Pedinati e licenziati. Ogni mezzo è lecito per far fuori chi chiede

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Pedinati e licenziati. Ogni mezzo è lecito per far fuori chi chiede
RIFIUTI Così parlò
Schiavone
INTERPOL Al servizio
dei potenti
SPERIMENTAZIONE
Una legge bestiale
SETTIMANALE LEFT AVVENIMENTI
POSTE ITALIANE SPA - SPED. ABB. POST.
D.L. 353/2003 (CONV. IN L. 27/02/2004
N. 46) ART. 1, COMMA 1 DCB ROMA
ANN0 XXV - ISSN 1594-123X
AV V E N I M E N T I
N. 44 | 9 NOVEMBRE 2013 LEFT+L’UNITÀ 2 € (0,80+1,20)
Da vendersi obbligatoriamente insieme al numero del 9 novembre de l’Unità.
Nei giorni successivi euro 0,80 + il prezzo del quotidiano
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Pedinati e lice voro. Dall’Ilva all’Iveco, pass zia
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sicurezza sul la Tre storie di ordinaria ingius
di Tiziana B
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AV V E N I M E N T I
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LA TESTATA FRUISCE
DEI CONTRIBUTI
DI CUI LA LEGGE AGOSTO 1990, N. 250
left 9 novembre 2013
LA NOTA DI
Maurizio Torrealta
Quando il miglior ristorante
non merita i nostri quadri
D
edichiamo la nostra copertina a tre
operai licenziati che rivogliono il
loro lavoro. Questa è la storia più interessante per noi questa settimana. Ma c’è anche un’altra piccola storia che vorrei accennare. Nel 1958 l’architetto americano
Philip Johnson commissionò al pittore lituano americano Mark Rothko una serie
di dipinti per il ristorante “Quattro stagioni” nel grattacielo Seagram a New York.
Rothko lavorò per più di un anno al progetto, ma quando, dopo aver consegnato i quadri, vide la clientela che frequentava il ristorante, decise di riprenderseli. Anche noi dedichiamo molto tempo a
interessarci alle chiacchere della bouvette di Montecitorio ma ci sentiamo sempre più nauseati dalla volgarità della politica. Il paragone con Rothko non lo meritiamo ma il suo gesto è istruttivo. Rothko ritirò i suoi ambasciatori. Esercitò
il suo diritto alla rottura di un contratto
basato sulla reciprocità, aveva esposto i
quadri pensando che i frequentatori del
ristorante li apprezzassero, ma essendo
solo interessati a mangiare tolse il colore da quel posto. La stessa parola reciprocità implica questo doppio movimento di
dare e ricevere, viene dal latino: recus indietro e procus avanti. Se lo scambio tra
il dare e l’avere non è reciproco si rescinde il contratto. In una società indebitata
come quella italiana, basata sull’imposta
e non sul lavoro, né tanto meno sul profitto e ancora meno sull’osservanza delle scadenze dei pagamenti (nemmeno da
parte della Pubblica amministrazione),
la tentazione di riprendersi i propri quadri dalle pareti è molto forte. Chi sono i
commensali? Quelli che guardano solo
nel piatto in cui mangiano e non si accor-
gono di ciò che li circonda. Sono tante le
occasioni di rescissione da un implicito
contratto. L’irruzione di centinaia di persone mai viste prima in una sezione di un
partito per votare un loro candidato provoca un ovvio disinvestimento della fiducia nel circolo da parte dei frequentatori
abituali. Una fabbrica che paga un’agenzia di investigazioni per togliere a un cittadino il suo diritto al salario e licenziarlo per un’apparente giusta causa - come
leggerete più avanti in queste pagine - anche questo è un grave caso di rottura di un
contratto sociale. Se tu non ti fidi di me,
anche io non mi fido di te. Tu paghi la tua
società d’investigazioni noi ci paghiamo
la nostra e vedremo chi è più onesto. Attenzione! Questa progressiva rottura della reciprocità del contratto sociale segnala il rapido precipitare di regole sociali
condivise. Se un ministro dà anche solo
l’impressione di preoccuparsi dei carcerati amici di famiglia e non di tutti gli altri, basta anche solo questa impressione
a farci ritirare la fiducia. Secondo le statistiche solo sei persone su cento pensano
che esista un contratto di reciproca affidabilità con chi viene eletto in Parlamento. È un numero estremamente basso ed
è necessario lanciare l’allarme. Smettetela di guardare solo nel vostro piatto perché la maionese sta impazzendo e il latte
sta cagliando. Le possibilità che una società indebitata e tormentata dalle imposte riesca a rilanciare la fiducia sociale è
ridicolmente bassa. ATTENZIONE, quando si rompe il legame reciproco della fiducia non lo si ristabilisce per un lungo periodo. Tradire la fiducia dei propri elettori
vuol dire regalarli a improvvisati affabulatori. Valutate seriamente questi allarmi.
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«Così noi giovani
abbiamo fermato
i “cammelli”»
Sono un lettore di left,
22 anni, militante del Pd
di Bitetto (Bari), dove la
scorsa settimana si sono
svolti i congressi sezionali
e provinciali.
Nel penultimo numero di
left avete denunciato le
irregolarità nei congressi
in Sicilia, Calabria e Puglia. Tutta colpa di uno
strano regolamento nazionale che permette il
tesseramento “live” anche il giorno del congresso, una sorta di primarie
aperte, con un contributo
minimo di 15 euro.
Vi segnalo la nostra vicenda. A Bitetto, per mantenere aperta la sezione e
per dare praticabilità politica specialmente ai giovani, oltre al versamento della quota mensile, ad
aprile avevamo deliberato in assemblea il prezzo della tessera a 40 euro.
Abbiamo deciso di mantenere quel prezzo anche
il giorno del congresso,
pur consapevoli di andare contro il regolamento
nazionale, per scoraggia-
la settimanaccia
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left.it
re l’iscrizione di massa di
persone pronte a condizionare il voto. Il giorno
del congresso si presenta la “truppa cammellata”.
Quindici persone pronte a
effettuare l’iscrizione. Tra
cui anche qualche persona di destra. Tutti capeggiati da un ex iscritto ed
ex amministratore (che si
sottraeva all’obbligo statutario di contribuire al
bilancio del circolo), collegato probabilmente a
qualche parlamentare democratico barese. Bisogna dire che tra le persone che si sono presentate, ci sono alcune apertamente in contrasto con lo
statuto nazionale del Pd,
tra cui anche lo stesso ex
amministratore, in quanto
alle scorse amministrative locali, aveva concorso
con una lista avversaria a
quella del Pd.
Risultato? Abbiamo ribadito il tesseramento a 40
euro e la pregiudiziale nei
confronti di due richieste
di iscrizione. Abbiamo respinto il pacchetto di tessere. Per protesta abbiamo
deciso di non celebrare più
il congresso.
Non so fino a quanto po-
trà andare avanti questa
vicenda, ma abbiamo voluto dare un forte segnale
al Pd nazionale. Se esiste
ancora è anche per merito nostro.
Raffaele Cantore
«Un regolamento
indegno»
Sono orgoglioso da segretario regionale dei Giovani
democratici Puglia di aver
bloccato il tesseramento
dei Gd impedendo di fatto che l’inquinamento del
tesseramento Pd arrivasse
anche nella nostra organizzazione. Sono orgoglioso
di aver votato contro (da
solo) in direzione regionale Pd un regolamento congressuale che confermava
un regolamento nazionale stupido e indegno per un
Partito che si definisce tale. Sono orgoglioso dei Gd
di Bitetto che hanno deciso di impedire che si tesserassero persone che col Pd
non hanno nulla a che fare. Non so se il loro gesto
sia stato regolare. Probabilmente a norma di regolamento no. Ma è stato un
gesto politico importante.
Un gesto che ridà speran-
za a chi ancora riesce a indignarsi. A chi ancora non
si arrende.
Pierpaolo Treglia,
segretario Gd Puglia
Ringraziamo Raffaele
Cantore e Pierpaolo Treglia, giovani militanti e
dirigenti democratici, che
con le loro segnalazioni
dimostrano come nel Pd
resista ancora una parte non marcia. La copertina di left titolata “Tessere o non essere” - che molto ha fatto infuriare alti
funzionari e ras locali del
Pd- crediamo sia venuta
in aiuto alla loro preziosa
resistenza. Non sappiamo se questa battaglia sarà vittoriosa. Lo speriamo. Ci si permetta solo
una postilla, amara. Nello scontro tra il partito leaderistico (Renzi) e quello degli iscritti (Cuperlo), rischia di non vincere
nessuno. Perché se la prima proposta distrugge il
partito come “intellettuale collettivo”, la seconda
si dimostra impraticabile, dinanzi a una politica
divenuta strutturalmente
“notabiliare”. Il congresso del Pd dimostra come la
crisi della politica sia in
realtà una crisi della democrazia.
Manuele Bonaccorsi
9 novembre 2013
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left.it
sommario
IANNO XXV, NUOVA SERIE N. 44 / 9 NOVEMBRE 2013
COPERTINA
SCUOLA MEDIA
INCHIESTA
ELIMINATI
UNA RIFORMA A RISCHIO
IL SESSO INCOMODO
Tre storie di ordinaria ingiustizia sul posto di lavoro. Giuseppe, operaio torinese: pedinato per due mesi dall’azienda e
poi licenziato. Marco, dipendente dell’Ilva:
licenziato perché chiedeva più sicurezza.
Riccardo, ferroviere: licenziato per aver raccontato la verità sulla strage di Viareggio.
Diritto allo studio per tutti, ricchi e poveri. La legge che entrò
in vigore il 1° ottobre 1963 segnò uno spartiacque nell’istruzione italiana. Ma cinquant’anni dopo, le
diseguaglianze aumentano, così come gli
abbandoni scolastici. Grazie anche ai tagli
dell’era Gelmini-Tremonti.
La Germania riconosce per
legge l’intersessualità, consentendo di non indicare il
sesso nel certificato di nascita quando non sia possibile stabilire il genere con esattezza. Ma tra codice civile e società il divario resta, a Berlino come altrove.
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LA SETTIMANA
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LA NOTA
LETTERE
LA SETTIMANACCIA
FOTONOTIZIA
COPERTINA
16 Licenziamento all’italiana
di Tiziana Barillà
19 Come far fuori l’operaio scomodo
di Manuele Bonaccorsi
20 Morti sul lavoro, conti sbagliati
di Fabrizia Caputo
22 Strage in cerca di colpevoli
di Claudia Romito
SOCIETÀ
24 Così parlò Schiavone di Anna Fava
28 La musica non è finita di R. Vazzana
foto di Alessandro Mallamaci
30 Si è abbassata la media
di Donatella Coccoli
INCHIESTA
34 Un genere tra gli altri
di Chiara De Carolis
36 Il sesso incomodo di Paola Mirenda
left 9 novembre 2013
IDEE
12 ALTRAPOLITICA di Andrea Ranieri
13 L’OSSERVATORIO
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di Francesco Sylos Labini
SAPERI DIFFUSI di Guido Viale
IN PUNTA DI PENNA di A. Cisterna
IN FONDO A SINISTRA
di Fabio Magnasciutti
KEYNES BLOG
di Daniela Palma e Guido Iodice
TRASFORMAZIONE
di Massimo Fagioli
TI RICONOSCO di Francesca Merloni
MONDO
38 Interpol, pronti agli ordini di C. Tosi
42 Fuga da un matrimonio di E. Murgese
34
RUBRICHE
08 COSE DELL’ALTRO MONDO
a cura della redazione Esteri
10 COSE DELL’ALTRITALIA
a cura della redazione Interni
11 PICCOLE RIVOLUZIONI
a cura di Paolo Cacciari
33 LA SCUOLA CHE NON C’È
di Giuseppe Benedetti
58 PUNTOCRITICO
CINEMA di Morando Morandini
ARTE di Simona Maggiorelli
LIBRI di Filippo La Porta
60 BAZAR
TELEDICO, BUONVIVERE,
JUNIOR
60 APPUNTAMENTI
a cura della redazione Cultura
CULTURA E SCIENZA
46 Una legge disumana di Federico Tulli
50 La poesia civile di Sereni
di Simona Maggiorelli
54 Ultimo scatto a Parigi
di Arianna Catania
Chiuso in tipografia il 6 novembre 2013
Foto di copertina: 123rf
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fotonotizia
De Blasio, Robin
Hood a New York
Bill il rosso, ex avvocato di
strada e paladino dei poveri che vuole tassare i ricchi, ce l’ha fatta. Il democratico di origini italiane
Bill de Blasio è diventato
sindaco di New York sbaragliando il repubblicano
Joe Lhota. Nella foto Bill,
52 anni, festeggia la vittoria ballando la “smack
down” insieme con la moglie Chirlane e figli Dante
e Chiara. De Blasio vuole
aumentare le imposte per
finanziare le scuole pubbliche e gli ospedali. Nel suo
programma anche le case
popolari e gli incentivi alla
mobilità pulita.
(Willens/Ap/Lapresse)
cose dell’altromondo
© SALIOU/AP/LAPRESSE
left.it
LA RIVOLTA BRETONE Quimper, 2 novembre 2013. Berretti rossi come nel 1675, quando fu rivolta contro il potere centrale. A più di tre secoli di distanza la popolazione della Bretagna francese, da sempre percorsa da voglia di indipendenza, ritorna in piazza con gli stessi simboli. L’avversario stavolta è l’Europa e la eco-tax imposta al trasporto su gomma, che secondo i manifestanti incrementerà la disoccupazione locale. Di fronte alle proteste
Hollande ha scelto di procrastinare l’entrata in vigore della norma, mentre la polizia ha usato lacrimogeni e cannoni ad acqua per disperdere i cortei.
© NASSER/AP/LAPRESSE
ISRAELE La vittoria dei generali
Il bilancio della Difesa israeliana per il 2014 supera
il totale delle spese che lo
Stato sosterrà per il welfare. Più droni e meno ospedali. Al termine
di lunghe discussioni e minacce di far cadere in crisi il
governo, i generali israeliani possono dirsi soddisfatti: nel progetto di finanziaria approvato lo scorso 3 novembre sono
stati stanziati 18,6 miliardi di shekel (circa 5,2 miliardi di euro) per le
forze armate. Dei tre miliardi di tagli stabiliti dal governo quattro mesi fa 2,75 sono stati ripristinati dopo un braccio di ferro tra il ministro
del Tesoro e quello della Difesa. A farne le spese saranno i contributi
all’istruzione superiore, quelli alla sanità e quelli alle infrastrutture.
Non riduciamo il dibattito
a una battaglia tra pro
e anti europeisti. Offriamo
la scelta tra un’Europa di
centrodestra e un’Europa
di centr
centrosinistra
Martin Schulz,
presidente del
Parlamento europeo
e candidato socialista
alla guida della
Commissione Ue
CRISI DELLA SETTIMANA Quattro ostaggi liberati e due giornalisti assassinati. Nella settimana in cui la Francia festeggiava laa
liberazione dei lavoratori di Areva sequestrati nel 2010, Ghislaine Dupont e Claude Verlon, reporter di Rfi, venivano rapiti e uccisi
nel nord del Mali. A Kidal, capitale dell’Azawad, circola voce che i due giornalisti siano stati vittime di una faida interna a Aqmi
relativa alla divisione del riscatto pagato per i 4 dipendenti di Areva. La loro morte sarebbe una sorta di avvertimento per il gruppo rivale e al contempo un monito alla Francia: niente divide et impera da queste parti, oppure preparatevi al peggio.
8
9 novembre 2013
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left.it
KOSOVO Elezioni senza risultati
44%
L’Osce ha dichiarato che è impossibile determinare l’esito
del voto a Mitrovica, nel Nord del Kosovo. La città è il capoluogo dell’enclave serba, che chiede l’autonomia dagli albanesi di Pristina. Ma sono bastate delle semplici elezioni municipali per scatenare il finimondo. I tre seggi elettorali della città sono finiti sotto attacco e gli osservatori inter-
nazionali sono scappati dagli uomini mascherati che lanciavano gas lacrimogeni e distruggevano le urne. Nikola Gaon, portavoce della missione
© KRYEZIU/AP/LAPRESSE
Osce in Kosovo, ha dichiarato
che le schede sono andate
perdute e che probabilmente non saranno mai ritrovate. «Da quello che ho visto su youtube, potrebbero
anche averle buttate nella
spazzatura».
Quasi metà dei tedeschi pensa che lo
spionaggio della Nsa sia «un problema
sopravvalutato» e solo il 24 per cento
si dice «molto preoccupato».
Però la vicenda ha corroso la fiducia
verso la tecnologia: oggi appena
il 16 per cento dei tedeschi si fida
a inviare delle informazioni online
LA CURIOSITÀ Sostenere le nascite a Teheran
Scende il tasso di fertilità in Iran e la popolazione diminuisce. Teheran voleva invertire la tendenza finanziando i matrimoni, ma non ha trovato i fondi. Poi un governatore ha
minacciato di licenziare gli scapoli, ma non è servito. Ora si pensa di aumentare a 9 mesi
il congedo maternità, ma gli iraniani sono scettici. Poco male, dicono gli analisti Usa, un
Paese con meno giovani - specialmente disoccupati - è un Paese con meno fondamentalismo.
I più potenti del mondo
Il magazine economico Forbes ha stilato la lista delle 72 persone più potenti al mondo, una ogni cento milioni di cittadini. Quattro le caratteristiche considerate per determinare il loro potere: il numero delle persone che sono in grado di influenzare, la loro capacità finanziaria, l’ambito nel quale operano,
la loro volontà di cambiare il mondo. I primi 5 sono capi di Stato. Il primo (e unico) italiano è Mario Draghi, al nono posto in qualità di presidente della Bce.
1
Vladimir Putin (1952). Presidente
della Federazione Russa dal 2000
(con una pausa da primo ministro tra
il 2008 e il 2012). Laureato in Diritto
internazionale, entra nel Kgb nel 1975.
2
Barack Obama (1961). Presidente degli
Usa dal 2009, dopo tre anni da senatore
dell’Illinois. Laureato in Legge ad
Harvard, prima di entrare in politica ha
lavorato come avvocato per i diritti civili.
3
Xi Jinping. Presidente della Repubblica
Popolare Cinese. Figlio di un veterano
comunista, laureato in Legge, nel 1969
ha collaborato all’iniziativa di Mao per
il ritorno alle campagne.
left 9 novembre 2013
4
Papa Francesco (1936). Pontefice dal
2013. Primo gesuita a capo del Vaticano.
Perito chimico, entra in seminario nel
1958, si laurea prima in Filosofia e poi in
Teologia. Vescovo di Buenos Aires nel ’92.
5
Angela Merkel (1954). Cancelliera
tedesca dal 2005. Cresciuta in Germania
dell’Est, il padre era pastore protestante.
Dottore di ricerca in Chimica fisica
prima di entrare in politica nella Cdu.
6
Bill Gates. Fondatore di Microsoft.
Uomo più ricco del mondo dal 1996
al 2009 e di nuovo nel 2013. Di buona
famiglia, un’adolescenza da hacker, ora
si occupa soprattutto di beneficenza.
9
cose dell’altritalia
left.it
INTELLETTUALI SI SCHIERANO
Eva Cantarella, studiosa della vita quotidiana e della sessualità nell’antichità greca e romana, non ha dubbi. Alle primarie democratiche voterà Giuseppe Civati: «Voto Pd. Ma devo dire che quello che mi incoraggia a continuare, nonostante i tanti errori che sono stati
fatti e che tutti conoscono, è che ci siano persone come
Pippo Civati». Non prende in considerazione nessun
altro nome la storica del diritto antico che nel 2003 ha
vinto il premio Bagutta con Itaca. Eroi, donne, potere
tra vendetta e diritto, autrice, tra gli altri, de L’amore
è un dio. «Civati è l’unico che mi convince», prosegue
Eva Cantarella. «Io sono di sinistra e lui mi sembra il
solo nel quale io possa identificarmi come persona che
esprime e soprattutto difende con integrità certi valori. Non assecondando mai calcolini di bottega o convenienze politiche».
BOLOGNA Una classe per stranieri
MATTEO OSREV AIBMAC
«Classe liquida, sperimentale». Il professor Emilio Porcaro, dirigente scolastico dell’Istituto Comprensivo 10, sceglie con cura le parole per raccontare la nuova classe formata
da 22 studenti di origine straniera. Non vuole si parli di classe ghetto. Il progetto ha preso forma ad agosto, quando le famiglie di una quindicina di ragazzi,
giunti in Italia attraverso ricongiungimenti familiari e
con poca o nessuna padronanza della lingua italiana,
si sono presentate in segreteria chiedendo l’iscrizione alle medie. Così, visto che le classi erano già formate, il dirigente ha pensato a una soluzione “ponte”:
una classe di ragazzi stranieri che lavorano soprattutto sull’apprendimento dell’italiano, in attesa di essere
smistati in altre classi. La decisione è stata contestata
da quattro genitori e dal presidente dell’istituto.
Matteo Renzi lancia la campagna #cambiaverso
e sul web si scatena implacabile la parodia.
Senza dimenticare la sua visita a casa di Berlusconi,
il suo sì a Marchionne e la concessione
di Ponte Vecchio a Montezemolo.
12mila
Sono le edicole chiuse negli ultimi
sette anni per la crisi economica e il
crollo di vendita dei giornali. L’ipotesi
di un aumento dell’Iva sugli allegati
(dal 4 al 22 per cento) darebbe un
ulteriore colpo al settore: «Spariremo
prima della carta stampata»
10
9 novembre 2013
left
left.it
PiccoleRivoluzioni
ASPETTANDO MARINA
«Lascerei perdere i figli
perché uccidono»
I 94 abitanti
che si autogovernano
(Umberto Bossi, 27 ottobre 2013)
«Panico a Forza Italia: la figlia
di Berlusconi non ha precedenti
penali. Come può far presa
sull’elettorato di suo padre?»
