Omaggio a Les poètes maudits
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Omaggio a Les poètes maudits
BENEDETTI MALEDETTI / Testi: Ugo Ferrero Omaggio a Les poètes maudits Riferimento: Paul Verlaine, edizione Vanier, 1888 Ho visto lunghi addii infrangersi sulle mie mani… Villiers de l'Isle-Adam E da allora mi sono bagnato nel Poema del Mare, infuso d'astri, e lattescente… Arthur Rimbaud Là, dei vascelli senza nome, dai cordami di fuoco Fendono le onde… Pauvre Lelian Mai, quand'anche lanciato in circostanze eterne dal fondo di un naufragio… Stéphane Mallarmé Laggiù: in quel mare senza colore dove ciò che tu fosti fluttua ancora… Tristan Corbière Ascolta la ragione: vattene, lascia la mia mano è mezzanotte… Marceline Desbordes-Valmore Pesci Strabici Oceano o pozzanghera, i poeti sono pesci immersi nell'immensità di un brodo primordiale e nel liquido amniotico che ancora li contiene, un occhio al proprio interno e l'altro a guardar fuori un cielo stralunato. Ancora sull'onda del nascere, eppure già lontani mille mondi, a navigare sull'orizzonte delle parole. Guardare se stessi, guardare all'esterno senza mai spaventarsi, attenti, guizzanti, disposti a nuotare nel fango delle secche o nel mare aperto di cui non si vede il fondo. Pesci. Pesci di cui si è sentito poco il respiro mentre passavano; pesci che strillano le loro parole a decenni ed anni di distanza: troppo lontani, troppo avanti, visionari anticipatori che hanno intuito le rotte molto prima di chiunque altro, e quindi strabici per bruciante necessità. Les poètes maudits hanno avuto con l'acqua un rapporto forte, come attirati da una calamita primigenia: mancanza di limiti, rive da scoprire, sguardo che si perde, paura e sfida dell'ignoto e delle onde buie, tempeste dalle quali si può uscire, oppure no, divenendo pallidi gusci trasportati dalle correnti. Ma l'oceano, il fiume o la pozzanghera rappresentano un infinito tangibile, uno specchio al cielo che non si può toccare. E nello specchio infinito della memoria e delle nostre sembianze ci guardiamo tutti, giorno dopo giorno, defilati o con gli occhi fissi nelle nostre stesse pupille, noi stessi partecipi più o meno ignari della comédie humaine. Arthur Rimbaud "…Il Poeta si fa veggente mediante un lungo, immenso e ragionato sregolarsi di tutti i sensi. Tutte le forme d'amore, di sofferenza, di follia; cerca egli stesso, esaurisce in se stesso tutti i veleni, per conservarne soltanto le quintessenze. Ineffabile tortura nella quale ha bisogno di tutta la fede, di tutta la forza sovrumana, nella quale diventa fra tutti il gran malato, il gran criminale, il gran maledetto - e il sommo Sapiente Poiché giunge all'ignoto! Avendo coltivato la propria anima, già ricca, più di ogni altro! Giunge all'ignoto, e anche se, sbigottito, finisse col perdere l'intelligenza delle proprie visioni, le avrebbe viste! Crepi pure, in quel balzo tra le cose inaudite e ineffabili: altri lavoratori orribili verranno; cominceranno dagli orizzonti sui quali l'altro è crollato!…" Lettera di Rimbaud a Paul Demeny, 15 maggio 1871 Poco più che ventenne Arthur Rimbaud chiude per sempre il suo labbro poetico, volta le spalle all'Europa "dai parapetti antichi" e nuota verso il ventre del mondo: l'Africa, l'Ogadina, l'Harar, Ankober. Chiude il suo labbro poetico rinunciando alle vocali, i pilastri fondanti della sua lingua; quelle vocali alle quali, lui per primo, aveva attribuito la forza evocativa dei colori che esse portano con se: A, nera, E bianca, I rossa, U verde, O blu. La sua rottura con il mondo borghese e civile è netto, irrevocabile. Rimangono le lettere e qualche resoconto di viaggio: "…Comprerò un cavallo e me