Pedinati e licenziati. Ogni mezzo è lecito per far fuori chi chiede
Transcript
Pedinati e licenziati. Ogni mezzo è lecito per far fuori chi chiede
RIFIUTI Così parlò Schiavone INTERPOL Al servizio dei potenti SPERIMENTAZIONE Una legge bestiale SETTIMANALE LEFT AVVENIMENTI POSTE ITALIANE SPA - SPED. ABB. POST. D.L. 353/2003 (CONV. IN L. 27/02/2004 N. 46) ART. 1, COMMA 1 DCB ROMA ANN0 XXV - ISSN 1594-123X AV V E N I M E N T I N. 44 | 9 NOVEMBRE 2013 LEFT+L’UNITÀ 2 € (0,80+1,20) Da vendersi obbligatoriamente insieme al numero del 9 novembre de l’Unità. Nei giorni successivi euro 0,80 + il prezzo del quotidiano 2 7 $ 1 (/,0, hi chiede c i r o fu r fa r e p ezzo è lecito ando per le Ferrovie. m i n g O . ti ia z n Pedinati e lice voro. Dall’Ilva all’Iveco, pass zia ti sicurezza sul la Tre storie di ordinaria ingius di Tiziana B aril là left.it AV V E N I M E N T I DIRETTORE RESPONSABILE Maurizio Torrealta [email protected] DIRETTORE EDITORIALE Donatella Coccoli [email protected] CAPOREDATTORE Cecilia Tosi [email protected] CAPOREDATTORE CULTURA E SCIENZA Simona Maggiorelli [email protected] REDAZIONE Via Luigi Turchi 17, 00153 - Roma Sofia Basso (inviato) sofi[email protected], Manuele Bonaccorsi (inviato, responsabile sviluppo web) [email protected] Paola Mirenda [email protected], Rocco Vazzana [email protected] Tiziana Barillà (segreteria di redazione) [email protected] PROGETTO GRAFICO Newton21 Roma Lorenzo Tamaro [email protected] GRAFICA Andrea Canfora leftgrafi[email protected] PHOTOEDITOR Arianna Catania leftfotografi[email protected] INFORMATION DESIGNER Martina Fiore leftgrafi[email protected] EDITRICE DELL’ALTRITALIA soc. coop. Presidente CdA: Ilaria Bonaccorsi Gardini Consiglieri: Manuele Bonaccorsi, Donatella Coccoli Via Luigi Turchi 17, 00153 - Roma Tel. 06 57289406 - Fax 06 44267008 www.left.it [email protected] PUBBLICITÀ Net1, Via Colico 21, 20158 - Milano [email protected] STAMPA PuntoWeb srl Via Var. di Cancelliera snc 00040 - Ariccia (RM) DISTRIBUZIONE SO.DI.P. “Angelo Patuzzi” S.p.A. Via Bettola 18, 20092 - Cinisello Balsamo (MI) Registrazione al Tribunale di Roma n. 357/88 del 13/6/88 LA TESTATA FRUISCE DEI CONTRIBUTI DI CUI LA LEGGE AGOSTO 1990, N. 250 left 9 novembre 2013 LA NOTA DI Maurizio Torrealta Quando il miglior ristorante non merita i nostri quadri D edichiamo la nostra copertina a tre operai licenziati che rivogliono il loro lavoro. Questa è la storia più interessante per noi questa settimana. Ma c’è anche un’altra piccola storia che vorrei accennare. Nel 1958 l’architetto americano Philip Johnson commissionò al pittore lituano americano Mark Rothko una serie di dipinti per il ristorante “Quattro stagioni” nel grattacielo Seagram a New York. Rothko lavorò per più di un anno al progetto, ma quando, dopo aver consegnato i quadri, vide la clientela che frequentava il ristorante, decise di riprenderseli. Anche noi dedichiamo molto tempo a interessarci alle chiacchere della bouvette di Montecitorio ma ci sentiamo sempre più nauseati dalla volgarità della politica. Il paragone con Rothko non lo meritiamo ma il suo gesto è istruttivo. Rothko ritirò i suoi ambasciatori. Esercitò il suo diritto alla rottura di un contratto basato sulla reciprocità, aveva esposto i quadri pensando che i frequentatori del ristorante li apprezzassero, ma essendo solo interessati a mangiare tolse il colore da quel posto. La stessa parola reciprocità implica questo doppio movimento di dare e ricevere, viene dal latino: recus indietro e procus avanti. Se lo scambio tra il dare e l’avere non è reciproco si rescinde il contratto. In una società indebitata come quella italiana, basata sull’imposta e non sul lavoro, né tanto meno sul profitto e ancora meno sull’osservanza delle scadenze dei pagamenti (nemmeno da parte della Pubblica amministrazione), la tentazione di riprendersi i propri quadri dalle pareti è molto forte. Chi sono i commensali? Quelli che guardano solo nel piatto in cui mangiano e non si accor- gono di ciò che li circonda. Sono tante le occasioni di rescissione da un implicito contratto. L’irruzione di centinaia di persone mai viste prima in una sezione di un partito per votare un loro candidato provoca un ovvio disinvestimento della fiducia nel circolo da parte dei frequentatori abituali. Una fabbrica che paga un’agenzia di investigazioni per togliere a un cittadino il suo diritto al salario e licenziarlo per un’apparente giusta causa - come leggerete più avanti in queste pagine - anche questo è un grave caso di rottura di un contratto sociale. Se tu non ti fidi di me, anche io non mi fido di te. Tu paghi la tua società d’investigazioni noi ci paghiamo la nostra e vedremo chi è più onesto. Attenzione! Questa progressiva rottura della reciprocità del contratto sociale segnala il rapido precipitare di regole sociali condivise. Se un ministro dà anche solo l’impressione di preoccuparsi dei carcerati amici di famiglia e non di tutti gli altri, basta anche solo questa impressione a farci ritirare la fiducia. Secondo le statistiche solo sei persone su cento pensano che esista un contratto di reciproca affidabilità con chi viene eletto in Parlamento. È un numero estremamente basso ed è necessario lanciare l’allarme. Smettetela di guardare solo nel vostro piatto perché la maionese sta impazzendo e il latte sta cagliando. Le possibilità che una società indebitata e tormentata dalle imposte riesca a rilanciare la fiducia sociale è ridicolmente bassa. ATTENZIONE, quando si rompe il legame reciproco della fiducia non lo si ristabilisce per un lungo periodo. Tradire la fiducia dei propri elettori vuol dire regalarli a improvvisati affabulatori. Valutate seriamente questi allarmi. 3 [email protected] «Così noi giovani abbiamo fermato i “cammelli”» Sono un lettore di left, 22 anni, militante del Pd di Bitetto (Bari), dove la scorsa settimana si sono svolti i congressi sezionali e provinciali. Nel penultimo numero di left avete denunciato le irregolarità nei congressi in Sicilia, Calabria e Puglia. Tutta colpa di uno strano regolamento nazionale che permette il tesseramento “live” anche il giorno del congresso, una sorta di primarie aperte, con un contributo minimo di 15 euro. Vi segnalo la nostra vicenda. A Bitetto, per mantenere aperta la sezione e per dare praticabilità politica specialmente ai giovani, oltre al versamento della quota mensile, ad aprile avevamo deliberato in assemblea il prezzo della tessera a 40 euro. Abbiamo deciso di mantenere quel prezzo anche il giorno del congresso, pur consapevoli di andare contro il regolamento nazionale, per scoraggia- la settimanaccia 4 left.it re l’iscrizione di massa di persone pronte a condizionare il voto. Il giorno del congresso si presenta la “truppa cammellata”. Quindici persone pronte a effettuare l’iscrizione. Tra cui anche qualche persona di destra. Tutti capeggiati da un ex iscritto ed ex amministratore (che si sottraeva all’obbligo statutario di contribuire al bilancio del circolo), collegato probabilmente a qualche parlamentare democratico barese. Bisogna dire che tra le persone che si sono presentate, ci sono alcune apertamente in contrasto con lo statuto nazionale del Pd, tra cui anche lo stesso ex amministratore, in quanto alle scorse amministrative locali, aveva concorso con una lista avversaria a quella del Pd. Risultato? Abbiamo ribadito il tesseramento a 40 euro e la pregiudiziale nei confronti di due richieste di iscrizione. Abbiamo respinto il pacchetto di tessere. Per protesta abbiamo deciso di non celebrare più il congresso. Non so fino a quanto po- trà andare avanti questa vicenda, ma abbiamo voluto dare un forte segnale al Pd nazionale. Se esiste ancora è anche per merito nostro. Raffaele Cantore «Un regolamento indegno» Sono orgoglioso da segretario regionale dei Giovani democratici Puglia di aver bloccato il tesseramento dei Gd impedendo di fatto che l’inquinamento del tesseramento Pd arrivasse anche nella nostra organizzazione. Sono orgoglioso di aver votato contro (da solo) in direzione regionale Pd un regolamento congressuale che confermava un regolamento nazionale stupido e indegno per un Partito che si definisce tale. Sono orgoglioso dei Gd di Bitetto che hanno deciso di impedire che si tesserassero persone che col Pd non hanno nulla a che fare. Non so se il loro gesto sia stato regolare. Probabilmente a norma di regolamento no. Ma è stato un gesto politico importante. Un gesto che ridà speran- za a chi ancora riesce a indignarsi. A chi ancora non si arrende. Pierpaolo Treglia, segretario Gd Puglia Ringraziamo Raffaele Cantore e Pierpaolo Treglia, giovani militanti e dirigenti democratici, che con le loro segnalazioni dimostrano come nel Pd resista ancora una parte non marcia. La copertina di left titolata “Tessere o non essere” - che molto ha fatto infuriare alti funzionari e ras locali del Pd- crediamo sia venuta in aiuto alla loro preziosa resistenza. Non sappiamo se questa battaglia sarà vittoriosa. Lo speriamo. Ci si permetta solo una postilla, amara. Nello scontro tra il partito leaderistico (Renzi) e quello degli iscritti (Cuperlo), rischia di non vincere nessuno. Perché se la prima proposta distrugge il partito come “intellettuale collettivo”, la seconda si dimostra impraticabile, dinanzi a una politica divenuta strutturalmente “notabiliare”. Il congresso del Pd dimostra come la crisi della politica sia in realtà una crisi della democrazia. Manuele Bonaccorsi 9 novembre 2013 left left.it sommario IANNO XXV, NUOVA SERIE N. 44 / 9 NOVEMBRE 2013 COPERTINA SCUOLA MEDIA INCHIESTA ELIMINATI UNA RIFORMA A RISCHIO IL SESSO INCOMODO Tre storie di ordinaria ingiustizia sul posto di lavoro. Giuseppe, operaio torinese: pedinato per due mesi dall’azienda e poi licenziato. Marco, dipendente dell’Ilva: licenziato perché chiedeva più sicurezza. Riccardo, ferroviere: licenziato per aver raccontato la verità sulla strage di Viareggio. Diritto allo studio per tutti, ricchi e poveri. La legge che entrò in vigore il 1° ottobre 1963 segnò uno spartiacque nell’istruzione italiana. Ma cinquant’anni dopo, le diseguaglianze aumentano, così come gli abbandoni scolastici. Grazie anche ai tagli dell’era Gelmini-Tremonti. La Germania riconosce per legge l’intersessualità, consentendo di non indicare il sesso nel certificato di nascita quando non sia possibile stabilire il genere con esattezza. Ma tra codice civile e società il divario resta, a Berlino come altrove. 16 30 LA SETTIMANA 03 04 04 06 LA NOTA LETTERE LA SETTIMANACCIA FOTONOTIZIA COPERTINA 16 Licenziamento all’italiana di Tiziana Barillà 19 Come far fuori l’operaio scomodo di Manuele Bonaccorsi 20 Morti sul lavoro, conti sbagliati di Fabrizia Caputo 22 Strage in cerca di colpevoli di Claudia Romito SOCIETÀ 24 Così parlò Schiavone di Anna Fava 28 La musica non è finita di R. Vazzana foto di Alessandro Mallamaci 30 Si è abbassata la media di Donatella Coccoli INCHIESTA 34 Un genere tra gli altri di Chiara De Carolis 36 Il sesso incomodo di Paola Mirenda left 9 novembre 2013 IDEE 12 ALTRAPOLITICA di Andrea Ranieri 13 L’OSSERVATORIO 13 14 14 15 52 62 di Francesco Sylos Labini SAPERI DIFFUSI di Guido Viale IN PUNTA DI PENNA di A. Cisterna IN FONDO A SINISTRA di Fabio Magnasciutti KEYNES BLOG di Daniela Palma e Guido Iodice TRASFORMAZIONE di Massimo Fagioli TI RICONOSCO di Francesca Merloni MONDO 38 Interpol, pronti agli ordini di C. Tosi 42 Fuga da un matrimonio di E. Murgese 34 RUBRICHE 08 COSE DELL’ALTRO MONDO a cura della redazione Esteri 10 COSE DELL’ALTRITALIA a cura della redazione Interni 11 PICCOLE RIVOLUZIONI a cura di Paolo Cacciari 33 LA SCUOLA CHE NON C’È di Giuseppe Benedetti 58 PUNTOCRITICO CINEMA di Morando Morandini ARTE di Simona Maggiorelli LIBRI di Filippo La Porta 60 BAZAR TELEDICO, BUONVIVERE, JUNIOR 60 APPUNTAMENTI a cura della redazione Cultura CULTURA E SCIENZA 46 Una legge disumana di Federico Tulli 50 La poesia civile di Sereni di Simona Maggiorelli 54 Ultimo scatto a Parigi di Arianna Catania Chiuso in tipografia il 6 novembre 2013 Foto di copertina: 123rf 5 fotonotizia De Blasio, Robin Hood a New York Bill il rosso, ex avvocato di strada e paladino dei poveri che vuole tassare i ricchi, ce l’ha fatta. Il democratico di origini italiane Bill de Blasio è diventato sindaco di New York sbaragliando il repubblicano Joe Lhota. Nella foto Bill, 52 anni, festeggia la vittoria ballando la “smack down” insieme con la moglie Chirlane e figli Dante e Chiara. De Blasio vuole aumentare le imposte per finanziare le scuole pubbliche e gli ospedali. Nel suo programma anche le case popolari e gli incentivi alla mobilità pulita. (Willens/Ap/Lapresse) cose dell’altromondo © SALIOU/AP/LAPRESSE left.it LA RIVOLTA BRETONE Quimper, 2 novembre 2013. Berretti rossi come nel 1675, quando fu rivolta contro il potere centrale. A più di tre secoli di distanza la popolazione della Bretagna francese, da sempre percorsa da voglia di indipendenza, ritorna in piazza con gli stessi simboli. L’avversario stavolta è l’Europa e la eco-tax imposta al trasporto su gomma, che secondo i manifestanti incrementerà la disoccupazione locale. Di fronte alle proteste Hollande ha scelto di procrastinare l’entrata in vigore della norma, mentre la polizia ha usato lacrimogeni e cannoni ad acqua per disperdere i cortei. © NASSER/AP/LAPRESSE ISRAELE La vittoria dei generali Il bilancio della Difesa israeliana per il 2014 supera il totale delle spese che lo Stato sosterrà per il welfare. Più droni e meno ospedali. Al termine di lunghe discussioni e minacce di far cadere in crisi il governo, i generali israeliani possono dirsi soddisfatti: nel progetto di finanziaria approvato lo scorso 3 novembre sono stati stanziati 18,6 miliardi di shekel (circa 5,2 miliardi di euro) per le forze armate. Dei tre miliardi di tagli stabiliti dal governo quattro mesi fa 2,75 sono stati ripristinati dopo un braccio di ferro tra il ministro del Tesoro e quello della Difesa. A farne le spese saranno i contributi all’istruzione superiore, quelli alla sanità e quelli alle infrastrutture. Non riduciamo il dibattito a una battaglia tra pro e anti europeisti. Offriamo la scelta tra un’Europa di centrodestra e un’Europa di centr centrosinistra Martin Schulz, presidente del Parlamento europeo e candidato socialista alla guida della Commissione Ue CRISI DELLA SETTIMANA Quattro ostaggi liberati e due giornalisti assassinati. Nella settimana in cui la Francia festeggiava laa liberazione dei lavoratori di Areva sequestrati nel 2010, Ghislaine Dupont e Claude Verlon, reporter di Rfi, venivano rapiti e uccisi nel nord del Mali. A Kidal, capitale dell’Azawad, circola voce che i due giornalisti siano stati vittime di una faida interna a Aqmi relativa alla divisione del riscatto pagato per i 4 dipendenti di Areva. La loro morte sarebbe una sorta di avvertimento per il gruppo rivale e al contempo un monito alla Francia: niente divide et impera da queste parti, oppure preparatevi al peggio. 8 9 novembre 2013 left left.it KOSOVO Elezioni senza risultati 44% L’Osce ha dichiarato che è impossibile determinare l’esito del voto a Mitrovica, nel Nord del Kosovo. La città è il capoluogo dell’enclave serba, che chiede l’autonomia dagli albanesi di Pristina. Ma sono bastate delle semplici elezioni municipali per scatenare il finimondo. I tre seggi elettorali della città sono finiti sotto attacco e gli osservatori inter- nazionali sono scappati dagli uomini mascherati che lanciavano gas lacrimogeni e distruggevano le urne. Nikola Gaon, portavoce della missione © KRYEZIU/AP/LAPRESSE Osce in Kosovo, ha dichiarato che le schede sono andate perdute e che probabilmente non saranno mai ritrovate. «Da quello che ho visto su youtube, potrebbero anche averle buttate nella spazzatura». Quasi metà dei tedeschi pensa che lo spionaggio della Nsa sia «un problema sopravvalutato» e solo il 24 per cento si dice «molto preoccupato». Però la vicenda ha corroso la fiducia verso la tecnologia: oggi appena il 16 per cento dei tedeschi si fida a inviare delle informazioni online LA CURIOSITÀ Sostenere le nascite a Teheran Scende il tasso di fertilità in Iran e la popolazione diminuisce. Teheran voleva invertire la tendenza finanziando i matrimoni, ma non ha trovato i fondi. Poi un governatore ha minacciato di licenziare gli scapoli, ma non è servito. Ora si pensa di aumentare a 9 mesi il congedo maternità, ma gli iraniani sono scettici. Poco male, dicono gli analisti Usa, un Paese con meno giovani - specialmente disoccupati - è un Paese con meno fondamentalismo. I più potenti del mondo Il magazine economico Forbes ha stilato la lista delle 72 persone più potenti al mondo, una ogni cento milioni di cittadini. Quattro le caratteristiche considerate per determinare il loro potere: il numero delle persone che sono in grado di influenzare, la loro capacità finanziaria, l’ambito nel quale operano, la loro volontà di cambiare il mondo. I primi 5 sono capi di Stato. Il primo (e unico) italiano è Mario Draghi, al nono posto in qualità di presidente della Bce. 1 Vladimir Putin (1952). Presidente della Federazione Russa dal 2000 (con una pausa da primo ministro tra il 2008 e il 2012). Laureato in Diritto internazionale, entra nel Kgb nel 1975. 2 Barack Obama (1961). Presidente degli Usa dal 2009, dopo tre anni da senatore dell’Illinois. Laureato in Legge ad Harvard, prima di entrare in politica ha lavorato come avvocato per i diritti civili. 3 Xi Jinping. Presidente della Repubblica Popolare Cinese. Figlio di un veterano comunista, laureato in Legge, nel 1969 ha collaborato all’iniziativa di Mao per il ritorno alle campagne. left 9 novembre 2013 4 Papa Francesco (1936). Pontefice dal 2013. Primo gesuita a capo del Vaticano. Perito chimico, entra in seminario nel 1958, si laurea prima in Filosofia e poi in Teologia. Vescovo di Buenos Aires nel ’92. 5 Angela Merkel (1954). Cancelliera tedesca dal 2005. Cresciuta in Germania dell’Est, il padre era pastore protestante. Dottore di ricerca in Chimica fisica prima di entrare in politica nella Cdu. 6 Bill Gates. Fondatore di Microsoft. Uomo più ricco del mondo dal 1996 al 2009 e di nuovo nel 2013. Di buona famiglia, un’adolescenza da hacker, ora si occupa soprattutto di beneficenza. 9 cose dell’altritalia left.it INTELLETTUALI SI SCHIERANO Eva Cantarella, studiosa della vita quotidiana e della sessualità nell’antichità greca e romana, non ha dubbi. Alle primarie democratiche voterà Giuseppe Civati: «Voto Pd. Ma devo dire che quello che mi incoraggia a continuare, nonostante i tanti errori che sono stati fatti e che tutti conoscono, è che ci siano persone come Pippo Civati». Non prende in considerazione nessun altro nome la storica del diritto antico che nel 2003 ha vinto il premio Bagutta con Itaca. Eroi, donne, potere tra vendetta e diritto, autrice, tra gli altri, de L’amore è un dio. «Civati è l’unico che mi convince», prosegue Eva Cantarella. «Io sono di sinistra e lui mi sembra il solo nel quale io possa identificarmi come persona che esprime e soprattutto difende con integrità certi valori. Non assecondando mai calcolini di bottega o convenienze politiche». BOLOGNA Una classe per stranieri MATTEO OSREV AIBMAC «Classe liquida, sperimentale». Il professor Emilio Porcaro, dirigente scolastico dell’Istituto Comprensivo 10, sceglie con cura le parole per raccontare la nuova classe formata da 22 studenti di origine straniera. Non vuole si parli di classe ghetto. Il progetto ha preso forma ad agosto, quando le famiglie di una quindicina di ragazzi, giunti in Italia attraverso ricongiungimenti familiari e con poca o nessuna padronanza della lingua italiana, si sono presentate in segreteria chiedendo l’iscrizione alle medie. Così, visto che le classi erano già formate, il dirigente ha pensato a una soluzione “ponte”: una classe di ragazzi stranieri che lavorano soprattutto sull’apprendimento dell’italiano, in attesa di essere smistati in altre classi. La decisione è stata contestata da quattro genitori e dal presidente dell’istituto. Matteo Renzi lancia la campagna #cambiaverso e sul web si scatena implacabile la parodia. Senza dimenticare la sua visita a casa di Berlusconi, il suo sì a Marchionne e la concessione di Ponte Vecchio a Montezemolo. 