CAGLIARI Un’isola di cemento
Le coste della Sardegna rischiano una nuova colata di cemento. Sono in molti a credere che il nuovo Piano paesaggistico della Ragione (Ppr) sia
il lascia passare per una speculazione edilizia pronta a stravolgere il paesaggio costiero dell’isola. Approvato lo scorso 25 ottobre dalla giunta regionale, il piano racchiude al
suo interno dei passaggi che lasciano spazio alla libera interpretazione. Se da un lato, infatti, il regolamento afferma
di tutelare le tipologie e i molteplici caratteri del paesaggio, dall’altro, le norme transitorie mettono in discussione
il principio. L’art. 69, ad esempio, afferma che «potranno essere realizzati gli interventi di ampliamento delle strutture
ricettive all’interno della fascia dei 300 metri dalla battigia
sino al 25 per cento dei volumi esistenti». Non esattamente
un’efficace tutela del paesaggio.
left 9 novembre 2013
©D’ALBERTO/LAPRESSE
(Michele Serra,4 novembre 2013)
Dopo la condanna del papà, in
tanti la vorrebbero erede al
trono di Forza Italia. Ma lei,
Marina Berlusconi, continua
aa
smentire ogni indiscrezione..
Prima di un passo così
importante, del resto, è bene
e
pensarci a lungo. Soprattutto
to
se, secondo Forbes, sei già
l’unica italiana a meritare
di entrare nella classifica
delle donne più potenti al
mondo. Ma con papà ai servizi
izi
ato,
sociali e un Alfano così ingrato,
re
forse Marina potrebbe cadere
in tentazione. A meno che
ge
qualcuno non faccia una legge
sul conflitto di interessi. Ma
a
questo è impossibile!
di Paolo Cacciari
Altino, 94 abitanti, frazione del Comune di Quarto d’Altino, ottomila abitanti in tutto. Situato alla confluenza nella Laguna di Venezia di due incantevoli fiumi di risorgiva, lo Zero e il Sile. Sito archeologico romano vasto poco meno di Pompei. Per fortuna non scavato. Sotto costante minaccia di megaprogetti quali la seconda pista
dell’aeroporto internazionale Marco Polo e il Tav verso
Trieste. Una microstoria di resistenza popolare come ce
ne sono in ogni borgo d’Italia e in ogni quartiere urbano.
Gli abitanti si organizzano in una associazione (La Carta di Altino), il parroco apre i locali della canonica, un insegnante di storia si dedica alla ricostruzione della memoria del luogo, una cooperativa sociale crea un locale
ristorante (www.leviealtino.it) dove si usano prodotti
biologici locali, si noleggiano bici, si fanno corsi di cucina, si vendono e si imprestano libri. Ne esce un florilegio
di iniziative culturali invidiabile: teatro per bambini, passeggiate lungo itinerari naturalistici, mercatini equi e solidali, laboratori artigianali, cineforum, letture bibliche,
filò all’aperto... Alcune diventano appuntamenti fissi di
vasto richiamo: la Festa del Creato, che si svolge il giorno di San Francesco, la Fiera inconsueta che valorizza
le aziende contadine della zona, l’Officina sugli stili di vita che promuove il saper fare delle persone. Ultima novità, un gruppo di studenti ha vinto un bando regionale e
si appresta a realizzare un plastico fisico e virtuale in 3D
della città romana sepolta. Non mancano le iniziative di
carattere sociale e politico mirate a spingere la Sovraintendenza ai beni archeologici dello Stato a completare
i lavori del nuovo museo archeologico e a gestirlo con
modalità capaci di coinvolgere la popolazione e le scuole Al loro Comune gli altinati chiedono una maggiore attenzione al disagio in cui vivono alcune famiglie poverissime di immigrati e la partecipazione al Contratto di fiume, una forma di pianificazione e tutela del territorio a
scala intercomunale. Come possono accadere tante dimostrazioni di autogoverno in un microcosmo sociale
così minuscolo? La risposta sta nella lettura della Carta
di Altino, aperta alla sottoscrizione di tutte le associazioni e le amministrazioni locali. Un semplice elenco di parole chiave scelte per facilitare la convivenza: Benevolenza, Diversità (“tutti, uomini e donne, sono portatori di
punti di vista diversi, per origine, genere, provenienza,
convinzioni, fede, appartenenza”), Accoglienza, Essenzialità (“capacità di distinguere essenziale e superfluo”),
Interiorità/ Spiritualità/Personalità, Memoria, Radicamento territoriale, Sostenibilità.
[email protected]
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idee
left.it
altrapolitica
di Andrea Ranieri
Iscritti (veri) del Pd, tenete duro
U
Il partito
“parastato”
non ha
perso
l’ultima
occasione
per rivelare
il suo volto
peggiore
n piccolo circolo del Pd, in una provincia d’Italia. Scegliete voi, Nord o Sud non
fa differenza. Ci vanno tre giovani - due ragazze
e un ragazzo - che si sono iscritti a luglio ,perché
sono convinti che nel futuro del Pd si giochi una
parte importante del futuro dell’Italia. Sanno chi
sceglieranno come segretario nazionale - si sono
iscritti per questo - ma non hanno nessun da sostenere al congresso provinciale. Ritengono giusto che i congressi di territorio siano liberi e aperti, magari capaci di portare idee nuove che vadano oltre le mozioni nazionali. Decideranno chi votare sulla base della discussione. Che purtroppo
non c’è. Ci sono due candidati - un renzian-cuperliano e un cuperlian-renziano - che tutto hanno in
testa fuorché di fare un dibattito. Fuori c’è una fila
di persone che ha fretta di votare. Al circolo non
si sono mai visti. Sono stati “portati” da uno dei
due contendenti, o da qualche loro capo bastone.
Qualcuno di loro dice «di non aver tempo da perdere in discorsi che non servono a niente».
La mancanza di collegamento tra candidati nazionali e locali si è tradotta in molte situazioni in
una lotta di potere senza principi. Per un potere
magari miserabile e in declino, visto che la crisi
sta riducendo i posti e le prebende da distribuire.
Ma proprio per questo ancora più feroce. Il “partito parastato” non perde l’ultima occasione per rivelare il suo volto peggiore.
Non so se il vincitore di quel congresso, e di tanti altri congressi fatti in questo modo, sarà contato fra i sostenitori di Cuperlo o fra quelli di Renzi. Penso che costituisca una vera e propria rottura del patto con gli iscritti che si facciano questi conti dopo aver sancito il non collegamento
fra i candidati territoriali e quelli nazionali. E trovo immorale che si proponga, di fronte a fatti di
tale gravità, di cambiare le regole in corsa e insieme ci si ascriva i risultati di congressi territoriali
che in tante parti d’Italia sono stati fatti così. Come se fossero leciti e scusabili comportamenti di
tale gravità, se le regole lo permettono. In realtà si
paga oggi una crisi morale di lunga durata, che ha
avuto il suo punto più alto nella vicenda dei 101 e
nel modo in cui è stata rimossa. La speranza è che
quei tre giovani, e i tanti come loro, vecchi e nuovi iscritti, che fanno politica con la testa e col cuore, non gettino la spugna. Chi ha fatto i congressi
in quel modo li ha fatti così anche per allontanare quelli come loro. Quelli che vogliono discutere.
Quelli che li possono criticare e contestare. Mi auguro che tengano duro. Che non gliela diano vinta.
saperi diffusi
Fotovoltaico N
senza
incentivi
ello scorso luglio si è interrotta l’erogazione di incentivi per
la produzione di energia elettrica da
impianti fotovoltaici. Quegli incentivi
non sono stati inutili: l’Italia ha fatto un
salto importante in questo campo, ha
installato oltre 400mila impianti, creato circa 100mila nuovi posti di lavoro
in un periodo di crisi ed è sostanzialmente arrivata al traguardo della gridparity (la parità di costo tra fotovoltaico e generazione da fonti fossili). Ora
la partita si giocherà sull’autoconsumo, che vuol dire reti autonome - che
il governo sta cercando di ostacolare e soluzioni per l’accumulo di energia.
12
Le detrazioni fiscali legate all’efficienza rendono in ogni caso ancora conveniente il ricorso al fotovoltaico, anche
se, con la fine degli incentivi, le banche si sono defilate da questa partita. A
fronte dei vantaggi conseguiti - minore importazione di idrocarburi, minore inquinamento, maggiore occupazione, risparmi per gli utenti - pesa invece
negativamente l’entità degli incentivi
(che costano 12 miliardi annui) di cui
hanno beneficiato soprattutto i grandi
impianti a terra, pura speculazione finanziaria, che hanno spesso devastato
campi e paesaggi, e che rappresentano
quasi l’80 per cento della potenza in-
9 novembre 2013
left
idee
left.it
l’osservatorio
di Francesco Sylos Labini
Il consenso uccide le idee nuove
C
redi ma verifica! In questo motto si può
riassumere il successo della scienza,
in cui la verifica sperimentale delle teorie e
dei modelli è stata il perno sui cui si è costruito l’edificio scientifico. La prestigiosa rivista
Economist punta però il dito sul declino della
qualità della ricerca scientifica moderna: si va
da analisi statistiche approssimative a casi di
esperimenti non riproducibili, ma anche a episodi di manipolazioni. Non è un fenomeno nuovo e ne parlava Laurent Ségalat in un bel libretto di qualche anno fa (La scienza malata, Cortina). Tra le principali cause del declino che sta
mettendo a rischio l’intero processo scientifico
moderno, Ségalat identifica l’eccessiva competizione che è stata incoraggiata dal sistema di
assegnazione dei posti e di selezione dei progetti di ricerca ovvero da un certo tipo di implementare la valutazione. La corsa a pubblicare sulle migliori riviste il numero maggiore di
articoli possibile, la fame di citazioni, l’obiettivo di accrescere i propri parametri bibliometrici (articoli e citazioni) come unico scopo della
propria ricerca, sono, infatti, indotti dalla sempre più spietata selezione dei progetti di ricerca a cui sono legate le carriere dei singoli ricer-
catori. Osserva Ségalat che «per entrare nel sistema non bisogna essere bravi, bisogna essere migliori degli altri», e dunque «il ricercatore
è trascinato, che lo voglia o no, dalla corsa finanziamenti-pubblicazioni-finanziamenti».
Dunque se si vuole investire la propria ricerca
in progetti impegnativi a lungo termine si crea
un cortocircuito: «Come posso raggiungere il
lungo termine se non sopravvivo nel breve?».
È questa la ragione principale dell’irresistibile
tendenza al conformismo nella ricerca moderna, l’altra faccia dell’esasperata competizione. Si preferisce lavorare su progetti di ricerca che puntano a ottenere, innanzitutto, il consenso della comunità di riferimento piuttosto
che a proporre l’esplorazione di nuove, e magari controverse, idee.
Come invertire la tendenza? Questa è la domanda che la comunità scientifica in primis
dovrebbe affrontare senza timore di passare per “anti-meritocratica”: poiché la valutazione della qualità della ricerca gioca un ruolo così importante nello sviluppo della dinamica scientifica moderna, non è possibile lasciarla nelle mani di burocrati o, peggio ancora, di
questa classe politica.
I ricercatori
sono
costretti
a pubblicare
tanto.
Rinunciando
alla qualità
di Guido Viale
stallata; mentre gli impianti di piccola
taglia, installati in abitazioni e piccole
imprese, ne hanno realizzata meno di
un quinto. Inoltre, il sovrapporsi di ben
cinque diversi conti energia ha pregiudicato la pianificazione dello sviluppo
del settore e ora molte imprese - come la Marcegaglia di Taranto - sono in
chiusura. Anche per questo la maggior
parte degli impianti è di importazione mentre con una seria politica industriale, quegli incentivi avrebbero potuto sostenere l’industria locale. Senza
contare che tutti gli impianti sono stati installati al di fuori di qualsiasi pianificazione e quasi mai fanno parte di un
left 9 novembre 2013
mix di fonti rinnovabili diverse, teso
a ottimizzare il ricorso a tutte le risorse del luogo. È venuta così a mancare
la cosa più necessaria per promuovere la transizione a un’economia carbon
free: la formazione di un team di ingegneri, architetti, economisti, progettisti in grado di realizzare, in ogni territorio e ambito, le soluzioni ottimali per
abbinare le diverse fonti rinnovabili
disponibili, l’efficienza energetica e la
valutazione dei carichi da sostenere in
ambito locale, valorizzando al meglio
ciò che i membri di ogni comunità sanno sui loro fabbisogni e le caratteristiche del luogo in cui abitano.
Ogni luogo
ha la sua
fonte
di energia
13
idee
left.it
di Alberto Cisterna
in punta di penna
Tutti figli della stessa rabbia
U
Il Paese
viene
travolto
dal furore
no sciopero come tanti, un treno del Sud
in ritardo come tanti. Questa volta però
la stazione di Reggio Calabria è occupata dai
lavoratori Lsu che protestano. Non percepiscono lo stipendio da mesi, hanno le famiglie
e la dignità a pezzi.
Tra le decine e decine di passeggeri in attesa ci
sono bambini, persone anziane e qualcuno che, si
vede subito, sta “salendo” a Roma per curare una
malattia che lo sfascio della sanità calabrese non
può guarire. Ti aspetti le proteste, imprecazioni
contro quei “farabutti” che scioperano, che ti impediscono di partire, di cenare a un’ora decente.
E invece tutti, senza eccezioni, dicono le stesse
cose: «Hanno ragione, fanno bene, che devono
fare, morire di fame?». Poi interviene il calabrese bastian contrario e testa dura che vuole parlare fuori dal coro : «Hanno ragione è vero, ma devono andare a Roma e dare fuoco a quei bastardi di politici», «noi siamo poveracci come loro».
Lungo le stazioni tanta altra gente che aspetta da
ore lungo i binari. Trenitalia li ha informati, ha fatto il possibile. Tutti sanno cosa è successo, perché i treni partono da Reggio in ritardo, ma sfilano composti, pazienti, con le valigie in mano. Un
gruppo di studenti rientra a Roma, nelle universi-
tà, dopo le feste dei morti (solo al Sud le chiamiamo così). Sono i rampolli di una borghesia sufficientemente benestante da potersi ancora permettere un figlio alla Luiss o alla Cattolica. Qualche anno fa sarebbero stati il triplo. Anche loro
stanno dalla parte di chi protesta e ha fame di pane e di diritti. Troveranno la metro chiusa e gli autobus a singhiozzo della notte romana, ma capiscono e hanno in corpo la stessa rabbia di chi sta
tra i binari della stazione a gridare la propria umiliazione di uomo e di lavoratore.
Questo Sud non è disposto a soccombere, non
si vuole arrendere e venderà cara la pelle. C’è
da chiedersi cosa potrà accadere se il declino
non si arresta, se il degrado non sarà contrastato. Mentre scrivo, scorrono sul palmare le mail
dei magistrati italiani che discutono del gesto
del ministro Cancellieri. Così oligarchie e corporazioni ingaggiano l’ennesima prova di forza,
mentre il Paese e il Mezzogiorno scivolano verso la rabbia e il furore. Potrebbe scoccare prima o poi un’ora di rivolta improvvisa, incontenibile, senza mediazioni o compromessi e tutti
potrebbero restarne travolti. Dopo 5 anni di crisi e il tracollo della politica, sui binari prima o
poi potrebbe esserci un popolo.
in fondo a sinistra
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left
idee
left.it
keynes blog
di Daniela Palma e Guido Iodice
Euro? La risposta è a sinistra
E
ugenio Scalfari, nell’ultima predica domenicale su Repubblica ci ha spiegato che se vince Grillo l’Italia va a rotoli e fuori
dall’Europa. Roberta Carlini, in un recente articolo su Sbilanciamoci.info, ha compilato una
rassegna delle forze euroscettiche che potrebbero raccogliere molti voti e seggi nel prossimo Parlamento europeo, notando che si tratta generalmente di partiti di destra. Due articoli con toni e tesi differenti. Dovendo scegliere,
preferiamo quello della Carlini, che giustamente si interroga sulla mancanza di una strategia
europea della sinistra. Eppure, ci pare che in
ogni caso la risposta all’euroscetticismo non
arrivi neanche da lì.
È indubbio che l’euro e l’Europa del primato del
mercato siano stati e sono un progetto liberista
e di destra. Il rischio di una sinistra euro-entusiasta o anche solo euro-tiepida è quello di lasciare campo libero alle due destre (quella populista antieuropea e quella tecnocratica pro
euro). Chi, magari anche critico sull’euro, invoca il “più Europa” come un’opzione praticabile
rischia di venire travolto dagli eventi.
È necessaria, allora, la mossa del cavallo: uscire
dal dibattito pro/contro euro ed entrare in quel-
lo “quale euro”. Ovvero: mettere in discussione
l’euro attuale. Non c’è un solo modo di concepire una moneta europea o in generale un sistema
di cambi fissi. Lo stesso John Maynard Keynes,
che definì il gold standard un relitto barbarico, a Bretton Woods si presentò con un sistema
di cambi (semi) fissi che ancor oggi è visto come punto di riferimento per riformare il (non)
sistema monetario internazionale e che molti vedono come soluzione alla crisi dell’euro e
come “arma” in mano ai Paesi periferici. Quella proposta non passò, ma Keynes firmò ugualmente l’accordo, consapevole di aver spostato in avanti il dibattito, ottenendo molto di più
di quanto sarebbe stato possibile senza quella
proposta. La sinistra europea e quella italiana,
in tutte le sue componenti, rimane invece ancora senza nessuna vera proposta. Se poi il Movimento 5 stelle scegliesse proprio la via keynesiana alla soluzione della crisi europea, non solo dovremmo tutti derubricarlo dall’elenco dei
movimenti “di destra” o “populisti”, ma saremmo costretti a prendere atto del nostro ennesimo fallimento. Non sarebbe del resto la prima
volta che Grillo fa sua un’idea “di sinistra” mettendo in difficoltà la sinistra stessa.
Grillo
potrebbe
fare sua
un’idea
che il Pd ha
abbandonato
di Fabio Magnasciutti
left 9 novembre 2013
15
copertina
Illustrazione di Valentina Marino/OfficinaB5
LICENZIAMENT
O
Giuseppe, operaio
torinese: pedinato per
due mesi dall’azienda
e poi licenziato. Marco,
dipendente dell’Ilva:
licenziato perché
chiedeva più sicurezza.
Riccardo, ferroviere:
licenziato per aver
raccontato la verità
sulla strage di Viareggio.
Storie di ordinaria
ingiustizia
sul posto di lavoro
ALL’ITALIANA
di Tiziana B
aril là
copertina
left.it
S
pionaggio, pedinamenti, provvedimenti disciplinari a pioggia, solitudine
sul posto di lavoro. La vita di fabbrica
è sempre più dura per gli operai. Può diventare
un inferno, soprattutto per chi decide di esporsi
e chiede sicurezza sul posto di lavoro. Nel 2012
l’Italia ha registrato oltre un milione di licenziamenti. Ma non tutti sono dovuti alla crisi e non
sempre la giusta causa appare così scontata. left
ha raccolto tre storie di operai che hanno perso il posto di lavoro e che hanno intrapreso una
battaglia per il reintegro in fabbrica. Perché, sostengono, il loro è un «licenziamento politico».
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Sotto,
una manifestazione
in sostegno di
Giuseppe Larobina
davanti ai cancelli
della Kuehne Nagel
(ex IVECO)
di Torino
Infedeltà aziendale. È la nuova frontiera delle
agenzie investigative che adesso, su ordine delle imprese, oltre al classico pedinamento di mogli e mariti infedeli, stanno alle costole dei lavoratori. Obiettivo: reperire le prove che giustificano
il licenziamento per giusta causa. Gli investigatori privati offrono comodi “pacchetti indagine”
dai prezzi modici per documentare falsa malattia,
falso infortunio, violazione dell’obbligo di fedeltà aziendale, attività presso terzi durante il periodo di malattia o sottrazione di beni aziendali. Uno
spionaggio vero e proprio. Per molti sembrereb-
be impossibile. Invece Pino Larobina - operaio
della Kuehne Nagel di Torino (veicoli industriali) da 28 anni e delegato sindacale da 19 - lo sa benissimo. Lo scorso 25 giugno si è visto recapitare
a casa un plico di 18 pagine. Mittente: la sua azienda. Dentro, un provvedimento di sospensione, in
pratica una promessa di licenziamento. E un rapporto in cui giorno dopo giorno, con minutaggio
preciso, si descrivono le attività dell’operaio fuori dallo stabilimento. Dal 10 maggio 2013 al 15 giugno 2013, l’intera vita dell’operaio Pino Larobina
si è svolta sotto l’occhio di un “grande fratello”.
«Però ho motivo di credere che il periodo sia stato più ampio», racconta a left Larobina. «Perché
proprio il 25 giugno sono andato alla sede torinese del mio sindacato, l’Usb, per raccontare loro
del mio licenziamento. Quando ci siamo affacciati alla finestra abbiamo visto una macchina con
due tizi che parlottavano e ogni tanto ammiccavano verso di noi. Abbiamo preso il numero di
targa e tramite un contatto con la motorizzazione
civile è saltato fuori che quella era una macchina
di proprietà della Turinform di Torino». Slogan:
“investigazioni dal 1950”. Servizi offerti: indagini su infedeltà coniugale, pedinaggi di minorenni
scapestrati e verifica dell’affidabilità di baby sitter, colf e badanti. E ancora: bonifiche dalle cimici, analisi dei concorrenti, sicurezza informatica.
Infine, «licenziamenti per giusta causa». Da buoni 007, gli uomini dell’agenzia sono irrintracciabili. Nella sede dell’agenzia, nel pieno centro di Torino, il telefono squilla a vuoto per ore.
© USB
18
9 novembre 2013
left
copertina
left.it
COME FAR FUORI IL DIPENDENTE SCOMODO
Sono finiti i bei tempi in cui allo spionaggio dei dipendenti era dedicato un
intero reparto: come quello scoperto
nel 1971 in Fiat da Raffaele Guariniello,
contenente 354mila schede personali. Troppo costoso: oggi si preferisce
esternalizzare. E agli archivi si sostituiscono gli investigatori privati, come se
il padrone fosse una moglie gelosa.
