto fra le tante una definizione che mi sembra la più calzante in questo
quadro e che stabilisce un parallelo ali-aspirazione:
La forza del desiderio rivolta verso l’alto anziché orizzontalmente verso cose o persone. E’ anzitutto
lo slancio del sentimento, ma vi è anche l’aspirazione mentale, cioè l’ardente desiderio di
conoscere, di penetrare il mistero. Queste due forme possono essere simbolicamente le ali che
193
portano verso il cielo.
Di fronte a tale suicidio spirituale Lilith si mostra, per la prima volta all’interno della
vicenda, nel suo aspetto numinoso-terribile:
Sie ist nicht mehr! Ein fremd und wild,
Ein übermenschliches Gebild,
das hoch aufwächst, den Nacken strammt,
Ihr blaues Aug wird schwarz und flammt,
Ihr Goldhaar hebt sich, knistert, glüht,
Ein Wellenschlag, ein feuergelber,
Von Funken steht sie rot umsprüht,
Die Flügel spreizen sich von selber;
Verwandelt, furchtbar scheint sie ihm,
194
Schwester der flammenden Cherubim.
191
Die Kinder der Lilith, p. 335.
Ibidem, p. 335.
193
R. Assagioli, Comprendere la psicosintesi. Guida alla lettura dei termini psicosintetici, Astrolabio, Roma, 1996, p.
23.
194
Die Kinder der Lilith, p. 336-337.
192
Eccoci di fronte al lato terribile della Grande Dea: potente (“übermenschlich”),
assolutamente trascendente (“fremd”), con i capelli che si sollevano divampando e lo
sguardo pietrificante come quello della Gorgone o della Medusa. Ma è solo un
attimo, perché subito ritorna ad essere “schön und licht” , soltanto pallida dal dolore e
dall’angoscia perché Adamo ha ormai fatto la sua scelta, vale a dire Eva. Eva
significa Lucifero, significa involuzione e degenerazione a un livello di vita in cui
s’impara, se s’impara, solo tramite la sofferenza, il ‘sudore della fronte’ e la morte.
L’incendio dell’officina si spande a tutto il giardino dell’Eden e il mattino seguente,
Eva arriva dal compagno col frutto proibito per colazione. Qui la Kurz segue la
narrazione biblica, poiché il primo effetto dopo aver violato l’Albero della
Conoscenza è che Adamo si rende conto della loro nudità e se ne vergogna. Da qui la
crudeltà verso la natura: l’uomo diventa predatore e violatore dei regni inferiori,
talmente avido e abbrutito che “Das Tier scheint minder Tier als er”195.
Dio allora chiama Adamo a giudizio ma quest’ultimo ha ancora la faccia tosta di
lamentarsi di Lilith, esattamente come l’Adamo del Talmud e dello Zohar. Il Dio
della Kurz è però di tutt’altra pasta rispetto al Dio patriarcale della tradizione
giudaica:
Das Himmelsbild, das cherubimverwandte,
Das ich zum Staub, zu dir hinuntersandte,
Als einzige Gut ihr diesen Schleier gab,
Und deine Treue ihr zum StabSie gabst du hin, die dieses Kleinod hielt,
196
und hast der Menschheit Erbe mit verspielt.
Di nuovo qui ricorre il tema del ‘velo’, sempre da intendersi, a mio avviso, come la
capacità dell’uomo di creare ‘in positivo’, secondo il modello divino di armonia,
bellezza, amore e abbondanza. Senza il velo di Lilith, Adamo non potrà che produrre
intorno a sé un mondo che è la precisa negazione di tali parametri. Con la sua scelta a
favore di Eva, Adamo stesso si autoesclude dal Paradiso; il Dio-punitore, non è che la
personificazione di un’istanza psichica portavoce del giudizio che Adamo ha già
pronunciato inconsapevolmente su sé stesso optando per la sfera dell’ignoranza,
dell’egoismo e della violenza. Giustamente la Schaup osserva che “der eigentliche
Sündenfall Adams ist nicht sein Genuss der verbotenen Frucht, sondern seine Abkehr
von Lilith”197:
Wer von der ersten Liebe liess
Und Liliths Gaben von sich stiess,
Damit er Evas Gunst erwerbe,
198
Verdient, dass sein Geschlecht verderbe.
195
Ibidem, p. 343.
Die Kinder der Lilith, p. 345.
197
S. Schaup, op. cit., p. 72, „Il vero peccato originale di Adamo non è l’aver mangiato il frutto proibito, bensì il suo
allontanamento da Lilith“.
198
Die Kinder der Lilith, p. 346.
196
Eva, la “Nichtgewollte”, segue logicamente il suo fattore e padrone Adamo nella
‘caduta’, assicurandosi così “Schmerz und Mühsal” e “des Mannes Wahn”. Dio le si
rivolge con un tono tra il disgustato e il compassionevole, (‘unwissend Schuldige’),
dopodiché definisce una volta per tutte la non-sostanzialità di questa creatura, per la
quale Adamo si è giocato l’Eden. Come le fantasie personali dell’individuo sono
reali-irreali, nel senso che valgono solo per il loro produttore, e distorgono la sua
percezione del mondo impedendogli la realizzazione della famosa ‘relazione
d’oggetto’, così l’ambiguità del personaggio di Eva viene resa stilisticamente dalla
Kurz con una sapiente sfoggio di espressioni antitetiche:
In deinem Nichts, sein alles, was ihn tröste,
199
Sei Rätsel stets, und weh ihm, wenn er’s löste!