12mila Sono le edicole chiuse negli ultimi sette anni per la crisi economica e il crollo di vendita dei giornali. L’ipotesi di un aumento dell’Iva sugli allegati (dal 4 al 22 per cento) darebbe un ulteriore colpo al settore: «Spariremo prima della carta stampata» 10 9 novembre 2013 left left.it PiccoleRivoluzioni ASPETTANDO MARINA «Lascerei perdere i figli perché uccidono» I 94 abitanti che si autogovernano (Umberto Bossi, 27 ottobre 2013) «Panico a Forza Italia: la figlia di Berlusconi non ha precedenti penali. Come può far presa sull’elettorato di suo padre?» CAGLIARI Un’isola di cemento Le coste della Sardegna rischiano una nuova colata di cemento. Sono in molti a credere che il nuovo Piano paesaggistico della Ragione (Ppr) sia il lascia passare per una speculazione edilizia pronta a stravolgere il paesaggio costiero dell’isola. Approvato lo scorso 25 ottobre dalla giunta regionale, il piano racchiude al suo interno dei passaggi che lasciano spazio alla libera interpretazione. Se da un lato, infatti, il regolamento afferma di tutelare le tipologie e i molteplici caratteri del paesaggio, dall’altro, le norme transitorie mettono in discussione il principio. L’art. 69, ad esempio, afferma che «potranno essere realizzati gli interventi di ampliamento delle strutture ricettive all’interno della fascia dei 300 metri dalla battigia sino al 25 per cento dei volumi esistenti». Non esattamente un’efficace tutela del paesaggio. left 9 novembre 2013 ©D’ALBERTO/LAPRESSE (Michele Serra,4 novembre 2013) Dopo la condanna del papà, in tanti la vorrebbero erede al trono di Forza Italia. Ma lei, Marina Berlusconi, continua aa smentire ogni indiscrezione.. Prima di un passo così importante, del resto, è bene e pensarci a lungo. Soprattutto to se, secondo Forbes, sei già l’unica italiana a meritare di entrare nella classifica delle donne più potenti al mondo. Ma con papà ai servizi izi ato, sociali e un Alfano così ingrato, re forse Marina potrebbe cadere in tentazione. A meno che ge qualcuno non faccia una legge sul conflitto di interessi. Ma a questo è impossibile! di Paolo Cacciari Altino, 94 abitanti, frazione del Comune di Quarto d’Altino, ottomila abitanti in tutto. Situato alla confluenza nella Laguna di Venezia di due incantevoli fiumi di risorgiva, lo Zero e il Sile. Sito archeologico romano vasto poco meno di Pompei. Per fortuna non scavato. Sotto costante minaccia di megaprogetti quali la seconda pista dell’aeroporto internazionale Marco Polo e il Tav verso Trieste. Una microstoria di resistenza popolare come ce ne sono in ogni borgo d’Italia e in ogni quartiere urbano. Gli abitanti si organizzano in una associazione (La Carta di Altino), il parroco apre i locali della canonica, un insegnante di storia si dedica alla ricostruzione della memoria del luogo, una cooperativa sociale crea un locale ristorante (www.leviealtino.it) dove si usano prodotti biologici locali, si noleggiano bici, si fanno corsi di cucina, si vendono e si imprestano libri. Ne esce un florilegio di iniziative culturali invidiabile: teatro per bambini, passeggiate lungo itinerari naturalistici, mercatini equi e solidali, laboratori artigianali, cineforum, letture bibliche, filò all’aperto... Alcune diventano appuntamenti fissi di vasto richiamo: la Festa del Creato, che si svolge il giorno di San Francesco, la Fiera inconsueta che valorizza le aziende contadine della zona, l’Officina sugli stili di vita che promuove il saper fare delle persone. Ultima novità, un gruppo di studenti ha vinto un bando regionale e si appresta a realizzare un plastico fisico e virtuale in 3D della città romana sepolta. Non mancano le iniziative di carattere sociale e politico mirate a spingere la Sovraintendenza ai beni archeologici dello Stato a completare i lavori del nuovo museo archeologico e a gestirlo con modalità capaci di coinvolgere la popolazione e le scuole Al loro Comune gli altinati chiedono una maggiore attenzione al disagio in cui vivono alcune famiglie poverissime di immigrati e la partecipazione al Contratto di fiume, una forma di pianificazione e tutela del territorio a scala intercomunale. Come possono accadere tante dimostrazioni di autogoverno in un microcosmo sociale così minuscolo? La risposta sta nella lettura della Carta di Altino, aperta alla sottoscrizione di tutte le associazioni e le amministrazioni locali. Un semplice elenco di parole chiave scelte per facilitare la convivenza: Benevolenza, Diversità (“tutti, uomini e donne, sono portatori di punti di vista diversi, per origine, genere, provenienza, convinzioni, fede, appartenenza”), Accoglienza, Essenzialità (“capacità di distinguere essenziale e superfluo”), Interiorità/ Spiritualità/Personalità, Memoria, Radicamento territoriale, Sostenibilità. [email protected] 11 idee left.it altrapolitica di Andrea Ranieri Iscritti (veri) del Pd, tenete duro U Il partito “parastato” non ha perso l’ultima occasione per rivelare il suo volto peggiore n piccolo circolo del Pd, in una provincia d’Italia. Scegliete voi, Nord o Sud non fa differenza. Ci vanno tre giovani - due ragazze e un ragazzo - che si sono iscritti a luglio ,perché sono convinti che nel futuro del Pd si giochi una parte importante del futuro dell’Italia. Sanno chi sceglieranno come segretario nazionale - si sono iscritti per questo - ma non hanno nessun da sostenere al congresso provinciale. Ritengono giusto che i congressi di territorio siano liberi e aperti, magari capaci di portare idee nuove che vadano oltre le mozioni nazionali. Decideranno chi votare sulla base della discussione. Che purtroppo non c’è. Ci sono due candidati - un renzian-cuperliano e un cuperlian-renziano - che tutto hanno in testa fuorché di fare un dibattito. Fuori c’è una fila di persone che ha fretta di votare. Al circolo non si sono mai visti. Sono stati “portati” da uno dei due contendenti, o da qualche loro capo bastone. Qualcuno di loro dice «di non aver tempo da perdere in discorsi che non servono a niente». La mancanza di collegamento tra candidati nazionali e locali si è tradotta in molte situazioni in una lotta di potere senza principi. Per un potere magari miserabile e in declino, visto che la crisi sta riducendo i posti e le prebende da distribuire. Ma proprio per questo ancora più feroce. Il “partito parastato” non perde l’ultima occasione per rivelare il suo volto peggiore. Non so se il vincitore di quel congresso, e di tanti altri congressi fatti in questo modo, sarà contato fra i sostenitori di Cuperlo o fra quelli di Renzi. Penso che costituisca una vera e propria rottura del patto con gli iscritti che si facciano questi conti dopo aver sancito il non collegamento fra i candidati territoriali e quelli nazionali. E trovo immorale che si proponga, di fronte a fatti di tale gravità, di cambiare le regole in corsa e insieme ci si ascriva i risultati di congressi territoriali che in tante parti d’Italia sono stati fatti così. Come se fossero leciti e scusabili comportamenti di tale gravità, se le regole lo permettono. In realtà si paga oggi una crisi morale di lunga durata, che ha avuto il suo punto più alto nella vicenda dei 101 e nel modo in cui è stata rimossa. La speranza è che quei tre giovani, e i tanti come loro, vecchi e nuovi iscritti, che fanno politica con la testa e col cuore, non gettino la spugna. Chi ha fatto i congressi in quel modo li ha fatti così anche per allontanare quelli come loro. Quelli che vogliono discutere. Quelli che li possono criticare e contestare. Mi auguro che tengano duro. Che non gliela diano vinta. saperi diffusi Fotovoltaico N senza incentivi ello scorso luglio si è interrotta l’erogazione di incentivi per la produzione di energia elettrica da impianti fotovoltaici. Quegli incentivi non sono stati inutili: l’Italia ha fatto un salto importante in questo campo, ha installato oltre 400mila impianti, creato circa 100mila nuovi posti di lavoro in un periodo di crisi ed è sostanzialmente arrivata al traguardo della gridparity (la parità di costo tra fotovoltaico e generazione da fonti fossili). Ora la partita si giocherà sull’autoconsumo, che vuol dire reti autonome - che il governo sta cercando di ostacolare e soluzioni per l’accumulo di energia. 12 Le detrazioni fiscali legate all’efficienza rendono in ogni caso ancora conveniente il ricorso al fotovoltaico, anche se, con la fine degli incentivi, le banche si sono defilate da questa partita. A fronte dei vantaggi conseguiti - minore importazione di idrocarburi, minore inquinamento, maggiore occupazione, risparmi per gli utenti - pesa invece negativamente l’entità degli incentivi (che costano 12 miliardi annui) di cui hanno beneficiato soprattutto i grandi impianti a terra, pura speculazione finanziaria, che hanno spesso devastato campi e paesaggi, e che rappresentano quasi l’80 per cento della potenza in- 9 novembre 2013 left idee left.it l’osservatorio di Francesco Sylos Labini Il consenso uccide le idee nuove C redi ma verifica! In questo motto si può riassumere il successo della scienza, in cui la verifica sperimentale delle teorie e dei modelli è stata il perno sui cui si è costruito l’edificio scientifico. La prestigiosa rivista Economist punta però il dito sul declino della qualità della ricerca scientifica moderna: si va da analisi statistiche approssimative a casi di esperimenti non riproducibili, ma anche a episodi di manipolazioni. Non è un fenomeno nuovo e ne parlava Laurent Ségalat in un bel libretto di qualche anno fa (La scienza malata, Cortina). Tra le principali cause del declino che sta mettendo a rischio l’intero processo scientifico moderno, Ségalat identifica l’eccessiva competizione che è stata incoraggiata dal sistema di assegnazione dei posti e di selezione dei progetti di ricerca ovvero da un certo tipo di implementare la valutazione. La corsa a pubblicare sulle migliori riviste il numero maggiore di articoli possibile, la fame di citazioni, l’obiettivo di accrescere i propri parametri bibliometrici (articoli e citazioni) come unico scopo della propria ricerca, sono, infatti, indotti dalla sempre più spietata selezione dei progetti di ricerca a cui sono legate le carriere dei singoli ricer- catori. Osserva Ségalat che «per entrare nel sistema non bisogna essere bravi, bisogna essere migliori degli altri», e dunque «il ricercatore è trascinato, che lo voglia o no, dalla corsa finanziamenti-pubblicazioni-finanziamenti». Dunque se si vuole investire la propria ricerca in progetti impegnativi a lungo termine si crea un cortocircuito: «Come posso raggiungere il lungo termine se non sopravvivo nel breve?». È questa la ragione principale dell’irresistibile tendenza al conformismo nella ricerca moderna, l’altra faccia dell’esasperata competizione. Si preferisce lavorare su progetti di ricerca che puntano a ottenere, innanzitutto, il consenso della comunità di riferimento piuttosto che a proporre l’esplorazione di nuove, e magari controverse, idee. Come invertire la tendenza? Questa è la domanda che la comunità scientifica in primis dovrebbe affrontare senza timore di passare per “anti-meritocratica”: poiché la valutazione della qualità della ricerca gioca un ruolo così importante nello sviluppo della dinamica scientifica moderna, non è possibile lasciarla nelle mani di burocrati o, peggio ancora, di questa classe politica. I ricercatori sono costretti a pubblicare tanto. Rinunciando alla qualità di Guido Viale stallata; mentre gli impianti di piccola taglia, installati in abitazioni e piccole imprese, ne hanno realizzata meno di un quinto. Inoltre, il sovrapporsi di ben cinque diversi conti energia ha pregiudicato la pianificazione dello sviluppo del settore e ora molte imprese - come la Marcegaglia di Taranto - sono in chiusura. Anche per questo la maggior parte degli impianti è di importazione mentre con una seria politica industriale, quegli incentivi avrebbero potuto sostenere l’industria locale. Senza contare che tutti gli impianti sono stati installati al di fuori di qualsiasi pianificazione e quasi mai fanno parte di un left 9 novembre 2013 mix di fonti rinnovabili diverse, teso a ottimizzare il ricorso a tutte le risorse del luogo. È venuta così a mancare la cosa più necessaria per promuovere la transizione a un’economia carbon free: la formazione di un team di ingegneri, architetti, economisti, progettisti in grado di realizzare, in ogni territorio e ambito, le soluzioni ottimali per abbinare le diverse fonti rinnovabili disponibili, l’efficienza energetica e la valutazione dei carichi da sostenere in ambito locale, valorizzando al meglio ciò che i membri di ogni comunità sanno sui loro fabbisogni e le caratteristiche del luogo in cui abitano. Ogni luogo ha la sua fonte di energia 13 idee left.it di Alberto Cisterna in punta di penna Tutti figli della stessa rabbia U Il Paese viene travolto dal furore no sciopero come tanti, un treno del Sud in ritardo come tanti. Questa volta però la stazione di Reggio Calabria è occupata dai lavoratori Lsu che protestano. Non percepiscono lo stipendio da mesi, hanno le famiglie e la dignità a pezzi. Tra le decine e decine di passeggeri in attesa ci sono bambini, persone anziane e qualcuno che, si vede subito, sta “salendo” a Roma per curare una malattia che lo sfascio della sanità calabrese non può guarire. Ti aspetti le proteste, imprecazioni contro quei “farabutti” che scioperano, che ti impediscono di partire, di cenare a un’ora decente. E invece tutti, senza eccezioni, dicono le stesse cose: «Hanno ragione, fanno bene, che devono fare, morire di fame?». Poi interviene il calabrese bastian contrario e testa dura che vuole parlare fuori dal coro : «Hanno ragione è vero, ma devono andare a Roma e dare fuoco a quei bastardi di politici», «noi siamo poveracci come loro». Lungo le stazioni tanta altra gente che aspetta da ore lungo i binari. Trenitalia li ha informati, ha fatto il possibile. Tutti sanno cosa è successo, perché i treni partono da Reggio in ritardo, ma sfilano composti, pazienti, con le valigie in mano. Un gruppo di studenti rientra a Roma, nelle universi- tà, dopo le feste dei morti (solo al Sud le chiamiamo così). Sono i rampolli di una borghesia sufficientemente benestante da potersi ancora permettere un figlio alla Luiss o alla Cattolica. Qualche anno fa sarebbero stati il triplo. Anche loro stanno dalla parte di chi protesta e ha fame di pane e di diritti. Troveranno la metro chiusa e gli autobus a singhiozzo della notte romana, ma capiscono e hanno in corpo la stessa rabbia di chi sta tra i binari della stazione a gridare la propria umiliazione di uomo e di lavoratore. Questo Sud non è disposto a soccombere, non si vuole arrendere e venderà cara la pelle. C’è da chiedersi cosa potrà accadere se il declino non si arresta, se il degrado non sarà contrastato. Mentre scrivo, scorrono sul palmare le mail dei magistrati italiani che discutono del gesto del ministro Cancellieri. Così oligarchie e corporazioni ingaggiano l’ennesima prova di forza, mentre il Paese e il Mezzogiorno scivolano verso la rabbia e il furore. Potrebbe scoccare prima o poi un’ora di rivolta improvvisa, incontenibile, senza mediazioni o compromessi e tutti potrebbero restarne travolti. Dopo 5 anni di crisi e il tracollo della politica, sui binari prima o poi potrebbe esserci un popolo. in fondo a sinistra 14 9 novembre 2013 left idee left.it keynes blog di Daniela Palma e Guido Iodice Euro? La risposta è a sinistra E ugenio Scalfari, nell’ultima predica domenicale su Repubblica ci ha spiegato che se vince Grillo l’Italia va a rotoli e fuori dall’Europa. Roberta Carlini, in un recente articolo su Sbilanciamoci.info, ha compilato una rassegna delle forze euroscettiche che potrebbero raccogliere molti voti e seggi nel prossimo Parlamento europeo, notando che si tratta generalmente di partiti di destra. Due articoli con toni e tesi differenti. Dovendo scegliere, preferiamo quello della Carlini, che giustamente si interroga sulla mancanza di una strategia europea della sinistra. Eppure, ci pare che in ogni caso la risposta all’euroscetticismo non arrivi neanche da lì. È indubbio che l’euro e l’Europa del primato del mercato siano stati e sono un progetto liberista e di destra. Il rischio di una sinistra euro-entusiasta o anche solo euro-tiepida è quello di lasciare campo libero alle due destre (quella populista antieuropea e quella tecnocratica pro euro). Chi, magari anche critico sull’euro, invoca il “più Europa” come un’opzione praticabile rischia di venire travolto dagli eventi. È necessaria, allora, la mossa del cavallo: uscire dal dibattito pro/contro euro ed entrare in quel- lo “quale euro”. Ovvero: mettere in discussione l’euro attuale. Non c’è un solo modo di concepire una moneta europea o in generale un sistema di cambi fissi. Lo stesso John Maynard Keynes, che definì il gold standard un relitto barbarico, a Bretton Woods si presentò con un sistema di cambi (semi) fissi che ancor oggi è visto come punto di riferimento per riformare il (non) sistema monetario internazionale e che molti vedono come soluzione alla crisi dell’euro e come “arma” in mano ai Paesi periferici. Quella proposta non passò, ma Keynes firmò ugualmente l’accordo, consapevole di aver spostato in avanti il dibattito, ottenendo molto di più di quanto sarebbe stato possibile senza quella proposta. La sinistra europea e quella italiana, in tutte le sue componenti, rimane invece ancora senza nessuna vera proposta. Se poi il Movimento 5 stelle scegliesse proprio la via keynesiana alla soluzione della crisi europea, non solo dovremmo tutti derubricarlo dall’elenco dei movimenti “di destra” o “populisti”, ma saremmo costretti a prendere atto del nostro ennesimo fallimento. Non sarebbe del resto la prima volta che Grillo fa sua un’idea “di sinistra” mettendo in difficoltà la sinistra stessa. Grillo potrebbe fare sua un’idea che il Pd ha abbandonato di Fabio Magnasciutti left 9 novembre 2013 15 copertina Illustrazione di Valentina Marino/OfficinaB5 LICENZIAMENT O Giuseppe, operaio torinese: pedinato per due mesi dall’azienda e poi licenziato. Marco, dipendente dell’Ilva: licenziato perché chiedeva più sicurezza. Riccardo, ferroviere: licenziato per aver raccontato la verità sulla strage di Viareggio. Storie di ordinaria ingiustizia sul posto di lavoro ALL’ITALIANA di Tiziana B aril là copertina left.it S pionaggio, pedinamenti, provvedimenti disciplinari a pioggia, solitudine sul posto di lavoro. La vita di fabbrica è sempre più dura per gli operai. Può diventare un inferno, soprattutto per chi decide di esporsi e chiede sicurezza sul posto di lavoro. Nel 2012 l’Italia ha registrato oltre un milione di licenziamenti. Ma non tutti sono dovuti alla crisi e non sempre la giusta causa appare così scontata. left ha raccolto tre storie di operai che hanno perso il posto di lavoro e che hanno intrapreso una battaglia per il reintegro in fabbrica. Perché, sostengono, il loro è un «licenziamento politico». *,86(33(/$52%,1$ 725,12 .8(+1(B1$*(/(;,9(&2 ,1)('(/( Sotto, una manifestazione in sostegno di Giuseppe Larobina davanti ai cancelli della Kuehne Nagel (ex IVECO) di Torino Infedeltà aziendale. È la nuova frontiera delle agenzie investigative che adesso, su ordine delle imprese, oltre al classico pedinamento di mogli e mariti infedeli, stanno alle costole dei lavoratori. Obiettivo: reperire le prove che giustificano il licenziamento per giusta causa. Gli investigatori privati offrono comodi “pacchetti indagine” dai prezzi modici per documentare falsa malattia, falso infortunio, violazione dell’obbligo di fedeltà aziendale, attività presso terzi durante il periodo di malattia o sottrazione di beni aziendali. Uno spionaggio vero e proprio. Per molti sembrereb- be impossibile. Invece Pino Larobina - operaio della Kuehne Nagel di Torino (veicoli industriali) da 28 anni e delegato sindacale da 19 - lo sa benissimo. Lo scorso 25 giugno si è visto recapitare a casa un plico di 18 pagine. Mittente: la sua azienda. Dentro, un provvedimento di sospensione, in pratica una promessa di licenziamento. E un rapporto in cui giorno dopo giorno, con minutaggio preciso, si descrivono le attività dell’operaio fuori dallo stabilimento. Dal 10 maggio 2013 al 15 giugno 2013, l’intera vita dell’operaio Pino Larobina si è svolta sotto l’occhio di un “grande fratello”. «Però ho motivo di credere che il periodo sia stato più ampio», racconta a left Larobina. «Perché proprio il 25 giugno sono andato alla sede torinese del mio sindacato, l’Usb, per raccontare loro del mio licenziamento. Quando ci siamo affacciati alla finestra abbiamo visto una macchina con due tizi che parlottavano e ogni tanto ammiccavano verso di noi. Abbiamo preso il numero di targa e tramite un contatto con la motorizzazione civile è saltato fuori che quella era una macchina di proprietà della Turinform di Torino». Slogan: “investigazioni dal 1950”. Servizi offerti: indagini su infedeltà coniugale, pedinaggi di minorenni scapestrati e verifica dell’affidabilità di baby sitter, colf e badanti. E ancora: bonifiche dalle cimici, analisi dei concorrenti, sicurezza informatica. Infine, «licenziamenti per giusta causa». Da buoni 007, gli uomini dell’agenzia sono irrintracciabili. Nella sede dell’agenzia, nel pieno centro di Torino, il telefono squilla a vuoto per ore. © USB 18 9 novembre 2013 left copertina left.it COME FAR FUORI IL DIPENDENTE SCOMODO Sono finiti i bei tempi in cui allo spionaggio dei dipendenti era dedicato