«L’uso di agenzie investigative da parte
delle aziende non è raro», spiega Piergiovanni Alleva, avvocato e giuslavorista. «Il paradosso - continua - è che la
legge vieta i controlli dentro le fabbriche, ma non li impedisce esplicitamente all’esterno. Ed è un nonsense, perché spesso le aziende commissionano
indagini a tutto campo alla ricerca di un
motivo qualsiasi per licenziare il lavoratore. Violando così la loro privacy».
Pur di disfarsi del dipendente scomodo
ci si inventa di tutto. La riforma Fornero
ha ammorbidito l’art. 18 dello Statuto
dei lavoratori (che imponeva il reintegro
nei casi di licenziamento senza giusta
causa o giustificato motivo). Ma ha lasciato al giudice il diritto di decidere in
quali casi limitarsi a un indennizzo. A oltre un anno dalla riforma i giudici hanno
preferito continuare ad applicare in maniera “rigida” l’art. 18. Esistono però degli stratagemmi. «Spesso per liberarsi di
lavoratori “scomodi” le aziende aprono
le procedure per i licenziamenti collet-
Grazie ai suoi spioni, la multinazionale tedesca
Kuehne Nagel - da dodici anni partner della Cnh
industrial di presidente Sergio Marchionne - ha
potuto conoscere nei dettagli tutte le attività quotidiane svolte dal dipendente Larobina. L’hanno
seguito mentre portava le buste della spesa, mentre faceva la fila in banca, mentre sistemava i tergicristalli rotti della sua utilitaria, mentre sfilava
in corteo lungo le vie di Torino. Semplici attività quotidiane, svolte «senza mostrare fatica nella deambulazione», spiega il rapporto investigativo. Perché questo morboso interesse sulla vita
privata dell’operaio Larobina?
«È una lunga storia», risponde lo spiato. «Tutto
è iniziato qualche anno fa, quando ho chiesto di
cambiare postazione per dei problemi fisici: artrosi all’anca e dolore alle ginocchia. Tutto certificato dai medici, radiografie e documenti sono inseriti nella mia cartella sanitaria, in azienda. Nulla di grave, ma la postura in cui lavoravo
non era indicata per me». Ordinaria amministrazione: nelle fabbriche capita spesso che dopo anni di lavoro gli operai riscontrino qualche problema fisico. In questi casi vengono definiti Rcl, con
Ridotte capacità lavorative, e viene assegnata loro una postazione più comoda. Larobina viene
trasferito ai banchi di confezionamento dei pezzi di ricambio. «Così potevo lavorare sia in pie-
left 9 novembre 2013
tivi, per causa economica. La legge
imporrebbe criteri oggettivi nella scelte
degli esuberi, a partire dall’età e dai carichi familiari. Ma se l’impresa non specifica questi criteri, scegliendo ad hoc
chi licenziare, può al massimo incappare in una sanzione per vizio formale: con
15 o 20 mensilità riescono a liberarsi
dei dipendenti sgraditi», spiega Alleva.
«E poi c’è un’altra norma capestro: il
Collegato lavoro, che rende impossibile impugnare un contratto atipico 180
giorni dopo la scadenza. Molti precari
preferiscono attendere, nella speranza
di essere richiamati dall’azienda e così
spesso non riescono più a far valere i
propri diritti».
Manuele Bonaccorsi
L’agenzia investigativa segue il dipendente
per più di un mese, persino in un picnic
di che seduto su uno sgabello». Ma a febbraio di
quest’anno l’azienda cambia atteggiamento. «A
fronte di sopravvenute esigenze aziendali e tenuto conto della sua pregressa esperienza lavorativa» la Kuehne Negel decide di riassegnarlo al
reparto “pianelli e traversa”, come addetto alla conduzione del “traslatore/commissionatore”. La postazione dalla quale anni prima Larobina era stato esonerato. L’operaio si lamenta,
protesta, ricorda ai suoi superiori di aver avuto sempre una condotta impeccabile. «In dodici anni mai un infortunio o un’assenza ingiustificata. Andavo a lavorare anche con la febbre.
Sono un sindacalista, devo dare il buon esempio». Ma l’azienda ripete la sua litanìa: «esigenze aziendali». Non c’è nulla da discutere.
Solo allora Larobina decide di prendere carta
e penna. E lo scorso 8 maggio scrive una lunga lettera all’Asl di Torino e al procuratore Raffaele Guariniello, che da anni nella città della
Mole si batte contro le malattie professionali.
La missiva viene inviata per conoscenza anche
ai responsabili dell’azienda. Nessuna risposta.
Escluso una lettera, da parte dell’azienda che
19
copertina
left.it
ritiene «infondate doglianze» le motivazioni dell’operaio. La prova dell’infondatezza sta
nelle 18 pagine del rapporto investigativo.
«Alle ore 15:17 del 10 giugno 2013 lei lasciava la sede del sindacato a piedi e senza mostrare difficoltà nella deambulazione»; «in data 10
maggio 2013 alle ore 18:11 lei è stato visto giungere a piedi nei pressi della sua abitazione deambulando senza alcun problema, trasportando, con una mano, una borsa della spesa e, con
l’altra, una confezione di bottiglie di acqua minerale (n.6 bottiglie da lt. 1,5 ciascuna)»; «in data 12 maggio 2013, alle ore 8:30 circa, lei è stato notato intento a caricare sulla sua vettura numerose borse, un tavolino da campeggio e una
borsa-frigo. Giunto presso il lago lei dapprima
scaricava tutti i bagagli, successivamente si dedicava alla preparazione di un barbecue»; «nel
giorno 18 maggio 2013, e più precisamente tra
le ore 18:22 e le ore 18:32, lei è stato visto scendere ripetutamente dalla sua vettura (nell’occasione condotta da altra persone) dal lato passeggero
per porre in essere degli interventi sulla spazzola tergicristallo del lato conducente effettuando
flessioni e allungamenti del busto».
Di essere pedinato fuori dalla fabbrica l’operaio Larobina non lo avrebbe mai immaginato. Ma
dentro le mura dell’ex Iveco il clima era dei peggiori: «Nell’ultimo periodo la situazione era di-
ventata invivibile. Ero controllato da quando entravo a quando uscivo. Addirittura mi accompagnavano fino alla porta d’ingresso per non farmi
parlare con nessuno. E quando altri operai chiedevano di incontrarmi come rappresentante sindacale, il capo squadra accompagnava personalmente il lavoratore al mio banco di lavoro, gli dava due o tre minuti di tempo per parlarmi e poi lo
portava via. Sembrava un colloquio in carcere».
Pochi giorni dopo il provvedimento di sospensione, Larobina riceve a casa la lettera di licenziamento datata 2 luglio. L’azienda considera risolto il suo contratto di lavoro a tempo indeterminato. Licenziato in tronco a 54 anni. Senza lavoro né
salario. Eppure non è questa la preoccupazione
di Pino Larobina: «Di una cosa non riesco a farmi
una ragione: questi signori sono in grado di violare le leggi restando impuniti». Dopo 19 anni di
sindacato, prima nella Fiom Cgil e oggi nell’Usb,
Pino non ha dubbi: «Il mio è un licenziamento politico. La mia colpa? Gli scioperi e le manifestazioni davanti ai cancelli per sensibilizzare gli altri operai». Pentito? «Come operaio sento di non
valere nulla, di essere solo. Ma come sindacalista
continuo a combattere, per difendere quei pochi
diritti che ormai ci sono rimasti. Per evitare che
in futuro si ripiombi negli anni 50».
Abbiamo provato a contattare l’azienda, per conoscere la loro versione dei fatti. Ma la Kuehne
Nagel non ha risposto alla nostra mail, né alle
numerose telefonate.
MORTI SUL LAVORO, L’INAIL SBAGLIA I CONTI
L’Inail sbaglia i conti dei morti sul lavoro. È la denuncia dell’Osservatorio indipendente di Bologna, diretto dall’ex
metalmeccanico Carlo Soricelli, che
da anni vigila sulle condizioni di sicurezza nelle aziende. Dall’inizio del
2013 sono 501 le morti documentate
sul posto di lavoro. Ma questi numeri possono salire molto se si pensa a
tutti quei casi che non vengono inclusi
nelle statistiche, come le morti “in itinere”, quelle avvenute mentre i dipendenti raggiungono il posto di lavoro.
Secondo le statistiche ufficiali invece,
20
il numero delle vittime è in costante diminuizione. Per l’Osservatorio di Bologna le morti sul lavoro nel 2012 hanno
raggiunto quota 1.180, ma per l’Inail
il triste conteggio si ferma a 790. Nel
2011, le vittime sono state 1.367, ma
l’Inail si è fermata a 866. Come si giustifica questa differenza? «Gli infortuni
mortali di Intere categorie e professioni
non sono contati come morti sul lavoro», spiega l’Osservatorio. Nelle statistiche non rientrano «carabinieri, poliziotti, vigili del fuoco, soldati, ma anche
i lavoratori a partita Iva».
Anche l’austerity influisce negativamente sulla sicurezza del lavoro: «In
questi anni molti tecnici Asl sono andati in pensione e non sono stati rimpiazzati», denuncia Marco Bazzoni,
operaio e rappresentante dei lavoratori per la sicurezza. «Quindi ci sono
sempre meno controlli. Il personale
è scarso ed è ridotto all’osso. In Italia
ci sono 3-4 milioni di aziende, se dovessero controllarle tutte, ogni azienda
riceverebbe un controllo ogni 33 anni,
praticamente mai».
Fabrizia Caputo
9 novembre 2013
left
copertina
© CARINO/IMAGOECONOMICA
left.it
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Gli operai dell’Ilva di Taranto se lo aspettavano. E alla fine il licenziamento è arrivato. È toccato a Marco Zanframundo, dipendente del reparto movimento ferroviario (Mof) dell’acciaieria tarantina, 33 anni, una moglie che non lavora e un figlio di sei anni. Lo raggiungiamo
al telefono, è domenica perciò gli chiediamo
se per caso lo disturbiamo. «Per me ora tutti i
giorni sono domenica», risponde.
Dal 3 settembre Zanframundo non timbra più
il cartellino in fabbrica: licenziato «gravissima
cattiva condotta», che avrebbe potuto «nuocere gravemente alla sua stessa incolumità fisica
e a quella altrui». Così si legge nella lettera di licenziamento. «Sì, è vero, io e gli altri operai non
lavoriamo in sicurezza», ribatte l’operaio. «Ma
non dipende da noi. Siamo costretti a lavorare
così. Anzi, da anni denunciamo le pessime condizioni di sicurezza all’interno dello stabilimento». Ed è proprio per questo, racconta Marco,
«che ci hanno preso di mira, con provvedimenti disciplinari e licenziamenti. Ho ricevuto otto
provvedimenti negli ultimi 50 giorni di lavoro.
Ma prima di allora, in 12 anni di servizio, non ne
aveva mai preso nessuno».
«Vedete cosa succede a chi protesta?». Così Zanframundo legge il suo licenziamento: un gesto
left 9 novembre 2013
plateale dell’azienda nei confronti di chi «non abbassa la testa». Colpirne uno per educarne cento.
La guerra dell’Ilva è cominciata un anno fa, il 30
ottobre 2012, con la morte di Claudio Marsella,
schiacciato da un vagone. Un operaio giovane, 29
anni, e molto stimato dai colleghi. «Per me Claudio era un amico, un fratello. Dopo la sua morte
non potevo continuare a far finta di niente», racconta Marco. «Ma quando ho cominciato a chiedere sicurezza e diritti all’interno della fabbrica mi hanno licenziato». Gli operai, in particolare, contestano l’accordo tra azienda e sindacati
che riduce da due a uno gli addetti ai locomotori. «Dopo la morte di Claudio non volevamo più
L’operaio Ilva: «Dopo la morte del mio collega
non volevo più lavorare in quelle condizioni»
lavorare in quelle condizioni. Non lo faccio per
vendetta. Semplicemente mi sono messo nei suoi
panni e ho capito che il nostro lavoro è pericoloso. Io ci voglio tornare a casa, ogni giorno».
A firmare la lettera di licenziamento sono «il capo area logistica operativa Antonio Colucci e il
capo reparto del Mof Cosimo Giovinazzi», spiega Zanframundo. Entrambi sono indagati per
cooperazione in omicidio colposo. Lo scorso
30 ottobre, infatti, con la chiusura dell’inchiesta
“Ambiente svenduto” il pool di magistrati guidato dal procuratore di Taranto Franco Sebastio
ha fatto notificare 53 richieste di rinvio a giudizio. Tra cui proprio Colucci, Giovinazzi e l’ex di-
In alto,
un operaio
nello stabilimento
siderurgico
Ilva di Taranto
21
copertina
left.it
rettore dello stabilimento Adolfo Buffo, accusati di «cooperazione in omicidio colposo» proprio nell’infortunio di Claudio Marsella. La sua
morte, sostiene la Procura, fu determinata «da
imprudenza, negligenza e imperizia, nonché da
inosservanza di specifiche disposizioni per la
prevenzione degli infortuni sul lavoro».
Anche in questo caso ai provvedimenti disciplinari si accompagna un clima di terrore in fabbrica. «Dopo la morte di Claudio stavo male. Andai
dal medico dell’azienda e gli raccontai cosa mi
stava succedendo. Ebbi persino una crisi di pianto, perché qualsiasi cosa facevo o non facevo andava comunque male. Gli raccontai che in reparto vivevo queste ansie, paure, pressioni, che non
parlavo più con nessuno. Il dottore si preoccupò,
mi disse che avrei dovuto prendere un po’ di riposo perché con il mio lavoro devo lavorare tranquillo. E io così ho fatto. Non era una bugia che
stavo male. Mi arrabbiavo ogni giorno con i capo turni e nessuno parlava più con me. Presi due
mesi di riposo. Il primo giorno del mio rientro, ad
agosto, timbro il cartellino alle 6:50 e alle 7:30 mi
fanno il provvedimento disciplinare. Io ero rientrato dalla malattia un po’ più tranquillo, la situazione stava migliorando. Mi stavo dando una possibilità. Ma loro mi hanno licenziato lo stesso».
Intanto Enrico Bondi, il commissario straordinario del governo Letta per la gestione dell’Ilva, ha
scritto al tribunale di Taranto per chiedere la convalida del licenziamento di Marco. Bondi, val la
pena ricordarlo, è un uomo di fiducia della famiglia Riva, che nell’aprile 2013 lo aveva nominato
amministratore. Il gruppo Riva, da noi interpellato ha preferito non rilasciare dichiarazioni.
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2))(16,92
Il problema della sicurezza non riguarda solo le mura di una fabbrica, ma anche chi lavora in mobilità, come i ferrovieri. Dal 2007 a oggi hanno perso la vita 42 lavoratori del gruppo
Ferrovie dello Stato e delle ditte in appalto: uno
ogni due mesi. «Eppure l’amministratore delegato Mauro Moretti continua a sostenere che
22
non esiste un problema di sicurezza», denuncia
a left Riccardo Antonini, ex ferroviere di Viareggio. Ex, perché il 7 novembre 2011 Antonini è stato licenziato. La sua colpa? Aver fatto da
consulente tecnico di parte nelle indagini sulla
strage di Viareggio: è il 29 giugno 2009 quando
nei pressi della stazione toscana un convoglio
pieno di gpl deraglia. L’esplosione avrebbe provocato l’uccisione di 32 persone.
«La sua attività è in conflitto con gli interessi di
questa società, sua datrice di lavoro, in palese
UNA STRAGE IN CERCA DI COLPEVOLI
«Verità, giustizia e sicurezza», sono le parole
d’ordine dell’associazione dei parenti delle vittime della strage di Viareggio. A quattro anni dal
disastro ferroviario che ha causato la morte di
32 persone non sono ancora state accertate le
colpe. Sono le ore 23:52 del 29 giugno 2009
quando un carro-treno che trasporta gpl deraglia in stazione, distruggendo con un’esplosione un intero quartiere della città. Una tragedia
su cui restano ancora molti interrogativi. Chi
non si rese conto che l’asse di quel carro ferroviario era rotto? Chi non adottò le misure necessarie per evitare che la cisterna scoppiasse? La
procura di Lucca, a tre anni dall’accaduto, ha
chiuso l’inchiesta. Secondo i pm il cedimento
strutturale di un asse del carrello del primo carro-cisterna deragliato sarebbe stata la causa
9 novembre 2013
left
copertina
left.it
© LAPRESSE
L’ad di Ferrovie Mauro Moretti licenzia
il sindacalista e lo denuncia per «ingiurie»
violazione dell’obbligo di fedeltà», queste le motivazioni del licenziamento. Reti ferroviarie italiane (Rfi) non ha dubbi: prestare una consulenza in qualità di tecnico della manutenzione nel
processo per l’incidente ferroviario di Viareggio,
seppur in modo gratuito, è una violazione del codice etico del Gruppo Fs. Nella sua consulenza,
Antonini aveva accertato che la strage si sarebbe potuta evitare: «La crepa che provocò il deragliamento era arrugginita. Non è nata né per un
difetto di fabbrica, né per l’usura del tempo, ma
dell’incidente. L’amministratore delegato delle
Ferrovie dello Stato, Mauro Moretti, insieme ad
altre 32 persone, è stato rinviato a giudizio. La
decisione del gip non ha avuto ripercussioni sugli incarichi dei dirigenti, dal momento che i reati sono di carattere colposo: il 9 agosto 2013,
l’assemblea delle Ferrovie dello Stato ha rinnovato i vertici del gruppo. I reati contestati sono
disastro ferroviario colposo, incendio colposo,
omicidio e lesioni colpose plurime. Ad alcuni
imputati sono state contestate anche violazioni
delle norme sulla sicurezza sul lavoro. Il 13 novembre a Lucca finalmente si aprirà il processo.
In quest’occasione l’associazione dei parenti
delle vittime scenderà in strada per continuare
a chiedere «verità e giustizia».
Claudia Romito
left 9 novembre 2013
per la corrosione. Questo significa che i controlli - che avrebbero dovuto evidenziarla - non sono
stati fatti o non sono stati adeguati».
Una sentenza del tribunale del Lavoro di Lucca
lo scorso 4 giugno ha confermato il licenziamento di Antonini: il giudice Luigi Nannipieri ha infatti respinto la richiesta di reintegro. Rfi ha messo
così la parola fine alla lunga carriera dell’operaio,
dopo 33 anni di servizio. Ma Riccardo, che è anche sindacalista della Filt-Cgil non ci sta. «Il mio
licenziamento è una rappresaglia nei confronti dei ferrovieri impegnati sul tema della sicurezza». L’azienda del resto lo aveva avvisato con una
lettera di contestazione del 1 luglio 2011 che intimava Antonini a cessare immediatamente quella attività. «Ho risposto che non ero disponibile
ad accettare diktat e ho continuato». Il 10 agosto
arriva la seconda contestazione: 10 giorni di sospensione. Poi, il 25 ottobre, il licenziamento.
L’ex sindacalista proprio della Filt-Cgil Mauro Moretti non si è limitato a licenziare il suo ex
compagno di sindacato Riccardo Antonini. Lo ha
anche denunciato. Antonini è imputato di «ingiurie e violenza privata nei confronti del sig. Mauro Moretti», presso il tribunale di Genova. La denuncia dell’ad Moretti arriva a seguito di una
contestazione avvenuta durante una festa del
Pd di Genova del 9 settembre del 2011. «L’azienda mi ha offerto il reintegro nel posto di lavoro
e il ritiro della querela, ma in cambio chiedeva
l’abiura del mio impegno sulla strage di Viareggio», spiega Antonini. «Io non ho accettato: sono innanzitutto un cittadino, poi un lavoratore
e solo dopo un dipendente delle Ferrovie dello Stato. Ho il dovere di contribuire a conoscere la verità su quella tragedia». Nella seconda
metà di novembre si terrà l’udienza al tribunale di Genova per decidere della querela di Moretti all’operaio. Mentre il 13 novembre si aprirà a Lucca il processo sulla tragedia di Viareggio: Mauro Moretti è stato rinviato a giudizio insieme ad altri 32 dirigenti e funzionari con l’accusa di omicidio colposo. Alle nostre richieste
di chiarimenti Ferrovie dello Stato ha risposto di
non avere altro da aggiungere a quanto già accertato dalla magistratura.
Viareggio,
30 giugno 2009.
Nella foto,
i soccorsi sul luogo
dell’incidente
ferroviario
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società
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COSÌ PARLÒ
SCHIAVONE
di Anna Fava
Nel 1997 il camorrista pentito spiegava
alla commissione Ecomafia: «Milioni di tonnellate
di rifiuti tossici seppeliti in Campania.
La gente morirà di cancro». Quindici anni
dopo il verbale viene desecretato.
Forse per aprire il ricco affare delle bonifiche.
Ma lo Stato non ha neppure una mappa
dei terreni contaminati
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società
Casal Di Principe,
Scavi per il
ritrovamento di rifiuti
tossici in una zona
indicata dal pentito
Carmine Schiavone.
Sul luogo i carabinieri
e i Vigili del fuoco
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società
© CANTILE/LAPRESSE
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C
Bufale al pascolo
in una fattoria sulla
statale Domitiana, in
provincia di Caserta
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orreva l’anno 1997: il cassiere del clan
dei Casalesi, Carmine Schiavone, durante una seduta della Commissione
parlamentare sul traffico illecito di rifiuti, presieduta da Massimo Scalia, rivela che il Sud Italia è
seduto su una bomba a orologeria. Le ecomafie
hanno sepolto in ogni terreno disponibile milioni di tonnellate di rifiuti tossici: fanghi nucleari
della Germania, veleni industriali provenienti da
Arezzo, Carrara, Genova, La Spezia, Milano. Probabilmente, spiega il boss, nel giro di vent’anni, la
gente inizierà a morire di cancro. Sull’audizione
cala il segreto di Stato.