Infine, la condanna riservata a Samaele, l’orgogliosa „Stella del Mattino“, è quella di
rimanere in corpo di serpente, eterno accompagnatore delle donne-Eva. Anche qui la
doppiezza e la malizia di queste creature è formalmente resa con parallelismi, anafore
e costruzioni antifrastiche:
Du Stolzester, bleib du im Schlangenleib,
Im Staube kriechend bei dem Weibe bleib.
Lehr deine Künste sie, die trügerischen,
Lehr der gespaltene Zunge Doppelzischen,
Lehr sie, wie man verbundene Herzen trennt,
200
Das Schöne hässlich, wahr die Lüge nennt.
In chiusura di questo capitolo, possiamo osservare che, a questo punto,
il
rovesciamento del mito e della tradizione è completo: Lilith
è l’angelica (e pur tuttavia sensuale) creatura divina, mentre Eva viene addirittura
ridotta al rango di creatura del diavolo, di Lucifero. Certo, anche nella tradizione
giudaico-cristiana, Eva viene presentata come fonte primigenia della debolezza
umana e quindi porta d’entrata del Male; ciononostante “kommt ihr als Mutter der
Menschheit immer auch die Möglichkeit zu Güte, zu Erkennen und Einsicht zu”201.
Questa, per la Roebling e la Christow, è la grande eresia kurziana rispetto al mito e
non poteva che scatenare una “scharfe Kritik von Seiten der männliche Presse”202,
risultante nella totale scomparsa dell’epos dalla memoria letteraria.
Ancora la Christow, in chiave psicologica e ‘gender-orientated’, ci porge un quadro
riassuntivo-interpretativo delle circostanze che hanno portato a tale crisi:
Lilith ist also die Wissende und hält Adam, der träg neben ihr herlebt, zur geistigen Arbeit an. Von
der tatendurstigen, alles ergründen wollenden, klugen Lilith fühlt er sich absolut überfordert. Er
sieht sich als Knecht, wo er doch Herr sein will. Lilith schliesslich geht freiwillig von Adam weg,
199
Ibidem, p. 347.
Ibidem, p. 348.
201
I. Roebling, p. 180. „e tuttavia le resta, in quanto madre dell’umanità, semore la possibilità del Bene, del riconoscere
e dell’introspezione.“
202
S. Christow, op. cit., p. 95.
200
da dieser ausserdem nicht ertragen kann, dass ihm in ihr das weibliche Ebenbild Gottes
entgegenblickt, allzu ähnlich dem eigenen. Zwar bewundert und verehrt er das lichte, engelgleiche
Wesen, doch sehnt er sich, um von seiner Selbsterkenntnis abzulenken, nach jemandem, der kleiner
ist als er. In Eva und ihren unterwürfigen Kniefällen findet er das Gesuchte, sie ist ihm Ehefrau,
Konkubine und Sklavin. Durch die Annahme Eva als Partnerin ist Adam der Zugang zum wirklich
203
Weiblichen als Gottesschöpfung verlorengegangen.
Quest’ultima affermazione è particolarmente pregnante poiché, dopo la partenza di
Lilith, Adamo ed Eva sprofondano realmente in quella che Eliot chiamerebbe una
‘terra desolata’, una terra senza amore, in cui Dio si configura e viene immaginato
solo come un Padre severo e un Giudice spietato. Non c’è più il Divino Femminile,
l’ ‘agape’, la continua possibilità di riscatto che ogni madre offre al proprio figlio
poiché per lei l’amore è in primo luogo viscerale, e non razionale. Arriviamo così alla
parte finale della nostra storia, dedicata all’arida vita di Adamo e della sua progenie
sulla terra e all’ultimo colloquio tra Adamo in punto di morte e l’arcangelo Gabriele.
V.9. I figli di Eva – I figli di Lilith.
Dopo la cacciata dal Paradiso, la scena seguente si apre con un desolante zoom sul
panorama terrestre, dal quale emergono in successione “Lehmhütten”, il campo
sterile, e infine “einen stillen Mann mit erbleichtem Haar” insieme a una donna
“grau” e “verschrumpft”. Sono Adamo ed Eva, ritratto della rassegnazione e
dell’avvilimento, lei addirittura con “das Sklavenmal” segnato sulla fronte. Lui,
invece
Wahrt auch in niedern Daseins Joch,
Das Siegel seines Ursprungs noch,
Und klaglos trägt er Jahr um Jahre
Sein Urteil, das unwaldelbare.
Nie hat er mehr den Ort gesucht,
204
Von dem sein Gott ihn weggeflucht.