un intero reparto: come quello scoperto nel 1971 in Fiat da Raffaele Guariniello, contenente 354mila schede personali. Troppo costoso: oggi si preferisce esternalizzare. E agli archivi si sostituiscono gli investigatori privati, come se il padrone fosse una moglie gelosa. «L’uso di agenzie investigative da parte delle aziende non è raro», spiega Piergiovanni Alleva, avvocato e giuslavorista. «Il paradosso - continua - è che la legge vieta i controlli dentro le fabbriche, ma non li impedisce esplicitamente all’esterno. Ed è un nonsense, perché spesso le aziende commissionano indagini a tutto campo alla ricerca di un motivo qualsiasi per licenziare il lavoratore. Violando così la loro privacy». Pur di disfarsi del dipendente scomodo ci si inventa di tutto. La riforma Fornero ha ammorbidito l’art. 18 dello Statuto dei lavoratori (che imponeva il reintegro nei casi di licenziamento senza giusta causa o giustificato motivo). Ma ha lasciato al giudice il diritto di decidere in quali casi limitarsi a un indennizzo. A oltre un anno dalla riforma i giudici hanno preferito continuare ad applicare in maniera “rigida” l’art. 18. Esistono però degli stratagemmi. «Spesso per liberarsi di lavoratori “scomodi” le aziende aprono le procedure per i licenziamenti collet- Grazie ai suoi spioni, la multinazionale tedesca Kuehne Nagel - da dodici anni partner della Cnh industrial di presidente Sergio Marchionne - ha potuto conoscere nei dettagli tutte le attività quotidiane svolte dal dipendente Larobina. L’hanno seguito mentre portava le buste della spesa, mentre faceva la fila in banca, mentre sistemava i tergicristalli rotti della sua utilitaria, mentre sfilava in corteo lungo le vie di Torino. Semplici attività quotidiane, svolte «senza mostrare fatica nella deambulazione», spiega il rapporto investigativo. Perché questo morboso interesse sulla vita privata dell’operaio Larobina? «È una lunga storia», risponde lo spiato. «Tutto è iniziato qualche anno fa, quando ho chiesto di cambiare postazione per dei problemi fisici: artrosi all’anca e dolore alle ginocchia. Tutto certificato dai medici, radiografie e documenti sono inseriti nella mia cartella sanitaria, in azienda. Nulla di grave, ma la postura in cui lavoravo non era indicata per me». Ordinaria amministrazione: nelle fabbriche capita spesso che dopo anni di lavoro gli operai riscontrino qualche problema fisico. In questi casi vengono definiti Rcl, con Ridotte capacità lavorative, e viene assegnata loro una postazione più comoda. Larobina viene trasferito ai banchi di confezionamento dei pezzi di ricambio. «Così potevo lavorare sia in pie- left 9 novembre 2013 tivi, per causa economica. La legge imporrebbe criteri oggettivi nella scelte degli esuberi, a partire dall’età e dai carichi familiari. Ma se l’impresa non specifica questi criteri, scegliendo ad hoc chi licenziare, può al massimo incappare in una sanzione per vizio formale: con 15 o 20 mensilità riescono a liberarsi dei dipendenti sgraditi», spiega Alleva. «E poi c’è un’altra norma capestro: il Collegato lavoro, che rende impossibile impugnare un contratto atipico 180 giorni dopo la scadenza. Molti precari preferiscono attendere, nella speranza di essere richiamati dall’azienda e così spesso non riescono più a far valere i propri diritti». Manuele Bonaccorsi L’agenzia investigativa segue il dipendente per più di un mese, persino in un picnic di che seduto su uno sgabello». Ma a febbraio di quest’anno l’azienda cambia atteggiamento. «A fronte di sopravvenute esigenze aziendali e tenuto conto della sua pregressa esperienza lavorativa» la Kuehne Negel decide di riassegnarlo al reparto “pianelli e traversa”, come addetto alla conduzione del “traslatore/commissionatore”. La postazione dalla quale anni prima Larobina era stato esonerato. L’operaio si lamenta, protesta, ricorda ai suoi superiori di aver avuto sempre una condotta impeccabile. «In dodici anni mai un infortunio o un’assenza ingiustificata. Andavo a lavorare anche con la febbre. Sono un sindacalista, devo dare il buon esempio». Ma l’azienda ripete la sua litanìa: «esigenze aziendali». Non c’è nulla da discutere. Solo allora Larobina decide di prendere carta e penna. E lo scorso 8 maggio scrive una lunga lettera all’Asl di Torino e al procuratore Raffaele Guariniello, che da anni nella città della Mole si batte contro le malattie professionali. La missiva viene inviata per conoscenza anche ai responsabili dell’azienda. Nessuna risposta. Escluso una lettera, da parte dell’azienda che 19 copertina left.it ritiene «infondate doglianze» le motivazioni dell’operaio. La prova dell’infondatezza sta nelle 18 pagine del rapporto investigativo. «Alle ore 15:17 del 10 giugno 2013 lei lasciava la sede del sindacato a piedi e senza mostrare difficoltà nella deambulazione»; «in data 10 maggio 2013 alle ore 18:11 lei è stato visto giungere a piedi nei pressi della sua abitazione deambulando senza alcun problema, trasportando, con una mano, una borsa della spesa e, con l’altra, una confezione di bottiglie di acqua minerale (n.6 bottiglie da lt. 1,5 ciascuna)»; «in data 12 maggio 2013, alle ore 8:30 circa, lei è stato notato intento a caricare sulla sua vettura numerose borse, un tavolino da campeggio e una borsa-frigo. Giunto presso il lago lei dapprima scaricava tutti i bagagli, successivamente si dedicava alla preparazione di un barbecue»; «nel giorno 18 maggio 2013, e più precisamente tra le ore 18:22 e le ore 18:32, lei è stato visto scendere ripetutamente dalla sua vettura (nell’occasione condotta da altra persone) dal lato passeggero per porre in essere degli interventi sulla spazzola tergicristallo del lato conducente effettuando flessioni e allungamenti del busto». Di essere pedinato fuori dalla fabbrica l’operaio Larobina non lo avrebbe mai immaginato. Ma dentro le mura dell’ex Iveco il clima era dei peggiori: «Nell’ultimo periodo la situazione era di- ventata invivibile. Ero controllato da quando entravo a quando uscivo. Addirittura mi accompagnavano fino alla porta d’ingresso per non farmi parlare con nessuno. E quando altri operai chiedevano di incontrarmi come rappresentante sindacale, il capo squadra accompagnava personalmente il lavoratore al mio banco di lavoro, gli dava due o tre minuti di tempo per parlarmi e poi lo portava via. Sembrava un colloquio in carcere». Pochi giorni dopo il provvedimento di sospensione, Larobina riceve a casa la lettera di licenziamento datata 2 luglio. L’azienda considera risolto il suo contratto di lavoro a tempo indeterminato. Licenziato in tronco a 54 anni. Senza lavoro né salario. Eppure non è questa la preoccupazione di Pino Larobina: «Di una cosa non riesco a farmi una ragione: questi signori sono in grado di violare le leggi restando impuniti». Dopo 19 anni di sindacato, prima nella Fiom Cgil e oggi nell’Usb, Pino non ha dubbi: «Il mio è un licenziamento politico. La mia colpa? Gli scioperi e le manifestazioni davanti ai cancelli per sensibilizzare gli altri operai». Pentito? «Come operaio sento di non valere nulla, di essere solo. Ma come sindacalista continuo a combattere, per difendere quei pochi diritti che ormai ci sono rimasti. Per evitare che in futuro si ripiombi negli anni 50». Abbiamo provato a contattare l’azienda, per conoscere la loro versione dei fatti. Ma la Kuehne Nagel non ha risposto alla nostra mail, né alle numerose telefonate. MORTI SUL LAVORO, L’INAIL SBAGLIA I CONTI L’Inail sbaglia i conti dei morti sul lavoro. È la denuncia dell’Osservatorio indipendente di Bologna, diretto dall’ex metalmeccanico Carlo Soricelli, che da anni vigila sulle condizioni di sicurezza nelle aziende. Dall’inizio del 2013 sono 501 le morti documentate sul posto di lavoro. Ma questi numeri possono salire molto se si pensa a tutti quei casi che non vengono inclusi nelle statistiche, come le morti “in itinere”, quelle avvenute mentre i dipendenti raggiungono il posto di lavoro. Secondo le statistiche ufficiali invece, 20 il numero delle vittime è in costante diminuizione. Per l’Osservatorio di Bologna le morti sul lavoro nel 2012 hanno raggiunto quota 1.180, ma per l’Inail il triste conteggio si ferma a 790. Nel 2011, le vittime sono state 1.367, ma l’Inail si è fermata a 866. Come si giustifica questa differenza? «Gli infortuni mortali di Intere categorie e professioni non sono contati come morti sul lavoro», spiega l’Osservatorio. Nelle statistiche non rientrano «carabinieri, poliziotti, vigili del fuoco, soldati, ma anche i lavoratori a partita Iva». Anche l’austerity influisce negativamente sulla sicurezza del lavoro: «In questi anni molti tecnici Asl sono andati in pensione e non sono stati rimpiazzati», denuncia Marco Bazzoni, operaio e rappresentante dei lavoratori per la sicurezza. «Quindi ci sono sempre meno controlli. Il personale è scarso ed è ridotto all’osso. In Italia ci sono 3-4 milioni di aziende, se dovessero controllarle tutte, ogni azienda riceverebbe un controllo ogni 33 anni, praticamente mai». Fabrizia Caputo 9 novembre 2013 left copertina © CARINO/IMAGOECONOMICA left.it 0$5&2=$1)5$081'2 7$5$172 ,/9$ 3(5,&2/262 Gli operai dell’Ilva di Taranto se lo aspettavano. E alla fine il licenziamento è arrivato. È toccato a Marco Zanframundo, dipendente del reparto movimento ferroviario (Mof) dell’acciaieria tarantina, 33 anni, una moglie che non lavora e un figlio di sei anni. Lo raggiungiamo al telefono, è domenica perciò gli chiediamo se per caso lo disturbiamo. «Per me ora tutti i giorni sono domenica», risponde. Dal 3 settembre Zanframundo non timbra più il cartellino in fabbrica: licenziato «gravissima cattiva condotta», che avrebbe potuto «nuocere gravemente alla sua stessa incolumità fisica e a quella altrui». Così si legge nella lettera di licenziamento. «Sì, è vero, io e gli altri operai non lavoriamo in sicurezza», ribatte l’operaio. «Ma non dipende da noi. Siamo costretti a lavorare così. Anzi, da anni denunciamo le pessime condizioni di sicurezza all’interno dello stabilimento». Ed è proprio per questo, racconta Marco, «che ci hanno preso di mira, con provvedimenti disciplinari e licenziamenti. Ho ricevuto otto provvedimenti negli ultimi 50 giorni di lavoro. Ma prima di allora, in 12 anni di servizio, non ne aveva mai preso nessuno». «Vedete cosa succede a chi protesta?». Così Zanframundo legge il suo licenziamento: un gesto left 9 novembre 2013 plateale dell’azienda nei confronti di chi «non abbassa la testa». Colpirne uno per educarne cento. La guerra dell’Ilva è cominciata un anno fa, il 30 ottobre 2012, con la morte di Claudio Marsella, schiacciato da un vagone. Un operaio giovane, 29 anni, e molto stimato dai colleghi. «Per me Claudio era un amico, un fratello. Dopo la sua morte non potevo continuare a far finta di niente», racconta Marco. «Ma quando ho cominciato a chiedere sicurezza e diritti all’interno della fabbrica mi hanno licenziato». Gli operai, in particolare, contestano l’accordo tra azienda e sindacati che riduce da due a uno gli addetti ai locomotori. «Dopo la morte di Claudio non volevamo più L’operaio Ilva: «Dopo la morte del mio collega non volevo più lavorare in quelle condizioni» lavorare in quelle condizioni. Non lo faccio per vendetta. Semplicemente mi sono messo nei suoi panni e ho capito che il nostro lavoro è pericoloso. Io ci voglio tornare a casa, ogni giorno». A firmare la lettera di licenziamento sono «il capo area logistica operativa Antonio Colucci e il capo reparto del Mof Cosimo Giovinazzi», spiega Zanframundo. Entrambi sono indagati per cooperazione in omicidio colposo. Lo scorso 30 ottobre, infatti, con la chiusura dell’inchiesta “Ambiente svenduto” il pool di magistrati guidato dal procuratore di Taranto Franco Sebastio ha fatto notificare 53 richieste di rinvio a giudizio. Tra cui proprio Colucci, Giovinazzi e l’ex di- In alto, un operaio nello stabilimento siderurgico Ilva di Taranto 21 copertina left.it rettore dello stabilimento Adolfo Buffo, accusati di «cooperazione in omicidio colposo» proprio nell’infortunio di Claudio Marsella. La sua morte, sostiene la Procura, fu determinata «da imprudenza, negligenza e imperizia, nonché da inosservanza di specifiche disposizioni per la prevenzione degli infortuni sul lavoro». Anche in questo caso ai provvedimenti disciplinari si accompagna un clima di terrore in fabbrica. «Dopo la morte di Claudio stavo male. Andai dal medico dell’azienda e gli raccontai cosa mi stava succedendo. Ebbi persino una crisi di pianto, perché qualsiasi cosa facevo o non facevo andava comunque male. Gli raccontai che in reparto vivevo queste ansie, paure, pressioni, che non parlavo più con nessuno. Il dottore si preoccupò, mi disse che avrei dovuto prendere un po’ di riposo perché con il mio lavoro devo lavorare tranquillo. E io così ho fatto. Non era una bugia che stavo male. Mi arrabbiavo ogni giorno con i capo turni e nessuno parlava più con me. Presi due mesi di riposo. Il primo giorno del mio rientro, ad agosto, timbro il cartellino alle 6:50 e alle 7:30 mi fanno il provvedimento disciplinare. Io ero rientrato dalla malattia un po’ più tranquillo, la situazione stava migliorando. Mi stavo dando una possibilità. Ma loro mi hanno licenziato lo stesso». Intanto Enrico Bondi, il commissario straordinario del governo Letta per la gestione dell’Ilva, ha scritto al tribunale di Taranto per chiedere la convalida del licenziamento di Marco. Bondi, val la pena ricordarlo, è un uomo di fiducia della famiglia Riva, che nell’aprile 2013 lo aveva nominato amministratore. Il gruppo Riva, da noi interpellato ha preferito non rilasciare dichiarazioni. 5,&&$5'2$1721,1, 9,$5(**,2 )(5529,('(//267$72 2))(16,92 Il problema della sicurezza non riguarda solo le mura di una fabbrica, ma anche chi lavora in mobilità, come i ferrovieri. Dal 2007 a oggi hanno perso la vita 42 lavoratori del gruppo Ferrovie dello Stato e delle ditte in appalto: uno ogni due mesi. «Eppure l’amministratore delegato Mauro Moretti continua a sostenere che 22 non esiste un problema di sicurezza», denuncia a left Riccardo Antonini, ex ferroviere di Viareggio. Ex, perché il 7 novembre 2011 Antonini è stato licenziato. La sua colpa? Aver fatto da consulente tecnico di parte nelle indagini sulla strage di Viareggio: è il 29 giugno 2009 quando nei pressi della stazione toscana un convoglio pieno di gpl deraglia. L’esplosione avrebbe provocato l’uccisione di 32 persone. «La sua attività è in conflitto con gli interessi di questa società, sua datrice di lavoro, in palese UNA STRAGE IN CERCA DI COLPEVOLI «Verità, giustizia e sicurezza», sono le parole d’ordine dell’associazione dei parenti delle vittime della strage di Viareggio. A quattro anni dal disastro ferroviario che ha causato la morte di 32 persone non sono ancora state accertate le colpe. Sono le ore 23:52 del 29 giugno 2009 quando un carro-treno che trasporta gpl deraglia in stazione, distruggendo con un’esplosione un intero quartiere della città. Una tragedia su cui restano ancora molti interrogativi. Chi non si rese conto che l’asse di quel carro ferroviario era rotto? Chi non adottò le misure necessarie per evitare che la cisterna scoppiasse? La procura di Lucca, a tre anni dall’accaduto, ha chiuso l’inchiesta. Secondo i pm il cedimento strutturale di un asse del carrello del primo carro-cisterna deragliato sarebbe stata la causa 9 novembre 2013 left copertina left.it © LAPRESSE L’ad di Ferrovie Mauro Moretti licenzia il sindacalista e lo denuncia per «ingiurie» violazione dell’obbligo di fedeltà», queste le motivazioni del licenziamento. Reti ferroviarie italiane (Rfi) non ha dubbi: prestare una consulenza in qualità di tecnico della manutenzione nel processo per l’incidente ferroviario di Viareggio, seppur in modo gratuito, è una violazione del codice etico del Gruppo Fs. Nella sua consulenza, Antonini aveva accertato che la strage si sarebbe potuta evitare: «La crepa che provocò il deragliamento era arrugginita. Non è nata né per un difetto di fabbrica, né per l’usura del tempo, ma dell’incidente. L’amministratore delegato delle Ferrovie dello Stato, Mauro Moretti, insieme ad altre 32 persone, è stato rinviato a giudizio. La decisione del gip non ha avuto ripercussioni sugli incarichi dei dirigenti, dal momento che i reati sono di carattere colposo: il 9 agosto 2013, l’assemblea delle Ferrovie dello Stato ha rinnovato i vertici del gruppo. I reati contestati sono disastro ferroviario colposo, incendio colposo, omicidio e lesioni colpose plurime. Ad alcuni imputati sono state contestate anche violazioni delle norme sulla sicurezza sul lavoro. Il 13 novembre a Lucca finalmente si aprirà il processo. In quest’occasione l’associazione dei parenti delle vittime scenderà in strada per continuare a chiedere «verità e giustizia». Claudia Romito left 9 novembre 2013 per la corrosione. Questo significa che i controlli - che avrebbero dovuto evidenziarla - non sono stati fatti o non sono stati adeguati». Una sentenza del tribunale del Lavoro di Lucca lo scorso 4 giugno ha confermato il licenziamento di Antonini: il giudice Luigi Nannipieri ha infatti respinto la richiesta di reintegro. Rfi ha messo così la parola fine alla lunga carriera dell’operaio, dopo 33 anni di servizio. Ma Riccardo, che è anche sindacalista della Filt-Cgil non ci sta. «Il mio licenziamento è una rappresaglia nei confronti dei ferrovieri impegnati sul tema della sicurezza». L’azienda del resto lo aveva avvisato con una lettera di contestazione del 1 luglio 2011 che intimava Antonini a cessare immediatamente quella attività. «Ho risposto che non ero disponibile ad accettare diktat e ho continuato». Il 10 agosto arriva la seconda contestazione: 10 giorni di sospensione. Poi, il 25 ottobre, il licenziamento. L’ex sindacalista proprio della Filt-Cgil Mauro Moretti non si è limitato a licenziare il suo ex compagno di sindacato Riccardo Antonini. Lo ha anche denunciato. Antonini è imputato di «ingiurie e violenza privata nei confronti del sig. Mauro Moretti», presso il tribunale di Genova. La denuncia dell’ad Moretti arriva a seguito di una contestazione avvenuta durante una festa del Pd di Genova del 9 settembre del 2011. «L’azienda mi ha offerto il reintegro nel posto di lavoro e il ritiro della querela, ma in cambio chiedeva l’abiura del mio impegno sulla strage di Viareggio», spiega Antonini. «Io non ho accettato: sono innanzitutto un cittadino, poi un lavoratore e solo dopo un dipendente delle Ferrovie dello Stato. Ho il dovere di contribuire a conoscere la verità su quella tragedia». Nella seconda metà di novembre si terrà l’udienza al tribunale di Genova per decidere della querela di Moretti all’operaio. Mentre il 13 novembre si aprirà a Lucca il processo sulla tragedia di Viareggio: Mauro Moretti è stato rinviato a giudizio insieme ad altri 32 dirigenti e funzionari con l’accusa di omicidio colposo. Alle nostre richieste di chiarimenti Ferrovie dello Stato ha risposto di non avere altro da aggiungere a quanto già accertato dalla magistratura. Viareggio, 30 giugno 2009. Nella foto, i soccorsi sul luogo dell’incidente ferroviario 23 società left.it COSÌ PARLÒ SCHIAVONE di Anna Fava Nel 1997 il camorrista pentito spiegava alla commissione Ecomafia: «Milioni di tonnellate di rifiuti tossici seppeliti in Campania. La gente morirà di cancro». Quindici anni dopo il verbale viene desecretato. Forse per aprire il ricco affare delle bonifiche. Ma lo Stato non ha neppure una mappa dei terreni contaminati 24 9 novembre 2013 left società Casal Di Principe, Scavi per il ritrovamento di rifiuti tossici in una zona indicata dal pentito Carmine Schiavone. Sul luogo i carabinieri e i Vigili del fuoco left 9 novembre 2013 25 © CANTILE/LAPRESSE left.it società © CANTILE/LAPRESSE left.it C Bufale al pascolo in una fattoria sulla statale Domitiana, in provincia di Caserta 26 orreva l’anno 1997: il cassiere del clan dei Casalesi, Carmine Schiavone, durante una seduta della Commissione parlamentare sul traffico illecito di rifiuti, presieduta da Massimo Scalia, rivela che il Sud Italia è seduto su una bomba a orologeria. Le ecomafie hanno sepolto in ogni terreno disponibile milioni di tonnellate di rifiuti tossici: fanghi nucleari della Germania, veleni industriali provenienti da Arezzo, Carrara, Genova, La Spezia, Milano. Probabilmente, spiega il boss, nel giro di vent’anni, la gente inizierà a morire di cancro. Sull’audizione cala il segreto di Stato. Durante l’estate del 2013 Schiavone rilascia alcune interviste ai giornali sulle sue vecchie dichiarazioni. «Ha raccontato cose note, già emerse nelle inchieste della magistratura», commenta Scalia. «Non c’è nulla di nuovo». Eppure la reazione alle parole del boss è un’ondata di indignazione crescente. Il presidente della Regione Campania, Stefano Caldoro, invoca una legge speciale per le bonifiche che potrebbe avere la copertura