Durante l’estate del 2013 Schiavone rilascia alcune interviste ai giornali sulle sue vecchie dichiarazioni. «Ha raccontato cose note, già emerse nelle inchieste della magistratura», commenta Scalia. «Non c’è nulla di nuovo». Eppure la
reazione alle parole del boss è un’ondata di indignazione crescente. Il presidente della Regione Campania, Stefano Caldoro, invoca una legge
speciale per le bonifiche che potrebbe avere la
copertura finanziaria dei fondi europei: circa 300
milioni non ancora utilizzati, oltre a quelli della
programmazione 2014-20.
Il gruppo La Terra dei fuochi, un sito internet in
cui decine di cittadini denunciano, ogni giorno, il
divampare di roghi di rifiuti tra Napoli e Caserta,
decide di organizzare una manifestazione. Il 26
ottobre a Napoli scendono in piazza circa 50mila
persone, mobilitate attraverso i social network,
chiedendo di fermare i roghi tossici e desecretare le audizioni di Schiavone. Dopo una settimana la Camera decide di rendere pubbliche il resoconto stenografico.
Il traffico di rifiuti tossici, racconta Schiavone,
inizialmente è gestito da soggetti estranei alla camorra. «Il mercato dei rifiuti in Italia è uno solo e
veniva gestito da poche persone», spiega il boss.
«Poi i clan si sono intromessi». L’affare è ricco e
lentamente si avvicinano al giro uomini legati ai
Casalesi, come Francesco Bidognetti e Mario Iovine, che con i rifiuti guadagnano circa 600-700
milioni di vecchie lire. Al mese. Nel 1988, Carmine Schiavone scopre l’affare e il traffico di rifiuti viene riportato all’interno della gestione ordinaria del clan. La Campania viene divisa tra i vari
gruppi: la zona vesuviana e la provincia di Salerno sono affidate a Carmine Alfieri, Mario Fabbrocino e Pasquale Galasso. Il clan dei Casalesi gestisce l’area compresa tra la province di Benevento, Caserta e Napoli, fino a Giugliano. I luoghi in
cui sversare i veleni, non mancano. In quegli anni i clan sono dediti alla realizzazione delle grandi opere progettate dopo il terremoto dell’80: la
superstrada Caserta-Napoli e la sistemazione
dell’antica canalizzazione dei Regi lagni (l’opera
doveva costare 70 miliardi di lire ma, tra varianti e subappalti, arriva a 536 miliardi). «Siamo stati noi a realizzare il lavoro non la Cabib o la Fer-
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società
left.it
laino. Questi erano appaltatori», afferma Schiavone. «Erano nostre le società che operavano».
I fusti tossici finiscono nelle buche dei lavori, nei
suoli destinati ai terreni dragati dai canali, in aree
agricole. Come alcuni carichi di fanghi radioattivi provenienti dalla Germania. «Dovrebbero stare», ricorda Schiavone, «in un terreno sul quale vi
sono i bufali e non cresce più l’erba».
Ma la longa manus dei Casalesi si estende anche
oltre regione: Latina, Gaeta, Scauri, fino al Molise. È l’esito della guerra tra i clan a determinare
la nuova geopolitica del Mezzogiorno: cacciati i
Bardellino e i Nuvoletta, grazie all’alleanza con
Cosa nostra, i Casalesi estendono la loro influenza in altre regioni. Un unico immenso sistema spiega Schiavone - dalla Sicilia al Lazio, passando
Puglia e Calabria. «Che poteva importare a loro
se la gente moriva? L’essenziale era il business».
Per smaltire un fusto di fanghi tossici gli impianti
autorizzati potevano arrivare a spendere circa 2
milioni di lire: la ditta intascava i soldi e affidava
il compito ai clan, che offriva il proprio “servizio
di smaltimento” per 500mila lire a fusto. Il traffico è organizzato in modo preciso, sorvegliato
da vere e proprie pattuglie militari: «Avevamo ragazzi incensurati, muniti di regolare porto d’armi, che giravano in macchina. Avevamo divise e
palette dei carabinieri, della finanza e della polizia». Ma il clan non impone la sua presenza solo
con la forza. «In tutti i 106 comuni della Provincia di Caserta», racconta Schiavone, «noi facevamo i sindaci. Di qualunque colore fossero». In
cambio gli amministratori offrivano ai loro benefattori un ricco piatto di appalti.
L’aspetto più delicato della traffico di rifiuti, quello finanziario, veniva gestito dall’avvocato Cipriano Chianese e dal geometra Gaetano Cerci.
Uomini legati ad ambienti massonici, logge definite da Schiavone “circoli culturali”. «L’avvocato
Chianese aveva introdotto Cerci in circoli culturali ad Arezzo, a Milano, dove aveva fatto le sue
amicizie. Entrò in un gruppo di persone che gestiva i rifiuti industriali». Qui Cerci stringe amicizia
anche con Licio Gelli. «Parecchi», allude Schiavone, «avevano il grembiulino». Il punto di riferimento campano per il traffico di rifiuti, secondo Schiavone, era proprio Chianese, proprietario della discarica Resit nel Comune di Giugliano. Definito dalla procura di Napoli «l’inventore dell’ecomafia in Campania», recentemente la
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Cassazione ha confermato la confisca di beni e
conti correnti a suo nome per 14 milioni di euro.
«Nelle dichiarazione di Schiavone», commenta
Nicola Capone, delle Assise della città di Napoli,
«non ci sono novità ma tutt’al più conferme. Già
2006 denunciammo che il traffico dei rifiuti tossici era intrecciato alla gestione dei rifiuti urbani
e alla realizzazione delle grandi opere pubbliche.
Non si può controllare lo smaltimento dei rifiuti
tossici senza monitorare lavori pubblici e servizi
come la gestione ordinaria dei rifiuti. Se non vogliamo che la mafia vinca dobbiamo pretendere il
ripristino dell’uso agricolo dei terreni».
I comitati campani e laziali, intanto, riuniti in una
coalizione chiamata “Stop biocidio” stanno or-
Nugnes (M5s): «Come mai le dichiarazioni di
Schiavone vengono rese pubbliche solo ora?»
ganizzando una manifestazione a Napoli per il 16
novembre, chiedendo alle istituzioni di bonificare il territorio. Ma la richiesta non convince tutti. «Questo interesse improvviso può non essere casuale», spiega Paola Nugnes, parlamentare del M5s. «Vogliamo conoscere il motivo per
cui le dichiarazioni di Schiavone sono state desecretate solo ora. Chiederemo un incontro con
la Dda per conoscere i processi in cui sono state
utilizzate e con quali risultati».
Il rischio è che il polverone su Schiavone serva ad offrire alle ecomafie un nuovo ricco piatto. «Si fa presto a dire bonifiche», mette in guardia Giuseppe Messina, agronomo e membro del
consiglio nazionale di Legambiente. «Il fatto è
che nessuna autorità politica, amministrativa o
scientifica è in grado di dire quali sono i suoli e le
falde oggetto di inquinamento da rifiuti speciali. Manca una regia e un monitoraggio dell’intero territorio interessato dal fenomeno. La “Campania Felix”, aveva i terreni più fertili del pianeta. Per iniziare è necessario realizzare un mappa
dei siti contaminati. Le aziende agricole interessate dai fenomeni di inquinamento dei suoli dovrebbero essere messe in condizione di non nuocere alla salute pubblica. Poi sarebbe necessario
mettere a dimora pioppi per la carta o noci e ciliegi per il legno. Per restituire poi tali terreni alle
produzioni agricole tipiche del nostro territorio:
foraggiere, ortaggi e frutta».
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società
di Rocco Vazzana
foto di Alessandro Mallamaci
LA MUSICA NON È FINITA
Incendiato il Museo dello strumento musicale
di Reggio Calabria. È l’ennesimo attentato in pochi mesi
ai danni di spazi culturali, sociali e persino religiosi
U
n piede di porco e una tanica di benzina. Basta un armamentario povero per
distruggere un patrimonio culturale accumulato in quasi vent’anni. Con questi attrezzi,
nella notte tra il 3 e il 4 novembre, ignoti si sono
introdotti all’interno del Museo dello strumento
musicale di Reggio Calabria e hanno incendiato
la struttura. Dei quasi ottocento pezzi esposti ancora non si sa quanti siano recuperabili. Demetrio Spagna, il presidente del Museo che dal 1996
ha speso energie e denaro per acquistare e catalogare strumenti musicali provenienti da tutto il
mondo senza finanziamenti comunali, non sa darsi una spiegazione dell’attentato. «C’è una denuncia contro ignoti», spiega, «i carabinieri per il momento non hanno alcun sospetto. Per avere qualche elemento in più mi hanno chiesto se avessi
un’amante (sorride, ndr) o se il Museo fosse appetibile da un punto di vista economico». Ma la
creatura di Spagna, che occupa in affitto i locali di
una stazione ferroviaria dismessa, non è una macchina che produce soldi, produce cultura in un
Comune sciolto per infiltrazioni mafiose. «Non
avevamo mai subito minacce», continua Spagna,
«spero si tratti solo di un gesto compiuto da persone ignoranti che, in quanto tali, vanno aiutate».
left 9 novembre 2013
Auspici a parte, a Reggio Calabria il fuoco è diventato quasi un modo di comunicare. Poco tempo fa, il 28 ottobre, è stata ritrovata una bottiglia
molotov davanti all’ingresso della Procura generale, lo stesso portone che nel 2010 subì un attentato con una bombola del gas. Il 16 settembre, invece, lo sfregio delle fiamme è toccato a una chiesa ortodossa, in pieno giorno, mentre il parroco
celebrava messa. Lo scorso anno, nel maggio del
2012, i “piromani” hanno preso di mira e distrutto il Centro sociale occupato autogestito “Angelina Cartella”. In una città in cui le ’ndrine controllano ogni angolo di territorio è difficile credere che i roghi siano opera di uno o più squilibrati.
A Reggio anche l’esercizio personale del crimine
ha spesso bisogno del consenso di una “autorità”
criminale. Ma l’incedio al Museo dello strumento
per ora non ha indiziati né movente. L’unica certezza è che l’area su cui sorge la struttura a breve
dovrebbe essere interessata da importanti interventi urbanistici per realizzare il Waterfront, disegnato dalla celebre archistar irachena Zaha Hadid. Adesso la città si stringe attorno a ciò che resta del Museo. Già sono in programma eventi per
finanziare il restauro degli strumenti scampati alle fiamme. Qualcosa cova sotto la cenere.
Tre immagini
del Museo dello
strumento musicale
di Reggio Calabria
distrutto dalle fiamme
29
società
left.it
© BEVILACQUA/BUENAVISTA
Si è abbassata la media
di Donatella Coccoli
Il diritto allo studio per tutti: il primo ottobre 1963 partì la storica riforma
della scuola. Cinquant’anni dopo si rischia di tornare indietro. Con i tagli
di Gelmini e Tremonti crescono le diseguaglianze. E i più deboli abbandonano
«L
Una lezione
in una classe
di una scuola media
a Rubano (Padova)
30
a nuova generazione è impaziente; ecco un fenomeno che arriverà lontano». Così il 14 marzo
1962 Alberto Ronchey chiudeva l’articolo sulla scuola media unica che sarebbe iniziata di
lì ad un anno, il primo ottobre 1963. La Stampa, il giornale della famiglia Agnelli, saluta la riforma del primo governo di centrosinistra come «una necessità urgente e chiara». Un evento straordinario. Anzi, una questione di giustizia sociale. Ronchey lo scrive in maniera esplicita: «Abolire la discriminazione classista fra i
giovani destinati agli studi superiori e i giovani
destinati al lavoro senza diritto d’appello».
Cinquant’anni dopo siamo punto e daccapo. La
scuola media unica - oggi secondaria di primo
grado - rischia di perdere quella funzione per cui
è nata. «Doveva riequilibrare i livelli di alfabetizzazione all’interno della società italiana. In realtà
sta accadendo l’esatto contrario», afferma Mario
Ambel direttore della rivista Insegnare del Cidi
(Centro di iniziativa democratica degli insegnanti). Su competenze linguistiche, matematiche o
scientifiche, la forbice si sta allargando paurosamente tra Nord e Sud, tra i licei e gli istituti professionali e anche tra le scuole di periferia e quelle dei centri storici. Poi da qualche anno arrivano i risultati del test Pisa che ci inchiodano sot-
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left
società
left.it
to la media dei Paesi Ocse, oppure i contestati
quiz Invalsi che fotografano un sistema scolastico a macchia di leopardo. Se queste valutazioni
non convincono, perché non tengono conto delle differenze a livello sociale e culturale, balzano
invece agli occhi i dati della dispersione scolastica. L’Italia con il 17,6 per cento degli abbandoni è
al primo posto in Europa dove la media è del 14,1;
al Sud la situazione è ancora più grave, con il 22,3
per cento di studenti in fuga.
E «l’anello debole del sistema scolastico» secondo la vulgata sarebbe proprio la scuola media. Un “marchio” uscito dalla ormai famosa ricerca della Fondazione Agnelli del 2011, anche
se, fa notare Ambel, in quella frase «c’era il punto interrogativo». Sotto la Gelmini la secondaria
di primo grado è diventata “il buco nero dell’istruzione”, mentre il 19 ottobre scorso, sul Corriere
della Sera, viene dipinta «in crisi di identità». Ma
se è vero che la scuola media è in difficoltà, come lo è tutta l’istruzione dopo la valanga di tagli
dell’era Gelmini-Tremonti (8 miliardi e 100mila
posti in meno tra personale docente e Ata), una
cosa è l’analisi della difficoltà e la ricerca delle soluzioni, altro è la demonizzazione. Perché nell’intento di demolire un impianto didattico viene il
sospetto che lo si voglia sostituire con un altro.
Sarà un caso, ma l’articolo di Gianna Fregonara sul Corsera raccomanda, con le parole del pedagogista Giuseppe Bertagna, di «integrare la
scuola con la società e con il lavoro», con «il fare, l’esperienza applicata». Se poi ricordiamo che
il ministro Gelmini ha permesso il completamento dell’obbligo scolastico - che dal 2006 è fino ai
16 anni - anche nella formazione professionale
e nell’apprendistato, è facile dedurre che si stia
tentando di dirottare la parte più debole degli studenti verso il mondo del lavoro. Come a far riemergere l’avviamento professionale che la legge
1859 del 31 dicembre 1962 aveva cancellato.
Quel fatto, che a Torino fu vissuto in pieno boom economico, Mario Ambel se lo ricorda bene. «All’epoca avevo 12 anni: appartengo all’ultima classe d’età che ha scelto tra i due canali, l’avviamento e la scuola media per i licei», racconta. «La Confindustria decise di chiudere la scuola
degli allievi Fiat, il fiore all’occhiello, il luogo dove si creava l’aristocrazia operaia. Fu una scelta
left 9 novembre 2013
600
mila
gli iscritti al
primo anno
della scuola
media unica
1,67
milioni
di iscritti
ai tre anni di
scuola media
2013-14
17,6
la percentuale
di abbandoni
scolastici.
In Europa
è 14,1
16
l’età
dell’obbligo
scolastico
innalzata
con la legge
296/2006
coraggiosa. Si preferì che tutti avessero gli stessi strumenti culturali e che la scelta per la professione fosse fatta dopo. Oggi invece avviene il contrario », conclude il docente torinese. La battaglia
per dare agli italiani un’istruzione che rispettasse
gli articoli 33 e 34 della Costituzione fu accesissima. Anche all’interno del Partito comunista, che
pure l’aveva caldeggiata fin da subito, esistevano schieramenti opposti. Concetto Marchesi, per
esempio, voleva che si mantenesse il latino, mentre Lucio Lombardo Radice era contrario e auspicava «l’ingresso dello spirito scientifico». Fatta
la legge, attuarla non fu facile. Si dovette arrivare al ’79 per avere programmi «innovativi sia per
la finalità complessiva che per le strategie didattiche», continua Ambel. E questo la dice lunga sulle resistenze (dall’alto e dal basso, talvolta) a mettere mano sul sistema didattico italiano. Una sorta di leit motiv che ha caratterizzato le decisioni di
Viale Trastevere negli ultimi 15 anni: un balletto di
leggi e regolamenti seguiti da parziali dietrofront.
La Fiat, entusiasta, chiuse
l’avviamento professionale
«Le difficoltà sono antiche, vengono da lontano e riguardano tutto il sistema dell’istruzione
in generale, anche se la scuola media ha mostrato le crepe più vistose», afferma Luigi Tremoloso, torinese, esperto di problemi didattici e autore di saggi, oltre che ex insegnante di scuola
media. Intanto, spiega il professore, bisogna tener conto della realtà degli studenti. La fascia
d’età tra gli 11 e i 14 anni è quella dei grandi cambiamenti psicofisici, la delicatissima adolescenza, in cui sempre più si fanno sentire le influenze dell’ambiente familiare, sociale e culturale.
«Tutti motivi che richiedono una professionalità strutturata», sostiene Tremoloso, che invoca una più accurata formazione dei docenti nella pratica in classe, prima dell’abilitazione. E poi
occorre un metodo di lavoro. «Il problema è che
gli insegnanti agiscono come dei solisti, non organizzano i propri interventi attraverso lo scambio reciproco, il confronto metodologico, fattori fondamentali per rispondere alle richieste
e alle esigenze degli allievi». Basterebbe un’organizzazione diversa e aumentare i consigli di
classe oltre i tre canonici appuntamenti annuali
31
società
left.it
Gianna Fracassi, Cgil: «Contro la dispersione
innalziamo l’obbligo scolastico fino ai 18 anni»
riservati per la programmazione, i libri di testo,
gli esami finali, compresa la prova Invalsi. «Sì, ai
consigli di classe bisogna restituire contenuti»,
aggiunge Elena Pratesi, per 38 anni insegnante
nella scuola media Lorenzo Ghiberti di Firenze.
Pratesi è andata in pensione nel 2011 sotto il ministro Gelmini, ma gli ultimi anni sono stati duri.
«Mancavano il lavoro collettivo e interdisciplinare, mancava una programmazione approfondita». Che invece sono alla base di tante esperienze che l’insegnante ricorda con piacere. Come quando insieme alle colleghe di arte e di inglese aveva organizzato un laboratorio sul passaggio dal Medioevo al Rinascimento. «Alla fine
portammo gli studenti agli Uffizi; alcuni di loro
facevano i ciceroni parlando in inglese e spiegando così bene che i turisti giapponesi si fermavano incantati».
In alto l’Unità
del primo
ottobre 1963.
La prima pagina apre
sulla riforma della
scuola media unica
32
Gli anni dei tagli hanno lasciato il segno. «Le
gelminate sono state tante e si ripercuotono
tutt’ora nell’organizzazione didattica», taglia
corto Biancamaria Altavista, professoressa di
italiano della scuola media E.Q.Visconti (il Viscontino), nel centro di Roma, sorella minore
dell’omonimo prestigioso liceo. Per esempio,
eliminare quelle tre ore a testa che i professori mettevano a disposizione ogni settimana per
le supplenze, ha significato creare il caos. «I ragazzi senza il docente vengono divisi nelle classi, magari finiscono seduti per terra perché le aule sono piccole e intanto noi insegnanti ci sentiamo frustrati, come l’ultima ruota del carro». Altavista quando sente parlare di scuola media come “anello debole” si indigna: «È tutta la scuola
italiana che è l’anello debole della società». Comunque al Viscontino un “metodo” l’hanno creato, proprio per rendere quei tre anni meno separati dalle superiori. «Un curricolo verticale, realizzato insieme ai docenti del liceo, proprio per
accompagnare i nostri ragazzi e rendere il passaggio meno traumatico».
Certo, se si concretizzasse la proposta formulata
da Flc Cgil, la “cesura” sarebbe meno netta. «Innalzare l’obbligo scolastico fino ai 18 anni e rendere la scuola media un baluardo contro la dispersione», afferma Gianna Fracassi della segreteria nazionale Flc. L’obiettivo è ridare un po’ di
ossigeno a quel segmento di istruzione maggiormente “gelminizzata”, che ha subìto i tagli più pesanti al tempo scuola e alle ore di insegnamento, mentre le classi sono sempre più numerose,
con la presenza di alunni con disabilità o Bes (Bisogni educativi speciali). Qualcosa si è mosso in
tempi recenti, riconosce Fracassi. «Le ultime indicazioni nazionali segnano un cambio di passo,
puntano alla trasversalità, a una maggiore continuità con i livelli precedenti». Ma per attuarle
servono più risorse, continua la sindacalista che
mentre attacca la prova Invalsi «da abolire» annuncia che la proposta dell’innalzamento ai 18
anni sarà portata al congresso Cgil.
Ma non sarà una battaglia semplice: lo spettro
della selezione di classe in nome della meritocrazia è sempre dietro l’angolo, come si evince da altre ricerche della Fondazione Agnelli che attaccano il “mito dell’equità” che era alla base della riforma del ’62. «Il merito va sostenuto», conclude
il professor Tremoloso, «ma nel senso della capacità che ognuno sa esprimere. E tutti hanno capacità che vanno sostenute». Insomma, è l’uguaglianza a fare della scuola media un ”anello fondamentale”. Il problema è che di uguaglianza ce
n’è ancora troppo poca.