Quello che mi ha colpito in questo passo, a prescindere dai contenuti, è stato l’uso
ravvicinato e reiterato dell’aggettivo possessivo ‘sein’, una volta riferito a “giudizio”
e una volta a “Dio”. Sarei tentata di collegare tale fenomeno all’osservazione mossa
in precedenza, secondo la quale Dio, in questo epos, non è soltanto il Creatore visto
203
S. Christow, op. cit., p. 96-97, “Lilith è dunque la sapiente e sollecita Adamo, che le vive accanto pigro, al lavoro
spirituale. Egli si sente assolutamente sopraffatto dall’iperattiva e saggia Lilith, così desiderosa di conoscenza. Egli si
vede come un servo, laddove vuole essere il padrone. Alla fine Lilith se ne va volontariamente via da Adamo, siccome
questo non può tollerare che in lei gli si rifletta continuamente l’immagine femminile di Dio, troppo simile alla propria.
Certamente che venera e ammira questo essere angelico e luminoso, però, per distogliersi dalla conoscenza di sé stesso,
desidera ardentemente qualcuno che sia inferiore a lui. In Eva e nei suoi servili inginocchiamenti trova ciò che cerca, lei
è per lui moglie, concubina e schiava. Prendendo Eva come compagna, Adamo perde davvero l’accesso al Femminile
come creazione divina.”
204
Die Kinder der Lilith, p. 344.
come potenza esterna all’uomo, bensì diventa un’intima proiezione di Adamo, la
personificazione infra-psichica della vendicativa e insindacabile ‘legge del padre’. E’
Adamo che, tramite il suo deliberato errore e trasgressione al Piano Divino, emette un
verdetto su sé stesso senza possibilità di revoca.
Ad ogni modo, segue una intensa descrizione della nostalgia di Adamo verso Lilith e
l’Eden, che si riaccende dolorosamente ogni volta che alza gli occhi al cielo e vede le
stelle o l’arcobaleno oppure quando paragona mentalmente lo squallore dei fiori
terrestri allo splendore di quelli edenici. Quindi, se prima era l’amore (Lilith) a
stimolarlo, ora sono la pena e la necessità, come Dio gli aveva predetto:
Doch Lilith hat für dich gebeten,
Drum will ich dich nicht ganz zertreten.
Dich rettend schafft dir mein Gebot
205
Eine neue Treiberin: die Not.
I figli di Adamo ed Eva, o meglio, la loro discendenza nel suo complesso viene
dapprima introdotta e profetizzata da Dio come “ein wölfliches Geschlecht”, nutrito
di carne e “der Scholle nah”, nel senso non solo del materialismo a loro innato, bensì
del loro essere mortali e quindi concime per la terra alla quale fondamentalmente
appartengono. Il primo riferimento, nel caso della razza di Adamo ed Eva, è dunque il
lupo. Tale immagine mi richiama subito in mente la famosa ‘lupa’ dell’Inferno
dantesco ‘carca di tutte brame’. Normalmente spiegata come allegoria dell’avidità,
Assagioli ne approfondisce ulteriormente il significato e le implicazioni:
Essa rappresenta il principio stesso della separatività, dell’egoismo, da cui hanno veramente origine
tutte le brame; è quella che gli orientali chiamano ‘tomba’, la sete di vivere, la radice dei desideri
dell’anima individuale.206
La suddetta analisi si adatta a pennello ai figli di Eva, che d’ora in avanti continuerò a
chiamare così perché nel susseguirsi delle loro apparizioni e delle loro descrizioni
vengono sempre più accumunati alla madre che non al padre, e anche allo stesso
Lucifero:
Ihr Sinn, dem nächsten nur erschlossen,
lebt fort in ihres Leibes Sprossen.
[...].
Die folgen blind der Mutter Spur
Und sehn den nächsten Nutzen nur.207
I motivi dominanti in questo “unsel’gen Geschlecht” sono esattamente quelli
contrassegnati dalla ‘lupa’: ristrettezza di vedute, interesse solo per il proprio
“particolare”, istintualità (“Der Bauch ist Herr”), “Dumpfheit, Wollust, Mord”. Il
205
Ibidem, p. 346.
R. Assagioli, op. cit., p. 132.
207
Die Kinder der Lilith, p. 349 e 353.
206
prodotto ‘più riuscito’ di tale razza, ironicamente parlando, è rappresentato da Caino,
che veramente unisce i tratti satanici dell’ostinazione e della ribellione a quelli
materni della sensualità e cupidigia. Non a caso è il primogenito, concepito durante l’
empia notte della devastazione dell’Eden, e di conseguenza il favorito di Eva, il
monumento vivente al suo trionfo,“ihr Abgott und ihr Licht” :
Ein trotziger Jüngling folgt dem Pflug,
Den Evas Schoss als ersten trug,
Ihr Stolz und ihr allein ergeben,
Die Brandnacht Edens gab ihm das Leben,
Drum bleibt des Vaters Herz ihm fern.208
E più oltre:
Er war ihr Liebling von der Wiege,
Lebendiges Zeugnis ihrem Siege,
Wie sie durch ihrer Macht den Mann
209
Vom gottgewollten Bund für sich gewann.