finanziaria dei fondi europei: circa 300 milioni non ancora utilizzati, oltre a quelli della programmazione 2014-20. Il gruppo La Terra dei fuochi, un sito internet in cui decine di cittadini denunciano, ogni giorno, il divampare di roghi di rifiuti tra Napoli e Caserta, decide di organizzare una manifestazione. Il 26 ottobre a Napoli scendono in piazza circa 50mila persone, mobilitate attraverso i social network, chiedendo di fermare i roghi tossici e desecretare le audizioni di Schiavone. Dopo una settimana la Camera decide di rendere pubbliche il resoconto stenografico. Il traffico di rifiuti tossici, racconta Schiavone, inizialmente è gestito da soggetti estranei alla camorra. «Il mercato dei rifiuti in Italia è uno solo e veniva gestito da poche persone», spiega il boss. «Poi i clan si sono intromessi». L’affare è ricco e lentamente si avvicinano al giro uomini legati ai Casalesi, come Francesco Bidognetti e Mario Iovine, che con i rifiuti guadagnano circa 600-700 milioni di vecchie lire. Al mese. Nel 1988, Carmine Schiavone scopre l’affare e il traffico di rifiuti viene riportato all’interno della gestione ordinaria del clan. La Campania viene divisa tra i vari gruppi: la zona vesuviana e la provincia di Salerno sono affidate a Carmine Alfieri, Mario Fabbrocino e Pasquale Galasso. Il clan dei Casalesi gestisce l’area compresa tra la province di Benevento, Caserta e Napoli, fino a Giugliano. I luoghi in cui sversare i veleni, non mancano. In quegli anni i clan sono dediti alla realizzazione delle grandi opere progettate dopo il terremoto dell’80: la superstrada Caserta-Napoli e la sistemazione dell’antica canalizzazione dei Regi lagni (l’opera doveva costare 70 miliardi di lire ma, tra varianti e subappalti, arriva a 536 miliardi). «Siamo stati noi a realizzare il lavoro non la Cabib o la Fer- 9 novembre 2013 left società left.it laino. Questi erano appaltatori», afferma Schiavone. «Erano nostre le società che operavano». I fusti tossici finiscono nelle buche dei lavori, nei suoli destinati ai terreni dragati dai canali, in aree agricole. Come alcuni carichi di fanghi radioattivi provenienti dalla Germania. «Dovrebbero stare», ricorda Schiavone, «in un terreno sul quale vi sono i bufali e non cresce più l’erba». Ma la longa manus dei Casalesi si estende anche oltre regione: Latina, Gaeta, Scauri, fino al Molise. È l’esito della guerra tra i clan a determinare la nuova geopolitica del Mezzogiorno: cacciati i Bardellino e i Nuvoletta, grazie all’alleanza con Cosa nostra, i Casalesi estendono la loro influenza in altre regioni. Un unico immenso sistema spiega Schiavone - dalla Sicilia al Lazio, passando Puglia e Calabria. «Che poteva importare a loro se la gente moriva? L’essenziale era il business». Per smaltire un fusto di fanghi tossici gli impianti autorizzati potevano arrivare a spendere circa 2 milioni di lire: la ditta intascava i soldi e affidava il compito ai clan, che offriva il proprio “servizio di smaltimento” per 500mila lire a fusto. Il traffico è organizzato in modo preciso, sorvegliato da vere e proprie pattuglie militari: «Avevamo ragazzi incensurati, muniti di regolare porto d’armi, che giravano in macchina. Avevamo divise e palette dei carabinieri, della finanza e della polizia». Ma il clan non impone la sua presenza solo con la forza. «In tutti i 106 comuni della Provincia di Caserta», racconta Schiavone, «noi facevamo i sindaci. Di qualunque colore fossero». In cambio gli amministratori offrivano ai loro benefattori un ricco piatto di appalti. L’aspetto più delicato della traffico di rifiuti, quello finanziario, veniva gestito dall’avvocato Cipriano Chianese e dal geometra Gaetano Cerci. Uomini legati ad ambienti massonici, logge definite da Schiavone “circoli culturali”. «L’avvocato Chianese aveva introdotto Cerci in circoli culturali ad Arezzo, a Milano, dove aveva fatto le sue amicizie. Entrò in un gruppo di persone che gestiva i rifiuti industriali». Qui Cerci stringe amicizia anche con Licio Gelli. «Parecchi», allude Schiavone, «avevano il grembiulino». Il punto di riferimento campano per il traffico di rifiuti, secondo Schiavone, era proprio Chianese, proprietario della discarica Resit nel Comune di Giugliano. Definito dalla procura di Napoli «l’inventore dell’ecomafia in Campania», recentemente la left 9 novembre 2013 Cassazione ha confermato la confisca di beni e conti correnti a suo nome per 14 milioni di euro. «Nelle dichiarazione di Schiavone», commenta Nicola Capone, delle Assise della città di Napoli, «non ci sono novità ma tutt’al più conferme. Già 2006 denunciammo che il traffico dei rifiuti tossici era intrecciato alla gestione dei rifiuti urbani e alla realizzazione delle grandi opere pubbliche. Non si può controllare lo smaltimento dei rifiuti tossici senza monitorare lavori pubblici e servizi come la gestione ordinaria dei rifiuti. Se non vogliamo che la mafia vinca dobbiamo pretendere il ripristino dell’uso agricolo dei terreni». I comitati campani e laziali, intanto, riuniti in una coalizione chiamata “Stop biocidio” stanno or- Nugnes (M5s): «Come mai le dichiarazioni di Schiavone vengono rese pubbliche solo ora?» ganizzando una manifestazione a Napoli per il 16 novembre, chiedendo alle istituzioni di bonificare il territorio. Ma la richiesta non convince tutti. «Questo interesse improvviso può non essere casuale», spiega Paola Nugnes, parlamentare del M5s. «Vogliamo conoscere il motivo per cui le dichiarazioni di Schiavone sono state desecretate solo ora. Chiederemo un incontro con la Dda per conoscere i processi in cui sono state utilizzate e con quali risultati». Il rischio è che il polverone su Schiavone serva ad offrire alle ecomafie un nuovo ricco piatto. «Si fa presto a dire bonifiche», mette in guardia Giuseppe Messina, agronomo e membro del consiglio nazionale di Legambiente. «Il fatto è che nessuna autorità politica, amministrativa o scientifica è in grado di dire quali sono i suoli e le falde oggetto di inquinamento da rifiuti speciali. Manca una regia e un monitoraggio dell’intero territorio interessato dal fenomeno. La “Campania Felix”, aveva i terreni più fertili del pianeta. Per iniziare è necessario realizzare un mappa dei siti contaminati. Le aziende agricole interessate dai fenomeni di inquinamento dei suoli dovrebbero essere messe in condizione di non nuocere alla salute pubblica. Poi sarebbe necessario mettere a dimora pioppi per la carta o noci e ciliegi per il legno. Per restituire poi tali terreni alle produzioni agricole tipiche del nostro territorio: foraggiere, ortaggi e frutta». 27 società di Rocco Vazzana foto di Alessandro Mallamaci LA MUSICA NON È FINITA Incendiato il Museo dello strumento musicale di Reggio Calabria. È l’ennesimo attentato in pochi mesi ai danni di spazi culturali, sociali e persino religiosi U n piede di porco e una tanica di benzina. Basta un armamentario povero per distruggere un patrimonio culturale accumulato in quasi vent’anni. Con questi attrezzi, nella notte tra il 3 e il 4 novembre, ignoti si sono introdotti all’interno del Museo dello strumento musicale di Reggio Calabria e hanno incendiato la struttura. Dei quasi ottocento pezzi esposti ancora non si sa quanti siano recuperabili. Demetrio Spagna, il presidente del Museo che dal 1996 ha speso energie e denaro per acquistare e catalogare strumenti musicali provenienti da tutto il mondo senza finanziamenti comunali, non sa darsi una spiegazione dell’attentato. «C’è una denuncia contro ignoti», spiega, «i carabinieri per il momento non hanno alcun sospetto. Per avere qualche elemento in più mi hanno chiesto se avessi un’amante (sorride, ndr) o se il Museo fosse appetibile da un punto di vista economico». Ma la creatura di Spagna, che occupa in affitto i locali di una stazione ferroviaria dismessa, non è una macchina che produce soldi, produce cultura in un Comune sciolto per infiltrazioni mafiose. «Non avevamo mai subito minacce», continua Spagna, «spero si tratti solo di un gesto compiuto da persone ignoranti che, in quanto tali, vanno aiutate». left 9 novembre 2013 Auspici a parte, a Reggio Calabria il fuoco è diventato quasi un modo di comunicare. Poco tempo fa, il 28 ottobre, è stata ritrovata una bottiglia molotov davanti all’ingresso della Procura generale, lo stesso portone che nel 2010 subì un attentato con una bombola del gas. Il 16 settembre, invece, lo sfregio delle fiamme è toccato a una chiesa ortodossa, in pieno giorno, mentre il parroco celebrava messa. Lo scorso anno, nel maggio del 2012, i “piromani” hanno preso di mira e distrutto il Centro sociale occupato autogestito “Angelina Cartella”. In una città in cui le ’ndrine controllano ogni angolo di territorio è difficile credere che i roghi siano opera di uno o più squilibrati. A Reggio anche l’esercizio personale del crimine ha spesso bisogno del consenso di una “autorità” criminale. Ma l’incedio al Museo dello strumento per ora non ha indiziati né movente. L’unica certezza è che l’area su cui sorge la struttura a breve dovrebbe essere interessata da importanti interventi urbanistici per realizzare il Waterfront, disegnato dalla celebre archistar irachena Zaha Hadid. Adesso la città si stringe attorno a ciò che resta del Museo. Già sono in programma eventi per finanziare il restauro degli strumenti scampati alle fiamme. Qualcosa cova sotto la cenere. Tre immagini del Museo dello strumento musicale di Reggio Calabria distrutto dalle fiamme 29 società left.it © BEVILACQUA/BUENAVISTA Si è abbassata la media di Donatella Coccoli Il diritto allo studio per tutti: il primo ottobre 1963 partì la storica riforma della scuola. Cinquant’anni dopo si rischia di tornare indietro. Con i tagli di Gelmini e Tremonti crescono le diseguaglianze. E i più deboli abbandonano «L Una lezione in una classe di una scuola media a Rubano (Padova) 30 a nuova generazione è impaziente; ecco un fenomeno che arriverà lontano». Così il 14 marzo 1962 Alberto Ronchey chiudeva l’articolo sulla scuola media unica che sarebbe iniziata di lì ad un anno, il primo ottobre 1963. La Stampa, il giornale della famiglia Agnelli, saluta la riforma del primo governo di centrosinistra come «una necessità urgente e chiara». Un evento straordinario. Anzi, una questione di giustizia sociale. Ronchey lo scrive in maniera esplicita: «Abolire la discriminazione classista fra i giovani destinati agli studi superiori e i giovani destinati al lavoro senza diritto d’appello». Cinquant’anni dopo siamo punto e daccapo. La scuola media unica - oggi secondaria di primo grado - rischia di perdere quella funzione per cui è nata. «Doveva riequilibrare i livelli di alfabetizzazione all’interno della società italiana. In realtà sta accadendo l’esatto contrario», afferma Mario Ambel direttore della rivista Insegnare del Cidi (Centro di iniziativa democratica degli insegnanti). Su competenze linguistiche, matematiche o scientifiche, la forbice si sta allargando paurosamente tra Nord e Sud, tra i licei e gli istituti professionali e anche tra le scuole di periferia e quelle dei centri storici. Poi da qualche anno arrivano i risultati del test Pisa che ci inchiodano sot- 9 novembre 2013 left società left.it to la media dei Paesi Ocse, oppure i contestati quiz Invalsi che fotografano un sistema scolastico a macchia di leopardo. Se queste valutazioni non convincono, perché non tengono conto delle differenze a livello sociale e culturale, balzano invece agli occhi i dati della dispersione scolastica. L’Italia con il 17,6 per cento degli abbandoni è al primo posto in Europa dove la media è del 14,1; al Sud la situazione è ancora più grave, con il 22,3 per cento di studenti in fuga. E «l’anello debole del sistema scolastico» secondo la vulgata sarebbe proprio la scuola media. Un “marchio” uscito dalla ormai famosa ricerca della Fondazione Agnelli del 2011, anche se, fa notare Ambel, in quella frase «c’era il punto interrogativo». Sotto la Gelmini la secondaria di primo grado è diventata “il buco nero dell’istruzione”, mentre il 19 ottobre scorso, sul Corriere della Sera, viene dipinta «in crisi di identità». Ma se è vero che la scuola media è in difficoltà, come lo è tutta l’istruzione dopo la valanga di tagli dell’era Gelmini-Tremonti (8 miliardi e 100mila posti in meno tra personale docente e Ata), una cosa è l’analisi della difficoltà e la ricerca delle soluzioni, altro è la demonizzazione. Perché nell’intento di demolire un impianto didattico viene il sospetto che lo si voglia sostituire con un altro. Sarà un caso, ma l’articolo di Gianna Fregonara sul Corsera raccomanda, con le parole del pedagogista Giuseppe Bertagna, di «integrare la scuola con la società e con il lavoro», con «il fare, l’esperienza applicata». Se poi ricordiamo che il ministro Gelmini ha permesso il completamento dell’obbligo scolastico - che dal 2006 è fino ai 16 anni - anche nella formazione professionale e nell’apprendistato, è facile dedurre che si stia tentando di dirottare la parte più debole degli studenti verso il mondo del lavoro. Come a far riemergere l’avviamento professionale che la legge 1859 del 31 dicembre 1962 aveva cancellato. Quel fatto, che a Torino fu vissuto in pieno boom economico, Mario Ambel se lo ricorda bene. «All’epoca avevo 12 anni: appartengo all’ultima classe d’età che ha scelto tra i due canali, l’avviamento e la scuola media per i licei», racconta. «La Confindustria decise di chiudere la scuola degli allievi Fiat, il fiore all’occhiello, il luogo dove si creava l’aristocrazia operaia. Fu una scelta left 9 novembre 2013 600 mila gli iscritti al primo anno della scuola media unica 1,67 milioni di iscritti ai tre anni di scuola media 2013-14 17,6 la percentuale di abbandoni scolastici. In Europa è 14,1 16 l’età dell’obbligo scolastico innalzata con la legge 296/2006 coraggiosa. Si preferì che tutti avessero gli stessi strumenti culturali e che la scelta per la professione fosse fatta dopo. Oggi invece avviene il contrario », conclude il docente torinese. La battaglia per dare agli italiani un’istruzione che rispettasse gli articoli 33 e 34 della Costituzione fu accesissima. Anche all’interno del Partito comunista, che pure l’aveva caldeggiata fin da subito, esistevano schieramenti opposti. Concetto Marchesi, per esempio, voleva che si mantenesse il latino, mentre Lucio Lombardo Radice era contrario e auspicava «l’ingresso dello spirito scientifico». Fatta la legge, attuarla non fu facile. Si dovette arrivare al ’79 per avere programmi «innovativi sia per la finalità complessiva che per le strategie didattiche», continua Ambel. E questo la dice lunga sulle resistenze (dall’alto e dal basso, talvolta) a mettere mano sul sistema didattico italiano. Una sorta di leit motiv che ha caratterizzato le decisioni di Viale Trastevere negli ultimi 15 anni: un balletto di leggi e regolamenti seguiti da parziali dietrofront. La Fiat, entusiasta, chiuse l’avviamento professionale «Le difficoltà sono antiche, vengono da lontano e riguardano tutto il sistema dell’istruzione in generale, anche se la scuola media ha mostrato le crepe più vistose», afferma Luigi Tremoloso, torinese, esperto di problemi didattici e autore di saggi, oltre che ex insegnante di scuola media. Intanto, spiega il professore, bisogna tener conto della realtà degli studenti. La fascia d’età tra gli 11 e i 14 anni è quella dei grandi cambiamenti psicofisici, la delicatissima adolescenza, in cui sempre più si fanno sentire le influenze dell’ambiente familiare, sociale e culturale. «Tutti motivi che richiedono una professionalità strutturata», sostiene Tremoloso, che invoca una più accurata formazione dei docenti nella pratica in classe, prima dell’abilitazione. E poi occorre un metodo di lavoro. «Il problema è che gli insegnanti agiscono come dei solisti, non organizzano i propri interventi attraverso lo scambio reciproco, il confronto metodologico, fattori fondamentali per rispondere alle richieste e alle esigenze degli allievi». Basterebbe un’organizzazione diversa e aumentare i consigli di classe oltre i tre canonici appuntamenti annuali 31 società left.it Gianna Fracassi, Cgil: «Contro la dispersione innalziamo l’obbligo scolastico fino ai 18 anni» riservati per la programmazione, i libri di testo, gli esami finali, compresa la prova Invalsi. «Sì, ai consigli di classe bisogna restituire contenuti», aggiunge Elena Pratesi, per 38 anni insegnante nella scuola media Lorenzo Ghiberti di Firenze. Pratesi è andata in pensione nel 2011 sotto il ministro Gelmini, ma gli ultimi anni sono stati duri. «Mancavano il lavoro collettivo e interdisciplinare, mancava una programmazione approfondita». Che invece sono alla base di tante esperienze che l’insegnante ricorda con piacere. Come quando insieme alle colleghe di arte e di inglese aveva organizzato un laboratorio sul passaggio dal Medioevo al Rinascimento. «Alla fine portammo gli studenti agli Uffizi; alcuni di loro facevano i ciceroni parlando in inglese e spiegando così bene che i turisti giapponesi si fermavano incantati». In alto l’Unità del primo ottobre 1963. La prima pagina apre sulla riforma della scuola media unica 32 Gli anni dei tagli hanno lasciato il segno. «Le gelminate sono state tante e si ripercuotono tutt’ora nell’organizzazione didattica», taglia corto Biancamaria Altavista, professoressa di italiano della scuola media E.Q.Visconti (il Viscontino), nel centro di Roma, sorella minore dell’omonimo prestigioso liceo. Per esempio, eliminare quelle tre ore a testa che i professori mettevano a disposizione ogni settimana per le supplenze, ha significato creare il caos. «I ragazzi senza il docente vengono divisi nelle classi, magari finiscono seduti per terra perché le aule sono piccole e intanto noi insegnanti ci sentiamo frustrati, come l’ultima ruota del carro». Altavista quando sente parlare di scuola media come “anello debole” si indigna: «È tutta la scuola italiana che è l’anello debole della società». Comunque al Viscontino un “metodo” l’hanno creato, proprio per rendere quei tre anni meno separati dalle superiori. «Un curricolo verticale, realizzato insieme ai docenti del liceo, proprio per accompagnare i nostri ragazzi e rendere il passaggio meno traumatico». Certo, se si concretizzasse la proposta formulata da Flc Cgil, la “cesura” sarebbe meno netta. «Innalzare l’obbligo scolastico fino ai 18 anni e rendere la scuola media un baluardo contro la dispersione», afferma Gianna Fracassi della segreteria nazionale Flc. L’obiettivo è ridare un po’ di ossigeno a quel segmento di istruzione maggiormente “gelminizzata”, che ha subìto i tagli più pesanti al tempo scuola e alle ore di insegnamento, mentre le classi sono sempre più numerose, con la presenza di alunni con disabilità o Bes (Bisogni educativi speciali). Qualcosa si è mosso in tempi recenti, riconosce Fracassi. «Le ultime indicazioni nazionali segnano un cambio di passo, puntano alla trasversalità, a una maggiore continuità con i livelli precedenti». Ma per attuarle servono più risorse, continua la sindacalista che mentre attacca la prova Invalsi «da abolire» annuncia che la proposta dell’innalzamento ai 18 anni sarà portata al congresso Cgil. Ma non sarà una battaglia semplice: lo spettro della selezione di classe in nome della meritocrazia è sempre dietro l’angolo, come si evince da altre ricerche della Fondazione Agnelli che attaccano il “mito dell’equità” che era alla base della riforma del ’62. «Il merito va sostenuto», conclude il professor Tremoloso, «ma nel senso della capacità che ognuno sa esprimere. E tutti hanno capacità che vanno sostenute». Insomma, è l’uguaglianza a fare della scuola media un ”anello fondamentale”. Il problema è che di uguaglianza ce n’è ancora troppo poca. 9 novembre 2013 left la scuola che non c’è società left.it La proposta di Andrea Ichino per risolvere i problemi dell’istruzione ai tempi della crisi Privatizzazionissima di Giuseppe Benedetti L a pervicacia con cui il Corriere della sera e Andrea Ichino in particolare provano a convincere i loro lettori che la scuola pubblica è ormai un lusso che non ci possiamo permettere allarga la fazione in appoggio all’istruzione privata (come si legge in “I contabili del sapere”, left del 26 ottobre 2013). Gli argomenti sono diversi: dal presunto rispetto della libertà di scelta invocato dai giornali della Chiesa e da quelli della crociata dei media berlusconiani contro i docenti parassiti e comunisti. Ma in ogni caso, dalla lettura di questi interventi sembra che si parli di un’altra scuola e di un altro Paese. Infatti l’istruzione viene presentata come un settore chiave per la ripresa italiana, la specialità strategica che, a patto di essere riformata profondamente, farà ripartire la nostra produzione. Come si riesca ad intuire ciò, in mezzo al disastro denunciato, resta un mistero. Secondo questa