9 novembre 2013
left
la scuola che non c’è
società
left.it
La proposta di Andrea Ichino per risolvere i problemi dell’istruzione ai tempi della crisi
Privatizzazionissima
di Giuseppe Benedetti
L
a pervicacia con cui il Corriere della sera e Andrea Ichino in particolare provano a
convincere i loro lettori che la scuola pubblica è ormai un lusso che non
ci possiamo permettere allarga la fazione in appoggio all’istruzione privata (come si legge in “I contabili del
sapere”, left del 26 ottobre 2013). Gli
argomenti sono diversi: dal presunto
rispetto della libertà di scelta invocato dai giornali della Chiesa e da quelli della crociata dei media berlusconiani contro i docenti parassiti e comunisti. Ma in ogni caso, dalla lettura
di questi interventi sembra che si parli di un’altra scuola e di un altro Paese. Infatti l’istruzione viene presentata come un settore chiave per la ripresa italiana, la specialità strategica
che, a patto di essere riformata profondamente, farà ripartire la nostra
produzione. Come si riesca ad intuire
ciò, in mezzo al disastro denunciato,
resta un mistero. Secondo questa lettura, insegnanti e dirigenti, se solo lo
volessero, potrebbero dare il “la” alla rinascita italiana, come politici illuminati e capitani d’industria dalle
ampie vedute. Neanche il più impenitente reduce sessantottino tra gli
insegnanti, oggi, dopo le sventurate
novità della gestione Berlinguer e la
funesta riforma “epocale” TremontiGelmini, penserebbe che sia la scuola a formare la società piuttosto che
il contrario. Eppure per Andrea Ichino (“Tre scelte strategiche sulla scuola perché l’Italia torni a competere”,
Corriere della sera, 21/10/2013) è
proprio così. Se dobbiamo fronteggiare una gravissima crisi economica, ciò dipende dal fatto che la stragrande maggioranza dei professori,
accecati dalla fede ideologica, si è occupata solo dei più deboli trascuran-
left 9 novembre 2013
Si invocano investimenti
esterni sorvolando sulle
politiche scolastiche
degli ultimi vent’anni
do le eccellenze, che si sono annoiate e involute e, a lungo andare, hanno
perso lo spirito d’impresa dei nonni e
dei padri. Ma è fin troppo facile obiettare che l’ideologia della maggioranza degli insegnanti non c’entra nulla,
perché, da Berlinguer in poi, sono piovute sulla testa dei docenti una sfilza di norme e circolari contraddittorie, quando non squinternate, e l’unica responsabilità che si può attribuire
è una certa acquiescenza (in cui, però, c’è pure la convinzione che la serietà del proprio lavoro non possa essere scalfita da certi regolamenti). Ma
nel suo articolo Ichino sorvola sulle
scelte di politica scolastica degli ultimi vent’anni, limitandosi a suggerire
gravi sospetti sulla responsabilità degli insegnanti rispetto all’attuale crisi
del sistema dell’istruzione. E propone soluzioni ispirate alla filosofia della necessità. Riepilogando: i soldi non
ci sono a sufficienza, perciò diamo-
li solo ai meritevoli. Ma chi deciderà
chi siano i meritevoli e il modo in cui
riconoscerli è una questione tutt’altro
che irrilevante, eppure non affrontata esplicitamente nell’intervento del
Corriere. Siccome il livello di corruzione è tale che lo Stato, per rimanere
nel campo dell’istruzione, non riesce
neppure ad amministrare i concorsi,
la proposta di Ichino è quella di affidare ai privati la gestione dell’istruzione. In una prima fase alcuni privati potrebbero fare da benefattori con i soldi di tutti i cittadini. Poi, toccherebbe
a loro investire nella scuola rispettando pure l’interesse generale che sembra si voglia far coincidere con l’interesse dei più ricchi e fortunati. In ultimo Ichino suggerisce di attaccare
gli sprechi della pubblica istruzione.
Ma non nomina le consulenze d’oro,
i carrozzoni degli uffici di ricerca dove s’imboscano gli amici degli amici, i
progetti faraonici che durano una stagione. Si chiede invece se non sia uno
spreco tenere in piedi il liceo classico.
Ma, viene da ribattere, a quale principio economico corrisponde il piano
di azzerare il segmento più efficiente
della scuola italiana?
[email protected]
33
inchiesta
L
orenzo è «alto, pelato, con
gli orecchini»,
come si definisce lui. Lorenzo è uno studente romano che in età adulta ha scoperto
di essere intersex - senza un sesso
scientificamente definito. Fosse nato nella Germania di oggi, sul suo certificato anagrafico ci sarebbe una “X”. O
una casella vuota, come prevede la legge entrata in vigore il primo novembre a Berlino, che
consente di non indicare il sesso all’atto della nascita quando non sia possibile stabilire con chiarezza l’appartenenza di genere. Ma quella legge
a Lorenzo non piace. «La “X” tedesca è persecutoria», spiega, «e non mette in discussione il potere medico». Un obiettivo che invece aveva animato i promotori della normativa. «Non si considera il contesto più ampio», prosegue Lorenzo,
«perché oggi l’intersessualità è considerata una
malattia. Si pretende di discuterne solo a livello scientifico. Invece si dovrebbe mettere in luce che non si tratta di una patologia, ma semplicemente di una condizione. Usando la parola
disturbo si creano molti tabù».
Un’opinione condivisa anche dalla sociologa e ricercatrice fiorentina Michela Balocchi, tra le poche a occuparsi del tema.
«Di prassi, dalla metà del secolo scorso, in presenza di genitali non identificabili come chiaramente femminili o maschili molti neonati venivano
sottoposti a interventi chirurgici.
Ma questa non può essere considerata come l’unica soluzione nel
caso di atipicità genitale alla nascita. E la contestazione», aggiunge Balocchi, «viene dalle stesse persone intersex che hanno subito l’intervento e che ne denunciano gli irreversibili e dolorosi effetti, mutilanti e
traumatizzanti, nonché il senso di vergogna e di stigma per essere stati etichettati come sbagliati e diversi solo per
l’aspetto dei propri genitali». Lorenzo ha
provato queste sensazioni. «I medici si
approcciano alle persone intersex come se
avessero una malattia, non sanno niente di
loro, non dicono quali saranno gli effetti a bre-
La Germania
riconosce per legge
l’intersessualità.
Ma tra codice civile
e società il divario resta.
A Berlino come altrove
ve o lungo termine delle terapie e
degli interventi. Il discorso sulla
malattia serve a creare un individuo speciale, a sottolineare delle
diversità, come può essere il cromosoma soprannumerario o la
disfunzione. Se la questione principale è il benessere di una persona, se veramente si parlasse in termini di benessere, non si creerebbero inutili mostri». È quello che sostiene anche l’associazione internazionale Ilga (International lesbian, gay,
bisexual, trans and intersex association),
che contesta le pratiche di “normalizzazione” inflitte alle persone intersex, senza tenere conto del principio di autodeterminazione
che è diritto di ciascun individuo. Anche perché
la condizione di intersessualità in alcuni casi non
si scopre alla nascita, ma in adolescenza. Succede nei casi asintomatici, come quello di Lorenzo.
«Ti immagini scoprirlo dopo i 20 anni? È una co-
Non è una malattia ma una condizione.
E la chirurgia non è la sola risposta
sa fondamentale di te. Nella scienza c’è chi considera le variazioni cromosomiche un disturbo e
non una forma di intersessualità, chi viceversa.
Io mi sento uomo, maschio, non mi considero né
intersex, né una persona con un disturbo. Nel
momento in cui la scienza mi dice che ho una
malattia (cioè il mio cromosoma aggiuntivo) ma mi considera uomo per i miei organi genitali e mi sottopone a degli interventi o a delle cure ormonali, si perde di vista l’aspetto principale, cioè
il mio benessere». Lorenzo è stato
riconosciuto come maschio alla nascita, cresciuto come tale
fino a 14 anni, quando ha iniziato a svilupparsi in lui anche il seno. «Avevo 21 anni quando i medici me
l’hanno detto. Il mio
problema fondamentale era che provavo il
desiderio di avere un
Chiara De Carolis
corpo maschile e non
UN GENERE
TRA GLI ALTRI
di
inchiesta
left.it
Il sesso
incomodo
di Paola Mirenda
La scelta tedesca mette in crisi
il modello patriarcale.
E preoccupa i fondamentalisti cattolici
Lorenzo: «Non ho costruito l’uomo,
ho soltanto ucciso la donna»
«Uomo, donna,
neutro». La legge
tedesca dal primo
novembre riconosce
una terza alternativa
nell’indicazione
del sesso all’anagrafe
36
ho mai avvertito il seno non l’ho mai sentito una
parte del mio corpo, quindi ho optato per una mastectomia. Però, dopo, quando mi hanno somministrato la terapia testosteronica (perché il mio
corpo non produce un livello normale di ormoni maschili), l’ho percepita come una trattamento indotto: a un certo punto non sono più riuscito a capire quale fosse il desiderio mio e quale
quello esterno, dei medici. Non hanno mai chiesto il mio parere. Ho scoperto che quando fai
una domanda a un dottore lui solitamente ti risponde con un’altra domanda. Quando ho iniziato la cura di testosterone, era un gel che si spalmava: i medici mi hanno detto di metterlo sulla
pancia o sulle spalle la mattina. Dato che io sono freddoloso, l’ho sempre spalmato sulle spalle. Adesso ho una “collana” di peli che prima non
avevo, perché il testosterone stimola la crescita
di bulbi piliferi. Non mi hanno mai dato informazioni, non mi hanno mai consigliato. Il mio corpo cambiava, mi è cresciuta la barba. Io non ero
cosciente che con questa cura sarebbe successo
questo. È stato uno shock ».
Lorenzo si è sentito solo. Non ha mai avuto
un’assistenza psicologica di base da parte delle
strutture sanitarie pubbliche. Ha dovuto rivolgersi a uno psicoterapeuta privato. «Non sono
stato affiancato da un percorso psicologico e, a
parte le operazioni e la somministrazione di ormoni, nessuno mi ha mai chiesto come mi sentivo. Questo per me è il problema fondamentale. Dopo l’operazione al seno ho cominciato
a pensare che avessi ucciso la mia parte femminile, facevo dei sogni in cui moriva sempre
qualcuno. Nel sonno emergevano i miei problemi, le mie paure. Non ho costruito l’uomo, ho
solo ucciso la donna».
F
emmina, maschio, altro. Nessuno dei due e
nello stesso tempo tutti e due. Una “X” per
definire il proprio sesso, oppure una casella da
lasciare vuota. Dopo l’Australia è la Germania primo Paese in Europa - a riconoscere per legge l’esistenza delle persone intersessuali, permettendo di non dichiarare il sesso del nascituro all’atto della registrazione all’anagrafe «per
evitare pressioni sui genitori e medicalizzazioni
precoci». Dietro il linguaggio burocratico ci sono le centinaia di operazioni chirurgiche fatte
ogni anno in Europa e giustificate con la stessa
frase: «Lo facciamo per il suo bene», per non farlo/farla «crescere diverso». Diverso, cioè nato
con cromosomi che non corrispondono a quelli
che segnano inequivocabilmente la categoria binaria uomo/donna. O con un corredo ormonale
che non segue l’aspetto fisico. A volte così nascosto da non venir individuato se non in età adulta,
a volte così evidente da richiedere una decisione non facile. «Non c’è un unico “modello intersessuale”», spiega Giacinto Marrocco, chirurgo
pediatrico all’ospedale San Camillo di Roma. «Ci
sono invece più tipologie di “disordini della differenziazione sessuale”, come vengono chiamati
in termine medico. E ognuno dipende dalla combinazione di più elementi». Solo in una ridotta
percentuale di individui con stati intersessuali è
impossibile determinare una predominanza maschile o femminile, a causa di una «mappa cromosomica a mosaico», spiega Marrocco, «che
mescola gli elementi dell’uno e dell’altro sesso nelle cellule». Un terzo genere che nemmeno
la legge tedesca entrata in vigore il 1 novembre
scorso affronta davvero, lasciando la possibilità
che sia il bisturi, e non la cultura, a “eliminare”
la diversità. Perché gli intersessuali sono evirati, mutilati, uccisi (o al contrario considerati “divini”) a seconda del tempo storico e della società in cui si viene al mondo. In occidente la pratica
più frequente è quella della chirurgia neonatale:
9 novembre 2013
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inchiesta
left.it
COLLETTIVO MADE IN ITALY
© BAKKARA/AP/LAPRESSE
In Italia, a parte i numerosi collettivi Lgbt, l’Arcigay, i movimenti
e le organizzazioni per i diritti di
omosessuali, bisessuali e transessuali, non ce n’è quasi nessuno che si rivolga alle persone
intersex, a parte il collettivo intersexioni. Fondato da Michela
Balocchi, che da anni si occupa
di temi legati alle «disuguaglianze di genere, ai diritti delle persone intersex, omosessuali e
optare per l’appartenenza a un sesso o all’altro
- e intervenire rapidamente - è la prassi consolidata. Solo da pochi anni alcuni Paesi hanno riconosciuto la necessità di attendere uno sviluppo
più completo della persona, adeguandosi alla richiesta della Ue e dell’Onu, che vietano operazioni chirurgiche senza un consenso informato.
Il Consiglio d’Europa, poche settimane fa, ha invitato a non praticare nemmeno la circoncisione sui bambini, equiparandola alla tortura. Così come è giudicata tortura l’intervento su un neonato al solo scopo di attribuirgli un pene o una
vagina. «Si cerca di tenere in primo piano l’interesse del bambino», spiega Marrocco. «Vanno considerati tutti i fattori, caso per caso. Contrariamente a quanto avveniva prima, se non c’è
pericolo di vita si tende a rimandare l’intervento
chirurgico, seguendo costantemente i piccoli e
le loro famiglie. Ma ci sono genitori che chiedono di operare il prima possibile perché sono loro a non reggere l’impatto, sono loro che non ce
la fanno nemmeno più a cambiare il pannolino.
Non sono preparati. Nessuno è preparato». Così si chiede di intervenire chirurgicamente con
una finalità, e lo riconoscono in alcuni casi gli
stessi medici, che a volte è solo estetica. Perché
non muta né la mappa cromosomica né il livello
degli ormoni nel sangue. Perché non altera il discorso di fondo. E cioè che il genere non è binario, ma percorre più strade.
Intersessualità non è omosessualità e non è
transgender, ma per la cultura predominante risulta ancora più pericolosa perché mette in discussione la nozione di genere e la gerarchia uomo-donna. Lo avevano intuito i cattolici integralisti francesi, che già nel 2011 avevano contestato l’allora ministro dell’Istruzione Luc Chatel, che aveva definito il genere come il risultato della combinazione elementi sessuali e culturali. Chatel, esponente dell’Ump di Nicolas
Sarkozy, voleva che la questione fosse affronta-
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transgender, al sessismo e alla
violenza di genere». Lo scorso
settembre, a Milano, alcune attiviste si sono rese protagoniste di
una protesta pacifica contro il IX
Convegno di endocrinologia pediatrica. Pomo della discordia:
alcuni interventi a favore delle
operazioni di chirurgia estetica
sui genitali dei bambini intersex
come prassi accettata dalla coc.d.c.
munità scientifica.
Lo specialista Marrocco: «Per noi viene
prima l’interesse del bambino»
ta nelle scuole, una promessa contenuta anche
nel programma di Hollande per le presidenziali del 2012. Nelle manifestazioni del maggio 2013
contro i matrimoni gay le associazioni pro famiglia e pro life lo ripetevano ossessivamente: «il
matrimonio tra persone dello stesso sesso è il
mezzo per arrivare alla teoria del genere». “Teoria del genere” resta una definizione sbagliata,
perché si tratta di “studi sul genere”, che da gennaio 2014 entreranno nel programma scolastico francese. Oltralpe si insegnerà per esempio
che la divisione dei ruoli nella sfera domestica
e in quella lavorativa non discende da un ordine naturale - Eva, costola di Adamo - ma da una
costruzione culturale. Per quanto questo sia evidente, la crisi economica ha offerto la scusa per
rilanciare una visione della società patriarcale,
con la donna nel ruolo di “angelo dei fornelli”,
che i fondamentalisti di Dio sognano da tempo.
La Germania, dove il peso della religione protestante è meno forte di quello che contrassegna
la chiesa cattolica in Francia, ha aggirato parte
del problema riconoscendo che, se i generi non
sono due ma più di due, forse quella visione non
è più possibile. Senza però scardinare, per timidezza del legislatore, l’idea di famiglia che è nel
codice civile. Lì il matrimonio è ancora definito
come l’unione tra l’uomo e la donna, e quella X
che sarà apposta sui certificati di nascita si infrangerà contro quella barriera. E sarà semplicemente ritardato, e non eliminato, il momento della scelta obbligata. Eppure, e lo riconosce
anche lo stesso Marrocco, ci sono casi in cui sarebbe bello « cambiare la società perché si adatti a un bambino con un sesso diverso, piuttosto
che cambiare il bambino perché sia adatto alla
società». Ma siamo lontani dal poterlo fare.
Indonesia, il Gay
pride. Le associazioni
Lgbti sono le uniche
a occuparsi dei temi
dell’intersessualità
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INTERPOL
AI VOSTRI ORDINI
di Cecilia Tosi
L’organizzazione che riunisce tutte le polizie
del mondo manca di un controllo centrale.
E viene strumentalizzata dagli ex sovietici
© MORI/AP/LAPRESSE
«C
left 9 novembre 2013
ontro il terrorismo ci sono due
soluzioni: isolare i luoghi pubblici con le forze di sicurezza o
permettere ai cittadini di girare armati». La dichiarazione arriva a Cartagena, Colombia, e lo
speaker è un afroamericano di peso, che visto il
suo incarico dovrebbe prediligere l’impiego di
personale specializzato e non la giustizia fai da
te: si chiama Ronald K. Noble e da 13 anni è segretario dell’Interpol, la rete che unisce le polizie di tutto il mondo. Ma la preferenza di Noble
va chiaramente verso la seconda ipotesi: «Creare perimetri sicuri significa convivere con enclave estremamente militarizzate. Bisognerebbe considerare l’eventualità di strumenti di difesa personale». E il paradosso non finisce qui,
perché aprendo la 58esima conferenza dell’Interpol Noble ha lodato i progressi dello Stato
colombiano contro i cartelli della droga proprio
da una delle tante enclave di sicurezza create
nel Paese sudamericano per difendersi da gruppi terroristi, paramilitari e narcotrafficanti.
Eppure ai 190 Paesi membri dell’Interpol (cioè
tutto il mondo meno qualche isola dell’Oceania e la Corea del Nord) va bene così. Noble è
già stato riconfermato a capo dell’organizzazione con base a Lione per ben due volte. Eletto all’unanimità anche per il suo terzo mandato, con un sostegno generale di cui gode fin da
quando ha salutato l’11 settembre 2011 come la
rinascita della funzione globale del coordinamento internazionale di polizia.
È in nome della lotta al terrorismo, infatti, che i
servizi di sicurezza di tutto il mondo sono pronti a collaborare e disponibili a superare ogni attrito ideologico. In nome di questa armonia glo-
Il segretario generale
dell’Interpol Ronald
Noble nel quartier
generale di Lione
39
© NIKOSKI/AP/LAPRESSE
mondo
I dissidenti politici vengono inseguiti
anche da ordini di arresto non verificati
Il presidente russo
Vladimir Putin
partecipa a
una conferenza
dell’Interpol
40
bale, Noble è disposto a intrettenersi in convenevoli con i diplomatici di ogni Paese, anche il più
autoritario. Solo che a volte si fa prendere la mano, come quando ha incontrato il ministro bielorusso Anatol Kulyashov e si è complimentato
con lui della professionalità con cui aveva risolto il caso dell’attentato alla metro di Minsk. Peccato che i due presunti colpevoli siano stati giustiziati senza aver subito nessun processo. D’altronde la Bielorussia è uno di quegli Stati che più
contribuiscono all’attività dell’Interpol. Non in
termini di finanziamenti, ma di red notice, quegli
ordini di arresto nazionali che una volta rilanciati dall’organizzazione di Lione diventano internazionali. Minsk è accusata dalle organizzazioni per
i diritti civili di tutto il mondo di imbastire indagini penali per colpire i dissidenti politici. E di tentare di raggiungere i nemici anche all’estero, attraverso gli strumenti forniti dall’Interpol. Ma ancora più sfacciati dei bielorussi sarebbero i russi, che spiccano mandati di cattura e richieste di
estradizione con instancabile persistenza. Il segretariato dell’Interpol sostiene di controllare gli
avvisi prima di pubblicarli, e di scartare quelli che
ritiene politicamente motivati. Ma oltre alle red
notice gli Stati membri dispongono anche dello
strumento della “diffusione”, una richiesta di cooperazione «più informale» recita il sito dell’Interpol, «usata comunque per richiedere l’arresto
o la localizzazione di un individuo. La “diffusione” viene fatta circolare direttamente dal vertice
della sicurezza nazionale di ogni Paese ed è automaticamente registrata nel sistema di informazione Interpol». Gli uffici di Lione, però, respingono ogni accusa di strumentalizzazione, dichiarando che anche nel caso delle diffusioni si può successivamente - rimuovere l’avviso. E che tutti
gli “esterni” possono fare appello a una commissione di controllo composta da 5 esperti.
Rassicurazioni un po’ deboli se teniamo conto, come ha fatto Ted Bromund della Heritage
Foundation, del numero degli avvisi che arrivano dagli Stati membri e del personale del segretariato Interpol. Se anche i funzionari internazionali lavorassero per otto ore al giorno per 365 giorni all’anno, secondo Bromund, l’Interpol avrebbe
solo venti minuti per considerate il merito di ogni
notice inserita dalle polizie nazionali.
«Bisogna considerare che l’Interpol è un’organizzazione intergovernativa», ci spiega Simonetta Grassi, esperta legale dell’agenzia dell’Onu per
la droga e la criminalità (Unodc). «Quindi i membri collaborano ma seguono in primo luogo la legge nazionale. È una scelta di ogni Stato se dare seguito a una red notice o garantire - ad esempio asilo politico a un dissidente».
9 novembre 2013
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left.it
L’Interpol non ha una sua personalità giuridica e
non ha nemmeno un vero organo di controllo, a
differenza della cugina Europol, basata a L’Aia,
che dipende direttamente dalla Ue. L’organizzazione europea ha una sua autonomia e suoi agenti che possono collaborare con le indagini, ma
sotto la supervisione delle istituzioni dell’Unione. A L’Aia ci si sente molto più imparziali che a
Lione, ma nessuno ammetterebbe ufficialmente,
per paura di danneggiare la cooperazione internazionale, che l’Interpol sia strumentalizzata da
alcuni Paesi ex sovietici.
