1 1. Caro Prof. Vincenti, lei è un luminare di anestesia e

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1 1. Caro Prof. Vincenti, lei è un luminare di anestesia e
1. Caro Prof. Vincenti, lei è un luminare di anestesia e rianimazione, oltre che della terapia per il
dolore. Quali scelte l'hanno portata a dedicarsi con tanta passione a questa specialità?
“C’è più di una motivazione. Inizialmente forse ha prevalso, verso la fine degli studi di Medicina, il
desiderio di poter capire il funzionamento del sistema nervoso centrale e di “manipolarlo” a fin di
bene per non far soffrire i pazienti. Poi, si è aggiunta anche la consapevolezza della personale
incapacità ad agire con cognizione di causa in presenza di un grave trauma, con la conseguente
determinazione di imparare a gestirlo al meglio. Infine, a contatto col dolore e la sofferenza di tutti
i giorni, la volontà di apprendere le modalità più idonee per alleviare le pene della mente e del
corpo.”
2. Molte volte il dolore ( e la sofferenza che ne deriva) viene (o veniva ) considerato una
debolezza. Com’è cambiata la visione del dolore senza segni inequivocabili di patologia?
“Con la crescita umana e civile della società, cui anche il medico ovviamente appartiene, è
cambiato il modo di intendere e di interpretare il dolore e la sofferenza. Una volta c’era il concetto
maschilista dell’uomo duro, tutto d’un pezzo, che non doveva mostrare il dolore, per non apparire
una femminuccia! I medici erano quasi tutti maschi e gradivano poco la presenza di colleghe,
considerate inadatte a svolgere una professione tanto difficile e faticosa, invece che dedicarsi alla
famiglia tra i fornelli e le calze da rammendare. Oggi le donne rappresentano ormai il 70-80% degli
studenti di medicina e hanno portato un’aria nuova, fatta di maggiore sensibilità umana.
Quanto al dolore apparentemente non abbinato a una patologia evidente, devo dire che,
purtroppo, c’è ancora molto da fare per convincere molti medici che il dolore esiste anche quando
non lo vedi, e che ci sono evidenze incontrovertibili della sua presenza. Le moderne tecniche di
imaging, come la risonanza magnetica funzionale, permettono di “vedere” il dolore studiando
direttamente il cervello ed escludendo qualsiasi simulazione. Per troppo tempo il dolore è stato
considerato frutto d’isteria o di malattia mentale, per giustificare l’incapacità a capirne
l’eziologia.”
3. Nella sua vita... il dolore che ruolo ha giocato?
”Certamente non un ruolo di secondaria importanza. Ho avuto varie coliche renali e disturbi
intestinali caratterizzati da grande dolore: ciò mi ha fatto comprendere meglio la sofferenza dei
miei pazienti; sono riuscito a sviluppare un maggior grado di empatia nei loro confronti. Ma c’è
sempre stata anche una grande passione scientifica per comprendere meglio dal punto di vista
fisiopatologici o biochimico i processi di base, senza la cui conoscenza non è possibile sviluppare un
approccio clinico soddisfacente.”
4. Nel suo bellissimo libro "il dolore intimo vulvare e perineale" si parla di dolore segreto per le
complicazioni psicologiche che ne derivano. Secondo lei, quante donne decidono di farsi curare
e quante sono inibite e soffrono in silenzio?
“Negli ultimi anni si è assistito a un rapido processo evolutivo nell’ambito della consapevolezza di
poter essere artefici del proprio destino, anche nel campo del dolore ginecologico. Meno falsi
pudori, e maggiore determinazione a iniziare una terapia efficace, hanno spinto molte donne ad
affrontare seriamente la propria patologia dolorosa. Internet, con la possibilità di aderire a vari
forum e con l’accesso a varie forme di aggiornamento, ha favorito lo scambio di idee e di
informazioni. Rimangono ancora delle fasce deboli, rappresentate dalle donne meno giovani, più
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condizionate dalla vergogna e dalla scarsa dimestichezza con l’informatica. Di qui la necessità che i
medici di famiglia siano in grado di intervenire per indirizzare le loro pazienti ai centri più idonei,
senza la lunga trafila negli studi medici più disparati alla ricerca della giusta diagnosi e della
terapia più appropriata.”