ne andrò… per recarmi a trafficare nell'ignoto… Costerà tre franchi… Vi dico: a presto! nella speranza di un tempo migliore…" Guarda l'orizzonte con occhi ancora di ragazzo e non può credere alla fine. Il 9 novembre del 1891, il giorno prima della morte, dall'ospedale di Marsiglia dove è ricoverato, scrive al Direttore delle Messaggerie Marittime: "Mandatemi dunque i prezzi del servizio di Aphinar a Suez. Sono completamente paralizzato: dunque desidero trovarmi a bordo di buon mattino. Ditemi a che ora devo essere trasportato a bordo…". Tristan Corbière "Già, è un rinnegato. Contumace ovunque: Per non far niente, fa tutto. Feccia d'ogni contrada e d'altrove; spaccone e vile, Pirata, anfibio, di corsa, all'impresa; Schiavo, filibustiere, negro bianco, o soldato, Bravo: si adatta a tutte le circostanze; Scimmia, secondino di donne…e lui stesso, al bisogno, donna; Profeta in partibus, tanto al chilo d'anima; Impiccato, boia, veleno, flautista, medico, Eunuco; oppure mendicante, un coltellaccio in mano… ……….. ……….. Puro, a forza d'avere purificato tutti i disgusti. Il rinnegato, parte iniziale e finale, da "Les gens de mer" Il vero nome di Corbière è Edouard-Joachim ma l'asma, i reumatismi e la forzata solitudine lo trasformano presto in Tristan. Dal ritiro di Roscoff guarda il mare e lo sfida quand'è infuriato, lui, da solo con l'estensione di se stesso: la tartana "Le Nègrier". Rischia di inabissarsi più volte, ma ogni volta torna indietro dopo essersi immerso nella "grande tazza salata". Negli occhi ha solo il blu dell'oceano. A volte ad aspettarlo trova qualcuno: un'ex ballerina italiana: Armida Giuseppina Cucchiari che Tristan ribattezza Marcelle. Nel 1873, due anni prima della morte, a Parigi esce a sue spese, presso la "Librairie du XIXéme Siecle" dei fratelli Glady, l'unica raccolta di versi: "Les amour jaunes". Nessuno ci fa caso. Marceline Desbordes -Valmore "Le donne, lo so, non dovrebbero scrivere; Ma io scrivo Perché tu possa leggere da lontano nel mio cuore, come quando sei partito… … … No, non vorrei, tanto ti sono unita, Vederti soffrire; Augurare il dolore alla propria metà benedetta, E' odiare se stessi" Una lettera di donna (primo ed ultimo verso) Marceline Desbordes ha una voce vibrante, carica di dolore e di gioia. Ha una voce di gioia che ricorda il padre, un pittore di stemmi araldici rovinato dalla rivoluzione, e di dolore per una madre che è morta durante il periodo di vita della famiglia nelle Antille. Marceline, tornata in Francia, canta all'Opéra Comique e all'Odéon, ed è così intensa che le viene affidato il ruolo di Rosina nel Barbiere di Siviglia di Rossini, che interpreta a Bruxelles. A Bruxelles incontra Prosper Lanchantin, detto Valmore: da quel momento d'amore diventerà Marceline Desbordes -Valmore. Perde quattro figli ma la voglia di dire poesia non morirà che con lei. Ha una mano appoggiata sul seno sinistro quando scrive "I singhiozzi" "… Cielo!dove andrò Senza piedi per correre? Cielo! dove busserò Senza chiave per aprire? … Se nel cielo spento qualche stella pallida Mandasse la sua luce sulla mia malinconia! Sotto questi archi tesi d'ombra e disperazione, Se degli occhi inquieti s'illuminassero per vedermi!