Intanto, però, i dissidenti politici finiscono nelle carceri di mezza Europa e rischiano di venir
estradati nei Paesi da cui sono fuggiti. In Italia il
caso più noto è quello di Alma Shalabayeva, moglie del leader dell’opposizione kazaka Mukhtar
Ablyazov. Prelevata il 29 maggio da un appartamento romano è stata estradata ad Alma Ata il
primo giugno. Grazie a una red notice pubblicata da Interpol su richiesta dei kazaki il 31 maggio, e basata sull’accusa spiccata il giorno prima
contro la Shalabayeva per “contraffazione di documenti”. Da allora il governo italiano ha revocato l’ordine di deportazione e quello kazako ha garantito che alla donna sarebbe stata concessa libertà di movimento, ma le sue dodici richieste di
lasciare il Paese sono state regolamente respinte.
Secondo l’organizzazione polacca Opendialog,
che difende la libertà d’opinione in Kazakistan,
l’arresto è avvenuto in virtù della cooperazione
bilaterale tra polizia criminale kazaka e italiana,
come del resto dipende dagli accordi bilaterali
anche il futuro di tutti i collaboratori del marito.
Lo stesso Ablyazov è stato arrestato quest’estate in Francia in seguito a una red notice di Interpol, ma Parigi temporeggia e non risponde alle richieste di estradizione fatte sia dalla Russia che
dall’Ucraina, sostenendo di non avere un accordo bilaterale con i due Paesi. Ma a rischio estradizione ci sono anche la collaboratrice Tatiana
Paraskevich, arrestata in Repubblica Ceca il 12
maggio 2012 e all’inizio del 2013 giudicata idonea
a essere estradata in Ucraina, anche se i suoi avvocati stanno lottando per non farla partire. Un
altro collaboratore dell’oppositore kazako, Muratbek Ketebayev, è stato arrestato il 12 giugno
2013 dai polacchi. E il capo della squadra di sicurezza di Ablyazov, Alexandr Pavlov, è nelle mani
della polizia spagnola, raggiunto da una red noti-
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Tutti i collaboratori del kazako Ablyazov
rischiano di essere estradati
ce per attacchi terroristici a Alma Ata, un profilo
pericoloso confermato da un rapporto dell’intelligence spagnola, che lo ha giudicato una minaccia per Madrid anche sulla base dei comunicati
stampa del procuratore generale kazako. A luglio
è stata autorizzata anche la sua estradizione, sulla base di un accordo bilaterale che il procuratore del Kazakistan si sta preparando a firmare anche con la Repubblica Ceca, per poi aprire i negoziati con Italia e Slovenia.
La maggior parte delle red notice “politiche” arrivano dalla Russia, sospettata di interferire con
le elezioni in Estonia per il suo ordine di cattura
verso il candidato sindaco di Tallinn Eerik Kross
e di combattere la libertà di stampa anche in Spagna, dove è stato arrestato durante una vacanza
il giornalista Petr Sllaev, meno male che era residente in Finlandia. Per non parlare della persecuzione contro l’avvocato per i diritti umani Sergej
Magnisky, ucciso misteriosamente e poi processato post portem. La Russia ha spiccato un ordine d’arresto anche per uno dei suoi clienti più facoltosi, Bill Browder. Rifugiato nel Regno Unito e
raggiunto da un avviso dell’Interpol. Londra non
lo arresta, ma lui rischia comunque di finire in
manette se supera i confini inglesi. È questa una
delle conseguenze più “spiacevoli” della cooperazione internazionale: una volta pubblicata una
red notice o una diffusione sul sistema Interpol,
anche chi riceve asilo in un Paese rischia di essere arrestato quando si sposta in un altro. Ales Michalevic, candidato presidenziale in Bielorussia
nel 2010, nel 2011 è stato arrestato dalla polizia
polacca. Ora è libero e ha lo status di prigioniero politico, ma dichiara di aver paura a spostarsi
fuori dai confini: «So dai miei contatti privati che
sono ancora nel database criminale di molti Paesi ed evito di viaggiare fuori da Schengen».
Anche l’Organizzazione per la sicurezza e la cooperazione in Europa è preoccupata: al suo
22esimo meeting annuale si è lamentata che alcuni Stati membri cerchino l’arresto degli oppositori sfrumentalizzando il sistema Interpol.
Ma da Lione rispondono: «Non c’è nessun paese
che usi il canale Interpol in modo inappropriato.
Non sistematicamente».
Il passaporto di Alma
Shalabayeva, moglie
di Mukhtar Ablyazov
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mondo
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FUGA DA UN
MATRIMONIO
di Elisa Murgese da Londra
In Gran Bretagna sono migliaia
le ragazzine che scompaiono durante
l’estate. I genitori le portano nei Paesi
d’origine e le costringono a sposarsi
con uno sconosciuto. Storia di una donna
che è riuscita a scappare e di un premier
che non vuole lottare
L
a proposta era semplice: un elenco di tutti i minori che dopo le vacanze estive non
tornano sui banchi di scuola. Secondo le
associazioni che combattono contro i matrimoni forzati nel Regno Unito, sarebbe infatti servito
a monitorare i casi più gravi. Tra le comunità arabe e quelle del subcontinente indiano è molto diffuso l’escamotage di portare la figlia nella madrepatria dei genitori per i mesi estivi e di approfittare delle vacanze per costringerla a un matrimonio frettoloso con un marito mai visto prima. Un
viaggio senza ritorno. Ma la proposta di un elenco degli scomparsi non è passata. Oltre 1.500 denunce di matrimoni forzati denunciati ogni anno
(8.000 i casi totali, secondo le stime del governo)
non hanno convinto David Cameron ad agire fermamente contro il fenomeno. «Le assenze dei minori dalle aule sono già registrate dopo ogni trimestre», ha replicato il primo ministro, pur sapendo che i normali registri delle assenze non costituiscono un disincentivo per i genitori intenzionati a sequestrare le figlie.
© DUNHAM/AP/LAPRESSE
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left
mondo
left.it
Abuso sessuale. Abuso fisico. Abuso mentale.
Sono queste le violenze che subiscono migliaia di ragazze in Gran Bretagna. Alcune rischiano
persino di venire uccise, se rifiutano di sposare
uno sconosciuto in una terra lontana. Di conseguenza, il tasso di suicidi tra le donne asiatiche
residenti in Regno Unito è tre volte superiore alla media nazionale. I dati forniti dal governo sono
sconcertanti. Nel 2012 il 13 per cento dei matrimoni forzati ha riguardato spose sotto i 15 anni.
Sempre a detta del governo, nel 2012 si è verificato anche un caso di una sposa bambina di soli due
anni. Le comunità più coinvolte sono quelle provenienti del sud est asiatico: Pakistan, India, Bangladesh. Ma anche Arabia Saudita e Yemen. E la
pratica è diffusa anche tra le famiglie che vivono
in Inghilterra da generazioni.
«Le ragazze devono sapere che quanto viaggiano
fuori dall’Inghilterra potrebbero essere invitate
al loro stesso matrimonio. Devono capire chiaramente a chi rivolgersi in caso di pericolo», sostiene Aneeta Prem, presidente di Freedom charity,
un’associazione che dà assistenza alle bambine
fuggite dai matrimoni forzati. Un primo timido
passo il governo inglese lo aveva fatto nel 2005,
quando aveva istituito un’unità specializzata
all’interno del ministero degli Esteri. A posteriori, però, si è rivelata una semplice pagina web e
un numero di telefono poco gettonato. E dal punto di vista legislativo il Regno Unito resta nell’impasse. L’unica legge in materia è del 2008: dà la
possibilità alla vittima, a un’autorità locale o a un
conoscente di chiedere l’intervento della polizia
per bloccare un matrimonio forzato. Le autorità
possono emettere un ordine di custodia per il minore e se i genitori lo violano vengono condannati a due anni di carcere. Ma negli ultimi cinque
anni il fenomeno non si è ridotto minimamente:
«In genere, le vittime non si rivolgono alla polizia
perché hanno paura di penalizzare i propri genitori», spiega Nazia Khanum, autrice di un rapporto sui matrimonio forzati nella comunità pakistana. «Tra le ragazze, casi di automutilazione e suicidi sono all’ordine del giorno. Purtroppo è impossibile calcolare il numero di spose bambine».
Tasleem Mulhall ha rischiato questa fine. Nata
in Yemen, la sua famiglia si è trasferita a Londra
quando lei aveva solo pochi anni. Tasleem ha lo
sguardo intenso dei sopravvissuti. «È stata dura.
Ogni estate tremavo all’idea di andare in vacan-
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za con i miei genitori in Yemen. Mi sentivo soffocare. Più di una volta ho pensato al suicidio». La
sua adolescenza è stata troncata a 15 anni, quando i suoi genitori le hanno detto che si sarebbe
dovuta sposare con un uomo del loro Paese natale. «Non posso dimenticare quel giorno. Mio padre mi ha picchiata, mia madre ha visto tutta la
scena, eppure non ha fatto niente: come poteva
volermi sposata quando era appena una bambina?». Tasleem è scappata di casa. Ha vissuto per
le strade di Londra per mesi. Poi si è rivolta a Freedom Charity, che l’ha tolta dalla strada e dato un
futuro. Da allora Tasleem non ha più rivisto i suoi
genitori. «Ribellarsi alla tua famiglia significa pagare un enorme prezzo per il resto della tua vita.
Qualche mese fa sono andata a trovare mio fratello, perché gli è nata una bambina. Lui mi ha letteralmente cacciato di casa». Ora Tasleem lavora per Freedom charity e cerca di aiutare altre ra-
«Ribellarsi alla famiglia significa pagare
per il resto della tua vita», racconta Tasleem
gazze a scappare da un futuro segnato, consapevole che nel Regno Unito le spose bambine «non
hanno abbastanza aiuti, per non dire nessuno».
Mentre il ministero dell’Educazione respinge la
proposta di creare un elenco dei bambini scomparsi, la legge per la criminalizzazione dei matrimoni forzati prende polvere in Parlamento. Obbligare la propria figlia a sposarsi, nel Regno Unito, è solo un illecito civile. Una proposta per renderlo un reato penale - senza passare da un ordine di custodia che non diventa mai effettivo - esiste, ma è inserita nell’appendice di un progetto di
legge fermo alla terza lettura alla Camera dei Comuni. Alle bambine rapite dai loro stessi genitori
restano solo i consigli dati dalle associazioni per i
diritti umani, come quello di nascondere un cucchiaino metallico nelle mutande quando le portano via, in modo da far scattare il metal detector
ai controlli aeroportuali. Così gli addetti alla sicurezza possono portarle in un’area sicura e farle
denunciare gli abusi. Sembra impossibile, eppure anche in Gran Bretagna mancano gli strumenti per combattere questa forma di schiavitù. «È
difficile raccontare la mia storia qua», conclude
Tasleem, «perché nessuno si aspetta che una violenza del genere possa accadere in Inghilterra».
In apertura,
famiglie di origine
straniera a Londra.
Sotto, Tasleem
Mulhall, scappata da
un matrimonio forzato
a 15 anni
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cultura
LLa legge che
u
uccide la ricerca
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LLa poesia civile
d
di Sereni
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Ultimo scatto
U
a Parigi
Architetture utopiche.
Unire sostenibilità, bellezza
e bassi costi è la sfida dello
studio italiano di architettura di progettisti dell’utopia,
i Tamassociati, che lavorano per Emergency, realizzando strutture come questa in foto. Le realizzazioni di Tamassociati in Africa
sono in Sudan, Sierra Leone e Repubblica Centrafricana e hanno curato gratuitamente oltre 700mila pazienti. Il 7 novembre hanno
vinto il loro terzo premio internazionale.
© MASSIMO GRIMALDI
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scienza
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Una legge
disumana
di Federico Tulli
La norma anti vivisezione in discussione
alla Camera introduce paletti che avranno
gravi ricadute sulla nostra salute.
Gli scienziati spiegano perché
© BUKATY/AP/LAPRESSE
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ivieto assoluto di test scientifici su cani, gatti e primati e dei trapianti fra specie diverse (xenotrapianti). Introduzione della norma già ribattezzata “Green Hill”,
dall’allevamento di beagle scoperto vicino Brescia, che proibisce in Italia l’allevamento di animali destinati agli esperimenti. Vietate alcune
pratiche comuni come i test per droghe, alcol,
tabacco, armi. Obbligo di anestesia e analgesia
nel caso in cui gli esperimenti dovessero risultare dolorosi. Incentivi a metodi di ricerca alternativi ai test animali. Questo in sintesi è l’articolo 13 della legge sulla sperimentazione animale approvato dalla Camera il 31 luglio per recepire la direttiva Ue sul tema.
Il passaggio alla Camera è stato accolto con scon-
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certo dalla comunità scientifica convinta che sia
messa seriamente a rischio la possibilità di eseguire test pre clinici sugli animali e con essa la ricerca per la cura dell’Hiv, del cancro, delle malattie genetiche. Per non dire della medicina personalizzata e di quella rigenerativa che utilizzano
cellule staminali da iniettare in cavie animali. Il
divieto agli xenotrapianti, ad esempio, causerà
il blocco di ricerche in campo oncologico: iniettando cellule tumorali nella cavia si può seguirne
lo sviluppo, testarvi nuovi farmaci o migliorare i
protocolli attuali, fino ad arrivare in futuro alle terapie personalizzate. La ricerca di base, che studia i meccanismi cellulari delle malattie, perderebbe una tecnica essenziale utilizzata quotidianamente. Questa denuncia ha scatenato una du-
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scienza
Un topo di laboratorio
fa capolino dalla
mano di un tecnico
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scienza
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© MAYE-E/AP/LAPRESSE
SPERIMENTAZIONE ANIMALE INUTILE IN PSICHIATRIA
La biologa Dejana ha denunciato i danni che produrrebbe la
legge anti-vivisezione nella ricerca sulle malattie organiche. Ma
cosa accade invece, nell’ambito
delle malattie mentali? «L’impiego degli animali nella ricerca
psichiatrica», spiega Paolo Fiori
Nastro docente di psichiatria alla
Sapienza, «parte dall’idea che la
manifestazione comportamentale sia l’aspetto preponderante
della malattia e che questa sia
di matrice organica. Per cui la
cavia diventa una brutta copia
dell’uomo. Quest’idea è nata
con la psichiatria, non è nuova.
Ma tale ipotesi eziologica non
è mai stata confermata». Tutto
ruota intorno a una corrente di
pensiero sviluppata negli Usa
e che arbitrariamente ha modificato l’ipotesi in certezza, inoculandola nel pensare comune.
«Qualunque cosa una persona
pensi o provi deve avere un corrispettivo biologico, così come
è ovvio che ci possano essere
manifestazioni organiche in chi
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presenta sintomi psichiatrici.
Ma non è qui la matrice della
malattia che, invece, è generata dall’“incontro” tra la realtà
interna individuale e l’ambiente
esterno». Secondo Fiori Nastro,
l’impostazione “americana” si
limita a osservare i sintomi evidenti e ciò comporta un uso
improprio di farmaci: «L’aspetto
più deleterio è quando si usano
in soggetti molto giovani», a discapito della psicoterapia che
invece valuta «il significato del
messaggio proposto dal paziente». «Dati scientifici dimostrano
peraltro che l’ipotesi biologica
aumenta la distanza tra società e
malati. Difatti lo stigma colpisce
soprattutto gli schizofrenici, per i
quali prevale l’ipotesi biologica, e
meno i depressi perché è buon
senso comune pensare che una
depressione sopraggiunga per
tanti motivi non biologici. Laddove si pensa che la causa sia
biologica la gente isola il malato
mentale e i pazienti si allontanano dal servizio psichiatrico». f.t.
© OCKENDER/AP/LAPRESSE
ra polemica con gli animalisti - capeggiati tra gli
altri dall’ex ministro del Turismo Michela Brambilla - che ha polarizzato l’attenzione dei media
molto più del merito della discussione. Così è
passato in secondo piano che la direttiva Ue sia
molto meno restrittiva della legge italiana. Intanto le organizzazioni anti-vivisezione sono ancora sul piede di guerra: il 31 ottobre scorso hanno
depositato un milione di firme alla Commissione
europea per chiedere una normativa che metta fine alla pratica della vivisezione in Europa, sulla
scia del definitivo stop ai test sugli animali per i
prodotti di cosmesi in vigore da marzo 2013.
Quali possono essere le conseguenze di questa
logica che mette sullo stesso piano la produzione di un rossetto e la battaglia contro i tumori e
l’Aids? Si può davvero fare a meno dell’impiego
di cavie in laboratorio sostituendoli con metodi
alternativi, come sostengono i fautori dell’articolo 13? E quali ricadute sulla salute umana comporterebbe l’entrata in vigore della norma appena descritta? left ha rivolto queste domande alla
biologa dell’università di Milano Elisabetta Dejana. «All’interno degli stabulari italiani gli animali
sono trattati meglio che altrove», premette Dejana, che dirige il programma di ricerca. Il sistema
vascolare del cancro all’Ifom (Istituto Firc di Oncologia molecolare). «La normativa Ue», spiega, «è molto rigorosa poiché frutto di almeno
vent’anni di dibattiti tra le forze politiche, i ricercatori e i gruppi animalisti. Dibattito che in Italia
non c’è stato e questo porta oggi a confondere la
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ricerca con la vivisezione. Con un ulteriore inasprimento delle restrizioni, l’Italia potrebbe restare fuori dal mondo della ricerca con gravi ricadute anche in campo clinico. Quindi sulla salute dei cittadini». Il tempo per rimediare ci sarebbe. Come spiega il movimento di ricercatori italiani Pro-test, il procedimento approvato non è
una norma che definisce i termini di recepimento
della direttiva. Ma è una legge che delega il governo a scrivere il decreto di attuazione della direttiva 2010/63/Ue. Il testo, che dovrà quindi ripassare
in Parlamento per l’approvazione finale, è ora in
discussione alla commissione Politiche Ue della
Camera, comprensivo degli emendamenti che limitano in maniera grave la ricerca medica. E che
peraltro rappresentano un’infrazione che può costare all’Italia 40 milioni di euro se la conversione
definitiva non dovesse arrivare nei termini previsti. L’articolo 2 della direttiva infatti concede agli
Stati di mantenere regolamenti più restrittivi solo se essi erano già in vigore a novembre 2010, ma
non permette di introdurne di nuovi.
Tra i passaggi messi all’indice c’è quello che si
fonda sull’idea che l’uso degli animali sia inutile
perché non si possono riprodurre risposte identiche agli esseri umani. «L’uso degli animali», osserva la biologa, «si è ridotto di almeno il 50 per
cento negli ultimi anni e nel 95 per cento dei casi quando si parla di cavie ci si riferisce a topolini,
pesci (Zebra fish), rane e moscerini della frutta.
L’uso dei cani per lo studio di malattie cardiovascolari è stato molto ridotto e sostituito dall’impiego di maialini che hanno un sistema vascolare
cardiaco più simile a quello umano. I gatti non sono più usati da decenni. E anche le scimmie sono
impiegate molto raramente. Ma il loro utilizzo è
insostituibile nelle ricerche sull’Aids perché il virus Hiv infetta solo l’uomo e i primati. Essenzialmente tutti i trattamenti in grado di curare o di lenire le principali malattie dell’uomo come i tumori, le malattie cardiovascolari, infettive o genetiche, derivano dalla ricerca sugli animali».
Anche l’impiego esclusivo di tecniche diverse
dall’uso di cavie animali non sembra un’alternativa percorribile. «Chi ha scritto quella norma sembra non sapere che la ricerca in oncologia si serve
già di lieviti, cellule in cultura, strumenti biochimici e bioinformatici. Basta seguire la letteratura
per capire come sia nell’interesse di tutti, quando
possibile, usare altri mezzi. Tuttavia ci sono ca-
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si in cui non c’è scelta. Come si può riprodurre
artificialmente il processo complesso della proliferazione tumorale o delle metastasi? E un infarto del miocardio? Sono malattie d’organo in cui
concorrono diverse cellule e processi biochimici che non si possono, almeno per ora, riprodurre in maniera attendibile con metodi alternativi».
Nel 2012 il Nobel per la medicina è stato assegnato a Shinya Yamanaka. Lo scienziato giapponese è
riuscito per primo a riprogrammare cellule staminali adulte di topo fino a farle diventare pluripo-
La biologa Dejana: «Il blocco alla ricerca
mette a rischio la vita di migliaia di pazienti»
tenti, rendendole simili alle preziose caratteristiche delle cellule embrionali (totipotenti) che, essendo indifferenziate, sono in grado di dar “vita” a
qualsiasi tessuto. Si deve a lui il salto di paradigma
compiuto dalla medicina rigenerativa e da quella
personalizzata. Se Yamanaka si trovasse in Italia,
il divieto degli xenotrapianti gli impedirebbe di lavorare. Si è accennato al blocco che potrebbe subire la ricerca in oncologia. Non è l’unico.
«Vietare il trapianto di organi o cellule da una
specie all’altra è un aspetto molto grave, con conseguenze decisive per la ricerca e la cura di molte patologie umane. Le staminali sono in grado di
rigenerare diversi tipi di tessuti come il cuore o
cellule nervose e muscolari. In alcune condizioni sperimentali si possono utilizzare cellule di altre specie che, dopo l’impianto, permetterebbero di curare tessuti malati. Ad esempio in caso di
malattie nervose degenerative come il Parkinson
o l’Alzeimer. Oppure muscolari, come la distrofia
di Duchenne». Ma ancor più immediato sarebbe
il danno per decine di migliaia di malati di cuore.