Di lui si riporta la popolare leggenda del ‘marchio’ della colpa stampato sulla fronte,
in questo caso una stella “blutrot”, presagio del futuro delitto; lo si descrive perciò
secondo i canoni dell’ ‘eroe maledetto’. In effetti egli si stacca in negativo
dall’apatica mediocrità dell’ “häuslichen Zucht” ma non conquista in nessun modo la
simpatia dell’autrice. Avido di piaceri sensuali, tormentatore degli animali, amico del
serpente-Lucifero, Caino rispecchia la quintessenza e l’estremizzazione delle cattive
qualità dello stesso Adamo, ne è una sorta di ringiovanito e diabolico
‘Doppelgänger’:
Auf diesen Erben seines Blues
Blickt Adam Schweigend, bangen Mutes,
Weil er im Sohne, losgetrennt,
210
Das eigne schlechtre Ich erkennt.
Giusto di seguito all’entrata in scena di Caino abbiamo infatti, costruito in sei
quartine a rima alternata, un compianto sul primo delitto dell’umanità e sul destino
degli “Erben des frevelnden Betts”, dannati nel e dal peccato a scontare “nach
furchtbarem Rechte” la prima caduta. Con l’uccisione di Abele fanno dunque la
conoscenza della morte e capiscono che è il destino riservato a tutti loro, figli della
terra. Adamo cade in ginocchio pregando, mentre Eva si preoccupa più che altro del
suo prediletto, adesso in giro ramingo per il mondo, accompagnato solo dal serpente.
La causa dello screzio tra i due fratelli è stata una loro sorella, rappresentante delle
‘figlie di Eva’ e quindi geneticamente portatrice di discordia e sventura, che Adamo
ha dato in sposa a un pastore, invece che al voglioso Caino.
208
Ibidem, p. 352.
Ibidem, p. 356.
210
Ibidem, p. 353.
209
Ma adesso è il turno del vecchio patriarca. Arriva Gabriele ad annunciargli la morte,
ma anche, come estrema consolazione il lieto annuncio dell’esistenza, in Paradiso,
del figlio di Lilith:
Vernimm: Gesegnet war ihr Schoss,
Draus rang sich ein holdes Knäblein los.
Adam, dein echtgeborenes Kind,
211
Dem die Engel des Herrn zu Willen sind.
Questo bambino dai connotati chiaramente messianici viene inviato sulla terra, in
varie incarnazioni (condottiero, artista, profeta), come ‘salvatore del mondo’, vale a
dire come guida per i suoi fratelli decaduti e degeneri. Egli porta “den Schleier Liliths
wieder mit”, che in questo contesto è forse da intendersi come una rinnovata alleanza
tra l’umano e il divino, magari proprio la famosa ‘grazia’, qualità spiccatamente
femminile e che rimanda al manto con cui la Dea egiziana Nut protegge il mondo, o
al velo consolatore e misericordioso della Madonna. La somiglianza di tale figlio con
Lilith, della quale assume la funzione soteriologica e innalzatrice, rimanda molto alla
costellazione mitica Dea-madre-amante col Figlio-sposo. Scrive Neumann:
Il secondo elemento del mistero [il primo era lo hieros gamos] è la nascita del figlio. Con essa il
Femminile vive un prodigio puro ed essenziale per il matriarcato; non esiste solo l’uguaglianza del
Femminile col Femminile, anche il Maschile nasce dal Femminile. Tale prodigio –il contenimento
del Maschile da parte del Femminile- si estrinseca a livello primitivo nell’evidente subordinazione
del maschile al Femminile: esso, in definitiva, rimane sempre –come amante e uomo –suo figlio.212
E più sotto, sempre riferendosi alla nascita del “figlio-luce” presente in tutti i culti
misterici (Osiride, Dioniso, Elios), che poi diventa a sua volta fecondatore spirituale
della madre, Neumann osserva:
L’intenso segreto di questo evento consiste nel fatto che il Femminile riconosce in sé la luce
generatrice come figlio proprio; il mistero dell’incesto madre-figlio forma lo sfondo segretoperturbante di tale esperienza spirituale del Femminile. Cristo, quindi, è anche lo sposo di MariaChiesa, che è e rimane sua madre.213
In questo finale del poema, i riferimenti cristologici in effetti non mancano: si
afferma esplicitamente che il portatore di luce, in qualunque vesta esso appaia, verrà
duramente osteggiato e comunque quasi sempre frainteso da parte del “wölfliches
Geschlecht” dei suoi “Bastardbrüder”:
Den Evas Kinder, die ins Joch gebeugten,
Hassen von Mutterleib den Lichtgezeugten.
Sie werden ihn fesseln, den Weg ihm sperren,
Ihn auf den Pranger, die Schlachtbank zerren.
Vergeblich doch! Weil nach dem letzten Schluss,
211
Ibidem, p. 359.
E. Neumann, op. cit., p. 306.
213
Ibidem, p. 309.
212
Der Lilith Blut auf Erde herrschen muss.