lettura, insegnanti e dirigenti, se solo lo volessero, potrebbero dare il “la” alla rinascita italiana, come politici illuminati e capitani d’industria dalle ampie vedute. Neanche il più impenitente reduce sessantottino tra gli insegnanti, oggi, dopo le sventurate novità della gestione Berlinguer e la funesta riforma “epocale” TremontiGelmini, penserebbe che sia la scuola a formare la società piuttosto che il contrario. Eppure per Andrea Ichino (“Tre scelte strategiche sulla scuola perché l’Italia torni a competere”, Corriere della sera, 21/10/2013) è proprio così. Se dobbiamo fronteggiare una gravissima crisi economica, ciò dipende dal fatto che la stragrande maggioranza dei professori, accecati dalla fede ideologica, si è occupata solo dei più deboli trascuran- left 9 novembre 2013 Si invocano investimenti esterni sorvolando sulle politiche scolastiche degli ultimi vent’anni do le eccellenze, che si sono annoiate e involute e, a lungo andare, hanno perso lo spirito d’impresa dei nonni e dei padri. Ma è fin troppo facile obiettare che l’ideologia della maggioranza degli insegnanti non c’entra nulla, perché, da Berlinguer in poi, sono piovute sulla testa dei docenti una sfilza di norme e circolari contraddittorie, quando non squinternate, e l’unica responsabilità che si può attribuire è una certa acquiescenza (in cui, però, c’è pure la convinzione che la serietà del proprio lavoro non possa essere scalfita da certi regolamenti). Ma nel suo articolo Ichino sorvola sulle scelte di politica scolastica degli ultimi vent’anni, limitandosi a suggerire gravi sospetti sulla responsabilità degli insegnanti rispetto all’attuale crisi del sistema dell’istruzione. E propone soluzioni ispirate alla filosofia della necessità. Riepilogando: i soldi non ci sono a sufficienza, perciò diamo- li solo ai meritevoli. Ma chi deciderà chi siano i meritevoli e il modo in cui riconoscerli è una questione tutt’altro che irrilevante, eppure non affrontata esplicitamente nell’intervento del Corriere. Siccome il livello di corruzione è tale che lo Stato, per rimanere nel campo dell’istruzione, non riesce neppure ad amministrare i concorsi, la proposta di Ichino è quella di affidare ai privati la gestione dell’istruzione. In una prima fase alcuni privati potrebbero fare da benefattori con i soldi di tutti i cittadini. Poi, toccherebbe a loro investire nella scuola rispettando pure l’interesse generale che sembra si voglia far coincidere con l’interesse dei più ricchi e fortunati. In ultimo Ichino suggerisce di attaccare gli sprechi della pubblica istruzione. Ma non nomina le consulenze d’oro, i carrozzoni degli uffici di ricerca dove s’imboscano gli amici degli amici, i progetti faraonici che durano una stagione. Si chiede invece se non sia uno spreco tenere in piedi il liceo classico. Ma, viene da ribattere, a quale principio economico corrisponde il piano di azzerare il segmento più efficiente della scuola italiana? [email protected] 33 inchiesta L orenzo è «alto, pelato, con gli orecchini», come si definisce lui. Lorenzo è uno studente romano che in età adulta ha scoperto di essere intersex - senza un sesso scientificamente definito. Fosse nato nella Germania di oggi, sul suo certificato anagrafico ci sarebbe una “X”. O una casella vuota, come prevede la legge entrata in vigore il primo novembre a Berlino, che consente di non indicare il sesso all’atto della nascita quando non sia possibile stabilire con chiarezza l’appartenenza di genere. Ma quella legge a Lorenzo non piace. «La “X” tedesca è persecutoria», spiega, «e non mette in discussione il potere medico». Un obiettivo che invece aveva animato i promotori della normativa. «Non si considera il contesto più ampio», prosegue Lorenzo, «perché oggi l’intersessualità è considerata una malattia. Si pretende di discuterne solo a livello scientifico. Invece si dovrebbe mettere in luce che non si tratta di una patologia, ma semplicemente di una condizione. Usando la parola disturbo si creano molti tabù». Un’opinione condivisa anche dalla sociologa e ricercatrice fiorentina Michela Balocchi, tra le poche a occuparsi del tema. «Di prassi, dalla metà del secolo scorso, in presenza di genitali non identificabili come chiaramente femminili o maschili molti neonati venivano sottoposti a interventi chirurgici. Ma questa non può essere considerata come l’unica soluzione nel caso di atipicità genitale alla nascita. E la contestazione», aggiunge Balocchi, «viene dalle stesse persone intersex che hanno subito l’intervento e che ne denunciano gli irreversibili e dolorosi effetti, mutilanti e traumatizzanti, nonché il senso di vergogna e di stigma per essere stati etichettati come sbagliati e diversi solo per l’aspetto dei propri genitali». Lorenzo ha provato queste sensazioni. «I medici si approcciano alle persone intersex come se avessero una malattia, non sanno niente di loro, non dicono quali saranno gli effetti a bre- La Germania riconosce per legge l’intersessualità. Ma tra codice civile e società il divario resta. A Berlino come altrove ve o lungo termine delle terapie e degli interventi. Il discorso sulla malattia serve a creare un individuo speciale, a sottolineare delle diversità, come può essere il cromosoma soprannumerario o la disfunzione. Se la questione principale è il benessere di una persona, se veramente si parlasse in termini di benessere, non si creerebbero inutili mostri». È quello che sostiene anche l’associazione internazionale Ilga (International lesbian, gay, bisexual, trans and intersex association), che contesta le pratiche di “normalizzazione” inflitte alle persone intersex, senza tenere conto del principio di autodeterminazione che è diritto di ciascun individuo. Anche perché la condizione di intersessualità in alcuni casi non si scopre alla nascita, ma in adolescenza. Succede nei casi asintomatici, come quello di Lorenzo. «Ti immagini scoprirlo dopo i 20 anni? È una co- Non è una malattia ma una condizione. E la chirurgia non è la sola risposta sa fondamentale di te. Nella scienza c’è chi considera le variazioni cromosomiche un disturbo e non una forma di intersessualità, chi viceversa. Io mi sento uomo, maschio, non mi considero né intersex, né una persona con un disturbo. Nel momento in cui la scienza mi dice che ho una malattia (cioè il mio cromosoma aggiuntivo) ma mi considera uomo per i miei organi genitali e mi sottopone a degli interventi o a delle cure ormonali, si perde di vista l’aspetto principale, cioè il mio benessere». Lorenzo è stato riconosciuto come maschio alla nascita, cresciuto come tale fino a 14 anni, quando ha iniziato a svilupparsi in lui anche il seno. «Avevo 21 anni quando i medici me l’hanno detto. Il mio problema fondamentale era che provavo il desiderio di avere un Chiara De Carolis corpo maschile e non UN GENERE TRA GLI ALTRI di inchiesta left.it Il sesso incomodo di Paola Mirenda La scelta tedesca mette in crisi il modello patriarcale. E preoccupa i fondamentalisti cattolici Lorenzo: «Non ho costruito l’uomo, ho soltanto ucciso la donna» «Uomo, donna, neutro». La legge tedesca dal primo novembre riconosce una terza alternativa nell’indicazione del sesso all’anagrafe 36 ho mai avvertito il seno non l’ho mai sentito una parte del mio corpo, quindi ho optato per una mastectomia. Però, dopo, quando mi hanno somministrato la terapia testosteronica (perché il mio corpo non produce un livello normale di ormoni maschili), l’ho percepita come una trattamento indotto: a un certo punto non sono più riuscito a capire quale fosse il desiderio mio e quale quello esterno, dei medici. Non hanno mai chiesto il mio parere. Ho scoperto che quando fai una domanda a un dottore lui solitamente ti risponde con un’altra domanda. Quando ho iniziato la cura di testosterone, era un gel che si spalmava: i medici mi hanno detto di metterlo sulla pancia o sulle spalle la mattina. Dato che io sono freddoloso, l’ho sempre spalmato sulle spalle. Adesso ho una “collana” di peli che prima non avevo, perché il testosterone stimola la crescita di bulbi piliferi. Non mi hanno mai dato informazioni, non mi hanno mai consigliato. Il mio corpo cambiava, mi è cresciuta la barba. Io non ero cosciente che con questa cura sarebbe successo questo. È stato uno shock ». Lorenzo si è sentito solo. Non ha mai avuto un’assistenza psicologica di base da parte delle strutture sanitarie pubbliche. Ha dovuto rivolgersi a uno psicoterapeuta privato. «Non sono stato affiancato da un percorso psicologico e, a parte le operazioni e la somministrazione di ormoni, nessuno mi ha mai chiesto come mi sentivo. Questo per me è il problema fondamentale. Dopo l’operazione al seno ho cominciato a pensare che avessi ucciso la mia parte femminile, facevo dei sogni in cui moriva sempre qualcuno. Nel sonno emergevano i miei problemi, le mie paure. Non ho costruito l’uomo, ho solo ucciso la donna». F emmina, maschio, altro. Nessuno dei due e nello stesso tempo tutti e due. Una “X” per definire il proprio sesso, oppure una casella da lasciare vuota. Dopo l’Australia è la Germania primo Paese in Europa - a riconoscere per legge l’esistenza delle persone intersessuali, permettendo di non dichiarare il sesso del nascituro all’atto della registrazione all’anagrafe «per evitare pressioni sui genitori e medicalizzazioni precoci». Dietro il linguaggio burocratico ci sono le centinaia di operazioni chirurgiche fatte ogni anno in Europa e giustificate con la stessa frase: «Lo facciamo per il suo bene», per non farlo/farla «crescere diverso». Diverso, cioè nato con cromosomi che non corrispondono a quelli che segnano inequivocabilmente la categoria binaria uomo/donna. O con un corredo ormonale che non segue l’aspetto fisico. A volte così nascosto da non venir individuato se non in età adulta, a volte così evidente da richiedere una decisione non facile. «Non c’è un unico “modello intersessuale”», spiega Giacinto Marrocco, chirurgo pediatrico all’ospedale San Camillo di Roma. «Ci sono invece più tipologie di “disordini della differenziazione sessuale”, come vengono chiamati in termine medico. E ognuno dipende dalla combinazione di più elementi». Solo in una ridotta percentuale di individui con stati intersessuali è impossibile determinare una predominanza maschile o femminile, a causa di una «mappa cromosomica a mosaico», spiega Marrocco, «che mescola gli elementi dell’uno e dell’altro sesso nelle cellule». Un terzo genere che nemmeno la legge tedesca entrata in vigore il 1 novembre scorso affronta davvero, lasciando la possibilità che sia il bisturi, e non la cultura, a “eliminare” la diversità. Perché gli intersessuali sono evirati, mutilati, uccisi (o al contrario considerati “divini”) a seconda del tempo storico e della società in cui si viene al mondo. In occidente la pratica più frequente è quella della chirurgia neonatale: 9 novembre 2013 left inchiesta left.it COLLETTIVO MADE IN ITALY © BAKKARA/AP/LAPRESSE In Italia, a parte i numerosi collettivi Lgbt, l’Arcigay, i movimenti e le organizzazioni per i diritti di omosessuali, bisessuali e transessuali, non ce n’è quasi nessuno che si rivolga alle persone intersex, a parte il collettivo intersexioni. Fondato da Michela Balocchi, che da anni si occupa di temi legati alle «disuguaglianze di genere, ai diritti delle persone intersex, omosessuali e optare per l’appartenenza a un sesso o all’altro - e intervenire rapidamente - è la prassi consolidata. Solo da pochi anni alcuni Paesi hanno riconosciuto la necessità di attendere uno sviluppo più completo della persona, adeguandosi alla richiesta della Ue e dell’Onu, che vietano operazioni chirurgiche senza un consenso informato. Il Consiglio d’Europa, poche settimane fa, ha invitato a non praticare nemmeno la circoncisione sui bambini, equiparandola alla tortura. Così come è giudicata tortura l’intervento su un neonato al solo scopo di attribuirgli un pene o una vagina. «Si cerca di tenere in primo piano l’interesse del bambino», spiega Marrocco. «Vanno considerati tutti i fattori, caso per caso. Contrariamente a quanto avveniva prima, se non c’è pericolo di vita si tende a rimandare l’intervento chirurgico, seguendo costantemente i piccoli e le loro famiglie. Ma ci sono genitori che chiedono di operare il prima possibile perché sono loro a non reggere l’impatto, sono loro che non ce la fanno nemmeno più a cambiare il pannolino. Non sono preparati. Nessuno è preparato». Così si chiede di intervenire chirurgicamente con una finalità, e lo riconoscono in alcuni casi gli stessi medici, che a volte è solo estetica. Perché non muta né la mappa cromosomica né il livello degli ormoni nel sangue. Perché non altera il discorso di fondo. E cioè che il genere non è binario, ma percorre più strade. Intersessualità non è omosessualità e non è transgender, ma per la cultura predominante risulta ancora più pericolosa perché mette in discussione la nozione di genere e la gerarchia uomo-donna. Lo avevano intuito i cattolici integralisti francesi, che già nel 2011 avevano contestato l’allora ministro dell’Istruzione Luc Chatel, che aveva definito il genere come il risultato della combinazione elementi sessuali e culturali. Chatel, esponente dell’Ump di Nicolas Sarkozy, voleva che la questione fosse affronta- left 9 novembre 2013 transgender, al sessismo e alla violenza di genere». Lo scorso settembre, a Milano, alcune attiviste si sono rese protagoniste di una protesta pacifica contro il IX Convegno di endocrinologia pediatrica. Pomo della discordia: alcuni interventi a favore delle operazioni di chirurgia estetica sui genitali dei bambini intersex come prassi accettata dalla coc.d.c. munità scientifica. Lo specialista Marrocco: «Per noi viene prima l’interesse del bambino» ta nelle scuole, una promessa contenuta anche nel programma di Hollande per le presidenziali del 2012. Nelle manifestazioni del maggio 2013 contro i matrimoni gay le associazioni pro famiglia e pro life lo ripetevano ossessivamente: «il matrimonio tra persone dello stesso sesso è il mezzo per arrivare alla teoria del genere». “Teoria del genere” resta una definizione sbagliata, perché si tratta di “studi sul genere”, che da gennaio 2014 entreranno nel programma scolastico francese. Oltralpe si insegnerà per esempio che la divisione dei ruoli nella sfera domestica e in quella lavorativa non discende da un ordine naturale - Eva, costola di Adamo - ma da una costruzione culturale. Per quanto questo sia evidente, la crisi economica ha offerto la scusa per rilanciare una visione della società patriarcale, con la donna nel ruolo di “angelo dei fornelli”, che i fondamentalisti di Dio sognano da tempo. La Germania, dove il peso della religione protestante è meno forte di quello che contrassegna la chiesa cattolica in Francia, ha aggirato parte del problema riconoscendo che, se i generi non sono due ma più di due, forse quella visione non è più possibile. Senza però scardinare, per timidezza del legislatore, l’idea di famiglia che è nel codice civile. Lì il matrimonio è ancora definito come l’unione tra l’uomo e la donna, e quella X che sarà apposta sui certificati di nascita si infrangerà contro quella barriera. E sarà semplicemente ritardato, e non eliminato, il momento della scelta obbligata. Eppure, e lo riconosce anche lo stesso Marrocco, ci sono casi in cui sarebbe bello « cambiare la società perché si adatti a un bambino con un sesso diverso, piuttosto che cambiare il bambino perché sia adatto alla società». Ma siamo lontani dal poterlo fare. Indonesia, il Gay pride. Le associazioni Lgbti sono le uniche a occuparsi dei temi dell’intersessualità 37 mondo 38 left.it 9 novembre 2013 left mondo left.it INTERPOL AI VOSTRI ORDINI di Cecilia Tosi L’organizzazione che riunisce tutte le polizie del mondo manca di un controllo centrale. E viene strumentalizzata dagli ex sovietici © MORI/AP/LAPRESSE «C left 9 novembre 2013 ontro il terrorismo ci sono due soluzioni: isolare i luoghi pubblici con le forze di sicurezza o permettere ai cittadini di girare armati». La dichiarazione arriva a Cartagena, Colombia, e lo speaker è un afroamericano di peso, che visto il suo incarico dovrebbe prediligere l’impiego di personale specializzato e non la giustizia fai da te: si chiama Ronald K. Noble e da 13 anni è segretario dell’Interpol, la rete che unisce le polizie di tutto il mondo. Ma la preferenza di Noble va chiaramente verso la seconda ipotesi: «Creare perimetri sicuri significa convivere con enclave estremamente militarizzate. Bisognerebbe considerare l’eventualità di strumenti di difesa personale». E il paradosso non finisce qui, perché aprendo la 58esima conferenza dell’Interpol Noble ha lodato i progressi dello Stato colombiano contro i cartelli della droga proprio da una delle tante enclave di sicurezza create nel Paese sudamericano per difendersi da gruppi terroristi, paramilitari e narcotrafficanti. Eppure ai 190 Paesi membri dell’Interpol (cioè tutto il mondo meno qualche isola dell’Oceania e la Corea del Nord) va bene così. Noble è già stato riconfermato a capo dell’organizzazione con base a Lione per ben due volte. Eletto all’unanimità anche per il suo terzo mandato, con un sostegno generale di cui gode fin da quando ha salutato l’11 settembre 2011 come la rinascita della funzione globale del coordinamento internazionale di polizia. È in nome della lotta al terrorismo, infatti, che i servizi di sicurezza di tutto il mondo sono pronti a collaborare e disponibili a superare ogni attrito ideologico. In nome di questa armonia glo- Il segretario generale dell’Interpol Ronald Noble nel quartier generale di Lione 39 © NIKOSKI/AP/LAPRESSE mondo I dissidenti politici vengono inseguiti anche da ordini di arresto non verificati Il presidente russo Vladimir Putin partecipa a una conferenza dell’Interpol 40 bale, Noble è disposto a intrettenersi in convenevoli con i diplomatici di ogni Paese, anche il più autoritario. Solo che a volte si fa prendere la mano, come quando ha incontrato il ministro bielorusso Anatol Kulyashov e si è complimentato con lui della professionalità con cui aveva risolto il caso dell’attentato alla metro di Minsk. Peccato che i due presunti colpevoli siano stati giustiziati senza aver subito nessun processo. D’altronde la Bielorussia è uno di quegli Stati che più contribuiscono all’attività dell’Interpol. Non in termini di finanziamenti, ma di red notice, quegli ordini di arresto nazionali che una volta rilanciati dall’organizzazione di Lione diventano internazionali. Minsk è accusata dalle organizzazioni per i diritti civili di tutto il mondo di imbastire indagini penali per colpire i dissidenti politici. E di tentare di raggiungere i nemici anche all’estero, attraverso gli strumenti forniti dall’Interpol. Ma ancora più sfacciati dei bielorussi sarebbero i russi, che spiccano mandati di cattura e richieste di estradizione con instancabile persistenza. Il segretariato dell’Interpol sostiene di controllare gli avvisi prima di pubblicarli, e di scartare quelli che ritiene politicamente motivati. Ma oltre alle red notice gli Stati membri dispongono anche dello strumento della “diffusione”, una richiesta di cooperazione «più informale» recita il sito dell’Interpol, «usata comunque per richiedere l’arresto o la localizzazione di un individuo. La “diffusione” viene fatta circolare direttamente dal vertice della sicurezza nazionale di ogni Paese ed è automaticamente registrata nel sistema di informazione Interpol». Gli uffici di Lione, però, respingono ogni accusa di strumentalizzazione, dichiarando che anche nel caso delle diffusioni si può successivamente - rimuovere l’avviso. E che tutti gli “esterni” possono fare appello a una commissione di controllo composta da 5 esperti. Rassicurazioni un po’ deboli se teniamo conto, come ha fatto Ted Bromund della Heritage Foundation, del numero degli avvisi che arrivano dagli Stati membri e del personale del segretariato Interpol. Se anche i funzionari internazionali lavorassero per otto ore al giorno per 365 giorni all’anno, secondo Bromund, l’Interpol avrebbe solo venti minuti per considerate il merito di ogni notice inserita dalle polizie nazionali. «Bisogna considerare che l’Interpol è un’organizzazione intergovernativa», ci spiega Simonetta Grassi, esperta legale dell’agenzia dell’Onu per la droga e la criminalità (Unodc). «Quindi i membri collaborano ma seguono in primo luogo la legge nazionale. È una scelta di ogni Stato se dare seguito a una red notice o garantire - ad esempio asilo politico a un dissidente». 