«Oggi in Italia sono impiantate 300mila valvole
cardiache di origine suina e 400mila di origine bovina», racconta Dejana. «Vengono utilizzate per
sostituire le valvole danneggiate, salvando la vita
ai pazienti. Rispetto ai vecchi modelli in metallo
garantiscono migliore efficacia e migliore qualità di vita, evitando l’utilizzo di anticoagulanti orali e riducendo il rischio di ictus e la formazione di
trombi. L’emendamento “italiano” impedirebbe
di proseguire nella ricerca e migliorare ulteriormente questo tipo di cure».
Nella pagina accanto,
a sinistra,
una ricercatrice taglia
un frammento di Dna
sotto una luce UV.
A destra,
uno scienziato inocula
il virus potenzialmente
letale dell’H5N1
in un uovo
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cultura
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Nella tela del poeta
Vittorio Sereni
di Simona Maggiorelli
La riflessione sulla storia della Resistenza, la memoria, la forza di versi
dalla vena etica e civile. Il critico Pier Vincenzo Mengaldo invita
a rileggere l’opera dell’autore luinese. A cent’anni dalla nascita
T
alvolta gli anniversari possono essere
un’occasione non rituale per ricordare sui
giornali autori che nulla hanno a che fare
con le mode e con il mercato. È questo il caso del
centenario della nascita di Vittorio Sereni (1913
- 1983), intellettuale schivo, poeta civile e della
memoria che seppe trasformare la propria esperienza di prigioniero in guerra e poi di testimone
della brutalità del capitalismo in una potente metafora collettiva e in liriche dal valore universale.
Poeta della rivolta alla sopraffazione ma anche
autore di versi “nutriti di bellezza”, Sereni resta
una delle voci più limpide e coinvolgenti del nostro Novecento. A fine ottobre, a Milano, a rendergli omaggio in una tre giorni organizzata dalla
Fondazione Arnoldo e Alberto Mondadori sono
stati i maggiori italianisti. In primis Pier Vincenzo
Mengaldo che al poeta luinese ha dedicato molti
e importanti scritti. «Dal punto di vista scientifico sono emersi temi nuovi rispetto alla critica sereniana classica, ma soprattutto - nota il docente dell’Università di Padova - è stato un convegno
“fresco”, con un’ampia partecipazione di critici
trenta-quarantenni. Il che conferma quanto ho
subodorato da tempo: fra i classici del Novecento Sereni oggi è il poeta dei giovani. Conoscendolo, lui se ne sarebbe molto rallegrato».E il pensiero corre alle pagine del volume Per Vittorio Sereni, appena uscito per Aragno, in cui Mengaldo
traccia un intenso ritratto dell’uomo Sereni, prima di tuffarsi nell’interpretazione dei versi degli
Strumenti umani, di Stella variabile e di altre
sue raccolte. «Sono stato suo amico. L’ho cono-
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sciuto molto bene. È stata la fortuna della mia vita», ci dice Mengaldo con calore. Riservato e inquieto, sempre insoddisfatto e alla ricerca, Sereni nell’arte come nella vita rifuggiva dalla retorica
e da ogni atteggiamento pedagogico.
A differenza di Ungaretti - ma anche di Luzi e diZanzotto - non amava i toni perentori, ultimativi. «Per dirla alla buona, era un poeta esistenziale - sintetizza Mengaldo - lavorava sulle esperienze dirette. Moltissimo sulla propria memoria. E diversamente dai suoi contemporanei lo
faceva senza nessuna tendenza orfica. Il suo era
un procedere “raso terra” che miracolosamente diventava sempre una forma perfetta, qualcosa di estremamente terso e affascinante». Forma
perfetta ma anche grande essenzialità. Tanto che
le sue poesie paiono sempre dettate da una forte necessità interiore.«Sereni non è certo un poeta a cui si possa togliere qualcosa»,commenta
scherzosamente Mengaldo. «È un poeta di una
essenzialità di produzione pari a quella di Leopardi, che ci ha lasciato solo 41 Canti. Le raccolte di
Sereni sono quattro e tutte rastremate, essenziali. Per quello che ho potuto cogliere - approfondisce il professore - dipendeva anche dal suo modo
di lavorare. Non si metteva a tavolino ad attendere il ricordo. Lasciava che emergesse la memoria
e poi si metteva a scrivere».Dietro ai versi di Sereni c’era sempre una lunga elaborazione interiore. Ma il risultato finale era di grande sprezzatura, non si avverte la fatica. «In quel monumento
che è l’edizione critica delle poesie di Sereni curata da Dante Isella si può vedere il lavoro varian-
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cultura
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tistico. Sin dal Diario d’Algeria (1949) Sereni
sposta dei blocchi qua e là, abbandona delle poesie lunghe a favore di poesie brevi e fulminanti, la
sua elaborazione non tocca solo il dettaglio, ma
il lavoro d’insieme».Nel libro Per Vittorio Sereni
Mengaldo evidenzia anche un altro tratto affascinante: Sereni lavorava per stratificazioni successive, quasi a lasciar emergere a poco a poco l’immagine. Evocando indirettamente un’assonanza
con il modo di dipingere di Paul Cézanne «Tanto amo il maestro di Aix che tenderei a dire che
tutto il XXI secolo è cezanniano», dice Mengaldo. «Ha creato un modo di lavorare per stratificazioni che, a mio avviso, influenza profondamente
anche la letteratura e la musica». Da un altro punto di vista, suggestiva è anche la vicinanza di Sereni a un artista come Nicolas de Staël.
«Sereni amava molto alcuni pittori in particolare Ennio Morlotti, anche lui maestro delle stratificazioni. Con De Staël c’era però qualcosa di particolare», ricostruisce Mengaldo. «Sereni ne approfondì la conoscenza anche attraverso il poeta francese René Char. Soprattutto in Stella Variabile (1981, Einaudi, 2010) lo avvicina a De
Staël un modo di creare per frammenti essenziali. Tutta la serie che s’intitola Traducevo Char
è di un’essenzialità impressionante. In poesia
quello che non si dice è altrettanto significativo
di ciò che si dice. E quel modo di scrivere versi
penso arrivi a Sereni (che pure era un poeta molto personale) anche attraverso il corpo a corpo
con Char». Il quale tuttavia, come notava Fortini,
era un poeta del sublime e dunque molto lontano da Sereni.«Credo che Fortini avesse ragione»
ribadisce Mengaldo, che del rapporto fra Sereni
e Char ha scritto in Due rive ci vogliono (Donzelli, 2010). «Sereni nel secolo scorso è stato uno
dei più grandi traduttori insieme a Montale. I poeti in genere traducono per affinità o per contrasto. E il caso dell’ultima traduzione da Char è un
chiaro caso di contrasto. Bisogna però tener conto che Sereni ha cominciato con Char per affinità,
traducendo Fogli di Hypnos (1946) che sono un
qualche analogo dal punto di vista della Resistenza della guerra del Diario d’Algeria di Sereni.
Quello che lo ha spinto a tradurre quei versi (tra-
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Le poesie
di Vittorio
Sereni uscite
nei Meridiani
Mondadori. Sotto,
il nuovo libro di
Mengaldo. In
alto, a destra,
una versione
della montagna
Saint Victoire
di Cézanne, al
centro Agrigente
di Nicolas de
Staël, a sinistra un
disegno di Morlotti
e in apertura un
ritratto di Sereni
dotti anche da Celan) fu un caso di affinità. In Ritorno Sopramonte invece è per contrasto. Il sublime in Char è sempre dichiarato, è sempre cercato, mentre Sereni non era un poeta sublime. O
meglio: cercava il sublime per vie meno affermative, più sottili, più implicite».E se Char era il poeta della Resistenza imbracciata, Sereni non smise
mai di riflettere su quello che avvertiva come un
appuntamento mancato con la storia, la propria
mancata partecipazione diretta alla lotta contro
il nazi-fascismo, perché prigioniero in Algeria.
«Sereni era riluttante ad ogni ideologia dichiarata», ricorda Mengaldo. «Ma non vuol dire che
non avesse sue convinzioni. Era vicino alle idee
socialiste. Anche se per un certo periodo si avvicinò al Pci. Del resto era anche inevitabile. Con
«Fra i classici del Novecento
oggi è il più amato dai giovani»
la crisi e il disfarsi del Psi, il Pci in Italia diventò l’unica forma di socialismo possibile». Sereni,
del resto, era stato allievo di Antonio Banfi e aveva frequentato la scuola fenomenologica di Milano vicina a Giustizia e libertà. E fu redattore del
Giornale di Mezzogiorno del socialista Riccardo Lombardi. Ma tutto cambia quando durante
la guerra sperimenta la prigionia. «In quel capolavoro che è Diario d’Algeria si vede che quella è stata una ferita che non si è più rimarginata.
La ferita di Sereni», sottolinea Mengaldo, «è stata non poter partecipare direttamente alla Resistenza. Anche per questo si sentì sempre una persona inadeguata al suo tempo. Su tutto ciò s’innesta poi l’esperienza neocapitalistica che Sereni
ha vissuto da vicino lavorando per Pirelli e poi, a
lungo, per Mondadori. Un capitalismo che gli ha
fatto dire “non lo amo il mio tempo, non lo amo”».
Da qui il suo essere alla continua ricerca, il suo
pensarsi un viaggiatore, un Wanderer? «Nel Diario di Algeria il tema del prigioniero si affianca a
quello del viandante. E colpisce il numero di poesie in cui Sereni mette in scena in modo più ristretto il tema del viandante, ovvero spostarsi da
dove si è andando in cerca di qualcosa di diverso
da quello che si è».
51
trasformazione
Massimo Fagioli, psichiatra
Venne prima lo scarabocchio che faceva percepire
soltanto il contrasto tra bianco e nero
LA POESIA
del corpo che si muove
O
ra è novembre. Quando ottobre volgeva verso la propria fine, il corpo era rilassato perché l’atmosfera era leggera. L’ottobrata romana si lasciava andare nelle braccia della luce e del calore dell’estate di S. Martino. Le gambe gioiscono perché possono vivere la forza e l’elasticità di una giovinezza ritornata.
Immagino i milleottocento metri su cui i miei piedi fanno
tremila passi ogni giorno, per quattro giorni alla settimana.
Ora c’è la pioggia ed il vento freddo ma, in verità, la costrizione a restare al chiuso senza i raggi del sole, mi permette di osservare meglio, ancora una volta, la realtà senza immagine di ciò cui è stato dato il nome di cultura. La mente
umana, quando il pensare aveva avuto il nome di illuminismo, si interessò e cercò di comprendere quel “qualcosa”,
oltre la coscienza, a cui non riuscì mai a dare il nome di pensiero. Erano immagini senza linguaggio articolato.
Già ai tempi della Bibbia e di Omero si parlava di immagini. Hanno sempre turbato e sconvolto la mente cosciente perché non venivano riconosciute come ricordi.
Erano forme strane che svanivano come se non avessero esistenza nel tempo. Il pensiero religioso disse che le
immagini erano mandate dagli dei o, nel cristianesimo,
che erano dovute a dio o al diavolo che, nel sonno, entravano nella mente.
Poi la razionalità, che non aveva nessuna possibilità di
sentire e vedere il pensiero senza coscienza disse: eredità filogenetica di milioni di anni. Ovvero vennero da
quando non esisteva l’essere umano. Ora qualcuno ha
voluto ricordare l’impossibilità di avvicinarsi alla mente che fu definita inconoscibile scrivendo di una vecchia
trasmissione che presentò la cosiddetta psicoanalisi come consigli del buon padre, del parroco, o di un amico.
Nessuna ricerca sul pensiero senza coscienza, soltanto
un vago accenno all’esistenza di sogni. Inesistente l’idea
della possibilità della loro interpretazione. C’è sempre
Platone che impone di pensare che l’identità umana è
coscienza e razionalità.
Milleottocento metri, tremila passi. Nella realtà
della coscienza è un cammino facile, nei sampietrini dei
marciapiedi e nell’asfalto della strada. Ma esiste un’altra
realtà, quella del tempo della vita.
È ormai un lungo cammino spesso accidentato che ferisce e fa i piedi dolenti e le gambe che si indeboliscono.
Talora è sempre liscio come se fosse marmo bianco e l’assenza di colore nasconde l’attrazione del volto che fa cadere la stazione eretta, come fossimo allo stadio animale.
Talora è affascinante nei colori e nelle figure mostruose
come se fosse un mosaico bizantino.
Ed accadde che mi scontrai tre volte con la natura non
umana che non ha il movimento dell’immagine interiore.
Tendeva a ricondurmi allo stato inorganico perché il suo
essere non umano aveva la “mancanza” dell’essere che
non era “carenza” che viene superata dall’amore nel rapporto interumano.
Poi, una quarta volta, esplose la violenza di un essere
umano che volle sfregiare il volto. E l’incertezza della pubertà, in cui si modifica l’identità fisica, mi spinse a cercare una realtà umana più profonda, nascosta.
Non sapevo, non avevo conosciuto il senso del linguaggio che non era pensiero verbale. Ma le immagini che parlavano di una realtà umana diversa dalla coscienza e dal
linguaggio articolato imparato aveva invaso, con la sua
non materia, tutto il corpo. Avevo un “non”, la realtà non
materiale senza parola, che era presenza e non assenza.
Non era coscienza e ragione. Era soltanto corpo che vidi perché sentii la parola che, come fosse magia, disse: diverso. Era il corpo di una fanciulla.
1944. 1945. 1999. 2012. In verità non so cosa è accaduto nella mente, in un anno. Hanno detto che è iniziata
una gravidanza e, nove mesi dopo, la mano fece il profilo
di fanciulla. Hanno detto che ci fu una nascita che ha condotto la mente ad essere, e non soltanto a vedere e sapere.
Ci fu una separazione da una “madre” che dava nutrimento e calore. Non c’è immagine che faccia comprendere.
Forse è soltanto un movimento dell’organismo che la
Poi venne il colore rosso su fondo candido
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coscienza tenta di comprendere trasformandolo in parole.
Ed il linguaggio articolato si contorce per fare, con il corpo, una forma d’arte. Ed il rapporto d’amore diventa separazione, il silenzio del cammino che calpestava la polvere
della salita di S. Caterina, diventa la ricreazione della capacità di parlare che compare dopo dodici mesi di vita.
E, poi, la mente sveglia capì il pensiero della ragione.
Come se il volto di donna si potesse descrivere, facendo
segni che diventano parole. Poi penso a come la linea che,
nella curva, prende il movimento della mano dell’essere
umano, giunta sulla rètina, possa determinare una reazione della sostanza cerebrale che fa un’immagine. Ma torna,
in modo violento, la dizione: observatio et ratio.
Torna il numero e la parola 5 giugno, ma non è ricordo
perché è una memoria senza immagine. Avevo visto, senza che la coscienza sapesse, il contrasto tra bianco e nero, che fa la realtà percepibile della linea che poi costruisce la realtà delle parole. Come se il volto di donna si potesse descrivere.
Ma poi non ho più scritto, forse perché non ho più parlato. Forse perché, aggredito dalla violenza fisica della natura non umana, l’organismo perse le forze e la mano che
scrisse non era decisa nel rifiuto. Forse perché non c’era
soltanto la violenza fisica della natura. C’era un rapporto interumano che non esercitava violenza fisica ma, invisibile, toglieva la mielina all’assone che piangeva dolore.
Lo spazio che la carta bianca mostra, come fosse un
nudo di donna, mi invita a scrivere ancora raccontando le
strade accidentate percorse o gli abissi spaventosi sfiorati nella ricerca che voleva rinnovare il linguaggio articolato. Volevo dare un nome alle realtà invisibili.
Poi lessi l’articolo che parlava della psicoanalisi, ascoltai
i lavori della psichiatria accademica, e vidi l’assenza di qualsiasi idea sul pensiero che non è coscienza e linguaggio articolato. Comparvero, come fossero incarnazioni d’anime i
segni neri detti “scarabocchio”, e le linee colorate, invisibili
e flessuose come corpo di donna fatta nove mesi dopo.
Dicevano, con il loro volto impassibile, “ogni volta hai
rischiato la morte della mente. Ci dici come hai fatto a non
cadere nell’anaffettività da cui non c’è ritorno?”. Non risposi, ed il corpo diventò tutto rosso come se il sangue
fosse uscito dalle arterie per diffondersi a tutto il corpo.
È la memoria a dirmi fu la luce che invade l’occhio e
giunse alla rètina. E le parole vengono e dicono «ricreazione della nascita». E nove mesi dopo la mano fece
il segno verde-azzurro in cui il colore fa due curve che
disegnano l’occhio a mandorla di un orientale. Forse il
poeta ricrea una realtà umana nuova con l’indifferenza
per il corpo.
Nel tempo della coscienza
ci furono le linee nere
fatte senza coscienza
nominate scarabocchio.
Poi il profilo rosso
di donna
fu la ricreazione
che andò
nel “senza tempo”
che è la realtà,
prima della nascita
Lo dissero Caravaggio e Vermeer che la luce dava vita alle immagini. E, forse, per amore del bello dissi: fantasia di sparizione ed inconscio mare calmo. Poi
vidi e mi innamorai della moltitudine che prese il nome di Analisi collettiva e sprofondai sempre di più verso il momento primo della vita umana. E vennero: movimento, suono, tempo, pulsione.
E, un anno fa, la mano si mosse senza pensiero cosciente e disse, senza parole, che il primo momento della vita è la possibilità di fare la linea. Diventerà
scrittura a sei anni di vita. E so che, a sei anni, c’è anche la memoria-fantasia delle esperienze avute che
fanno l’immagine che non è ricordo cosciente. Ovvero
è presente, nel pensiero senza coscienza, un linguaggio che non è parola.
Mi sono sempre domandato come e perché ho pensapo il bianco e nero, sia concon
to che il colore, che si ha dopo
nesso alla memoria-fantasiaa dell’esperienza avuta. Ovrte”, ovvero la pulsione
vero quando l’“istinto di morte”,
che non è annullamento ma fantasia di spariaggio articolazione, pensando senza linguaggio
to, fa la realtà dell’immagine del corpo e
gica.
rende umana la realtà biologica.
o
Ricompare il profilo rosso
di donna. La mano ha fatto un’immagine che è la
ricreazione del secondo momento della vita ed
è senza linea nera. Viene la
parola ricreazione e penso ai
ipoeti che non fanno immagini ed ai pittori che parlano con
forma e colore.
...fu la ricreazione della realtà biologica del feto che divenne corpo umano...
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cultura
left.it
Ultimo
scatto
a Parigi
di Arianna Catania
Dal 14 al 17 novembre occhi
puntati su Paris photo,
la fiera internazionale
di fotografia più autorevole
d’Europa, che mette in mostra
anche i giovani talenti
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cultura
left.it
C
entotrentasei gallerie e 28 editori di libri
fotografici. Sono questi i numeri di Paris
photo - tappa obbligata per addetti ai lavori, appassionati e curiosi - in programma dal
14 al 17 novembre nelle sale del Grand Palais.
La grande e ricca varietà proposta dalle più importanti gallerie del mondo fa di Paris photo la
fiera internazionale più autorevole per scoprire
le tendenze della fotografia di qualità.
Tra i grandi fotografi, immancabili colonne portanti di un settore che va ormai affermandosi a
grandi passi nel mercato dell’arte, c’è spazio anche per i talenti emergenti, già selezionati tramite il prestigioso premio Sfr jeunes talents. Come
ogni anno, solo cinque artisti (su 1.026 nell’edizione 2013) avranno l’onore di esporre accanto a
Cindy Sherman, Robert Mapplethorpe, Diane Arbus e William Eggleston, solo per citarne alcuni.
Tra i lavori premiati, ci sono le immagini di Gabriela Kaszycka, artista polacca che considera
la fotografia come parte della vita di tutti i giorni, come un diario visivo. Per lei le fotografie sono tessere di un puzzle, frammenti di una parte
più grande. Quella di Kaszycka è una fotografia
documentaria fortemente personale, frutto di
un’osservazione «attenta e senza fretta». La fantasia conta più della percezione visiva.
La giuria ha premiato anche William Lakin,
fotografo inglese interessato a «suggerire una
storia piuttosto che raccontare una realtà». Il
suo lavoro, Florida club, descrive la cittadina
inglese di Great Yarmouth attraverso ritratti e
paesaggi, restituendo all’osservatore una sensazione di familiarità con i luoghi rappresentati. L’approccio di Lakin è quello di un esploratore in una terra vergine: vaga per le strade durante i mesi invernali, quelli in cui la città si chiude, e coglie la malinconia da isolamento, da sospensione e da immobilità.
Io abito in una città fantasma è il titolo del
terzo lavoro premiato al Sfr jeunes talents. Le
immagini, del francese Thibaut Derien, sono pura poesia. Ma anche tristezza, desolazione, sogno. Ci si trova davanti a una sfilza di saracinesche chiuse, negozi abbandonati, portoni sbarrati. Segni di una decadenza, di un esodo
di massa, o forse della profonda solitudine che
abita le nostre città e noi stessi.
L’inquinamento luminoso, generato dalla luce
artificiale, è invece al centro delle foto di un al-
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Sidonie 2011 dalla
serie Familiar di Alex
Cretey Systermans
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cultura
Sopra, un’immagine del progetto Familiar di Alex Cretey Systermans
Sotto, un’immagine del progetto The last house on the left di Gabriela Kaszycka
Cinque artisti emergenti
avranno l’onore di esporre
insieme ai mostri sacri
tro giovane vincitore del concorso: il parigino
Julien Mauve. Fanali di automobili e schermi
di dispositivi elettronici nel cuore della notte
sono infatti i protagonisti di After lights out, un
lavoro che mette in mostra il rapporto magico
che nasce dall’interazione tra la luce e l’uomo
quando intorno c’è il buio.