214
Tuttavia questo è il destino di ogni divinità solare delle antiche religioni, che non a
caso è sempre correlata a una compagna-madre-sorella, che ne costituisce la
controparte femminile. La Schaup descrive tale rapporto:
Die Urgöttin ist nicht zu denken ohne ihren männlichen Gegenpol, den Sohn-Geliebten, der von
dem bösen Feind, der Vertreter des anhebenden patriarchalen Weltalters, zerstückelt, getötet,
entmannt oder mit magischem Fluch belegt wurde.215
In questo capitolo la Schaup tratta il pensiero del teosofo a indirizzo sofianico Otfried
Eberz (1878-1958) che imputava la tragicità dell’attuale condizione umana alla
separazione tra la Sofia e il Logos iniziata nella psiche umana con l’avvento del
“secondo eone” o “eone patriarcale”. Esso ha decretato la fine dell’ ‘età dell’oro’ così
come ci viene tramandata da tutte le tradizioni. Tali speculazioni si trovano nel suo
lavoro Vom Aufgang und Niedergang des männlichen Zeitalters, uscito tra il 1929 e il
1931 sulla rivista cattolica Hochland. Qui l’autore profetizzava tra l’altro anche il
ritorno dell’antica età ‘ginocratica’, poiché alla lunga la mente maschile empiricoanalitica sarebbe stata costretta a trasmutarsi in intuizione e ragion pura, cioè a
sviluppare un modello di pensiero di ordine sintetico-inclusivo.
Ma tornando alla nostra opera, oramai in chiusura: chi sono, più in concreto, questi
‘figli di Lilith’? L’autrice fa nominare a Gabriele una serie di figure a lei molto care:
“Forscher”, “Helden”, “Seher”, “Dichter”. In sostanza si tratta degli ‘uomini
superiori’, degli ‘starke Menschen” che sono consapevoli della loro responsabilità
nei confronti dell’umanità intera; la Onodi ne evidenzia la natura creativa e
combattiva, “im kontinuierlichen Streben nach immer immer höheren Zielen”216.
Stets weiter klimmt er, furchtlos weiter
Von Sprosse zu Sprosse der schwindelnden Leiter,
Das Ohr umklungen fort und fort
Von dem halbverstandenen Schöpfungswort.
Näher die Räume, die glanzerhellten,
Lauter der Jubelsang der Welten,
Bis er erscheint vor des Ewigen Thron,
217
Der Menschheit Vollender, dein herrlicher Sohn!
In questo passaggio del testo inoltre, Isolde accentua particolarmente anche la loro
innocenza, ingenuità e purezza che, se da un lato li rendono vulnerabili, dall’altro
sono proprio le qualità ideali che permettono loro di sollevare i fratelli “aus der
Sinnenknechtschaft Schmach”, dall’avido materialismo. Ancora una volta mi
214
Die Kinder der Lilith, p. 361.
S. Schaup, op. cit., p. 151, „La Dea Originaria non è da pensarsi senza il suo polo maschile, il Figlio-Amante, che
viene smembrato, ucciso, castrato o colpito con maledizioni dal nemico cattivo, portavoce dell’era patriarcale.”
216
M. Onodi, op. cit., p. 86, “in un continuo tendere vero mete sempre più alte”.
217
Die Kinder der Lilith, p. 362.
215
vengono in aiuto le acute analisi di Assagioli concernenti i simboli di esperienze
transpersonali-spirituali:
Nel passato, il culto degli esseri superiori era diffuso: i geni, i saggi, i santi, gli eroi , gli iniziati
erano riconosciuti come avanguardia dell’umanità, come la grande promessa di ciò che ogni uomo
potrebbe diventare.[…] Questi Esseri Superiori, senza disprezzare l’umanità comune, hanno cercato
di suscitare in essa la spinta, l’anelito a trascendere la ‘normalità’ e mediocrità in cui si trova, a
sviluppare le possibilità latenti in ogni essere umano.218
Il poema si chiude però in maniera drammatica e cupa col giuramento di eterna
guerra al figlio di Lilith pronunciato dai figli di Eva di fronte alla madre:
Gegen ihn gerüstet
Stehen wir alle vereint,
Ihn wegzuziehen von seinem Ziele.
Tröste dich Mutter,
219
Er ist einer und wir sind viele.
Essi sono veramente i ‘Todtengräber’, i becchini dell’aspirazione umana e i numi
tutelari dello ‘status quo’, dell’immobilismo culturale e spirituale. Sono la forza
frenante del vecchio nei confronti del nuovo, il conformismo, il patriarcato o, come li
definisce la Christow, “das Dunkle, Irdische, ja das Althergebrachte,
Konventionelle”220. Riguardo alla conclusione dell’opera, commenta amaramente la
Roebling:
So bleibt die messianische Vision zwar als Wort von Gabriel im Raume stehen, das Epos endet aber
mit dem martialischen Schwur der Adam- und Eva-Nachfolger, der –sechs Jahre vor Ausbruch des
Ersten Weltkrieges formuliert –gerade auf dir Unmöglichkeit einer versöhnten Menschheit in der
patriarchalischen Kultur hinweist.221
V.10. Qualche considerazione finale
Irmgard Roebling, nella sua trattazione di questo epos kurziano, insiste molto sul
carattere utopico di tale lavoro, dovuto probabilmente alla “ständige
Doppelbewegung von Flucht und Heimkehr, Aufbruch und Regression,
Emanzipation und Festhalten”222, che lei stessa ha ben identificato in un saggio
successivo:
218
R. Assagioli, op. cit., p. 72-73.
Die Kinder der Lilith, p. 363.