9 novembre 2013 left mondo left.it L’Interpol non ha una sua personalità giuridica e non ha nemmeno un vero organo di controllo, a differenza della cugina Europol, basata a L’Aia, che dipende direttamente dalla Ue. L’organizzazione europea ha una sua autonomia e suoi agenti che possono collaborare con le indagini, ma sotto la supervisione delle istituzioni dell’Unione. A L’Aia ci si sente molto più imparziali che a Lione, ma nessuno ammetterebbe ufficialmente, per paura di danneggiare la cooperazione internazionale, che l’Interpol sia strumentalizzata da alcuni Paesi ex sovietici. Intanto, però, i dissidenti politici finiscono nelle carceri di mezza Europa e rischiano di venir estradati nei Paesi da cui sono fuggiti. In Italia il caso più noto è quello di Alma Shalabayeva, moglie del leader dell’opposizione kazaka Mukhtar Ablyazov. Prelevata il 29 maggio da un appartamento romano è stata estradata ad Alma Ata il primo giugno. Grazie a una red notice pubblicata da Interpol su richiesta dei kazaki il 31 maggio, e basata sull’accusa spiccata il giorno prima contro la Shalabayeva per “contraffazione di documenti”. Da allora il governo italiano ha revocato l’ordine di deportazione e quello kazako ha garantito che alla donna sarebbe stata concessa libertà di movimento, ma le sue dodici richieste di lasciare il Paese sono state regolamente respinte. Secondo l’organizzazione polacca Opendialog, che difende la libertà d’opinione in Kazakistan, l’arresto è avvenuto in virtù della cooperazione bilaterale tra polizia criminale kazaka e italiana, come del resto dipende dagli accordi bilaterali anche il futuro di tutti i collaboratori del marito. Lo stesso Ablyazov è stato arrestato quest’estate in Francia in seguito a una red notice di Interpol, ma Parigi temporeggia e non risponde alle richieste di estradizione fatte sia dalla Russia che dall’Ucraina, sostenendo di non avere un accordo bilaterale con i due Paesi. Ma a rischio estradizione ci sono anche la collaboratrice Tatiana Paraskevich, arrestata in Repubblica Ceca il 12 maggio 2012 e all’inizio del 2013 giudicata idonea a essere estradata in Ucraina, anche se i suoi avvocati stanno lottando per non farla partire. Un altro collaboratore dell’oppositore kazako, Muratbek Ketebayev, è stato arrestato il 12 giugno 2013 dai polacchi. E il capo della squadra di sicurezza di Ablyazov, Alexandr Pavlov, è nelle mani della polizia spagnola, raggiunto da una red noti- left 9 novembre 2013 Tutti i collaboratori del kazako Ablyazov rischiano di essere estradati ce per attacchi terroristici a Alma Ata, un profilo pericoloso confermato da un rapporto dell’intelligence spagnola, che lo ha giudicato una minaccia per Madrid anche sulla base dei comunicati stampa del procuratore generale kazako. A luglio è stata autorizzata anche la sua estradizione, sulla base di un accordo bilaterale che il procuratore del Kazakistan si sta preparando a firmare anche con la Repubblica Ceca, per poi aprire i negoziati con Italia e Slovenia. La maggior parte delle red notice “politiche” arrivano dalla Russia, sospettata di interferire con le elezioni in Estonia per il suo ordine di cattura verso il candidato sindaco di Tallinn Eerik Kross e di combattere la libertà di stampa anche in Spagna, dove è stato arrestato durante una vacanza il giornalista Petr Sllaev, meno male che era residente in Finlandia. Per non parlare della persecuzione contro l’avvocato per i diritti umani Sergej Magnisky, ucciso misteriosamente e poi processato post portem. La Russia ha spiccato un ordine d’arresto anche per uno dei suoi clienti più facoltosi, Bill Browder. Rifugiato nel Regno Unito e raggiunto da un avviso dell’Interpol. Londra non lo arresta, ma lui rischia comunque di finire in manette se supera i confini inglesi. È questa una delle conseguenze più “spiacevoli” della cooperazione internazionale: una volta pubblicata una red notice o una diffusione sul sistema Interpol, anche chi riceve asilo in un Paese rischia di essere arrestato quando si sposta in un altro. Ales Michalevic, candidato presidenziale in Bielorussia nel 2010, nel 2011 è stato arrestato dalla polizia polacca. Ora è libero e ha lo status di prigioniero politico, ma dichiara di aver paura a spostarsi fuori dai confini: «So dai miei contatti privati che sono ancora nel database criminale di molti Paesi ed evito di viaggiare fuori da Schengen». Anche l’Organizzazione per la sicurezza e la cooperazione in Europa è preoccupata: al suo 22esimo meeting annuale si è lamentata che alcuni Stati membri cerchino l’arresto degli oppositori sfrumentalizzando il sistema Interpol. Ma da Lione rispondono: «Non c’è nessun paese che usi il canale Interpol in modo inappropriato. Non sistematicamente». Il passaporto di Alma Shalabayeva, moglie di Mukhtar Ablyazov 41 mondo left.it FUGA DA UN MATRIMONIO di Elisa Murgese da Londra In Gran Bretagna sono migliaia le ragazzine che scompaiono durante l’estate. I genitori le portano nei Paesi d’origine e le costringono a sposarsi con uno sconosciuto. Storia di una donna che è riuscita a scappare e di un premier che non vuole lottare L a proposta era semplice: un elenco di tutti i minori che dopo le vacanze estive non tornano sui banchi di scuola. Secondo le associazioni che combattono contro i matrimoni forzati nel Regno Unito, sarebbe infatti servito a monitorare i casi più gravi. Tra le comunità arabe e quelle del subcontinente indiano è molto diffuso l’escamotage di portare la figlia nella madrepatria dei genitori per i mesi estivi e di approfittare delle vacanze per costringerla a un matrimonio frettoloso con un marito mai visto prima. Un viaggio senza ritorno. Ma la proposta di un elenco degli scomparsi non è passata. Oltre 1.500 denunce di matrimoni forzati denunciati ogni anno (8.000 i casi totali, secondo le stime del governo) non hanno convinto David Cameron ad agire fermamente contro il fenomeno. «Le assenze dei minori dalle aule sono già registrate dopo ogni trimestre», ha replicato il primo ministro, pur sapendo che i normali registri delle assenze non costituiscono un disincentivo per i genitori intenzionati a sequestrare le figlie. © DUNHAM/AP/LAPRESSE 42 9 novembre 2013 left mondo left.it Abuso sessuale. Abuso fisico. Abuso mentale. Sono queste le violenze che subiscono migliaia di ragazze in Gran Bretagna. Alcune rischiano persino di venire uccise, se rifiutano di sposare uno sconosciuto in una terra lontana. Di conseguenza, il tasso di suicidi tra le donne asiatiche residenti in Regno Unito è tre volte superiore alla media nazionale. I dati forniti dal governo sono sconcertanti. Nel 2012 il 13 per cento dei matrimoni forzati ha riguardato spose sotto i 15 anni. Sempre a detta del governo, nel 2012 si è verificato anche un caso di una sposa bambina di soli due anni. Le comunità più coinvolte sono quelle provenienti del sud est asiatico: Pakistan, India, Bangladesh. Ma anche Arabia Saudita e Yemen. E la pratica è diffusa anche tra le famiglie che vivono in Inghilterra da generazioni. «Le ragazze devono sapere che quanto viaggiano fuori dall’Inghilterra potrebbero essere invitate al loro stesso matrimonio. Devono capire chiaramente a chi rivolgersi in caso di pericolo», sostiene Aneeta Prem, presidente di Freedom charity, un’associazione che dà assistenza alle bambine fuggite dai matrimoni forzati. Un primo timido passo il governo inglese lo aveva fatto nel 2005, quando aveva istituito un’unità specializzata all’interno del ministero degli Esteri. A posteriori, però, si è rivelata una semplice pagina web e un numero di telefono poco gettonato. E dal punto di vista legislativo il Regno Unito resta nell’impasse. L’unica legge in materia è del 2008: dà la possibilità alla vittima, a un’autorità locale o a un conoscente di chiedere l’intervento della polizia per bloccare un matrimonio forzato. Le autorità possono emettere un ordine di custodia per il minore e se i genitori lo violano vengono condannati a due anni di carcere. Ma negli ultimi cinque anni il fenomeno non si è ridotto minimamente: «In genere, le vittime non si rivolgono alla polizia perché hanno paura di penalizzare i propri genitori», spiega Nazia Khanum, autrice di un rapporto sui matrimonio forzati nella comunità pakistana. «Tra le ragazze, casi di automutilazione e suicidi sono all’ordine del giorno. Purtroppo è impossibile calcolare il numero di spose bambine». Tasleem Mulhall ha rischiato questa fine. Nata in Yemen, la sua famiglia si è trasferita a Londra quando lei aveva solo pochi anni. Tasleem ha lo sguardo intenso dei sopravvissuti. «È stata dura. Ogni estate tremavo all’idea di andare in vacan- left 9 novembre 2013 za con i miei genitori in Yemen. Mi sentivo soffocare. Più di una volta ho pensato al suicidio». La sua adolescenza è stata troncata a 15 anni, quando i suoi genitori le hanno detto che si sarebbe dovuta sposare con un uomo del loro Paese natale. «Non posso dimenticare quel giorno. Mio padre mi ha picchiata, mia madre ha visto tutta la scena, eppure non ha fatto niente: come poteva volermi sposata quando era appena una bambina?». Tasleem è scappata di casa. Ha vissuto per le strade di Londra per mesi. Poi si è rivolta a Freedom Charity, che l’ha tolta dalla strada e dato un futuro. Da allora Tasleem non ha più rivisto i suoi genitori. «Ribellarsi alla tua famiglia significa pagare un enorme prezzo per il resto della tua vita. Qualche mese fa sono andata a trovare mio fratello, perché gli è nata una bambina. Lui mi ha letteralmente cacciato di casa». Ora Tasleem lavora per Freedom charity e cerca di aiutare altre ra- «Ribellarsi alla famiglia significa pagare per il resto della tua vita», racconta Tasleem gazze a scappare da un futuro segnato, consapevole che nel Regno Unito le spose bambine «non hanno abbastanza aiuti, per non dire nessuno». Mentre il ministero dell’Educazione respinge la proposta di creare un elenco dei bambini scomparsi, la legge per la criminalizzazione dei matrimoni forzati prende polvere in Parlamento. Obbligare la propria figlia a sposarsi, nel Regno Unito, è solo un illecito civile. Una proposta per renderlo un reato penale - senza passare da un ordine di custodia che non diventa mai effettivo - esiste, ma è inserita nell’appendice di un progetto di legge fermo alla terza lettura alla Camera dei Comuni. Alle bambine rapite dai loro stessi genitori restano solo i consigli dati dalle associazioni per i diritti umani, come quello di nascondere un cucchiaino metallico nelle mutande quando le portano via, in modo da far scattare il metal detector ai controlli aeroportuali. Così gli addetti alla sicurezza possono portarle in un’area sicura e farle denunciare gli abusi. Sembra impossibile, eppure anche in Gran Bretagna mancano gli strumenti per combattere questa forma di schiavitù. «È difficile raccontare la mia storia qua», conclude Tasleem, «perché nessuno si aspetta che una violenza del genere possa accadere in Inghilterra». In apertura, famiglie di origine straniera a Londra. Sotto, Tasleem Mulhall, scappata da un matrimonio forzato a 15 anni 43 cultura LLa legge che u uccide la ricerca 50 LLa poesia civile d di Sereni 54 Ultimo scatto U a Parigi Architetture utopiche. Unire sostenibilità, bellezza e bassi costi è la sfida dello studio italiano di architettura di progettisti dell’utopia, i Tamassociati, che lavorano per Emergency, realizzando strutture come questa in foto. Le realizzazioni di Tamassociati in Africa sono in Sudan, Sierra Leone e Repubblica Centrafricana e hanno curato gratuitamente oltre 700mila pazienti. Il 7 novembre hanno vinto il loro terzo premio internazionale. © MASSIMO GRIMALDI 46 scienza left.it Una legge disumana di Federico Tulli La norma anti vivisezione in discussione alla Camera introduce paletti che avranno gravi ricadute sulla nostra salute. Gli scienziati spiegano perché © BUKATY/AP/LAPRESSE D 46 ivieto assoluto di test scientifici su cani, gatti e primati e dei trapianti fra specie diverse (xenotrapianti). Introduzione della norma già ribattezzata “Green Hill”, dall’allevamento di beagle scoperto vicino Brescia, che proibisce in Italia l’allevamento di animali destinati agli esperimenti. Vietate alcune pratiche comuni come i test per droghe, alcol, tabacco, armi. Obbligo di anestesia e analgesia nel caso in cui gli esperimenti dovessero risultare dolorosi. Incentivi a metodi di ricerca alternativi ai test animali. Questo in sintesi è l’articolo 13 della legge sulla sperimentazione animale approvato dalla Camera il 31 luglio per recepire la direttiva Ue sul tema. Il passaggio alla Camera è stato accolto con scon- 9 novembre 2013 left left.it certo dalla comunità scientifica convinta che sia messa seriamente a rischio la possibilità di eseguire test pre clinici sugli animali e con essa la ricerca per la cura dell’Hiv, del cancro, delle malattie genetiche. Per non dire della medicina personalizzata e di quella rigenerativa che utilizzano cellule staminali da iniettare in cavie animali. Il divieto agli xenotrapianti, ad esempio, causerà il blocco di ricerche in campo oncologico: iniettando cellule tumorali nella cavia si può seguirne lo sviluppo, testarvi nuovi farmaci o migliorare i protocolli attuali, fino ad arrivare in futuro alle terapie personalizzate. La ricerca di base, che studia i meccanismi cellulari delle malattie, perderebbe una tecnica essenziale utilizzata quotidianamente. Questa denuncia ha scatenato una du- left 9 novembre 2013 scienza Un topo di laboratorio fa capolino dalla mano di un tecnico 47 scienza left.it © MAYE-E/AP/LAPRESSE SPERIMENTAZIONE ANIMALE INUTILE IN PSICHIATRIA La biologa Dejana ha denunciato i danni che produrrebbe la legge anti-vivisezione nella ricerca sulle malattie organiche. Ma cosa accade invece, nell’ambito delle malattie mentali? «L’impiego degli animali nella ricerca psichiatrica», spiega Paolo Fiori Nastro docente di psichiatria alla Sapienza, «parte dall’idea che la manifestazione comportamentale sia l’aspetto preponderante della malattia e che questa sia di matrice organica. Per cui la cavia diventa una brutta copia dell’uomo. Quest’idea è nata con la psichiatria, non è nuova. Ma tale ipotesi eziologica non è mai stata confermata». Tutto ruota intorno a una corrente di pensiero sviluppata negli Usa e che arbitrariamente ha modificato l’ipotesi in certezza, inoculandola nel pensare comune. «Qualunque cosa una persona pensi o provi deve avere un corrispettivo biologico, così come è ovvio che ci possano essere manifestazioni organiche in chi 48 presenta sintomi psichiatrici. Ma non è qui la matrice della malattia che, invece, è generata dall’“incontro” tra la realtà interna individuale e l’ambiente esterno». Secondo Fiori Nastro, l’impostazione “americana” si limita a osservare i sintomi evidenti e ciò comporta un uso improprio di farmaci: «L’aspetto più deleterio è quando si usano in soggetti molto giovani», a discapito della psicoterapia che invece valuta «il significato del messaggio proposto dal paziente». «Dati scientifici dimostrano peraltro che l’ipotesi biologica aumenta la distanza tra società e malati. Difatti lo stigma colpisce soprattutto gli schizofrenici, per i quali prevale l’ipotesi biologica, e meno i depressi perché è buon senso comune pensare che una depressione sopraggiunga per tanti motivi non biologici. Laddove si pensa che la causa sia biologica la gente isola il malato mentale e i pazienti si allontanano dal servizio psichiatrico». f.t. © OCKENDER/AP/LAPRESSE ra polemica con gli animalisti - capeggiati tra gli altri dall’ex ministro del Turismo Michela Brambilla - che ha polarizzato l’attenzione dei media molto più del merito della discussione. Così è passato in secondo piano che la direttiva Ue sia molto meno restrittiva della legge italiana. Intanto le organizzazioni anti-vivisezione sono ancora sul piede di guerra: il 31 ottobre scorso hanno depositato un milione di firme alla Commissione europea per chiedere una normativa che metta fine alla pratica della vivisezione in Europa, sulla scia del definitivo stop ai test sugli animali per i prodotti di cosmesi in vigore da marzo 2013. Quali possono essere le conseguenze di questa logica che mette sullo stesso piano la produzione di un rossetto e la battaglia contro i tumori e l’Aids? Si può davvero fare a meno dell’impiego di cavie in laboratorio sostituendoli con metodi alternativi, come sostengono i fautori dell’articolo 13? E quali ricadute sulla salute umana comporterebbe l’entrata in vigore della norma appena descritta? left ha rivolto queste domande alla biologa dell’università di Milano Elisabetta Dejana. «All’interno degli stabulari italiani gli animali sono trattati meglio che altrove», premette Dejana, che dirige il programma di ricerca. Il sistema vascolare del cancro all’Ifom (Istituto Firc di Oncologia molecolare). «La normativa Ue», spiega, «è molto rigorosa poiché frutto di almeno vent’anni di dibattiti tra le forze politiche, i ricercatori e i gruppi animalisti. Dibattito che in Italia non c’è stato e questo porta oggi a confondere la 9 novembre 2013 left scienza left.it ricerca con la vivisezione. Con un ulteriore inasprimento delle restrizioni, l’Italia potrebbe restare fuori dal mondo della ricerca con gravi ricadute anche in campo clinico. Quindi sulla salute dei cittadini». Il tempo per rimediare ci sarebbe. Come spiega il movimento di ricercatori italiani Pro-test, il procedimento approvato non è una norma che definisce i termini di recepimento della direttiva. Ma è una legge che delega il governo a scrivere il decreto di attuazione della direttiva 2010/63/Ue. Il testo, che dovrà quindi ripassare in Parlamento per l’approvazione finale, è ora in discussione alla commissione Politiche Ue della Camera, comprensivo degli emendamenti che limitano in maniera grave la ricerca medica. E che peraltro rappresentano un’infrazione che può costare all’Italia 40 milioni di euro se la conversione definitiva non dovesse arrivare nei termini previsti. L’articolo 2 della direttiva infatti concede agli Stati di mantenere regolamenti più restrittivi solo se essi erano già in vigore a novembre 2010, ma non permette di introdurne di nuovi. Tra i passaggi messi all’indice c’è quello che si fonda sull’idea che l’uso degli animali sia inutile perché non si possono riprodurre risposte identiche agli esseri umani. «L’uso degli animali», osserva la biologa, «si è ridotto di almeno il 50 per cento negli ultimi anni e nel 95 per cento dei casi quando si parla di cavie ci si riferisce a topolini, pesci (Zebra fish), rane e moscerini della frutta. L’uso dei cani per lo studio di malattie cardiovascolari è stato molto ridotto e sostituito dall’impiego di maialini che hanno un sistema vascolare cardiaco più simile a quello umano. I gatti non sono più usati da decenni. E anche le scimmie sono impiegate molto raramente. Ma il loro utilizzo è insostituibile nelle ricerche sull’Aids perché il virus Hiv infetta solo l’uomo e i primati. Essenzialmente tutti i trattamenti in grado di curare o di lenire le principali malattie dell’uomo come i tumori, le malattie cardiovascolari, infettive o genetiche, derivano dalla ricerca sugli animali». Anche l’impiego esclusivo di tecniche diverse dall’uso di cavie animali non sembra un’alternativa percorribile. «Chi ha scritto quella norma sembra non sapere che la ricerca in oncologia si serve già di lieviti, cellule in cultura, strumenti biochimici e bioinformatici. Basta seguire la letteratura per capire come sia nell’interesse di tutti, quando possibile, usare altri mezzi. Tuttavia ci sono ca- left 9 novembre 2013 si in cui non c’è scelta. Come si può riprodurre artificialmente il processo complesso della proliferazione tumorale o delle metastasi? E un infarto del miocardio? Sono malattie d’organo in cui concorrono diverse cellule e processi biochimici che non si possono, almeno per ora, riprodurre in maniera attendibile con metodi alternativi». Nel 2012 il Nobel per la medicina è stato assegnato a Shinya Yamanaka. Lo scienziato giapponese è riuscito per primo a riprogrammare cellule staminali adulte di topo fino a farle diventare pluripo- La biologa Dejana: «Il blocco alla ricerca mette a rischio la vita di migliaia di pazienti» tenti, rendendole simili alle preziose caratteristiche delle cellule embrionali (totipotenti) che, essendo indifferenziate, sono in grado di dar “vita” a qualsiasi tessuto. Si deve a lui il salto di paradigma compiuto dalla medicina rigenerativa e da quella personalizzata. Se Yamanaka si trovasse in Italia, il divieto degli xenotrapianti gli impedirebbe di lavorare. Si è accennato al blocco che potrebbe subire la ricerca in oncologia. Non è l’unico. «Vietare il trapianto di organi o cellule da una specie all’altra è un aspetto molto grave, con conseguenze decisive per la ricerca e la cura di molte patologie umane. Le staminali sono in grado di rigenerare diversi tipi di tessuti come il cuore o cellule nervose e muscolari. In alcune condizioni sperimentali si possono utilizzare cellule di altre specie che, dopo l’impianto, permetterebbero di curare tessuti malati. Ad esempio in caso di malattie nervose degenerative