«Io fotografo per scoprire qualcosa che sarà simile a qualcosa che sarà fotografato», ha detto
molti anni fa il grande autore statunitense Garry
Winogrand. L’affermazione si addice bene all’arte di Alex Cretey Systermans, quinto emergente premiato, che considera la fotografia il risultato di una «attrazione» tra le cose e un modo per stare nel mondo, combattendo la solitudine propria dell’atelier del pittore. Ma, da expittore, lo fa con lentezza. Supportato da fotocamere a medio formato in pellicola, ha sviluppato
uno stile profondo basato sulla riflessione. È un
modo per interpretare il mondo immergendocisi dentro. Un’interpretazione del reale che parte
dagli innumerevoli spunti che questo contiene.
9 novembre 2013
left
left.it
Sopra, Café des halles e Poissonerie da J’habite une ville fantôme di Thibaut Derien
A destra, Martin, Sean and Jacob da Florida Club di William Lakin
Sotto, After lights out di Julien Mauve
puntocritico
cultura
ARTE di Simona Maggiorelli
Il sogno di
un barbone
P
er quanto sia abbondantemente
nutrito di testimonianze raccolte sul campo, di interviste e di frammenti dal vero Ho fatto una barca di
soldi, il docufilm di Dario Acocella
che il 9 novembre viene presentato in
prima assoluta al Festival Internazionale del Cinema di Roma (al MAXXI,
nella sezione prospettive doc Italia
vedi left n.43) ci appare come un’opera di videoarte originale e poetica,
lontana anni luce dal piglio cronachistico tipico del genere documentario. La sceneggiatura ruota intorno a
un personaggio singolare come Fausto delle Chiaie (classe 1944), artista
che da più di quarant’anni lavora per
strada a Roma, avendo scelto l’esterno dell’Ara Pacis come tela su cui disegnare le proprie fantasie utilizzando se stesso come pennello in carne
ed ossa e come protagonista di curiosi tableaux vivants.
Così sul far della sera, quando i marmi del monumentale complesso augusteo biancheggiano sullo sfondo,
questo artista un po’ anarchico, un po’
barbone (che assomiglia ad un omino di Folon) dissemina piccoli tesori sul selciato. Qua un finto topo dentro una gabbia disegnata sormontata dalla scritta “Rattu in inganno”, là
un mucchietto di gioielli falsi e una
borsetta accompagnata da un laconi-
Fausto delle Chiaie
nel docufilm Ho fatto una barca di soldi
58
left.it
co cartello con su scritto “scippo”.
Se invece di guardare dritti davanti a noi, camminando, ci si concede uno sguardo da flâneur, curioso verso ciò che accade più in basso, si può scoprire anche una solitaria barchetta in plastilina, carica
di spiccioli, ovvero quel piccolo e
inaspettato vascello che dà il titolo
all’intero film. Regista, sceneggiatore, montatore e molto altro Acocella dà un’impronta personalissima a questo racconto per immagini
di una giornata trascorsa con Fausto delle Chiaie e in cui le rare parole contano tanto quanto i silenzi,
pieni e vibranti. Per più di un’ora ci
regala di poter abbandonare il ritmo caotico della capitale per farci
scoprire il gusto della lentezza e per
farci fare un pieno di incontri emozionanti, raso terra. La telecamera
di Acocella di fa vedere il mondo ad
altezza marciapiede, quasi il nostro
fosse il punto di vista di un bambino, non più alto di metro e che intorno scopre un universo di incanti
e magie, di sculture e pitture naïf, di
piccole provocazioni ora gentili ora
spiazzanti che mirano a rompere il
guscio dell’indifferenza e a mettere
in connessione chi si sfiora per strada senza vedere e percepire l’altro.
Come fossero tanti piccoli laici ex
voto le installazioni di Fausto delle
Chiaie tracciano mappe metropolitane inedite, creano percorsi imprevisti in quel grande museo a cielo aperto che il centro storico di Roma. Poi il nostro artista barbone,
imbacuccato e frugale, raccoglie le
sue poche cose e sale su un treno
per raggiungere una stanza di periferia, zeppa di oggetti trovati, di cose desuete, di matite e pastelli. E a
rompere il silenzio della notte resta solo il rumore acido dell’attrito
che fa il pennarello sulla carta. Come nota giustamente Achille Bonito Oliva nel frammento di intervista che Acocella ha incastonato nel
film, l’arte di Fausto delle Chiaie è
una domanda aperta sul mondo,
una sfida a mettere insieme arte e
vita. Forse anche per questo ci cattura, interrogandoci nel profondo.
Da sinistra: Tatti Sanguineti, Rodolfo Sonego
CINEMA di Morando Morandini
Per lettori
forti
C
omincio con una notizia e una
citazione. Le ho trovate su D
di Repubblica del 2 novembre. La notizia: solo nell’anno appena trascorso il mercato dei libri in Italia ha registrato un calo del 30 percento. La citazione (Galimberti): «Così la cultura, già collassata nella scuola, collassa
anche nell’editoria e, per colpa del degrado progressivo della nostra scuola che non ha incuriosito né invogliato
i ragazzi a leggere, oggi sono considerati “lettori forti” quelli che leggono almeno 4 libri all’anno. Siccome “guardare” è più facile che “leggere”, si consegna la cultura per intero alla tv e ai
personaggi che vi compaiono». Il libro che consiglio è Il cinema secondo Sonego. A cura di Tatti Sanguineti.
È formalmente un libro nitido, elegante, divertente. Nell’introduzione Furio Scarpelli - in coppia con Age, padre
putativo della commedia all’italiana di
cui segna l’inizio, il periodo d’oro e la
fine - traccia in poche righe un ritratto di Rodolfo Sonego fulmineo ma eloquente. Ho sottolineato un mucchio di
citazioni, aneddoti, riflessioni. Alcuni
esempi. «Colui che ha concepito qualcosa di una grande idea deve anche viverla» (Nietzsche). «Attenzione! Mente è un sostantivo femminile che esprime il complesso delle facoltà intellettive dell’uomo, ma è anche voce del
verbo intransitivo mentire, terza persona del presente». Amo la formula di
Bresson: «Je suis un pessimiste gai
et un optimiste triste».
9 novembre 2013
left
cultura
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LIBRI di Filippo La Porta
Pontiggia da riscoprire
T
e Alberto Sordi
A MARGINE
Un italiano da evitare. Sono in coda
dal giornalaio, dietro a un anziano,
decorosamente vestito. Mi cade una
moneta da 50 centesimi e lui la raccoglie e la mette in tasca. Gli dico che è
mia. Mi restituisce una monetina da
20. Un buon consiglio: se vuoi sapere la vera età di una signora devi domandarla alla cognata. Secondo una
classifica dell’Onu la nazione più felice del mondo è la Danimarca. L’Italia è al 45esimo posto, e in un anno ha
perso 17 posti. In Siria stanno peggio:
46esimo posto. Bisogna essere un assiduo lettore del Domenicale del Sole 24 ore per sapere che di Giacomo
Leopardi è stata pubblicata la prima
traduzione integrale in inglese dello Zibaldone, curata da Michael Caesar e Branco D’Intino, uscita sia in Inghilterra sia negli Usa che in Canada.
«Con sbalorditiva preveggenza Leopardi diagnosticò la malattia del nostro secolo: una pericolosa intossicazione prodotta dalla conoscenza e
dal potere che ci ha fornito la scienza,
mescolata all’incapacità di accettare
il mondo umanamente insignificante che la scienza ci ha rivelato». Sonego ha scritto e collaborato a centinaia di film. Non esagero, tengo conto
anche dei film da lui ideati, abbozzati
o scritti e mai realizzati. Basta leggere le centinaia di volte in cui parla di
Alberto Sordi: «Io e Sordi siamo molto amici, ma soltanto all’interno del
lavoro. Un rapporto molto serio che
si basa sulla stima reciproca. Culturalmente facciamo parte di due mondi diversi. Lui ha una cultura, una non
cultura di tipo romano, papalino, a
suo modo anche blasfema. Solo io ho
creduto che potesse essere un attore
in qualche modo completo».
left 9 novembre 2013
rovo scandaloso che a 10 anni esatti dalla sua morte il
nome di Giuseppe Pontiggia, almeno per le nuove generazioni, sia così poco familiare (mi auguro che la mia impressione sia in parte infondata). Eppure non solo ha scritto il più bel romanzo sulla disabilità della nostra letteratura, e
cioè Nati due volte (in cui il padre viene trasformato ed “educato” dal figlio con handicap) ma è stato una delle figure intellettuali più limpide del nostro panorama recente, come è stato ricordato in un convegno milanese dedicato alla sua multiforme opera. Mi
vengono in mente i suoi smaglianti libri saggistico-diaristici - Il giardino delle
Esperidi (1984), Le sabbie immobili(1992), L’isola volante(1996) ecc - in cui
la qualità dello stile (un’attenzione amorevole e ossessiva alle parole, una prosa acuminata e fragrante) e un’attitudine disinteressata a dire la verità su di sé,
mostrano la prossimità a Montaigne. Nell’Isola volante parlando degli accessi
di collera di Carducci, Pontiggia nota come spesso «scambiano per sincerità
l’immediatezza. Ma in arte la sincerità esige invenzione e si misura secondo la
verità dello stile». La sincerità infatti ci obbliga ad andare oltre l’impulso spontaneo e il luogo comune. Pontiggia è stato un grande autore di aforismi. Ne ricordo solo uno, tratto da Prima persona: «Si comincia a invecchiare quanto
tutto diventa deja vu, anche quello che non si è mai visto». C’è poi un aspetto
di Pontiggia “moralista” che mi sta particolarmente a cuore, la sua profonda
vocazione democratica. In lui cioè una visione radicale (fatta di critica impietosa del conformismo del nostro tempo) si innesta sull’esigenza di dialogo alla pari con una comunità di lettori sentita come fraterna. Evita sia il tono profetico-apocalittico di Pasolini e sia il tono a volte predicatorio di Fortini. Riporto qui una sua notazione che incarna in modo perfetto tale vocazione “democratica”: «Odio i turisti. Se ne vedo uno in un paesaggio arcaico, mi giro per
perderlo di vista». E fin qui siamo a un giudizio sprezzante o snobistico, poniamo alla Ceronetti. Ma poi prosegue sorprendentemente: «Una volta ho scoperto uno che faceva lo stesso con me». Così il giudizio iniziale si ribalta nel
contrario, per la semplice ragione che siamo tutti anche, fatalmente, turisti!
SCAFFALE
LA COMMEDIA
BORGHESE
di Irene
Némirovsky,Elliot,
176 pagine,
16 euro
«Brusio confuso e dolce che s’ingrossa e si avvicina
rapidamente come l’onda del mare». Con questo potente
incipit prende il la“film parlato” uno delle 4 short stories
raccolte in questo prezioso libro che ci restituisce i lavori
per il cinema della scrittrice morta a Auschwitz. Questi film
parlées sono vere perle fra racconto e sceneggiatura.
UNA POLITICA
SENZA RELIGIONE
di Giovanni De
Luna, Einaudi,
137 pagine,
10 euro
Il trasformismo dell’Italia liberale, la dittatura del fascismo e poi un capitalismo aggressivo che ha fatto del
mercato un dio, nota acutamente De Luna, hanno fatto
sì che la politica italiana non sia riuscita a coagulare la
passione civile e a egemonizzare la società con ideali
forti. Lasciando sciaguratamente il campo alla Chiesa.
PERSONAGGI
PRECARI
di Vanni Santoni,
Voland,
157 pagine,
13 euro
Atipici, flessibili, interinali.Sono i protagonisti delle prose
liriche del poeta e scrittore Vanni Santoni. Ritratto di
una malandata Italia di oggi in cui si è costretti ad un
continuo adattamento al ribasso. Voland ne pubblica una
folgorante summa, recuperando testi editi dalla rivista
Nazione Indiana, con l’aggiunta di gustosi inediti.
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bazar
cultura
left.it
BUONVIVERE di Giulia Ricci
Dietro lo schermo del Tg
Diritti
al verde
S
T
TELEDICO di Elena Pandolfi
ono tanti i luoghi dove in questi Andrea Vianello, direttore
di Rai 3, ha scelto di mandare in onda, seppur con incerta collocazione, (per ora è il giovedì in seconda serata) la serie americana The
Newsroom, prodotta dalla Hbo e
scritta da Aaron Sorkin, lo sceneggiatore premio Oscar di The social
network, film che racconta la nascita di facebook. La serie è incentrata sul frenetico lavoro di una redazione di un telegiornale americano,
guidata da un famoso anchorman,
Will Mchavoy, interpretato da Jeff
Daniels.
Il giornalista, dopo un periodo di fermo televisivo dovuto a una sua inaspettata sparata, in diretta, sulle magagne nazionali, ritorna a guidare un
tg della sera con una nuova redazione e un’intraprendente produttrice,
Mackenzie McHale, sua ex fidanzata.
L’anchorman, che si definisce un repubblicano moderato, in realtà non
le manda a dire, e si crea certo molti nemici a causa delle sue inchieste
approfondite, domande scomode e
ricerca spasmodica della verità. Il
suo metodo innervosisce parecchio
i capi della Acn, il canale, dove va in
onda il telegiornale, come l’amministratrice delegata Leona Lansing interpretata da una sempiterna e immutata Jane Fonda.
Insomma tutto si svolge tra riunioni
in redazione, discussioni politiche,
monitor e ricerche accurate.
Niente sesso, intrighi familiari o misteri del passato come in tante serie
tv, ma solo adrenalina intellettuale,
chiamiamola così.
Se poi siete interessati alla politica americana, meglio ancora, perché ogni episodio tratta di notizie
reali, dalla morte di Bin Laden, allo scoppio della petroliera della Bp
nel golfo del Messico, alle polemiche sul Tea party, il movimento populista vicino alla destra. Will Machavoy, insieme ai suoi collaboratori, ci mostra come in realtà si dovrebbe produrre una notizia; un’indagine accurata sulle fonti, la ricerca sul campo di verità scottanti,
smascheramento di interessi economici e politici, senza paura o sottomissioni al potere. Una bella favola da far vedere anche a qualche
giornalista italiano.
aranto e la Campania avvelenata dai rifiuti sono a rischio
“biocidio”. Ma l’emergenza deve
servire per una nuova consapevolezza dei diritti. Per questo motivo
è importante conoscere i conflitti in
atto, ma anche essere informati su
come la giustizia ambientale possa venirne a capo. L’occasione è data da una settimana di lavori (www.
cdca.it) a Roma dove dal 9 al 15
novembre arriva una delegazione
Ejolt (Environmental justice organisations, liabilities ad trade). Partecipano esperti e accademici internazionali e sono in programma visite nei territori del Lazio e della Campania. Tra gli ospiti Vandana Shiva
(nella foto), Lucie Greyl, Joan Martinez Alierdo, Gustavo Gomez.
[email protected]
ROMA
I tesori d’arte sauditi
Un’immagine di The Newsroom
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Centocinquanta reperti, manufatti e oggetti preziosi, mai esposti al di fuori del territorio arabo, provenienti dal Museo Nazionale di Riyad sono in mostra nel Complesso del Vittoriano fino al 30 novembre.
Il percorso cronologico va dalla Preistoria
fino alla proclamazione del Regno di Arabia Saudita (1932), passando attraverso l’Arabia pre islamica e il primo periodo islamico. Nella prima parte della mostra
anche reperti risalenti al Paleolitico.
FIRENZE
L’India al cinema
Sarà l’attrice e attivista indiana Shabana Azmi
la madrina del 13esimo River to River Florence
Indian Film Festival, unico festival italiano interamente dedicato alla cinematografia indiana,
quest’anno dal 22 al 28 novembre. In programma 40 film, 30 ospiti internazionali, una retrospettiva e una mostra di arte contemporanea.
9 novembre 2013
left
cultura
left.it
JUNIOR di Martina Fotia
Magie del teatro di figura
Un’immagine di The Adventures of White-Man
N
on esiste luogo più
consono al mondo
di Palermo per ospitare la
38esima edizione del Festival di Morgana, l’appuntamento annuale con le differenti pratiche del teatro
di figura che prende il via al
Museo internazionale del-
le marionette Antonio Pasqualino, con la direzione di
Rosario Perricone. La città
che ha dato i natali alla più
antica famiglia di pupari siciliani, dal 1977 trasformatasi in quella che oggi è conosciuta come Associazione figli d’arte Cuticchio, fa
da scenario per il teatro di
figura internazionale, proveniente da America, Russia, Francia, Italia e Spagna. Si parte sabato 9 con
The Adventures of WhiteMan dell’artista americano
Paul Zaloom, inventore di
un singolare “teatro di og-
GENOVA
PARMA
MILANO
L’Odissea oggi
Fattori inedito
Dal 13 novembre al Teatro Politeama un progetto teatrale diviso in
6 spettacoli dedicati a l’Odissea
reinterpretata in chiave contemporanea. Con interpreti d’eccezione: Moni Ovadia, Ascanio Celestini (in foto), Paolo Rossi, Gioele Dix,
Amanda Sandrelli e molti altri.
Alla GAMManzoni, fino al 21 dicembre, un’antologica di Giovanni Fattori ripercorre le tappe fondamentali della carriera del pittore livornese attraverso la selezione
di 40 opere - alcune mai esposte
in pubblico - provenienti da prestigiose collezioni private italiane.
left 9 novembre 2013
Jazz senza frontiere
Dopo l’apertura con il grande Tim
Barne entra nel vivo Parma jazz
frontiere festival, il 16 novembre al
Teatro Due con il Jim Black Trio (in
foto) e il 23 novembre con gli Slanting Dots. A seguire, il 24 novembre, Sounds & Songs.
getti” surreale e divertente,
formato da pupazzi e macchinine, piccoli peluches
e giocattoli, pronti ad animarsi per raccontare storie
ironiche e irriverenti. Il 12
novembre è la volta di The
bag lady della spagnola Sarah Anglada, esperta narratrice di storie, che porta in
scena oggetti d’uso comune come i sacchetti di plastica, che nelle sue mani sono pronte a trasformarsi,
per una perfetta combinazione di musiche, oggetti e
silenzi di uno spettacolo di
grande impatto visivo. Il 17
si svolgeranno due gli spettacoli: alle 18:30 la compagnia Carlo Magno di Enzo
Mancuso porta in scena lo
spettacolo di Opera dei pupi Duello di Orlando e Rinaldo per amore della bella Angelica, mentre alle
21.15 Stefania Bruno realizzerà Pinocchio, utilizzando
la tecnica della Sand art: la
sabbia disegnata e manipolata su una lavagna luminosa. Il 19 e il 20 alle 21:15 ecco Le avventure di Fagiolino, una delle figure principali del teatro tradizionale
dei burattini emiliani, portato in scena dal Centro Teatrale Corniani. La conclusione del Festival è affidata alla compagnia francese
Les Rémouleurs, che il 23 e
il 24 propone Freaks, monstres, miroirs, merveilles,
in scena nella Galleria bar
L’Isola: uno spettacolo con
marionette e burattini, dove il bancone del bar diventa un inedito palcoscenico
per la narrazione di storie
fantastiche.
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ti riconosco
di Francesca Merloni
Il luogo della poesia
G
razie. La prima parola oggi è grazie. Ai lettori di left che hanno la pazienza di arrivare in fondo alla pagina e farsi toccare e poi prendere
la penna o il pc e scrivere, scrivere di rimando. Tante le lettere che mi arrivano in questo periodo e penso che sì, esiste un mondo ancora intatto, ancora vero, che oltrepassa gli accadimenti ed esiste e resiste. Sì, io vi riconosco.
Vi riconosco tutti. Anche chi non scrive, io lo vedo. E scrivo per lui e per tutti noi. In questa tessitura di parole che sta diventando comunità, in questo
esistere attorno ai significati e pervicacemente mantenerli. In piedi, importanti, necessari. Io vi riconosco per questo nostro stare di lato, per lo sguardo a sinistra. Per il cuore a sinistra. Il nostro sguardo è un cuore che batte. Il
nostro sguardo è l’enigma non ancora decifrato, il cuore
nel cuore del mondo. Per la nostra interiorità infiammata vi riconosco, dove dall’attesa è bandito ogni rimescolamento, ogni deviazione del pensiero e l’asciuttezza delle immagini, il rigore delle parole vince ogni tentazione
al bizantinismo dei tempi, all’inutile distorsione dei significati. Per la voce, mai urlata e mai sommessa, forte di
necessità. Sì, per questa identità vi riconosco. Ed è questo, per me, il luogo della poesia. La nostra terra identitaria e condivisa. I nostri percorsi alla mèta. Il viaggio verso il centro. Spesso,
parlando di luogo, si pensa ad un territorio, ad un ambito concreto. Invece
la poesia è negli spazi. In un vuoto dove può accadere. Come una mano che
prende ogni cosa. Come una forma, dove l’intenzione definisce l’inatteso. Il
non-ancora-conosciuto di quella vaga cava identica, dell’altro lato necessario. Occorre sia vera, però. Cioè risonante. Questa è la condizione essenziale. Occorre prenda la vibrazione inudibile e perfetta. Senza alcun giudizio di
merito, solo esattezza e nessuna distanza tra intenzione ed espressione. Anche se costa. Anche se discosta da molte cose e talvolta incide, fa sanguinare. Occorre somigli a se stessa, sconosciuta, ancora non trovata. Occorre somigli a tutti i nostri sguardi ancora non decifrati.
Tante le lettere che mi
arrivano e penso che sì,
esiste un mondo ancora
vero che resiste
[email protected]
Un giorno lo riavremo il mare: non so
se sarà questo su cui si inclinano i giardini
o se sarà l’Oceano, i suoi cavalli bradi.
Il mare, lui che non posa, è irremovibile
e uguale. Oh, lo riavremo. Passeremo
le età, poi lo riavremo, saremo noi lui,
eguali, indivisibili. Più in là, dove non sono più
porti né più castelli di prua, torneremo mare.
Finirà allora la solitudine e il dolore. Sarà
il nostro cuore marino l’alveare
dove la notte porterà a dormire
insieme le stelle.
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Giuseppe Conte “Elegia marina”
da L’Oceano e il ragazzo,
liberamente adattata
9 novembre 2013
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