220
S. Christow, op. cit., p. 102, “l’oscuro, il terreno, il tramandato, il convenzionale”.
221
I. Roebling, op. cit., p. 183, “Così la visione messianica si ferma come parola di Gabriele nello spazio; l’epos finisce
invece col patto marziale dei successori di Adamo ed Eva, che –formulato sei anni prima dello scoppio della Prima
Guerra Mondiale- indica appunto l’impossibilità di un’umanità conciliata nella cultura patriarcale.”
222
I. Roebling, Aber alle Liebe ist Grausam. In: Frauen im deutschen Südwesten, v. sopra, p. 79, „doppio movimento
tra fuge e ritorno, rivolta e regressione, emancipazione e attaccamento“.
219
Offenbar glaubt jedoch die Autorin, nur durch Zerstörung eines bestimmten Frauenbildes, in dem
sowohl historisch reale wie sexistisch zugeschriebene weibliche Eigenschaften und
Verhaltensweisen auf die Spitze getrieben werden, zu einem neuen, utopischen Konzept von
Weiblichkeit gelangen zu können, einem Konzept, das sie in Lilith zu verkörpern sucht. Nur durch
die poetische Destruktion des Eva-Frauen-Bildes hindurch gelangt man zu einem Alternativbild, zu
Lilith. Deren utopischer Charakter wird konzeptuell dadurch markiert, dass sie vor Eva –und zwar
auf ungewisse Weise- geschaffen wurde, also bevor die intersubjektiven und gesellschaftlichen
223
Mechanismen des Patriarchats in Funktion gesetzt wurden.
Altro elemento utopico inoltre, come già discusso, è il ricorso alla prospettiva
angelica nell’incipit della narrazione. Per quanto concerne il finale, con l’immagine
prospettata da Gabriele della stirpe di Lilith trionfante sulla terra, sembra indubitabile
che la redenzione del mondo sia da connettersi all’elemento femminile.
Tuttavia, ciò che non soddisfa pienamente la Roebling, è il riutilizzo da parte della
Kurz di alcuni stilemi patriarcali, come il topos dell’ “herrlicher Sohn’ e la continua
qualificazione del Ritorno all’Uno come ricongiunzione tra il Figlio e il Padre: “Ganz
offensichtlich war auch hier die Prägekraft der jüdisch-christlichen Kultur stärker als
der feministische Impuls.”224 La chiusura ‘al maschile’, guerriera, dove “eine
Sohnfigur soll die Menschheit die Leiter hinauf zu Gott führen”225, contraddirebbe,
secondo la Roebling, l’iniziale ‘scala femminile’ costituita da Lilith e lascerebbe
apparire piuttosto inaffidabile un’utopia “weiblich orientiert”.
Per la Roebling, lo sparire di Lilith nel corso dell’epos rappresenterebbe dunque la
sempre riemergente forza dei valori e degli stereotipi patriarcali e sancirebbe
definitivamente l’esilio dell’Eterno Femminino da un mondo troppo radicalmente
maschilizzato.226 Di conseguenza, persa la connessione con un Femminile
trascendente, non resta che da augurarsi la riscoperta e la riconciliazione con un
Femminile immanente:
Aus der Dialektik von hoffnungsvoll schönem Anfang des Epos und kriegerisch-hässlichem Schluss
liess sich interpretatorisch das Desiderat einer innerweltlichen Versöhnung der Geschlechter
entwickeln –statt des hieros gamos also ein anthroposophicos gamos. Die im Bild gestaltete
antreibende kraft, die nicht nur, aber auch ein poetisches Element darstellt, würde so zum Triebrad
innerweltlicher Vollkommenheit und Glückseligkeit.227
223
I. Roebling, Lilith oder die Umwertung aller Werte, p. 181, „ Evidentemente l’autrice crede tuttavia di poter
pervenire a un nuovo, utopico concetto di femminilità che lei personifica in Lilith, solo attraverso la distruzione di un
determinato modello di donna, nel quale proprietà femminili e moduli di comportamento sia storicamente reali che
tendenzialmente sessisti, vengono portati all’estremo. Solo con la distruzione poetica dell’immagine della donna-Eva si
arriva a un modello alternativo, a Lilith. Il suo carattere utopico viene concettualmente marcato, in quanto lei è stata
creata – e non si sa in che modo- prima di Eva , dunque prima che entrassero in funzione i maccanisimi intra-personali
e sociali del patriarcato.”
224
Ibidem, p. 182, “Palesemente, anche qui era più forte l’influsso della cultura giudaico-cristiana che l’impulso
femminista.”
225
Ibidem, p. 163, “una figura di ‘figlio’ deve guidare l’umanità su per la scala verso Dio”.
226
Non a caso la fine dell’ottocento è caratterizzata dal massiccio imporsi di modelli statali di stampo conservatore o
con stili di governo autoritari, energici e aggressivi, come il Reich di Bismark e l’Italia di Crispi –grande ammiratore
del ‘cancelliere di ferro’.