5. Secondo lei, una paziente con dolore vulvare o perineale, quanto tempo dovrebbe attendere
prima di consultare uno specialista della terapia del dolore?
“Quando si constata che le cure mediche iniziali e i suggerimenti comportamentali non funzionano,
è bene farlo entro pochi mesi. Bisogna evitare che il dolore cronicizzi troppo a lungo.”
6. Il benessere sessuale è definito dall'OMS parte integrante del benessere della persona. Nel
suo libro c'è un intero capito intitolato: "Dolore e piacere: neurofisiopatologia del dolore" nel
quale insegna alle donne, con cui ha intrapreso una terapia, a utilizzare degli strumenti per
ritrovare con pazienza "il piacere intimo". Questa sua "illuminazione" va oltre al suo ruolo di
specialista di anestesia e terapia del dolore. Com’è giunto a tali conclusioni migliorando
sensibilmente la vita delle sue pazienti?
“Proprio perseguendo le direttive dell’OMS. Il benessere non è solo assenza di dolore, ma la
migliore qualità di vita possibile. Non è del tutto gratificante aver aiutato una donna a non aver più
dolore durante i rapporti se poi non si è riusciti a migliorare la sua soddisfazione sessuale. C’è
quindi tutto un percorso da seguire, psicologico, medico e riabilitativo, che progressivamente
conduca la donna a riappropriarsi della propria sessualità, godendo appieno del piacere psicofisico
che può dare e ricevere. Per fortuna nella maggior parte dei casi, una volta eliminato il dolore, si
assiste a un netto miglioramento della qualità di vita di coppia anche nell’intimità.
Quanto al ruolo medico vero e proprio, è più facile per chi ha dimestichezza con la fisiopatologia e
la farmacologia del dolore genitale fornire consigli anche per il viraggio verso il piacere”.
7. Il dolore intimo è spesso associato ad avversioni psicologiche verso il sesso. In questo caso,
una volta curati i sintomi, la donna torna liberamente alla propria vita sessuale o in questi casi
nemmeno SANVINCENTI (come viene definito in internet) può fare il miracolo?
“Accetto la provocazione. Ovviamente la santità non mi appartiene. Mi appartiene invece la ferma
determinazione a fare tutto quanto è in mio potere per ottenere il miglior risultato possibile, sia
per la donna e il suo eventuale compagno (non è detto che si debba per forza aver rapporti sessuali
con qualcuno; c’è anche il “fai da te”, più frequente di quanto non si pensi), sia per gratificare me
stesso. Anch’io ho bisogno di successo per migliorare e per mantenere un sano equilibrio mentale.
E’ il successo di routine, o anche l’insuccesso occasionale, che ti spingono al perfezionamento
continuo, alla ricerca delle migliorie; mentre l’insuccesso troppo frequente conduce il medico alla
frustrazione e alla depressione, allo svilimento del proprio ruolo.
E’ normale che una donna che soffra di dolore genitale eviti qualsiasi pratica sessuale, che assuma
una sorta di anestesia emotiva verso la ricerca del piacere. Ma è anche vero che una volta che
riesca a guarire possa gioire maggiormente per tutto quello che le era stato negato
precedentemente. E’ come guarire da una lunga malattia invalidante, potendo apprezzare di più le
piccolo gioie di tutti i giorni. Ho visto pazienti che per anni non avevano potuto più avere rapporti
sessuali e che, ritornate alla norma, hanno ottenuto performances incredibili, strabiliando se stesse
e il proprio compagno. Ho memoria di una giovane signora con un matrimonio bianco da tre anni
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che ora non si accontenta di meno di due rapporti al giorno e che non raggiunge mai meno di duetre orgasmi alla volta! Ma c’è stato anche il caso di chi, potendo riprendere dei normali rapporti,
ha trovato il compagno non più all’altezza della situazione: non avendo più l’alibi della dispareunia,
si era manifestata una disfunzione erettile prima non chiaramente evidenziabile.”
8. All'interno della terapia "riabilitativa dal dolore al piacere" dopo i dilatatori ha deciso di
inserire anche i coni vaginali Pelvifit. Come valuta lo strumento e che ruolo può giocare il peso
vaginale all'interno della cura?