come il Parkinson o l’Alzeimer. Oppure muscolari, come la distrofia di Duchenne». Ma ancor più immediato sarebbe il danno per decine di migliaia di malati di cuore. «Oggi in Italia sono impiantate 300mila valvole cardiache di origine suina e 400mila di origine bovina», racconta Dejana. «Vengono utilizzate per sostituire le valvole danneggiate, salvando la vita ai pazienti. Rispetto ai vecchi modelli in metallo garantiscono migliore efficacia e migliore qualità di vita, evitando l’utilizzo di anticoagulanti orali e riducendo il rischio di ictus e la formazione di trombi. L’emendamento “italiano” impedirebbe di proseguire nella ricerca e migliorare ulteriormente questo tipo di cure». Nella pagina accanto, a sinistra, una ricercatrice taglia un frammento di Dna sotto una luce UV. A destra, uno scienziato inocula il virus potenzialmente letale dell’H5N1 in un uovo 49 cultura left.it Nella tela del poeta Vittorio Sereni di Simona Maggiorelli La riflessione sulla storia della Resistenza, la memoria, la forza di versi dalla vena etica e civile. Il critico Pier Vincenzo Mengaldo invita a rileggere l’opera dell’autore luinese. A cent’anni dalla nascita T alvolta gli anniversari possono essere un’occasione non rituale per ricordare sui giornali autori che nulla hanno a che fare con le mode e con il mercato. È questo il caso del centenario della nascita di Vittorio Sereni (1913 - 1983), intellettuale schivo, poeta civile e della memoria che seppe trasformare la propria esperienza di prigioniero in guerra e poi di testimone della brutalità del capitalismo in una potente metafora collettiva e in liriche dal valore universale. Poeta della rivolta alla sopraffazione ma anche autore di versi “nutriti di bellezza”, Sereni resta una delle voci più limpide e coinvolgenti del nostro Novecento. A fine ottobre, a Milano, a rendergli omaggio in una tre giorni organizzata dalla Fondazione Arnoldo e Alberto Mondadori sono stati i maggiori italianisti. In primis Pier Vincenzo Mengaldo che al poeta luinese ha dedicato molti e importanti scritti. «Dal punto di vista scientifico sono emersi temi nuovi rispetto alla critica sereniana classica, ma soprattutto - nota il docente dell’Università di Padova - è stato un convegno “fresco”, con un’ampia partecipazione di critici trenta-quarantenni. Il che conferma quanto ho subodorato da tempo: fra i classici del Novecento Sereni oggi è il poeta dei giovani. Conoscendolo, lui se ne sarebbe molto rallegrato».E il pensiero corre alle pagine del volume Per Vittorio Sereni, appena uscito per Aragno, in cui Mengaldo traccia un intenso ritratto dell’uomo Sereni, prima di tuffarsi nell’interpretazione dei versi degli Strumenti umani, di Stella variabile e di altre sue raccolte. «Sono stato suo amico. L’ho cono- 50 sciuto molto bene. È stata la fortuna della mia vita», ci dice Mengaldo con calore. Riservato e inquieto, sempre insoddisfatto e alla ricerca, Sereni nell’arte come nella vita rifuggiva dalla retorica e da ogni atteggiamento pedagogico. A differenza di Ungaretti - ma anche di Luzi e diZanzotto - non amava i toni perentori, ultimativi. «Per dirla alla buona, era un poeta esistenziale - sintetizza Mengaldo - lavorava sulle esperienze dirette. Moltissimo sulla propria memoria. E diversamente dai suoi contemporanei lo faceva senza nessuna tendenza orfica. Il suo era un procedere “raso terra” che miracolosamente diventava sempre una forma perfetta, qualcosa di estremamente terso e affascinante». Forma perfetta ma anche grande essenzialità. Tanto che le sue poesie paiono sempre dettate da una forte necessità interiore.«Sereni non è certo un poeta a cui si possa togliere qualcosa»,commenta scherzosamente Mengaldo. «È un poeta di una essenzialità di produzione pari a quella di Leopardi, che ci ha lasciato solo 41 Canti. Le raccolte di Sereni sono quattro e tutte rastremate, essenziali. Per quello che ho potuto cogliere - approfondisce il professore - dipendeva anche dal suo modo di lavorare. Non si metteva a tavolino ad attendere il ricordo. Lasciava che emergesse la memoria e poi si metteva a scrivere».Dietro ai versi di Sereni c’era sempre una lunga elaborazione interiore. Ma il risultato finale era di grande sprezzatura, non si avverte la fatica. «In quel monumento che è l’edizione critica delle poesie di Sereni curata da Dante Isella si può vedere il lavoro varian- 9 novembre 2013 left cultura left.it tistico. Sin dal Diario d’Algeria (1949) Sereni sposta dei blocchi qua e là, abbandona delle poesie lunghe a favore di poesie brevi e fulminanti, la sua elaborazione non tocca solo il dettaglio, ma il lavoro d’insieme».Nel libro Per Vittorio Sereni Mengaldo evidenzia anche un altro tratto affascinante: Sereni lavorava per stratificazioni successive, quasi a lasciar emergere a poco a poco l’immagine. Evocando indirettamente un’assonanza con il modo di dipingere di Paul Cézanne «Tanto amo il maestro di Aix che tenderei a dire che tutto il XXI secolo è cezanniano», dice Mengaldo. «Ha creato un modo di lavorare per stratificazioni che, a mio avviso, influenza profondamente anche la letteratura e la musica». Da un altro punto di vista, suggestiva è anche la vicinanza di Sereni a un artista come Nicolas de Staël. «Sereni amava molto alcuni pittori in particolare Ennio Morlotti, anche lui maestro delle stratificazioni. Con De Staël c’era però qualcosa di particolare», ricostruisce Mengaldo. «Sereni ne approfondì la conoscenza anche attraverso il poeta francese René Char. Soprattutto in Stella Variabile (1981, Einaudi, 2010) lo avvicina a De Staël un modo di creare per frammenti essenziali. Tutta la serie che s’intitola Traducevo Char è di un’essenzialità impressionante. In poesia quello che non si dice è altrettanto significativo di ciò che si dice. E quel modo di scrivere versi penso arrivi a Sereni (che pure era un poeta molto personale) anche attraverso il corpo a corpo con Char». Il quale tuttavia, come notava Fortini, era un poeta del sublime e dunque molto lontano da Sereni.«Credo che Fortini avesse ragione» ribadisce Mengaldo, che del rapporto fra Sereni e Char ha scritto in Due rive ci vogliono (Donzelli, 2010). «Sereni nel secolo scorso è stato uno dei più grandi traduttori insieme a Montale. I poeti in genere traducono per affinità o per contrasto. E il caso dell’ultima traduzione da Char è un chiaro caso di contrasto. Bisogna però tener conto che Sereni ha cominciato con Char per affinità, traducendo Fogli di Hypnos (1946) che sono un qualche analogo dal punto di vista della Resistenza della guerra del Diario d’Algeria di Sereni. Quello che lo ha spinto a tradurre quei versi (tra- left 9 novembre 2013 Le poesie di Vittorio Sereni uscite nei Meridiani Mondadori. Sotto, il nuovo libro di Mengaldo. In alto, a destra, una versione della montagna Saint Victoire di Cézanne, al centro Agrigente di Nicolas de Staël, a sinistra un disegno di Morlotti e in apertura un ritratto di Sereni dotti anche da Celan) fu un caso di affinità. In Ritorno Sopramonte invece è per contrasto. Il sublime in Char è sempre dichiarato, è sempre cercato, mentre Sereni non era un poeta sublime. O meglio: cercava il sublime per vie meno affermative, più sottili, più implicite».E se Char era il poeta della Resistenza imbracciata, Sereni non smise mai di riflettere su quello che avvertiva come un appuntamento mancato con la storia, la propria mancata partecipazione diretta alla lotta contro il nazi-fascismo, perché prigioniero in Algeria. «Sereni era riluttante ad ogni ideologia dichiarata», ricorda Mengaldo. «Ma non vuol dire che non avesse sue convinzioni. Era vicino alle idee socialiste. Anche se per un certo periodo si avvicinò al Pci. Del resto era anche inevitabile. Con «Fra i classici del Novecento oggi è il più amato dai giovani» la crisi e il disfarsi del Psi, il Pci in Italia diventò l’unica forma di socialismo possibile». Sereni, del resto, era stato allievo di Antonio Banfi e aveva frequentato la scuola fenomenologica di Milano vicina a Giustizia e libertà. E fu redattore del Giornale di Mezzogiorno del socialista Riccardo Lombardi. Ma tutto cambia quando durante la guerra sperimenta la prigionia. «In quel capolavoro che è Diario d’Algeria si vede che quella è stata una ferita che non si è più rimarginata. La ferita di Sereni», sottolinea Mengaldo, «è stata non poter partecipare direttamente alla Resistenza. Anche per questo si sentì sempre una persona inadeguata al suo tempo. Su tutto ciò s’innesta poi l’esperienza neocapitalistica che Sereni ha vissuto da vicino lavorando per Pirelli e poi, a lungo, per Mondadori. Un capitalismo che gli ha fatto dire “non lo amo il mio tempo, non lo amo”». Da qui il suo essere alla continua ricerca, il suo pensarsi un viaggiatore, un Wanderer? «Nel Diario di Algeria il tema del prigioniero si affianca a quello del viandante. E colpisce il numero di poesie in cui Sereni mette in scena in modo più ristretto il tema del viandante, ovvero spostarsi da dove si è andando in cerca di qualcosa di diverso da quello che si è». 51 trasformazione Massimo Fagioli, psichiatra Venne prima lo scarabocchio che faceva percepire soltanto il contrasto tra bianco e nero LA POESIA del corpo che si muove O ra è novembre. Quando ottobre volgeva verso la propria fine, il corpo era rilassato perché l’atmosfera era leggera. L’ottobrata romana si lasciava andare nelle braccia della luce e del calore dell’estate di S. Martino. Le gambe gioiscono perché possono vivere la forza e l’elasticità di una giovinezza ritornata. Immagino i milleottocento metri su cui i miei piedi fanno tremila passi ogni giorno, per quattro giorni alla settimana. Ora c’è la pioggia ed il vento freddo ma, in verità, la costrizione a restare al chiuso senza i raggi del sole, mi permette di osservare meglio, ancora una volta, la realtà senza immagine di ciò cui è stato dato il nome di cultura. La mente umana, quando il pensare aveva avuto il nome di illuminismo, si interessò e cercò di comprendere quel “qualcosa”, oltre la coscienza, a cui non riuscì mai a dare il nome di pensiero. Erano immagini senza linguaggio articolato. Già ai tempi della Bibbia e di Omero si parlava di immagini. Hanno sempre turbato e sconvolto la mente cosciente perché non venivano riconosciute come ricordi. Erano forme strane che svanivano come se non avessero esistenza nel tempo. Il pensiero religioso disse che le immagini erano mandate dagli dei o, nel cristianesimo, che erano dovute a dio o al diavolo che, nel sonno, entravano nella mente. Poi la razionalità, che non aveva nessuna possibilità di sentire e vedere il pensiero senza coscienza disse: eredità filogenetica di milioni di anni. Ovvero vennero da quando non esisteva l’essere umano. Ora qualcuno ha voluto ricordare l’impossibilità di avvicinarsi alla mente che fu definita inconoscibile scrivendo di una vecchia trasmissione che presentò la cosiddetta psicoanalisi come consigli del buon padre, del parroco, o di un amico. Nessuna ricerca sul pensiero senza coscienza, soltanto un vago accenno all’esistenza di sogni. Inesistente l’idea della possibilità della loro interpretazione. C’è sempre Platone che impone di pensare che l’identità umana è coscienza e razionalità. Milleottocento metri, tremila passi. Nella realtà della coscienza è un cammino facile, nei sampietrini dei marciapiedi e nell’asfalto della strada. Ma esiste un’altra realtà, quella del tempo della vita. È ormai un lungo cammino spesso accidentato che ferisce e fa i piedi dolenti e le gambe che si indeboliscono. Talora è sempre liscio come se fosse marmo bianco e l’assenza di colore nasconde l’attrazione del volto che fa cadere la stazione eretta, come fossimo allo stadio animale. Talora è affascinante nei colori e nelle figure mostruose come se fosse un mosaico bizantino. Ed accadde che mi scontrai tre volte con la natura non umana che non ha il movimento dell’immagine interiore. Tendeva a ricondurmi allo stato inorganico perché il suo essere non umano aveva la “mancanza” dell’essere che non era “carenza” che viene superata dall’amore nel rapporto interumano. Poi, una quarta volta, esplose la violenza di un essere umano che volle sfregiare il volto. E l’incertezza della pubertà, in cui si modifica l’identità fisica, mi spinse a cercare una realtà umana più profonda, nascosta. Non sapevo, non avevo conosciuto il senso del linguaggio che non era pensiero verbale. Ma le immagini che parlavano di una realtà umana diversa dalla coscienza e dal linguaggio articolato imparato aveva invaso, con la sua non materia, tutto il corpo. Avevo un “non”, la realtà non materiale senza parola, che era presenza e non assenza. Non era coscienza e ragione. Era soltanto corpo che vidi perché sentii la parola che, come fosse magia, disse: diverso. Era il corpo di una fanciulla. 1944. 1945. 1999. 2012. In verità non so cosa è accaduto nella mente, in un anno. Hanno detto che è iniziata una gravidanza e, nove mesi dopo, la mano fece il profilo di fanciulla. Hanno detto che ci fu una nascita che ha condotto la mente ad essere, e non soltanto a vedere e sapere. Ci fu una separazione da una “madre” che dava nutrimento e calore. Non c’è immagine che faccia comprendere. Forse è soltanto un movimento dell’organismo che la Poi venne il colore rosso su fondo candido 52 9 novembre 2013 left left.it coscienza tenta di comprendere trasformandolo in parole. Ed il linguaggio articolato si contorce per fare, con il corpo, una forma d’arte. Ed il rapporto d’amore diventa separazione, il silenzio del cammino che calpestava la polvere della salita di S. Caterina, diventa la ricreazione della capacità di parlare che compare dopo dodici mesi di vita. E, poi, la mente sveglia capì il pensiero della ragione. Come se il volto di donna si potesse descrivere, facendo segni che diventano parole. Poi penso a come la linea che, nella curva, prende il movimento della mano dell’essere umano, giunta sulla rètina, possa determinare una reazione della sostanza cerebrale che fa un’immagine. Ma torna, in modo violento, la dizione: observatio et ratio. Torna il numero e la parola 5 giugno, ma non è ricordo perché è una memoria senza immagine. Avevo visto, senza che la coscienza sapesse, il contrasto tra bianco e nero, che fa la realtà percepibile della linea che poi costruisce la realtà delle parole. Come se il volto di donna si potesse descrivere. Ma poi non ho più scritto, forse perché non ho più parlato. Forse perché, aggredito dalla violenza fisica della natura non umana, l’organismo perse le forze e la mano che scrisse non era decisa nel rifiuto. Forse perché non c’era soltanto la violenza fisica della natura. C’era un rapporto interumano che non esercitava violenza fisica ma, invisibile, toglieva la mielina all’assone che piangeva dolore. Lo spazio che la carta bianca mostra, come fosse un nudo di donna, mi invita a scrivere ancora raccontando le strade accidentate percorse o gli abissi spaventosi sfiorati nella ricerca che voleva rinnovare il linguaggio articolato. Volevo dare un nome alle realtà invisibili. Poi lessi l’articolo che parlava della psicoanalisi, ascoltai i lavori della psichiatria accademica, e vidi l’assenza di qualsiasi idea sul pensiero che non è coscienza e linguaggio articolato. Comparvero, come fossero incarnazioni d’anime i segni neri detti “scarabocchio”, e le linee colorate, invisibili e flessuose come corpo di donna fatta nove mesi dopo. Dicevano, con il loro volto impassibile, “ogni volta hai rischiato la morte della mente. Ci dici come hai fatto a non cadere nell’anaffettività da cui non c’è ritorno?”. Non risposi, ed il corpo diventò tutto rosso come se il sangue fosse uscito dalle arterie per diffondersi a tutto il corpo. È la memoria a dirmi fu la luce che invade l’occhio e giunse alla rètina. E le parole vengono e dicono «ricreazione della nascita». E nove mesi dopo la mano fece il segno verde-azzurro in cui il colore fa due curve che disegnano l’occhio a mandorla di un orientale. Forse il poeta ricrea una realtà umana nuova con l’indifferenza per il corpo. Nel tempo della coscienza ci furono le linee nere fatte senza coscienza nominate scarabocchio. Poi il profilo rosso di donna fu la ricreazione che andò nel “senza tempo” che è la realtà, prima della nascita Lo dissero Caravaggio e Vermeer che la luce dava vita alle immagini. E, forse, per amore del bello dissi: fantasia di sparizione ed inconscio mare calmo. Poi vidi e mi innamorai della moltitudine che prese il nome di Analisi collettiva e sprofondai sempre di più verso il momento primo della vita umana. E vennero: movimento, suono, tempo, pulsione. E, un anno fa, la mano si mosse senza pensiero cosciente e disse, senza parole, che il primo momento della vita è la possibilità di fare la linea. Diventerà scrittura a sei anni di vita. E so che, a sei anni, c’è anche la memoria-fantasia delle esperienze avute che fanno l’immagine che non è ricordo cosciente. Ovvero è presente, nel pensiero senza coscienza, un linguaggio che non è parola. Mi sono sempre domandato come e perché ho pensapo il bianco e nero, sia concon to che il colore, che si ha dopo nesso alla memoria-fantasiaa dell’esperienza avuta. Ovrte”, ovvero la pulsione vero quando l’“istinto di morte”, che non è annullamento ma fantasia di spariaggio articolazione, pensando senza linguaggio to, fa la realtà dell’immagine del corpo e gica. rende umana la realtà biologica. o Ricompare il profilo rosso di donna. La mano ha fatto un’immagine che è la ricreazione del secondo momento della vita ed è senza linea nera. Viene la parola ricreazione e penso ai ipoeti che non fanno immagini ed ai pittori che parlano con forma e colore. ...fu la ricreazione della realtà biologica del feto che divenne corpo umano... left 9 novembre 2013 53 cultura left.it Ultimo scatto a Parigi di Arianna Catania Dal 14 al 17 novembre occhi puntati su Paris photo, la fiera internazionale di fotografia più autorevole d’Europa, che mette in mostra anche i giovani talenti 54 9 novembre 2013 left cultura left.it C entotrentasei gallerie e 28 editori di libri fotografici. Sono questi i numeri di Paris photo - tappa obbligata per addetti ai lavori, appassionati e curiosi - in programma dal 14 al 17 novembre nelle sale del Grand Palais. La grande e ricca varietà proposta dalle più importanti gallerie del mondo fa di Paris photo la fiera internazionale più autorevole per scoprire le tendenze della fotografia di qualità. Tra i grandi fotografi, immancabili colonne portanti di un settore che va ormai affermandosi a grandi passi nel mercato dell’arte, c’è spazio anche per i talenti emergenti, già selezionati tramite il prestigioso premio Sfr jeunes talents. Come ogni anno, solo cinque artisti (su 1.026 nell’edizione 2013) avranno l’onore di esporre accanto a Cindy Sherman, Robert Mapplethorpe, Diane Arbus e William Eggleston, solo per citarne alcuni. Tra i lavori premiati, ci sono le immagini di Gabriela Kaszycka, artista polacca che considera la fotografia come parte della vita di tutti i giorni, come un diario visivo. Per lei le fotografie sono tessere di un puzzle, frammenti di una parte più grande. Quella di Kaszycka è una fotografia documentaria fortemente personale, frutto di un’osservazione «attenta e senza fretta». La fantasia conta più della percezione visiva. La giuria ha premiato anche William Lakin, fotografo inglese interessato a «suggerire una storia piuttosto che raccontare una realtà». Il suo lavoro, Florida club, descrive la cittadina inglese di Great Yarmouth attraverso ritratti e paesaggi, restituendo all’osservatore una sensazione di familiarità con i luoghi rappresentati. L’approccio di Lakin è quello di un esploratore in una terra vergine: vaga per le strade durante i mesi invernali, quelli in cui la città si chiude, e coglie la malinconia da isolamento, da sospensione e da immobilità. Io abito in una città fantasma è il titolo del terzo lavoro premiato al Sfr jeunes talents. Le immagini, del francese Thibaut Derien, sono pura poesia. Ma anche tristezza, desolazione, sogno. Ci si trova davanti a una sfilza di saracinesche chiuse, negozi abbandonati, portoni sbarrati. Segni di una decadenza, di un esodo di massa, o forse della profonda solitudine che abita le nostre città e noi stessi. L’inquinamento luminoso, generato dalla luce artificiale, è invece al centro delle foto di un al- left 9 novembre 2013 Sidonie 2011 dalla serie Familiar di Alex Cretey Systermans 55 cultura Sopra, un’immagine del progetto Familiar di Alex Cretey Systermans Sotto, un’immagine del progetto The last house on the left di Gabriela Kaszycka Cinque artisti emergenti avranno l’onore di esporre insieme ai mostri sacri tro giovane vincitore del concorso: il parigino Julien Mauve. Fanali di automobili e schermi di dispositivi elettronici nel cuore della notte sono infatti i protagonisti di After lights out, un lavoro che mette in mostra il rapporto magico che nasce dall’interazione tra la luce e l’uomo quando intorno c’è il buio. «Io fotografo per scoprire qualcosa che sarà simile a qualcosa che sarà fotografato», ha detto molti anni fa il grande autore statunitense Garry Winogrand. L’affermazione si addice bene all’arte di Alex Cretey Systermans, quinto emergente premiato, che considera la fotografia il risultato di una «attrazione» tra le cose e un modo per stare nel mondo, combattendo la solitudine propria dell’atelier del pittore. Ma, da expittore, lo fa con lentezza. Supportato da fotocamere a medio formato in pellicola, ha sviluppato uno stile profondo basato sulla riflessione. È un modo per interpretare il mondo immergendocisi dentro. Un’interpretazione del reale che parte dagli innumerevoli spunti che questo contiene. 