227
Ibidem, p. 184, “Dalla dialettica tra l’ inizio dell’epos bello e speranzoso e la coda bellica e sgradevole si lascia
intravedere dal punto di vista interpretativo l’augurio di una riconciliazione dei sessi all’interno del mondo – invece
dello hieros gamos un anthroposophicos gamos. La forza trainante di Lilith dipinta nelle immagini e che presenta fra
l’altro anche una componente poetica, diventerebbe così la ruota motrice della felicità e completezza sulla terra.”
La Christow si concentra invece più sull’elemento biografico presente a un certo
livello di lettura dell’opera, secondo il quale la Kurz ha rappresentato tramite Lilith
‘in aenigmate’ se stessa che, in quanto donna di spirito e grande forza interiore, fu
spesso rifiutata e derisa. In più, proprio come Lilith,
Um dem himmlischen Lichte näherzukommen und um ihr Leben der Poesie zu widmen, musste
Isolde Kurz wie Lilith auf den Ehemann verzichten.228
Analogamente ai ‘figli di Lilith’, anche lei ha portato, incarnato e cercato di
diffondere il luminoso messaggio di un nuovo tipo di donna, capace di vivere fedele
al suo proprio ideale d’indipendenza, sia economica che spirituale.
Tale messaggio, obietta però la Christow, rimane un’utopia sul piano sociale, e
rimanderebbe ancora all’incapacità della Kurz di rapportarsi al contingente, allo
storico e al concreto229:
Die historischen Verhältnisse lassen lediglich eine Wunschprojektion zu (Lilith als bereits
emanzipiertes Wesen erscheint als Engel und überragt sogar den Mann). Ihr Postulat des
Bildungsideals für Frauen entsprach ebenso wenig der Realität wie ihre Festlegung der Ehe als
unnütze Einrichtung. Die gesellschaftliche Wirkung von Isolde Kurz darf daher nicht zu hoch
eingeschätzt werden.230
Io personalmente aggiungerei che non era affatto nelle mire di Isolde mostrare un
piano pratico ed effettivo per il mutamento sociale nei rapporti tra i sessi, quanto
stimolare un cambiamento di coscienza sia nell’uomo che nella donna, illustrando
alcuni ‘veleni psicologici’ (egoismo, materialismo, possessività, abulìa, invidia,
malizia,) che corrodono in generale l’animo umano.231 Per quel che ci mostrano le
sue opere e la sua autobiografia, la Kurz mirava all’essenziale, al costante e
all’universale, per cui mi sembrerebbe giustificata una lettura prevalentemente
simbolico-archetipica, come quella che ho tentato appoggiandomi in gran parte a
Neumann e alla Schaup. In ogni caso, anche la Christow e la Roebling riconoscono il
gran contributo artistico e psicologico che Isolde ci ha offerto col suo epos, se non
altro perché per la prima volta una donna ha avuto il coraggio di prendere in mano il
228
S. Christow, op. cit., p. 98, “Per avvicinarsi alla luce celeste ededicare la sua vita alla poesia, Isolde Kurz, come
Lilith, dovette rinunciare al marito.”
229
D’altronde, come puntualizza la Onodi, la Kurz, tranne rare eccezioni, rimase un’osservatrice passiva delle vicende
politiche del suo tempo. A suo avviso, i conflitti politici e sociali non erano altro che l’espressione esteriore
d’incomprensioni e dissonanze già rintracciabili all’interno della psiche del singolo o in quella di un’intera nazione.
Cfr. Onodi M., op.cit., p. 110.
230
Ibidem, p. 103, “Le relazioni umane storiche ammettono solo una proiezione del desiderio (Lilith come essere già
emancipato appare come angelo e supera addirittura l’uomo). Il suo postulato dell’ educazione ideale per le donne
corrispondeva così poco alla realtà come la sua constatazione che il matrimonio è un’istituzione inutile. L’ efficacia
sociale di Isolde Kurz perciò non deve essere sopravvalutata.”
231
E’ interessante notare come, a livello collettivo, tale volontà di possesso e di egemonia si era esplicata nella politica
imperialistica intrapresa dalle potenze europee con particolare vigore a partire dalla seconda metà dell’ottocento. Con
qualche decennio di ritardo, la ‘corsa alle colonie’ aveva contagiato anche le due nuove identità nazionali sulla scena
continentale, vale a dire la Germania guglielmina e l’Italia della Sinistra storica. All’epoca della gestazione (e poi della
pubblicazione) dell’epos kurziano tuttavia, gli inevitabili effetti negativi di tale lotta per il potere politico-economico si
venivano accumulando ed evidenziando (prima crisi marocchina del 1905, crisi economica del 1907-1908). Tutto ciò
sarebbe sfociato di lì a poco nella ‘guerra totale’ del 1914-18 che avrebbe travolto gli imperi, sconvolto gli equilibri
europei e aperto la profonda crisi spirituale dell’ ‘interwar period’.
mito patriarcale della ‘nera Lilith’ e, sfidando ogni ‘auctoritas’, lo ha reinterpretato
secondo il suo più intimo sentire femminile, cioè secondo la propria intuizione e
ispirazione.