“L’uso corretto e costante dei coni vaginali può permettere un miglior controllo dell’efficienza
muscolare del pavimento pelvico. Da ciò consegue non solo un potenziamento della funzione
muscolare come prevenzione di disturbi di varia natura, dal prolasso alla perdita di urina sotto
sforzo, ma anche e soprattutto una migliore performance sessuale, come insegnano molte
popolazioni orientali che praticano abitualmente, fin dalla più tenera età, gli esercizi per il controllo
volontario della muscolatura pelvica. Molte donne occidentali pensano che i coni siano inutili o
addirittura dannosi in presenza d’ipertono; ma non è così, perché l’ipertono è spesso una risposta
riflessa a uno stato di patologia, non un fenomeno primitivo. E in ogni caso, chi impara a contrarre
bene un muscolo efficiente, è anche in grado di rilassarlo meglio. Insomma, s’impara a controllare
e dominare meglio la componente muscolare della zona pelvico-genitale.”
9. Sappiamo che lei è stato il primo a praticare l'epidurale in travaglio, molte donne le sono
grate ma soprattutto sua moglie...e sua figlia... Come ha vissuto queste esperienze?
”No, non sono stato il primo, ovviamente, se non altro perché l’epidurale in travaglio è stata per la
prima volta praticata, così come la conosciamo oggi, quando non ero ancora nato! Posso però
affermare, senza tema di smentita, che fra i professionisti tuttora in attività sono quello con più
anzianità nel settore e quindi con maggiore esperienza specifica. Avendola praticata a mia moglie
e a mia figlia, ma anche in altri casi prima alla madre e molti anni dopo alle figlie, ho superato le
due generazioni. E non è detto che sia finita qui. Mi prenoto per mia nipote, anche se dovrò
aspettare qualche decennio!”
10. Caro Prof. Vincenti, la sua carriera è iniziata prestissimo, sia grazie all'eccellenza dei suoi voti
(110 lode) che a una grandissima passione per la specializzazione da lei scelta. Infatti, a 28 anni
era già professore all'università. Un bel primato, direi. Che cosa ricorda dell'esperienza di essere
stato insegnante a studenti quasi suoi coetanei?
“In effetti è stata un’esperienza del tutto particolare. Vede, il primo anno d’ insegnamento alla
scuola di specializzazione in Anestesiologia e Rianimazione all’Università di Padova ebbi l’onore di
essere affiancato al Prof. Lauro Galzigna, mio maestro di biochimica. Va detto che all’Istituto di
Biochimica dell’Università ero entrato già nel 1971, subito dopo aver sostenuto il relativo esame,
come studente interno, lavorandovi in pratica quasi tutti i pomeriggi per molti anni. La mia tesi di
laurea sperimentale, poi pubblicata all’estero, riguardava le variazioni dei neurotrasmettitori nel
cervello in corso di avitaminosi B12. Dopo la laurea, conseguita nel luglio del 1975, ero entrato in
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Anestesia, ma continuavo a frequentare ancora l’Istituto di Biochimica, passando quindi la prima
parte della giornata in sala operatoria, e la seconda in laboratorio. Dopo l’acquisizione del diploma
di specializzazione in Anestesiologia e Rianimazione, ebbi dunque subito l’incarico di insegnamento
condiviso in virtù della lunga militanza in quello specifico settore scientifico. Era sicuramente un
evento del tutto eccezionale, ma non era certo difficile insegnare gli elementi base di una disciplina
su cui lavoravo da oltre sette anni. D’altra parte i miei allievi, che avevano in media due anni meno
di me, non ci trovavano nulla di strano.
11. Nello stesso anno è correlatore della tesi di laurea in Medicina della Dr.ssa Alessandra
Graziottin. Ci racconti di quest'esperienza.
”L’anno precedente avevo tenuto una serie di lezioni, agli studenti del 5° e 6° anno di Medicina,
sulle tecniche di anestesia e analgesia in ostetricia. Tra di loro c’era anche una studentessa, che,
avendo fatto la primina, aveva un anno in meno della maggior parte dei suoi compagni di studio.