…" Villiers de l'Isle-Adam "Questa scena d'insieme non durerà più di mezzo minuto. E' uno dei momenti di confusione in cui anche la folla parla. E' un'esplosione improvvisa di tumulto in cui si distinguono solo le parole "dollari", "salmi", "in ritardo!", "Babilonia", "Lasciatelo parlare", "Boston", "Siesta" ecc. mischiate all'abbaiare del cane, a grida di fanciulli, a pigolii di pappagalli. - Scimmie spaurite scappano di ramo in ramo, uccelli volano da una parte all'altra del teatro." Scena X, atto terzo della commedia Nuovo Mondo Il nome per intero è Philippe-Auguste-Mathias conte di Villiers de l'Isle-Adam, ma non basta: fra gli antenati dell'antica famiglia c'è anche un celebre Gran Maestro dell'Ordine dei Cavalieri di Malta. E' un passato ingombrante da portare addosso: Villiers è sarcastico, distaccato, sprezzante nei confronti della critica, sicuramente geniale ma frammentario. Rappresenta il Nuovo Mondo con lungimirante lucidità, vincendo anche un premio di 2000 franchi al concorso Michaeli; anticipa i tempi con Eva futura prendendo a prestito Edison che diventa l'inventore di un androide, sorta di replicante elettromeccanico ante litteram, ma non centra mai l'opera che arriva al pubblico, neanche a distanza di tempo. A lui però, che nuota in una personale "famelica bohème", non importa proprio un bel niente: "Vivere? Lo facciano per noi i nostri domestici!" Philippe-Auguste-Mathias conte di Villiers de l'Isle-Adam ha il capo coperto da un apparente cappello d'indifferenza. "…In ritardo! Questa poi! E' la mia rovina!…Tassare l'aria che respiro! Perché non mi arrestate all'angolo del bosco, immediatamente? Ho vissuto solo per vedere questo? A che serve lavorare, diventare un uomo onesto?…" Stéphane Mallarmé "La contemplazione degli oggetti, l'immagine che dai sogni da quelli suscitati si invola, sono il canto… …Nominare gli oggetti, vuol dire sopprimere i tre quarti del godimento della poesia, che è fatto dell'indovinare a poco a poco: suggerirlo, ecco il sogno. L'uso perfetto di questo mistero costituisce il simbolo: evocare a poco a poco un oggetto per mostrare uno stato d'animo, o, al contrario, scegliere un oggetto ed estrarne uno stato d'animo, attraverso una serie di disvelamenti." Evolution littèraire, 1891 Marcel Proust, nel 1896, attaccando Mallarmè ed il suo simbolismo, scrive sulla Revue Blanche:"Se il poeta percorre la notte, deve farlo come l'Angelo delle tenebre: portandovi la luce." Quel che succede, e lo stesso Proust ne subisce comunque la fascinazione, è semplicemente che l'Angelo porta un'altra luce. Gli schemi letterari vanno in pezzi, si accede ad una diversa sensibilità del lettore: poco importa se è una cerchia ristretta o un salotto di fedeli estimatori: si pretende attenzione, sfida nell'affacciarsi verso orizzonti sconosciuti all'interno e all'esterno del proprio essere: soluzioni azzardate, inquietanti, e assolutamente inedite. Assolutamente inquietante e inedito, agli occhi del tipografo che lo deve stampare, appare "Un coup de dés jamais n'abolirà le hasard". Gli occhi di Stéphane hanno il colore del metallo lucido delle macchine da stampa, la stessa inflessibile determinazione. Sotto il rotolio dei rulli anche il dado, forma perfetta del quadrato moltiplicato, diventa una sfera che gira su stessa, un'iperbole che divide e moltiplica il suggerimento dei simboli. ( La Venditrice d'abiti ) Il vivo occhio con cui valuti Fino al loro contenuto Mi separa dai miei abiti E come un dio vado nudo. Pauvre Lelian "A questo Maledetto è toccata la sorte più malinconica, perché questa dolce parola può caratterizzare, davvero, le sciagure della sua esistenza a causa del candore di carattere e della mollezza, irrimediabile? del cuore che hanno fatto dire a lui di lui stesso, nel suo libro Sapientia, E poi, soprattutto, non dimenticare te stesso, Trascinando la tua debolezza e la tua semplicità Ovunque si combatte e ovunque s'ama, In un modo così triste e folle in verità! … E' stata punita a sufficienza questa goffa innocenza?" Parte iniziale della sezione dedicata di "Le poètes maudits" Pauvre Lelian è il mantello anagrammatico sotto il quale