Breve nota alla traduzione
Durante il lavoro di traduzione, che evidentemente ho impostato sui criteri estetici e
formali di una “Nachdichtung”, ho cercato di rimanere il più possibile fedele allo
stile dell’originale tedesco. Una volta appurato il senso, il messaggio dell’opera, lo
scopo è stato quello di incrementare la godibilità della fruizione tramite il
mantenimento di un certo ritmo anche nel ‘ductus’ poetico italiano. Giuseppe
Sansone, nel suo libro conciso ma molto pratico ed esemplificativo sull’arte della
traduzione, afferma la basilare importanza della ricerca di una soluzione metrica nella
lingua d’arrivo che conservi una buona pulsazione ritmica. Infatti essa è
La sola che possa ricreare l’immagine del testo poetico in quel suo primum che è la cosiddetta
musicalità, anche se proprio questa musicalità sarà sempre altra, come altra è la lingua, rispetto
all’originale. Tanto si è che -e potrebbe sembrare quasi assurdo- la soluzione ritmica, a differenza
della fedeltà lessicale e verbale, per potersi attribuire la sua pienezza, deve spesso prescindere dal
moto segreto del fraseggio originario, per reperire e attribuirsi il suo proprio moto naturale: una
Sprachbewegung che, mimetica o non va primariamente perseguita.232
Gran parte della musicalità e memorabilità dell’epos consiste comunque nel rapido e
accattivante susseguirsi delle rime, perlopiù perfette o addirittura sovrabbondanti.
Riconoscendone il valore intrinseco, e la loro funzionalità direi ‘genetica’ o
connaturata all’economia di un poema epico, mi sono sforzata, prestando ovviamente
attenzione che ciò non andasse a scapito dei contenuti, di mimare tale tratto stilistico
attraverso l’impiego di assonanze, consonanze, rime imperfette e talvolta perfette.
Per quanto riguarda il resto, ossia lo specifico del linguaggio, della scelta lessicale e
dei costrutti sintattici, si sono presentati i problemi tipici di ogni traduzione, che
aldilà di tutto è pur sempre un lavoro d’interpretazione, solitamente tanto più riuscito
quanto maggiore è la capacità del traduttore di ‘sintonizzarsi’ sulle ‘frequenze’ (le
intenzioni, i moventi, il background formativo o la ‘forma mentis’) dell’autore.233
Per questo mi è stato di grande aiuto lo studio collaterale del pensiero e delle visioni
filosofico-esistenziali della Kurz, e contemporaneamente l’analisi del contesto socioculturale da cui lei muoveva. Come nota anche il Sansone:
[…] mi pare che il proposito della fedeltà, al corpo e all’anima, non sia più revocato in dubbio da
alcuno e che, anzi, si imponga come momento preliminare e inalienabile per chiunque: sicché il
moto poetico del testo d’arrivo non si vuole più raggiungerlo per via di affrancamento, bensì di
232
Giuseppe E. Sansone, I luoghi del tradurre. Capitoli sulla versione poetica, Guerini e Associati, Milano, 1991, p. 19.
Cfr. P. Newmark, La traduzione: problemi e metodi. Milano, 1988, p. 105, “Probabilmente una traduzione brillante
dipende più dall’empatia del traduttore col pensiero dell’autore che non dall’affinità linguistica e culturale.” Citato sec.
G. E. Sansone, op. cit. sopra.
233
adesione, una adesione la quale conservi, tutta implicita, l’intera gamma dell’esegesi e
interpretazione, fin dal momento della pre-comprensione o Vorverständnis.234
A questo punto il Sansone si appella ancora all’autorità del Newmark, caposaldo
della teoria (o non –teoria?)235 della traduzione, il quale afferma che “Il tipo di
traduzione più stimolante è quello in cui essa diventa una forma consapevole di
interpretazione, di ermeneutica, di esegesi”.236
Infine, a un livello più concreto, devo dire che non è stato sempre facile confrontarsi
con l’elegante padronanza formale, unita alla profonda creatività, con cui Isolde
gestisce il materiale linguistico. Da un lato, ciò ha esasperato alcune delle difficoltà
più tipiche e nondimeno già insite nel passaggio dalla lingua tedesca a quella italiana,
come ad esempio l’estrema produttività e duttilità dei composti kurziani e il grande
uso che lei fa di aggettivi e verbi sostantivati. Dall’altro, invece, precisamente tali
scogli mi hanno coinvolta in una sfida interiore giocata su un doppio binario tra
libertà e fedeltà al testo, tra resa dei contenuti e resa della forma, durante la quale
anch’io, nei momenti di maggiore smarrimento e dubbio, mi sono lasciata guidare
dal cuore e dall’intuizione.
234
G. E. Sansone, op. cit., p. 13.
P. Newmark, op. cit., p. 199, “non esiste, né mai esisterà, una scienza della traduzione”.
236
Ibidem, p. 246.
235
Bibliografia
Strumenti
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München, 1925, Bd.2.
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