Dopo una di queste lezioni, fui avvicinato da questa studentessa, dai capelli cortissimi, che mi
chiese di assisterla nella compilazione di una tesi sul controllo del dolore in travaglio di parto. Mi
premurai subito di dirle che facevo da correlatore a tesi di Anestesia e non di Ostetricia. Ma quella
ragazza non si diede per vinta. Mi trascinò letteralmente nello studio del Prof. Onnis proponendogli
di farle da relatore per una tesi in Ostetricia e Ginecologia ma con il mio contributo in qualità di
correlatore per il settore anestesiologico. La sua loquacità conquistò subito il grande professore
che non oppose resistenza: era la prima volta che succedeva una cosa del genere.
Così Alessandra Graziottin cominciò a frequentare la mia casa nel dopolavoro e a seguirmi in
clinica Ostetrica durante i miei turni di guardia. Trovava la bibliografia che serviva, imparava a
seguire le donne in travaglio, apprendeva i rudimenti dell’arte. Fece un’eccellente tesi. E la espose
ancora meglio. Ricordo ancora quell’evento memorabile. Eravamo entrambi giovanissimi: io 28 e
lei 24 anni.”
12. Caro Prof. Vincenti, essere un genio nella sua specialità le avrà causato invidie e sabotaggi.
Dove ha trovato la forza per fare sempre meglio senza arrendersi?
“Sabotaggi, non credo. Forse qualche invidia: è normale. Ma sono sempre andato avanti per la mia
strada, animato da una passione smisurata per la cultura e la scienza. Forse la determinazione l’ho
assorbita da mio padre che da militare di truppa, in Africa Orientale Italiana, era stato punito
perché scoperto a studiare: era una cosa imperdonabile, all’epoca. Per questa “scorrettezza” fu
inviato, per punizione, sei mesi in Dancalia, a 50° all’ombra, in una zona dove non esisteva
vegetazione e in cui era quasi impossibile sopravvivere a lungo per un bianco. Ma lui ce la fece e
continuò a studiare. Finita la guerra e sposata una giovane ragazza italiana conosciuta ad Asmara,
pensò che, dopo il congedo, sarebbe potuto andare con la famiglia in Australia a fare l’ebanista.
Mia madre, padovana, si oppose. Mio padre accettò il rimpatrio in Italia solo perché sapeva che
Padova aveva un’ottima Facoltà di Medicina e lui voleva che suo figlio facesse il dottore. Penso di
averlo accontentato. Da mia madre ho ereditato la pazienza, la perseveranza, l’amore per l’arte e
la musica, da mio padre l’attaccamento allo studio e un’incrollabile fede nel lavoro.
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13. Che progetti ha per il prossimo futuro? Altre pubblicazioni?
”Sì, ma di tipo assai eterogeneo. Per esempio, prima devo ultimare il mio giallo, che si chiamerà
“King’s Cross” ed è ambientato tra Oxford, Londra, Dublino, Parigi, Berlino e Padova. Mi auguro
che possa essere apprezzato per il suo stile narrativo innovativo e per il contenuto assolutamente
scientifico. Fino all’ultimo il lettore rimarrà con il fiato sospeso, prima della soluzione finale.
A parte ciò, ho in programma un testo in inglese per il mercato europeo sulle tecniche di anestesia
nella chirurgia ginecologica ambulatoriale. Per il 2011 forse un testo atlante di Anestesia
Ginecologica, che abbracci tutto lo scibile nel settore.”
14. Un‘ ultima domanda: cosa consiglierebbe agli studenti di medicina per motivarli verso
l'eccellenza?
”Di fare ciò che amano di più senza badare al denaro e alla possibilità di trovare lavoro. Meglio
trovare lavoro un anno più tardi e guadagnare meno svolgendo un’attività “divertente”, piuttosto
che alzarsi tutte le mattine, con la fatica di vivere, facendo qualcosa di noioso. Ho anche un altro
consiglio: non limitarsi mai al proprio settore specialistico, ma avere il gusto di coltivare la cultura.
Alla fine la conoscenza del latino e della storia, per fare un esempio, potrà fare la differenza tra un
professionista bravo e uno eccellente.”
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