Paul-Marie Verlaine si nasconde per parlare di se stesso in chiusura della seconda versione della raccolta dedicata ai Maudits: la prima comprendeva solo Rimbaud, Mallarmé e Corbière. Sembra un gioco degli specchi: strabico, irreale e distorto perché leggendo la sua biografia si scopre che tenta di uccidere più di una volta la madre, dà fuoco ai capelli della moglie poco dopo la nascita del figlio Georges e infine spara due colpi di pistola a Rimbaud, ferendolo lievemente, che da Bruxelles vuole rientrare in Francia. Quest'ultima impresa gli costa due anni di carcere durante i quali avviene la "conversione". Pauvre Lelian, vedendo Dio, si acceca, ma non completamente: rinuncia all'occhio della ragione, scivolando, con la stessa intensità che ha caratterizzato tutta la sua esistenza, in un mondo irreale e immaginifico, quasi un prolungamento ottuso della forza poetica precedente. " Così il degno, il degnissimo uomo di Dio, mi lasciò tranquillo. Ubbidii al suo sistema e mi rassegnai, pregando. Pregando di tra le lacrime, di tra sorrisi come di bimbo, e di criminale riscattato, oh questo sì, pregando a due ginocchi, a due mani, con tutto il cuore, con tutte le mie forze, secondo il mio risuscitato catechismo!" Le mie prigioni, capitolo14 Chi ricorda Marie Gouze, detta Olympe de Gouges? Nel settembre del 1791 Olympe de Gouges (1748 - 1792) scrive la "DICHIARAZIONE DEI DIRITTI DELLA DONNA E DELLA CITTADINA". Il Preambolo così recita: "Le madri, le figlie, le sorelle, rappresentanti della nazione, chiedono di costituirsi in Assemblea nazionale, considerando che l'ignoranza, l'oblio o il disprezzo dei diritti della donna sono le uniche cause delle sciagure pubbliche e della corruzione dei governi, hanno stabilito di esporre in una solenne dichiarazione i diritti naturali, inalienabili e sacri della donna affinché questa dichiarazione, costantemente presente a tutti i membri del corpo sociale, ricordi loro incessantemente i loro diritti e i loro doveri, affinché gli atti del potere delle donne e quelli del potere degli uomini potendo essere in ogni momento paragonati con il fine di ogni istituzione politica, siano maggiormente rispettati, affinché i reclami delle cittadine, fondati d'ora innanzi su principi semplici e incontestabili, abbiano sempre per risultato il mantenimento della Costituzione e dei buoni costumi, nella felicità di tutti. Di conseguenza, il sesso superiore in bellezza come in coraggio, nelle sofferenze della maternità, riconosce e dichiara, in presenza e sotto gli auspici dell'Ente supremo, i seguenti Diritti della Donna e della Cittadina…" Seguono XVII articoli e una postfazione. Olympe de Gouges si oppone alla schiavitù, scrive in favore dei diritti degli orfani e dei figli naturali, dei vecchi, degli operai disoccupati, delle classi più povere. Compone un "contratto sociale" fra l'uomo e la donna che prefigura in modo sorprendente il "Patto civile di solidarietà", si oppone con forza alla prostituzione e alla violenza esercitata sulle donne. In piena Rivoluzione si schiera dalla parte di Luigi XVI argomentando che "per uccidere il re non basta mozzargli la testa: egli sarebbe veramente morto solo sopravvivendo alla sua caduta". Nei giorni che precedono l'instaurazione del Terrore attacca pubblicamente Robespierre. Il 3 novembre 1792, verso le sette di sera, Olympe de Gouges viene ghigliottinata in Piazza della Rivoluzione. E' la seconda donna, dopo Maria Antonietta, a salire sul patibolo. Prima di morire grida:"Figli della Patria, voi vendicherete la mia morte!" I diritti politici delle donne verranno riconosciuti, con l'ottenimento del voto, in Francia nel 1945, in Italia nel giugno del 1946.