9 novembre 2013 left left.it Sopra, Café des halles e Poissonerie da J’habite une ville fantôme di Thibaut Derien A destra, Martin, Sean and Jacob da Florida Club di William Lakin Sotto, After lights out di Julien Mauve puntocritico cultura ARTE di Simona Maggiorelli Il sogno di un barbone P er quanto sia abbondantemente nutrito di testimonianze raccolte sul campo, di interviste e di frammenti dal vero Ho fatto una barca di soldi, il docufilm di Dario Acocella che il 9 novembre viene presentato in prima assoluta al Festival Internazionale del Cinema di Roma (al MAXXI, nella sezione prospettive doc Italia vedi left n.43) ci appare come un’opera di videoarte originale e poetica, lontana anni luce dal piglio cronachistico tipico del genere documentario. La sceneggiatura ruota intorno a un personaggio singolare come Fausto delle Chiaie (classe 1944), artista che da più di quarant’anni lavora per strada a Roma, avendo scelto l’esterno dell’Ara Pacis come tela su cui disegnare le proprie fantasie utilizzando se stesso come pennello in carne ed ossa e come protagonista di curiosi tableaux vivants. Così sul far della sera, quando i marmi del monumentale complesso augusteo biancheggiano sullo sfondo, questo artista un po’ anarchico, un po’ barbone (che assomiglia ad un omino di Folon) dissemina piccoli tesori sul selciato. Qua un finto topo dentro una gabbia disegnata sormontata dalla scritta “Rattu in inganno”, là un mucchietto di gioielli falsi e una borsetta accompagnata da un laconi- Fausto delle Chiaie nel docufilm Ho fatto una barca di soldi 58 left.it co cartello con su scritto “scippo”. Se invece di guardare dritti davanti a noi, camminando, ci si concede uno sguardo da flâneur, curioso verso ciò che accade più in basso, si può scoprire anche una solitaria barchetta in plastilina, carica di spiccioli, ovvero quel piccolo e inaspettato vascello che dà il titolo all’intero film. Regista, sceneggiatore, montatore e molto altro Acocella dà un’impronta personalissima a questo racconto per immagini di una giornata trascorsa con Fausto delle Chiaie e in cui le rare parole contano tanto quanto i silenzi, pieni e vibranti. Per più di un’ora ci regala di poter abbandonare il ritmo caotico della capitale per farci scoprire il gusto della lentezza e per farci fare un pieno di incontri emozionanti, raso terra. La telecamera di Acocella di fa vedere il mondo ad altezza marciapiede, quasi il nostro fosse il punto di vista di un bambino, non più alto di metro e che intorno scopre un universo di incanti e magie, di sculture e pitture naïf, di piccole provocazioni ora gentili ora spiazzanti che mirano a rompere il guscio dell’indifferenza e a mettere in connessione chi si sfiora per strada senza vedere e percepire l’altro. Come fossero tanti piccoli laici ex voto le installazioni di Fausto delle Chiaie tracciano mappe metropolitane inedite, creano percorsi imprevisti in quel grande museo a cielo aperto che il centro storico di Roma. Poi il nostro artista barbone, imbacuccato e frugale, raccoglie le sue poche cose e sale su un treno per raggiungere una stanza di periferia, zeppa di oggetti trovati, di cose desuete, di matite e pastelli. E a rompere il silenzio della notte resta solo il rumore acido dell’attrito che fa il pennarello sulla carta. Come nota giustamente Achille Bonito Oliva nel frammento di intervista che Acocella ha incastonato nel film, l’arte di Fausto delle Chiaie è una domanda aperta sul mondo, una sfida a mettere insieme arte e vita. Forse anche per questo ci cattura, interrogandoci nel profondo. Da sinistra: Tatti Sanguineti, Rodolfo Sonego CINEMA di Morando Morandini Per lettori forti C omincio con una notizia e una citazione. Le ho trovate su D di Repubblica del 2 novembre. La notizia: solo nell’anno appena trascorso il mercato dei libri in Italia ha registrato un calo del 30 percento. La citazione (Galimberti): «Così la cultura, già collassata nella scuola, collassa anche nell’editoria e, per colpa del degrado progressivo della nostra scuola che non ha incuriosito né invogliato i ragazzi a leggere, oggi sono considerati “lettori forti” quelli che leggono almeno 4 libri all’anno. Siccome “guardare” è più facile che “leggere”, si consegna la cultura per intero alla tv e ai personaggi che vi compaiono». Il libro che consiglio è Il cinema secondo Sonego. A cura di Tatti Sanguineti. È formalmente un libro nitido, elegante, divertente. Nell’introduzione Furio Scarpelli - in coppia con Age, padre putativo della commedia all’italiana di cui segna l’inizio, il periodo d’oro e la fine - traccia in poche righe un ritratto di Rodolfo Sonego fulmineo ma eloquente. Ho sottolineato un mucchio di citazioni, aneddoti, riflessioni. Alcuni esempi. «Colui che ha concepito qualcosa di una grande idea deve anche viverla» (Nietzsche). «Attenzione! Mente è un sostantivo femminile che esprime il complesso delle facoltà intellettive dell’uomo, ma è anche voce del verbo intransitivo mentire, terza persona del presente». Amo la formula di Bresson: «Je suis un pessimiste gai et un optimiste triste». 9 novembre 2013 left cultura left.it LIBRI di Filippo La Porta Pontiggia da riscoprire T e Alberto Sordi A MARGINE Un italiano da evitare. Sono in coda dal giornalaio, dietro a un anziano, decorosamente vestito. Mi cade una moneta da 50 centesimi e lui la raccoglie e la mette in tasca. Gli dico che è mia. Mi restituisce una monetina da 20. Un buon consiglio: se vuoi sapere la vera età di una signora devi domandarla alla cognata. Secondo una classifica dell’Onu la nazione più felice del mondo è la Danimarca. L’Italia è al 45esimo posto, e in un anno ha perso 17 posti. In Siria stanno peggio: 46esimo posto. Bisogna essere un assiduo lettore del Domenicale del Sole 24 ore per sapere che di Giacomo Leopardi è stata pubblicata la prima traduzione integrale in inglese dello Zibaldone, curata da Michael Caesar e Branco D’Intino, uscita sia in Inghilterra sia negli Usa che in Canada. «Con sbalorditiva preveggenza Leopardi diagnosticò la malattia del nostro secolo: una pericolosa intossicazione prodotta dalla conoscenza e dal potere che ci ha fornito la scienza, mescolata all’incapacità di accettare il mondo umanamente insignificante che la scienza ci ha rivelato». Sonego ha scritto e collaborato a centinaia di film. Non esagero, tengo conto anche dei film da lui ideati, abbozzati o scritti e mai realizzati. Basta leggere le centinaia di volte in cui parla di Alberto Sordi: «Io e Sordi siamo molto amici, ma soltanto all’interno del lavoro. Un rapporto molto serio che si basa sulla stima reciproca. Culturalmente facciamo parte di due mondi diversi. Lui ha una cultura, una non cultura di tipo romano, papalino, a suo modo anche blasfema. Solo io ho creduto che potesse essere un attore in qualche modo completo». left 9 novembre 2013 rovo scandaloso che a 10 anni esatti dalla sua morte il nome di Giuseppe Pontiggia, almeno per le nuove generazioni, sia così poco familiare (mi auguro che la mia impressione sia in parte infondata). Eppure non solo ha scritto il più bel romanzo sulla disabilità della nostra letteratura, e cioè Nati due volte (in cui il padre viene trasformato ed “educato” dal figlio con handicap) ma è stato una delle figure intellettuali più limpide del nostro panorama recente, come è stato ricordato in un convegno milanese dedicato alla sua multiforme opera. Mi vengono in mente i suoi smaglianti libri saggistico-diaristici - Il giardino delle Esperidi (1984), Le sabbie immobili(1992), L’isola volante(1996) ecc - in cui la qualità dello stile (un’attenzione amorevole e ossessiva alle parole, una prosa acuminata e fragrante) e un’attitudine disinteressata a dire la verità su di sé, mostrano la prossimità a Montaigne. Nell’Isola volante parlando degli accessi di collera di Carducci, Pontiggia nota come spesso «scambiano per sincerità l’immediatezza. Ma in arte la sincerità esige invenzione e si misura secondo la verità dello stile». La sincerità infatti ci obbliga ad andare oltre l’impulso spontaneo e il luogo comune. Pontiggia è stato un grande autore di aforismi. Ne ricordo solo uno, tratto da Prima persona: «Si comincia a invecchiare quanto tutto diventa deja vu, anche quello che non si è mai visto». C’è poi un aspetto di Pontiggia “moralista” che mi sta particolarmente a cuore, la sua profonda vocazione democratica. In lui cioè una visione radicale (fatta di critica impietosa del conformismo del nostro tempo) si innesta sull’esigenza di dialogo alla pari con una comunità di lettori sentita come fraterna. Evita sia il tono profetico-apocalittico di Pasolini e sia il tono a volte predicatorio di Fortini. Riporto qui una sua notazione che incarna in modo perfetto tale vocazione “democratica”: «Odio i turisti. Se ne vedo uno in un paesaggio arcaico, mi giro per perderlo di vista». E fin qui siamo a un giudizio sprezzante o snobistico, poniamo alla Ceronetti. Ma poi prosegue sorprendentemente: «Una volta ho scoperto uno che faceva lo stesso con me». Così il giudizio iniziale si ribalta nel contrario, per la semplice ragione che siamo tutti anche, fatalmente, turisti! SCAFFALE LA COMMEDIA BORGHESE di Irene Némirovsky,Elliot, 176 pagine, 16 euro «Brusio confuso e dolce che s’ingrossa e si avvicina rapidamente come l’onda del mare». Con questo potente incipit prende il la“film parlato” uno delle 4 short stories raccolte in questo prezioso libro che ci restituisce i lavori per il cinema della scrittrice morta a Auschwitz. Questi film parlées sono vere perle fra racconto e sceneggiatura. UNA POLITICA SENZA RELIGIONE di Giovanni De Luna, Einaudi, 137 pagine, 10 euro Il trasformismo dell’Italia liberale, la dittatura del fascismo e poi un capitalismo aggressivo che ha fatto del mercato un dio, nota acutamente De Luna, hanno fatto sì che la politica italiana non sia riuscita a coagulare la passione civile e a egemonizzare la società con ideali forti. Lasciando sciaguratamente il campo alla Chiesa. PERSONAGGI PRECARI di Vanni Santoni, Voland, 157 pagine, 13 euro Atipici, flessibili, interinali.Sono i protagonisti delle prose liriche del poeta e scrittore Vanni Santoni. Ritratto di una malandata Italia di oggi in cui si è costretti ad un continuo adattamento al ribasso. Voland ne pubblica una folgorante summa, recuperando testi editi dalla rivista Nazione Indiana, con l’aggiunta di gustosi inediti. 59 bazar cultura left.it BUONVIVERE di Giulia Ricci Dietro lo schermo del Tg Diritti al verde S T TELEDICO di Elena Pandolfi ono tanti i luoghi dove in questi Andrea Vianello, direttore di Rai 3, ha scelto di mandare in onda, seppur con incerta collocazione, (per ora è il giovedì in seconda serata) la serie americana The Newsroom, prodotta dalla Hbo e scritta da Aaron Sorkin, lo sceneggiatore premio Oscar di The social network, film che racconta la nascita di facebook. La serie è incentrata sul frenetico lavoro di una redazione di un telegiornale americano, guidata da un famoso anchorman, Will Mchavoy, interpretato da Jeff Daniels. Il giornalista, dopo un periodo di fermo televisivo dovuto a una sua inaspettata sparata, in diretta, sulle magagne nazionali, ritorna a guidare un tg della sera con una nuova redazione e un’intraprendente produttrice, Mackenzie McHale, sua ex fidanzata. L’anchorman, che si definisce un repubblicano moderato, in realtà non le manda a dire, e si crea certo molti nemici a causa delle sue inchieste approfondite, domande scomode e ricerca spasmodica della verità. Il suo metodo innervosisce parecchio i capi della Acn, il canale, dove va in onda il telegiornale, come l’amministratrice delegata Leona Lansing interpretata da una sempiterna e immutata Jane Fonda. Insomma tutto si svolge tra riunioni in redazione, discussioni politiche, monitor e ricerche accurate. Niente sesso, intrighi familiari o misteri del passato come in tante serie tv, ma solo adrenalina intellettuale, chiamiamola così. Se poi siete interessati alla politica americana, meglio ancora, perché ogni episodio tratta di notizie reali, dalla morte di Bin Laden, allo scoppio della petroliera della Bp nel golfo del Messico, alle polemiche sul Tea party, il movimento populista vicino alla destra. Will Machavoy, insieme ai suoi collaboratori, ci mostra come in realtà si dovrebbe produrre una notizia; un’indagine accurata sulle fonti, la ricerca sul campo di verità scottanti, smascheramento di interessi economici e politici, senza paura o sottomissioni al potere. Una bella favola da far vedere anche a qualche giornalista italiano. aranto e la Campania avvelenata dai rifiuti sono a rischio “biocidio”. Ma l’emergenza deve servire per una nuova consapevolezza dei diritti. Per questo motivo è importante conoscere i conflitti in atto, ma anche essere informati su come la giustizia ambientale possa venirne a capo. L’occasione è data da una settimana di lavori (www. cdca.it) a Roma dove dal 9 al 15 novembre arriva una delegazione Ejolt (Environmental justice organisations, liabilities ad trade). Partecipano esperti e accademici internazionali e sono in programma visite nei territori del Lazio e della Campania. Tra gli ospiti Vandana Shiva (nella foto), Lucie Greyl, Joan Martinez Alierdo, Gustavo Gomez. [email protected] ROMA I tesori d’arte sauditi Un’immagine di The Newsroom 60 Centocinquanta reperti, manufatti e oggetti preziosi, mai esposti al di fuori del territorio arabo, provenienti dal Museo Nazionale di Riyad sono in mostra nel Complesso del Vittoriano fino al 30 novembre. Il percorso cronologico va dalla Preistoria fino alla proclamazione del Regno di Arabia Saudita (1932), passando attraverso l’Arabia pre islamica e il primo periodo islamico. Nella prima parte della mostra anche reperti risalenti al Paleolitico. FIRENZE L’India al cinema Sarà l’attrice e attivista indiana Shabana Azmi la madrina del 13esimo River to River Florence Indian Film Festival, unico festival italiano interamente dedicato alla cinematografia indiana, quest’anno dal 22 al 28 novembre. In programma 40 film, 30 ospiti internazionali, una retrospettiva e una mostra di arte contemporanea. 9 novembre 2013 left cultura left.it JUNIOR di Martina Fotia Magie del teatro di figura Un’immagine di The Adventures of White-Man N on esiste luogo più consono al mondo di Palermo per ospitare la 38esima edizione del Festival di Morgana, l’appuntamento annuale con le differenti pratiche del teatro di figura che prende il via al Museo internazionale del- le marionette Antonio Pasqualino, con la direzione di Rosario Perricone. La città che ha dato i natali alla più antica famiglia di pupari siciliani, dal 1977 trasformatasi in quella che oggi è conosciuta come Associazione figli d’arte Cuticchio, fa da scenario per il teatro di figura internazionale, proveniente da America, Russia, Francia, Italia e Spagna. Si parte sabato 9 con The Adventures of WhiteMan dell’artista americano Paul Zaloom, inventore di un singolare “teatro di og- GENOVA PARMA MILANO L’Odissea oggi Fattori inedito Dal 13 novembre al Teatro Politeama un progetto teatrale diviso in 6 spettacoli dedicati a l’Odissea reinterpretata in chiave contemporanea. Con interpreti d’eccezione: Moni Ovadia, Ascanio Celestini (in foto), Paolo Rossi, Gioele Dix, Amanda Sandrelli e molti altri. Alla GAMManzoni, fino al 21 dicembre, un’antologica di Giovanni Fattori ripercorre le tappe fondamentali della carriera del pittore livornese attraverso la selezione di 40 opere - alcune mai esposte in pubblico - provenienti da prestigiose collezioni private italiane. left 9 novembre 2013 Jazz senza frontiere Dopo l’apertura con il grande Tim Barne entra nel vivo Parma jazz frontiere festival, il 16 novembre al Teatro Due con il Jim Black Trio (in foto) e il 23 novembre con gli Slanting Dots. A seguire, il 24 novembre, Sounds & Songs. getti” surreale e divertente, formato da pupazzi e macchinine, piccoli peluches e giocattoli, pronti ad animarsi per raccontare storie ironiche e irriverenti. Il 12 novembre è la volta di The bag lady della spagnola Sarah Anglada, esperta narratrice di storie, che porta in scena oggetti d’uso comune come i sacchetti di plastica, che nelle sue mani sono pronte a trasformarsi, per una perfetta combinazione di musiche, oggetti e silenzi di uno spettacolo di grande impatto visivo. Il 17 si svolgeranno due gli spettacoli: alle 18:30 la compagnia Carlo Magno di Enzo Mancuso porta in scena lo spettacolo di Opera dei pupi Duello di Orlando e Rinaldo per amore della bella Angelica, mentre alle 21.15 Stefania Bruno realizzerà Pinocchio, utilizzando la tecnica della Sand art: la sabbia disegnata e manipolata su una lavagna luminosa. Il 19 e il 20 alle 21:15 ecco Le avventure di Fagiolino, una delle figure principali del teatro tradizionale dei burattini emiliani, portato in scena dal Centro Teatrale Corniani. La conclusione del Festival è affidata alla compagnia francese Les Rémouleurs, che il 23 e il 24 propone Freaks, monstres, miroirs, merveilles, in scena nella Galleria bar L’Isola: uno spettacolo con marionette e burattini, dove il bancone del bar diventa un inedito palcoscenico per la narrazione di storie fantastiche. 61 ti riconosco di Francesca Merloni Il luogo della poesia G razie. La prima parola oggi è grazie. Ai lettori di left che hanno la pazienza di arrivare in fondo alla pagina e farsi toccare e poi prendere la penna o il pc e scrivere, scrivere di rimando. Tante le lettere che mi arrivano in questo periodo e penso che sì, esiste un mondo ancora intatto, ancora vero, che oltrepassa gli accadimenti ed esiste e resiste. Sì, io vi riconosco. Vi riconosco tutti. Anche chi non scrive, io lo vedo. E scrivo per lui e per tutti noi. In questa tessitura di parole che sta diventando comunità, in questo esistere attorno ai significati e pervicacemente mantenerli. In piedi, importanti, necessari. Io vi riconosco per questo nostro stare di lato, per lo sguardo a sinistra. Per il cuore a sinistra. Il nostro sguardo è un cuore che batte. Il nostro sguardo è l’enigma non ancora decifrato, il cuore nel cuore del mondo. Per la nostra interiorità infiammata vi riconosco, dove dall’attesa è bandito ogni rimescolamento, ogni deviazione del pensiero e l’asciuttezza delle immagini, il rigore delle parole vince ogni tentazione al bizantinismo dei tempi, all’inutile distorsione dei significati. Per la voce, mai urlata e mai sommessa, forte di necessità. Sì, per questa identità vi riconosco. Ed è questo, per me, il luogo della poesia. La nostra terra identitaria e condivisa. I nostri percorsi alla mèta. Il viaggio verso il centro. Spesso, parlando di luogo, si pensa ad un territorio, ad un ambito concreto. Invece la poesia è negli spazi. In un vuoto dove può accadere. Come una mano che prende ogni cosa. Come una forma, dove l’intenzione definisce l’inatteso. Il non-ancora-conosciuto di quella vaga cava identica, dell’altro lato necessario. Occorre sia vera, però. Cioè risonante. Questa è la condizione essenziale. Occorre prenda la vibrazione inudibile e perfetta. Senza alcun giudizio di merito, solo esattezza e nessuna distanza tra intenzione ed espressione. Anche se costa. Anche se discosta da molte cose e talvolta incide, fa sanguinare. Occorre somigli a se stessa, sconosciuta, ancora non trovata. Occorre somigli a tutti i nostri sguardi ancora non decifrati. Tante le lettere che mi arrivano e penso che sì, esiste un mondo ancora vero che resiste [email protected] Un giorno lo riavremo il mare: non so se sarà questo su cui si inclinano i giardini o se sarà l’Oceano, i suoi cavalli bradi. Il mare, lui che non posa, è irremovibile e uguale. Oh, lo riavremo. Passeremo le età, poi lo riavremo, saremo noi lui, eguali, indivisibili. Più in là, dove non sono più porti né più castelli di prua, torneremo mare. Finirà allora la solitudine e il dolore. Sarà il nostro cuore marino l’alveare dove la notte porterà a dormire insieme le stelle. 62 Giuseppe Conte “Elegia marina” da L’Oceano e il ragazzo, liberamente adattata 9 novembre 2013 left